BIBLIOTECA DI RIVISTA DI STUDI ITALIANI

CONTRIBUTI

LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE 1

ROCCO CAPOZZI University of Toronto

n po’ scherzando e un po’ sul serio Carlo Bernari ha spesso parlato dei suoi “cento mestieri” 2 quali apprendista sarto, lavoro in Ulavanderia, schedatore libraio, redattore, narratore, giornalista, fotoreporter , corrispondente di guerra, inviato speciale, poeta, sceneggiatore e, come testimonia l’introduzione all’opera di Tintoretto 3, critico d’arte. Rispetto a quest’ultimo mestiere, svolto innanzitutto durante gli anni ’60 e ’70, credo che siano pochi coloro che conoscono la miriade di scritti del Bernari critico d’arte. Mi riferisco sia ai saggi sui lavori di vecchi amici quali Paolo Ricci, Camillo Catelli, Luigi Crisconio, Carlo Cocchia, Eduardo Giordano detto Buchicco e Antonio D’Ambrosio, sia alle recensioni e prefazioni ai cataloghi di artisti più recenti, ad esempio , Corrado Cagli, Alberto Sughi, Ernesto Treccani, Franco Villoresi, Nancy McAdams, Sarai Sherman, Roberto Ercolini, Domenico Purificato, Ettore de Conciliis, Enzo Frascione e Domenico Cantatore 4.

1 Si veda immagine 1 (Appendice) . 2 I lettori di Bernari ricorderanno che questa battuta dei “cento mestieri” appare in Era l’anno del sole quieto (p. 15), dove viene pronunciata dal vecchio custode del ripostiglio sotterraneo (un labirinto infernale) saturo di statue e statuette in gesso e in marmo. 3 Tintoretto , Milano: Rizzoli. 1970; Collana “I Classici dell’Arte”, Vol. 36. 4 L’elenco non è completo perché ci sarebbero altri artisti come ad esempio il pittore svizzero che viveva a Minturno, Zanetti Righi, a cui Carlo dedicò la poesia “sopra la maga pacchiana di Zanetti Righi”. La poesia è accessibile online sul sito di Enrico Bernard, “Neorealismo e Sperimentalismo”, www.enricobernard.com . È da notare che molti dei dettagli delle indicazioni bibliografiche mancano ai mei appunti; durante i nostri frequenti incontri Carlo spesso mi dava dei ritagli di giornali con i suoi scritti su vari artisti senza precisare le date in cui questi ultimi erano usciti. Vorrrei agiungere che ho conosciuto Bernari nel 1968 e dal 1976 in poi, grazie alla nostra amicizia, come testimonia la nostra corrispondenza, per lui ero Rocco, e con Marcella 9 ROCCO CAPOZZI

Sebbene io sia del parere che stia lasciando fuori altri nomi, vorrei aggiungere alla lista lo scultore Emilio Greco. Carlo aveva accanto al letto un bellissimo nudo di donna di Greco, a cui era molto affezionato perché amava molto la “plasticità e monumentalità” 5 nelle opere dell’amico scultore e pittore. Inoltre Carlo mi aveva parlato di un lungo saggio su Franco Gentilini, un artista che aveva conosciuto nel 1958 sulla spiaggia di Gaeta 6; purtroppo si tratta di un lavoro parzialmente completato 7. Sospetto in ogni caso che ci siano altri scritti che non conosciamo in quanto negli anni Ottanta nuovi artisti gli avevano chiesto di scrivere una presentazione in occasione di una loro mostra, ma il Nostro non ha sempre ritenuto importante documentare questi “lavori occasionali”. È proprio così, “lavori occasionali”, come mi definì queste presentazioni dopo una mostra di un pittore locale a Gaeta nell’estate del 1985. Tuttavia non è dei lavori occasionali che voglio parlare; vorrei piuttosto soffermarmi su alcuni saggi che riguardano le opere di amici quali Ricci, Cagli, Levi, Sughi, Treccani e Frascione, per illustrare l’abilità e la costanza con la quale Bernari si cimenta con la pittura. La grande passione di Bernari per l’arte l’avrebbe notato chiunque entrasse nella sua casa in Via Gosio. A cominciare dall’entrata, lungo i corridoi e in ogni stanza, le pareti erano interamente coperte di incisioni, tele e disegni firmati da illustri artisti. Nel dicembre del 1972 Carlo mi accompagnò per la prima volta da una stanza all’altra offrendomi minuziose informazioni sui quadri che gli stavano più a cuore, dopodiché ho avuto spesso il piacere di ascoltarlo mentre commentava su arte e artisti, seduto nello studio, nella sua sedia preferita, sotto una tela di Paolo Ricci in cui si vedono raffigurati un nudo di donna e un gufo (immagine 2) ‒ era il gufo che, secondo Ricci avrebbe dovuto portargli fortuna nel vincere il “Premio Napoli” per Il giorno degli assassinii (1980). Purtroppo la realtà non fu così perché, come mi fu

insistettero che li chiamassi Carlo e Marcella. Nella mia relazione rispetterò il suo desiderio e continuerò a chiamarlo Carlo. 5 Espressione del Nostro ogni qualvolta parlava di Greco. 6 Gaeta è stata importantissima per Bernari, la residenza estiva che gli ha dato la cittadinanza onoraria lo ha visto legato dagli annni Cinquanta fino alla sua morte (di fatto la sua sepoltura ha avuto luogo a Gaeta). Sulla spiaggia di Serapo, Carlo incontrava tantissimi amici e artisti come Domenico Purificato, il quale si era occupato anche di cinema ed aveva collaborato con il regista Giuseppe De Santis, ambedue nativi di Fondi. Sui legami di Bernari con Gaeta, come ad esempio la sua partecipazione nella giuria del premio Porticato Gaetano dal 1958 in poi, ci sarebbe da scrivere molto. 7 Parte del saggio appare nel volume Franco Gentilini un’arte che gli somiglia (Roma: Tintalo-Delta, 1971). 10 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE spiegato da Carlo, la giuria, composta da cento operai, considerò il suo romanzo, il suo riuscitissimo “giallo metafisico”, troppo difficile. La mia relazione nasce da due motivi: anzitutto, perché sin dalle prime letture dei romanzi di Bernari sono rimasto affascinato dalla forte presenza delle arti visive e degli effetti cromatici nelle sue strategie narrative ‒ in particolare dai giorni di Tre operai ad Era l’anno del sole quieto ‒ e quindi parlo di un fascino che mi ha visto impegnato a studiare le sue opere per decenni 8; e poi perché ho potuto registrare le sue reazioni davanti ai dipinti, ad esempio negli studi di Ettore de Conciliis, Paolo Ricci e Enzo Frascione, o ad una mostra antologica di Alberto Sughi. I momenti accanto a Carlo mentre analizzava un quadro per poi parlare dell’artista sono indubbiamente alcuni dei miei ricordi più vividi dell’autore ‒ a questi vanno aggiunte le numerose ore trascorse con Carlo e Marcella a Roma, a Gaeta e a Toronto. Per celebrare Carlo Bernari inizio col richiamare alcuni aneddoti personali dai miei appunti annotati durante i nostri incontri dal 1975 al 1989, e che quindi risalgono a delle occasioni particolari (interviste, incontri con amici, mostre, gite, e lunghe ore trascorse nel suo studio o sulla spiaggia a Gaeta). Per la prima parte di questo intervento ho scelto del materiale inedito della mia ricerca che riguarda la sensibilità artistica di Carlo, il ruolo di Alberto Sughi nella sua narrativa negli anni ’60, e la possibile presenza del realismo sociale della pittrice tedesca Käthe Kollwitz (1867-1945) nei lavori di D’Ambrosio, Ricci e i Circumvisionisti. Nella seconda parte vorrei invece puntualizzare come i suoi scritti sull’arte ci rivelano tanto dei significativi riferimenti al suo sodalizio con i vari amici artisti, quanto una tensione a storicizzare l’artista e il suo impegno sociale, un’attenta disamina degli elementi cromatici e delle acute osservazioni sui rapporti tra immagine e narrativa. Tra i tanti debiti che ho verso il Nostro inizio con l’annoverare la mia amicizia con Ettore de Conciliis, nell’estate del 1975, quando il giovane artista e direttore del “Centro delle arti popolari” a Fiano Romano era ancora alle prese con la pittura dei murali (immagine 3) . Carlo aveva scritto una recensione sulle tematiche sociologiche e ideologiche del murale di Cerignola 9 (immagine 4) e da un paio di anni mi parlava con grande entusiasmo del realismo sociale e dell’impegno di Ettore nell’aver messo assieme un vero e proprio atelier composto da artisti italiani come Rocco Falciano e giovani americani come Nancy McAdams e Wendy Feltman, tutti

