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Colbert Akieudji* L'Africa nell'opera letteraria di Gianni Celati: «Avventure in Africa» e «Fata morgana»

Sommario I. Introduzione II. L'interessamento di Celati alla realtà africana III. L'identificazione dell'Africa IV. La presentazione e la percezione dell'Africa V. Sul rapporto fra letteratura e antropologia VI. Bibliografia

I. Introduzione

«Visti da qui [gli Africani] sembrano tutti uguali [e] il loro somigliarsi non viene che dallo sguardo, dal "nostro" sguardo». È così che Roberto Francavilla introduce il suo saggio Visti da qui, che apre il decimo numero de «Il gallo silvestre» dedicato alle Scritture d'Africa. Comunque, se negli ultimi tempi la saggistica italiana ha imboccato anch'essa la strada del discorso sul continente nero, è stata soprattutto la scrittura letteraria ad aprirla dai primi anni del Novecento. Il culmine è stato raggiunto nella seconda metà del secolo e soprattutto nei decenni conclusivi, con scrittori come , , Gianni Celati, Enio Flaiano, , Francesco Leonetti e . Nel giugno del 2006, da dottorando, presentavo in una delle aule dell'Università di Parigi III, nell'ambito delle attività del CIRCE (Centre Interdisciplinaire de Recherche sur la Culture des Echanges), una

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relazione su uno degli scrittori menzionati sopra, Gianni Celati, e proprio da lì mi è venuto il desiderio di fissare le idee in proposito, di coinvolgere il pubblico dei lettori. Parlare dell'Africa nell'opera di uno scrittore, solleva subito molte domande: perché lo scrittore si è interessato o si interessa tanto al continente nero? Come lo guarda? Quali procedimenti usa per rappresentarlo nei suoi testi? Quale immagine dell'Africa emerge dai suoi volumi? La sua visione corrisponde alla realtà oppure ci contrasta? Com'è questa percezione rispetto a quella di altri scrittori italiani ed anche europei che rappresentano lo stesso continente? Come si colloca rispetto a quanto dicono gli stessi Africani della propria cultura? E così via. Gli interrogativi non si esauriscono qui. Per portare risposte se non esaurienti almeno parziali, fruibili per ulteriori approfondimenti della questione o suscettibili di provocarli, cerco di dividere il mio discorso in tre momenti. Innanzitutto saranno esaminati i vari elementi che permettono di identificare il continente nero nelle due opere scelte, i cosiddetti "segni riconoscitivi". Da qui verrà valutato l'utilizzo letterario di questi elementi per poi estrarne la visione complessiva dell'Africa propria dello scrittore. Il tutto permetterà fra l'altro di affrontare, in ultima istanza, il problema del rapporto fra letteratura e antropologia. Ma prima di arrivare all'analisi dei punti anzidetti, è importante fare una rapida panoramica alle ragioni che hanno (o avrebbero) portato l'autore di Fata morgana a interessarsi al continente nero e a inserirlo nella sua produzione letteraria.

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II. L'interessamento di Celati alla realtà africana

