Qfondazione G. Brodolini

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Qfondazione G. Brodolini Fuoanddeazrinoine G. Brodolini Q LE CULTURE DEL SOCIALISMO ITALIANO PROGRAMMAZIONE, CULTURA ECONOMICA E METODO DI GOVERNO A cura di Enzo Russo 5 Fondazioneuaderni G. Brodolini Q LE CULTURE DEL SOCIALISMO ITALIANO 5 Quaderni della Fondazione Giacomo Brodolini Collana “Le culture del Socialismo italiano” Direttore Enzo Bartocci Fondazione Giacomo Brodolini 00185 Roma - Via Solferino, 32 tel. 0644249625 fax 0644249565 [email protected] www.fondazionebrodolini.it Prima edizione: Roma, ottobre 2015 Stampato in Italia Come ordinare le pubblicazioni della Fondazione Giacomo Brodolini Per ordinare le pubblicazioni si prega di mandare una mail all’indirizzo [email protected]. ISBN 9788895380285 Tutti i diritti sono riservati Fondazioneuaderni G. Brodolini Q LE CULTURE DEL SOCIALISMO ITALIANO PROGRAMMAZIONE, CULTURA ECONOMICA E METODO DI GOVERNO A cura di Enzo Russo “Le culture del socialismo italiano: 1957-1976” Ricerca diretta da Enzo Bartocci VOLUME I Le culture politiche ed economiche del socialismo italiano a cura di David Bidussa e Andrea Panaccione VOLUME II Programmazione, cultura economica e metodo di governo a cura di Enzo Russo VOLUME III I socialisti e il sindacato a cura di Enzo Bartocci e Claudio Torneo VOLUME IV Il riformismo socialista al tempo del centro-sinistra a cura di Enzo Bartocci Indice Introduzione 7 di Enzo Russo Come nasce la cultura della programmazione in Italia e come i socialisti ne diventano protagonisti negli anni ’60 e ’70 13 di Enzo Russo Il riformismo socialista e il primo centrosinistra 73 di Manin Carabba Urbanistica e programmazione nel primo centrosinistra. Uno sguardo su saperi esperti e apparati pubblici 81 di Cristina Renzoni Politica industriale e programmazione da Vanoni a Giolitti 117 di Donatella Strangio La politica dei redditi nel rapporto tra sindacato e programmazione 165 di Antonio Foccillo e Enzo Russo 55 Ugo La Malfa e la sinistra democratica nel confronto con i socialisti: Nota aggiuntiva e politica dei redditi 197 di Paolo Soddu I socialisti e la programmazione: tra passato e futuro 211 di Franco Archibugi Discorsi di Antonio Giolitti e Ugo La Malfa al Senato della Repubblica 239 Seduta del 3 ottobre 1973 – Resoconti parlamentari Indice dei nomi 267 Introduzione di Enzo Russo Come ci ricorda Enzo Bartocci nella presentazione del progetto generale, “sul piano storico il tema della ‘programmazione democratica’ appartiene alla cultura del socialismo italiano”. Nel secondo dopoguerra, tuttavia, il discorso della pro- grammazione viene rilanciato prima dal Piano Marshall e quindi dalle agenzie specializzate delle Nazioni Unite che, prima di erogare gli aiuti, richiedono la pre- sentazione di piani di sviluppo. In forza di queste spinte, nell’ottobre 1948, in Italia veniva presentato il “PianoTre- melloni” (1949-53) e, alla scadenza di questo, lo schema Vanoni decennale. I go- verni che li avevano presentati erano centristi e i loro piani erano in buona sostanza proiezioni tendenziali sulla crescita dell’economia senza veri e propri strumenti di intervento. Nell’Italia degli anni ’50 e della Guerra Fredda, l’industria italiana era in fase di profonda trasformazione mentre rimanevano alquanto arretrati l’agricoltura ed il terzo settore. Rimanevano alti i divari territoriali tra Nord e Sud e altrettanto alta la disoccupazione e la disuguaglianza nei redditi e nei patrimoni. Il discorso della programmazione veniva strettamente collegato alle cosiddette riforme di struttura ossia ai cambiamenti nelle strutture produttive che dovevano per alcuni ammo- dernare il Paese e assicurare un tasso di accumulazione idoneo a mantenere alto il tasso di crescita economica, superare gli squilibri territoriali e perseguire la piena occupazione. Per altri, invece, dovevano promuovere la fuoriuscita del Paese dal sistema capitalistico dato che anche nella sua versione neocapitalistica il sistema sembrava non in grado di conciliare le sue profonde contraddizioni. Secondo lo stesso Giolitti (1958: 141) “l’abitudine di dare per univoco e ovvio il significato del termine riforme di struttura è stata ed è tuttora fonte di molti equi- voci... a seconda che l’accento veniva posto sulla parola riforme o su struttura. Nel primo caso, si intendeva riformismo, escludendo la necessità di un qualsiasi atto politico rivoluzionario; nel secondo caso la formula assumeva un significato eco- nomicistico per cui si doveva orientare tutta l’azione sulle strutture trascurando o sottovalutando le soprastrutture”. Giolitti esclude entrambe le implicazioni teori- 7 Enzo Russo che “che eludono il nesso tra struttura e soprastruttura e non tengono conto che la vera alternativa era tra riforme e rivoluzione, tra presa del potere o cambiamento dell’ordinamento giuridico prima o dopo le