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Progetto “ CHI SONO ?” note sui nomi delle vie di CESENA

Scheda relativa a : AZEGLIO VICINI

Azeglio Vicini, figura di grande spessore dello sport e del calcio nazionale, nacque nelle campagne di Cesena, alla “Cascina Rossa” (frazione San Vittore), il 20 marzo 1933. Il padre Giuseppe, detto “Giovanni”, originario di via Cupa (frazione Tipano), era nato nel 1892 e di professione faceva il mezzadro, mentre la madre Maria Dall’Ara era nata nel 1894. Azeglio era l’ultimo di sette fratelli: Amos Augusto (1917), Iva Nerina (1918), Fiorina Alma (1919), Florindo (1920), Alma Silvana (1926) e Renzo (1928). Un altro fratello di nome Azelio era nato dieci anni prima di lui (1923), ma morì prematuramente nel 1929. La famiglia andò ad abitare a Massa di Settecrociari al civico 9, poi si trasferì a San Carlo, lungo la provinciale, al civico 174. In seguito alla morte del padre, il 6 giugno 1938 Maria e i figli emigrarono a Cesenatico, in via Mazzini, e Azeglio cominciò a frequentare la scuola; la sua maestra era la madre di Giorgio Ghezzi, detto il “kamikaze”, indimenticato portiere dell’Inter, del Milan e della Nazionale negli anni cinquanta. Azeglio era bravo a scuola, tanto che la madre Maria desiderava per lui una carriera da maestro; il ragazzo, però, sognava di fare l’esploratore, amava fantasticare sull’Africa e leggeva i romanzi di avventura di Salgari. Il suo sogno, seppure in altra maniera, si realizzerà quando diventerà calciatore e poi allenatore. Ancora bambino vide partire per il fronte iugoslavo – e per fortuna tornare – il fratello Florindo; poi, dopo l’8 settembre 1943, visse di persona le tragedie della guerra, subendo la violenza e i traumi dei bombardamenti. A sedici anni esordì con la squadra del Cesenatico, ma fu un’avventura che durò poco a causa di un’invasione di campo che costò alla squadra la squalifica per un anno. Richiesto dalla Spal, che in quegli anni militava tra la e la , a causa della distanza Vicini preferì trasferirsi al Cesena che lo acquistò nel 1950 per 350.000 lire. Con i dribbling di Edo Lelli, che sarà l’amico di tutta la vita, le dodici reti di Azeglio e le 33 di Veglianetti, il Cesena vinse il campionato e approdò alla IV serie. A fine stagione la giovane promessa venne visionata da Lazio, Como, Napoli e Lanerossi Vicenza che proprio nel 1953 lo comprò per quattro milioni di lire. Con il Vicenza, che diventò la prima squadra italiana a portare sulla maglia il nome e il logo dell’azienda che ne era proprietaria, arrivò la svolta nella carriera di Vicini che si trovò in poco tempo dalla Promozione alla serie B. Nella serie cadetta il debutto fu contro il Treviso e finì 0-0. Con lui giocavano Sergio Campana e un altro cesenate, Emilio Bonci, anch’egli giunto a Vicenza nel 1953; a entrambi Vicini fu molto legato da una sincera amicizia che durò

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Scheda relativa a : AZEGLIO VICINI

