Salvatore Giuliano
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Tullio Kezich SALVATORE GIULIANO un film di Francesco Rosi Tullio Kezich SALVATORE GIULIANO un film di Francesco Rosi con la collaborazione di Alessandra Levantesi e un saggio di Francesco Renda © Tutti i diritti riservati Luce Cinecittà www.cinecitta.com Collana curata da Paola Ruggiero eBook a cura di Lorenzo Codelli realizzato da Immagine&strategia L’editore ringrazia gli autori per aver gentilmente fornito i testi per questo volume autorizzandone la pubblicazione Foto di copertina Francesco Rosi sul set di Salvatore Giuliano Le immagini e i video sono stati selezionati dagli archivi dell’Istituto Luce Cinecittà Sommario 4 INTRODUZIONE di LORENZO CODELLI 6 CERCARE LA VERITÀ di FRANCESCO ROSI 11 MISSIONE A PALERMO • DIARIO 73 DALLA STORIA AL FILM 150 PER UNA BIOGRAFIA STORICA DEL BANDITO GIULIANO di FRANCESCO RENDA 195 HANNO SCRITTO DEL FILM a cura di ALESSANDRA LEVANTESI 197 TUTTI I FILMATI INTRODUZIONE di LORENZO CODELLI Il volume Salvatore Giuliano di Tullio Kezich, finito di stampare in data 25 novembre 1961 dalle edizioni FM di Roma dirette da Henry L. Krasnig, era da lungo tempo introvabile. Un album rilegato di grande formato dalla sgargiante copertina rosso sangue, illustrato dalle fotografie scattate sul set da Gastone Antro e Pat Morini. Faceva parte della purtroppo effimera collana “Il cinematografo” diretta da Enrico Rossetti, nella quale era appena uscita la monografia illustrata dedicata a Divorzio all’italiana curata da Giorgio Moscon (finita di stampare il 18 novembre 1961). Com’è noto, il film di Pietro Germi e quello di Francesco Rosi erano stati girati in Sicilia quasi contemporaneamente, ambedue prodotti da Franco Cristaldi per Lux-Vides-Galatea. Trent’anni più tardi l’amico Kezich ha ripubblicato alcuni materiali nel catalogo Salvatore Giuliano, curato assieme a Sebastiano Gesù per gli Incontri con il Cinema di Acicatena nel luglio 1991. Nell’agosto 1999, in occasione della presentazione al Festival Internazionale del Film di Locarno della copia restaurata a cura di Cinecittà Holding di Salvatore Giuliano, Tullio Kezich ha rielaborato il suo volume originario in collaborazione con Alessandra Levantesi, aggiornando e ampliando le ricerche sul film di Rosi. Ne nacque una magnifica strenna, edita fuori commercio 4 da Cinecittà Holding all’epoca presieduta da Gillo Pontecorvo, che viene qui riproposta on line. Su invito di Roberto Cicutto abbiamo inserito una serie di materiali visivi selezionati dal vastissimo Archivio Cinecittà Luce disponibile sul sito http://www.archivioluce.com/archivio/ I servizi di cronaca assieme ai rari reportage sul film contribuiscono a ribaltare la leggenda secondo cui Rosi avrebbe girato un “documentario” anziché una delle epopee più complesse, influenti e sfaccettate del cinema mondiale. Chi intende addentrarsi nel labirinto di riferimenti tra finzione, verità, cronache giornali- stiche, può dotarsi oggi di ulteriori strumenti conoscitivi di prima mano forniti dallo stesso Rosi grazie al deposito del proprio archivio personale presso il Museo del Cinema-Fondazione Maria Adriana Prolo di Torino diretto da Alberto Barbera. Avendo avuto il piacere di coordinare, assie- me a Rosi e a Maria Procino, il trasferimento e la schedatura di questo inestimabile patrimonio, rinvio il lettore al sito http://www.museonazionaledelcinema.it/collezioni/Rosi.aspx?l=it/ Oltre all’indice dettagliato dell’Archivio Francesco Rosi, e alla vasta mole di materiali ri- guardanti Salvatore Giuliano, vi si possono leggere i testi completi della scaletta, dello schema del film e della sceneggiatura di lavorazione annotati dal regista. Ovvero, il “metodo Rosi” nel suo svolgersi quotidiano proprio com’era stato descritto dal testimone Tullio Kezich. Intendiamo così festeggiare anche sul web il novantesimo anniversario di un grande mae- stro, del cinema e della dialettica storica 5 CERCARE LA VERITÀ di FRANCESCO ROSI Cercare con un film la verità non significa voler scoprire gli autori di un crimine, ciò spetta a giudici e poliziotti, i quali lo fanno a volte a prezzo della vita e a loro va il nostro pensiero riconoscente. Cercare con un film la verità significa collegare origini e cause degli avvenimenti narrati con gli effetti che ne sono conseguenza. Significa leggere nel buio dei patti scellerati tra i poteri corrotti e quelli mafiosi, alla poca luce che li rischiara. Significa rappresentare ambienti, personaggi e momenti storici nella loro realtà, secondo una interpretazione responsabile e senza invenzioni fantasti che, nessuna fantasia può risultare più ricca di tensioni e di emozioni che la vita stessa. Queste convinzioni sono alla base di un mio modo di fare cinema che dal film Salvatore Giuliano prese avvio. 