* DE GASPERI E IL CENTRISMO: LA PRIMA LEGISLATURA REPUBBLICANA

di

Alessandro Gigliotti (Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate Sapienza – Università di Roma)

26 giugno 2013

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le elezioni politiche del 18 aprile 1948. – 3. Il procedimento di formazione del quinto Governo De Gasperi. – 4. Il dibattito parlamentare e le votazioni fiduciarie.

1. Premessa. Per descrivere l’elasticità che caratterizza i poteri del Presidente della Repubblica nell’ordinamento costituzionale italiano si è soliti ricorrere alla metafora della «fisarmonica», il cui mantice si restringe e si espande a seconda del movimento ondulatorio impresso dal musicista. Detta metafora si adatta in misura particolare ad una delle principali attribuzioni presidenziali, quella di nomina del Governo, che la Costituzione repubblicana assegna sic et simpliciter al Capo dello Stato senza però delimitarne i contorni. Un potere, quello di nomina, fortemente condizionato dalle concrete dinamiche politico-istituzionali e che tende a modellarsi – come il mantice di una fisarmonica – a seconda del grado di stabilità del sistema politico, espandendosi conseguentemente nei momenti di crisi1.

* Il presente articolo rientra nella Call for papers della Rivista sulla formazione dei Governi ed è stato sottoposto alla valutazione scientifica di un comitato composto dai Professori Beniamino Caravita, Vincenzo Lippolis e Giulio M. Salerno. 1 Sulla metafora della «fisarmonica», la cui paternità va attribuita a , v. ad esempio G. PASQUINO, La fisarmonica del Presidente, in La rivista dei libri, 1992, n. 3, p. 8 ss.; M. TEBALDI, Poteri e prassi federalismi.it n. 13/2013 Tale considerazione poggia anzitutto sulla stringatezza che connota il dettato costituzionale in relazione al procedimento di formazione del Governo, il quale vi dedica poche disposizioni e, peraltro, alquanto succinte: l’art. 92, comma secondo, in base al quale il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questi, i ministri; l’art. 93, che contempla il giuramento dei ministri nelle mani del Capo dello Stato. Come è stato giustamente osservato, le norme richiamate si limitano in realtà a definire esclusivamente la spettanza di un potere, attribuito al Capo dello Stato, ma non aggiungono nulla né sul procedimento correlato all’estrinsecazione del medesimo né sul grado di discrezionalità sotteso al suo esercizio2. Quanto al primo aspetto, un esame anche sommario della prassi seguita sin dal 1948 – talvolta in accordo con quella risalente al periodo statutario – dimostra però come le disposizioni costituzionali sul potere di nomina siano in realtà integrate da una serie di norme non scritte, di natura convenzionale o consuetudinaria, che con le prime concorrono a disciplinare l’iter formativo dell’organo Governo3. Quanto al secondo, invece, la disposizione di cui all’art. 92 va certamente letta congiuntamente a quelle contenute nell’art. 94, secondo cui il Governo deve avere la fiducia delle due Camere e deve presentarsi, entro dieci giorni dalla sua formazione, presso i due rami del Parlamento per chiedere un voto di investitura. Ne consegue, pertanto, che in un ordinamento a regime parlamentare il grado di discrezionalità è limitato nella misura in cui il Capo dello Stato deve nominare una personalità in grado di ottenere la fiducia della maggioranza presente in Parlamento4. È quindi evidente che il potere di nomina del Presidente del Consiglio è influenzato dal contesto politico-istituzionale, sicché in ordinamenti in cui le maggioranze parlamentari risultino già definite in sede elettorale, e in cui non vi siano dubbi sulla spettanza della leadership, il ruolo del Capo dello Stato ne esce notevolmente attenuato e ridotto ad una natura poco più che formale. Nell’ordinamento italiano, però, diversi fattori – tra cui, in particolare, l’elevato numero dei partiti, frammentati per giunta al loro interno, e la forte polarizzazione ideologica – hanno operato in senso opposto, conferendo al Presidente della Repubblica un margine di discrezionalità molto ampio non soltanto nella fase di nomina, ma del Presidente della Repubblica nel sistema politico italiano. Interpretazioni dell’esperienza maggioritaria, in Diritto e questioni pubbliche, 2011, n. 11, p. 419; V. LIPPOLIS - G.M. SALERNO, La repubblica del Presidente. Il settennato di Giorgio Napolitano, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 20 ss. 2 P.A. CAPOTOSTI, Presidente della Repubblica e formazione del Governo, in Scritti in onore di Egidio Tosato, vol. III, Milano, Giuffrè, 1984, p. 377. 3 G. ZAGREBELSKY, La formazione del governo nelle prime quattro legislature repubblicane, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1968, n. 3, p. 805 ss.; L. PALADIN, Governo italiano, in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, Milano, Giuffrè, 1970, p. 680 ss. 4 B. CARAVITA, Il Presidente della Repubblica nell’evoluzione della forma di governo: i poteri di nomina e di scioglimento delle Camere, in Federalismi.it, 2010, n. 22, ora in Studi in onore di Franco Modugno, vol. I, Napoli, Editoriale scientifica, 2011, p. 474 ss.