8 Tra i miei scritti più recenti segnalo: “Metafisica, espressionismo e Nuova Oggettività nel primo Bernari”, Nord e Sud (Napoli: ESI, 2000), pp. 101- 121; e “Ombre e paura nel realismo spettrale di C. Bernari”, Avanguardia , 42 (2000), pp. 27-47. 9 Il Giorno , 19 marzo, 1975. 11 ROCCO CAPOZZI interessati all’arte murale e ad un’estetica che ha sempre attirato Bernari, e cioè un’arte impegnata di stampo realista e sociale. Un breve sguardo ad alcuni particolari nella narrativa dei murali a Avellino, Cerignola, Trappeto (Palermo), e Fiano 10 è sufficiente per capire come in primo piano risaltano gli elementi di testimonianza e di critica sociale. Ad esempio, nel murale ad Avellino, tra i tanti personaggi raffigurati si riconoscono facilmente Ernesto Treccani, Pablo Picasso, e John Kennedy. Durante la lunga visita a Fiano Romano Carlo discusse dapprima il ruolo dell’arte dei murali e il dovuto riconoscimento ricevuto da Ettore da parte di scrittori e artisti come Carlo Levi, Ernesto Treccani, Danilo Dolci e Marino Mazzacurati 11 . Poi commentò per circa due ore l’incredibile luce e il gioco dei colori che caratterizzano le tele della nuova direzione intrapresa con grande successo da Ettore; mi riferisco alla pittura delle nature morte e degli incantevoli paesaggi lungo il Tevere e della campagna romana (immagini 5, 6, 7)12 . Francamente, benchè mi sia occupato degli effetti cromatici e luministici nella narrativa di Bernari da Tre operai a Era l’anno del sole quieto , e quindi conoscevo indirettamente la sua profonda conoscenza della storia dell’arte, forse perché era la prima volta che osservavo Carlo nell’atto di commentare dei quadri nella presenza di un’artista, rimasi sbalordito dai suoi acuti richiami ai maestri della luce da Rembrandt e Caravaggio a Corot mentre faceva i suoi complimenti a Ettore. Nell’estate del 1981 Carlo e Marcella mi invitarono a cena a casa di Enzo Frascione dove trascorremmo buona parte della serata davanti alle opere dell’artista di origine napoletana. Qui Carlo richiamò specificamente H. Bosch e lo spirito ironico e dissacrante di Otto Dix e George Grosz, in quanto la loro

10 L’impegno sociale è gia presente nei titoli dei murali; il murale nella Chiesa di San Francesco, ad Avellino: “Bomba atomica e coesistenza pacifica” (immagini 8, 9), completato nel 1965, cfr. Il murale della pace (Avellino: De Angelis, 2008); il murale di Cerignola è dedicato a “Giuseppe De Vittorio e la condizione del Mezzogiorno” (1972-74); “Sistema clientelare-mafioso e non violenza” (immagine 10) a Trappeto (Palermo, completato nel 1969); e a Fiano, “Occupazione delle terre e lotta per lo sviluppo”, completato nel 1972. 11 Si veda il volume I Murali , con introduzione di Mario De Micheli (Cosenza: Edizioni Lerici, 1976). 12 De Conciliis si è affermato in Italia come negli Stati Uniti per i suoi dipinti ricchi di colori e di suggestioni luministiche. Si vedano ad esempio le opere in due dei suoi numerosi cataloghi: Ettore de Conciliis (Avellino: De Angelis editore, 2002), e Ettore de Conciliis. Nature morte (Avellino: De Angelis editore, 2002); e tra i più recenti: La natura e la pace (Roma: Il Cigno, 2012). 12 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE influenza è riconoscibile in molti dei lavori di Frascione 13 . La discussione cadde giustamente sulla fantasia onirica di H. Bosch riconoscibile in molti dei disegni di Frascione, popolati da persone, oggetti e animali (reali e fantastici), tutti avvolti in un realismo che va dal grottesco al fantastico e al surreale. In “Enzo Frascione: raccontare disegnando,” apparso su Il Mattino di Napoli in seguito ad una mostra del 1979, assieme a dei ricchi riferimenti biografici dell’artista, Carlo aveva fatto degli elogi diretti innanzitutto alla capacità di andare “oltre gli schemi neorealistici” e di “ricostruire quel reale che se ne sta acquattato sotto le allegorie”. Uno tra i miei più emozionanti ricordi risale al maggio del 1982 in casa di Paolo Ricci, a Villa Lucia, a Napoli 14 , quando conobbi il suo amico fraterno soprannominato da Guglielmo Peirce “il normanno”. Dopo un lungo ed affettuoso abbraccio i due si sedettero uno accanto all’altro nel salotto e per circa tre ore fui testimone della loro gioia e nostalgia mentre menzionavano in particolare vecchi amici circumvisionisti e futuristi napoletani. Pochi minuti prima del nostro commiato Ricci mi diede un volume da lui curato, dedicato alla memoria del pittore Camillo Catelli ( immagine 11 ). Citerò Ricci e Bernari su Catelli più avanti. Nel giugno del 1983 Carlo mi chiese di accompagnarlo a Napoli, ai musei di San Martino e Capodimonte; erano i giorni in cui stava completando una

