Approaches to Teaching Collodi's «Pinocchio» and Its Adaptations, a Cura Di M
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«Bollettino '900», 2014, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2014-i/> Colbert Akieudji* L'Africa nell'opera letteraria di Gianni Celati: «Avventure in Africa» e «Fata morgana» Sommario I. Introduzione II. L'interessamento di Celati alla realtà africana III. L'identificazione dell'Africa IV. La presentazione e la percezione dell'Africa V. Sul rapporto fra letteratura e antropologia VI. Bibliografia I. Introduzione «Visti da qui [gli Africani] sembrano tutti uguali [e] il loro somigliarsi non viene che dallo sguardo, dal "nostro" sguardo». È così che Roberto Francavilla introduce il suo saggio Visti da qui, che apre il decimo numero de «Il gallo silvestre» dedicato alle Scritture d'Africa. Comunque, se negli ultimi tempi la saggistica italiana ha imboccato anch'essa la strada del discorso sul continente nero, è stata soprattutto la scrittura letteraria ad aprirla dai primi anni del Novecento. Il culmine è stato raggiunto nella seconda metà del secolo e soprattutto nei decenni conclusivi, con scrittori come Mario Tobino, Alberto Moravia, Gianni Celati, Enio Flaiano, Pier Paolo Pasolini, Francesco Leonetti e Antonio Tabucchi. Nel giugno del 2006, da dottorando, presentavo in una delle aule dell'Università di Parigi III, nell'ambito delle attività del CIRCE (Centre Interdisciplinaire de Recherche sur la Culture des Echanges), una «Bollettino '900», 2014, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2014-i/> relazione su uno degli scrittori menzionati sopra, Gianni Celati, e proprio da lì mi è venuto il desiderio di fissare le idee in proposito, di coinvolgere il pubblico dei lettori. Parlare dell'Africa nell'opera di uno scrittore, solleva subito molte domande: perché lo scrittore si è interessato o si interessa tanto al continente nero? Come lo guarda? Quali procedimenti usa per rappresentarlo nei suoi testi? Quale immagine dell'Africa emerge dai suoi volumi? La sua visione corrisponde alla realtà oppure ci contrasta? Com'è questa percezione rispetto a quella di altri scrittori italiani ed anche europei che rappresentano lo stesso continente? Come si colloca rispetto a quanto dicono gli stessi Africani della propria cultura? E così via. Gli interrogativi non si esauriscono qui. Per portare risposte se non esaurienti almeno parziali, fruibili per ulteriori approfondimenti della questione o suscettibili di provocarli, cerco di dividere il mio discorso in tre momenti. Innanzitutto saranno esaminati i vari elementi che permettono di identificare il continente nero nelle due opere scelte, i cosiddetti "segni riconoscitivi". Da qui verrà valutato l'utilizzo letterario di questi elementi per poi estrarne la visione complessiva dell'Africa propria dello scrittore. Il tutto permetterà fra l'altro di affrontare, in ultima istanza, il problema del rapporto fra letteratura e antropologia. Ma prima di arrivare all'analisi dei punti anzidetti, è importante fare una rapida panoramica alle ragioni che hanno (o avrebbero) portato l'autore di Fata morgana a interessarsi al continente nero e a inserirlo nella sua produzione letteraria. «Bollettino '900», 2014, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2014-i/> II. L'interessamento di Celati alla realtà africana Fra i motivi che hanno spinto Gianni Celati a interessarsi allo spazio africano, spiccano, in primis, le ragioni biografiche. Anche se lo scrittore confidava in un'intervista1 di «essere sempre capitato in Africa senza una precisa scelta, per caso, come succede nella vita», raccontava nel contempo di essere vissuto in Tunisia, di aver avuto tanti amici arabi, aver anche tentato di studiare l'arabo e di aver viaggiato molto nel Sud e nel deserto (certamente il deserto del Sahara). Tutte esperienze che possono aver fatto nascere un profondo interesse per i popoli dell'Africa subsahariana. Dominanti tuttavia sembrano essere i motivi culturali, riconducibili alla lettura di numerosi libri di antropologia al British Museum,2 esperienza fatta tra il 1968 e il 1970 in seguito al conseguimento di una borsa di studio a Londra. Le più rilevanti fra queste letture sono quelle di Jonathan Swift, di cui Celati ha curato e tradotto in italiano il volume I viaggi di Gulliver, e Claude Lévi-Strauss, ma un posto importante occupano anche autori come Dostoevskij e Balzac, i cui romanzi presentano rappresentano codici comportamentali per l'uomo. Più che determinante però sarà l'influenza di Giambattista Vico, filosofo e storico italiano del XVII secolo. Se il pensatore napoletano è noto per la teoria dei "cicli storici" e il concetto di "storia ideale eterna", l'aspetto originale del suo pensiero che qui più ci interessa risiede, come afferma Vittorio Hsle,3 nel fatto che «per primo, si pone il problema della comprensione delle culture e delle mentalità lontane dalle nostre, a cui bisogna accostarsi senza pregiudizi». Da Vico l'autore di Avventure in Africa recupera allora due punti, come affermava egli stesso:4 il fatto