www.federalismi.it 2 più in generale nella gestione delle innumerevoli crisi ministeriali intercorse negli anni successivi al 19535. In realtà, esistevano anche in Italia i margini per un’evoluzione istituzionale in senso primo- ministeriale, ipotesi che trovava riscontro in una certa lettura del testo costituzionale – proposta da un’autorevole dottrina – secondo cui le norme di razionalizzazione della forma di governo erano congegnate in modo da permettere una dinamica simile a quella inglese. In base al dettato costituzionale, infatti, il Governo avrebbe dovuto fungere da comitato direttivo della maggioranza parlamentare, mentre in seno all’esecutivo il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto svolgere, ai sensi dell’art. 95 Cost., un incisivo ruolo di direzione della politica generale6. Una forma di governo parlamentare a prevalenza del Governo e del Primo ministro, del resto, sembrò caratterizzare l’ordinamento nella prima legislatura repubblicana7, ma già con l’avvento della seconda le condizioni mutarono e l’instabilità politica rese determinante il ruolo del Capo dello Stato nella formazione degli esecutivi, consentendo la nascita di veri e propri Governi del Presidente. A partire da quel momento, gli «uomini del Quirinale»8 si ritagliarono uno spazio sempre più strategico, in modo particolare nelle fasi di maggiore instabilità nelle quali la «fisarmonica» si è estesa a tal punto da far sembrare inverata l’immagine di Esposito del Capo dello Stato quale reggitore del sistema nei momenti di crisi9. Nel corso della prima legislatura, per contro, l’andamento della forma di governo sembrava essersi incanalata nel solco del «modello Westminster», sebbene in virtù di alcune condizioni politiche peculiari e contingenti – la straordinaria vittoria elettorale conseguita dalla Democrazia cristiana in occasione delle elezioni politiche del 1948 e l’autorevole e carismatica leadership esercitata da nei confronti del partito di maggioranza – destinate a venire meno con la cessazione della legislatura stessa e con la crisi politica che nel 1953 investì lo statista trentino10.

5 G. FERRARA, Il Governo di coalizione, Milano, Giuffrè, 1973, p. 59 ss. 6 In questo senso, v. C. MORTATI, Le forme di governo. Lezioni, Padova, CEDAM, 1973, p. 432. 7 L. ELIA, Governo (forme di), in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, cit., p. 657; L. PALADIN, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 83. 8 L’espressione richiama il titolo del volume di A. BALDASSARRE - C. MEZZANOTTE, Gli uomini del Quirinale. Da De Nicola a Pertini, Roma-Bari, Laterza, 1985. 9 Tesi, com’è noto, esposta in C. ESPOSITO, Capo dello Stato, in Enciclopedia del diritto, vol. VI, Milano, Giuffrè, 1960, p. 232 ss. 10 Su tali aspetti, si rinvia alla ricostruzione operata in sede storiografica da G. BAGET-BOZZO, Il partito cristiano al potere. La Dc di De Gasperi e di Dossetti. 1945-1954, Firenze, Vallecchi, 1974, p. 445 ss.; P. CRAVERI, De Gasperi, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 593 ss.; F. MALGERI, La stagione del centrismo. Politica e società nell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1960), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, p. 130 ss.; M.S. PIRETTI, La legge truffa. Il fallimento dell’ingegneria politica, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 175 ss.

www.federalismi.it 3 2. Le elezioni politiche del 18 aprile 1948. Ultimati i lavori costituenti ed entrata in vigore – il 1° gennaio 1948 – la Costituzione, il primo adempimento del nuovo ordinamento repubblicano era quello eleggere le due Camere del Parlamento. Le elezioni, indette per il 18 aprile 1948, si svolsero in un clima pesantemente influenzato dalle coeve vicende di politica internazionale ed assunsero pertanto una dinamica bipolare, dal momento che il confronto non investiva tanto due distinte offerte politiche, quanto due modelli politico-istituzionali antitetici: da un lato, vi erano i partiti che si ispiravano alla democrazia liberale di matrice occidentale ed all’economia di mercato; dall’altro, il blocco delle sinistre, che guardava invece con favore al sistema sovietico. In vista della tornata elettorale, in particolare, socialisti e comunisti decisero di confluire in una lista unitaria, denominata Fronte democratico popolare, ritenendo che tale soluzione fosse confacente alla conquista della maggioranza dei voti. Sul versante opposto, si collocava su tutti la Democrazia cristiana, la quale si ergeva a baluardo della democrazia occidentale e riscuoteva il sostegno delle forze economiche, oltre che il favore degli Stati Uniti d’America. La Dc era poi affiancata dalle liste dei partiti laici di centro, vale a dire il Blocco nazionale delle libertà (formato da liberali e qualunquisti), l’Unione socialista (composta dai socialdemocratici e da altri esponenti socialisti contrari al Fronte) e il Pri. Sulla destra, infine, completavano il quadro le liste di due formazioni politiche di recente costituzione, il Movimento sociale italiano e il Partito nazionale monarchico, il cui consenso elettorale si profilava essere però di modesta entità. Nell’imminenza del voto, crescevano i timori che una vittoria delle sinistre potesse favorire, anche in Italia, un’evoluzione analoga a quella dei Paesi dell’Est, tanto più che in quei mesi la Cecoslovacchia era stata interessata da un colpo di Stato che aveva vanificato il risultato delle elezioni tenute nel 1946. Se tali fattori giocavano a favore delle forze politiche di centro, non va peraltro trascurato il notevole contributo fornito al partito democristiano da parte del mondo cattolico. Durante il pontificato di Pio XII, la Curia romana si era dimostrata tutt’altro che indifferente alle vicende politiche italiane, benché i propositi vaticani fossero solo in parte o in nulla coincidenti con la linea politica dello statista trentino11. Ad ogni modo, negli ambienti d’Oltretevere – in quell’area che, in modo emblematico, venne definita con l’espressione di «partito romano» – si diffuse la convinzione che fosse indispensabile offrire un ampio sostegno alla Dc in occasione delle elezioni politiche, per scongiurare una possibile affermazione delle liste del Fronte popolare. La competizione elettorale fu vissuta dagli

