CARLO ALBERTO DALLA CHIESA

Carlo Alberto dalla Chiesa nasce a Saluzzo il 27 settembre 1920. Il padre Romano fu anch’egli Generale dei e prestò servizio nelle operazioni di contrasto alla mafia siciliana organizzate dal Prefetto Cesare Mori negli anni ’20 del novecento.

Dopo essersi arruolato nell’Esercito italiano nel 1941 partecipando alla guerra in Montenegro, dal 1942 presta servizio nell’Arma dei Carabinieri. A seguito dell’armistizio dell’8 settembre assume un ruolo rilevante nella guerra di liberazione.

Nel 1947 è destinato alla Compagnia CC di Casoria (Napoli) dove conduce varie operazioni di contrasto al banditismo; con lo stesso obiettivo parte volontario per Corleone, in Sicilia, al fine di disarticolare le formazioni criminali del bandito Salvatore Giuliano. Per il successo delle operazioni è insignito della Medaglia d’argento al valor militare.

Durante gli anni ’60 svolge vari incarichi – tra i quali primo comandante del gruppo di Milano e provincia e coordinatore del gruppo di polizia giudiziaria – nelle città di Firenze, Como, Milano e Roma. Sul finire degli anni ’60 torna nuovamente in Sicilia, col grado di colonnello, per dirigere la Legione Carabinieri di . In questo ruolo pone in essere molteplici iniziative investigative di contrasto alle famiglie mafiose palermitane allora in guerra fra loro.

Tra le indagini di cui fu promotore si ricorda quella inerente alla scomparsa del giornalista – svolta in collaborazione con la Squadra Mobile diretta da Boris Giuliano – nonché quella sull’omicidio del Procuratore capo di Palermo, .

Nel 1973 è promosso Generale di Brigata e gli è assegnato il comando della Regione nord-ovest trovandosi ben presto a dover fronteggiare la crescente attività eversiva delle Brigate Rosse. Per un’efficace attività di contrasto dà vita al “Nucleo Speciale Antiterrorismo” con base a Torino; dalla Chiesa sceglie personalmente gli ufficiali più idonei allo svolgimento del nuovo incarico che, grazie alle particolari tecniche di indagine, all’utilizzo di agenti infiltrati e alla collaborazione di terroristi “pentiti”, riesce ben presto ad ottenere importanti successi come l’arresto dei fondatori delle BR, Renato Curcio e Alberto Franceschini.

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A seguito dello scioglimento del Nucleo, dalla Chiesa viene promosso Generale di Divisione e, nel 1978, nominato dal Presidente del Consiglio, di concerto col Ministro dell’Interno, quale “Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta contro il terrorismo”. In questo ruolo porta avanti la lotta al terrorismo riuscendo a compromettere definitivamente l’attività operativa delle Brigate Rosse grazie all’arresto e alla collaborazione di figure cardine quali Patrizio Peci e Rocco Micaletto.

Nel 1981, è quindi nominato Vice Comandante Generale dei Carabinieri, allora l’incarico più alto per un ufficiale dei Carabinieri, giacché il Comando Generale era, per legge, destinato ad un ufficiale dell’Esercito.

All’indomani dell’assassinio mafioso di nell’aprile 1982, ispiratore dell’introduzione nel codice penale dell’art. 416 bis, è nominato dal Consiglio dei Ministri, Prefetto di Palermo, con il compito cruciale di condurre una serrata attività di contrasto alla criminalità organizzata siciliana che nella sua vita professionale aveva già avuto modo di conoscere.

Il 3 settembre 1982, verso le ore 21, in via Isidoro a Palermo, l’auto sulla quale viaggiavano il Prefetto dalla Chiesa e la giovane consorte Emmanuela Setti Carraro è affiancata da una BMW dalla quale sono esplose raffiche micidiali di kalashnikov; contemporaneamente, una motocicletta affianca l’auto di scorta guidata dall’agente Domenico Russo che, ferito gravemente, morirà in ospedale pochi giorni dopo la tragica sera dell’agguato.

Il giorno del funerale una grande folla di cittadini si riunì presso la Chiesa di San Domenico a Palermo duramente protestando per l’accaduto; solamente il Presidente della Repubblica Sandro Pertini venne risparmiato dall’aspra contestazione.

Per la strage di via Carini sono stati condannati all’ergastolo tanto i vertici di “Cosa nostra” Totò Riina, Pippo Calò, Bernardo Brusca e , quanto gli esecutori materiali.

Il Prefetto dalla Chiesa è stato insignito della Medaglia d’oro al valore civile.