13 Bernari, nel 1979, scrive così su Frascione: “Si è portati così a risalire a questa riscoperta di figure contratte in gesti stravolti; alle suggestioni dei Maestri, un motivo ricorrente nella critica d’arte. Giunti alla fine di tanti confronti ci si avvede dell’inganno; di come cioè ci si è allontanati dall’autentico ʻessere nel mondo’ proprio di Frascione che consiste in quel modo di imporre un corretto rapporto visivo tra il vissuto e il sognato, con tale intensità da ricongiungerci al nostro stesso passato”. Citazione dal sito di Frascione http://www.artefrascione.com 14 L’incontro trai due amici fraterni durò un paio di ore. Purtroppo pochi minuti dopo aver preso un caffè Ricci si sentì male a causa della lunga malattia che lo consumava e quindi fummo costretti ad andar via quasi in fretta. Nell’intervento “Ricci o della costanza” per il catalogo Paolo Ricci. Opere dal 1926 al 1974 (Napoli: Electa, 1987), pp.19-24, Carlo richiama quest’ultimo incontro avvenuto in mia presenza. Debbo aggiungere che all’uscita dalla casa di Paolo vidi Carlo resistere alle lacrime e profferire “non ho parole per un amico che sto per perdere. È un uomo segnato. Spero solo che io non perda la parola e la capacità di scrivere qualora mi aggredisse una malattia simile alla paralisi che ha costretto Paolo a dipingere con la sinistra”. Purtroppo l’ictus che colpì Carlo gli tolse sia la parola che l’uso della mano destra per scrivere ‒ di fatto, il non poter comunicare divenne il suo inferno per circa due anni. 13 ROCCO CAPOZZI ricerca su Giacinto Gigante. Ancora una volta rimasi stupito dai suoi commenti espressi davanti ai colori delicati e alla luce diffusa presenti nella pittura paesaggistica di Gigante. Questo mi riportò indietro nel tempo di un anno quando con Paolo Ricci discuteva l’importanza di far conoscere al grande pubblico un artista che ambedue ritenevano tra i più grandi maestri napoletani. In un flash rividi Carlo mentre spiegava a Paolo che avrebbe scritto un saggio su Gigante e ricordai che al nostro ritorno a Gaeta mi aveva regalato una stampa di Gigante ora appesa nel mio studio 15 . Assieme al contenuto tematico e ai particolari architettonici a Carlo piacevano il romanticismo e la diffusa luminosità che spiccano nei paesaggi di Gigante e in questa occasione a Capodimonte, fece dei riferimenti ai rinomati paesaggi di J. M. William Turner (1775-1851) e alla vibrante luce di J. B. Corot (1796- 1875) ‒ due dei famosi maestri di Gigante e aggiungo, senza esitare, anche di Ettore de Conciliis. All’inizio di luglio del 1988 Carlo insistette che visitassimo la galleria del Campidoglio per trascorrere un paio di ore davanti ai quadri di Munch, Grosz, Kleist e Schiele. Nelle poche ore trascorse davanti ai quadri e poi in macchina mentre ritornavamo a casa, ho imparato molto sugli espressionisti più citati da Carlo, e innanzitutto sulla famosa raccolta Der Blau Reiter (Il cavaliere azzurro , 1911-1914). Le sue osservazioni sui colori e sulla luce venivano accompagnate dai commenti sulle emozioni, sulle raffigurazioni dei visi e sulle distorsioni dei corpi umani ‒ il tutto visto nei parametri di un’estetica realistica. Anzi, era proprio nelle deformazioni e imperfezioni dei soggetti raffigurati che Carlo apprezzava la realtà trasmessa ‒ scusate il gioco di parole ‒ “espressionisticamente”. Ritengo opportuno aprire una breve parentesi sull’arte di Käthe Kollwitz la quale, chiaramente di sinistra, aveva attirato moltissima attenzione in Gemania e all’estero negli anni Trenta, specialmente per la sua produzione durante la Republica di Weimar (1919-1933) e quindi contemporanea alla produzione di Grosz. All’uscita dalla galleria del Campidoglio chiesi a Carlo se Paolo Ricci conoscesse i lavori della Kollwitz, e più specificamente se conoscesse quelli che raffigurano la folla di operai ( immagine 12) e le scene di dolore. Mi era venuto in mente un disegno della Kollwitz in cui vediamo un bambino morto e la disperazione della mamma ( immagine 13); “Poverty”, 1893) che per molti motivi richiama la morte di Pippetto in Tre operai . Fui sorpreso dalla sua risposta ricca di pause: “il nome mi dice qualcosa…certo…una figura importante…credo che alcuni amici all’epoca l’abbiano citata”. Ora ero convinto che andava indagato se almeno Peirce,

15 Una delle composizioni di “Campania Felix” in cui si riconosce la storica chiesa dell’Annunziata a Gaeta nel retroscena dei due marinai in barca (immagine 14). 14 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

D’Ambrosio, Ricci e Pepe Diaz, conoscitori dell’arte tedesca, si fossero ispirati, anche se solo minimamente, al realismo della Kollwitz. Confesso che quella ricerca non è mai stata portata avanti perché purtroppo non ebbi occasione di rivedere Paolo Ricci (deceduto nel 1986), e discutere con lui di Circumvisionismo 16 , della Kollwitz e dell’arte socialista a Napoli. Ciononostante basta consultare un sito internet dedicato alla Kollwitz per capire a quale estetica e tradizione mi riferisco. Quanto alla rappresentazione della vita quotidiana degli operai e dei contadini la pittrice tedesca a sua volta si era ispirata ai grandi maestri fiamminghi quali Hieronymous Bosch e Pietr Bruegel il giovane. Come esempio richiamo in particolare il dipinto “Der Blindensturz” (1568, “il cieco che guida i ciechi”) di Bruegel anche perché si trova al museo di Capodimonte a Napoli. Un elemento comune a questi lavori che ritroviamo nell’inventario dell’umanità di de Conciliis e di Frascione, e come pure nei quadri di Cagli, Levi, Treccani e Sughi, è indubbiamente la critica sociologica e ideologica presente nelle figure della folla di operai, contadini, poveri, donne e bambini. Diamo uno sguardo agli operai raffigurati sia in un quadro di D’Ambrosio (immmagine 15) che in una tela di Ricci (immagine 16 ). Ben inteso, nel quadro di Ricci forse più che la Kollwitz c’è un richiamo al famoso quadro di Pellizza da Volpedo “Il Quarto Stato” (1901) (immagine 17)17 . Ma chissà che questo famosissimo quadro non abbia colto l’attenzione della Kollwitz e quindi il cerchio si chiude. Una seconda testimonianza di Carlo molto emozionato riguarda la serata trascorsa nell’estate del 1984 alla mostra antologica di Alberto Sughi alla Reggia di Caserta. Ricordo molto bene la sua grande gioia nel vedere l’artista festeggiato da grandi personalità. Nel presentarmi Sughi al fianco di Sergio Zavoli (all’epoca direttore della RAI), Carlo fece presente che a casa aveva parecchie opere del suo grande amico, tra cui il ritratto che lo vede seduto mentre legge un giornale; Marcella aggiunse con un sorriso, “e conosci molto bene il ritratto di un altro suo amico fraterno, Paolo Ricci; l’hai scelto per la copertina del tuo saggio su Bernari”( immagine 18 ). Durante il ritorno a Roma

16 Comunque, a rafforzare la mia tesi, dieci anni dopo, fu l’interessantissimo campionario delle opere dei circumvisionisti e dei futuristi napoletani nell’ottimo saggio illustrato di Matteo D’Ambrosio: Circumvisionisti, un’avanguardia napoletana negli anni del fascismo . Napoli: Edizioni Cuem, 1996. Grazie alla ricerca di Matteo D’Ambrosio, nel suo saggio troviamo anche dipinti, ritratti e disegni di Gugliemo Peirce e rare foto di Ricci, Peirce e Bernari a Parigi nel gennaio del 1930. 17 A mio avviso è un’opera che Bernari aveva certamente in mente durante la composizione di Tre operai . E quando gli chiesi se era così, lui sorrise e basta. Ma questo era un suo tipico modo di dire “forse; ma passiamo avanti”. 15 ROCCO CAPOZZI nella sua famosa Alfetta sport (con la radio eternamente nascosta sotto un vecchio berretto bianco che portava esclusivamente sulla spiaggia a Gaeta, perché come diceva: “bisogna ovunque e comunque difendersi dai ladri”) ‒ Carlo continuò a commentare le tele di Sughi, e forse citando a memoria da un suo scritto del 1974 18 , aggiunse in questi termini: “un quadro di Alberto è come una pagina scritta...i suoi quadri sono come storie scritte con il pennello” e poi citò specificamente l’espressione “realismo esistenziale” di Ernesto Crispolti applicata alla pittura di Sughi nel 1956. Ritorneremo alle opere di Sughi più avanti. Ho voluto rammentare questi aneddoti biografici perché ci rivelano quanto l’arte abbia fatto parte della sua vita e perché sono certo che l’aver coperto le pareti di casa con dipinti e disegni era anche un modo di stare assieme ai suoi vecchi amici. Vorrei allora segnalare alcuni elementi che ritroviamo con ammirevole coerenza nei suoi scritti e allo stesso tempo dimostrare la competenza di Carlo quando svolge il mestiere di critico d’arte. Al centro delle sue osservazioni sui vari artisti con cui si era cimentato, si notano inmancabilmente tanto la messa a fuoco sulla luce e sui colori, quanto la lunga storia dei rapporti tra pittura e letteratura e tra letteratura e pittura da Giotto in poi. Nella prefazione a Tintoretto 19 Carlo contestualizza l’artista con ricchi richiami intertestuali ad altri pittori dell’epoca. In breve, il Nostro parte da un approccio storico, poi passa ad un’analisi degli elementi cromatici, figurativi e narrativi che lo attirano, e infine mette in risalto l’arte di rappresentare lo “spettacolo”, “le scene teatrali” e le “favole drammatiche” all’interno delle “movimentate scenografie” 20 . La sua attenzione cade in particolare su “Il Miracolo di San Marco”, “La strage degli innocenti”, la “Conversione di San Paolo”, “Susanna e i vecchioni” e “Venere e Vulcano” ‒ quadri che gli permettono di illustrare i rapporti che intercorrono tra pittura e scrittura e tra artista e realtà. Quest’operazione non ci sorprende perché come vediamo anche negli scritti su Cagli, Treccani, Sughi, Cantatore e Levi, nei suoi commenti spiccano sempre delle lucide osservazioni sui rapporti tra

