L'elezione Del Doge E La Caduta Della Serenissima

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L'elezione Del Doge E La Caduta Della Serenissima I quaderni della Contea Numero 3 L’ELEZIONE DEL LA CADUTA DEL COLOSSO DOGE E LA MEDITERRANEO CADUTA DELLA SERENISSIMA Il retaggio della più longeva repubblica della storia PAGINA 1 Sommario La Leggenda del Doge ..................................................................................................... 3 L’ordinamento politico della Repubblica ....................................................................... 4 L’elezione del Doge ......................................................................................................... 6 Pronostici sulla caduta della Repubblica ....................................................................... 8 La crisi del Dogado .......................................................................................................... 9 L’inizio della fine ............................................................................................................ 10 L’invasione della Terraferma ......................................................................................... 11 La debole reazione veneziana ........................................................................................ 12 La debolezza di Venezia ................................................................................................. 14 Le Pasque Veronesi ........................................................................................................ 16 La caduta della Repubblica ........................................................................................ 17 L’inaspettata rivolta antifrancese ...............................................................................19 I provvedimenti della Municipalità ........................................................................... 21 SITOGRAFIA/BIBLIOGRAFIA ...................................................................................... 24 PAGINA 2 “Viva il Doge e la Repubblica!” La Gioconda, atto I, scena I (Amilcare Ponchielli) LA LEGGENDA DEL DOGE La leggenda della nascita del “Serenissimo” si perde negli oscuri meandri e nelle sconosciute anse della laguna veneta del VII secolo dopo Cristo. E’ una figura al centro del mistico ambiente bucolico-marinaro frutto della riunione del panorama campagnolo-lagunare (nella figura delle 12 famiglie apostoliche) con tanto di benedizione patriarcale ad Eraclea. La crème aristocratica e clericale della Venetia Maritima si riunisce e dà alla luce il suo Doxe. Ma tutto questo è solo uno scenario propagandistico. La storia è molto più semplice e senza dubbio molto meno poetica: il duca-ipato [console] era un semplice legato di Bisanzio, una testa di legno coronata, il cui rapporto col potere all’ombra dell’Esarca di Ravenna veniva fin troppo spesso reciso dalle spade dei magistri militum. Grazie ad uno sgarro nel compromesso iconoclastico che quasi per errore lo elevò al vertice della comunità lagunare, la sua figura (e lo stato che essa rappresentava) divenne quasi indipendente. Si mascherava con titoli imperiali bizantini, stava al gioco della dipendenza dall’impero d’Oriente, sognando al contempo l’autonomia. Autonomia che alla fine arrivò, garantita dall’assemblea popolare e dal placet di una Bisanzio che lentamente si stava ritirando dalla penisola per la spinta di Longobardi e Franchi. Il governo della Serenissima ebbe fin da subito un carattere fortemente aristocratico e basato sul modello bizantino, il dogado si proclamò “protospatario” strizzando contemporaneamente l’occhio a Carolingi e Ottoni: due piedi in due staffe insomma, per PAGINA 3 poi andare a briglia sciolta al momento opportuno. Ma quanto più il doge si faceva sovrano assoluto, tanto più la sua vita era in pericolo. Nei primi 300 anni dell’istituzione dogale infatti, su 28 Dogi eletti 14 vennero deposti da sommosse o da colpi di stato, 4 abdicarono e 1 morì in guerra; in pratica solo 9 riuscirono a morire nel loro letto. Questi continui fatti di sangue portarono le famiglie patrizie a formulare un assioma che garantisse stabilità al governo: la progressiva perdita di potere può diventare per il doge una forma di assicurazione sulla vita. Nel 1130 venne così istituito un organo collegiale chiamato Commune Veneciarum, i cui poteri furono successivamente delegati al Maggior Consiglio (creato nel 1259 che nel corso dei secoli andò da un minimo di 321 a un massimo di 2570 patrizi), il consiglio dei patrizi veneziani, per organizzare e amministrare la vita politica della città. Ma le morti violente dei Dogi continuarono ad essere troppe, e le famiglie patrizie si resero conto che la sopravvivenza dello Stato era seriamente in pericolo, e stabilirono così di riformare una volta per tutte il sistema politico veneziano. Fu la “Serrata” del