SEGUSIUM 40 In copertina: Susa, cinta di mura, in una delle tavole del Theatrum Sabaudiae (1682).

Il fregio nella pagina precedente è la riproduzione di un sigillo-timbro – visibilmente usurato – del secolo XVIII della Provincia di Susa (Museo Civico - Susa). Società di Ricerche e Studi Valsusini

SEGUSIUM

SUSA - Ottobre 2001 - Anno XXXVIII - n. 40 Il Consiglio Direttivo di Segusium

Giulio Fabiano, presidente onorario. Lino Bortolo Perdoncin, presidente - Tullio Forno, vicepresidente - Ferruccio Pari, segretario - Giorgio Maffiodo, tesoriere - Consi- glieri: Enea Carruccio, Mario Cavargna, Mauro Minola, Alberto Perino, Luigi Pognant Gros.

Il Comitato di Redazione della rivista

Direttore: Tullio Forno. Condirettore: Piero Del Vecchio. Comitato: Mario Cavargna, Giulio Fabiano, Pier Giorgio Gagnor, Laura Grisa, Mauro Minola, Ferruccio Pari, Alberto Perino, Dario Vota.

Direttore responsabile: Tullio Forno. Autorizzazione del Tribunale di Torino, n. 1666, 31 luglio 1964.

Proprietà riservata

Finito di stampare dalla Grafica Chierese nel mese di ottobre 2001.

* * *

Segusium - Società di Ricerche e Studi Valsusini Sede: Via Unione Sovietica 8 (dei Fossali) - 10059 Susa (TO)

Indirizzare la corrispondenza a: Segusium - Casella Postale 43 - 10059 Susa (TO) I versamenti vanno fatti indirizzando a Segusium - Conto Corrente Postale n. 29681103 - 10059 Susa (TO). SEGUSIUM - Susa - Settembre 2001 - Anno XXXVIII - n. 40

SOMMARIO

Questo numero 40 ...... pag. 7

RICERCHE E STUDI Aureliano Bertone: Il ÇcasoÈ Donnus ai margini dei contrafforti alpini. Considerazioni numismatiche ...... pag. 11 Mauro Cavargna: L’area del Castello di Susa. Le vicende storiche e costruttive ...... pag. 25 Giancarlo Chiarle: Un villaggio medievale: Villar Focchiardo tra XI e XIII secolo ...... pag. 41 Mauro Minola: Il trinceramento francese al Colle del Besso ...... pag. 69 Bruno Signorelli: Interventi edili al campanile di San Giusto a Susa (1772-1773) ...... pag. 83 Cristina Scarato: Storia della Biblioteca Civica di Susa ...... pag. 103 Tullio Forno: La Biblioteca e parecchio altro in città e in Valle ...... pag. 125 Rita Martinasso: La stampa laica liberale valsusina nell’Ottocento: L’Indipendente ...... pag. 135 Laura Grisa: Il vescovo Edoardo Rosaz da dieci anni beato ...... pag. 161

COMUNICAZIONI Piero Del Vecchio: Mons. Vittorio Bernardetto Vescovo di Susa . . . . . pag. 179 ***: Mons. Alfonso Badini-Confalonieri ...... pag. 184 t.f.: Ricordo di don Guido Ferrero amico degli artisti ...... pag. 185 ***: Ricordo di Augusto Doro direttore di ÇSegusiumÈ ...... pag. 189 Dario Vota: Il segno sul monte. I cento anni della croce monumentale del Musiné ...... pag. 193 Orianna Baritello: Suona da 150 anni la banda di Villar Focchiardo . . pag. 197 Emanuela Sarti: Vaie: preistoria per scopi didattici ...... pag. 207 Carlo Ravetto: Voglia di teatro in piemontese ...... pag. 211 t.f.: Un pascià segusino. Il generale Emilio De Giorgis ...... pag. 217 ***: Sacra rappresentazione alle Ramats (e deplorevoli dimenticanze) pag. 221 5 LIBRI ...... pag. 225

BOLLETTINI - RIVISTE - QUADERNI ...... pag. 255

NOTIZIE ...... pag. 275

CRONACHE DI ÇSEGUSIUMÈ ...... pag. 299

Massimo Marighella - Alberto Perino: ÇSegusiumÈ su Internet . . . . . pag. 307

ÇSEGUSIUMÈ SU INTERNET

6 Questo numero 40

Con l’ingresso Ð realizzato da Perino e Marighella Ð di ÇSegusiumÈ in Internet, in questo 2001 si conclude il quinquennio del Consiglio Di- rettivo in carica. Doverosamente, rispettando il proprio Statuto, ogni 5 anni la Società di Ricerche e Studi valsusini chiama i Soci a eleggere i propri dirigenti. Nel gennaio 1997 l’entrata in funzione della dirigenza appena eletta coincise con una nuova direzione di questa rivista e con la formazione di un Comitato di Redazione degno di tale nome impegnativo. Tutte insieme queste persone, sulla base di un programma ben defi- nito, hanno cooperato a dare una struttura precisa alla nostra pubbli- cazione annuale. Oltre ai più corposi saggi («Studi e RicercheÈ) e alle ÇComunicazioniÈ, per la prima volta nel 1997 abbiamo inserito alcune rubriche sempre ricorrenti e riservate alle segnalazioni di libri, di rivi- ste, un notiziario degli eventi culturali delle Valli di Susa, le cronache di ÇSegusiumÈ. Eravamo consapevoli che questa struttura della pubblicazione avrebbe comportato un lavoro redazionale assiduo e impegnativo nel- l’arco dell’anno; vale a dire la realizzazione a tavolino di ogni volume, passo dopo passo, senza improvvisazioni dell’ultimo minuto, senza ri- correre a riempitivi presi a prestito Çper fare pagineÈ. Un altro impegno non da poco è stato il rispetto dell’uscita annuale: dal 1997 la rivista compare ad ogni inizio d’autunno, puntualmente. Nel 1998 i volumi pubblicati sono stati due. Per realizzare questo disegno non modesto abbiamo avuto la buona sorte di incontrare numerosi e bravi collaboratori, parecchi dei quali ÇnuoviÈ per queste pagine e in cinque anni la direzione non ha mai avu- to problemi di carestia, anzi è accaduto l’esatto contrario. Soprattutto si è mobilitato il Comitato di Redazione le cui firme ben note e collaudate compaiono numerose in ogni numero della rivista. A conclusione di queste informazioni ci possiamo permettere di dire in poche parole che il risultato dell’encomiabile impegno corale è stato un energico colpo d’ala: Segusium ha guadagnato nella stima e nel- l’interesse di Soci e di lettori, dai quali ci sono giunte non poche atte- stazioni di gradimento.

