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X-Factor 2019 di Davide Fersini

Si conclude questa sera la tredicesima edizione del più spettacolare tra i talent-show musicali di lingua italiana. Edizione sottotono che verrà ricordata solo per le... carote!

Il lavoro duro batte il talento se il talento non lavora duro! E' questo l'arguto mantra ripetuto ossessivamente, a mo' di filastrocca, quasi in ogni puntata dalla regina indiscussa di X-Factor: , la Sfinge della discografia italiana, posta a guardia del giardino di delizie che si spalanca per i vincitori della fortunata gara canora. E non è un caso che l'ultima grande forma di strory-telling televisivo popolare, segua quasi pedissequamente le regole tracciate da Christopher Vogler nel suo libro “Il viaggio dell'eroe”, per delineare il percorso che i candidati all'ambito titolo devono seguire onde lasciare i cenciosi panni di squattrinati menestrelli da strada e vestire quelli stroboscopici di contesi ed ammirati idoli del pop. Un percorso che come quello di Frodo, di Harry Potter o di Luke Skywalker prevede il superamento di diversi ostacoli, la sconfitta in una prova importante, l'alleanza con sodali potenti e finalmente la vittoria sopra le forze del male... impersonate in questo caso dai giudici delle parti avverse. E così se Mara Maionchi è la Sfinge dai detti sibillini, diventa un'accalorata quanto pericolosa Pentesilea, sembra il bifronte Joker di Joaquin Phoenix e Samuel Romano, con quella bombetta sempre calzata sulla testa, ricorda un po' troppo Henri Landroux, l'ammazza-vedove di Gambais. Un dream-team di mostri, insomma, che ruba sempre più spesso la scena alle esibizioni e che consegna alla finale di questa tredicesima edizione, quattro giovani dal talento piuttosto risicato... A partire da , sedicenne di Civitanova Marche, voce sfiatata e sguardo vitreo, il cui inedito “A domani per sempre”, con il ritornello che wagnerianamente continua a posticipare la soddisfazione della tonica, sembra scritto apposta per consolare ed irretire le coetanee in attesa del primo bacio. Né meglio si può dire del rietino Davide Rossi, plastic-face ventunenne che, nascosto dietro il pianoforte prova a ritagliarsi una nicchia nel soul, auto-battezzandosi il Bublé italiano... Mah!!! A cassa dritta e basso marcato si sono fatti, invece, strada i Booda, gruppetto dalle buone potenzialità arrivato però in finale con un inedito dal testo nonsense e dallo scarsissimo appeal ritmico. Per quel che ci riguarda la vittoria va al duo trap de La Sierra, coppia di ventenni romani che ha avuto l'ardire di scrivere la frase: “Io che voleva te, solo quando te non voleva me”. E vogliamo sperare che lo slittamento grammaticale non sia un errore sintattico ma una finestra sulla lezione freudiana del Wo es war soll ich werden, in cui l'io gioca una partita il cui risultato è già stato stabilito nei recessi più profondi dell'alterità inconscia... proprio come la finale di questa sera.