che lo scrivere non si debba limitare soltanto al narrare - perché il narrare ci riporta a quello che è già passato e ha poco a che fare con la realtà - e il fatto che questo, in stretto accordo con «Bollettino '900», 2014, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2014-i/> la logica della conoscenza di altri popoli, debba essere pervaso di osservazioni antropologiche. Tutte queste esperienze e letture, insieme al suo interesse per le immagini e i racconti popolari - evidente nel volume I narratori delle pianure per esempio - l'hanno portato a essere attirato dall'altro, dal diverso comportamentale, simboleggiato in questo caso dall'Africa. A questo punto sorge spontanea una domanda: come la ritroviamo nella sua opera, specificatamente nei due volumi scelti per il presente scritto? III. L'identificazione dell'Africa I primi segni che identificano l'Africa in Avventure in Africa e Fata Morgana sono di carattere etnico. In questa categoria, presente solo nel primo volume, ritroviamo le tribù come i Malenke, i Tuareg, i Gao, i Bambara, i Bubù, i Sarankolé, i Toucouleur, i Peul e i Dogon insieme ai titoli della monarchia tradizionale come l'Hogon, capo della tribù Dogon del Mali. L'indicazione di etnie o tribù è importante per precisare non solo la regione o i paesi rappresentati dallo scrittore, ma anche la ricchezza umana dell'Africa; esse forniscono anche informazioni al lettore sulla struttura etnica della parte occidentale del continente, struttura prevalente prima della nascita delle nazioni. I secondi elementi distintivi sono storico-linguistici. Rintracciabili solo nel primo testo come i precedenti, essi comprendono le espressioni come dialetti dogon e bambara, taxi de brousse, quanto i vocaboli pagne, marabout, brousse, toubab, tutti elementi che denotano la realtà africana: dire per esempio pagne equivale ad alludere all'Africa, tanto questo tessuto ottenuto con una particolare tecnica di tintura e con motivi inconfondibili identifica la sua cultura. Questa categoria include anche i personaggi storici: la figura di Kankan Moussa, sovrano «Bollettino '900», 2014, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2014-i/> dell'Impero del Mali - diventato poi Impero degli Songhaï - dal 1312 al 1337, sotto il cui regno l'Impero ebbe una grande reputazione, con una superficie più grande di tutta l'Europa Occidentale e più della metà della produzione dell'oro di tutto il mondo; così come l'imperatore Hailé Sélassié del Regno d'Axoum in Etiopia. Questi ultimi segni riportano al passato dei singoli paesi africani, quanto al periodo del colonialismo italiano in Africa (che lo scrittore vuole forse ricordare attraverso la figura di Sélassié), permettendo al lettore di capire meglio la loro storia. I segni demografici, rintracciabili nei due volumi, fanno capo alla popolazione e comprendono personaggi appartenenti ad ambienti, ceti e professioni vari. È il caso di Amadou Ouoleghem, nobile della città di Bandiagara, del cantante reggae rastafatto di Dakar, del signor Kamou, doganiere mauritano, di Victor Astafali, discendente di una famiglia di commercianti del Cairo. Questi personaggi informano il lettore sui paesi rappresentati dallo scrittore e anche sulle varie località percorse o menzionate dai narratori, visto che in Avventure in Africa si tratta nella maggioranza dei casi di gente incontrata. Gli elementi spaziali, presenti anch'essi nei due testi, includono i paesi e le isole (Costa d'Avorio, Egitto, Gambia, Nigeria, Burkina Faso, Guinea Bissau, Gabon, ecc.), le città e i villaggi, gli aeroporti e le stazioni, le piazze, i viali e le vie, gli alberghi e i ristoranti, i centri e istituzioni vari. Questi spazi, oltre a informare ancora sulle regioni e i paesi visitati, mostrano una realtà tipica dell'Africa: quella del villaggio, simbolo della tradizione e dei costumi, nonché della cosiddetta solidarietà africana, le cui abitudini si oppongono a quelle della città e quindi della modernità. Si tratta di una realtà vicina all'antico paese europeo nel senso che, come afferma Cesare Pavese, «un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».5 Quest'aspetto della cultura africana è cosí vistoso per lo scrittore quanto per le 170 pagine del testo di Avventure in «Bollettino '900», 2014, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2014-i/> Africa (pp. 9-179) ad esempio, si contano 103 occorrenze del vocabolo "villaggio", siano esse di forma uguale o diversa, incluso l'alterato "villaggetto". Non si raggiunge la media di una occorrenza per pagina, ma si è più o meno attorno ad una occorrenza ogni una pagina e mezza. Perfino a proposito di Bamako, capitale del Mali, Celati parla di «un enorme villaggio tagliato da strade a scacchiera, invaso di sabbia rossa che il vento del deserto sparge dovunque, con un centro amministrativo dove ci sono tutti gli uffici statali e intorno quartieri fatiscenti, di qua e di là dal Niger».6 Di conseguenza, si potrebbe dire che per Celati, la caratteristica più attraente del continente nero è rappresentata da questa realtà che è il "villaggio".