7 Questo numero 40 di Segusium accoglie con gratitudine nuovi col- laboratori, in maggioranza di sesso gentile: Orianna Baritello, Rita Martinasso, Emanuela Sarti, Cristina Scarato; e Massimo Marighella, Carlo Ravetto, Bruno Signorelli. Le altre collaborazioni sono di Barbara Debernardi, Laura Grisa, Aureliano Bertone, Mario Cavargna, Giancarlo Chiarle, Pier Giorgio Gagnor, Mauro Minola, Alberto Perino, Dario Vota, del condirettore Piero Del Vecchio, del direttore Tullio Forno. Queste collaborazioni ci consentono di presentare ai nostri lettori un volume della rivista particolarmente vario per temi, scrittura, illustrazio- ni; a cominciare dall’architetto Bruno Signorelli presidente della SPABA (Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti) autore di una ricerca su vicende settecentesche del campanile e della Cattedrale di San Giusto. Non manca qualche intrigante stimolo di attualità, muovendo dal pas- sato: Cavargna con il castello di Adelaide; Scarato con la Biblioteca Ci- vica di Susa; Martinasso con la stampa laica valsusina dell’Ottocento. Segusium – Società di Ricerche e Studi valsusini – non è certamente nuova a queste esplorazioni del passato allo scopo di ricavarne perti- nenti confronti con le situazioni odierne. Non per spirito di briga pole- mica, ma per valutare al meglio lo stato delle eredità storiche, da mi- gliorare e adeguare alle possibili fruizioni nei tempi correnti. Compiti che ci indica anche lo Statuto e che hanno vari precedenti, ad esempio un nostro convegno del 1987 su ÇCentro storico: studi sul passato, pro- spettive di recuperoÈ presieduto da don Bartolomasi a Villa San Pietro. Nel complesso dei temi trattati abbiamo cercato, ancora una volta, un equilibrio fra tempi remoti e tempi a noi più prossimi, non escluse vi- cende contemporanee, non trascurando il ricordo di persone importanti che hanno ben meritato, ciascuna nel proprio ambito sociale, in Valle; perché la memoria storica è valore di alto pregio per tutti.

* * * Questo, per stringate indicazioni, il contenuto vario del n. 40 di Se- gusium, all’inizio del terzo millennio. Le caratteristiche ormai consolidate della rivista hanno superato il collaudo di un sufficiente numero di anni e anche Çil giudizio degli uo- miniÈ. Non ci sono dunque indicazioni contrarie al proseguimento, in avvenire, del cammino sulla medesima strada; avendo però ben presen- te la responsabile considerazione che questa nostra rivista è sempre migliorabile. Con la collaborazione di molti. Susa, settembre 2001

8 Ricerche e Studi

SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 11-24

A mia moglie Paola

Aureliano Bertone * Il ÇcasoÈ Donnus ai margini dei contrafforti alpini. Considerazioni numismatiche

Le civiltà sono entità di lunga, lunghissima durata (...) Sono fermamente ancorate al loro spazio geografico. Certo, la più potente, la vittoriosa penetra molte volte nella più debole, la colonizza, vi impianta i suoi quartieri ed i suoi centri di comando. (F. BRAUDEL, La Méditerranée, Paris, 1985)

Problemi metodologici per l’analisi di un’autorità in ombra Lo studio del popolamento umano sia sui massicci alpini occidentali che in qualsiasi altro territorio attrae l’attenzione sui meccanismi socio-politici che sembrano aver alimentato il coordinamento di determinati contesti. In questa direzione la ricerca archeologica ha posto da tempo l’accento sul graduale svi- luppo di società guidate da nuclei di potere e di coordinamento politico-econo- mico su specifici territori (chiefdoms: SERVICE, 1962). Inoltre è stato messo anche in rilievo un fatto ampiamente riconosciuto: in effetti è proprio conside- rando questo percorso evolutivo che, nei chiefdoms, si riconosce l’ovvia pre- messa delle formazioni statali propriamente dette (SERVICE, 1975). Soffermando l’attenzione su strutture simili in rapporto alla Valsusa, si è intuita l’impostazione graduale di chiefdoms già nel corso del III-II millennio a.C., in occasione di un più sistematico sfruttamento delle risorse montane

* Il professor Bertone è Conservatore del Civico Museo Archeologico di Chiomonte. 11 (BERTONE - FOZZATI, 1998; v. infra). Ad ogni modo, più indizi mettono in luce il fatto che, nel corso della seconda metà del I millennio a.C. (fasi La Tène), si sono ormai elaborate anche su questo distretto alpino delle forme di popola- mento intorno a specifici gruppi di coordinatori che garantiscono un controllo articolato del territorio (figg. 1a - b): sono emblematici gli insediamenti d’al- tura che presuppongono un’avanzata carrying capacity (letteralmente Çcapa- cità di mantenimento») in risposta alle limitate potenzialità del catchment (Çbacino di catturaÈ sempre nel lessico della New Archaeology: HIGGS - VITA FINZI, 1970) dei siti vallivi (significativo è il caso dell’abitato di Cascina Pari- sio di Susa, oggetto di un’esplorazione risoltasi in indagini davvero articolate: BERTONE - GAJ - VECELLI, 1995 (1)); ma è anche ponendo in evidenza l’impor- si di certi coordinatori in quanto élite politiche in questo fenomeno sociale che un’interessante verifica archeologica è costituita da alcune sepolture di indivi- dui di rango (BERTONE - FOZZATI, 1998; in stampa. V. infra.). A proposito di questo stadio culturale, per il bacino della Dora Riparia, è ben noto che le fonti letterarie sono state piuttosto avare di riferimenti al capo lateniano Donnus. é emblematico che lo stesso Cesare, nonostante i rapporti politico-diplomatici che possono esservi intercorsi, non abbia ritenuto di rive- lare il nome di questa personalità di rango. Per di più è lo stesso patrimonio epigrafico attualmente disponibile a tracciare contorni sfumati intorno alla medesima figura, limitandosi a fornire semplici cenni. Per altro è anche risaputo che Donnus, in una parziale prospettiva antiqua- ria della ricerca, è il protagonista da oltre un secolo di più interventi curati per lo più da eruditi locali. È curioso che proprio l’indagine antiquaria di Placido Bacco (1881) ne abbia delineato la figura di dinasta sulle Alpi Occidentali: il percorso seguito è sembrato procedere nei termini di una romantica saga sullo sfondo di uno scenario montano che, in quanto tale, si qualificava in una sorta di alternativa al modello romano. Talora altri interventi hanno sfiorato via, via toni eccessivamente enfatici o, almeno, hanno sorvolato su necessarie note esegetiche. Ma la ricerca è ormai giunta a dare impulsi a più decisive analisi sistematiche (VOTA, 1999; 2000). In realtà chi scrive continua a considerare l’utilità di estendere il rileva- mento archeologico ad ampio raggio: in effetti è un simile indirizzo metodolo- gico che può porre Donnus in rapporto sia positivo che negativo con un più coerente insieme di dati cronologici e territoriali. In tal modo viene avvertita l’utilità di mirare a riconoscere in quale effettivo contesto storico-culturale

