La Criminalità Organizzata E I Consumi Alimentari: L'intermediazione E La Ristorazione

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La Criminalità Organizzata E I Consumi Alimentari: L'intermediazione E La Ristorazione UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E I CONSUMI ALIMENTARI: L’INTERMEDIAZIONE E LA RISTORAZIONE TESI DI LAUREA DI: Sofia Cavazzoni RELATORE: Prof. Fernando Dalla Chiesa CORRELATRICE: Dott.ssa Martina Panzarasa ANNO ACCADEMICO 2011/2012 LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E I CONSUMI ALIMENTARI: L’INTERMEDIAZIONE E LA RISTORAZIONE INDICE Introduzione p. 2 1° CAPITOLO – L’IMPRESA MAFIOSA 1.1 Fenomeni diversi, origini simili p. 4 1.2 Il contesto di sviluppo p. 5 1.3 Il mafioso imprenditore p. 15 1.4 L’impresa mafiosa p. 22 1.5 Il riciclaggio: “Separazione del bene dalla propria p. 28 provenienza” 1.6 Legislazione antimafia e antiriciclaggio p. 32 2° CAPITOLO – L’INTERMEDIAZIONE E I MERCATI GENERALI 2.1 L’intermediazione e il network criminale p. 37 2.2 Le agromafie p. 43 2.3 Un’intera filiera controllata: il caso “Rosarno” p. 51 2.4 Trasporti e mercati ortofrutticoli p. 58 2.5 L’ortomercato di Milano p. 64 2.6 Il sistema distributivo: il caso “Despar” in Sicilia p. 68 3° CAPITOLO – LA RISTORAZIONE 3.1 Dove c’è pizza c’è mafia p. 79 3.2 L’Operazione “Wall Street” e la famiglia Coco Trovato p. 91 3.3 L’Operazione “Cafè de Paris” e la famiglia Alvaro p. 104 3.4 L’Operazione “Megaride” e la famiglia Potenza – Iorio p. 112 3.5 La strage di Duisburg p. 121 Conclusioni p. 128 Bibliografia p. 132 1 LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E I CONSUMI ALIMENTARI: L’INTERMEDIAZIONE E LA RISTORAZIONE INTRODUZIONE La criminalità organizzata è un fenomeno che, sin da piccola, ha sempre attirato la mia attenzione. Mi chiedevo come fosse possibile che nessuno, in passato come oggi, sia mai riuscito ad arginare definitivamente un fenomeno che sembra avere le sembianze di un cancro che si nutre del nostro Paese oramai da più di un secolo. Ho deciso di scrivere questo elaborato per cercare di darmi una risposta, per provare ad arrivare all’origine del problema, unico modo attraverso cui trovare una soluzione. Diverse sono state le forze motrici che mi hanno dato la spinta per compiere quella che io definisco un po’ “un’impresa”, vista la facilità con cui è possibile ricadere nella banalità e la responsabilità che deriva di affrontare un tema così vivo e importante nella nostra società. La prima forza sono stati i miei genitori. Hanno saputo insegnarmi il significato della parola legalità, oggi purtroppo abusata e travisata, e il valore della collettività, del noi, del “possiamo sempre fare qualcosa” detto con le parole di Falcone. La seconda forza è stato il professor Dalla Chiesa che mi ha dotata degli strumenti per iniziare a comprendere questi fenomeni, per imparare a leggere “tra le righe” ciò che ci circonda e non far parte di quella che lui definisce “la comunità dei cretini”, tanto utile al proliferare delle organizzazioni mafiose. La terza spinta mi viene data quotidianamente da Don Ciotti. La sua forza mi stupisce e mi coinvolge a tal punto che ogni tanto penso che Luigi Ciotti non sia umano. Questo per me significa che davvero tutti possiamo fare qualcosa, che il mare è pieno di gocce, ma le gocce siamo noi e ogni tanto lo dimentichiamo. Questa tesi rappresenta per me un mezzo per rendermi “partecipe” al passaparola continuo e informato che si deve compiere quotidianamente, per sentirmi utile in questa lotta che non considero persa in partenza perché, proprio come diceva Falcone, “la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”. 2 La scelta di incentrare i miei studi sul ruolo che le organizzazioni criminali hanno all’interno del commercio, nello specifico nel settore dei beni di consumo alimentari, è dovuta al mio crescente interesse nei confronti del funzionamento dei meccanismi economici, parte ormai integrante della nostra società. La Mafia, la Camorra e la ‘Ndrangheta falsano, sotto molteplici aspetti, la realtà in cui viviamo causando danni insostenibili soprattutto all’interno del mondo imprenditoriale. In questo periodo storico l’Italia si trova in un contesto dove si può quasi intravedere il tramonto del libero commercio, dove le imprese criminali hanno ormai preso il sopravvento in ogni settore, falsando la concorrenza, il mercato, imponendo la loro presenza attraverso l’uso di metodi violenti e usurpando il territorio, avvelenandolo e riducendo in uno stato di quasi sudditanza i cittadini. Forse, estremizzando, possiamo dire di essere in un momento storico in cui la democrazia, “formata” come dice Don Ciotti “da tre gambe: dignità, giustizia e responsabilità” è un po’ in pericolo. Come fare, dunque, ad uscire da tale situazione? Come togliere il potere ai mafiosi? L’art. 416 bis c.p. e la Legge Libera del 1996 (legge 109/96) danno un duro colpo ai loro obiettivi, ma ad oggi non basta. Se lo scopo odierno delle organizzazioni criminali è quello di rendere legali i loro proventi, le loro imprese e i loro patrimoni illeciti, di quali mezzi possiamo disporre per evitare che ciò accada? Nella mia tesi azzardo una proposta in cui il “fattore” cardine è il denaro e soprattutto la sua provenienza. Partendo dal presupposto che oggi pecunia olet, quello di cui abbiamo bisogno è una ricostruzione della filiera del denaro, dalla sua origine al suo utilizzo finale. In qualità di consumatore, ciò che mi piacerebbe proporre è la creazione di un sistema di controllo che permetta la certificazione dell’origine del denaro e di conseguenza la possibilità di un immediato riconoscimento della trasparenza di un’impresa. Laddove venissero individuati adeguati meccanismi di controllo e di supervisione, il nostro diritto al libero arbitrio – mi riferisco alla possibilità di scegliere di spendere i miei soldi rivolgendomi ad una impresa certificata ‐ verrebbe tutelato e con esso si riuscirebbe a staccare la spina di alimentazione ai circuiti criminali. 3 1. L’IMPRESA MAFIOSA 1.1 Fenomeni diversi, origini simili L’origine dei fenomeni criminali di stampo mafioso può essere fatta risalire al periodo a ridosso dell’Unità di Italia. Nel diciannovesimo secolo, mentre nel Nord Italia si erano sviluppate numerose aziende agricole di considerevoli dimensioni e nel centro Italia si era diffusa la mezzadria che prevedeva la ripartizione degli oneri e dei ricavi tra il proprietario e il coltivatore, l’equilibrio nel Mezzogiorno e nelle Isole rimaneva molto instabile. In queste Regioni era presente una forte subordinazione al legame di tipo feudale, generato da anni di dominazione borbonica che aveva lasciato nella popolazione un malessere diffuso. A ciò si aggiunsero ostilità verso il nuovo ordine politico, percepito come forma di dominazione, che nulla di buono aveva portato a parte obblighi e leggi in vista del neonato Stato Italiano, verso cui era difficile provare senso di appartenenza. Questo clima di generale insoddisfazione causò la nascita di fenomeni irrompenti di banditismo che generarono problemi sociali e di sicurezza all’interno di questi territori ed in particolare verso coloro che ancora si consideravano feudatari, i proprietari terrieri. Questi ultimi decisero così di servirsi del brigantaggio piuttosto che subire la loro violenza ed è su questo tipo di rapporto che si fonderà la base per un elemento fondamentale della nascita e crescita delle organizzazioni criminali: la convivenza. Convivenza intesa proprio come un cum vivere, condizione che puntava ad una visione consuetudinaria del fenomeno e che non lasciava molto spazio ad elementi di transitorietà. Nasce dunque in questo periodo il consenso verso forme di violenza “legittimata” e strumentalizzata da parte dei potenti quali erano i proprietari terrieri, che se ne servivano quotidianamente come forma di protezione, di giustizia privata e personale o di intimidazione verso vicini altrettanto potenti. Si crearono così i presupposti per il passaggio da un fenomeno territoriale confuso e disgregato a veri e propri gruppi criminali strutturati. La grande novità fu la creazione di un vincolo associativo che prevedeva continuità e durata per mezzo di riti di affiliazione. La forza inedita di tali 4 gruppi era la capacità organizzativa che si traduceva in regole condivise e in una forte componente partecipativa. Un altro grande cambiamento avvenne con l’Unità d’Italia. L’abolizione formale e strutturale del feudalesimo lasciò il passo all’arrivo di una “prepotente” borghesia che divenne la nuova potenza sociale ed economica del Mediterraneo. Questa si arricchì attraverso l’appropriamento fraudolento delle terre e come conseguenza di tale comportamento era alla ricerca costante di protezione, utilizzando spesso strumenti di violenza privata. Il ceto popolare capì così ciò che “il mercato” chiedeva: organizzazioni in grado di esaudire i desideri dei nuovi borghesi. Questo fu lo stimolo decisivo per la creazione di gruppi, di associazioni criminali, formati da partecipanti assolutamente coscienti, con obiettivi a lungo termine e finalmente indipendenti. Tali gruppi criminali iniziarono pertanto a considerarsi attori autonomi non subordinati a padroni o a proprietari terrieri ma svincolati e liberi di dotarsi di regole proprie. Far parte di questi gruppi generò inoltre un cambiamento di status sociale. Più un’associazione era forte più riusciva ad attrarre potenziali adepti. Far parte di questi gruppi significava infatti migliorare la propria posizione sociale. In quel momento storico, fu un’associazione di criminali a dare spazio alle individualità e alla collettività, a dare voce ai più poveri e a farli sentire parte comunità, comunità che fino a quel momento non c’era mai stato, e che farà fatica ad avvertirsi anche nel futuro. 1.2 Il contesto di sviluppo A partire dagli anni Cinquanta del Novecento, decennio caratterizzato da una “rinascita democratica”, ci fu un periodo turbolento per le organizzazioni criminali italiane. Durante gli anni Sessanta lo Stato aveva assunto il controllo dell’esercizio dell’ordine sul territorio nazionale, creando la prima Commissione d’Inchiesta Parlamentare Antimafia e istituendo il cosiddetto confino, o soggiorno obbligato, che costringeva i pregiudicati ad abitare in una località ristretta determinata dalle autorità.
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