DOSSIER: LA SICILIA CHE CAMBIA / 1

Corleone (). Quattro anziani si godono il sole primaverile seduti su una panchina. Qui a sinistra, il cartello stradale che segnala l’ingresso nel territorio del paese, dove sono nati tanti capi mafiosi.

SALUTI DA I Dopo l’arresto di ,siamo stati nel paese,in provincia di Palermo, dove sono nati Leggio,Riina,lo stesso zu Binu e altri boss.Cosa Nostra? Omertà e deferenza

30 GENTE (Palermo), 11 aprile 2006. Il boss Bernardo Provenzano, 73, dopo l’arresto.

CORLEONECORLEONE I Qualcuno prova a scherzarci su,come il barista che produce l’amaro “Il Padrino”: «Che male c’è?» I «Qui sono nati anche dei martiri della mafia»,spiega un sindacalista,una delle poche voci contro GENTE SALUTI DA CORLEONE

Corleone (Palermo). Una veduta del paese, che ha oltre 11 mila abitanti. Non mancano i turisti, attirati dai luoghi dei tanti delitti compiuti dai mafiosi.

da Corleone (Palermo) Antonio Murzio oltre cinquant’anni, che ha coinciso con il guinaria dei corleonesi. Un’era mafiosa foto di Fabrizio Villa mezzo secolo di predominio della fami- che ha toccato l’apice con la stagione glia dei corleonesi e ha costituito il con- delle stragi, dei mille morti ammazzati, ome tutte le cose traltare al Palazzo di Giustizia dei bambini torturati e sciolti nell’acido, «C umane, la mafia ha di Palermo. Mezzo secolo in quando al vertice della Cupola sedeva avuto un inizio e cui al vertice di Cosa Nostra si Totò ’u curt. avrà una fine». Giovanni sono succeduti personaggi Con l’arresto di Riina (1993), Pro- Falcone, il magistrato che nati e cresciuti nel “paese del- venzano è diventato il boss dei boss e il per primo, grazie alle ri- le cento chiese”, che oggi è suo governo, durato tredici anni, è stato velazioni del Tom- meta di un triste pellegrinag- all’insegna del basso profilo mediatico e maso Buscetta, squarciò il gio dell’orrore sui luoghi che del volare alto negli affari: appalti, lavo- velo dei segreti sull’orga- hanno visto compiersi le ge- ri pubblici, assunzioni. Cose che la gen- nizzazione di Cosa Nostra sta del dottor te, in virtù del principio che se di un fat- (e che dalla mafia venne prima, di e to non se ne ha notizia, quel fatto non è ucciso, a Capaci, vicino a del suo braccio destro Totò mai accaduto, ha imparato, per conve- Palermo, il 23 maggio Riina poi, e, alla fine, del “fan- nienza o per paura, a ignorare. Tutte le 1992), non perdeva occa- tasma” (non si sa ancora attività dell’epoca di zu Binu, si sono sione per ripeterlo. La tomba di Luciano quanto fosse invisibile) Ber- svolte senza il rumore sordo dei colpi di Oggi l’arresto di Ber- Leggio (che ebbe come nardo Provenzano. pistola, senza chili di plastico fatti esplo- nardo Provenzano non braccio destro Riina), Per cinquant’anni hanno dere sotto le automobili dei magistrati, scrive ancora la parola fi- nel cimitero del paese. comandato i “viddani” di senza le sventagliate delle mitragliette ne, ma la cattura del capo Corleone, i “campagnoli”, di fabbricazione sovietica. dei capi, dopo 43 anni di latitanza, sicu- come venivano definiti, con sprezzo, da Il risultato è che il silenzio imposto ramente chiude un’era nella storia della quelle famiglie mafiose di Palermo che dalla mafia sembra quasi esser riuscito a criminalità organizzata di stampo ma- avrebbero poi ceduto lo scettro del co- zittire anche la voglia di riscatto dei sici- fioso in Sicilia. Una storia, snodatasi per mando alla forza e alla prepotenza san- liani onesti (la sproporzione tra il nu-

