Dedicato a Emmanuel Bimestrale · Anno VI · N.33-34 Maggio /Agosto 2016

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Dedicato a Emmanuel Bimestrale · Anno VI · N.33-34 Maggio /Agosto 2016 dedicato a Emmanuel Bimestrale · anno VI · n.33-34 maggio /agosto 2016 Redazione via Buonarroti, 39 - 00185 Roma tel. 06.8841880 e-mail: [email protected] sito web: www.gliasinirivista.org Editore Edizioni dell’asino Stampa Booksfactory.it Distribuzione Messaggerie libri Direttore Luigi Monti Vice-direttore Nicola Villa Direttore responsabile Goffredo Fofi Redazione Cecilia Bartoli, Maurizio Braucci, Gianluca D’Errico, Vittorio Giacopini, Sara Honegger, Federica Lucchesini, Nicola Missaglia, Ivan Pagliaro, Fabio Piccoli, Nicola Ruganti, Giulio Vannucci, Giovanni Zoppoli. Collaboratori Vinicio Albanesi, Fulvia Antonelli, Giuliano Battiston, Marcello Benfante, Stefano Benni, Giacomo Borella, Beatrice Borri, Giulia Bussotti, Marco Carsetti, Simone Caputo, Cecilia Cardito, Roberto Catani, Domenico Chirico, Francesco Ciafaloni, Francesco Codello, Nunzia Coppedé, Costantino Cossu, Nicola De Cilia, Dario Dell’Aquila, Danilo De Luise, Lorenzo Donati, Enzo Ferrara, Marina Galati, Nicola Galli Laforest, Piergiorgio Giacchè, Grazia Honegger Fresco, Nicola Lagioia, Stefano Laffi, Luca Lambertini, Alessandro Leogrande, Franco Lorenzoni, Lorenzo Maffucci, Emanuele Maspoli, Giulio Marcon, Giorgio Morbello, Emiliano Morreale, Sara Nunzi, Giacomo Panizza, Roberta Passoni, Mimmo Perrotta, Giordana Piccinini, Ilaria Pittiglio, Giacomo Pontremoli, Maria Chiara Rioli, Achille Rossi, Rodolfo Sacchettini, Alice Rohrwacher, Maria Salvati, Matteo Schianchi, Chiara Scorzoni, Serena Terranova, Manuela Trinci, Emilio Varrà, Cristina Ventrucci, Gabriele Vitello. Progetto grafico orecchio acerbo Abbonamenti annuale (6 numeri): 50,00 euro Per informazioni: [email protected] Si collabora su invito della redazione, Hanno collaborato a questo numero: i manoscritti non vengono restituiti. Beatrice Borri, Giulia Bussotti, Franca Cavagnoli, Finito di stampare luglio 2016 Gianna Di Bona, Giacomo Manconi, Registrazione presso il Tribunale di Roma 126/2012 del 3/5/2012 Matteo Moca, Bruno Montesano, Maria Nadotti. 33-34 MAGGIO /AGOSTO 2016 Strumenti 4 Dedicato a Emmanuel 4 Prima allieva e poi maestra di Serena Vitale incontro con Giulia Bussotti e Giacomo Pontremoli 10 Fine della scuola democratica di Adolfo Scotto Di Luzio 16 Un’ignoranza di tipo nuovo di Claudio Giunta 20 Canali umanitari di Corrado Borghi e Agnese Lorenzini 27 Alta scuola, altra scuola di Alberto Delpero 32 La battaglia dell’aborto di Giorgia Alazraki I doveri dell’ospitalità 37 Il no di Claudio Baglietto di Pietro Polito Film 1. Sulla scena 43 Per i bambini. Da un diario di lavoro di Chiara Guidi 49 Diventare attore di Roberto Magnani incontro con Alex Giuzio 54 Bustric, storia di un mago di Sergio Bustric incontro con Goffredo Fofi 62 Con i ragazzi di Francesco Turbanti 67 Né buono né cattivo di Luca Marinelli incontro con Nicola Villa 72 In primo piano “il fuori” di Daria Deflorian incontro con Rodolfo Sacchettini 75 Solo la voce di Anna Antonelli e Lorenzo Pavolini Film 2. In campo 78 Attacco al calcio di Maurizio Braucci 79 Difesa del calcio di Nicola Villa 82 Allenatore di professione di Gianni De Biasi incontro con Nicola De Cilia 88 La tratta dei campioni di Stefano Scacchi Immagini 94 Giochi crudeli di Cyop&Kaf Scenari 101 L’evo moderno e il nostro, una storia di vocazioni di Goffredo Fofi 102 Simona Vinci