Maggior Consiglio del 1297 voluta dal Doge Pietro Gradenigo, che sancì il totale predominio del patriziato veneziano come classe detentrice del potere: fu l’apoteosi dell’immobilismo politico, la struttura statale venne appiattita da un’oligarchia caratterizzata da centinaia di cariche, delegazioni e partecipazioni tra le quali anche la sovranità del Maggior Consiglio venne diluita in mille rivoli, permettendo in questo modo che il potere fosse nelle mani di tutti e di nessuno, meno che mai del Doge. Ogni membro del governo o dipendente statale che fosse era indispensabile per muovere la mastodontica macchina della burocrazia, anche se nessuno lo era realmente: tutti erano sostituibili, ma se venivano a mancare l’ingranaggio statale si inceppava. Questa riforma, per quanto senza dubbio antidemocratica, garantì una stabilità granitica all’apparato statale veneziano: al Commune Veneciarum subentrò così la repubblica aristocratica basata sul ceto sociale. Le grandi gens veneziane infatti furono così divise in quattro ceti: la Nobiltà, cioè le famiglie che avevano diritto a sedere nel Maggior Consiglio; le Senatorie, casate ricche che non avevano il diritto patrizio ma che potevano sostenere gli oneri finanziari delle alte cariche dello Stato; le Giudiziarie, famiglie che traevano benefici dalle cariche remunerate e per finire le Barnabotte, chiamate così perché concentrate nella zona di San Barnaba, famiglie nobili o alto-borghesi meno abbienti che vivevano all’ombra di altre più nobili. In questo modo, successivamente alla “Serrata” del 1297 l’ordinamento politico veneziano si articolò in maniera radicalmente differente. L’ORDINAMENTO POLITICO DELLA REPUBBLICA A capo dello Stato, delle magistrature e del Maggior Consiglio c’era il Doge, eletto a vita dopo una complessissima elezione. PAGINA 4 Il Doge era affiancato dal Cancellier Grande, suo consigliere speciale, un incarico a vita e massimo grado tra i funzionari della Repubblica. Lo Stato in sé era amministrato dal Minor Consiglio, composto dal Doge e da 6 consiglieri all’origine eletti dalla cittadinanza dei sei sestieri di Venezia. Il Doge prendeva parte alle sedute del Senato, o Consiglio dei Pregadi, che presiedeva alla politica estera e derivato dal Maggior Consiglio, inizialmente composto da 60 membri che nei secoli, dopo varie zonte, raggiunsero i 300. Il Collegio era il comitato direttivo del Senato, e aveva il compito di dirimere l’ordine del giorno e verbalizzare le sedute. Dal Senato procedevano i Savi, divisi in Savi Grandi, Savi di Terraferma e Savi agli Ordini, che amministravano in veste di ministri gli affari di guerra, di governo e di mare. Almeno 10 Savi, assieme al Minor Consiglio e al Doge stesso, facevano parte del Consiglio dei Dieci, una sorta di KGB ante litteram che aveva compito di vigilare sulla sicurezza dello Stato da trame eversive e complotti (fu infatti creato nel 1310 in occasione della congiura di Baiamonte Tiepolo, Badoero Badoer e Marco Querini). Contrariamente al nome, il numero minimo perché il Consiglio potesse operare era di 12 componenti Doge escluso. Questo organo subiva il controllo degli Avogadori di Comun, che non avevano diritto di voto ma con la loro presenza garantivano la regolarità delle sedute. Una filiazione del Consiglio dei Dieci sono i tre Inquisitori di Stato, soprannominati dal popolo Babài, il cui compito era quello di tribunale speciale, inquisizione e direzione del controspionaggio. Staccata da tutti gli altri organi c’era la Quarantina, o Consiglio dei Quaranta, che era la suprema corte di appello dello Stato, ramificata in tre Consilii nei settori Criminale, Civile Vecchia e Civile nuova. Chi, per qualsiasi motivo, rimaneva assente per tre settimane consecutive decadeva automaticamente dalla carica. Va necessariamente ricordato che tutti i senatori, Doge compreso, non percepivano alcun compenso per il loro lavoro all’interno degli apparati statali, mentre i funzionari di ceto medio erano regolarmente retribuiti. Senatori e Doge infatti svolgevano una missione, e per questo dallo Stato ricevevano appena l’appannaggio delle spese, tanto che il carico di lavoro e responsabilità del Doge era così elevato che, quando vi era la possibilità di essere eletti, molti nobili preferivano non rendersi disponibili trattenendosi fuori dai confini della Serenissima. La carica di Doge era infatti una non-carica, poiché deteneva il potere ma non era autorizzato ad usarlo. Se tentava il colpo di testa come Marino Falier, ce la rimetteva; se raggiungeva la gloria personale in guerra e il suo prestigio aumentava troppo, come Francesco Foscarini, era “pregato” di abdicare. PAGINA 5 L’ELEZIONE DEL DOGE Dunque il futuro Doge, prima della sua elezione, doveva depositare l’intera documentazione del suo stato patrimoniale (in pratica l’estratto conto e le cartelle fiscali), e alla
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