(1) Purtroppo l’indagine archeologica deve lamentare la sporadicità dei dati che le prospe- zioni sistematiche o gli interventi spontanei possono aver individuato sino ad ora su alti morfo- logici valsusini. Tanto più che queste tracce di insediamenti su rilievi isolati possono alimentare le ampie controversie sulla effettiva collocazione degli abitati preromani segnalati dalle fonti classiche (VOTA, 1999). 12 Fig. 1 - Modello di evoluzione socio-politica degli spazi vallivi sulle Alpi Cozie e Graie interne tra il secondo quarto del III millennio a.C. (Gruppo DCA) (a) e la fine del I (b). Superfici chiare: fondo- valle o bassi versanti; linee oblique: alti versanti, pascoli; cerchi chiari: nuclei di coordinamento (in prevalenza, siti permanenti di fondovalle); frecce con aste sottili: attività di transumanza a breve raggio; frecce con doppia asta: circolazione di oggetti di prestigio; freccia curva spessa: risalita di gruppi allogeni di cercatori di minerali di rame; stella: nucleo di potere e di coordinamento even- tualmente celtico (preferenzialmente, sito d’altura); cerchi neri: comunità locali (in prevalenza, siti d’altura); fascia puntinata: flusso di beni lungo «istmo» europeo (dis. A. Bertone). 13 può essersi estesa l’azione del capo Donnus e/o degli individui che sono stati coordinati da questa figura politica: così facendo, si opera in vista di una mi- gliore comprensione del loro comportamento e della cultura materiale che essi hanno prodotto con tale comportamento (HODDER, 1986). A questo proposito, va osservato da principio che il nome Donnus è stato segnalato in modo non trascurabile anche in un altro territorio: un territorio che risulta tanto vasto quanto estraneo al bacino della Dora Riparia. Infatti il fenomeno si pone in rapporto con un complesso di rinvenimenti monetali ef- fettuati sul medio solco del Rhône; e si tratta di un insieme di interventi che ha preso un qualche avvio grosso modo in contemporanea con l’impostazione dei progetti di studio valsusini sopra menzionati (DE LA TOUR, 1892). Che, sulle prime, alla figura del capo valsusino Donnus possa essere attribuito il compor- tamento proprio di un’autorità coniante può essere un’ipotesi seducente, ma è evidente che sono necessarie le opportune verifiche.

I quinari Çau cavalierÈ a nome Donnus La circolazione e la produzione monetaria preromana nelle Gallie ha un an- damento alquanto articolato che si snoda tra la fine del IV ed il tardo I sec. a.C. (La Tène B1-D2 nel lessico archeologico, per l’Europa Centrale) (ALLEN, 1980; 1990; GRUEL, 1989). Si tratta per lo più di coniazioni elaborate da proto- tipi ellenistici: le soluzioni adottate seguono percorsi stilistici variamente ca- denzati nei diversi distretti dove risiedono differenti entità etniche (civitates). I pezzi d’oro e d’argento sono prevalenti sino al I sec. a.C. ed è intuibile, pertan- to, il loro ruolo determinante nel quadro di importanti circuiti economici. Ma è tutt’altro che trascurabile il loro carattere anche ostentativo: è interessante, a tal proposito, che Posidonio (Storie, XXIII) (2) e Strabone (Geogr., IV, 2, 3) (3) abbiano provveduto a segnalare determinati interventi curati da un capo celti- co in Arvernia nel II sec. a.C. Sul carattere ostentativo delle monete ha anche avuto occasione di fare il punto l’antropologia strutturale: un interessante in- tervento (DOUGLAS, 1985) ribadisce il rapporto stretto tra ÇstruttureÈ quali de- naro, retorica, forme, apparenza e ritualismo, tutte ormai consolidate espres- sioni di diffidenza in una realtà culturale occidentale ancorata a schemi razio- nali di tradizione ellenica; ed è forse da interpretare in linea con questa attività antiritualistica lo stesso intervento di Posidonio e di Strabone.

(2) ÇLuernio, per garantirsi il favore della massa, passando sul carro lungo le campagne, get- tava oro ed argento alla moltitudine di Celti che lo seguivanoÈ. (3) ÇSi racconta che Luerio, il padre di quel Bituito che ha combattuto contro Massimo e Domizio, ha raggiunto un livello di ricchezza e di lusso tale che una volta, per dare prova di sfarzo agli amici, si è fatto condurre su un carro lungo una pianura, spargendo ovunque monete d’oro e d’argento, perché coloro che lo seguivano le raccogliessero». 14 Fig. 2 - Quinario Çau cavalierÈ con legenda BR/COMA, BN 5820 (DE LA TOUR, 1892).

In un panorama così frammentato quanto lo sono le entità politiche nello spazio gallico tra II e I sec. a.C., durante le fasi più tarde e lungo il Rhône, si inseriscono dei tipi monetali argentei relativamente diffusi che la letteratura numismatica transalpina ha consacrato con la denominazione di Çmonnaies au cavalierÈ (DEROC, 1983) (fig. 2). Questa coniazione viene così realizzata nel- l’orbita romana da adeguarsi ad imitare il denaro di Q. Marcius Philipus, mo- netario nel 119 a.C., con testa elmata di Roma sul D/ e cavaliere al galoppo ar- mato di lancia sul R/ (la seconda soluzione iconografica si risolve in maniera più evidente in un’affrettata alternativa alla figura dei Dioscuri riprodotta sul prototipo romano: GRUEL, 1989; SCHEERS, 1969). In realtà, contrariamente al percorso che sembra sia stato seguito dalla media del numerario celtico (DU- VAL, 1987), le Çmonnaies au cavalierÈ mostrano di imitare passivamente il tipo ellenistico-romano, senza rispondere ad alcuna sensibilità impressionista e simbolista: le immagini mantengono così forme naturalistiche, per quanto si rivelino come nettamente semplificate rispetto al prototipo (DEROC, 1983). D’altra parte, in questo caso, l’adeguamento segue anche il sistema pondera- le romano, nel senso che le «monnaies au cavalier» si assestano a metà del peso teorico del denaro (GRUEL, 1989), presentandosi in tal modo come ÇquinariÈ. 15 Per altro, come sempre avviene, anche la cronologia relativa di queste mo- nete è in stretto rapporto con l’evoluzione del sistema ponderale che esse assu- mono. Le prime coniazioni, con legenda sul R/ che sembra alludere al prototipo Ð ROMA - (ALLEN, 1990), ma che comunque si riferisce probabilmente ad un’autorità emittente COMA(NOS) (DEROC, 1983) (fig. 2), pesano in media 2,20-2,15 g. Nonostante tutto, si deve ancora registrare una discreta incertezza di opinioni sulle date iniziali che sono state attribuite tra la fine del secondo sec. a.C. (SCHEERS, 1969) e la fine del primo quarto del primo sec. a.C. (DE- ROC, 1983). Le «monnaies au cavalier» più recenti, ridotte al peso medio di 1,90 g, so- no state individuate in alcuni ripostigli in associazione a pezzi romani: il che confermerebbe la loro collocazione tarda. Per quasi l’intero complesso di que- sti tipi monetali celtici, il terminus ante quem è rappresentato dalle scoperte nei fossati di Alesia. Il sito di Alise Sainte-Reine (Côte-d’Or) è stato identifi- cato nell’Alesia di cesariana memoria a seguito di interventi voluti da Napo- leone III, tra il 1861 ed il 1865, nello spirito nazionalista di un’archeologia che esaltasse la tradizione ÇfranceseÈ (DANIEL, 1982). Oltre ad un considerevole complesso di emissioni celtiche, la scoperta di «monnaies au cavalier» tra le più recenti (a legenda DVRNACOS) mostrereb- be che si tratta di coniazioni semmai anteriori al 52 a.C.; ma più indizi archeo- logici chiariscono che hanno continuato a circolare successivamente (SCHEERS, 1969). Sempre all’interno di questo insieme più recente di monete, è stato osser- vato che, in una fase definitiva del loro sviluppo, le stesse legende vengono ad adeguare le desinenze al modello latino. Così, sul D/, il nome DVRNACOS, in una lingua verosimilmente celtica, viene ribattuto come DVRNACVS (VAN DER WIELEN, 1984). In tal modo, concordano le attribuzioni cronologiche di Allen (1990), secondo cui le emissioni con legenda DVRNACVS andrebbero collocate nel decennio successivo alla fine della guerra gallica. Ma è proprio nel caso dei quinari con la forma latinizzata Durnacus che ri- sulta associato, sul R/, il nome DONNVS (Bibliothèque Nationale, Paris, n¡ 5795: DE LA TOUR, 1892; fig. 3). A prima vista, la collocazione cronologica di questi quinari sembrerebbe porli in stretto rapporto con il capo valsusino: tanto più che, in realtà, è un fat- to ampiamente riconosciuto che i contenuti onomastici sulle monete lateniane alludono in prevalenza ad autorità emittenti (COLBERT DE BEAULIEU, 1962; FI- NOCCHI, 1987). Ma, allo stesso tempo, resta il fatto che non si dispone di alcun indizio (epigrafico o letterario) che possa delineare un qualsiasi rapporto tra il Donnus in questione ed il nome Durnacus. E se dietro Durnacos/us si nascon- de una personalità illustre e sconosciuta (DEROC, 1983), le coniazioni che lo ri- portano non sono certo un fenomeno isolato (V. infra). Del resto si avverte una 16 Fig. 3 - Quinario Çau cavalierÈ con legenda DURNACVS/DONNVS, BN 5795 (DE LA TOUR, 1892). Fig. 4 - Quinario Çau cavalierÈ con legenda ESIANNI/DONNVS, BN 5801 (DE LA TOUR, 1892).