tutta la vita. In quel primo campionato, dove la squadra si piazzò al settimo posto, collezionò diciassette presenze e sei reti. Quella stagione, però, fu anche uno dei protagonisti nella squadra primavera che trionfò al Torneo di Viareggio, vincendo contro squadre del calibro di Real Madrid (3-1 con una rete di Vicini e due di Campana), Fiorentina, Milan e Juventus. Con lui il Vicenza bissò la vittoria nello stesso torneo l’anno seguente. Il campionato successivo fu una corsa trionfale per la squadra maggiore che conquistò la serie A. Il 25 settembre 1955 esordì nella massima serie alla seconda giornata, nella prima gara interna della stagione contro l’Inter (finì con una sconfitta 0-2). Fu proprio in quell’anno che a Vicenza Vicini conobbe Ines Crosara (nata nel 1937); fu un incontro casuale ma bellissimo, proprio davanti al Palazzo della Ragione meglio noto come Basilica Palladiana. Dopo tre ottimi campionati nel Vicenza, Vicini fu ceduto alla Sampdoria per novanta milioni di lire. A Genova giocò assieme a bravi giocatori come l’austriaco Ernst Ocwirk, lo iugoslavo Vujadin Boskov e Sergio Brighenti. Alla Sampdoria cominciò a giocare nel ruolo di mediano, mentre al Cesena e al Vicenza il suo ruolo era stato quello di mezzala, ragion per cui era riuscito a fare più reti. Il suo primo goal in serie A lo segnò nel dicembre 1956 nell’1-1 contro il Bologna. La permanenza a Genova durò ben sette stagioni, tutte da titolare e tutte in serie A, con 191 presenze. E Genova gli rimase nel cuore non solo per il calcio, ma anche per le tante amicizie e fu proprio qui che maturò in Azeglio la decisione di convolare a nozze con Ines; il matrimonio fu celebrato nella chiesa di Santa Caterina a Vicenza, città di origine della sposa, l’11 giugno del 1958. All’inizio Ines non era interessata al calcio, ma a poco a poco si appassionò e cominciò a seguire il marito in ogni fase della sua carriera. Intanto, nel 1959, a Genova era nato il primogenito Manlio. Nella stagione 1962-63 i risultati della squadra non furono eccellenti e la Sampdoria chiuse il campionato all’undicesimo posto. Vicini fu ceduto al Brescia, squadra che che giocava nella serie cadetta, ma partiva con una penalizzazione di sette punti. Lasciare Genova, dove la famiglia si era trovata tanto bene, non fu facile; Brescia era una città molto diversa da quella ligure, ma anch’essa si rivelò una città molto accogliente: qui nacquero Ofelia (1964) e Gianluca (1967), il terzo e ultimo figlio. Vicini esordì nella trasferta di Varese con la sua nuova squadra il 15 settembre 1963 e finì con una sconfitta (0-4). Nonostante la penalizzazione, quell’anno le “rondinelle” non solo recuperarono, ma sfiorarono addirittura la promozione in serie A e nell’anno

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successivo (1964-65) arrivarono prime in campionato salendo così nella massima categoria dopo diciassette anni di permanenza in serie B. Vicini cominciava ad avere 32-33 anni, un’età per quei tempi considerata piuttosto avanzata per un calciatore, quindi decise di pensare al futuro e, prima di cominciare la sua terza e ultima stagione nel Brescia, nell’estate del 1965 si iscrisse a un corso per allenatori professionisti di prima categoria a Coverciano. Conclusa la carriera di calciatore, cominciò quella di allenatore che gli avrebbe dato le maggiori soddisfazioni. Il Brescia gli affidò subito la guida della squadra “Primavera” e, all’inizio del campionato 1967-68, all’età di soli 34 anni, fece il suo esordio in serie A, sulla panchina della prima squadra. Il campionato si rivelò molto difficile e livellato: era l’anno del Milan di Rocco e Rivera che vinse lo scudetto. Fu una stagione molto sofferta che si concluse con la retrocessione delle “rondinelle” in serie B, proprio all’ultima giornata. Durante l’estate del 1968 Vicini fu scelto dalla Federazione per partecipare a un ciclo di aggiornamento in Inghilterra con un gruppo ristretto di colleghi accompagnati da , il CT della nazionale italiana fresca vincitrice del Campionato Europeo. Fu quella l’occasione giusta per entrare nell’ambiente che contava e infatti di lì a pochi mesi arrivò l’offerta di entrare in Federazione come collaboratore di Valcareggi e come responsabile della nazionale Under 23. Nell’ambiente della nazionale maggiore, assieme a (che porterà l’Italia a vincere il mondiale nel 1982), Vicini fu collaboratore tecnico di Valcareggi che seguì ai mondiali di Messico 1970 e Germania 1974. Per il tecnico romagnolo fu una palestra importante che lo abituò alle pressioni delle grandi competizioni, alla difficile gestione del gruppo. Il primo incarico di una certa rilevanza giunse nella stagione 1975-76, alla guida della nazionale Under 23, con cui disputò il campionato europeo di categoria. Dal 1976 gli fu affidata l’Under 21 che condurrà per ben dieci anni ai campionati europei, ottenendo tre volte la qualificazione ai quarti di finale (1978, 1980 e 1982) e arrivando alla semifinale nel 1984 e in finale all’edizione del 1986 quando sfiorò il successo con un piazzamento d’onore dietro la Spagna. All’andata, sul terreno del Flaminio, finì 2-1 per gli azzurrini, ma nel ritorno di Valladolid gli spagnoli si imposero con lo stesso risultato; poi salì in cattedra il portiere “paratutto” Ablanedo, pupillo di Luis Suarez, che parò tre rigori. Nel frattempo proseguì il suo impegno con la nazionale maggiore nei tre mondiali successivi (Argentina 1978, Spagna 1982 e Messico 1986) collaborando con il CT Enzo Bearzot e succedendo a quest’ultimo in seguito alla sfortunata esperienza ai Mondiali del