Fra i motivi che hanno spinto Gianni Celati a interessarsi allo spazio africano, spiccano, in primis, le ragioni biografiche. Anche se lo scrittore confidava in un'intervista1 di «essere sempre capitato in Africa senza una precisa scelta, per caso, come succede nella vita», raccontava nel contempo di essere vissuto in Tunisia, di aver avuto tanti amici arabi, aver anche tentato di studiare l'arabo e di aver viaggiato molto nel Sud e nel deserto (certamente il deserto del Sahara). Tutte esperienze che possono aver fatto nascere un profondo interesse per i popoli dell'Africa subsahariana. Dominanti tuttavia sembrano essere i motivi culturali, riconducibili alla lettura di numerosi libri di antropologia al British Museum,2 esperienza fatta tra il 1968 e il 1970 in seguito al conseguimento di una borsa di studio a Londra. Le più rilevanti fra queste letture sono quelle di , di cui Celati ha curato e tradotto in italiano il volume I viaggi di Gulliver, e Claude Lévi-Strauss, ma un posto importante occupano anche autori come Dostoevskij e Balzac, i cui romanzi presentano rappresentano codici comportamentali per l'uomo. Più che determinante però sarà l'influenza di Giambattista Vico, filosofo e storico italiano del XVII secolo. Se il pensatore napoletano è noto per la teoria dei "cicli storici" e il concetto di "storia ideale eterna", l'aspetto originale del suo pensiero che qui più ci interessa risiede, come afferma Vittorio Hsle,3 nel fatto che «per primo, si pone il problema della comprensione delle culture e delle mentalità lontane dalle nostre, a cui bisogna accostarsi senza pregiudizi». Da Vico l'autore di Avventure in Africa recupera allora due punti, come affermava egli stesso:4 il fatto che lo scrivere non si debba limitare soltanto al narrare - perché il narrare ci riporta a quello che è già passato e ha poco a che fare con la realtà - e il fatto che questo, in stretto accordo con

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la logica della conoscenza di altri popoli, debba essere pervaso di osservazioni antropologiche. Tutte queste esperienze e letture, insieme al suo interesse per le immagini e i racconti popolari - evidente nel volume I narratori delle pianure per esempio - l'hanno portato a essere attirato dall'altro, dal diverso comportamentale, simboleggiato in questo caso dall'Africa. A questo punto sorge spontanea una domanda: come la ritroviamo nella sua opera, specificatamente nei due volumi scelti per il presente scritto?

III. L'identificazione dell'Africa

I primi segni che identificano l'Africa in Avventure in Africa e Fata Morgana sono di carattere etnico. In questa categoria, presente solo nel primo volume, ritroviamo le tribù come i Malenke, i Tuareg, i Gao, i Bambara, i Bubù, i Sarankolé, i Toucouleur, i Peul e i Dogon insieme ai titoli della monarchia tradizionale come l'Hogon, capo della tribù Dogon del Mali. L'indicazione di etnie o tribù è importante per precisare non solo la regione o i paesi rappresentati dallo scrittore, ma anche la ricchezza umana dell'Africa; esse forniscono anche informazioni al lettore sulla struttura etnica della parte occidentale del continente, struttura prevalente prima della nascita delle nazioni. I secondi elementi distintivi sono storico-linguistici. Rintracciabili solo nel primo testo come i precedenti, essi comprendono le espressioni come dialetti dogon e bambara, taxi de brousse, quanto i vocaboli pagne, marabout, brousse, toubab, tutti elementi che denotano la realtà africana: dire per esempio pagne equivale ad alludere all'Africa, tanto questo tessuto ottenuto con una particolare tecnica di tintura e con motivi inconfondibili identifica la sua cultura. Questa categoria include anche i personaggi storici: la figura di Kankan Moussa, sovrano