17 situazione analoga per la forma alternativa ESIANNI sul D/ che si incontra an- che su altre Çmonnaies au cavalierÈ con legenda Donnus (BN 5801; fig. 4). In ultima analisi i nomi associati a Donnus esprimono il carattere enigmati- co delle legende sui quinari Çau cavalierÈ e comunque non trovano modo di connettersi neppure con riferimenti etnici, come è possibile osservare su altre monete celtiche. Viene così esclusa per i nomi Durnacus ed Esianni l’allusione all’origine del personaggio (4) o all’area di emissione (5).

Un solo Donnus? La tarda Età del Ferro è una fase per cui si dispone già da tempo di un am- pio complesso di informazioni in Valsusa, nonostante i problemi a cui è già stato fatto cenno: frequenti segnalazioni, prospezioni o dissezioni sistematiche o spontanee hanno ormai fornito il panorama di una frequentazione davvero capillare di comunità a vocazione agro-pastorale; per di più emerge la preva- lente tradizione indigena (BERTONE - FOZZATI, 1998; in stampa). Si tratta così di genti la cui matrice archeologica trova addirittura espressione nelle popola- zioni che sono state riconosciute nel quadro del ÇGruppo Dora-Chisone-ArcÈ (DCA: BERTONE, 1990) e che sono state le protagoniste della matura integra- zione con l’ecosistema montano già nel corso del III millennio a.C. (fig. 1a). Del resto può sembrare paradossale, ma le indagini archeologiche che han- no avuto per oggetto il bacino della Dora Riparia non hanno permesso di se- gnalare tracce di monetazione lateniana (6) e, meno che mai, quinari con le- genda Donnus. E vale la pena entrare nei dettagli, osservando che questa as- senza prescinde sia dai ritrovamenti isolati in abitato od in tomba che dai ripo- stigli. In effetti è stato osservato che i primi sono documenti di particolare si- gnificato per riconoscere le aree di circolazione dei tipi monetali, mentre i ri- postigli possono accogliere insiemi di monete eterogenee (ARSLAN, 1992-’93; PAUTASSO, 19662): pertanto, soprattutto perché non sono state messe in luce coniazioni isolate in siti della tarda Età del Ferro, non si è in grado di disporre

(4) Fra gli esempi di questo tipo, valgano emissioni con legenda ARIVOS/SANTONOS (Arivos il Santone: BN 4525) o CANTORIX/TVRONOS (Cantorix il Turone: BN 7011). (5) L’area di emissione è già stata ipotizzata anche per i quinari «au cavalier» con legenda COMA nei casi in cui si presenta sul D/ BRI, BRIG o BRICO: una proposta in tal senso, per al- tro in attesa di necessarie verifiche, vi riconoscerebbe l’abbreviazione di Brigantio (Briançon) o Brigomagus (Briançonnet) (DEROC, 1983). (6) Viene segnalata la sporadica presenza di monete celtiche nell’adiacente alta Durance: la letteratura fa riferimento a rinvenimenti isolati di coniazioni argentee, ma non vi è concordanza sull’attribuzione, rispettivamente agli Allobrogi (BOCQUET, 1991; BOCQUET - BALLET, 1987) o a produttori di non meglio precisate Çmonnaies au cavalierÈ (SCHEERS, 1969). 18 al momento di indizi utili per poter attribuire alla Valsusa un qualche ruolo di territorio di emissione. Nonostante la diversità di dati che possono emergere, sulla scoperta di mo- nete con legenda Donnus la letteratura francese ha fornito notizie centrate su ripostigli, pur riconoscendo anche una nutrita quanto generica dispersione di rinvenimenti isolati (7). I principali ripostigli in cui, come sopra accennato, queste monete sono state individuate in associazione a numerario romano co- niato almeno in parte dopo la guerra gallica (8), sono centrati sul solco del Rhô- ne: come si osserva per la maggioranza dei quinari «au cavalier», è interessato soprattutto il versante sinistro. Ma, oltre a ciò, se esse non sembrano aver cir- colato al di qua dello spartiacque alpino, mostrano di aver seguito ben altre di- rettrici: infatti hanno toccato almeno il bacino della Loire (Chantenay-- Imbert, Nièvre: SCHEERS, 1969) (fig. 5). D’altra parte è stato anche osservato il fatto che all’interno della Narbonen- sis, almeno dal 75 a.C., Roma deve aver condizionato la circolazione delle monete celtiche locali, uniformandone il sistema ponderale (DEROC, 1983): pertanto appare verosimile una così estesa dispersione dei quinari con legenda Donnus, così come si è verificata per altre emissioni argentee celtiche tra il solco del Rhône e la Linguadoca. Addirittura, seguendo questa logica e nono- stante le considerazioni generali a cui è stato fatto cenno, lo stesso Deroc (1983) ha sottolineato che, in tale contesto, gli stessi ritrovamenti di monete isolate non sarebbero soltanto concentrati negli spazi di produzione: infatti es- si potrebbero riflettere anche una notevole permeabilità del numerario celtico coniato sotto l’ombrello romano.

