Di Alessandro Gigliotti (Dottore Di Ricerca in Teoria Dello Stato E

Di Alessandro Gigliotti (Dottore Di Ricerca in Teoria Dello Stato E

* DE GASPERI E IL CENTRISMO: LA PRIMA LEGISLATURA REPUBBLICANA di Alessandro Gigliotti (Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate Sapienza – Università di Roma) 26 giugno 2013 Sommario: 1. Premessa. – 2. Le elezioni politiche del 18 aprile 1948. – 3. Il procedimento di formazione del quinto Governo De Gasperi. – 4. Il dibattito parlamentare e le votazioni fiduciarie. 1. Premessa. Per descrivere l’elasticità che caratterizza i poteri del Presidente della Repubblica nell’ordinamento costituzionale italiano si è soliti ricorrere alla metafora della «fisarmonica», il cui mantice si restringe e si espande a seconda del movimento ondulatorio impresso dal musicista. Detta metafora si adatta in misura particolare ad una delle principali attribuzioni presidenziali, quella di nomina del Governo, che la Costituzione repubblicana assegna sic et simpliciter al Capo dello Stato senza però delimitarne i contorni. Un potere, quello di nomina, fortemente condizionato dalle concrete dinamiche politico-istituzionali e che tende a modellarsi – come il mantice di una fisarmonica – a seconda del grado di stabilità del sistema politico, espandendosi conseguentemente nei momenti di crisi1. * Il presente articolo rientra nella Call for papers della Rivista sulla formazione dei Governi ed è stato sottoposto alla valutazione scientifica di un comitato composto dai Professori Beniamino Caravita, Vincenzo Lippolis e Giulio M. Salerno. 1 Sulla metafora della «fisarmonica», la cui paternità va attribuita a Giuliano Amato, v. ad esempio G. PASQUINO, La fisarmonica del Presidente, in La rivista dei libri, 1992, n. 3, p. 8 ss.; M. TEBALDI, Poteri e prassi federalismi.it n. 13/2013 Tale considerazione poggia anzitutto sulla stringatezza che connota il dettato costituzionale in relazione al procedimento di formazione del Governo, il quale vi dedica poche disposizioni e, peraltro, alquanto succinte: l’art. 92, comma secondo, in base al quale il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questi, i ministri; l’art. 93, che contempla il giuramento dei ministri nelle mani del Capo dello Stato. Come è stato giustamente osservato, le norme richiamate si limitano in realtà a definire esclusivamente la spettanza di un potere, attribuito al Capo dello Stato, ma non aggiungono nulla né sul procedimento correlato all’estrinsecazione del medesimo né sul grado di discrezionalità sotteso al suo esercizio2. Quanto al primo aspetto, un esame anche sommario della prassi seguita sin dal 1948 – talvolta in accordo con quella risalente al periodo statutario – dimostra però come le disposizioni costituzionali sul potere di nomina siano in realtà integrate da una serie di norme non scritte, di natura convenzionale o consuetudinaria, che con le prime concorrono a disciplinare l’iter formativo dell’organo Governo3. Quanto al secondo, invece, la disposizione di cui all’art. 92 va certamente letta congiuntamente a quelle contenute nell’art. 94, secondo cui il Governo deve avere la fiducia delle due Camere e deve presentarsi, entro dieci giorni dalla sua formazione, presso i due rami del Parlamento per chiedere un voto di investitura. Ne consegue, pertanto, che in un ordinamento a regime parlamentare il grado di discrezionalità è limitato nella misura in cui il Capo dello Stato deve nominare una personalità in grado di ottenere la fiducia della maggioranza presente in Parlamento4. È quindi evidente che il potere di nomina del Presidente del Consiglio è influenzato dal contesto politico-istituzionale, sicché in ordinamenti in cui le maggioranze parlamentari risultino già definite in sede elettorale, e in cui non vi siano dubbi sulla spettanza della leadership, il ruolo del Capo dello Stato ne esce notevolmente attenuato e ridotto ad una natura poco più che formale. Nell’ordinamento italiano, però, diversi fattori – tra cui, in particolare, l’elevato numero dei partiti, frammentati per giunta al loro interno, e la forte polarizzazione ideologica – hanno operato in senso opposto, conferendo al Presidente della Repubblica un margine di discrezionalità molto ampio non soltanto nella fase di nomina, ma del Presidente della Repubblica nel sistema politico italiano. Interpretazioni dell’esperienza maggioritaria, in Diritto e questioni pubbliche, 2011, n. 11, p. 419; V. LIPPOLIS - G.M. SALERNO, La repubblica del Presidente. Il settennato di Giorgio Napolitano, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 20 ss. 2 P.A. CAPOTOSTI, Presidente della Repubblica e formazione del Governo, in Scritti in onore di Egidio Tosato, vol. III, Milano, Giuffrè, 1984, p. 377. 