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dell'Impero del Mali - diventato poi Impero degli Songhaï - dal 1312 al 1337, sotto il cui regno l'Impero ebbe una grande reputazione, con una superficie più grande di tutta l'Europa Occidentale e più della metà della produzione dell'oro di tutto il mondo; così come l'imperatore Hailé Sélassié del Regno d'Axoum in Etiopia. Questi ultimi segni riportano al passato dei singoli paesi africani, quanto al periodo del colonialismo italiano in Africa (che lo scrittore vuole forse ricordare attraverso la figura di Sélassié), permettendo al lettore di capire meglio la loro storia. I segni demografici, rintracciabili nei due volumi, fanno capo alla popolazione e comprendono personaggi appartenenti ad ambienti, ceti e professioni vari. È il caso di Amadou Ouoleghem, nobile della città di Bandiagara, del cantante reggae rastafatto di Dakar, del signor Kamou, doganiere mauritano, di Victor Astafali, discendente di una famiglia di commercianti del Cairo. Questi personaggi informano il lettore sui paesi rappresentati dallo scrittore e anche sulle varie località percorse o menzionate dai narratori, visto che in Avventure in Africa si tratta nella maggioranza dei casi di gente incontrata. Gli elementi spaziali, presenti anch'essi nei due testi, includono i paesi e le isole (Costa d'Avorio, Egitto, Gambia, Nigeria, Burkina Faso, Guinea Bissau, Gabon, ecc.), le città e i villaggi, gli aeroporti e le stazioni, le piazze, i viali e le vie, gli alberghi e i ristoranti, i centri e istituzioni vari. Questi spazi, oltre a informare ancora sulle regioni e i paesi visitati, mostrano una realtà tipica dell'Africa: quella del villaggio, simbolo della tradizione e dei costumi, nonché della cosiddetta solidarietà africana, le cui abitudini si oppongono a quelle della città e quindi della modernità. Si tratta di una realtà vicina all'antico paese europeo nel senso che, come afferma Cesare Pavese, «un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».5 Quest'aspetto della cultura africana è cosí vistoso per lo scrittore quanto per le 170 pagine del testo di Avventure in

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Africa (pp. 9-179) ad esempio, si contano 103 occorrenze del vocabolo "villaggio", siano esse di forma uguale o diversa, incluso l'alterato "villaggetto". Non si raggiunge la media di una occorrenza per pagina, ma si è più o meno attorno ad una occorrenza ogni una pagina e mezza. Perfino a proposito di Bamako, capitale del Mali, Celati parla di «un enorme villaggio tagliato da strade a scacchiera, invaso di sabbia rossa che il vento del deserto sparge dovunque, con un centro amministrativo dove ci sono tutti gli uffici statali e intorno quartieri fatiscenti, di qua e di là dal Niger».6 Di conseguenza, si potrebbe dire che per Celati, la caratteristica più attraente del continente nero è rappresentata da questa realtà che è il "villaggio". Gli elementi spaziali informano anche sul passato o sulla storia dei paesi africani. È il caso della Grande Poste di Bamako, piazza e punto centrale della città, simbolo della presenza e della colonizzazione francese. In effetti, la maggioranza delle capitali africane passate dall'occupazione francese ha una piazza, centro della città, spesso indicata dalla presenza dell'ufficio postale, a indicare forse l'importanza accordata alle comunicazioni nel periodo coloniale. È quello che si nota anche con la Poste Centrale di Yaoundé, capitale del Camerun. Gli elementi socio-culturali, rintracciabili nei due testi, comprendono le pratiche religiose, come l'Islam (simboleggiato da parole ed espressioni come ramadam, insciallah, moschea, corano, Allah, Guerra santa, muezzin, mulsulmano civilizzato), religione dominante in Africa occidentale, il totemismo e il feticismo (marabout, animale totemico), tipici dell'Africa nera. Comprendono anche le maschere, nonché le usanze: per esempio la scelta della moglie del figlio da parte del padre, senza chiedere la sua opinione, per evitare ulteriori problemi coniugali e per sapere a chi rivolgersi in caso ne sorgessero,7 usanza che vige tutt'ora in tante tribù. Includono infine il sistema antroponimico, l'onomastica: nel primo testo si hanno nomi come Aissata Diallo, Gaous