18 Nel catalogo Sughi (23 feb.-19 marzo) Firenze: La Gradiva, 1974. Si veda pure “Ritratto ad inchiostro in Alberto Sughi: L’ombra della siepe (Roma: Edizione Utopia, 1987). 19 È interessante notare che Carlo aveva preparato una prima versione col titolo “Tintoretto”, poi la prefazione per la Rizzoli subisce una revisione e il titolo diventa giustamente “Il teatrale Tintoretto”. 20 Carlo citava spesso le scenografie di un altro artista veneziano, G. Tiepolo ogni qualvolta parlavamo di strategie filmiche in narrativa e pittura. Ricordiamo che Carlo Bernari è stato anche sceneggiatore e certamente non era estraneo al linguaggio filmico sin dai giorni di Tre operai . 16 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE immagini e narrativa. In breve, oltre agli effetti cromatici e di luce, a Bernari interessa la narrazione che sta alla base delle immagini, vale a dire come in ogni quadro c’è una storia che ci viene raccontata e che va decodificata, interpretata e arricchita nella mente dello spettatore. Difatto, egli vede la pittura negli stessi termini dei suoi romanzi, come “opere aperte” (direbbe U. Eco) in cui si fondono elementi di soggettività e oggettività, di immaginazione e realtà, di verità, menzogne e illusioni. Tra i suoi primi saggi apparsi negli anni Sessanta, troviamo la brillante presentazione ai disegni di Corrado Cagli per la mostra antologica alla Galleria Don Chisciotte, a Roma (30 Maggio 1967). Carlo definisce i disegni di Cagli come “un bisogno esistenziale come lo scrivere per il narratore, un bisogno connesso a un processo di liberazione dell’inconscio e di conoscenza”, e aggiunge è “una rappresentazione visiva di un alacre ricerca culturale”. Poi prendendo in considerazione delle raffigurazioni di bambini, madri, contadini e lotte operaie, afferma: “Cagli è un esploratore del primitivismo quando con intenti etnologici si spinge nel mondo dei miti” (...). Il pittore come lo scrittore si rifiuta di farsi così illustratore di una qualunque realtà…ma vuole scoprire quella realtà, farsi filosofo culturale in questa ricerca, nel senso di conoscere e svelare, che vuole anticipare in una prospettiva metafisica”21 . Negli acuti giudizi su Cagli di particolare importanza è la discussione sulla dimensione etnologica vista in rapporto ai saggi di Kereny, Leví-Strauss e Jung. Non c’è dubbio, a Carlo interessa esaminare il messaggio e più precisamente le verità che risaltano dalla rappresentazione del quotidiano in un mondo meridionale agricolo e diciamo pure arcaico, se teniamo in considerazione che nel resto dell’Italia siamo negli anni del famoso boom economico e industriale 22 . I profondi interessi di Carlo per l’etnologia, l’antropologia e il mito 23 vengono evidenziati chiaramente nella recensione alla mostra antologica di Ernesto Treccani (Palazzo del Popolo di Todi, 1980). Ancora una volta vediamo Bernari prima contestualizzare l’artista e poi richiamare il loro sodalizio che risale al 1949 quando collaborava alla rivista Corrente diretta da Treccani. Il realismo etnologico di Treccani viene discusso con riferimenti a

21 Corrado Cagli. Presentazione in occasione della mostra alla Galleria Don Chisciotte a Roma, 30 maggio 1967. 22 Siamo nella fase di scrittura e imminente pubblicazione di Era l’anno del sole quieto (1964). 23 Dai giorni di Vesuvio e pane e Domani e poi domani Carlo andava approfondendo i suoi interessi per l’etnologia e il mito avvicinandosi al Cesare Pavese dei Dialoghi di Leucò e alla narratina di Thomas Mann, in particolare, a “Giuseppe e i suoi fratelli ˮ. Ricordiamo che Vesuvio e pane fu dedicato alla memoria di Cesare Pavese. 17 ROCCO CAPOZZI

Ernesto De Martino, Danilo Dolci e Rocco Scotellaro, e quindi ad una letteratura capace di rapportarsi alla sociologia e alla storia, così come al ruolo dell’artista nel rivelare le condizioni socio-economiche del mondo dei contadini e dei poveri. E in riguardo agli effetti cromatici, Carlo afferma: “Così la pittura di Treccani tende a farsi da un certo punto in poi crittogramma per aspirare proprio al massimo di espressività con l’impiego di minimi mezzi, laddove il colore si addensa più rapidamente, si disfà in filamenti da cui far nascere forme e figure come da una bianca evanescenza in cui la pittura si rarefà con allegante pudore” 24 . Come vediamo, Bernari non applica delle formulette prefabbricate ad ogni artista con cui si cimenta. Al contrario, egli sa individuare gli elementi figurativi e narrativi che lo attirano di più ed esattamente come nella sua narrativa, esamina innanzitutto la condizione umana, il contenuto sociale e i vari modi di suggerire delle verità nascoste sotto la cosiddetta realtà rappresentata. In essenza il “realismo critico” 25 alla base dei suoi romanzi riemerge con coerenza nei suoi saggi sull’arte e sulla letteratura in generale. Per un maggiore apprezzamento della sensibilità del Bernari critico d’arte è importante risalire ai giorni del “Manifesto dell’UDA” (1929) e alla sua formazione a Napoli accanto a Ricci e Guglielmo Peirce, ai circumvisionisti Peppe Diaz e Antonio D’Ambrosio, ad amici quali Catelli, Lepore, Cocchia, e Buchicco e al gallerista e libraio Ugo Arcuno proprietario, assieme a Salvatore Mastelloni, della famosa “Libreria Novecento” 26 . Mi riferisco allo stesso gruppo di amici e protagonisti presenti in Prolo alle tenebre e Le radiose giornate . Accanto a loro si è incrementata la sua passione per l’arte realista socialista (come la definiva Paolo Ricci), e per i valori cromatici e gli effetti di luce e di ombre che vanno dall’impressionismo francese, al

