Marino Zorzi I Domini Veneziani in Istria E Dalmazia

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Marino Zorzi I Domini Veneziani in Istria E Dalmazia Marino Zorzi I domini veneziani in Istria e Dalmazia e l’istituto rettorale (testo integrale della relazione tenuta il 17 febbraio 2012) Fino alla fine del secolo XI il Ducatus Venetie era l’avamposto dell’Impero d’Oriente nell’Italia settentrionale, una provincia, sia pur dotata di larga autonomia. Gli amplissimi privilegi concessi ai Venetici nel 1082 dall’imperatore Alessio Comneno, per compensare l’efficace aiuto da essi fornito contro i Normanni, e le possibilità di espansione offerte dalle crociate fecero sì che l’autonomia del Ducato si estendesse fino ad una completa indipendenza di fatto. Da un lato Venezia resiste in armi all’imperatore Giovanni, che vorrebbe revocare le concessioni del predecessore, dall’altro in varie città occupate dai crociati si formano colonie veneziane, legate solo alla madrepatria. Il governo ducale vi invia dei baili, che dirigono gli affari della colonia, giudicano le liti fra i venetici, rappresentano la città madre di fronte ai vicini, amici o nemici. Il termine, non usato prima a Venezia, è forse mutuato dai crociati: il bailo, balivo, baiulo (che si trova anche in Dante), in Francia bailly, baile, in Inghilterra bailiff è appunto un alto funzionario statale. Come noto, nella laguna il sistema feudale non entrò mai: a Costantinopoli esso non esisteva fino alle crociate, essendo estraneo al diritto romano, ancora vigente nell’Impero. Quindi la supremazia adriatica che Venezia acquisisce già nel IX secolo, come dimostrano i compiti di polizia marittima ch’essa svolge in nome di Costantinopoli, con alterna fortuna, nei confronti di Saraceni e Slavi, non comporta un dominio di tipo feudale nei confronti delle città costiere. Anche la spedizione dell’anno Mille, in cui Pietro Orseolo riceve l’omaggio delle città istriane e dalmate, non sembra si traduca in una sudditanza formale (tuttavia Carlo Guido Mor parla di un senioratico del dux); d’altro canto difficilmente il potentissimo Basilio II, che governava con ferrea energia l’Impero allora all’apogeo, avrebbe consentito ad una limitazione della sua sovranità. Alla metà del secolo successivo si verifica un fatto nuovo, che condizionerà la storia dalmata: il regno di Ungheria incomincia il suo sforzo secolare per affacciarsi all’ Adriatico. Zara per qualche tempo diviene dominio ungherese, col favore di una parte dei cittadini; il doge Domenico Contarini ricupera dopo poco tempo la città all’Impero, ma la lotta sarà ormai continua, alimentata dagli opposti partiti, filoveneto e filoungherese, che si contenderanno il predominio nelle città fino alla definitiva affermazione veneziana nel Quattrocento. Nel 1107 il re Colomano si insignorisce di Zara e di Spalato, inviandovi un conte. Nel 1123 il doge Vitale Michiel II ristabilisce la supremazia veneziana; più tardi, dato l’allentarsi dei vincoli con l’Impero d’Oriente (l’imperatore Manuele arriverà nel 1171 a ordinare l’arresto dei Veneziani in tutto l’Impero e la confisca delle loro mercanzie), Venezia agisce in proprio e nomina nel 1160 dei conti a Zara, Ossero, Arbe. Il titolo e i poteri ricalcano quelli di cui godevano i governanti ungheresi: Venezia si adegua alla situazione e alle consuetudini dei luoghi, obbedendo a criteri politici che seguirà costantemente. L’esperimento dura poco, prevale di nuovo negli anni ottanta il partito ungherese. Le vicende dell’Istria presentano forti analogie con quelle dalmate. L’antica unità tra il Ducatus Venetie e l’Istria si spezza quando i Longobardi, tra il 768 e il 772, conquistano la penisola istriana; permane invece quella ecclesiastica, essendo l’Istria e il ducato compresi nel patriarcato di Grado. Ma anche questa unione cessa nel IX secolo, quando l’Impero franco, subentrato al regno longobardo, fa sì che l’Istria si assoggetti alla giurisdizione del patriarcato di Aquileia. Venezia, che mantiene la supremazia marittima in nome dell’Impero d’Oriente, non perde il contatto strettissimo con le città della costa. Nel 932 il legame con Giustinopoli (o Capodistria) viene consacrato in un patto formale: la città viene dichiarata “federata”, e promette “fidelitas” al dux, impegnandosi a fornire annualmente “vini boni amphoras centum”. Isola d’Istria si dà a Vitale Candiano nel 973. Solo molto tempo dopo, nel 1145, Pola promette, o conferma, la sua “fidelitas”. Il marchese d’Istria, vassallo diretto dell’Imperatore Germanico, non è presente all’atto, ma vi interviene un “comes”, Enrico, suo vassallo (l’Istria era divisa allora in tre contee, Carsia, Istria e Pola). L’anno stesso Giustinopoli conferma l’antica “fidelitas”. In cambio della protezione marittima veneziana, le due città si impegnano ad armare a loro spese, in caso di guerra, una galea, fornita da Venezia. Seguiranno nel 1150 i patti con le altre città della costa. L’alta sovranità rimane dunque all’Imperatore germanico, da cui dipendono il marchese e i conti; le città costiere, in cui fiorisce ormai la civiltà comunale, coltivano un legame particolare con Venezia, che si aggiunge all’altro. La quarta crociata segna un mutamento profondo. Già