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Messico, quando l’Italia venne eliminata agli ottavi di finale dalla Francia di . L’annuncio ufficiale del CONI giunse il 1° agosto 1986. Vicini ricostruì la nazionale puntando sui “suoi” ragazzi dell’Under 21 destinati a diventarne i cardini della sua gestione: Mancini, Vialli, Zenga, Giannini, Donadoni, Bergomi, Ferri, solo per citarne alcuni. Il calcio di Vicini fu subito considerato tradizionale, “all’italiana”, ma in verità era già molto moderno e gli inserimenti di Maldini subito, e Baggio e Schillaci poi, ne avrebbero fatto una squadra all’avanguardia e di grande classe. La sua prima partita da CT della Nazionale maggiore si giocò l’8 ottobre 1986 a Bologna, contro la Grecia, e finì con una vittoria (2-0). Si era tuttavia verificato un fatto inconsueto, ossia l’aver guidato per l’ultima volta la Under 21 nella finale europea persa contro la Spagna, dopo aver già debuttato sulla panchina della nazionale maggiore due giorni prima. Agli europei di Germania 1988 esordì a Dusseldorf contro la Germania padrona di casa e, dopo che gli azzurri passarono in vantaggio, fini con un bel pareggio (1-1). Le vittorie contro Spagna (1-0) e Danimarca (2-0) consentirono alla nazionale di raggiungere una storica semifinale, dove sotto una pioggia battente a Stoccarda arrivò la sconfitta contro l’Unione Sovietica (0-2). Rimase la soddisfazione di un onorevole terzo posto in un Europeo dominato dall’Olanda di Gullit, Rijkaard e Van Basten. Vicini fu confermato alla guida della nazionale anche per il biennio successivo, con il compito di guidare gli Azzurri ai Mondiali di Italia ‘90. Iniziò quindi per lui un faticoso lavoro di preparazione in vista dell’importante evento che poneva il CT romagnolo sotto i riflettori. Proprio per questo motivo intraprese alcuni viaggi per studiare le squadre avversarie, tra i quali memorabile fu quello in Brasile, nell’estate del 1989, assieme alla moglie Ines, per assistere alla fase finale della Coppa America, cui parteciparono Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, tutte squadre che saranno presenti l’anno successivo al mondiale da giocarsi in Italia. In questo periodo rimase indelebile per Vicini, l’emozione che provò il 20 settembre 1989, quando “fece ritorno” a Cesena per giocare la partita amichevole con la Bulgaria, e questo proprio perché la Federazione sapeva quanto il CT fosse legato alla sua città di origine. Oltretutto lui era molto amico di Dino Manuzzi ed Edmeo Lugaresi, gli storici presidenti della squadra di calcio locale. Vicini fu lusingato e si commosse tantissimo di fronte a quell’atmosfera affettuosa, dall’accoglienza della sua gente e la squadra rispose alle sue emozioni con grande impegno, vincendo 4-0.