La figlia Simona dalla Chiesa, insieme a Rita e Nando, gli ha dedicato un libro “Carlo Alberto dalla Chiesa. Un papà con gli alamari”, edito dalle Edizioni San Paolo, 2017. Attraverso un viaggio di famiglia i tre aprono i cassetti dei ricordi 2 riuscendo a regalare un ritratto privato del “papà” colmo di sentimenti e di amore e nello stesso tempo il ritratto di un “Generale-Prefetto” che ha dedicato e sacrificato la sua vita per il bene dell’Italia.

Per l’intensità dell’opera è stato davvero difficile scegliere soltanto i seguenti passi:

L’amore per Palermo in gioventù: • “…A giugno del ’66 è arrivato il trasferimento a Palermo. Conoscevamo bene quella città perché da sempre vi andavamo a passare l’estate con i nonni materni…Ma godersi l’atmosfera delle vacanze al mare di Mondello con i cugini era ben diverso dal confrontarsi ogni giorno con le usanze di una città così distante da quella in cui eravamo cresciuti. Una nuova caserma ci attendeva, proprio quella che oggi porta il nome di papà, e in cui abbiamo trascorso anni intensi e bellissimi…”

Quel “no” di troppo per proteggerli: • “…è stato ancora più struggente ascoltare un particolare brano dell’intervista che gli fece Enzo Biagi nel 1981. Al giornalista, che gli chiedeva se avesse qualche rimpianto rispetto al passato, papà rispondeva che gli pesavano i sacrifici che la sua professione aveva imposto alla famiglia e l’aver dovuto dire ai propri figli adolescenti qualche “no” di troppo che non aveva potuto giustificare. Caro papà, chissà come avrebbe voluto spiegarci quello che invece ci doveva tacere, per la nostra sicurezza. Ascoltare quelle parole ci ha dato, una volta di più, la misura del delicatissimo equilibrio che papà aveva sempre mantenuto tra vita familiare e doveri professionali. Aveva preferito apparirci come un padre severo che non motivava le sue scelte, pur di tenerci al riparo da una realtà insidiosa di cui non eravamo consapevoli.”

Il tenero legame con la divisa dell’Arma: • “…Gli episodi che ho raccontato sono tra quelli che esemplificano il mio rapporto con papà. Nelle emozioni che suscitano io lo ritrovo presente e concreto… E avverto nuovamente sotto la mia guancia il contatto con il tessuto particolare e un po’ ruvido della sua divisa da carabiniere, quando mi abbracciava e mi faceva sentire protetta. Una percezione tattile, fisica, che non mi ha mai abbandonato, che riaffiora con tenerezza ogni volta che mi ritrovo di fronte a una divisa dell’Arma e che mi fa pensare a lui come al

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nostro papà con gli alamari.”

Quanto affetto e riconoscenza ha lasciato tra i Carabinieri: • “Ma quello che non poteva venire messo in discussione, quello a cui non si stancava di richiamare i suoi carabinieri, ero lo spirito di servizio, l’attaccamento allo Stato, la vocazione al sacrificio. Molti dei suoi carabinieri avevano un legame particolare nei suoi confronti…Lo rispettavano per il suo senso della giustizia ed erano certi di averlo sempre al loro fianco. Si lasciavano trascinare dalla sua passione, dal suo entusiasmo, dalla sua carica umana. Oggi l’Arma…ha restituito a papà il suo posto d’onore tra quei carabinieri che rappresentano l’espressione più nobile della sua secolare storia al servizio della Nazione… …sarebbe per lui motivo di orgoglio sentire che i carabinieri più giovani, quelli che non lo hanno potuto conoscere …ne parlino come di un loro eroe, come se lo avessero elevato a modello di comportamento, e ci tengano a dire che nelle caserme dove vivono c’è sempre una sua fotografia a indicare che, per loro, il Generale era stato, e resterà “il” Carabiniere. Mi è capitato spesso di incontrare giovani carabinieri che mi fermano e mi dicono “Questa divisa io la indosso in onore si suo padre”. Li abbraccio (anche se non potrei perché sono in divisa)… Qualche volta succede che i carabinieri, quando passo, si mettano sull’attenti e allora mi commuovo, perché so che non è per me, ma è nel nome di mio padre. E ogni volta penso: “Papà, lo vedi quanto ti amano i tuoi Carabinieri?”.