all’avvio, nel 1202, l’armata crociata ricupera Zara a Venezia. Poi l’imprevisto evento della conquista di Costantinopoli fa sì che il doge divenga un’autorità del tutto indipendente, anche formalmente, non solo dall’Impero Germanico, cui mai Venezia era appartenuta, ma anche da quello Romano d’Oriente, da cui il dux eredita dignità, insegne e cerimoniale. Venezia acquista vasti domini: quella quarta parte e mezzo dell’Impero di Romania che riesce solo in parte a occupare. A Costantinopoli riceve una porzione analoga della città e nomina ad amministrarla un “potestas”, podestà, Marino Zeno. Il termine è largamente usato nel mondo comunale a designare un forestiero stimato e autorevole, estraneo al comune, chiamato a governare la città quando questa non riesce a risolvere le lotte intestine. Lo spiega anche Dante, quando parla dei due “frati gaudenti” Catalano e Loderingo, “da tua terra presi come suol esser tolto un uom solingo per conservar sua pace”. Spesso i nobili veneziani, che godevano di larga fama per equità e capacità di governo, erano chiamati all’incarico in varie città italiane. A Costantinopoli il caso è ovviamente diverso, ma risalta il fatto che si tratta di un funzionario temporaneo. Al podestà, dopo la caduta dell’Impero latino e il ritorno del legittimo imperatore greco, subentrerà nel 1268 il bailo, con analoghe funzioni di capo della comunità veneziana e di ambasciatore, prima presso il sovrano bizantino poi presso il sultano turco, fino al 1797. A Creta, l’unico territorio che Venezia cerca di colonizzare direttamente, si crea una struttura analoga a quella della capitale lagunare: la governa un duca, temporaneo, nominato da Venezia, assistito da consigli modellati su quelli della madrepatria. A Modone e Corone si invia un castellano. Nelle isole dell’Egeo Venezia non ha i mezzi per imporre il proprio dominio diretto e fa quindi ricorso alle istituzioni feudali: Marco Sanudo viene nominato duca di Nasso, e da lui vagamente dipendono vari signori feudali minori, tutti nobili veneziani. Le vicende di queste famiglie si intrecciano con quelle dei feudatari franchi e italiani dell’Impero latino; molte sopravviveranno fino alla conquista turca. Nell’organizzazione del dominio di Levante risalta quella flessibilità che caratterizza la politica veneziana, quella capacità di adattare le soluzioni alle condizioni e tradizioni di luoghi e società diverse, cui si è già accennato. Tornando al mondo adriatico, a Zara, ricuperata come si è detto nel 1202, e nelle altre città dalmate vengono inviati magistrati, la cui durata in carica è temporanea, col vecchio titolo di conte: nel 1220 Nicolò Querini a Cherso, nel 1237 Giovanni Dandolo a Ragusa, nel 1236 Marco Mastropioero ad Arbe. Spalato e Traù non sono soggette. Nel 1278 si invia a Lesina un podestà. Nel 1254 il conte Marsilio Zorzi riesce a rimanere “comes perpetuus” a Curzola, altrettanto ottiene Ruggero Morosini ad Arbe: ma sono casi eccezionali, la regola è la temporaneità. Il titolo è solo una rievocazione del passato. In Istria nel Duecento alla pacifica coesistenza tra l’entroterra imperiale e la costa legata a Venezia subentra una situazione conflittuale: ciò quando l’imperatore Federico II investe il patriarca Wolchero, poi il successore Bertoldo di Andechs, della marca d’Istria, prima infeudata alle grandi case tedesche degli Andechs e degli Sponheim, che poco se ne curavano. I patriarchi cercano di affermare la loro autorità, a danno dei comuni costieri e di Venezia. Una soluzione esemplare è quella cui riesce a pervenire Pirano, che ottiene nel 1231 un equilibrato accordo: al Patriarca si riconosce l’ “honor regalis”, salvi l’ “honor Venecie” (l’antica “fidelitas”), e le libertà comunali. Ma altrove gli scontri sono gravi, in particolare tra Venezia e Pola, che nel 1242 viene presa e saccheggiata. Il patriarcato mostra la sua debolezza quando nel 1267 il patriarca stesso, Gregorio di Montelongo, viene fatto prigioniero dal conte di Gorizia, avvocato della chiesa aquileiese, che persegue senza scrupoli il proprio interesse. L’anno stesso il comune di Parenzo, fiero della sua autonomia minacciata da Capodistria, chiede a Venezia l’invio di un console e di un presidio: Venezia manda un podestà. Nel 1269 Umago segue l’esempio di Parenzo. L’anno dopo Cittanova offre la “subiectio”. Capodistria, alleatasi al conte di Gorizia, attacca Montona e Isola, veneziane, ma viene sconfitta e si sottomette nel 1278. Nel 1283 si danno a Venezia Pirano e Rovigno. Rimane al patriarca Trieste, con cui gli scontri sono durissimi; per mantenere la propria indipendenza di fatto la città si sottomette al duca d’Austria. Tornerà a Venezia solo dal 1368 al 1380, poi di nuovo per breve tempo nel 1508-9. Pola riesce a destreggiarsi abilmente tra Venezia e il patriarcato sotto la guida dell’antichissima famiglia dei Sergi, detti de Castropola perché il patriarca ha affidato loro il castello che sovrasta la città; essi riescono a dominare il comune sino a farsene veri signori, come accadeva in tante città italiane, ma commettono l’errore di farsi nemica Venezia, che - forte anche di un partito cittadino a lei favorevole - li rovescia ed esilia nel 1331.
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