11 A. RICCARDI, Il “partito romano”. Politica italiana, Chiesa cattolica e Curia romana da Pio XII a Paolo VI, seconda edizione, Brescia, Morcelliana, 2007, p. 65 ss.

www.federalismi.it 4 ambienti ecclesiastici alla stregua di una crociata contro il comunismo e, in tale prospettiva, determinante fu l’apporto dato dalla predicazione del gesuita Riccardo Lombardi12, da movimenti come Civiltà italica di mons. Ronca13 e, soprattutto, dall’Azione cattolica per mezzo dei Comitati civici di Luigi Gedda, la cui iniziativa coinvolse vari settori del mondo cattolico e consentì al partito democristiano di incamerare voti originariamente orientati altrove14. I risultati elettorali premiarono il partito di De Gasperi in misura maggiore rispetto ad ogni previsione. La Democrazia cristiana totalizzava il 48,5 per cento dei voti alla Camera e il 48,1 al Senato, mentre il Fronte democratico popolare si arrestava al 31 per cento, perdendo diversi punti percentuali rispetto alle elezioni per l’Assemblea costituente. In termini di seggi, la Dc conseguiva 305 seggi sui 574 complessivi alla Camera dei deputati e 131 su 237 al Senato, riportando in entrambe le Camere la maggioranza assoluta. Alla Camera, il Fronte democratico popolare conseguiva 183 seggi, i socialdemocratici ottenevano il 7,1 per cento e 33 seggi, i liberali il 3,8 per cento e 19 seggi, i repubblicani il 2,5 per cento e 9 seggi; modesto, infine, il risultato delle destre, con i monarchici fermi al 2,8 per cento (14 seggi) e i missini al 2 per cento (6 seggi). Ad altre liste minori andavano i restanti 5 seggi. Al Senato, invece, il Fronte democratico popolare totalizzava 72 seggi, i socialdemocratici 8, i repubblicani 8, i liberali 7, i monarchici 3 e i missini uno. Altri 7 seggi andavano a liste minori.

3. Il procedimento di formazione del quinto Governo De Gasperi. In virtù dei risultati elettorali del 18 aprile 1948, la Democrazia cristiana aveva quindi conseguito la maggioranza assoluta presso entrambi i rami del Parlamento; tuttavia, la presenza a Palazzo Madama di ben 107 senatori di diritto – nominati dal Presidente della Repubblica ai sensi della terza disposizione transitoria e finale – rendeva di fatto tale maggioranza solo relativa, poiché di costoro solo una piccola parte afferiva al gruppo democristiano. Su un totale di 344 senatori, più in dettaglio, il gruppo parlamentare della Dc contava 149 componenti, pari a poco più del 43 per cento dell’intero collegio. In ogni caso, il leader della Democrazia cristiana, Alcide De Gasperi, era orientato a riproporre il medesimo blocco centrista che sosteneva il Governo in carica, nato nell’anno

12 Sulla figura di padre Lombardi, v. il ritratto di G. ZIZOLA, Il microfono di Dio. Pio XII, padre Lombardi e i cattolici italiani, Milano, Mondadori, 1990, in particolare p. 86 ss. 13 A. RICCARDI, Il “partito romano”, cit., p. 95 ss. 14 G. BAGET-BOZZO, Il partito cristiano al potere, cit., p. 220 ss. Sui Comitati civici, v. altresì le pagine dello stesso L. GEDDA, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte popolare, Milano, Mondadori, 1998, p. 115 ss.