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La preparazione al Mondiale continuò con le sfide difficilissime e di altissimo livello contro Argentina, Inghilterra e Olanda, tutte finite a reti bianche, e quindi contro il Brasile, dove arrivò la sconfitta (0-1). Questi impegni furono però determinanti per acquisire esperienza in un gruppo formato da giocatori come , , , , , . Il mondiale cominciò a Milano l’8 giugno 1990 con la partita tra Argentina – campione uscente – e Camerun. Gli azzurri, che nella prima fase erano di scena a Roma, vinsero il proprio girone a punteggio pieno grazie alle convincenti vittorie ottenute senza tanti sforzi contro Austria (1-0), Stati Uniti (1-0) e Cecoslovacchia (2-0). Poi agli ottavi incontrò l’Uruguay, sconfitta 2-0 e nei quarti l’Irlanda, battuta 1-0. La nazionale di Vicini si presentava all’incontro di semifinale con l’Argentina senza aver subito goal e col morale altissimo. La gara si giocava a Napoli, nella città in cui Armando Maradona, punta di diamante della nazionale argentina, era praticamente di casa e ci fu chi sollevò non poche polemiche per questa scelta. L’incontro fu visto in TV da oltre 27 milioni e mezzo di persone, con più dell’87% di share. I tempi regolamentari e i supplementari finirono in parità, 1-1, grazie ai goal di Schillaci e al pareggio di Caniggia per l’Argentina ma, come in diverse precedenti occasioni, alla Nazionale furono fatali i rigori e l’Argentina vinse grazie agli errori di Donadoni e Serena, “ipnotizzati” dal portiere Goycoechea. La finale per il terzo posto a Bari, vide l’Italia vincere contro l’Inghilterra 2-1 con le reti di Baggio e Schillaci che chiuse il torneo con sei goal. Così, nonostante sei vittorie e un pareggio, l’Italia finì terza, consapevole di aver perduto una grande occasione ma anche di aver fatto una bellissima figura, ma quei Mondiali si conclusero fra rabbia, disperazione e rammarico, soprattutto per la consapevolezza e l’inutile convinzione di una vana superiorità. Fu un’occasione unica e la delusione segnò Vicini che per l’impresa fu nominato “Grande Ufficiale” della Repubblica italiana (in precedenza gli erano già stati riconosciuti per alti meriti sportivi, i conferimenti di Cavaliere della Repubblica dopo Messico ’70, di Cavaliere ufficiale dopo Argentina ’78 e Commendatore dopo Spagna ’82). In virtù dell’ottimo risultato conseguito e del bel gioco espresso, fu confermato Commissario Tecnico della Nazionale per altri due anni, fino all’ottobre 1991, quando fallì la qualificazione per gli Europei del 1992 da disputarsi in Svezia. L’Italia era stata inserita nel girone di qualificazione con Cipro, Ungheria, Norvegia e URSS, con quest’ultima che costituiva il principale scoglio da affrontare. Costretti a inseguire nel punteggio i sovietici a causa della inaspettata e brutta sconfitta a Oslo contro la Norvegia

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(1-2), la partita decisiva a Mosca vide gli azzurri dominare e colpire un clamoroso palo, ma il pareggio a reti bianche fu fatale e l’URSS si qualificò al posto degli azzurri. Vicini fu sostituito da un altro grande allenatore romagnolo, , salito alla ribalta per gli straordinari risultati ottenuti con il Milan di Gullit, Rijkaard e Van Basten. Dopo ventiquattro anni e sei mondiali in azzurro, il CT di Italia ’90 si distaccava dalla Federazione, anzi il suo pensiero era quello di non tornare più in panchina, anche se le offerte ovviamente non mancarono. Tuttavia, nel marzo 1993 ne arrivò una che Vicini non riuscì a rifiutare, poiché lo riportava alle sue origini e all’amore verso la tua terra: la Romagna. Il Cesena, che militava in serie B era in grande difficoltà, al terzultimo posto, e rischiava la retrocessione. Alle lusinghe del presidente Edmeo Lugaresi, senza tante esitazioni accettò di allenare la squadra, animato dal grande legame che nutriva per la società e per la città, anche se in verità da quell’incerta avventura aveva tutto da perdere e nulla da guadagnare. Si trattò di un grande gesto umano, oltre che sportivo, che portò il cammino della squadra amata a una insperata svolta. Le cose andarono bene fin dal debutto: il 7 marzo il Cesena si impose in casa contro il Cosenza (1-0) e nei tre mesi successivi arrivarono sei vittorie e sei pareggi, prima della sconfitta ad Ascoli (0-1), chiudendo il campionato con un inatteso nono posto. Quello straordinario risultato destò l’interesse di altre squadre che volevano Vicini sulla loro panchina e nell’estate dello stesso anno fu chiamato dal presidente Giampaolo Pozzo ad allenare in serie A l’Udinese, che in quegli anni alternava campionati nella cadetteria e nella massima serie. L’obiettivo era quello di diventare una realtà stabile in quest’ultima, un progetto ambizioso che però trovò ben presto delle difficoltà e delle incomprensioni dovute alle ingerenze tecniche da parte del presidente cui l’allenatore romagnolo non era abituato e che portarono all’interruzione del rapporto con la società friulana. Oltretutto Vicini si rendeva conto che il calcio stava cambiando e, a sessant’anni, decise che quella sarebbe stata la sua ultima panchina, nonostante altre società di grandi tradizioni come Bologna e Verona, lo cercassero. Nel campionato 1995-96 diventò consigliere tecnico del Brescia, squadra che in quel periodo versava in grave difficoltà, in un clima di grande contestazione contro il presidente Gino Corioni. Le rondinelle, appena scese dalla serie A, rischiavano infatti di retrocedere in C. Vicini non si sentì di rifiutare l’incarico nella città che lo aveva adottato e dove aveva cominciato la sua carriera di allenatore trent’anni prima e, come era accaduto per il Cesena, accettò. Il suo contributo fu certamente quello di portare serenità nell’ambiente e la squadra, sotto la guida di Edy Reja – che aveva sostituito l’esonerato Mircea Lucescu – ottenne la salvezza all’ultima giornata, vincendo proprio in casa del