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Dembelé, Hammadi, Moussah, Ibrahima Traoré, Harouna. Essi ricordano, anche per omofonia, Traoré Moussa (ex-presidente maliano, 1965-1991), Diallo Bakary (uno dei primissimi scrittori africani, il quale pubblicava nel 1926 il volume Force Bonté) e Kourouma Ahmadou (scrittore ivoriano morto nel dicembre del 2003). Il nome Sempaté di Fata morgana ricorda per omofonia quello di Ampâté Bâ Hamadou, scrittore e grande oralista maliano nato a Bandiagara, noto come "le Sage d'Afrique" oppure "le grand maître de la parole". Questi nomi denotano tutti il mondo africano musulmano, soprattutto dell'Africa nera, diverso per antroponimi e non per religione dal mondo africano arabo - con antroponimi come Bouraoui, Marzouki, Moubarak ecc. - nonché dal mondo arabo del Medio Oriente - con nomi Ahmadinejad, Zaìd ecc. Si nota allora che i segni riconoscitivi, veicolo di informazioni specifiche, ai quali si aggiungerebbero elementi ecologici come la brousse, la savana, la foresta e l'elefante, dimostrano una piena immersione nell'ambiente africano. Visto però che si ha a che fare con i testi letterari e che la letteratura è prevalentemente forma, viene allora da chiedersi quali tecniche sono usate per presentare questa Africa e quale percezione ne ha lo scrittore.

IV. La presentazione e la percezione dell'Africa

Preme qui sottolineare che la presentazione dell'Africa nei due volumi di Celati si realizza attraverso l'utilizzo di diverse di tecniche linguistico- stilistiche, la cui maggiore varietà si riscontra soprattutto in Avventure in Africa. Per prime spiccano la metafora, la similitudine e l'iperbole, figure densamente usate per l'assimilazione dei fatti e situazioni africani a realtà ben conosciute dallo scrittore e facilmente ritrovabili o comprensibili dal lettore europeo come il "campo di concentramento" o la "trincea" e per

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l'ampliamento di detti fatti e situazioni, simbolo anche dello straniamento e della meraviglia dello scrittore di fronte alle cose. Si nota parimenti l'uso dell'ironia, che rende evidente l'umorismo nella rappresentazione, nonché dell'onomatopea, la quale mira alla resa di quei suoni che per la loro stranezza affascinano lo scrittore, portandolo a non cercare semplicemente di descriverli. La ricorrenza delle frasi interrogative8 dimostra un continuo indagare la realtà che non si capisce sulle prime e richiede molto spesso spiegazioni da parte della gente locale. Detta ricorrenza denota nel contempo un certo stupore di fronte alla realtà. Il ricorso frequente alle frasi nominali9 e al citazionismo ha per finalità la rappresentazione diretta e immediata di quanto visto nonché la riproduzione fedele del modo di parlare dei personaggi locali, il quale a sua volta rimanda ad alcune abitudini, pena una perdita semantico- espressiva nel tradurli. L'ibridismo linguistico, come quello praticato nel Settecento da scrittori come il toscano Lorenzo Magalotti oppure il veronese Scipione Maffei,10 è anch'esso frequente, solo che nei testi celatiani è dettato dal fascino per la cultura francese con la sua lingua e i suoi "grandi nomi" come nel Settecento, ma di un intento di rappresentazione intatta e diretta delle realtà inalterabili dell'alterità, di alcune espressioni o appellazioni localmente connotate come "grand- frère", che è anche segno di rispetto, come pure di alcuni fatti o concetti che lo scrittore giudica rilevanti, decidendo di lasciarli nella lingua in cui sono stati enunciati. I suddetti procedimenti permettono allo scrittore di presentare l'Africa in vari modi e sotto varie angolazioni e di farne emergere una serie di immagini. La visione di Gianni Celati è quella di un'Africa accogliente e ospitale, un continente le cui genti sono molto solidali, uno spazio con tanti valori da conservare, talvolta da salvaguardare o preservare dalla furfanteria dei "turisti" occidentali.11 Questa ricchezza culturale era già sottolineata da Sartre a proposito dei poeti dell'Africa nera, nella sua prefazione "Orphée

