Ungheria Vol. II
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FLORE Repository istituzionale dell'Università degli Studi di Firenze La letteratura in Ungheria dal 1945 al 2002 Questa è la Versione finale referata (Post print/Accepted manuscript) della seguente pubblicazione: Original Citation: La letteratura in Ungheria dal 1945 al 2002 / B. Tottossy. - STAMPA. - (2004), pp. 181-382. Availability: This version is available at: 2158/232470 since: Publisher: Lindau Terms of use: Open Access La pubblicazione è resa disponibile sotto le norme e i termini della licenza di deposito, secondo quanto stabilito dalla Policy per l'accesso aperto dell'Università degli Studi di Firenze (https://www.sba.unifi.it/upload/policy-oa-2016-1.pdf) Publisher copyright claim: (Article begins on next page) 30 September 2021 G. Cavaglià, A. Csillaghy, A. Di Francesco C. Franchi, M. Mihályi, R. Ruspanti, P. Sárközy J. Szauder, B. Töttössy, B. Ventavoli, A. Veres STORIA DELLA LETTERATURA UNGHERESE a cura di Bruno Ventavoli Secondo volume AVVERTENZE PER IL LETTORE L’Ungheria verrà accolta a poco nell’Unione Europea. Il «rientro» nell’Occidente è solo politico ed economico. Perché dal punto di vista culturale i legami con il Vecchio Continente non si sono mai attenuati. Anzi. Il ritorno nella grande casa comune coin- cide con nuovi successi. Dalla riscoperta mondiale di Sándor Márai al Nobel asse- gnato a Imre Kertész, le lettere magiare recuperano, nel debutto del terzo millennio, il consenso che meritavano. La nostra Storia della letteratura ungherese germina in questo clima, in questo fervore, nasce dallo sforzo congiunto dei magiaristi italiani e ungheresi per colmare una annosa lacuna. Le ultime, meritorie, storie letterarie risal- gono infatti molto addietro nel tempo e sono praticamente introvabili. La storia del Ruzicska fu pubblicata nel lontano 1963, quella di Folco Tempesti, nel 1969. Alla pre- sente Storia della letteratura ha aderito, nella più completa libertà metodologica, se- condo le proprie competenze e sensibilità, la gran parte degli studiosi italiani. Andrea Csillaghy dell’Università di Udine, Amedeo Di Francesco dell’Università Orientale di Napoli, Cinzia Franchi dell’Università La Sapienza di Roma, Melinda Mihályi del- l’Università La Sapienza di Roma, Roberto Ruspanti dell’Università di Udine, Péter Sárközy dell’Università La Sapienza di Roma, Beatrice Töttössy dell’Università di Fi- renze, Bruno Ventavoli dell’Università di Torino, András Veres dell’Istituto di Studi Letterari dell’Accademia Ungherese delle Scienze. In omaggio a due grandi studiosi, oggi scomparsi, abbiamo pubblicato i saggi di Gianpiero Cavaglià e József Szauder. Ricordiamo infine il prezioso contributo di Zsuzsa Kovács, che ha collaborato inten- samente alla traduzione dei testi ungheresi, e Roberto Chiarletti per la redazione dei due volumi. Le note, le bibliografie, le traduzioni di ogni capitolo, ove non sia diver- samente specificato, sono curate dagli autori medesimi. (B. V.) La letteratura in Ungheria dal 1945 al 2002 di Beatrice Töttössy 1. Guida alla lettura «Ogni arte è un gioco con il caos; l’arte gli si avvicina, sempre più pericolosamente, per strappargli nuovi territori dell’anima. Il progresso nella storia dell’arte, se mai esiste, sta nel progressivo incremento delle regioni tolte al caos», dice nel 1951 Arnold Hauser (1892-1978), teorico ungherese dell’arte e della letteratura. «La nostra società non è in grado di apprezzare dei classici né l’Ordo né la Natura, né l’esplorazione delle profondità più misteriose dell’uo- mo né la lotta per portare la forma là dove all’inizio c’è soltanto il caos», dice nel 1997 Alberto Asor Rosa, teorico italiano della letteratura. La «storia» della letteratura ungherese del secondo dopoguerra è, in realtà, un organismo vivente, anzi meno: è materia in costante movi- mento, pura vita che occasionalmente, quasi per estro o per magia, for- nisce lo spunto, la mossa a qualche idea e connessione storica. Del resto, forse è sempre così che il presente appare allo sguardo contemporaneo. E infatti uno dei problemi più attuali nel campo letterario è se sia possi- bile scrivere una storia della letteratura simultaneamente al suo farsi o almeno con un riferimento temporale ravvicinato. Esaminando la que- stione in termini più astratti, è noto come alcuni pensatori abbiano so- stenuto che fare storiografia è sempre operazione attuale, significa par- lare dal punto di vista del presente. Potremmo però trarne la conse- guenza inversa, secondo cui scrivere del presente è sempre anche fare storiografia? È davvero possibile sollevarsi fuori dalla cronaca fino a os- servare gli eventi tacitianamente sine ira et studio, senza né ostilità né simpatia, e quindi parlarne imparzialmente con la necessaria distanza 182 STORIA DELLA LETTERATURA