L’eredità dei valori nei pensieri senza filtri dei nipoti: • “La presenza dei nipotini ha sempre restituito a papà il senso più profondo della parola “famiglia”, con il calore dei suoi affetti e la sincerità di rapporti senza mediazione… Papà non ha visto crescere i suoi nipotini, non li ha potuti seguire nei loro studi…non ha potuto godere dei loro successi…Quando sono cresciuti, hanno dovuto fare i conti con una storia ingombrante che comunque veniva associata al loro nome e ai loro affetti familiari…La difficoltà a rapportarsi con la storia del nonno è rivelata...nel docufilm “Il Generale”. Vederli e ascoltarli è stata una sorpresa piena di significati, che ci ha illuminato su come avevano vissuto nel loro intimo un passato difficile e su come lo avevano elaborato, ma ci dava anche la certezza che tutti, pur con caratteri e sensibilità diverse, avevano comunque raccolto un’eredità

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di valori e insegnamenti che li avrebbe guidati con fermezza sulla strada del futuro. Il loro nonno ne sarebbe stato davvero orgoglioso.”

Il rispetto anche in chi era dall’altra parte: • “Mio padre andava a trovare Peci. Gli portava libri e qualsiasi cosa lo aiutasse a superare le sbarre della prigione. Almeno con la mente. Adesso sono io a volerlo conoscere. Voglio conoscere quest’uomo e capire cosa lo ha portato, da giovane, prima ad abbracciare la violenza…E poi, dopo aver compreso lo sbaglio, il suo chiedere insistentemente di parlare solo con il Generale dalla Chiesa, che prima aveva considerato il suo peggior nemico. Si è fidato di mio padre per tutta la sua vita, fino a quando non se n’è andato. Ed io ho visto piangere mio padre quando hanno ucciso il fratello di Peci, per vendetta trasversale. Proprio per punirlo del fatto che avesse parlato con…dalla Chiesa!”

L’isolamento percepito: • “Ad agosto ci siamo ritrovati nuovamente tutti insieme nella casa di campagna. Papà ostentava con noi figlie e con i bambini una tranquillità e un’allegria che nascondevano invece grande preoccupazione. Per due volte, nell’arco di pochi giorni, era rientrato in Sicilia. In entrambe le occasioni aveva toccato con mano la solitudine in cui era stato lasciato (una solitudine testimoniata con parole incredule da Giorgio Bocca, che in una prefettura deserta e senza alcuna misura di sicurezza aveva incontrato papà per un’intervista divenuta poi “storica”) e la sua esperienza gli faceva comprendere che le tecniche di isolamento e delegittimazione nei suoi confronti erano ormai pienamente operative…”

Un modo innovativo di sottrarre consensi alla mafia: • “…La guerra alla mafia, nella strategia di papà, prevedeva, per la prima volta, una rivoluzione culturale che attraversasse la coscienza degli onesti… Questa convinzione di papà…venne riassunta in poche parole nel corso della sua ultima intervista, rilasciata a Giorgio Bocca… “…sono convinto che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla mafia il suo potere…gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti.

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Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.

Il senso del sacrificio a difesa della Palermo onesta: • “Che lui, saluzzese e di origini emiliane, sia andato a morire a Palermo, per difendere una città e una popolazione lontana, da italiano vero, mi ha sempre commosso. Molti pensano, e ripetono, che la politica mandò apposta mio padre a Palermo per farlo uccidere dalla mafia. Ma non è vero…Mio padre chiese di potere tornare a essere utile per il proprio Paese…Ma anche per quel “mal di Sicilia”, quel rapporto struggente e nostalgico stabilito nella sua vita con la città e con l’isola…che gli fece dire, nei momenti del massimo isolamento, che sarebbe rimasto comunque a Palermo perché c’era tanta gente onesta…Palermo fu la città in cui fu ucciso e straziato con Emmanuela e l’agente Domenico Russo. Comandata da bande di assassini protetti da bande di complici e di corrotti. Ma che insorse anche in suo nome…che ai funerali ritrovò d’impulso il proprio orgoglio e lo applaudì a lungo, in chiesa e fuori. Scoprendo di avere, lei, il “mal di generale”.”

Lo strappo della società siciliana contro il potere durante i funerali: • “…quella giornata stava segnando uno strappo non più ricucibile rispetto a schemi, previsioni e regole non scritte ma da sempre applicate. E lo stava facendo a dispetto di un potere che si era organizzato per far calare in fretta e furia il sipario sulla presenza del Generale-Prefetto in Sicilia…E invece si trovava a dover fronteggiare lo sferzante disprezzo della massima autorità ecclesiastica e la rabbia crescente dei cittadini che, accalcati…esprimevano in maniera inequivocabile il loro dissenso. Quella solidarietà manifestata in modo non scontato rappresentava un segno importante di rottura con il passato all’interno della società siciliana, definita per antonomasia omertosa, e che invece si dimostrava finalmente capace di denuncia e indignazione…”

Avanti con orgoglio e gratitudine per il patrimonio di valori ereditato: • “E’ già così difficile accettare la fine di una persona amata quando avviene per cause naturali, ma quando dietro al tuo dolore c’è la violenza umana, non è possibile trovare un senso al vuoto…Saremmo andati avanti con il dolore nel cuore ma con orgoglio e gratitudine per il patrimonio di valori