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noir" al volume Antologie de la nouvelle poésie nègre et malgache de langue française del poeta senegalese Léopold Sédar Senghor.12 Celati trova nell'Africa un posto degno, dove si può stare anche con piacere, immagine che ricorda quanto affermava Alberto Moravia nel suo Lettere dal Sahara precisando a proposito del suddetto continente che «tutto ciò che si vedeva, emanava un'aria di grandiosità, di libertà e di incomparabile nobiltà».13 L'Africa di Celati è, tuttavia, anche una terra che mostra indigenza e prostituzione, un luogo in cui sono necessari tanti mezzi di sostentamento e condizioni economiche più rassicuranti per i bisogni delle popolazioni. Quest'ultimo aspetto è così degno di attenzione per lo scrittore che lo ha sviluppato nel lavoro che per molto tempo lo ha affiancato all'attore senegalese Mandiaye N'diaye in un progetto di film sull'Africa intitolato Le jeu de la richesse et de la pauvreté, con una vicenda ambientata in un villaggio senegalese (un po' come nel film del 2005 Lettere dal Sahara di Vittorio De Seta), un progetto in cui Celati cercava anche di ironizzare sul perdurante problema della povertà nei paesi africani. Anche se l'opera non è stata fin qui prodotta, il progetto ha contribuito a rafforzare il suo interesse per la realtà africana e a variegare il suo stile di presentazione di questa realtà al pubblico. In sintesi, si nota che da un volume all'altro, la rappresentazione dell'Africa passa dalla cosiddetta diaristica alla pura finzione letteraria. Il che porta a focalizzare l'attenzione sui legami che intercorrono tra la letteratura e l'antropologia.

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V. Sul rapporto fra letteratura e antropologia

Come sostengono Alberto Sobrero e Eugenio Testa, è fuor di dubbio che «l'antropologia e la letteratura sono due terreni molto differenti e che richiedono di essere tenuti ben distinti. La prima, malgrado tutto, tende alla verità, la seconda al possibile; la prima, come ogni scienza, tende a semplificare il mondo, la seconda a complicarlo».14 È chiaro, dunque, che l'antropologia è una scienza con un discorso che ha l'obbligo di «essere cumulativo, esplicativo»,15 mentre la letteratura è un'arte che va nella direzione contraria, quella di creare mondi alternativi con un linguaggio piuttosto suggestivo ed evocativo. Di fatto, però, intercorre un rapporto molto stretto tra le due discipline. In effetti, la letteratura e l'antropologia intrattengono rapporti che potrebbero esprimersi in termini di complementarietà e di costruzione reciproca. Innanzitutto, la letteratura non è altro se non l'immaginario scritto delle varie società, il mezzo usato da ogni popolo per narrarsi e rappresentarsi. Di conseguenza, essa contribuisce alla conoscenza dell'homosapiens, della sua cultura, dei suoi fantasmi e del suo pensare, preoccupazione dell'antropologia intesa nel suo senso attuale come «l'insieme delle scienze che studiano la specie homo-sapiens»,16 e quindi senza esclusioni a priori. È la ragione per la quale si notano nella letteratura contemporanea molte figure di romanzieri-antropologi oppure di antropologi-romanzieri, come è il caso di in Italia. Come precisano i due studiosi menzionati nel capoverso precedente, «alla Sardegna, alla vita pastorale e contadina dei Sardi, Angioni ha dedicato i suoi primi saggi negli anni Sessanta; allo stesso contesto hanno prevalentemente fatto riferimento i suoi primi racconti, e anche i successivi romanzi lo mantengono come orizzonte, più o meno direttamente».17 È anche il caso nella letteratura francese di Maryse Condé (originaria delle Antille), i cui romanzi si riferiscono all'Africa occidentale, terra d'origine dei suoi genitori: «costituisce probabilmente il