www.federalismi.it 5 precedente a seguito della crisi ministeriale che aveva condotto all’estromissione di comunisti e socialisti dalla maggioranza15. Il quarto Governo De Gasperi, costituito nel maggio 1947, era inizialmente composto da ministri provenienti dal partito democristiano, cui si aggiungevano esponenti liberali quali al Bilancio e Giuseppe Grassi alla Giustizia, nonché gli indipendenti Carlo Sforza agli Esteri, Cesare Merzagora al Commercio con l’estero e Gustavo del Vecchio al Tesoro. Era quindi un Governo che si collocava sul versante del centro-destra, dato il sostegno assicurato anche da parte di qualunquisti e monarchici, ma nel dicembre dello stesso anno la base della maggioranza fu ampliata a repubblicani e socialdemocratici, questi ultimi nati a seguito della scissione di Palazzo Barberini. Con l’ingresso nell’esecutivo di Saragat e Pacciardi, che andarono a ricoprire la carica di Vicepresidente del Consiglio, nonché di Cipriano Facchinetti alla Difesa, Ludovico D’Aragona alle Poste e telecomunicazioni e Roberto Tremelloni all’Industria e commercio, aveva ufficialmente inizio la fase storica del centrismo (1947-1960)16. Il mantenimento dell’alleanza quadripartita assicurava un’ampia maggioranza parlamentare a De Gasperi, il quale del resto non aveva maturato neanche lontanamente il proposito di venire incontro alla richiesta, formulata in seno alla componente dossettiana, di governare prescindendo dall’ausilio dei partiti laici di centro17. In quell’area, come del resto negli ambienti vaticani, la vittoria elettorale del 18 aprile veniva letta come il preludio ad una ricostruzione della società improntata ai valori cristiani, della quale proprio la Dc avrebbe dovuto assumersi l’onere18. De Gasperi, invece, riteneva indispensabile continuare sulla linea intrapresa nei mesi precedenti con il preciso obiettivo di preservare la laicità dello Stato19, minata in quegli anni dall’intraprendenza delle forze cattoliche e dal loro proposito di realizzare – per usare la nota immagine di Jemolo20 – un Stato guelfo ad un secolo esatto di distanza dal crollo delle speranze neoguelfe. Di fronte allo scenario tratteggiato, il ruolo del Capo dello Stato nella fase di nomina del Presidente del Consiglio fu pressoché formale e ciò trova conferma nel procedimento seguito

15 P. SCOPPOLA, La proposta politica di De Gasperi, terza edizione, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 315 ss.; F. MALGERI, La stagione del centrismo, cit., p. 44 ss.; G. SALE, De Gasperi, gli Usa e il Vaticano all’inizio della guerra fredda, Milano, Jaca Book, 2005, p. 236 ss. 16 F. MALGERI, La stagione del centrismo, cit., p. 55. 17 A. LEPRE, Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 115 ss. Sulla vicenda, v. altresì G. ANDREOTTI, Intervista su De Gasperi, a cura di Antonio Gambino, Roma-Bari, Laterza, 1977, p. 97 ss. 18 F. MALGERI, La stagione del centrismo, cit., p. 85 ss.; A. RICCARDI, Pio XII e Alcide De Gasperi. Una storia segreta, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 40 ss. 19 Su tale profilo, v. P. SCOPPOLA, La «nuova cristianità» perduta, seconda edizione, Roma, Studium, 1986, p. 53 ss. 20 A.C. JEMOLO, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, terza edizione, Torino, Einaudi, 1952, p. 739.

www.federalismi.it 6 in occasione della nascita del quinto Governo De Gasperi o, per meglio dire, di quello che generalmente si definisce tale, come si vedrà tra un momento. Più in generale, però, l’atteggiamento che condusse Einaudi in questo ambito fu di carattere «notarile» per tutto il corso della prima legislatura, in stretta contiguità – del resto – con le premesse entro cui l’elezione del Capo dello Stato era avvenuta. Prima ancora di procedere con la formazione del Governo, infatti, il Parlamento appena riunito fu chiamato anzitutto ad eleggere il Presidente della Repubblica. A norma dell’art. 83 della Costituzione, per tale adempimento era necessario convocare il Parlamento in seduta comune, il quale avrebbe dovuto deliberare a maggioranza dei due terzi per i primi tre scrutini ed a maggioranza assoluta dalla quarta votazione in poi. Il candidato ufficiale della Democrazia cristiana era il repubblicano Carlo Sforza, ministro degli Esteri in carica, la cui figura rispondeva pienamente all’esigenza di avere al Quirinale un garante della maggioranza quadripartita evitando al contempo che la Dc occupasse tutte le cariche istituzionali, dopo aver già acquisito la poltrona più alta di Montecitorio con Giovanni Gronchi21. Le medesime ragioni che facevano orientare De Gasperi per il mantenimento dell’alleanza quadripartita, in pratica, portavano lo statista trentino a cercare una convergenza con i partiti laici anche per l’elezione del Capo dello Stato. La candidatura di Sforza, tuttavia, non era ben accetta ad una parte cospicua del gruppo democristiano – la componente dossettiana22 – che nei primi scrutini fece mancare i voti necessari, al punto che si andò delineando un testa a testa tra Sforza e De Nicola. Al quarto scrutinio, nel quale era sufficiente la maggioranza assoluta, i partiti di centro decisero quindi di convergere sul nome di Einaudi, ministro del Bilancio23, che raccolse 518 voti contro i 320 in favore di Vittorio Emanuele Orlando, sostenuto dalle sinistre e dai missini24. Pertanto, nella giornata dell’11 maggio 1948 Luigi Einaudi veniva eletto e il giorno seguente prestava giuramento, divenendo così – ironia del destino, essendo egli notoriamente di orientamento monarchico – Presidente della Repubblica25.