va in manicomio di Sara Honegger 105 Non c’è pace per i Fiori di Davide Minotti 108 Tre anti-eroi a Bagnoli Jungle di Gianluca D’Errico 110 Lavorare con la diversità di Carolina Purificati 115 Adulti che ridono con Peppa di Vincenzo Schirripa Panoramiche 122 Crescere a Tel Aviv di Bianca Ambrosio 128 Crescere in Palestina di Layaly Hamayel Ce la faranno i nostri eroi 138 Martin Eden, una morte annunciata di Marcello Benfante 145 Peter Pan è una storia per bambini? di Daniela Marchiotti Strumenti Dedicato a Emmanuel. Non bastava a Chinyery, la giovane nigeriana vedova del trentaseienne Emmanuel Chidi Namdi, di aver soffer- to quello che ha sofferto in patria, perdendo un figlio e i famigliari sotto il re- gime di Boko Haram; non bastava la traversata della Libia dove le è stata tolta la speranza di un altro figlio per le violenze di un gruppo di incappucciati; non bastava la traversata del mare su un barcone che portava 140 persone. Passati dalla Sicilia e giunti a Fermo, lei ed Emmanuel sembrava avessero trovato un po’ di pace e la possibilità di un futuro di qualche serenità grazie all’aiuto della Caritas e di don Vinicio, e di quella Comunità di Capodarco della cui amicizia molti di noi siamo da anni orgogliosi. Le è stato tolto anche il marito, quando infine pareva fossero giunti a buon porto, per mano di un balordo, di uno di quei bulli di cui è piena l’Italia ed è piena l’Europa che danno sfogo ai loro istinti e alle loro frustrazioni, alla loro infinita stupidità, aggredendo i più deboli di loro. Mascalzoni del tipo più quotidiano, essi sono convinti di una superiorità etnica offesa che certi giornali e certi uomini politici san- no alimentare in questo modo diffondendo quotidianamente la loro ignobile ideologia, per i loro sporchi interessi. Vicini a Chinyery e a tutte le vittime di razzismo palese o nascosto, a tutte le vittime di persecuzioni etniche, religiose, politiche, ci spaventa la pesante coltre di pregiudizio che si sta diffondendo Strumenti nel nostro paese, che è favorita dalla fiacchezza delle risposte istituzionali e in primo luogo da chi dovrebbe, per tradizione e per vocazione, contrastarne l’ar- roganza, proponendo ben altro. Non solo gli organi di uno Stato che è ancora repubblicano e democratico e ha una carta costituzionale che parla chiaro, an- che e soprattutto quel che resta della sinistra, gruppi partiti sindacati. E quel che resta di una intellighenzia attiva e degna. È questo vuoto a spaventare, e a darci responsabilità che sono certamente maggiori delle nostre forze, ma che diventeranno col tempo più gravi e sottrarsi alle quali è da complici. (Gli asini) Prima allieva e poi maestra di Serena Vitale incontro con Giulia Bussotti e Giacomo Pontremoli Sono vissuta, da -9 a 0 mesi, in una giovane madre che si pre- parava – privatamente – agli esami di licenza magistrale. Sposata a soli quin- dici anni, non aveva potuto finire gli studi e aveva già tre figli. Voleva, doveva lavorare. Eravamo tutt’altro che ricchi. Venni al mondo già tabagista: mamma studiava di notte e si teneva sveglia con caffè e molte, molte sigarette. Per for- tuna da lei non ho ereditato solo nicotina: le devo anche, credo, la passione pe- 4 dagogica. Promossa, mia madre venne subito assunta in una (l’unica, in realtà) scuola elementare di Brindisi, la mia città natale. Già quando avevo poco più di un anno mi portava con sé in classe (altri tempi, allora si poteva) perché non poteva lasciarmi sola a casa: niente bonnes e neppure