Tornando a fare il punto sulla Valsusa, la totale assenza di coniazioni con legenda Donnus nei siti prossimi ai supposti centri residenziali del capo in questione è un dato davvero stridente: infatti, pur supponendo per i massicci alpini interni e per il solco della Dora Riparia in particolare un limitato svilup- di un’economia monetaria (9), è improbabile che sia stata esclusa su questo

(7) A proposito dei rinvenimenti isolati, viene fatto riferimento soltanto ai pezzi con la le- genda Durnacus sul D/ (DEROC, 1983) e pertanto non possono essere considerate sistematica- mente le coniazioni a nome Donnus. (8) Le monete romane più recenti che accompagnavano nei ripostigli i quinari con legenda Donnus sarebbero state coniate in un periodo compreso tra il 43 ed il 27 a.C. (SCHEERS, 1969). (9) L’indagine archeologica in Valsusa ed in altri territori limitrofi (in particolare nell’alta Maurienne ed in Val Chisone) ha posto in evidenza il prevalere di un’economia a vocazione au- tarchica tra le popolazioni autoctone: il fenomeno è già avvertibile a partire dal III millennio a.C. (Gruppo DCA), ma si protrae anche durante il processo di acculturazione imposto da Roma (BERTONE - FOZZATI, 1998; CARANZANO - ROSSI, in stampa). 19 Fig. 5 - Tracce archeologiche pertinenti al nome Donnus tra i solchi del Rhône-Loire e del Po (li- nee oblique: aree collinari o pedemontane comprese tra 500 e 1000 m s.l.m.; punti: aree montane superiori ai 1000 m). Cerchi = ripostigli con quinari Çau cavalierÈ a nome ÇDonnusÈ; stelle = do- cumenti epigrafici riferiti al capo segusino; semicerchi su quadrati = documenti epigrafici riferiti a personalità di nome Donnus non ulteriormente identificate (disegno Aureliano Bertone - grafica Al- berto Perino). territorio la circolazione di un quinario su cui è segnalata come autorità emit- tente proprio Donnus. Il carattere ostentativo assunto dalle monete è tale da non limitarsi esclusi- vamente a funzioni economiche e da evitare completamente la circolazione in un nucleo politico come la Valsusa di Donnus. La collocazione così periferica dei quinari «au cavalier» a legenda Donnus rispetto alla Valsusa invita a supporre l’esistenza di un caso di omonimia; caso del resto che sembra non esclusivo, ma che piuttosto si rivela come ulterior- mente riscontrabile in base ad altri documenti archeologici. 20 Focalizzando nuovamente l’attenzione sulla Provincia e per di più sul ver- sante destro del Rhône, è nel grande centro di Nîmes che un cenno epigrafico rinvia ad un Donnus (10): ma, oltre tutto, è interessante che analisi in proposito attribuiscano il reperto al II secolo d.C., quindi ad un contesto del tutto estra- neo a quello in cui è vissuta l’autorità valsusina. D’altro canto, per quanto sembri collocarsi in posizione diacronica, non possono essere escluse affinità geografiche con il titolare delle Çmonnaies au cavalierÈ. Ma il nome Donnus è segnalato anche in una situazione ambientale opposta a quella rodaniana, presso Como (11): in ambedue i casi si tratta di documenti archeologici riconosciuti in giacitura secondaria e purtroppo essi non sono in grado di fornire molte informazioni sui contesti di appartenenza; comunque non emergono certo elementi che facciano intravedere nel primo come in que- sto secondo caso condizioni periferiche gravitanti intorno alla Valsusa. Resta il fatto che il vasto spazio di distribuzione, verosimilmente in conte- sto culturale di matrice celtica, del nome Donnus suggerisce un rapporto etni- co diverso, rispetto alla componente indigena valsusina, componente posta in evidenza dagli abitati messi in luce dall’indagine archeologica, in primo luogo quella dello stanziamento di Cascina Parisio di Susa (BERTONE - GAJ - VECEL- LI, 1995): questa impressione sembrerebbe trovare conferme, non solo nel ruo- lo politico dominante del Donnus che governò sul bacino della Dora Riparia, ma anche nelle sepolture lateniane rinvenute sporadicamente sul medesimo territorio, non da ultima in quella di una donna di rango individuata a La Mad- dalena di Chiomonte (BERTONE - FOZZATI, 1998; in stampa; CARDUCCI, 1959; FEDELE, in stampa; NISBET - FEDELE, 1978). Per altro l’individuazione di chiefdoms con nuclei di potere celtici in ecosi- stemi alpini come la Valsusa rinvia al modello di uso di Çistmi europeiÈ (BRUN, 1991): già dai primi secoli del primo millennio a.C. la popolazione europea graviterebbe su due zone costiere fra loro complementari (Mediterraneo e Bal- tico-Mare del Nord); esse sarebbero poste fra loro in rapporto attraverso Çist- mi», vale a dire assi di comunicazione d’importanza strategica (e quindi tali da motivare una forte gerarchizzazione sociale per il loro controllo), costituiti dai principali corsi d’acqua e dai solchi alpini (fig. 1b).

(10) CIL XII, 3591: Manibus / Frontonis / Donni f (11) CIL V, 5335: Sibi et Capitoni / Vervici f patri / et Sacirae Donni / f matri 21 BIBLIOGRAFIA CITATA

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23 24 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 25-40

Mario Cavargna L’area del Castello di Susa Le vicende storiche e costruttive

Il recentissimo annuncio di un finanziamento di 15 miliardi per il restauro del castello di Susa e delle aree archeologiche adiacenti, ottenuto da parte del- la attuale Amministrazione comunale di Susa, sia pure su delle istanze matura- te in quella precedente, rappresenterà il maggiore investimento destinato alla conservazione dei monumenti della Valle (1). Il castello di Susa aveva già avuto gli scavi archeologici eseguiti dal Car- ducci nel 1940 che avevano messo in luce la porta romana e le aree retrostanti. Nei primi anni ’70 si parlò di un intervento finanziato da un grande gruppo bancario in sincronia con un volume della sua collana d’arte dedicato ai monu- menti della Valle di Susa, ma non si fece nulla né dell’uno né dell’altro. I lavori di restauro sono tutti recenti ed hanno riguardato essenzialmente il consolidamento dello spigolo Nord-Ovest [che minacciava di crollare (2)], la riapertura di due bifore esterne e la messa in luce di altre due esistenti all’in-