6 Rivolgersi ai dibattiti di un processo giudiziario, riprodurne, sia pure parzialmente, lo svolgimento, può condizionare la libertà creati va, ma condizionare non vuol dire rinunciare; né si pretende che un film assuma valore di documento, anche se sotto certi aspetti lo è, seb bene alcuni elementi di verità risulteranno necessariamente e inevita bilmente mancanti. Ma sono quelli che ancora oggi mancano alle verità processuali e che solo una completa revoca del segreto apposto alle carte custodite negli Archivi di Stato potrà portare a conoscenza, nel caso improbabile che la congiura del silenzio tra istituzioni, politica e mafia sia venuta a mancare. Più film si potranno ancora fare come è già avvenuto pren dendo spunto dagli avvenimenti che il mio film racconta, e potranno portare, si spera, nuovi elementi alla conoscenza della verità su di un mistero ancora oggi avvolto nel mistero. Nel 1960 volli affrontare un discorso sul cadavere di un giovane bandito diventato il nemico dello Stato italiano, morto dieci anni prima in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine secondo la versione uffi ciale, in verità ucciso a tradimento per opera della mafia e consegna to morto allo Stato nel quadro della collusione tra il potere politico, quello delle istituzioni e quello della mafia. Nacque così Salvatore Giuliano. Mi affidai all’intuizione che avevo maturato in Sicilia, che solo a condizione di ricostruire gli avve nimenti nei luoghi dove erano realmente accaduti, e con la partecipa zione della gente che li aveva vissuti solo pochi anni prima, mi sarei sentito capace di tentare, e che sarebbe stato “morale” tentare in quel la maniera: “morale”, in quanto una operazione del genere comporta un alto senso della responsabilità nei confronti di fatti e uomini real mente vissuti. Il film, più che raccontare l’uomo Giuliano, si propose la conoscenza di un momento storico della vita del nostro Paese, che aveva visto la Sicilia coinvolta in un progetto separatista politico e mili tare; si preoccupò di far conoscere meglio Sicilia e siciliani, ricchi di storia e cultura, ma non sempre facili da conoscere e capire; e di pre sentare la mafia al di là di ogni tentazione pittoresca, nella sua realtà di potere criminale, economico e politico internazionale, reso forte dalla violenza e dal ricatto della morte, ma più ancora dalle connivenze e dalle complicità con politica e istituzioni corrotte, e dalla “tolleran za”, ineffabilmente ammessa da alcuni responsabili, che il potere eser citava nei suoi confronti. Là dove la tolleranza, pur non essendo in se stessa un crimine, lo costituiva. A sinistra il vero Salvatore Giuliano nel cortile di Castelvetrano (5 luglio 1950) e accanto il bandito morto, nel film di Francesco Rosi 7 Rosi gira la scena di Portella della Ginestra; commento fuori campo irridente, come andava di moda Fu traumatico sentir dire in un film dall’interno della gabbia degli imputati del processo per i fatti di Portella della Ginestra la prima strage politica consumata nel nostro Paese il 1° maggio 1947, e il primo dei misteri italiani irrisolti che “mafia, polizia e carabinieri erano una sola trinità”; o che mentre carabinieri, poliziotti e soldati gli davano la caccia, Giuliano si abbracciava con l’ispettore del Corpo Forze Repressione Banditismo; o vedere che il bandito si recava tranquillamente nel suo paese, Montelepre, presidiato da 2000 tra poli ziotti, soldati e carabinieri. Fu traumatico, ma andò ben oltre il cla more scandalistico, come non si era fermato allo scandalo l’articolo di Tommaso Besozzi, il grande giornalista che aveva rivelato su “l‘Europeo”, all’indomani del ritrovamento del corpo di Giuliano in un cortile di Castelvetrano, che ad ucciderlo non erano stati i carabi nieri, ma un patto tra la mafia e lo Stato. Anteprima di Salvatore Giuliano a Montelepre alla presenza di Francesco Rosi, Franco Cristaldi, Frank Wolff 8 Francesco Rosi al cinema Ariston di Roma, al dibattito sul film organizzato dal Circolo Giacomo Matteotti Francesco Rosi riceve la Grolla d’oro (1962) Nel mio film, raccontato con il metodo dell’inchiesta e con una libertà di scrittura innovativa che accostava gli avvenimenti in ragio ne di ciò che significavano, più che per l’ordine cronologico in cui erano successi, la denuncia significò innanzitutto conoscenza di fatti e di uomini, e poi provocazione per un dibattito che ristabilisse dignità, forza morale e credibilità là dove si era persa. Conoscenza di uomini, ma anche rispetto e pietà per una terra e per i suoi figli che combatte vano contro arretratezza e sopruso e contro il potere di vita e di morte della mafia. La pietà la devo alla partecipazione dei siciliani che ave vano patito quegli avvenimenti. Il film per essi si mutò in uno psico dramma collettivo che diede valenza umana autentica a una rappre sentazione di finzione cinematografica. Per questo, erroneamente, alcuni parlarono di documentario, e con questo pretesto fu respinto dalla commissione della Mostra del Cinema di Venezia, mentre venne poi premiato a quella di Berlino. Non era cinema documentario, ma documentato al fine di restituire brandelli di verità e far riemergere emozioni vere da una non placata memoria. 9 MISSIONE A PALERMO diario La retata di Castelvetrano nel film salvatore Giuliano Nelle redazioni dei giornali capita spesso che le foto d’archivio del caso Giuliano siano scambiate per immagini del film di Rosi e viceversa.