24 Una versione di “Il meridionalismo di E. Treccani”, venne pubblicata su Il Mattino di Napoli. La recensione che ricevetti da Bernari non conteneva riferimenti bibliografici. 25 Ho discusso “il realismo critico” in Bernari.Tra fantasia e realtà (Napoli: SEN, 1984). Comunque andrebbe segnalato un articolo alquanto sconosciuto di Bernari dedicato al realismo e neorealismo nel cinema italiano: “Realismo all’infinito”, Paese Sera (Roma, 6 luglio 1954). 26 Va segnalato il contributo di Bernari nel volume di Ugo Piscopo, Futuristi a Napoli (Napoli: Ermanno Cassito editore, 1983), pp. 86-90. E di nuovo si veda l’ottimo saggio di Matteo D’Ambrosio, “Circumvisionisti, un’avanguardia napoletana negli anni del fascismo ˮ, a mio avviso indispensabile per una conoscenza approfondita dell’arte e degli artisti con cui Bernari si forma all’inizio degli anni Trenta. Sono riconoscente a D’Ambrosio sia per i due ritratti di Peirce e Ricci sia per la foto di Bernari, Ricci e Peirce scattata a Parigi nel 1930. 18 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE futurismo napoletano e all’espressionismo tedesco. Ricci amava molto l’arte di Grosz, fino ad imitarlo ‒ si veda ad esempio immagine 19 . Naturalmente bisogna tener presente tanto il breve soggiorno parigino (tra gennaio e marzo del 1930), almeno per quanto riguarda le sue esperienze dirette con il surrealismo, quanto la sua padronanza dell’arte metafisica di De Chirico, del realismo magico di Bontempelli e della pittura dei paesaggi urbani di Mario Sironi. Comunque è importante ricordare che Carlo ha sviluppato da bravo autodidatta la sua sensibilità artistica e il suo metodo critico nei confronti di ogni forma d’arte, sin dalla fine degli anni Venti a Napoli, innanzitutto in compagnia di Peirce e Ricci. È con loro che il giovane Bernard, nel 1929, firma il “Manifesto UDA”. In genere è in gran parte muovendo dalle parole di Bernari stesso che molti critici hanno preso in considerazione sia le vere che le presunte e/o possibili influenze su di lui da parte degli artisti italiani e stranieri citati nella “Nota 65” che dal 1965 accompagna ogni ristampa di Tre operai . Ma direi che chi ci viene meglio incontro in questa ricerca è Paolo Ricci. Mi soffermo su un esempio a mio avviso poco conosciuto. Nel luglio del 1979, in occasione della “Festa di Piedigrotta” il settimanale L’europeo 27 dedicò un servizio speciale a cura di Paola Decina Lombardi su “Francesco Cangiullo e il Futurismo Napoletano”. Nel servizio troviamo vari riferimenti alle riviste dell’epoca che si occuparono delle attività artistiche a Napoli. Per uno studio storico e critico su questo argomento rimando agli scritti di Paolo Ricci: Arte e artisti a Napoli 1800-1943 , al saggio di Lea Vergine, Napoli ’25/’33 (Napoli: Il Centro Edizioni, 1971), a Futurismo a Napoli (Napoli: T. Pironti, 1981) di Ugo Piscopo, e in particolare allo studio già citato di Matteo D’Ambrosio, I Circumvisionisti. Un’avanguardia napoletana negli anni del fascismo. Nel servizio si mettono a fuoco la rottura dei circumvisionisti con Marinetti e il fatto che molte opere dell’avanguardia napoletana, incluse quelle del circumvisionismo, furono distrutte 28 . Ad esempio, quasi tutta la produzione di Guglielmo Peirce rimane tutt’oggi dispersa e sconosciuta. Lombardi suggerisce che la sparizione di queste opere fa nascere dei sospetti e fa intervenire brevemente Bernari il quale afferma: “la pagina era stata voltata, e dal circumvisionismo (prettamente futurista) si era passati ad una visione

27 Paola Decina Lombardi, “Futur-Napoli”; L’Europeo , 29 luglio 1979; pp. 82-85, p. 87. 28 Ricci richiama questo evento durante una celebrazione dedicatagli dalla città di Napoli; cfr. Carlo Bernari: “Ricci un napoletano di Barletta”, Il Mattino , 24 febbraio 1980, p. 3. Bernari anche in altra sede, menziona la distruzione dei quadri di Peirce e degli amici circumvisionisti; si veda la sua testimonianza inclusa nel volume di Ugo Piscopo, Futuristi a Napoli , op. cit. , pp. 87-88. 19 ROCCO CAPOZZI

’costruttiva’. Però anche le opere del Gruppo dell’UDA, altra faccia (e la più importante) dell’avanguardia napoletana, sono state distrutte. Ed è lecito continuare a non leggere tra le righe del “manifesto” dell’UDA la cui sigla è significativa (Unione Distruttiva Attivista)” (p. 83). Di particolare interesse per il nostro discorso è l’intervista a Paolo Ricci 29 il quale rammenta la stagione futurista napoletana e più precisamente le attività che vanno dal 1928 al 1932, facendo notare tra l’altro l’influenza di Croce sopratutto per quanto riguarda la metodologia della ricerca (anche se lui e i suoi amici non erano dello stesso parere del famoso filosofo riguardo ai rapporti tra arte e ideologia): “Croce per noi rappresentava l’aborrita cultura ufficiale, ma ci aveva almeno insegnato il metodo: informarsi sempre, cercare infaticabilmente i sintomi, i documenti” (p. 85). A mio avviso sono parole importanti anche perché gettano luce su come scrive Carlo Bernari, su come il suo processo creativo parte da una lunga ricerca di dati e documenti (si pensi ad esempio alla preparazione dei Tre operai ). Questa procedura è confermata dall’autore nella “Nota 65” e nel saggio su Era l’anno del sole quieto in Non gettate via la scala . L’intervista a Ricci contiene una miniera d’informazioni sull’ideologia, sulla politica e sulla formazione culturale di Ricci, Bernari, Peirce, Arcuno e altri protagonisti dell’avanguardia napoletana. Cito alcune frasi che riguardano sia la cultura a Napoli che il “Manifesto UDA” e aggiungo che qui Ricci sta parlando delle stesse attività e degli stessi protagonisti che riconosciamo in Prologo alle tenebre :

Napoli, allora, non era affatto una città provinciale. Qui si aveva coscienza di tutto quello che avveniva in tutto il mondo nell’arte e nella cultura…E poi c’erano a Napoli dei librai favolosi. Mario Guida stave a Piazza dei Martiri e durante il fascismo nella sua libreria si poteva trovare tutto, anche Marx ed Engels. Un altro libraio, Arcuno era più sospetto al regime perché era un antifascista dichiarato: ed anche lui era una gran fonte per noi. Eravamo abbonati a riviste francesi, tedesche, inglesi, americane, eravamo collegati con Transition , la rivista di Gertrude Stein […]. Noi marxisti vi cercavamo le ragioni della decadenza di un’arte che ci sembrava infeudata ai gusti borghesi…Noi eravamo, come posso dire? Degli zdanovisti prima del tempo…Eravamo “realisti socialisti”. Io feci un quadro intitolato “Pomeriggio del disocupato”: ma l’organizzatore della mostra in cui la esposi, che era un fascistra, gli cambiò il titolo in “Pomeriggio di mezza estate”.