(1) La Valsusa, 7 giugno 2001 15 miliardi per il castello di Adelaide: Çil finanziamento com- prende il recupero del castello, la prosecuzione degli scavi archeologici, con la relativa sistema- zione dell’area circostante e della stradina, più il riutilizzo dello stabile delle ex carceri per atti- vità connesse». Luna Nuova, 8 giugno 2001 Piovono soldi sulle residenze sabaude: ben 15 miliardi per il castello di Susa, altri 6 per il forte di Exilles: ÇSi pensa di recuperare tutto, proseguendo anche gli scavi archeologici in particolare in piazza, dove oggi c’è soltanto asfalto: lì una volta c’era il foro romanoÈ. (2) La denuncia dello stato di estrema precarietà di questo punto è riportata nella relazione di M. Cavargna La situazione dei monumenti storici di Susa, al convegno ÇSusa: Centro storico studi sul passato e prospettive di recuperoÈ, Susa 28.11.1987. Gli atti sono stati pubblicati su Segusium n. 24 1988: la parte riguardante il castello di Susa è a pag. 120-121. Gli interventi furono fatti due anni dopo. 25 terno del sottotetto, il recupero di una bella bifora marmorea verso la città, ed una meno felice rinzaffatura della facciata che ha dato un colore plumbeo ad un edificio che sarebbe stato meglio mantenere su toni più chiari, anche per ri- spetto all’aspetto medioevale che, dai pochi lacerti restanti, sappiamo che era stilato a calce, come le mura e molti edifici di Susa (3).

A parte quanto è emerso da questi lavori, che più o meno era già stato antici- pato nel convegno promosso a Susa da Segusium e da Italia Nostra nel 1987 (4), e con l’eccezione di alcuni schizzi del De Andrade, sul castello di Susa manca- no degli studi e delle analisi. Unica felice eccezione è la scheda redatta da Etto- re Patria per la mostra ÇCastelli e fortezze della Valle di SusaÈ promossa dal Museo Nazionale della Montagna di Torino nel 1983, che si avvaleva anche di alcuni plastici, che però non comprendevano il castello di Susa. é uno scritto sintetico, ma ricco di contenuto che vale la pena rileggere integralmente.

ÇIl castello di Susa sorge su un’eminenza rocciosa dominante da Sud-Ovest la città, nelle cui mura risulta inserito. Nelle pagine che precedono questa sche- da si è più volte ricordato come l’area del castello abbia svolto sin dall’epoca romana un ruolo di luogo pubblico e di centro di comando, ereditato e adattato via via dai singoli poteri che si succedettero. In questo modo l’area castrense ri- mase in parte condizionata nella sua struttura materiale dall’esistenza di manu- fatti preesistenti, per lo più nati con funzioni del tutto diverse da quelle difensi- ve: arco di Augusto, acquedotto, residenza di Cozio e, quindi, palazzo pretorio. La mancanza di scavi archeologici meditati e di saggi stratigrafici orientativi Ð essenziali in futuro Ð non consente oggi una lettura efficace delle parti più anti- che: solo nel settore Nord-Ovest del castello è stato messo in luce un edificio romano rivestito di lastre marmoree ed una monumentale cisterna con volte a botte di cui non si può far altro, per ora, che registrarne l’esistenza». ÇIl castello dei conti di Savoia (castrum o palacium nel XII secolo) riutiliz- za (al lato Ovest) le torri della cinta muraria che presentano, nelle parti più an- tiche, una tipologia costruttiva che può essere fatta risalire al III-IV secolo d.C. Con un intervento decisamente originale vengono inglobate nell’edificio le arcate dell’acquedotto del IV secolo ottenendo un dongione triangolare (do- nio castri) evidenziato ai vertici da tre torri circolari. A Nord-Est è posta la parte residenziale del complesso (palacium), ed è la parte che ha subìto mag- giori rimaneggiamenti nel corso dei secoli. é questa la zona del castello utiliz- zata dai conti sabaudi e dalla loro famiglia itinerante durante le brevi soste in occasione della attraversata del MoncenisioÈ.

(3) M. Cavargna su Luna Nuova 21.6 1994: Susa: il colore della città attraverso i secoli. (4) M. Cavargna su Segusium n. 24, cit. 26 Due immagini attuali del Castello di Susa. In alto: veduta aerea dell’Arco e del Castello. In basso: il lato orientale del Castello, ossia la parte più antica e interessante del monumento rimaneggiato varie volte e in tempi diversi (foto di Mario Cavargna).

27 ÇSu questo lato erano situati i locali di rappresentazione e di ricreazione (aula magna, sala castri, logia), i locali del conte (camera comitis) e l’area dei servizi (cellaria, coquina, panateria burticlaria, larderius). Vi era il forno, mentre l’approvigionamento idrico era assicurato da una bialera che doveva utilizzare parzialmente l’antico tracciato dell’acquedotto romano, ed un pozzo (forse più propriamente una cisterna)». «All’estremità sud del lato est una porta con caditoie assicurava un collega- mento immediato con l’interno della città murata, raggiungendo il carterium civitatis, attuale via Palazzo di Città. Sul lato sud sorgeva la chiesa con l’absi- de ad oriente ed il campaniletto a sud, dove sarebbe comodo e necessario un saggio stratigraficoÈ. ÇNel castello risiedeva il castellano con una minuta guarnigione, ammini- strando per il conte il territorio affidatogli. Al tempo del duca Emanuele Fili- berto, con la costruzione della cittadella di Santa Maria, il suo ruolo militare, già contenuto in epoca tardo medioevale, si andò sempre più stemperando. Di- venne sede di un governatore che, a partire dal 1621, fa spesso il governatore dell’intera provincia segusina». «Nell’inverno del 1690, quando il castello fu affidato dal Catinat al mar- chese di Plessis Belliere, tutta la manica residenziale fu danneggiata da un in- cendio che distrusse completamente il tetto del salone. Nel XVIII secolo l’area residenziale subì un’ampia ricostruzione al fine di ospitare la corte di Carlo Emanuele III in occasione del matrimonio di Vittorio Amedeo con l’infanta Maria Antonia, celebratosi nel 1750 ad Oulx. A quell’anno risale la costruzio- ne di una strada sopraelevata che introduceva nel castello (lato ovest) di cui vi è ancora traccia della porta carraia». ÇSede di uffici governativi in epoca napoleonica e quindi delle scuole comu- nali, ospita oggi il Museo Civico e la Biblioteca intitolata al cardinale OstienseÈ.

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Un certo numero di anni trascorsi da allora consentono di incrementare le notizie. Come è stato giustamente osservato la struttura del castello è strettamente legata alla sua storia evolutiva a partire dall’epoca romana e quindi è indispen- sabile iniziare da questa. Il maggior problema parrebbe costituito dalla porta romana Çdel castelloÈ, aperta verso ovest, il cui ruolo pare adesso difficilmente comprensibile, con l’atrio interno (cavedium), trasformato in un cortiletto chiuso e ribasato rispet- to agli edifici circostanti (5).

