Educazione Alla Mondialità Percorso Per Animatori 2006-2007
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Caritas Ambrosiana, Centro di Documentazione Mondialità, Ecumenismo e Dialogo, Pastorale dei Migranti, Pastorale Missionaria, Servizio Giovani di Pastorale Giovanile EDUCAZIONE ALLA MONDIALITÀ PERCORSO PER ANIMATORI 2006-2007 COMMERCIO EQUO E SOLIDALE: EVOLUZIONE E NODI CRITICI AREA ECONOMIA E GLOBALIZZAZIONE DOSSIER Materiale relativo al 2° incontro Mercoledì 31 gennaio 2007 AD USO INTERNO COMMERCIO EQUO E SOLIDALE: EVOLUZIONE E NODI CRITICI IL PRETE "EQUO E SOLIDALE" di Giusy Baioni (tratto da Jesus n°2, febbraio 2007) Olandese trapiantato in America latina, Frans Van der Hoff è un prete che ha vissuto lunghi anni in Cile e poi in Messico. Dagli indios zapotechi ha appreso a mettere in primo piano la comunità. E con loro ha dato vita a una cooperativa da cui è nata la Max Havelaar, uno dei primi e più importanti marchi di prodotti del commercio equo e solidale. Si definisce «prete contadino» e non ama parlare molto di sé e della sua storia. Preferisce raccontarvi dei suoi indios, delle comunità del Sud del Messico, nello Stato di Oaxaca, dove vive da 25 anni. Lui è Frans Van der Hoff, sacerdote olandese trapiantato in America latina e, soprattutto, uno dei padri del commercio equo e solidale. Cresciuto in una famiglia contadina cattolica da cui eredita l’amore per la terra, fin da ragazzino sceglie gli studi in seminario, nella congregazione del Sacro Cuore, e li completa a singhiozzo negli anni della contestazione, mentre molti dei suoi compagni abbandonano. Continua gli studi al di fuori del convento, a contatto con il mondo universitario che in quegli anni era in pieno fermento. Oggi ricorda: «All’università, ho imparato che protestare è interessante, ma solo se si ha una proposta». Diviene studente lavoratore e cresce da subito sensibile alle istanze che in quegli anni richiamavano l’attenzione del ricco Nord alle miserie degli altri continenti, proprio mentre la Chiesa vive il Vaticano II. Viene ordinato sacerdote nel ’68; l’anno successivo si laurea con lode in Teologia con una tesi sul Cile e qui sceglie di andare, nel 1970, come ricercatore. Appena giuntovi, scopre la vita dei barrios, poverissima ma ricca di fermento, e ben presto si ritrova a svolgere la funzione di mediatore tra i molti movimenti politici e sociali, attivissimi in quegli anni ma frammentati. Le sue scelte sono condivise da alcuni confratelli, mentre altri preferiscono la vita chiusa del convento. «Avevo la sensazione che non avrei mai compreso fino in fondo l’universo della povertà, se non facendone veramente parte», scrive ora Van der Hoff nel suo Max Havelaar, L’avventura del commercio equo e solidale, edito da Feltrinelli, e Faremo migliore il mondo. Idea e storia del commercio equo e solidale, da Bruno Mondadori. I suoi slanci vengono bruscamente interrotti nel 1973, con l’avvento al potere del generale Pinochet. Le attività di Frans Van der Hoff sono incompatibili con il regime e così si ritrova costretto a fuggire. In quel periodo molti suoi confratelli, disillusi per la posizione assunta dalla gerarchia ecclesiastica, abbandonano l’istituto. Anche Frans ha quella tentazione, ma resiste: «Mi convinsi che uscendo avrei definitivamente perso ogni tipo di capacità di azione, lasciando la Chiesa in mano alle forze conservatrici. Era l’ultima cosa che volevo. E così, un’altra volta, per quanto furioso, scelsi di rimanere». Van der Hoff trova riparò in Messico, come tanti rifugiati politici cileni. Anche lì il clima repressivo è forte e ben presto il sacerdote viene di nuovo coinvolto nella resistenza. Fedele alla scelta di essere prete lavoratore, inizia come venditore ambulante di calze, poi trova un posto in una fabbrica di automobili; nel frattempo, si occupa della tipografia clandestina della resistenza, insegna nel seminario ecumenico e segue EDUCAZIONE ALLA MONDIALITA: PERCORSO PER ANIMATORI 2006/2007 COMMERCIO EQUO E SOLIDALE: EVOLUZIONE E NODI CRITICI gli abitanti delle bidonville (dove gli altri sacerdoti non entrano), iniziando a celebrare la Messa domenicale nella discarica. Non avendo casa, soggiorna un po’ dappertutto: capanne, stanzette, retrobottega. Le varie attività di Van der Hoff lo espongono ben presto a nuovi pericoli. Riceve due volte minacce dalla polizia segreta, e nello stesso periodo si ammala di epatite A: i due motivi, insieme, lo convincono della necessità di abbandonare Città del Messico per la campagna. È il 1980. Il vescovo di Cuernavaca, suo sincero amico, gli consiglia di trasferirsi a Tehuantepec, «luogo interessante e con molte popolazioni indigene». Si tratta della regione di Oaxaca, nel Sud del Messico, allora come oggi poverissima e percorsa da forti tensioni sociali. In quell’area, l’80 per cento della popolazione è india, in maggioranza zapoteca. Inizia per Frans la vita da campesino, che continua ancora oggi: si sistema in una casetta di argilla e comincia a coltivare la terra, stupendo gli indigeni e