babysitter, ovviamente… Così, cresciuta in una scuola, sono diventata una specie di enfant prodige – la leggenda vuole che a due anni già computassi. A tre anni pare che abbia scritto la prima poesia. Mia madre conservava quel foglio tra le cose più care e mo- strava a tutti le due righe in stampatello: “Il treno passa tu-tu-tu-tu-tu/ così passiamo noi” – un pessimismo che non mi appartiene. Misteri dell’infanzia. Quando, a cinque anni, mi iscrissi regolarmente in prima classe, venni trasferi- ta d’ufficio in seconda. Facevo disperare l’insegnante per l’irrequietezza: mi an- noiavo, tante cose le conoscevo già, aste e sillabari appartenevano ormai al mio piccolo passato… Il pomeriggio, ancora, mia madre dava ripetizioni private a una decina di bambini delle elementari e delle medie, e io stavo lì con loro in- torno al tavolo da pranzo – ascoltavo, imparavo, disturbavo. Il mio destino era segnato: non avrei potuto fare altro, da grande, che insegnare. In pratica sono nata in un’aula scolastica e da un’aula (più grande, universitaria) sono uscita soltanto nello scorso dicembre (2015), quando – con molto sollievo, confesso, vista la deplorevole situazione in cui oggi versa l’università italiana – sono an- data in pensione dopo quarantadue anni di insegnamento. Finite elementari e medie, il ginnasio – in un ottimo liceo, con professori bravissimi quanto severi che mi fecero amare il greco, il latino, la matematica. Ma dopo una serie di disastri familiari seguii mia madre e mio fratello a Roma. Strumenti Del Liceo Giulio Cesare non ho un buon ricordo. Studiavo poco, o meglio vivevo di rendita con quello che avevo già appreso, agli inizi soffrivo quando i compagni mi prendevano in giro per l’accento meridionale, i professori della mia sezione mi sembravano mediocri, privi di entusiasmo. In terza liceo ci fu il primo incontro con la politica. Intorno al Giulio Cesare gravitavano (con base al Tortuga, il bar di fronte al liceo che dieci anni più tardi avrebbe avuto come habitués gli assassini del Circeo) molti fascisti. Avevano preso di mira il gruppetto di cui facevo parte anche io: leggere “Paese sera”, ad esempio, era ritenuto “di sinistra”, comunista, e dovevano averci visti mentre qualcuno lo consultava per vedere dove andare al cinema la sera. Questi simpatici giova- notti ci aspettavano all’uscita – per sfotterci, nella migliore delle ipotesi. Cer- cando di evitare grane, entrammo in un gruppo di canto (canti alpini, nella fattispecie). Il testamento del capitano, Il Piave mormorava, Quel mazzolin di fiori eccetera ci permettevano di uscire dal liceo molto tardi, quando “i ragazzi del Tortuga” se ne erano già tornati a mangiare nelle loro case parioline. L’università Mi ero iscritta a matematica perché ero brava in quella materia, adesso, lo giuro su Yorick (il gatto), non saprei dire quanto fa sette per otto… Capi- 5 tò che una mia coetanea mi dicesse, nell’autobus che andava all’università e dove ci eravamo conosciute: “Perché non vieni a sentire Ripellino?”, “Chi?”, “Ripellino, letteratura russa. Prova, ne vale pena”. Da lì è cominciato tutto. Cambiai immediatamente facoltà. Stavamo intorno a un tavolo ovale, erava- mo quindici, al massimo venti studenti, non di più (di matematica, invece, ricordo ancora l’aula gigantesca in cui svolsi non so più quale prova in inglese, c’era qualcuno che dal microfono dettava qualcosa di misterioso, non si sen- tiva nulla, eravamo in due o trecento).
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