(5) Con cavedium si intende anche il cortile interno della porta difensiva, racchiuso da muri da cui si poteva operare per fermare gli attaccanti che avessero superato il primo sbarramento. 28 Gli studi presentati su Segusium nel 1988 e nel 1994 negli atti dei convegni su ÇSusa centro storico, studi sul passato e prospettive di recuperoÈ e sul ÇBi- millenario dell’arco di AugustoÈ suggeriscono nuove prospettive. In estrema sintesi si è trovato che tutte le torri della cinta muraria esistenti, od individuabili nelle planimetrie del XVII e XVIII secolo, sono situate su de- gli assi che dividono la città in un reticolo regolare, che l’asse delle mura di Porta Savoia è perpendicolare a quello della attuale via Palazzo di Città e che l’asse di questa, che è la via più importante della Susa romana, prosegue esat- tamente nella porta romana del castello da un lato e nel primo tratto della via del cosiddetto Borgo dei Nobili dall’altro, anche se questo proseguimento oggi è impedito da nuclei di fabbricati costruiti dall’alto medioevo in poi (6). Si avrebbe quindi la conferma che anche Susa, al pari di tutte le altre città ro- mane, ebbe una pianificazione regolare, con un cardine Massimo (identificabile nella via Palazzo di Città), a cui si accedeva attraverso porte monumentali (7). L’area del castello in epoca romana doveva quindi essere molto meno separa- ta dalla città e con un dislivello molto meno accentuato di quanto appaia oggi, dopo la chiusura operata dagli edifici medioevali e i riporti di terra effettuati nel 1750 (8). Il cardine Massimo la fiancheggiava a Nord, procedendo in leggera salita, e trovando all’uscita dalla città, l’arco onorario di Augusto a sinistra e, l’acque- dotto sulla destra: poi la strada proseguiva verso il Monginevro (9). Su questa altura stavano delle residenze costruite sfruttando il leggero di- slivello, come farebbero credere le tracce di mosaici pavimentali trovate pro- prio ai piedi della collina nell’angolo Sud-Est.

(6) MARIO CAVARGNA, L’arco e la forma urbana della città di Susa, relazione al convegno sul Bimillenario dell’ arco di Susa, Susa 2-3 ottobre 1992. Gli atti sono pubblicati nel numero speciale di Segusium 1994, il testo citato è a pag. 51-64. (7) La spiegazione della posizione di Porta Savoia è diversa: sembra situata su di un asse ob- bliquo creato solo al momemo della costruzione delle mura per avere un percorso parallelo al corso della Dora che rendesse più facile gli spostamenti interni. Non va dimenticato che le mu- ra paiono costruite in grande urgenza verso la fine del III secolo, probabilmente per difendersi dalla minaccia delle invasioni che stavano devastando la vicina Provenza. (8) Il concetto acropoli forticata fu estraneo alla tecnica militare romana che, sfruttando la sua superiorità sul campo, preferiva creare degli spazi di manovra per le truppe: come le strade del pomerio, che seguivano lo sviluppo delle mura, all’interno e all’esterno di esse, e ampie zo- ne libere davanti alle porte, come quelle disponibili davanti a Porta Savoia, create utilizzando parte dell’area del foro e il terreno pianeggiante sino ai piedi del rilievo roccioso. (9) È probabile che la strada romana all’uscita della città seguisse il percorso della attuale mulattiera tra Susa e Giaglione, piuttosto che seguire quello della strada attuale ricavata nel 1700 lungo la forra del rio Gelassa dopo la deviazione del rio nella Dora, alla altezza di Grave- re, realizzata dal Consiglio della Città per difendere Susa dalle sue disastrose ricorrenti alluvio- ni. Per altre ragioni cfr. M.C., Susa - L’Arco e la forma urbana, cit. 29 Può darsi che sul rilievo roccioso vi fosse uno dei templi romani di cui so- no emersi dei capitelli, in questo caso il sito più probabile è quello della anti- chissima chiesa di S. Maria de castro, citata sin dal XI secolo, i cui resti furo- no interrati nella sistemazione dei giardini alla metà del 1700. Questo com- plesso fu modificato probabilmente al tempo delle guerre gotiche, se dobbia- mo prestar fede ad un passo di Procopio di Cesarea riferito alle Alpi Cozie. L’altura venne chiusa e trasformata in un punto fortificato adatto alle nuove tecniche militari.

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Il primo nucleo del castello di Susa deve essere stato realizzato a ridosso della porta romana dove la presenza delle tre torri e dell’arco costituiva un na- turale punto fortificato. Gli scavi del 1940 ci hanno restituito una piccola corte con edifici tardoantichi ed altomedioevali realizzati riutilizzando anche mate- riale di epoca classica. Non sappiamo se dalla parte della città vi fosse solo un muro di cinta in cui si apriva la porta ancora indovinabile all’altezza della fine della prima rampa, o se anche qui vi fosse qualche edificio scomparso nei rifacimenti successivi. All’epoca della fondazione del monastero di S. Giusto (1027) non vi so- no prove che Olderico Manfredi vi possedesse un palazzo, perché, nel 1001, il castrum della città non viene incluso nel terzo della valle e della città di Susa in suo possesso. E l’atto che sancisce la nascita della abbazia viene si- glato in Torino.

Le prime notizie di un palazzo nel castello di Susa sono dell’epoca di Ade- laide quando viene espressamente citato nell’atto rogato nel 1073 in palacio Secusiae e di nuovo in quello fatto nel 1078 in civitate Secusiae in castro in camera domine comitisse. Il riferimento d’obbligo è quello del matrimonio del 1043 tra Adelaide di Torino ed il secondogenito di Umberto Biancamano conte di Moriana e di Sa-

(10) Vari elementi indicano che la strada medioevale del Monginevro coincidesse con la mu- lattiera tra Susa e Gravere: la citazione della Cronaca di Novalesa del 1070 (libro II 18) che in- dica il percorso della strada parallelo all’acquedotto (via qua vehebatur iuxta acque ductum ca- strum Vienensis). Poi il fatto che proprio qui siano concentrate le più poderose difese del castel- lo: alla linea di 4 torri esistenti fu aggiunta successivamente una altra torre avanzata inglobando nel muro di collegamento le arcate delle Terme Graziane, e questa specie di bastione ante litte- ram fu completato raddoppiando lo spessore del muro che veniva protetto dal triangolo avanza- to. Tale spessore fa sì che dall’interno non si veda più una torre sull’angolo Sud-Ovest del ca- stello. Il muro pare sopraelevato con una struttura architettonica non banale. Non è impossibile che la sommità del muro ospitasse una piattaforma, su cui erano posizionate artiglierie balisti- che. 30 voia, Çuomo forteÈ del regno di Borgogna, che sposta in Italia gli interessi ed i diritti della casa di Savoia (11). È da notare che nel 1073 l’edificio viene indicato anche come palazzo, e quindi che quello che oggi vediamo è un rarissimo esempio di palazzo civile dei primi decenni dell’anno 1000: un periodo di cui son rare persino le costru- zioni religiose. Probabilmente in questa occasione fu deciso di costruire un palazzo distin- to dalle costruzioni precedenti e la parte di collina verso la città si presentava come la più adatta. L’edificio di quell’epoca, che conserva ancora le bifore romaniche, in parte visibili dal cortile, ed in parte rimesse in luce all’interno della costruzione at- tuale, aveva una forma allungata e sostanzialmente rettangolare, con un lato lungo sul cortile e l’altro verso la città e la bassa valle, piegato leggermente quasi a forma di spartiacque. Non aveva torri tranne la torretta forse riservata alle latrine, esistente sullo spigolo Nord. Ma la sua emergenza sulla città dove- va essere impressionante (12).