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che avevamo ereditato, e soprattutto non avremmo mai permesso che il sacrificio di papà…il suo impegno a tutela della democrazia potessero scivolare poco per volta nel buco nero che ingoia le storie dimenticate…”

Immagine vivissima, ancora simbolo di esempio e dedizione al popolo italiano: • “Gli anni sono passati. Tanti anni senza di lui…Ma di una cosa sono certa: il tempo che è trascorso dal quel crudele 3 settembre non ha steso il velo della indifferenza sulla sua vita. L’immagine del Generale-Prefetto non ha perso i suoi contorni, è ancora presente ed evocativa…Il suo nome è ormai consegnato alla memoria popolare e ci commuove sapere che la sua vita, il suo impegno e il suo sacrificio continuano ad essere ricordati come esempio di dedizione al popolo italiano e di fedeltà a quei valori di giustizia, onestà, e rispetto istituzionale di cui tanto oggi si sente la mancanza.”

Il suo ricordo vivo in tantissimi luoghi pubblici intestatigli: • “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti’. Così era scritto su un foglio lasciato sul luogo della strage, in via Carini…Ma la speranza non era morta. La sua presenza non era stata una meteora, ma aveva lasciato un segno profondo nella coscienza popolare. No, non era morta la speranza dei palermitani onesti. Via Carini è divenuta un luogo simbolo, e proprio da Palermo è partito un movimento civico che, anno dopo anno, ha visto maturare su tutto il territorio nazionale un sempre maggior coinvolgimento sui temi della legalità…Così papà ha continuato ad esistere, con tutto il suo bagaglio di valori e di esperienze, nella parte più sana della società, attraverso una molteplicità di iniziative che ne hanno mantenuto vivo il ricordo: intitolazione di piazze, scuole, caserme, sale consiliari in ogni regione d’Italia, la dedica di memorial sportivi e l’istituzione di premi per la legalità, o ancora, la nascita di associazioni con il suo nome e targhe e busti che ne ricordano la storia e le fattezze.”

La scuola, luogo privilegiato di una memoria alimentata da tanta passione: • “Ma un ruolo davvero speciale, in questo percorso della memoria, lo hanno sicuramente svolto le scuole, dalle elementari alle superiori. Diffondere tra i più giovani il suo “credo” nelle Istituzioni e nella responsabilità civile, suscitare in loro la voglia di conoscere a approfondire pagine fondamentali

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del nostro passato prossimo, raccontare il suo vissuto perché diventasse modello di comportamento, restituire smalto a valori in cui lui aveva profondamente creduto ma oggi ritenuti fuori moda, tutto questo ha significato ritrovare la forza vitale di nostro padre nell’entusiasmo di tanti ragazzi e nella dedizione dei loro insegnanti…Abbiamo girato su e giù per l’Italia, da Aosta a Siracusa, incontrando studenti nelle scuole delle grandi città come in quelle dei tanti paesi che rappresentano l’ossatura portante del nostro Paese”

L’alto valore della Costituzione tramandata con l’esempio silenzioso: • “Quando mi chiedono ‘Quale è la più grande eredità lasciatale da suo padre?’ rispondo d’istinto ‘Il senso delle Istituzioni’. È certo il lascito morale che per primo, e con più orgoglio, sento l’impulso di dire. Soprattutto in un paese che lo cerca affannosamente, e invano, in tanti suoi rappresentanti, e che guarda sgomento alla corruzione, agli arrivismi senza scrupoli, alla perdita dell’onore…Quando nelle scuole mi chiedono di parlare di educazione alla Costituzione, spiego sempre che esiste uno “spirito delle leggi”, un’anima costituzionale che illumina tutti gli articoli della nostra Carta e che non si può imparare nell’ora di legalità. La si impara giorno per giorno, esempio su esempio…è stato in questo modo che mio padre mi ha insegnato la Costituzione, praticamente senza parlarmene mai. Con l’esempio silenzioso. Con la privazione, la fatica, il decoro, che non sfuggono alla vista del bambino e poi dell’adolescente e poi del giovane. Così mi ha insegnato che cosa sta dentro e sopra la Costituzione.”

Il tesoro degli affetti familiari più grande del dolore: • “Vogliatevi sempre il bene di ora” ci avevi scritto da quell’aereo che ti portava a Palermo… abitiamo in città lontane, ma siamo rimasti sempre insieme, legati da un filo indissolubile, sostenuti in ogni momento, dalla forza affettuosa del tuo sguardo protettivo e dal sorriso dolcissimo di mamma. Ecco, papà, abbiamo riempito ogni giorno quelle tue parole con la nostra vita.”

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