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Cesena, una gara alla quale Vicini non volle però assistere per motivi di affezione. Scampato il pericolo della serie C, nella stagione successiva il Brescia, ancora guidato da Reja, ottenne addirittura la promozione in serie A vincendo il campionato, anche se Vicini aveva già concluso il suo rapporto con la società dopo aver raggiunto la salvezza. Infatti era già stato nominato Presidente dell’Associazione Italiana Allenatori Calcio (AIAC), carica che manterrà fino al 2004. Nel 1998 assunse la vicepresidenza del Settore Tecnico della FIGC per rassegnare le dimissioni nel 2001. Quando poi nel 2005 Enzo Bearzot concluse la sua avventura da Presidente del Settore tecnico, Vicini ne prese il posto; inoltre tornò a rivestire la carica dirigenziale dell’Associazione degli allenatori. Nel 2007 ricevette il premio “Ali della Vittoria”, assegnato ogni anno al dirigente sportivo più meritevole e ciò nonostante il ruolo inusuale di dirigente della FIGC. Questo fatto costituisce un importante riconoscimento per la sua correttezza istituzionale, anche perché Vicini è stato uno dei pochissimi a capo degli organi della Federazione a non essere neppure sfiorato dallo scandalo di “calciopoli”. Il 9 febbraio 2008 venne nominato consulente del settore tecnico della Federazione Gioco Calcio Sammarinese dal Presidente in carica Giorgio Crescentini e nello stesso anno la città di Cesena gli conferì il prestigioso Premio “Malatesta Novello”. Nel 2010, dopo più di quarant’anni, Vicini concluse definitivamente il rapporto con il Settore tecnico della FIGC – iniziato nel lontano 1968 –, dopo l’inattesa eliminazione al primo turno della nazionale guidata da nei mondiali del Sudafrica. Al suo posto di Presidente del Settore Tecnico, il 4 agosto fu nominato , che Vicini aveva allenato in azzurro durante il Campionato mondiale di Italia ’90. Sempre in quell’anno approdò a Coverciano anche Arrigo Sacchi come coordinatore delle nazionali giovanili per rinvigorire il vivaio azzurro, mentre Baggio si dimetterà due anni più tardi, imitato da Sacchi nel 2014, dopo una nuova e inaspettata eliminazione al primo turno dei mondiali del Brasile. Dopo aver ridotto gli impegni istituzionali, Vicini e la moglie Ines continuarono a trascorrere felicemente la loro esistenza a Brescia, dove si erano trasferiti nel lontano 1963 con l’intenzione di rimanervi solo per un anno o al massimo due; invece essa fu per entrambi la “seconda città”, dove vivono i figli Ofelia (insegnante), Manlio e Gianluca (avvocati) e i nipoti, anche se tutti gli anni, d’estate, la famiglia si ritrova a Cesenatico per trascorrere le vacanze. Nel 2015 il Cesena – col quale aveva esordito come calciatore non ancora ventenne, ottenendo la promozione nella categoria superiore, e che a distanza di quarant’anni aveva allenato e condotto alla salvezza – gli conferì la carica di consigliere onorario del

