Gli Oggetti Nell'orlando Furioso
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CORE Metadata, citation and similar papers at core.ac.uk Provided by Electronic Thesis and Dissertation Archive - Università di Pisa UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Laurea Magistrale in Lingua e Letteratura Italiana Gli oggetti nell’Orlando Furioso Relatore: Prof. Sergio Zatti Controrelatore: Giorgio Masi Candidata: Lucrezia Bertini Anno Accademico 2011-2012 1 Indice: Introduzione (p. 3) 1. L’inchiesta tra epos e romanzo (p. 4) 2. Il valore degli oggetti (p. 10) 3. Il valore dell’acquisto (p. 13) 4. Personaggi e oggetti (p. 18) 5. Un mosaico di oggetti (p. 32) 6. Le funzioni fiabesche (p. 36) 7. Oggetti fiabeschi (p. 39) 8. Pro bono malum (p. 42) 9. Donna-oggetto, donna-soggetto (p. 48) 10. Oggetti allegorici (p. 58) Gli animali (p. 66) Baiardo (p. 66) Brigliadoro (p. 78) Frontino (p. 84) Rabicano (p. 101) Dal cavallo all’ippogrifo (p. 109) L’ippogrifo (p. 112) Gli oggetti magici (p. 133) Oggetti meravigliosi (p. 133) Anello (p. 140) Corno di Logistilla (p. 158) Libro di Logistilla (p. 169) Lancia d’oro (p. 173) Scudo di Atlante (p. 184) Le armi (p. 197) Armi di Nembrotte (p. 197) Balisarda (p. 203) Durindana (p. 218) Elmo di Orlando (p. 233) Usbergo di Ettore (p. 240) 2 Introduzione: La tesi si pone l’obiettivo di esaminare l’Orlando Furioso dalla prospettiva eccentrica, ma tutt’altro che marginale, degli oggetti. Nella dinamica dell’inchiesta, la costante uniformatrice del poema, gli oggetti ricoprono un ruolo da protagonisti al pari dei personaggi. D’altra parte, non è raro che i personaggi, in quanto a loro volta meta di inchiesta e generatori di desiderio, si trovino a rivestire un ruolo identico a quello degli oggetti materiali; oppure che si dimostrino mero strumento delle passioni, a loro volta personificate, che li possiedono e li usano come se fossero oggetti. Quella dell’oggettualità è pertanto una dominante del Furioso e le sue connotazioni sono esaminate, nella prima parte della tesi, attraverso gli strumenti offerti dalla critica; Fusillo e Auerbach per quanto riguarda lo spazio attribuito agli oggetti nell’epica e nel romanzo; Bodei, per quanto riguarda le mutazioni antropologiche del rapporto uomo-oggetto nel corso della storia, e l’“eccedenza di senso” che da sempre questi proietta sulle cose; ma anche Propp, per quanto riguarda il ruolo strumentale dei personaggi e degli oggetti e la loro funzione, Zatti, Le Goff e Todorov. Nella seconda parte della tesi, con il supporto della rassegna di Rajna, vengono presi in esame singolarmente i percorsi di ciascuno dei principali oggetti materiali che compaiono nel poema, per ricostruirne trasversalmente la vicenda e riassumerne il ruolo che spesso rimane in secondo piano a una lettura integrale. 3 1. L’inchiesta tra epos e romanzo: La posizione occupata dagli oggetti nell’Orlando Furioso è tutt’altro che di secondo piano. E questo non solo a causa del loro grande numero e della varietà di forme in cui compaiono (anelli, spade, armature, libri magici). Anzi, questo grande numero e questa varietà sono piuttosto una conseguenza del ruolo unico che gli oggetti sono chiamati a svolgere nel poema ariostesco. La loro funzione non è decorativa, né servono frequentemente da spunto per digressioni descrittive estranee allo svolgimento della vicenda: e anche quando, come accade di rado, gli oggetti sono descritti, ciò avviene sempre brevemente e tramite un paio di aggettivi canonici. Sotto questo profilo, il Furioso è decisamente un romanzo di impostazione classica, almeno secondo l’inquadramento di Massimo Fusillo. Nel suo saggio Feticci (2012), questi opera una ricca rassegna delle apparizioni degli oggetti nella letteratura e dei diversi ambiti in cui essi sono sfruttati, tenendo conto innanzi tutto di quello, più antico di tutti, di protagonisti dell’excursus descrittivo. Da questo punto di vista distingue due filoni letterari, in base al diverso spazio che viene riservato alla descrizione degli oggetti e dal diverso ruolo ad essa assegnato rispetto alla narrazione. Il primo filone sarebbe quello dell’epica antica, inaugurato da Omero; in esso le descrizioni di oggetti, comunque rare, quando presenti sono narrativizzate; come nel caso dello scudo di Achille, del quale si descrivono la storia e il procedimento di fattura, senza soffermarsi sul semplice enunciarne le componenti, i materiali, il colore. E, sempre come nel caso dello scudo di Achille, le descrizioni di oggetti nell’epica antica non sono mai funzionali alla trama, bensì parentesi digressive che potrebbero essere eliminate senza che questa subisca alcuna conseguenza. Il modello omerico sarebbe poi divenuto canonico, imponendo i propri stilemi anche agli autori successivi, e definendo i caratteri tipici della letteratura di stampo classicistico delle epoche posteriori1. In linea con esso, le parti per così dire descrittive del Furioso sono ben poche. In genere, gli oggetti non sono descritti dal punto di vista fisico neppure quando ce ne sarebbe bisogno, ad esempio nel caso dell’ippogrifo, creatura inventata da Ariosto il cui aspetto viene lasciato quasi