riforme di struttura”. Ed ancora a p. 144: “Senza dubbio, ciò che qualifica un procedimento di riforma non è tanto il limite posto alla vastità e profondità della trasformazione che con esso si vuole operare, quanto la sua gradualità, che è simultaneità di distruzione e costruzione, affermazione del nuovo insieme con la conservazione e il potenziamento di ciò che di valido è già nel vecchio. Volere la riforma di struttura non significa limitare la propria azione alla correzione e modificazione: riforma può benissimo significare trasformazione totale. Tale ha da essere la riforma delle strutture: queste infatti, per loro natura, rimangono sostanzialmente intatte e continuano a condizionare negli stessi termini essenziali la realtà economica, sociale, politica, se non ne vengono mutati gli elementi fondamentali”. Ecco che è solo nella seconda parte degli anni ’50, con il delinearsi dell’ipotesi di apertura ai socialisti che si precisa meglio il discorso delle finalità ultime delle riforme di struttura. Ma per altri le riforme di struttura erano “la sostanza della via italiana al sociali- smo” – come recentemente testimonia Alfredo Reichlin – e costituivano il Pro- gramma fondamentale del PCI approvato nel suo VIII Congresso (14/12/1956). Così l’esponente comunista proprio nella testimonianza in onore di Giolitti, con- tenuta in G. Amato (2012: 86), dove ammette di avere sbagliato in prospettiva sto- rica dicendo chiaramente che “il limite della visione anche la più democratica della via italiana al socialismo stava nella sua irrealizzabilità, quale che fosse il grado di autonomia dall’Urss”. Sulla visione ufficiale (ortodossa) del rapporto tra socialismo e riforme di struttura si veda Palmiro Togliatti, Rapporto (Rinnovare e rafforzare) all’VIII Congresso del PCI (8-14/12/1956), pubblicato in P.Togliatti, 1963, riprodotto in parti si- gnificative in Barca, Botta, Zevi (1975: 218 e sgg.). Sulle riforme di struttura come strumento di superamento del sistema capitali- stico e di transizione al socialismo è significativa ancora la posizione di Enrico Ber- linguer nel suo rapporto al Comitato Centrale del PCI (10/12/1974) – proprio alcune settimane dopo l’uscita dei socialisti dal governo – in cui pone: “la questione dell’indirizzo politico generale e dunque della direzione politica del paese nel qua- dro di ‘una nuova tappa della rivoluzione democratica che introduca nella società elementi di socialismo”. Ed è appunto sulla necessità di avviare un ‘processo di 8 Introduzione superamento progressivo della logica del capitalismo’ e sulle condizioni che lo ren- dono possibile che si va sviluppando nei primi mesi del 1975, il dibattito in pre- parazione del XIV Congresso (Barca, Botta, Zevi, 1975: 377). Né la posizione del PCI cambia dopo il successo elettorale nelle elezioni ammini- strative del 1975 e alla vigilia di quelle politiche del 1976 e della formazione del governo di solidarietà nazionale con l’appoggio esterno del PCI. È emblematica anche la posizione di Giorgio Napolitano (gennaio 1976: 123- 24), nella sua intervista a Eric Hobsbawn. In quegli anni, il futuro Presidente della Repubblica si occupava di questioni economiche e sociali. A Hobsbawn che con- statava: “ça va sans dire, siamo marxisti, e la persistenza della contraddizione a li- vello mondiale tra carattere sociale della produzione e appropriazione privata fa sì che molte delle previsioni di Marx a proposito delle tendenze del capitalismo co- minciano adesso a verificarsi”, Napolitano cita di rimando la straordinaria ondata di interesse per il marxismo alla fine degli anni ’60 specie tra i giovani. Ripren- dendo il discorso delle contraddizioni e storture del capitalismo aggiunge che “di- nanzi all’acuirsi, negli ultimi tempi di questa crisi, direi che per tutti noi il ritornare a Marx ha avuto il valore, spesso, di una riscoperta”, e richiamata per altro verso la crisi di sviluppo del pensiero e dell’analisi marxista, da un lato ricorda che il PCI nel suo statuto non si definisce come partito marxista (o marxista-leninista), dall’altro qualifica la sua come un’organizzazione politica che si ispira al marxismo, alle idee del marxismo: “E in quanto alla nostra pratica politica, attendiamo che qualcuno ci provi in che senso essa sia – come si è scritto – ‘assolutamente non marxista’. L’essenziale è che come partito nel suo complesso, e come quadro diri- gente del partito, noi ci confrontiamo sempre di più con la cultura marxista e la ricerca marxista, e sempre di più cerchiamo di stimolarne uno sviluppo originale dentro e fuori delle nostre file”. Ora se si tiene conto che in quegli anni cruciali Ford era succeduto a Nixon (co- stretto a dimettersi il 9 agosto del 1974) e che entrambi in materia di politica estera erano assistiti da Henry Kissinger, si capisce come
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