3 G. ZAGREBELSKY, La formazione del governo nelle prime quattro legislature repubblicane, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1968, n. 3, p. 805 ss.; L. PALADIN, Governo italiano, in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, Milano, Giuffrè, 1970, p. 680 ss. 4 B. CARAVITA, Il Presidente della Repubblica nell’evoluzione della forma di governo: i poteri di nomina e di scioglimento delle Camere, in Federalismi.it, 2010, n. 22, ora in Studi in onore di Franco Modugno, vol. I, Napoli, Editoriale scientifica, 2011, p. 474 ss. www.federalismi.it 2 più in generale nella gestione delle innumerevoli crisi ministeriali intercorse negli anni successivi al 19535. In realtà, esistevano anche in Italia i margini per un’evoluzione istituzionale in senso primo- ministeriale, ipotesi che trovava riscontro in una certa lettura del testo costituzionale – proposta da un’autorevole dottrina – secondo cui le norme di razionalizzazione della forma di governo erano congegnate in modo da permettere una dinamica simile a quella inglese. In base al dettato costituzionale, infatti, il Governo avrebbe dovuto fungere da comitato direttivo della maggioranza parlamentare, mentre in seno all’esecutivo il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto svolgere, ai sensi dell’art. 95 Cost., un incisivo ruolo di direzione della politica generale6. Una forma di governo parlamentare a prevalenza del Governo e del Primo ministro, del resto, sembrò caratterizzare l’ordinamento nella prima legislatura repubblicana7, ma già con l’avvento della seconda le condizioni mutarono e l’instabilità politica rese determinante il ruolo del Capo dello Stato nella formazione degli esecutivi, consentendo la nascita di veri e propri Governi del Presidente. A partire da quel momento, gli «uomini del Quirinale»8 si ritagliarono uno spazio sempre più strategico, in modo particolare nelle fasi di maggiore instabilità nelle quali la «fisarmonica» si è estesa a tal punto da far sembrare inverata l’immagine di Esposito del Capo dello Stato quale reggitore del sistema nei momenti di crisi9. Nel corso della prima legislatura, per contro, l’andamento della forma di governo sembrava essersi incanalata nel solco del «modello Westminster», sebbene in virtù di alcune condizioni politiche peculiari e contingenti – la straordinaria vittoria elettorale conseguita dalla Democrazia cristiana in occasione delle elezioni politiche del 1948 e l’autorevole e carismatica leadership esercitata da Alcide De Gasperi nei confronti del partito di maggioranza – destinate a venire meno con la cessazione della legislatura stessa e con la crisi politica che nel 1953 investì lo statista trentino10. 5 G. FERRARA, Il Governo di coalizione, Milano, Giuffrè, 1973, p. 59 ss. 6 In questo senso, v. C. MORTATI, Le forme di governo. Lezioni, Padova, CEDAM, 1973, p. 432. 7 L. ELIA, Governo (forme di), in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, cit., p. 657; L. PALADIN, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 83. 8 L’espressione richiama il titolo del volume di A. BALDASSARRE - C. MEZZANOTTE, Gli uomini del Quirinale. Da De Nicola a Pertini, Roma-Bari, Laterza, 1985. 9 Tesi, com’è noto, esposta in C. ESPOSITO, Capo dello Stato, in Enciclopedia del diritto, vol. VI, Milano, Giuffrè, 1960, p. 232 ss. 10 Su tali aspetti, si rinvia alla ricostruzione operata in sede storiografica da G. BAGET-BOZZO, Il partito cristiano al potere. La Dc di De Gasperi e di Dossetti. 1945-1954, Firenze, Vallecchi, 1974, p. 445 ss.; P. CRAVERI, De Gasperi, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 593 ss.; F. MALGERI, La stagione del centrismo. Politica e società nell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1960), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, p. 130 ss.; M.S. PIRETTI, La legge truffa. Il fallimento dell’ingegneria politica, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 175 ss. www.federalismi.it 3 2. Le elezioni politiche del 18 aprile 1948. Ultimati i lavori costituenti ed entrata in vigore – il 1° gennaio 1948 – la Costituzione, il primo adempimento del nuovo ordinamento repubblicano era quello eleggere le due Camere del Parlamento. Le elezioni, indette per il 18 aprile 1948, si svolsero in un clima pesantemente influenzato dalle coeve vicende di politica internazionale ed assunsero pertanto una dinamica bipolare, dal momento che il confronto non investiva tanto due distinte offerte politiche, quanto due modelli politico-istituzionali antitetici: da un lato, vi erano i partiti che si ispiravano alla democrazia liberale di matrice occidentale ed all’economia di mercato; dall’altro, il blocco delle sinistre, che guardava invece con favore al sistema sovietico. In vista della tornata elettorale, in particolare, socialisti e comunisti decisero di confluire in una lista unitaria, denominata Fronte democratico popolare, ritenendo che tale soluzione fosse confacente alla conquista della maggioranza dei voti. Sul versante opposto, si collocava su tutti la Democrazia cristiana, la quale si ergeva a baluardo

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