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Qui a destra, Marzia Sabella, Ayala e la Sabella: 40 anni, uno dei magistrati «Noi giudici non del pool che ha coordinato l’inchiesta molliamo la guardia» per la cattura di Provenzano. enticinque anni fa, ma anche solo quindici, Alle sue spalle, Vil capo della mafia veniva sostituito se un’immagine moriva ammazzato. Oggi il sogno di Rocco di Giovanni Chinnici, procuratore della Repubblica di Falcone. Sotto, Palermo ucciso nel 1983, sembra avverarsi: il bar che Cosa Nostra non è più impermeabile e produce l’amaro invincibile. Anche se ogni entusiasmo è fuori “Il Padrino”. luogo. Nel dopoguerra c’è stata una rappresentazione simbolica della lotta tra il bene e il male in Sicilia. Da una parte il Palazzo di Giustizia del capoluogo, dall’altra Corleone, il Comune a 60 chilometri da Palermo, dove sono nati e da dove hanno regnato i boss più famosi e sanguinari: Michele Navarra, Luciano Leggio (conosciuto come Luciano Liggio), e Bernardo Provenzano. Con l’arresto di zu Binu, nella stamberga tra i campi, è stata sancita la fine dell’impero dei corleonesi. E, come in un contrappunto storico, due testimoni preziosi hanno accettato di commentare con Gente la fine dei “viddani” (così li chiamavano a Palermo) e l’inizio di una nuova era nella battaglia per distruggere il tarlo che divora l’isola. «La svolta vera», spiega Giuseppe Ayala, ex sostituto procuratore all’epoca di Giovanni Falcone, quindi sottosegretario alla Giustizia e senatore, «si ebbe agli inizi degli anni ’80, quando fu istruito il maxiprocesso a 475 mafiosi. Ebbene, quel che mi sorprese di più in quei due anni, fu la faccia stupita dei boss che si guardavano l’un l’altro e guardavano noi magistrati come per dire: “Ma com’è possibile, stavolta lo Stato fa sul serio?”. In effetti, dopo tanti processi finiti in burletta, con assoluzioni per insufficienza di prove, spostamenti ad altre sedi come Bari o Catanzaro, finalmente lo Stato processava la mafia. Una cosa che allora aveva dell’incredibile». Venticinque anni dopo, a cogliere il successo più eclatante è il sostituto procuratore antimafia di Palermo, Marzia Sabella, 40, magistrato del pool che ha coordinato l’inchiesta per la cattura di Provenzano. «Il dualismo Stato- corleonesi è nato ai tempi di Michele Navarra e Luciano Leggio», dice, «e quel gruppo mafioso per anni l’ha avuta sempre vinta. Basti pensare a Riina, il più sanguinario, che aveva sposato una politica stragista che ha messo in ginocchio lo Stato. Non lo dobbiamo mai dimenticare». Dopo la stagione delle bombe, degli ammazzamenti di decine e decine di servitori dello Stato e l’arresto di Totò Riina, è iniziata la cosiddetta pax mafiosa, voluta da Provenzano. Un periodo di calma, nel quale rarissimi sono stati gli omicidi. Ma questo ha prodotto pure una sorta di abbassamento del livello delle coscienze anche se la tregua non ha fermato il lavoro dei magistrati. «Per quanto riguarda la realtà siciliana», sottolinea Marzia Sabella, «non ci risulta che si sia fatto un appalto, un lavoro serio, Un murales che raffigura senza l’intervento della mafia, anche al di là delle strade un santo nell’atto insanguinate che, per fortuna, ma anche per convenienza di benedire i lavoratori loro, non ci sono state più. Non si è trattato, però, e i bambini, campeggia di una conversione buonista. Nessun mafioso ha mai nel centro di Corleone. pensato di convivere con lo Stato, rispettando la vita