29 “Siamo stati Zdnanovisti ante-marcia”, ibid. , p. 85. 20 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

Quanto all’UDA , Ricci afferma: “eravamo più vicini al dadaismo”, e alla domanda: “chi era in letteratura l’esponente più importante per il Gruppo”, Ricci risponde: “Carlo Bernari. Tre operai è stato il primo romanzo neorealista italiano. Oggi Bernari è un po’ dimenticato. Ma è stato uno dei grandi innovatori della narrativa italiana. Al pari di Moravia. Ma è rimasto un tipo scomodo. È per questo che non gli danno lo stesso rilievo”. (p. 85). Su quest’ultimo punto di Bernari scrittore scomodo è il caso di segnalare il recente articoletto apparso sul Corriere della sera , “Carlo Bernari l’esiliato in casa” 30 , dove vengono citate due lettere di Cesare Pavese in cui l’autore piemontese confessa a Carlo che per Vittorini e Togliatti Bernari è “un personaggio scomodo”. Il retroscena ideologico e storico-culturale ci aiuta a capire ed apprezzare la formazione artistica di Bernari. Nel suo intervento “Ricci o della costanza” 31 Carlo ci tiene a spiegare la vera ragione per cui i tre inseparabili amici si recarono a Parigi poco dopo aver firmato il Manifesto UDA : “Sicché a Parigi noi si corse a cercare non un’autorizzazione estetica, vale a dire un viatico a una qualsiasi operazione artistica, bensí una convalida ai dubbi che ci avevano assillati e ai quali soltanto la rivoluzione surrealista, spintasi oltre il disegno estetico dadaista, poteva offrirci, ponendosi al servizio della rivoluzione, vale a dire la fine delle arti” (p. 21) 32 . Inoltre, nel volume dedicato all’arte di Camillo Catelli (1886-1978), curato da Paolo Ricci e con scritti di Luigi Compagnone, e Renato Guttuso, Bernari afferma:

Intanto però noi già “vedevamo” con occhi ciechi quella negatività, ne sentivamo le tensioni, ne avvertivamo magicamente la presenza annun- ciatrice nella corsa dei colori a farsi luce, nell’organizzarsi dell’archi- tettura negli spazi premonitori di una realtà diversa da quella conosciuta, eppure tanto familiare, da riconoscerla come nostra nell’attimo stesso in cui vi ravvisiamo il diverso, l’altro, in una continua divaricazione che è congiunzione e immedesimazione.

30 Dario Ferilio, “Carlo Bernari l’esiliato in casa”, Corriere della sera (26 novembre 2011). 31 “Ricci o della costanza”, op. cit. Si veda pure la nota 11. 32 Tengo a ribadire che le parole di Bernari incoraggiano una mia tesi che porto avanti da parecchi anni e cioè che forse alcuni critici hanno fatto del breve soggiorno parigino di Carlo una tappa essenziale nelle sua formazione artistica e idelogica. A mio parere, come suggerisce l’autore stesso, gli incontri fatti a Parigi, e forse anche il cinema e la pittura dei surrealisti servono innanzitutto a rafforzare e a confermare ‒ ( Bernari dice “validare”) ‒ le idee che già fermentavano nel giovane Bernard a Napoli grazie alle sue esperienze accanto a Peirce, Ricci, D’Ambrosio, Diaz, e Arcuno. 21 ROCCO CAPOZZI

L’immagine della realtà si arricchisce così si perfeziona o si deforma, secondo una visione che non ci è propria, quanto piuttosto acquisita attraverso altre visioni, altre sintesi che ci hanno preceduto sul medesimo percorso verso quella determinata realtà...Finiamo dunque per vedere l’Estaque con gli occhi di Cézanne, e il paesaggio reale tende a conformarsi a quella pittura assecondando i parametri che la nostra formalizzazione del vero tende a fornirci 33 .

Il tempo non mi permette di discutere un vecchio saggio di Bernari “Tra un realismo e l’altro” poi riveduto per Rivista di Studi italiani 34 , ma vorrei precisare che davanti alle diverse realtà raffigurate dai circumvisionisti, da Sironi, da De Chirico, dagli esponenti della Nuova Oggettività tedesca, o più tardi dagli amici quali Levi, Treccani e Sughi, egli ha sempre preso in considerazione come l’arte e la letteratura passino continuamente “da un realismo all’altro”. In essenza Carlo ha sempre ritenuto che per lo scrittore come per l’artista è importante presentare nuovi aspetti della realtà con lo scopo di rivelare altre realtà nascoste, per arrivare a quella che lui definisce “la realtà della realtà” 35 . In una lettera che Carlo mi spedì nel 1974 (dove riassume le risposte a un lungo discorso che riguardava tra l’altro il saggio “Il mare dell’oggettività” di Calvino e il nouveau roman di Robbe-Grillet) troviamo questa definizione del realismo:

Il problema del realismo non può risolversi applicando la più ovvia formula dialettica, ora col privilegiare la realtà (l’oggetto) ora col privilegiare l’artista (cioè il soggetto) a seconda che si propenda per un materialismo cieco o uno spiritualismo non meno allucinante. A questo punto dovrebbe essere chiaro per tutti che quando si parla di realismo non si vuole pretendere di asservire l’arte al più piatto oggettivismo o naturalismo, ma s’intende agire all’interno di un fenomeno per coglierne tutti i momenti di crisi. Operando una scelta nella realtà l’artista compie un atto critico; ma tale scelta è già il risultato di un rapporto istituito, o meglio in fieri fra l’artista, nel nostro caso lo scrittore, e la realtà. (immagine 20; corrispondenza inedita del 1974)

***

33 Catelli , a cura di Paolo Ricci, Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 1975, pp. 19-22. 34 Rivista di Studi Italiani , I, 2 (dicembre 1983), pp. 75-85. 35 Espressione coniata da Bernari per il suo articolo “La realtà della realtà (ovvero l’arte è paura?)”, in Nuovi Argomenti , 27 (maggio-giugno 1972), pp. 121-126. 22 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