21 Gronchi fu eletto nella seduta dell’8 maggio 1948, mentre per il Senato la scelta cadde su Bonomi. Sul punto, v. G. DI CAPUA, Le chiavi del Quirinale. Da De Nicola a Saragat, la strategia del potere in Italia, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 71 ss. 22 I dossettiani, in particolare, ritenevano che la candidatura di Sforza, peraltro imposta da De Gasperi al partito, non potesse presentarsi come simbolo di unione, ma piuttosto come segno di contraddizione. Ma, più in generale, era l’orientamento filo-americano del ministro degli Esteri a destare preoccupazione all’interno della componente dossettiana. Sul punto, v. le considerazioni di G. DOSSETTI, Il 18 aprile e l’11 maggio, in Cronache sociali, 15 maggio 1948. 23 G. MAMMARELLA - P. CACACE, Il Quirinale. Storia politica e istituzionale da De Nicola a Napolitano, Roma- Bari, Laterza, 2011, p. 33 ss. 24 G. DI CAPUA, Le chiavi del Quirinale, cit., p. 87 ss.; A. BALDASSARRE - C. MEZZANOTTE, Gli uomini del Quirinale. Da De Nicola a Pertini, cit., p. 32 ss.; F. MALGERI, La stagione del centrismo, cit., p. 83 s. 25 Si consideri che, a norma della prima disposizione transitoria e finale, con l’entrata in vigore della Costituzione il Capo provvisorio dello Stato assunse il titolo e le attribuzioni di Presidente della Repubblica.

www.federalismi.it 7 Eletto il Capo dello Stato, toccava ora al Governo, per la cui formazione fu peraltro seguito un procedimento irrituale rispetto allo schema costantemente adottato negli anni a venire. De Gasperi, dal canto suo, si presentò immediatamente – nella stessa giornata del 12 maggio – al Quirinale per rassegnare le dimissioni, come atto formale d’ossequio al nuovo Capo dello Stato, il quale però non tardò a respingerle, conformandosi così al gesto di correttezza del Presidente del Consiglio26. La crisi, quindi, non fu formalizzata, tanto che il Presidente Einaudi non operò neppure le consuete consultazioni con le forze politiche rappresentate in Parlamento – prassi risalente al periodo statutario – e si limitò a rinviare alle Camere il Governo De Gasperi in carica per verificare la sussistenza del rapporto fiduciario27. Alla luce di ciò, il Presidente del Consiglio si limitò ad un mero (benché corposo) rimpasto, operato il quale il Governo si presentò alle Camere per rinnovare il rapporto fiduciario. Più in dettaglio, rispetto al Governo precedente28, Vanoni assumeva il dicastero delle Finanze, Pella il Bilancio e il Tesoro, Saragat andava alla Marina mercantile, Pacciardi alla Difesa, Jervolino alle Poste e telecomunicazioni, Lombardo all’Industria e commercio, mentre Piccioni, Porzio e lo stesso Saragat assumevano la funzione di Vicepresidenti del Consiglio29. A stretto rigore, era quindi il medesimo gabinetto entrato in carica nell’anno precedente – il quarto Governo De Gasperi – il quale aveva subito esclusivamente una modifica nella sua

Enrico De Nicola, pertanto, rivestì temporaneamente la carica di Presidente della Repubblica dal 1° gennaio 1948 sino al 12 maggio dello stesso anno. 26 Sulla prassi richiamata, v. P. BISCARETTI DI RUFFIA, Diritto costituzionale. Istituzioni di diritto pubblico, quindicesima edizione, Napoli, Jovene, 1989, p. 523; C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, decima edizione rielaborata ed aggiornata a cura di F. Modugno, A. Baldassarre e C. Mezzanotte, Padova, CEDAM, 1991, p. 595; T. MARTINES, Diritto costituzionale, nona edizione riveduta e aggiornata a cura di G. Silvestri, Milano, Giuffrè, 1997, p. 500, nonché N. SANDULLI, Il Capo dello Stato e le crisi di governo, Napoli, Jovene, 1981, p. 105 s., che parla di dimissioni di «ossequio» o «cortesia», e L. PALADIN, Diritto costituzionale, terza edizione, Padova, CEDAM, 1998, p. 403, che riconduce la prassi ad un gesto formale d’ossequio ispirato ad esigenze di galateo istituzionale. 27 G. ANDREOTTI, De Gasperi e il suo tempo. Trento-Vienna-Roma, Milano, Mondadori, 1956, p. 227. 28 La composizione del Governo uscente era la seguente: Alcide De Gasperi Presidente del Consiglio e ministro ad interim per l’Africa italiana; , e Luigi Einaudi Vicepresidenti del Consiglio; Carlo Sforza agli Esteri; Mario Scelba all’Interno; Luigi Einaudi al Bilancio; alle Finanze; Gustavo Del Vecchio al Tesoro; Giuseppe Grassi alla Giustizia; Paolo Cappa alla Marina mercantile; Giuseppe Facchinetti alla Difesa; Guido Gonella alla Pubblica istruzione; Umberto Tupini ai Lavori pubblici; all’Agricoltura e foreste; Guido Corbellini ai Trasporti; Ludovico D’Aragona alle Poste e telecomunicazioni; Roberto Tremelloni all’Industria e commercio; Amintore Fanfani al Lavoro e previdenza sociale; Cesare Merzagora al Commercio con l’estero; Giuseppe Togni ministro senza portafoglio per il Coordinamento delle politiche economiche. 29 Questa la composizione del quinto Governo De Gasperi: Alcide De Gasperi Presidente del Consiglio e ministro ad interim per l’Africa italiana; , Giovanni Porzio e Giuseppe Saragat Vicepresidenti del Consiglio; Carlo Sforza agli Esteri; Mario Scelba all’Interno; Giuseppe Pella al Tesoro e ad interim al Bilancio; Ezio Vanoni alle Finanze; Giuseppe Grassi alla Giustizia; Giuseppe Saragat alla Marina mercantile; Randolfo Pacciardi alla Difesa; Guido Gonella alla Pubblica istruzione; Umberto Tupini ai Lavori pubblici; Antonio Segni all’Agricoltura e foreste; Guido Corbellini ai Trasporti; Angelo Raffaele Jervolino alle Poste e telecomunicazioni; Ivan Matteo Lombardo all’Industria e commercio; Amintore Fanfani al Lavoro e previdenza sociale; Cesare Merzagora al Commercio con l’estero; Alberto Giovannini e Roberto Tremelloni ministri senza portafoglio.