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Comitato d’onore della società. Fu con questa bella iniziativa che il lungo cammino di Azeglio Vicini nel mondo del calcio, durato ben sessantacinque anni, si concluse definitivamente. Per tutta la sua vita professionale aveva portato ovunque la sua simpatia, la sua umanità, la battuta sempre pronta, la voglia di scherzare e di sdrammatizzare il calcio. Tanto per fare un esempio diceva sempre che “gli azzurri” erano « come carabinieri preposti a servire il buon nome dell’Italia e del calcio italiano ». Continuò tuttavia a seguire il calcio, recandosi con Ines a Brescia e Cesena per sostenere le squadre delle sue città del cuore e, qualche volta, anche a Vicenza, dove andava a trovare i parenti della moglie. Il calcio fu davvero la sua vita e portò sempre la divisa della Nazionale in maniera impeccabile e con grande orgoglio. Espresse un gioco “all’italiana” che assumeva, tuttavia, connotazioni piuttosto innovative, senza risultare eccessivamente difensivista. Aveva particolare passione per i numeri e le statistiche: così portava sempre in tasca un’agendina dove appuntava partite, formazioni, marcatori, gol, assist, ecc. Inoltre non usava mai la TV come strumento per studiare gli avversari in quanto riteneva le inquadrature fuorvianti; solo dal vivo si può capire e valutare le situazioni di una partita di calcio. Vicini rese la lingua inglese obbligatoria nei corsi per allenatori ed ebbe più volte a manifestare la propria contrarietà rispetto all’eccessiva presenza di giocatori stranieri od oriundi nel calcio italiano e nella Nazionale in particolare. A Vicini mancò veramente solo la vittoria, che sarebbe forse arrivata con un po’ di cinismo in più; mai praticò un calcio “catenacciaro e primitivo”. Un altro suo grande merito fu quello di aver contribuito a valorizzare una generazione di calciatori di altissimo livello e di essere riuscito a trasformare in squadra « un’accozzaglia di campioni », come egli stesso amava definire. Vialli (che in azzurro esordì grazie a Bearzot), Mancini, Donadoni, Ancelotti, Baresi, Zenga, Maldini, Roberto Baggio, Schillaci, furono lanciati proprio da lui, che da un certo punto di vista ricordava più Valcareggi che Bearzot, anche se aveva imparato la gestione degli uomini prima che dei calciatori un po’ dall’uno e un po’ dall’altro. “Uccio” e il “Vecio” gli insegnarono che, prima della tattica e della tecnica, bisogna “osservare” l’uomo. Grande intrattenitore, i suoi ritiri non erano tabu per giornalisti e addetti al lavoro; anzi, gli piaceva il contatto col pubblico, con gli addetti alla stampa e la TV. Con la moglie Ines, donna forte e dalle grandi qualità umane, formò una coppia inossidabile e molto affiatata; lei gli fu sempre accanto in tutte le trasferte della nazionale. Nello sport due furono i “grandi amori” di Azeglio Vicini: Fausto Coppi e il “grande” Torino. Tra i suoi interessi al di fuori dello sport, assai fervida era la passione per

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Giuseppe Garibaldi e per la lirica. Aveva uno stile innato e una grande onestà intellettuale, ma anche una sottile ironia, poiché amava raccontare le barzellette, soprattutto in dialetto romagnolo. Dopo una lunga malattia, Vicini si è spento a Brescia il 30 gennaio 2018 all’età di 84 anni e rimane uno dei CT più amati della storia della nazionale di calcio italiana. Amatissimo nella sua terra di origine, l’Amministrazione comunale di Cesena, di concerto a quella di Cesenatico, ha voluto immediatamente mostrare la riconoscenza a questo grande uomo, chiedendo alle istituzioni preposte dello Stato, una deroga alla normativa della toponomastica vigente, al fine di intitolare a suo nome la grande rotonda cittadina nei pressi dello stadio per altri meriti sportivi. A Cesena, in particolare, lo si ricorda non solo come un grande personaggio del calcio, ma per la sua grande umiltà e generosità palesate nella primavera del 1993, quando prese per mano la squadra diventando il protagonista indiscusso di una insperata salvezza che tutti ricordano con grande affezione e commozione, lui che per tutta la vita, quando riusciva a districarsi dai numerosi impegni, appariva sempre nella tribuna dell’Orogel Stadium “Dino Manuzzi” per osservare la squadra che tanto amava e di cui era il primo tifoso, anche perché in lui era ben presente il ricordo e sempre vivo l’amore per la sua terra di origine.

Bibliografia: I. Crosara, G. Vicini, A. Vicini, Azeglio Vicini: una vita in azzurro , Pisa 2016; P. Morelli, L. Serafini (a cura di), Azeglio Vicini un gentiluomo in azzurro. 75 anni con il pallone nel cuore , Cesena 2008; vari articoli di quotidiani e riviste. Sono state effettuate ricerche anagrafiche presso i Comuni di Brescia, Cesena e Cesenatico.

Scheda a cura di Andrea Antonioli Ufficio Toponomastica

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