completamente all’immaginazione del lettore. Le descrizioni, invece, in cui l’autore indulge sono quattro; quella della fonte di Merlino (XXVI), della sala dipinta nella Rocca di Tristano (XXXIII), della sala delle statue nel palazzo dell’ospite padano (XLII), e del padiglione di Cassandra (XLVI). Quello che viene presentato non è il procedimento di fattura degli oggetti, cioè qualcosa di antecedente all’esistenza dell’oggetto, ma qualcosa di gran lunga successivo, una profezia: si tratta di un pretesto per celebrare uomini e donne contemporanei ad Ariosto, e, in particolare, membri 1 M. FUSILLO, Feticci: letteratura, cinema, arti visive, Il Mulino, Bologna, 2012, capitolo I, pp. 33-36 4 della stirpe estense. Comunque, esattamente come accadeva nei poemi omerici, queste cosiddette descrizioni sono tutt’altro che statiche (si celebrano le imprese di questi individui), e si può senza dubbio dire che la loro introduzione sia contraria alla coesione narrativa o comunque accessoria rispetto alla vicenda. Fusillo identifica questo filone epico, in cui la narrazione è dominante e la descrizione subordinata, con una propaggine di quello che Auerbach, in Mimesis (1946), definisce il “filone originario della letteratura occidentale”: per Auerbach, questo filone originario attribuisce di necessità alla letteratura elementi alti e tragici e non concede spazio per il quotidiano, né nelle azioni né negli oggetti2. Opposto è il filone che nasce con l’ellenismo; ai poeti alessandrini spetta il merito di aver introdotto la descrizione nei loro scritti, ad Apollodoro quello di aver trasportato questo stilema narrativo, nato in sede lirica ed epigrammatica, nel genere epico, introducendo nelle sue Argonautiche diverse divagazioni in cui gli oggetti vengono descritti non tramite il racconto dinamico del succedersi di azioni che ha portato alla loro fabbricazione, ma in maniera statica ed emotiva, cioè attraverso dati sensoriali e con un gusto aneddotico che indulge nel sottolineare la grazia di certi particolari. A partire dal Vello d’Oro, del resto, nel poema di Apollodoro gli oggetti non sono un mero accessorio, bensì hanno un peso determinante sullo svolgersi dell’azione principale. Fusillo osserva come una letteratura che conceda tanto spazio agli oggetti sia tipica di un’età borghese, nella quale la materialità ha acquistato importanza e la letteratura la ha persa, diventando gioco e distrazione3. Colpisce come questa definizione si attagli particolarmente bene all’epoca di Ariosto, e anche alla sua condizione personale di intellettuale di corte; e colpisce tanto più dato che abbiamo già osservato come nel Furioso il gusto descrittivo per gli oggetti, a dispetto di tutte le considerazioni storicistiche, manchi completamente, consentendoci di classificare il poema, sotto questo rispetto, come erede del ciclo omerico piuttosto che di quello alessandrino. Questo aspetto del Furioso può essere messo in relazione con la tendenza classicista (e, nel caso di un poema cavalleresco, epica) che contraddistingue tutta la produzione letteraria del Cinquecento; e, del resto, nota Zatti4, è anche conseguenza della precoce contaminazione avvenuta in area italiana tra ciclo bretone e ciclo carolingio, che ha comportato il costituirsi di una pulsione all’unità e all’ordine di tipo epico all’interno dell’universo cavalleresco di matrice bretone. E tale pulsione si era andata tanto più accentuando con quella che Bruscagli definisce “sazietà del 2 E. AUERBACH, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, Torino, 2000, capitolo I, pp. 3-29 3 M. FUSILLO, Feticci: letteratura, cinema, arti visive, Il Mulino, Bologna, 2012, capitolo I, pp. 36-40 4 S. ZATTI Il Furioso tra epos e romanzo, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca, 1990, capitolo I, Il Furioso tra epos e romanzo, pp. 11-13 5 romanzo cavalleresco”, che aveva fatto seguito alla fase “più espansiva ed entusiasta del genere”. Agli albori del Cinquecento il moltiplicarsi di infinite opere gemelle, di autori spesso illetterati e ancor meno ispirati, aveva prodotto un senso di saturazione, oltre che una svalutazione del genere nel suo complesso. Ad accentuare il fenomeno aveva contribuito poi un clima politico drammatico, che faceva sì che le vicende romanzesche, per di più spesso messe su carta da autori scadenti, fossero sentite più che mai come vane e fatue, e in quanto tali indegne di un artista di levatura; anche perché erano ormai incapaci di soddisfare le aspettative di un pubblico sempre più esperto e sempre più stanco5. Nacquero una serie di tentativi più o meno oltranzisti, e in generale poco riusciti, di respingere il repertorio più propriamente romanzesco ai margini dei poemi in ottave, a vantaggio di un maggior realismo (quello di opere di ambientazione storico-contemporanea o classica) o comunque di una tensione tragica che tendeva alla “precipitazione degli elementi popolari” e all’ “isolamento preferenziale di quelli illustri”, per usare le parole di Dionisotti6. Il clima coinvolse inevitabilmente anche coloro che scelsero di proseguire con la materia più nota, ovvero i continuatori del Boiardo, ad esempio l’Agostini e il Cieco.