Inquietudine, angoscia, attesa, incubi, e paura sono le tematiche che dominano le descrizioni dei personaggi e dell’ambiente nelle prime opere di Bernari. E per quanto siamo tutti d’accordo che numerosi echi di impressionismo, espressionismo e surrealismo sono riconoscibili negli elementi pittorici della sua narrativa dagli anni Trenta in poi, dobbiamo chiederci quali influenze artistiche abbiano potuto ispirare Bernari nel comporre Era l’anno del sole quieto (1964) e Tanto la rivoluzione non scoppierà (1976). Oltre al fatto che in queste due opere riconosciamo molte delle discussioni degli anni sessanta e settanta intorno all’arte, al mercato dei quadri e all’industria editoriale, mi riferisco ai due romanzi che trattano specificamente dei personaggi borghesi immersi nel neocapitalismo, nel potere politico e economico, e coinvolti in svariate forme di corruzione ad ogni livello della società. Vengono subito in mente i personaggi sia allegorici che reali che circondano Orlando Rughi in Sole quieto ‒ quasi tutti burocrati, affaristi e camorristi ‒ basta pensare al misterioso Puntillo, al presidente della Banca Esvicredim Farri, al prete Don Sandalari e a Elvi, la prostituta esperta di investimenti in borsa. Tanto la rivoluzione non scoppierà – in parte giallo metafisico e in parte satira e allegoria degli anni Settanta e Ottanta ‒ richiederebbe un più lungo discorso sulle peripezie dello scrittore ribelle Denito Elio mentre si accinge a smascherare i trucchi della mercificazione e del riciclaggio non solo degli oggetti ma anche degli intellettuali. Sin dalle prime pagine incontriamo dei temi ben noti ai lettori del primo Bernari (le opere dal 1930 al 1950), quali ombre, paura e ricerca della vertità. E vale la pena accennare che intorno alla figura dell’editore Leo si riconoscono molti elementi che richiamano le attività dell’editore G. Feltrinelli trovato morto nel marzo del 1972. In breve, i rapporti schiavo-padrone tra Leo e Denito Elio, descritti con grande ironia, ci fanno intuire come una rete di imbrogli socio-economici e politici fa sì che le rivoluzioni dal ʼ68 in poi sono fallite, e forse sono impossibili, dal momento che i grandi protagonisti, o cosiddetti leaders , dall’estrema destra all’estrema sinistra, fanno tutti parte di una grande famiglia che spesso si raduna durante cene e feste (si veda Sughi, immagine 21 ). Ebbene, nel prendere in considerazione il ruolo del lungo sodalizio di Bernari con Alberto Sughi vorrei richiamare specificamente due mostre antologiche. La prima, “Al Bar”, tenuta nel 1960 alla Galleria d’Arte Moderna a Roma, e la seconda, nel 1984 a Caserta, dove vengono esposte le maggiori opere di Sughi a partire dalla fine degli anni cinquanta. A riassumere i maggiori toni, temi e personaggi di circa un ventennio dei suoi lavori sono due tele importantissime: “Il teatro d’Italia” (immagine 22) e “Tramonto romano” ( immagine 23 ) ‒ due opere che ci fanno percepire vari aspetti della ricca simbiosi tra Sughi e Bernari, vale a dire lo scambio di immagini e di idee che c’è stato tra l’artista e il narratore e viceversa. Mi riferisco specificamente 23 ROCCO CAPOZZI sia all’uso del grottesco e della caricatura nei ritratti di ipocrisia e corruzione della borghesia, degli affaristi e dei politici, sia al modo di illustrare argomenti socio-economici e politici di forte attualità. Nelle tele di Sughi 36 , tra le figure principali troviamo le prostitute, non più da marciapiede, come ad esempio in Tre operai o nei quadri di Paolo Ricci (immagine 24 ), ma prostitute che frequentano locali notturni e pianobar, e le figure mostruose e spettrali di magistrati, uomini politici, membri del clero e dirigenti del mondo degli affari ‒ personaggi compromessi nel mondo del potere, e quasi sempre raffigurati in un ambiente opaco e tenebroso. Inoltre, personaggi che quando non sono alle prese con cene e festini 37 sembrano racchiusi nei loro pensieri, e sui loro visi si leggono segni di freddezza, calcolo, distanza e solitudine. In un breve scritto, “Caro Sughi. Rientro nei tuoi quadri” per il catalogo della mostra “Al Bar” (1960), Carlo conclude con delle parole che in parte alludono alla presenza di Sughi durante la composizione di Era l’anno del sole quieto : “Se è vero che i tuoi quadri sono deformati dalla cattiveria, e provengono dalle zone tenebrose della società attuale, è anche giusto che essi siano rappresentati nella opacità del fumo e della notte, a somiglianza di quella vita sub-lunare che ci riduce tutti alla stregua di prigionieri di un’assurda ’città’ in cui viviamo rassegnati come in una cella della morte”. Possiamo assumere che l’assurda città si riferisca sia a Roma che a Napoli. Bernari ci ha spiegato che il nome Orlando Rughi è composto dal nome di Sughi e del Monte Orlando, la cosidetta “montagna spaccata” a Gaeta. Tra il 1962 e il 1963 Carlo aveva scritto parte di Era l’anno del sole quieto seduto sulla spiaggia di Gaeta con il Monte Orlando dirimpetto 38 . Nell’introduzione di Paolo Ricci al catalogo antologico dedicato a Camillo Catelli troviamo un’osservazione pertinente tanto al rapporto natura-arte nei quadri di Catelli quanto all’impegno di artisti e scrittori come Sughi e Bernari: “Naturalismo è invenzione, fantasia, quando è inteso come un modo di

36 Per la pittura di Sughi rimando ad un saggio di Guido Santato. “L’uomo e la sua ombra: la pittura di Alberto Sughi,” Introduzione al catalogo L’ombra e la siepe , Roma: Edizioni Utopia, 1987. Nello stesso volume appare l’articolo di Bernari: “Ritratto ad inchiostro di Alberto Sughi”. Per le due tele “Tramonto romano” Santato parla giustamente di rappresentazioni funebri del potere. 37 Ripeto qui potremmo aggiungere i ricevimenti e le serate festose descritte in Era l’anno del sole quieto e Tanto la rivoluzione non scoppierà dove riconosciamo nel misto di politica, case editrici, banche, scandali, alleanze segrete, giullari, e rivoluzioni fallite personaggi della cronaca del tempo. 38 “Perché sole quieto”, in Non gettate via la scala , Milano: Mondadori, 1973, pp. 233-246. 24 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE interrogare la realtà, come chiave per comprenderla e quindi trasformarla in qualcos’altro, in una parola: per ricostruirla in immagini che non si limitino ad evocare piani, forme e colori del vero ma esprimano sentimenti e idee dell’artista, il suo rapporto, come uomo, con la storia e la cultura del proprio tempo”. (op. cit ., p. 5) Questa nozione dell’arte in rapporto con il reale e come strumento di conoscenza risalta continuamente nei saggi e nella narrativa di Bernari. Quindi è comprensibile che negli interventi sul realismo naturalistico, mitico e etnografico di Levi, Treccani, Sughi e de Conciliis, Bernari si sia soffermato sull’impegno dell’artista nel raffigurare uomini donne e bambini meridionali e di classe operaia – personaggi quasi tutti raffigurati come se chiedessero la nostra comprensione e la nostra solidarietà. Davanti ai loro quadri Carlo ama esaminare con acutezza i visi di individui che con dignità, rabbia, attesa, e dolore vivono la loro condizione sociale anche perché è la stessa realtà che egli ha sempre narrato dagli anni Trenta in poi. Ho menzionato quanto sia importante la luce per Bernari. Si veda cosa dice nello scritto su Carlo Levi: “Una particolare dimensione di creatore e ricercatore” 39 . Dove aver elogiato lo scrittore per aver saputo trovare nella parola gli elementi cromatici e di luce propri della pittura, commenta un brano da Cristo si è fermato a Eboli in questi termini: “ ʻLuce e ombra, colori mutevoli, luce interna, i suoi raggi, visi brillanti, occhi neri, bianco acceso delle carni, vita luminosa ʼ, isolate queste locuzioni potrebbero catalogarsi come desunte dalla convenzionale tavolozza di uno scrittore in cerca di un’efficace caratterizzazione di un sud di maniera; se non si sapesse che ciascuna di esse è suggerita dal pittore, e che tutte assieme possono riassumersi nella voce più usuale e comune in pittura: la luce”. (p. 28) Prima di concludere trovo doveroso ribadire che per quanto realismo e impegno sociale siano al centro dei suoi lavori ciò non significa che Carlo non abbia avuto ammirazione per l’astrattismo e il concettuale. Come ricordavo, Bernari amava molto Kandinsky e il gruppo “Il cavaliere azzurro”. Tra i suoi scritti troviamo varie testimonianze della sua profonda conoscenza del futurismo, dell’arte metafisica e dei surrealisti. In una nota del 1957, “Astrattisti di retroguardia” 40 , Bernari difende l’arte astratta nella continua battaglia dei critici sulla crisi dell’arte concreta e realista dovuta alla moda

39 Intervento all’inaugurazione di un circolo culturale romano dedicato a Carlo Levi, ora in Carlo Levi. Il mezzogiorno è l’altro mondo (Reggio Calabria: Casa del libro, 1980), pp.27-30. 40 “Astrattisti di retroguardia. Incontro con Léger. Vent’anni dopo”, Milano Sera , 27 giugno 1957. Qui Carlo parla di astrattismo e avanguardia con riferimenti a Léger e agli anni 1930-1931, e cioè gli stessi anni del suo breve soggiorno parigino. 25 ROCCO CAPOZZI dell’astrattismo, e dopo un breve excursus nella storia dell’arte dalla fine dell’Ottocento agli anni Trenta si sofferma su alcuni dati autobiografici che riguardano il suo incontro con Pit Mondrian e Fernand Léger a Parigi. Inoltre va menzionata la prefazione al catalogo della mostra di Nancy McAdams (1975). Qui Carlo parla di arte naif, di primitivismo (sia americano che europeo), e dei quadri di Edward Hopper e Ben Shawn e quindi ancora una volta ci offre un’ulteriore testimonianza della sua vasta conoscenza della storia dell’arte. Inoltre vorrei richiamare un momento particolare profondamente inciso nella mia memoria e registrato nei miei appunti che fecero seguito al nosto ultimo colloquio alla fine di agosto del 1989 41 . Eravamo appena arrivati da Gaeta e decidemmo di cenare in un ristorantino nei pressi di Ponte Milvio. Carlo conosceva la mia ricerca e i miei interessi per i rapporti che scorrono tra parole e immagini e mentre ritornavamo a piedi in via Gosio, iniziò a discutere come i romanzi lasciano nella mente del lettore non solo delle storie ma anche delle immagini. Solo dopo capii perché parlò a lungo della preparazione del suo ultimo romanzo Il grande letto (1988) richiamando tantissime immagini legate ai suoi cari amici degli anni Trenta e perché si soffermò su alcuni ricordi che risalivano ai giorni trascorsi a Napoli e che riguardavano la sua famiglia e i suoi amici 42 . Certamente sentiva un forte desiderio di voler parlare dell’importanza della memoria e dei ricordi personali ‒ anche se in realtà era un argomento che toccava raramente in quanto preferiva discutere innanzitutto