GENTE 33 mero dei primi e quello di questi ultimi miani), quando in un assolato e caldo pri- girello, che nel proprio bar, nel centro è colmata dalla violenza); a spegnere mo pomeriggio, nel cimitero del paese, di Corleone, servono l’amaro “Il Padri- quella tensione ideale che seguì alle vicino alla tomba del boss Luciano Leg- no”, di propria ricetta e produzione. stragi di Capaci e di via D’Amelio (del gio, il custode, dispiaciuto, afferma: «Di «Noi abbiamo sfruttato imprenditorial- 19 luglio 1992, quando venne ammaz- mio zio, del fratello di mia madre, però, mente l’etichetta che hanno affibbiato zato il giudice Paolo Borsellino). nessuno parla...». L’uomo si lamenta del- al nostro paese, scherzandoci su», spie- «Tredici anni di pax mafiosa hanno l’oblio in cui è caduto il parente, al quale, ga. «Che male c’è?». addormentato le coscienze», sostiene è la sua personalissima opinio- Si può scherzare su centi- Dino Paternostro, segretario della Cgil ne, un posto nella storia del naia di morti ammazzati e di di Corleone e direttore della rivista on paese spetterebbe di diritto. persone sciolte nell’acido? Le line Città nuove. Nel paese di Proven- Anzi, con una battuta fin trop- parole, a volte, possono ri- zano, dove l’amministrazione comunale po ovvia, il posto spettante sa- uscire più macabre del luogo ha subito deciso di proclamare l’11 rebbe più esatto definirlo d’o- in cui vengono pronunciate: aprile (giorno dell’arresto del boss) nore: perché lo zio «illustre», i «Da picciotto, è normale, Pro- giornata di festa, Paternostro, al quale i meriti storici che non ha visto venzano doveva farsi largo, mafiosi hanno bruciato l’auto, il 28 gen- ancora riconosciuti, sono l’es- ma poi che fastidio ha dato? naio scorso, è rimasta una delle poche sere stato «un mafioso», uomo Anzi». Per lui, zu Binu qualcu- voci che si levano apertamente contro d’onore, appunto, e soprattut- no deve averlo necessaria- la mafia. Certo, ci sono i ragazzi delle to, «essere stato come un fratel- Provenzano mente «venduto agli sbirri, cooperative che coltivano i terreni con- lo per Luciano Leggio». nei manifesti sennò e quando lo pijau...». fiscati a Riina, ma l’atteggiamento più «Ma poi questa mafia cos’è? attaccati Di tutt’altro avviso Pater- diffuso è ancora quello di deferenza Non esiste», sostiene con vee- nostro, per il quale la cattura verso i mafiosi. Così può capitare di menza un ragazzo che partecipa sui muri di Provenzano «è solo il risul- sentirsi proiettati all’indietro nel tem- al capannello formatosi nel di , tato di una brillante azione di po, sul set del film Il giorno della civet- camposanto. Lui, 26 anni, è il prima polizia». Il sindacalista rac- ta (del 1968, diretto da Damiano Da- più giovane dei tre fratelli Rug- della cattura conta di due vertenze che la del boss 34 GENTE Palermo. Il giudice Sabella a colloquio con il nostro Gennaro De Stefano.