conquistando così la loro fiducia. All’inizio, nessuno sa che è sacerdote. È qui che Van der Hoff scopre i valori indigeni e la loro visione antropologica che al centro pone non l’individuo, ma la comunità. Ed è qui che nell’81-82 comincia anche l’avventura di Urici (Unione delle comunità indigene della regione dell’Istmo), la cooperativa di coltivatori di caffè che è diventata una delle prime cooperative di commercio equo e solidale. Il sacerdote ha impiegato poco a constatare le misere condizioni di vita dei campesinos e le cause che ne sono all’origine: lo sfruttamento indiscriminato da parte dei commercianti di caffè, che impongono prezzi irrisori, la miseria che causa ignoranza e sottomissione. Anche la fede di questa gente ne è condizionata: la povertà e la sofferenza sono percepite come punizioni di un Dio severo e inaccessibile. «La vostra miseria non è stata voluta da Dio, siete liberi di ribellarvi», comincia a suggerire loro Frans. Da questa esperienza di osservazione e condivisione, Van der Hoff trae anche spunto per scrivere una tesi di dottorato, nata dalla rielaborazione organica degli appunti presi a matita su fogli volanti alla mattina, mentre munge le mucche. Quando i campesinos si organizzano in cooperative e cominciano a vendere il caffè a valle, saltando l’intermediazione dei coyotes (gli intermediari), scoprono che è di qualità molto più alta di quanto gli intermediari facevano loro credere. I guadagni crescono, la povertà diviene un po’ meno misera. Anche la loro spiritualità cambia e si apre alla visione di un Dio misericordioso, che in Cristo ha scelto la condivisione coi poveri. Van der Hoff oggi rilegge il suo ruolo in quegli anni come quello di un’ostetrica: «Le idee venivano concepite dalla gente, io assistevo al parto». Nel 1985, dall’incontro di Frans Van der Hoff con Nico Roozen, economista olandese che lavorava per l’organizzazione interconfessionale di sviluppo Solidaridad, nasce la Max Havelaar, oggi uno dei più importanti marchi equosolidali internazionali, diffuso in tutto il Nord Europa. La fonte del progetto furono proprio le parole dei coltivatori indigeni: «Non vogliamo la vostra elemosina, non siamo mendicanti; se voi ci pagate un prezzo giusto per il nostro prodotto, possiamo cavarcela senza il vostro aiuto». Questo, commenta oggi Van der Hoff, «è il nocciolo della questione, in senso sia teologico che economico». A quel punto, occorreva trovare uno sbocco per il caffè equo. Racconta ancora Van der Hoff: «Nell’88 vado in Olanda con quattro campesinos, per capire come creare un mercato diverso con l’associazione Solidaridad e far arrivare i prodotti messicani in Olanda in tutte le botteghe, non solo quelle dei prodotti tipici. C’era abbastanza sensibilità, ma ci domandavamo come ampliare il campo, sviluppare questo progetto con le centrali d’importazione. Ci venne un’idea: lo sposo della regina d’Olanda ricevette il primo pacchetto di caffè Max Havelaar e fu un boom. Tanto che le grosse compagnie tentarono di bloccare il fenomeno. Ma noi abbiamo continuato ad andare avanti e un po’ alla volta abbiamo raggiunto la Germania, il Belgio, l’Inghilterra e nel ’94 l’Italia. Ora siamo presenti in 21 Paesi, con un marchio di certificazione». Un successo pagato a caro prezzo, anche dai campesinos: «Tra il 1985 e il 1992, molti furono i contadini uccisi dai sicari. Ne morirono trentasette, tra quelli assassinati e quelli che hanno perso la vita in incidenti occorsi mentre tentavano di scappare ai loro inseguitori. Ho dovuto celebrare numerosi funerali, ma posso dire che ne uscimmo più forti». Oggi Van der Hoff dice di sé: «Sono messicano, anche se nato in Olanda». E risponde volentieri alle domande sul futuro del commercio equo e solidale e sulle sfide che lo attendono. «Il commercio equo non è una panacea, da solo non basta. Bisogna creare una piattaforma ampia, fatta di organizzazioni di consumatori, gruppi di donne, ambientalisti... Dobbiamo muoverci su vari fronti per guadagnare spazio. Il EDUCAZIONE ALLA MONDIALITA: PERCORSO PER ANIMATORI 2006/2007 COMMERCIO EQUO E SOLIDALE: EVOLUZIONE E NODI CRITICI commercio equo è un assunto politico, quindi bisogna cercare di convincere presidenti e politici. L’anno scorso ho parlato con Jacques Chirac e gli ho chiesto: in che tipo di mondo crediamo? È irresponsabile trasferire alle prossime generazioni i problemi. La politica non funziona più, perché il suo spazio d’azione è ridotto, non può decidere senza il consenso del potere economico. In vent’anni, si è avuta un’evoluzione del commercio equo: il volume è cresciuto enormemente e ora le multinazionali e i politici lo prendono sul serio. Ad esempio, il 35 per cento delle banane ormai vengono dalla filiera del commercio equo. Questo cambia anche i grandi produttori. In un mondo con un solo modello, urgono contromodelli, perché quello neoliberale non funziona. In vari Paesi dell’America latina si sta realizzando un percorso alternativo, perché ci si è resi conto che non c’è sviluppo secondo il modello del Nord».