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caso più evidente di commistione fra letteratura e antropologia [...]. Qui la letteratura diventa antropologia, o, diciamo, il primo compito del letterato diventa quello di essere antropologo».18 Queste figure costituiscono i cosiddetti «antropologi nativi»19 che fanno ricerca in casa propria, contrariamente agli antropologi che viaggiano. La letteratura e l'antropologia hanno in comune la "questione del realismo". Come nota Fabio Dei, ci sono molte affinità tra realismo etnografico e realismo letterario e, nel testo antropologico, «il problema della corrispondenza epistemologica alla realtà [...] trapassa senz'altro in un problema di effetti retorici di realtà».20 Inoltre, la figura dell'antropologo che viaggia corrisponde in letteratura a quella dello scrittore-viaggiatore, riferita al genere della prosa di viaggio, il cosiddetto "récit de voyage" per dirla alla francese, un genere che si avvale degli strumenti dell'antropologia, ossia, la ricerca sul campo, l'osservazione partecipante e l'indagine etnografica, presentando spesso nelle sue pagine fotografie dei luoghi visitati come è tipico di alcuni volumi del periodo coloniale21 oppure fotografie che ritraggono lo scrittore in piena osservazione partecipante:22 il caso del frontespizio del volume moraviano A quale tribù appartieni?. Attraverso la prosa di viaggio, la letteratura favorisce gli studi antropologici, visto che questo sottogenere porta a investigare sul popolo descritto e ad averne una buona conoscenza. D'altro canto, la conoscenza dei vari gruppi umani, il loro spazio, le loro peculiarità, alimentano la finzione letteraria, come in Fata Morgana (volume che fa capo alla cosiddetta "geografia immaginaria") in cui il fittizio paese dei Gamuna, illustrazione dell'allucinazione umana in generale, è rappresentato con uno sfondo africano (deserto, savana, falesia, costumi) e forse anche sudamericano, a dir dello stesso scrittore. È indubbiamente ciò che fa capire Marco Belpoliti asserendo che «Fata morgana, scritto da Gianni Celati tra 1986 e il 1988 [è stato] pubblicato solo ora, dopo che lo scrittore

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in Africa, terra a cui allude il nuovo romanzo, c'è andato davvero, e più volte».23 Dal canto suo, l'antropologia fornisce strumenti per la lettura dei testi letterari. La cosiddetta "mitocritica" durandiana ne è la testimonianza. Si tratta della presa in considerazione del rapporto fra i miti e la letteratura nello studio o l'interpretazione delle varie opere. Come precisa Ivanna Rialland presentando uno dei più recenti volumi dedicato all'argomento,24 La mythocritique en questions. Dictionnaire, questo ramo della critica si riferisce al fondo antropologico comune dell'immaginario ed è molto contigua, per metodi, alla critica tematica. Dal titolo di uno dei saggi del volume, Imagologie littéraire et mythe,25 si può evincere che si tratti di un metodo molto utile alla lettura dei testi "imagotypiques", per usare il termine di Daniel-Henri Pageaux, ossia i testi appartenenti al genere odeporico. Tornando alle opere di Celati, direi, in conclusione, che lo scrittore ha voluto schierarsi contro quello che egli stesso chiama «il nichilismo di fondo dell'uomo occidentale»,26contro la stereotipia culturale dominante in Occidente sul continente africano,27stereotipia legata a una lontananza psicologica più che geografica, come constata Roberto Francavilla nel saggio citato sopra. La visione dello scrittore coincide con quella di parecchi autori africani, in particolar modo con l'ivoriano Bernard Dadié,28 a proposito della dignità, e con il camerunense Mongo Beti,29 per quanto attiene all'accoglienza e alla solidarietà. Infatti, Marco Belpoliti fa capire che «per Celati non c'è nessun Altrove, non perché il mondo sia tutto omologato, o identico, ma perché ovunque andiamo noi occidentali, portiamo sempre con noi le nostre fissazioni, il nostro razionalismo, il bisogno di spiegare e di possedere ogni cosa».30 E lo stesso Celati ribadisce questo punto di vista sottolineando che «l'importante non è rappresentare la realtà straniera nell'opera letteraria, ma entrare in questi comportamenti e provarci un'analogia».31