umana, figuriamoci! Il calcolo è stato più rozzo: meno sangue, quindi meno pressione dell’opinione pubblica e, di conseguenza, degli inquirenti. Ma, proprio su questo punto, loro, i mafiosi, hanno sbagliato, perché, in questi ultimi cinque anni, ne abbiamo mandati in galera e processati quasi 500. La ripulsa dell’opinione pubblica scattò quando ci fu il terrore: fa orrore vedere un’autostrada che salta e i morti per terra. Una ripulsa verso la cultura mafiosa generalizzata, invece, non c’è. In un Paese dove coesistono disoccupazione, ignoranza e poco sviluppo è ovvio che il posto di lavoro o il posto in ospedale si ottengono grazie a determinate conoscenze e, se non si supera questa dipendenza, che è anche materiale ed economica, non credo che avremo mai la fine della mafia». Quel che ha sempre caratterizzato la vita di chi lottava contro il fenomeno delle cosche mafiose è stata la solitudine. «Lo fu per Giovanni Falcone e per tutti noi del pool», spiega Ayala, «lo è in parte anche per gli attuali giudici in prima linea. «Grandi momenti di solitudine ne abbiamo avuti», racconta Marzia Sabella, «ma credo sia stato un fenomeno che ha colpito i miei colleghi più anziani all’epoca delle stragi. Io non ho mai avvertito quel senso di impotenza che seguì la stagione del tritolo». Ora si aprono scenari inquietanti. «Non credo», dice Giuseppe Ayala, «che i palermitani consentiranno a Matteo Messina Denaro di prendere il potere assoluto. Primo perché lui è di ; secondo, perché, dopo la guerra di mafia, nella quale i palermitani uscirono con le ossa rotte dai corleonesi, è arrivato il momento di prendersi “ZU BINU” SI la rivincita. Il nuovo boss dei boss potrebbe essere Camera del lavoro di Corleone sta se- RIFUGIAVA QUI Salvatore Lo Piccolo, che è di Palermo. Ma io guendo in questo periodo: una riguarda Corleone (Palermo). ho un’idea diversa: l’arresto di Provenzano potrebbe Sopra, il fatiscente la ditta che ha l’appalto della raccolta e favorire un salto di qualità nell’organizzazione e spingere rifugio di Bernardo smaltimento dei rifiuti solidi, che, secon- Cosa Nostra a darsi per capo non un latitante, ma Provenzano uno sconosciuto, capace di farla uscire dalla dimensione do la Cgil, li stocca anche in siti abusivi. nella campagna L’altra è quella dei lavoratori di un pa- di Montagna dei agreste e proiettarla verso orizzonti finanziari». stificio, che commercializza proprio i Cavalli, località Marzia Sabella, invece, è più prudente: «Non sono prodotti delle cooperative antimafia. Da a due chilometri in grado di fare i nomi dei successori o immaginare il tipo sette mesi i lavoratori non percepivano lo da Corleone. Più di successione», dice. «Tutto dipende da come gli attuali stipendio. Ma Paternostro tiene a precisa- a sinistra: sopra, latitanti hanno vissuto l’epoca Provenzano. Dai “pizzini” re: «Mi piacerebbe che i giornali mettes- il municipio del che abbiamo letto, traspare grande devozione e stima sero in risalto i contorni in chiaroscuro di nei confronti del capo. Però, poi, paese, in piazza Palermo. Qui sotto, Corleone, che non ha dato soltanto i nata- bisogna vedere come i vari gruppi Garibaldi; sotto, il palazzo di giustizia. li a Leggio e agli altri mafiosi, ma anche al Dino Paternostro, hanno metabolizzato la sua sindacalista comunista , segretario della direzione. Io escludo che la grande organizzatore delle lotte dei brac- locale Cgil, cattura sia frutto di una soffiata.

cianti, e a Bernardino Verro, primo sin- accanto al busto Se poi abbiamo fatto comodo OTOGRAMMA F daco socialista di inizio Novecento». Il di Placido Rizzotto, a qualcuno...». chiaro. Lo scuro è che entrambi sono sta- il sindacalista che Ma se zu Binu collaborasse ti uccisi dalla mafia (Rizzotto nel 1948, a organizzò le lotte lo verremmo a sapere? «No, non 34 anni, Verro nel 1915, a 49 anni, dopo dei braccianti subito, almeno», conclude Sabella, averne trascorsi dodici in prigione per e fu ucciso nel «perché rischieremmo di avere aver organizzato le rivolte contadine a 1948 dalla mafia. subito centinaia di latitanti”. Corleone), e del primo non sono mai sta- Gennaro De Stefano ti ritrovati neppure i resti. (ha collaborato Antonio Murzio G Antonio Murzio)