www.federalismi.it 8 composizione. Buona parte dei ministri, infatti, erano stati nominati nel maggio 1947 ed avevano prestato giuramento dinanzi a De Nicola, mentre solo i nuovi ministri avevano ricevuto la nomina da Einaudi e nelle sue mani pronunciarono il giuramento previsto dall’art. 93 della Costituzione30. Non pare comunque di potersi dubitare della costituzionalità del procedimento, poiché il Governo non è un organo a termine ed è certamente possibile che un esecutivo permanga in carica a seguito di elezioni politiche, qualora – beninteso – il rapporto fiduciario non si interrompa e il Governo ottenga un voto positivo su una questione di fiducia posta ad hoc31. È però anche vero che, in conseguenza del particolare momento politico – le prime elezioni dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana – e del corposo rinnovamento della compagine ministeriale, la soluzione verosimilmente più opportuna sarebbe stata quella di costituire un Governo ex novo, con tanto di consultazioni, nomina e giuramento di fronte al primo vero Presidente della Repubblica32. 4. Il dibattito parlamentare e le votazioni fiduciarie. In sede di discussione in Parlamento sulle comunicazioni del Governo, però, non sembrava essere così pacifica la legittimità del procedimento attraverso cui era nato l’esecutivo guidato da De Gasperi. In particolare, nella seduta pomeridiana del 3 giugno 1948 presso la Camera dei deputati l’on. Fausto Gullo, del gruppo parlamentare comunista, presentava un o.d.g. nel quale metteva in evidenza l’incostituzionalità del procedimento seguito, sia in virtù della presenza di organi non previsti in Costituzione – quali i Vicepresidenti del Consiglio e i ministri senza portafoglio – sia per il fatto che alcuni ministri, tra cui lo stesso Presidente del Consiglio, non avevano prestato giuramento nelle forme previste dall’art. 93 della Costituzione33. In senso difforme, nella medesima seduta, si esprimeva l’on. Egidio Tosato, il quale faceva presente che il testo costituzionale non poteva essere interpretato in modo avulso dalla realtà storica su cui esso andava ad incidere. Realtà storica che denotava la presenza, nelle forme di governo parlamentari, di ministri con portafoglio, posti cioè alla guida di un dicastero, cui si affiancavano talvolta anche ministri senza portafoglio, esponenti quindi del

30 Nomina e giuramento si svolsero il 23 maggio 1948. Sul punto, v. P. CALANDRA, I governi della Repubblica. Vicende, formule, regole, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 61 ss.; L. PALADIN, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, cit., p. 80 ss.; S. MERLINI - G. TARLI BARBIERI, Il governo parlamentare in Italia, nuova edizione, Torino, Giappichelli, 2011, p. 100 s. 31 Su tale aspetto, però, v. L. PALADIN, Diritto costituzionale, cit., p. 401, il quale ritiene essersi consolidata una vera e propria consuetudine costituzionale che impone le dimissioni del Governo a seguito di elezioni politiche, fermo restando che il Capo dello Stato potrebbe rinviare l’esecutivo alle Camere neo-elette per verificare la persistenza del rapporto fiduciario qualora le consultazioni abbiano dato un’indicazione univoca in tal senso. 32 Al di là delle considerazioni espresse, in questa sede si parlerà comunque di quinto Governo De Gasperi per riferirsi all’esecutivo formatosi nel maggio 1948 e rimasto in carica sino al gennaio 1950, accedendo quindi alla consolidata classificazione che assegna allo statista trentino la guida di otto e non già sette governi. 33 Sul punto, v. la discussione in Camera dei deputati, seduta pomeridiana di giovedì 3 giugno 1948, p. 81 ss.