41 Parte del dialogo appare nel mio in memoriam di Carlo Bernari: “Ultimo dialogo con l’autore”, Forum Italicum (Spring 1994), pp. 364-382. 42 In questa occasione mi spiegò di nuovo perché decise di scrivere per Il Mattino e non per altri quotidiani: “Napoli è sempre stata la ʻmia città’ con cui ho vissuto i miei rapporti di odio e amore”. A prescindere che come Carlo stesso ha spesso ripetuto: “Napoli è presente nelle mie opere anche quando è assente”, vale la pena ricordare il suo saggio “Il paese delle anime”, che ci riporta alla composizione di Tre operai , (ora in Non gettate via la scala ), e innanzitutto agli scritti nelle raccolte Napoli silenzio e grida e Bibbia napoletana , per capire veramente come Napoli sia stata una realtà nel suo cuore e nella sua memoria anche quando ha detestato una Napoli che “si abbandona alla teatralità” e “i napoletani che fanno i napoletani”. Sto richiamando due espressioni che risalgono alla prima intervista con Carlo (di circa cinque ore, e registrata in due giorni) nel lontano 20-21 dicembre del 1972, in parte pubblicata nel 1975 in Italianistica , IV, 1, pp. 142-168. Un incontro indimenticabile anche perché alla fine dell’intervista mi consegnò una rara copia del Manifesto UDA che avrei poi incluso nella mia tesi di laurea “Carlo Bernari. The Search for Reality ˮ (1975) che sta alla base del saggio Carlo Bernari tra fantasia e realtà (Napoli: SEN, 1984). 26 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE del presente ‒ ma più importante, credo che abbia voluto parlare della scomparsa di Ricci, Peirce ed altri vecchi amici ed artisti impegnati a voler cambiare la realtà artistica e socio-politica in Italia negli anni Trenta e Quaranta. Giunti a casa Carlo andò a sedersi sotto il quadro di Ricci e cadde in un profondo silenzio. Mi sembrò di capire che il suo silenzio non era dovuto alla stanchezza. Sul suo viso si leggevano segni di delusioni e di rassegnazione: i cambiamenti e le rivoluzioni che lui auspicava non si erano avverati. Dopo alcuni minuti, col segno della mano mi fece capire, lasciamo perdere, andiamo a riposarci. In un’intervista Alberto Sughi ha affermato: “[ E] sono convinto che il lavoro del pittore non finisca col suo quadro: [ma che] finisca negli occhi di chi lo guarda. Se non ci fosse la possibilità di reinventarlo, di adoperare per noi stessi l ʼesperienza che il pittore fa sulla tela, allora sì, la pittura muore” 43 . In questi stessi termini Carlo Bernari ha considerato l’arte e la letteratura. Nella pittura e nella scrittura egli ha riconosciuto gli espedienti comunicativi che sanno dare un senso alle complessità e contraddizioni della realtà poliedrica e mistificante che ci circonda, convinto che lo scrittore come il pittore non replicano la realtà, al contrario, con la loro fantasia la ricostriscono e la interpretano per scoprire e far scoprire nuove verità e nuovi aspetti della realtà, o meglio, per avvicinarsi alla “realtà della realtà” 44 .

43 Da un’intervista di Luigi Vaccari: “Alberto Sughi Vittorio Sgarbi faccia a faccia” del 2002, accessibile sul sito http://sughi.org/f_archive_testi_online/ 44 Tra gli altri scritti di Bernari si vedano in particolare: “Quel timido poeta amico dei pittori. Tito Balestra”, Il Mattino , 9 agosto 1980 (Carlo discute le poesie di Balestra in rapporto alla pittura di Sughi) “Aneddoti in agguato”, Il Mattino , 19 agosto 1983 (Carlo parla della scuola di Posillipo con riferimenti alla storia delle arti figurative) “In morte della natura morta”, Il Mattino , 14 agosto 1983. “Il meridionalismo di Ernesto Treccani”, Il Mattino domenica , 1980. “Cantatore: Ovvero della scrittura”, in Piccolo archivio: Domenico Cantatore (Roma: Pellicani, 1987). “Carlo Bernari e Goffredo Bellonci ˮ, in Sughi , Roma: La Nuova Pesa, 1960. Luigi Crisconio (1893-1946) , catalogo a cura di Luigi Autiello, con un saggio introduttivo di Paolo Ricci e scritti di Carlo Bernari e Renato Guttuso (Napoli: L’arte tipografica, 1964). “Nancy McAdams”, [presentazione], Catalogo della mostra , Milano: L’Agrifoglio, 1975. “Roberto Ercolini ˮ, [presentazione], Milano: Galleria delle ore, 1972. “Sarai Sherman: sculture e disegni ˮ, [presentazione], Roma: Galleria Giulia, 1982. “Angelo Blasi: 17 gennaio - 11 febbraio 1985 ˮ, [presentazione], Galleria Schneider, Roma: Lito-Stampa-Trullo, 1985. 27 ROCCO CAPOZZI

APPENDICE

1 Carlo Bernari

28 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

2

Paolo Ricci, Nudo con gufo

29 ROCCO CAPOZZI

3

Ettore de Conciliis

30 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

4

Ettore de Conciliis, Murale a Cerignola

31 ROCCO CAPOZZI

5

Ettore de Conciliis, Covoni

32 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

6

Ettore de Conciliis, Lungo il fiume

33 ROCCO CAPOZZI

7

Ettore de Conciliis

34 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

8

Ettore de Conciliis, Avellino Bomba atomica e coesistenza pacifica , 1965

35 ROCCO CAPOZZI

9

Ettore de Conciliis, Avellino Bomba atomica e coesistenza pacifica , 1965 particolare

36 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

10

Ettore de Conciliis

37 ROCCO CAPOZZI

11

Camillo Catelli

38 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

12

Käthe Kollwitz, Workers going home , 1897

39 ROCCO CAPOZZI

13

Käthe Kollwitz, Poverty , 1893

40 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

14

Giacinto Gigante

41 ROCCO CAPOZZI

15

Antonio D'Ambrosio

42 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

16

Paolo Ricci

43 ROCCO CAPOZZI

17

Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato , 1901

44 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

18

Paolo Ricci

45 ROCCO CAPOZZI

19

Paolo Ricci, Grosz 46 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

20

Carlo Bernari, corrispondenza inedita, 1974 47 ROCCO CAPOZZI

21

Alberto Sughi, Abbuffata

48 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

22

Alberto Sughi, Teatro d'Italia

49 ROCCO CAPOZZI

23

Alberto Sughi, Tramonto romano , 1984

50 LUCE, COLORI E NARRATIVA: CARLO BERNARI CRITICO D’ARTE

24

Paolo Ricci, Prostituta davanti alla fabbrica

51