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VI. Bibliografia

. Belpoliti, Marco - Raccontare per appaesarsi, in «La Stampa» (10 febbraio 2005). . Béti, Mongo - Remember Ruben, Paris, L'Harmattan, 1982. . Celati, Gianni - Avventure in Africa [1998], Milano, feltrinelli, 20012 . . Id. - Fata Morgana, Milano, Feltrinelli, 2005. . Id. - Narratori delle pianure [1985], Milano, Feltrinelli, 20036. . Id. - Quattro novelle sulle apparenze [1987], Milano, Feltrinelli, 20025. . Chauvin, Danièle et al.(a cura di) - La mitocritique en Questions. Dictionnaire, Paris, Imago, 2005. . Dadié, Bernard - La ville où nul ne meurt (Rome), Paris, Présence Africaine, 1968. . Dei, Fabio - La libertà di inventare i fatti: antropologia, storia, letteratura, in «Il gallo silvestre», n.13, 2000, pp. 180-195. . De Seta, Vittorio - Lettere dal Sahara, 2005 [film]. . Durand, Gilbert - Le strutture antropologiche dell'immaginario. Introduzione all'archetipologia generale [1972], trad. it. di Ettore Catalano, Bari, Dedalo, 19962. . Francavilla, Roberto - Visti da qui, in «Il gallo silvestre», n. 10, marzo 1998, pp. 9-24. . Hsle, Vittorio, La filosofia di Giambattista Vico, in Encilcopedia multimediale delle scienze filosofiche, > (2 giugno 2006). . Moravia, Alberto - A quale tribù appartieni? [1972], Milano, Bompiani, 20012. . Id. - Lettere dal Sahara [1988], Milano, Bompiani , 20002. . Pageaux, Daniel-Henri - La littérature générale et comparée, Paris, Armand Colin, 1994. . Pavese, Cesare - La luna e i falò [1950], Torino, Einaudi, 20053. . Pellegrini, Carlo - Relazioni fra la letteratura italiana e la letteratura francese, in Viscadi, Antonio et al.(a cura di), Letterature comparate, Milano, Mazorati Editore, 1948, pp. 40-99. . Rialland, Ivanna - La mythocritique en questions. Dictionnaire, in «Fabula», (4 giugno 2005). . Risi, Marco - Nel continente nero, 1992 [film]. . Senghor, Léopold Sédar - Anthologie de la nouvelle poésie nègre et malgache de langue française, Paris, PUF, 1948. . Sobrero Alberto, Testa Eugenio - Perché gli antropologi scrivono romanzi?, in «Il gallo silvestre», n. 13, 2000, pp. 164-179. . Swift, Jonathan, I viaggi di Gulliver, trad. it. e cura di Gianni Celati, Milano, Feltrinelli, 20042. . Vergani, Orio - 45° all'ombra. Dalla città del Capo al lago Tanganica, Milano, Treves, 1935.

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. Id. - Sotto i cieli d'Africa. Dal Tanganica al Cairo, Milano, Treves, 1935.

Note:

* Università di Daschang (Camerun)

1 Intervista rilasciata all’autore nell’estate del 2005 a Siena, e rimasta inedita.

2 Esso è citato perfino in Fata morgana, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 174.

3 V. Hsle, La filosofia di Giambattista Vico, (2 giugno 2006).

4 In un intervento all’Università di Siena sull’argomento Scrittura e etnologia, il 9 giugno 2005.

5 C. Pavese, La luna e i falò, Torino, Einaudi, 2005, p. 12.

6 G. Celati, Avventure in Africa, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 11.

7 Ivi, pp. 15-16.

8 G. Celati, Avventure in Africa, cit., pp. 9, 16, 17, 24, 27.

9 Ivi, pp. 18, 22, 55, 66.

10 C. Pellegrini, Relazioni fra la letteratura italiana e la letteratura francese, in A. Viscardi et al. (a cura di), Letterature comparate, Milano, Mazorati Editore, 1948, p. 66.

11 Il caso dello psichiatra francese con i metodi dei guaritori dogon (Avventure in Africa, p. 72) per cui lo scrittore parla di «roba da vergognarsi per l’eternità».