UNGHERESE critica raccogliendo gli spunti ispiratori di connessione storica di cui ab- biamo detto? Sul versante teorico ci conviene ricordare alcuni punti. In una recente Guida allo studio della letteratura, Remo Ceserani dedi- ca un intero capitolo alla storiografia, intitolandolo «Di cosa fa storia la storia della letteratura?». La domanda risulta preliminare e teorica (ma anche pratica, in quanto occorre trovare la risposta prima di potersi de- dicare allo studio della letteratura, all’educazione letteraria). Tuttavia l’autore, correttamente, la toglie dalla sua apparente atemporalità e in- daga su come siano andate le cose in concreto nella storia della storio- grafia letteraria. Ci aiuta così a comprendere con chiarezza il passato e l’oggi. Infatti sostiene che fino a tempi recenti hanno avuto corso, fra al- tri, due modelli particolarmente chiarificatori (anche se, aggiunge im- mediatamente: «Ormai irrecuperabili» per noi), quello della storia del- la letteratura «come storia della coscienza nazionale» e quello della sto- ria della letteratura «come storia degli stili». A noi ora interessa il primo modello, perché mette in rapporto la na- zione con la storia della relativa letteratura. Se infatti lo esaminiamo nel concreto dell’Ungheria, di un paese cioè che in termini geoculturali si si- tua nell’Europa centro-orientale, vediamo che di esso, così come d’al- tronde del rapporto tra coscienza letteraria e storia degli stili, non risul- ta facile sbarazzarsi per passare semplicemente a un altro modello più consono ai tempi. Il processo concreto è più incerto, più problematico di quanto non appaia in teoria, in astratto, e per certi versi presenta una sua curiosa attualità. Remo Ceserani, che opera nel campo della comparatistica, ha in mente, com’è ovvio, una prospettiva di discorso che include complessi- vamente l’intero scenario culturale euro-americano. Anche uno studioso ungherese come Mihály Szegedy-Maszák (1943), riflettendo nel 1994 sull’attualità della ricerca letteraria comparata, giudica obbligatorio per l’analisi critico-letteraria superare i confini nazionali e diventare ap- punto «comparativa». Diversi però sono il percorso concettuale tramite cui i due studiosi prendono atto della situazione e il modo in cui ri- spettivamente impostano la propria visione del rapporto nazione-lette- ratura. Il fatto è – e sarà dunque per noi teoricamente produttivo tener- lo presente – che tale diversità di percorso e di approccio deriva dalla diversa (per storia e per connotati attuali) condizione letteraria in cui i due autori operano. Il primo, in Italia, assume senz’altro a propria premessa teorica e pratica l’idea di una cultura letteraria (e in genere umanistica) non più LA LETTERATURA IN UNGHERIA DAL 1945 AL 2002 183 intesa, neppure in termini polemici, come «principio regolatore» o veicolo di «comunicazione immediata e trasparente» dello Stato-Na- zione, tantomeno quindi come sua «essenza» o «contenuto». Il ragio- namento di Ceserani include un «naturale» congedo dalla concezione mitteleuropea della cultura, che affondava le sue lontane radici nel- l’Illuminismo e nel Romanticismo filosofico tedesco e danubiano. E al- trettanto «naturale» vi appare l’accoglimento della proposta teorica, proveniente dagli Stati Uniti, di considerare per così dire un «contrat- to» ogni cultura (nazionale, regionale o mondiale) e ogni conseguente letteratura. In questa visione delle cose, vivere una cultura o lettera- tura (quindi prenderne coscienza cognitiva oltre che starci dentro sto- ricamente ed ereditarla nel proprio modo di pensare, nel proprio gu- sto) non comporta propriamente un preliminare chiarimento teorico, quanto piuttosto una pratica immediata di contatto con i classici, quindi con la storia. Si tratta dunque di una educazione letteraria che si svolge non come apprendimento passivo, ma come ricerca, tentati- vo, provocazione, «sfida» dentro un rapporto attuale. In sostanza que- sto approccio «euro-americano» tramuta la funzione storiografica in uno studio culturale, vale a dire in un quotidiano tentativo di costante concertazione tra ciò che nel passato si presentava come Nazione e ciò che essa è oggi o sta per essere nei suoi molteplici aspetti antropolo- gici, sociali, politici, economici: la «cultura» diventa comparatistica orizzontale e verticale. Il punto di vista di Szegedy-Maszák, pur annunciando una visione teorica geopoliticamente «sconfinata», priva di confini statali, lascia tut- tavia che la questione nazionale mantenga una presenza forte. Una pri- ma spiegazione di ciò la ricaviamo dalla semplice cronologia storico- politica dell’Ungheria, da cui emerge una esperienza specifica che, lun- go i secoli, produce e mantiene forti i tratti identitari. Possono essere considerate infatti come caratteristiche storiche ungheresi l’intensità e