www.federalismi.it 9 Governo nella qualità di membri del Consiglio dei ministri pur senza essere collocati al vertice di un settore dell’amministrazione34. Tosato, da insigne costituzionalista, poneva l’accento sul duplice ruolo dei ministri nell’ordinamento italiano, i quali sono al contempo membri del Consiglio dei ministri – e, in quanto tali, concorrono a definire la politica generale del Governo – nonché organi individuali posti al vertice dei dicasteri35. Inoltre, nelle sue parole si può scorgere in nuce la tesi, che avrebbe trovato largo seguito in dottrina, secondo cui l’art. 92 della Costituzione si limita a definire la composizione minima del Governo (Presidente del Consiglio, ministri, Consiglio dei ministri) lasciando quindi aperta la possibilità di prevedere ulteriori organi, non indefettibili, quali appunto i ministri senza portafoglio o il Vicepresidente del Consiglio36. Quanto alla questione del giuramento, infine, l’on. Tosato si limitava solamente ad osservare che l’art. 93 della Costituzione non dettava alcuna disposizione specifica sulla formula da pronunciare in occasione del giuramento, ma si limitava a disporre che i ministri dovessero giurare nelle mani del Presidente della Repubblica. Una eco di tale questione si rinviene anche nel dibattito svolto presso il Senato della Repubblica e, in particolare, nelle parole che il sen. Ruini pronunciò nel corso della seduta del 22 giugno 1948. Egli riteneva infondati i dubbi di costituzionalità relativi al giuramento prestato dai ministri in momenti diversi, giacché tale ipotesi si sarebbe presentata in occasione di ogni elezione del Capo dello Stato. La scelta di nominare ministri senza portafoglio e Vicepresidenti del Consiglio, inoltre, non poneva problemi dal momento che tali organi assumevano in ogni caso la qualifica di ministri37, ai sensi dell’art. 92 Cost., e poiché in materia era comunque opportuno lasciare spazio alla prassi38. Conclusi i rispettivi dibattiti, le due Camere procedettero quindi al voto di fiducia. Nella seduta del 16 giugno 1948, la Camera dei deputati approvò così un o.d.g. di fiducia al

34 Camera dei deputati, seduta pomeridiana di giovedì 3 giugno 1948, p. 83 ss. 35 Sul punto, v. L. PRETI, Il Governo nella Costituzione italiana, Milano, Giuffrè, 1954, p. 26; G.F. CIAURRO, Ministro, in Enciclopedia del Diritto, vol. XXVI, Milano, Giuffrè, 1976, p. 512 ss.; C. ROMANELLI GRIMALDI, I ministri senza portafoglio nell’ordinamento giuridico italiano, Padova, CEDAM, 1984, p. 114 ss. 36 In tal senso, ex plurimis, v. L. PRETI, Il Governo nella Costituzione italiana, cit., p. 28 ss.; G. PITRUZZELLA, Il Presidente del Consiglio dei ministri e l’organizzazione del Governo, Padova, CEDAM, 1986, p. 381 ss.; P. GIOCOLI NACCI, Articolazioni interne del Governo. Gli organi non necessari, Torino, Giappichelli, 1995, p. 1 ss. Da altri, come G.F. CIAURRO, Ministro, cit., p. 524, si giustifica la nomina di ministri senza portafoglio in virtù dell’esistenza di una consuetudine costituzionale. 37 In dottrina, in questo senso, v. ad esempio A. RUGGERI, Il Consiglio dei Ministri nella Costituzione italiana, Milano, Giuffrè, 1981, p. 174 ss.; P. GIOCOLI NACCI, Articolazioni interne del Governo. Gli organi non necessari, cit., p. 4 s., i quali osservano che le attribuzioni costituzionali del Vicepresidente del Consiglio derivano non già dalle sue funzioni vicarie, quanto dalla carica ministeriale. 38 Senato della Repubblica, seduta di martedì 22 giugno 1948, p. 337 ss.

www.federalismi.it 10 Governo, presentato dall’on. Taviani, con 346 sì e 167 no su 513 presenti e votanti39; al Senato, invece, nella seduta del 2 luglio 1948 fu approvata la mozione di fiducia presentata dai senatori Conti, Lucifero, Montemartini e Zoli, con 184 voti favorevoli, 67 contrari e 4 astensioni su un totale di 255 votanti40. Sul punto, è interessante osservare che, nella circostanza richiamata, presso entrambi i rami del Parlamento si ritenne opportuno procedere adottando una mozione di fiducia41, il che denota l’opinione pressoché generale che si trattasse, a tutti gli effetti, di un nuovo Governo. Tuttavia, sarebbe stato più corretto ricorrere allo strumento della questione di fiducia, essendo quanto meno dubbia la possibilità di presentare una mozione di fiducia nei confronti di un Governo che abbia già ricevuto, all’atto della sua formazione, un voto di investitura42, benché – come si è visto – l’intesa vicenda fu influenzata dalla convinzione, condivisa da tutti gli attori politici, che si trattasse di un Governo appena costituito. Diverso, invece, l’approccio seguito nel prosieguo della legislatura, quando i mutamenti intervenuti nella compagine ministeriale indussero De Gasperi a discostarsi dal modus operandi adottato nei precedenti del dicembre 1947 e del maggio 1948. Il quinto Governo De Gasperi, infatti, rassegnò le dimissioni nel gennaio 1950, spinto in tal senso dai liberali dopo che i ministri socialdemocratici avevano lasciato il loro incarico per ragioni politiche interne. Il Presidente del Consiglio, in un primo momento, aveva infatti deciso di sostituire i ministri dimissionari, preferendo ancora una volta la soluzione del rimpasto43, ma fu successivamente indotto ad aprire una crisi formale, risolta in breve tempo con un reincarico e con la formazione di un nuovo Governo, il sesto guidato dallo statista trentino, basato sulla collaborazione tra democristiani, repubblicani e socialdemocratici e l’appoggio esterno dei