12 In Orphée noir, Jean-Paul Sartre afferma: «Il est à peu près impossible à nos poètes de renouer avec les traditions populaires [...]. Les noirs d’Afrique au contraire, sont encore dans la grande période de fécondité mythique et les poètes noirs de langue française ne s’amusent pas de ces mythes comme nous le faisons de nos chansons (È

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pressoché impossibile per i nostri poeti riprendere le tradizioni popolari [...]. I neri d’Africa, al contrario, sono ancora nella grande e feconda stagione mitica e i poeti neri non scherzano con i propri miti come noi lo facciamo con le nostre canzoni)» (la traduzione è mia).

13 A. Moravia, Lettere dal Sahara, Milano, Bompiani , 2000, quarta di copertina.

14 A. Sobrero e E. Testa, Perché gli antropologi scrivono romanzi?, in «Il gallo silvestre», n. 13, 2000, p. 173.

15 Ibid.

16 G. Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, Bari, Dedalo, 1996, p. 31.

17 A. Sobrero e E. Testa, Perché gli antropologi, cit., p. 171.

18 Ivi, pp. 166-167.

19 Ivi, p. 171.

20 F. Dei, La libertà di inventare i fatti: antropologia, storia e letteratura, in «Il gallo silvestre», n. 13, cit., p. 183.

21 Penso qui ai volumi 45° all’ombra. Dalla città del Capo al lago Tanganica (1935) e Sotto i cieli d’Africa. Dal Tanganica al Cairo (1935) di Orio Vergani.

22 F. Dei, La libertà di inventare, cit., p. 192.

23 M. Belpoliti, Raccontare per appaesarsi, in «La Stampa», (10 febbraio 2005).

24

25 Il saggio è di Jean-Marc Moura, pp. 205-215.

26 Nella bozza del film Le jeu de la richesse et de la pauvreté.

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27 Si pensi al film Nel continente nero (1992) di Marco Risi e alle opere del periodo coloniale.

28 Nel suo romanzo La ville où nul ne meurt (Rome), Paris, Présence Africaine, 1968, afferma alludendo agli Africani: «L’éducation que nous ont donnée les nôtres nous a préparés à cette rencontre [avec les autres peuples], à cette appréciation profonde, réelle, à cette estimation authentique de l’homme(L’educazione che ci hanno dato i nostri ci ha preparato a questo incontro [con gli altri popoli], a questa valutazione profonda, reale, a questa considerazione autentica dell’essere umano)» (p. 77 – la traduzione è mia).

29 Riferendosi al popolo africano nel suo romanzo Remember Ruben, Paris, L’Harmattan, 1982, scrive: «Qui que tu sois, étranger, que n’est-tu entré en confiance dans notre cité pour demander quelque nourriture à la première venue de ses incomparables mères, réputées dans toute la nation des Essazam, parce que leur générosité s’est donné pour tradition de soulager la faim et d’étancher la soif des voyageurs, hommes ou bêtes, sans autre souci que le culte des vertus ancestrales? (Qualsiasi persona tu sia, pure straniero: hai mai esitato sulla nostra terra a firdarti delle sue impareggiabili madri, stimate in tutto il paese degli Essazam, e a chiedere cibo alla prima di loro, dato che la loro generosità si è data per tradizione di soddisfare i viaggiatori affamati e assetati, uomini e bestie, senza altra preoccupazione che il culto delle virtù ancestrali?)» (p. 11- la traduzione è mia).

30 M. Belpoliti, Raccontare per appaesarsi, cit.

31 Nel suo intervento soprammenzionato all’Università di Siena.

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Giugno-dicembre 2014, n. 1-2

Questo articolo può essere citato così: C. Akieudji, L'Africa nell'opera letteraria di Gianni Celati: «Avventure in Africa» e «Fata Morgana» (Dal diario alla finzione, letteratura e antropologia), in «Bollettino '900», 2014, n. 1-2, .