39 Camera dei deputati, seduta di mercoledì 16 giugno 1948, p. 457 ss. 40 Senato della Repubblica, seduta pomeridiana di venerdì 2 luglio 1948, p. 689 s. 41 In realtà, nei primi anni del periodo repubblicano permaneva alla Camera dei deputati la prassi statutaria di conferire la fiducia ad un nuovo Governo non già approvando una mozione di fiducia, così come previsto dall’art. 94 e dal regolamento, bensì attraverso l’approvazione di un semplice o.d.g. Sul punto, v. M. OLIVETTI, La questione di fiducia nel sistema parlamentare italiano, Milano, Giuffrè, 1996, p. 104 ss., il quale evidenzia che la prassi indicata sopravvisse sino alla formazione del Governo Scelba del 1954. 42 Sul punto, esiste un precedente relativo al secondo Governo Fanfani, nei cui confronti gli onorevoli Gui e Saragat presentarono una mozione di fiducia alla Camera dei deputati nella giornata del 4 dicembre 1958. La vicenda suscitò un acceso dibattito sull’ammissibilità della stessa, dibattito successivamente placato dalla decisione di trasformare la mozione in o.d.g., su cui poi il Presidente del Consiglio Fanfani pose la questione di fiducia. Al momento della votazione, che si tenne il 6 dicembre, il Presidente della Camera Leone dichiarò però di procedere con la votazione per appello nominale della «mozione Gui e Saragat di fiducia al Governo», che fu approvata con 294 voti favorevoli, 286 contrari e 2 astenuti. Sulla questione, in senso critico, v. S. TOSI, Modificazioni tacite della Costituzione attraverso il diritto parlamentare, Milano, Giuffrè, 1959, p. 91 s.; L. ELIA, Questioni relative al rapporto fiduciario con il governo, in Giurisprudenza costituzionale, 1960, p. 416 ss. Ammette la possibilità di presentare una mozione di fiducia anche in corso d’opera, invece, G.F. CIAURRO, Fiducia parlamentare, in Enciclopedia giuridica, vol. XIV, Roma, Treccani, 1989, p. 6. 43 Più in dettaglio, Bertone sostituiva Lombardo assumendo l’interim dell’Industria e commercio e Corbellini subentrava a Saragat assumendo l’interim della Marina mercantile.

www.federalismi.it 11 liberali. Medesimo lo scenario che caratterizzò la crisi dell’aprile 1951, dovuta ancora una volta all’uscita dal Governo dei ministri socialdemocratici per motivazioni interne strettamente correlate con l’imminente fusione con il troncone socialista del Psu. De Gasperi pensò allora di sostituire i ministri dimissionari44 e posticipare la crisi al periodo estivo, in modo da anteporvi lo svolgimento della tornata elettorale amministrativa. Nel luglio 1951, pertanto, nacque il settimo Governo De Gasperi, evento sollecitato però dallo stesso partito di maggioranza, nel quale emersero pesanti critiche verso la politica economica ed alcuni uomini di punta dell’esecutivo quali Sforza e Pella. Il nuovo Governo, basato sulla collaborazione tra democristiani e repubblicani, con liberali e socialdemocratici che si limitavano ad un limitato appoggio esterno sotto forma di astensione, rimase in carica per tutto lo scorcio residuo della prima legislatura, dovendo affrontare le tensioni legate alle elezioni amministrative del 1952 – in modo particolare a Roma con la nota «operazione Sturzo»45 – cui seguì la fase di approvazione, nell’imminenza della scadenza elettorale del 1953, della nuova legge elettorale, la «legge truffa»46. In entrambe le circostanze, il Presidente Einaudi finì per assumere un ruolo tutt’altro che determinante, limitandosi ad investire il Presidente del Consiglio dimissionario di un reincarico nel quadro di una sorta di «crisi-rimpasto» o «crisi pilotata». Del resto, in quel frangente egli non avrebbe potuto in alcun modo discostarsi da un approccio di tipo «notarile», che rifletteva indubbiamente la presenza di una leadership pressoché indiscussa nell’area di centro, oltre che – più in generale – il modo in cui venne concepita la funzione presidenziale nell’intera fase degasperiana47. Solo con l’avvento della seconda legislatura, nel 1953, si apriranno spazi per un ruolo marcatamente interventista del Capo dello Stato e non è certo un caso se – nel medesimo anno – il «notaio» Einaudi inaugurava, con la nomina di Pella, la stagione dei Governi del Presidente.

44 In particolare, Campilli sostituì D’Aragona ai Trasporti, La Malfa rilevò Lombardo al Commercio con l’estero e Petrilli successe a Simonini alla Marini mercantile. 45 Su cui, ex plurimis, v. A. D’ANGELO, De Gasperi, le destre e l’«operazione Sturzo». Voto amministrativo del 1952 e progetti di riforma elettorale, Roma, Studium, 2002, passim; A. RICCARDI, Il “partito romano”, cit., p. 143 ss. Sul difficile rapporto tra Pio XII e De Gasperi, che ebbe il suo culmine in occasione della richiamata vicenda, v. anche A. RICCARDI, Pio XII e Alcide De Gasperi. Una storia segreta, cit., p. 12 ss. 46 In argomento, v. G. QUAGLIARIELLO, La legge elettorale del 1953, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 69 ss.; M.S. PIRETTI, La legge truffa. Il fallimento dell’ingegneria politica, cit., p. 47 ss. 47 Si veda, in proposito, la lettura del settennato operata da A. BALDASSARRE - C. MEZZANOTTE, Gli uomini del Quirinale. Da De Nicola a Pertini, cit., p. 43 ss.

www.federalismi.it 12