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Molto interessante è la disposizione delle bifore della facciata interna, po- ste su due piani sfalsati. Ogni bifora appoggia il suo margine esterno sulla ver- ticale del margine della bifora sottostante o soprastante. Si tratta di una solu- zione di straordinaria arditezza architettonica, soprattutto per quei tempi, che non verrà più ripetuta in seguito, perché interrompe la continuità nello svilup- po verticale dei muri. é interessante notare anche che i due ordini di bifore sono gerarchicamente uguali: il piano nobile non è individuato verso la corte, e lo si indovina solo sulla facciata, dove si apre una unica loggia marmorea. Mentre sulla corte si è conservata l’altezza originaria del palazzo, sia pure interrata per un paio di metri e senza la merlatura, il lato verso la città ha perso l’ultimo piano e si pre- senta assai meno imponente di quanto fosse in antico. Se dobbiamo prendere spunto da alcuni castelli di poco posteriori, come quello siculo normanno di Paternò, sopra la grande bifora marmorea doveva esservi una serie di bifore più o meno corrispondenti a quelle della corte in- terna. Forse un piano era riservato a residenza e l’altro, quello inferiore, a funzio- ni di rappresentanza.

(11) Il matrimonio fu fortemente voluto dalla corte papale e da quella imperiale, probabil- mente per risolvere una delicata questione istituzionale sul possesso della Valle di Susa, terra del regno di Borgogna, occupata e infeudata a feudatari del Regno d’ Italia. (12) Tenendo conto che, verso la città, oggi manca l’ultimo piano. 31 Dovrebbe essere in una di queste sale che si svolse nel 1213 il famoso in- contro con S. Francesco con il dono della manica e dove nacque nel 1203 Pie- tro II di Savoia detto Çil piccolo CarloMagnoÈ. In questa epoca quasi certamente non esisteva la seconda rampa della via di accesso dalla parte della città, e l’ingresso era al termine della prima rampa sulla destra di chi guarda, Sul lato Sud-Est del palazzo, si intuisce in alto la presenza di due arcate, già notate anche dal De Andrade, che indicherebbero l’esistenza di una stanza esposta a Sud, che, in epoche in cui la illuminazione dei 1ocali era assai scar- sa, era il luogo deputato a lavori che richiedevano una buona luce.

A questo palazzo, nella metà del 1200, a giudicare dalle tre trifore gotiche di cui si indovinano ancora le tracce all’esterno dell’edificio che guarda su piazza Savoia, venne aggiunta un’ala contenente una unica grande sala con funzioni di rappresentanza e di giustizia. L’epoca può essere collocata storica- mente dopo gli anni tra il 1226 ed il 1235 quando furono create le castellanie. Queste tre grandi trifore ad archi polilobati corrispondono all’interno alla sala del primo piano che oggi ospita la Biblioteca Comunale. Sempre all’esterno, la sopravvivenza della linea di fori di scolo attraverso cui l’acqua del tetto attraversava la antica merlatura, indica che i merli erano subito sopra la grande sala e che non esisteva un piano soprastante. Per comprender l’edificio medioevale dobbiamo seguire la planimetria del 1593 (13), antecedente all’incendio del Catinat nel 1690 e alle trasformazioni probabili in occasione del matrimonio dell’erede al trono (Vittorio Amedeo III) con l’infanta di Spagna nel 1750, quando furono fatti importanti lavori su tutta l’area, con la creazione della salita al castello che passa sotto l’arco di Augusto, e la formazione di un giardino ottenuto livellando il terreno e spia- nando i resti preesistenti, compresa l’antica chiesa di S. Maria del Castello. La parte dell’XI secolo, corrispondente all’edificio che guarda sulla città, era divisa in tre stanze: le misure in trabucchi rilevabili sulla carta antica, so- stanzialmente corrispondenti alle misure attuali, consentono di definire i loca- li isolando le aggiunte posteriori che li hanno suddivisi. A partire da Sud-Est esisteva una camera di 16 metri, poi una di 10 metri ed un’altra sempre di cir- ca 10 metri all’angolo Nord-Est. Alla prima appartenevano le arcate di cui si è detto, che furono notate anche da De Andrade. La seconda aveva la bifora mar- morea sulla città messa in luce nei restauri recenti. L’incendio e la successiva ricostruzione hanno invece radicalmente trasfor-

(13) Si potrebbe pensare anche ad una loggia coperta, aperta sull’esterno con trifore o polifo- re, ma questo tipo di costruzione avrebbe comportato un esuberante uso di pietra lavorata che non sembra essere stato diffuso Çal di qua degli AlpiÈ; e di cui avremmo dovuto trovare qualche minima traccia almeno come materiale di reimpiego. La questione comunque rimane aperta. 32 mato la parte costruita nel 1200 affacciata su S. Giusto, che ora va indovinata sulla planimetria attuale e sulle misure di quella del 1593. Si può ipotizzare che lo scalone che nella planimetria del 1593 si vede che sale a questi edifici e poi svolta con quattro scalini, desse accesso ad una ter- razza o loggia (la logia ricordata nei documenti citati da E. Patria), perché una disposizione di questo tipo sarebbe stata funzionale alla stanza più importante, che nella planimetria antica è denominata, sala, che riceveva luce solo dalle bifore a nord (14). La stampa del Theatrum Statuum... Sabaudiae ducis, disegnata verso la fi- ne del Seicento (15), pur nelle sue grosse imprecisioni, mostra che il castello, in questo punto, aveva al piano terreno una serie di robuste arcate, ed anche que- sto è un dato compatibile con il fatto che al di sopra ci fosse una terrazza od una loggia che doveva misurare 6 metri per 18. La presenza dello scalone conferma che dalla terrazza si accedeva alla gran- de sala che, nella planimetria del tardo Cinquecento, ha misure interne di 10 metri per 25. Questa si affacciava verso S. Giusto con le tre grandi trifore. La ricostruzione del 1750, dopo l’incendio del 1690, ha trasformato le fine- stre gotiche in finestre rettangolari, ed ha eliminato la terrazza, demolendola completamente e ricostruendo sul suo sito. Analoga soluzione è stata adottata per lo scalone esterno, la cui area è quel- la oggi occupata dall’avancorpo dove c’è l’alloggio del custode. Tovandosi probabilmente solo con dei muri esterni anneriti dall’incendio, gli architetti settecenteschi hanno potuto operare senza condizionamenti: han- no lasciato il perimetro della sala medioevale ma hanno alzato al suo interno un muro per creare un largo corridoio che disimpegnasse i locali a destra, rica- vati con quel che restava della vecchia sala, ed a sinistra, i 1ocali nuovi ottenu- ti costruendo sull’area già occupata dal terrazzo. Questo muro, su cui sono im- postate le volte dei nuovi locali, è quello che poi prosegue più in alto degli al- tri nel sottotetto. Forse perché, si sono fidati di questo più di quanto si fidasse- ro dei vecchi muri anneriti risalenti a 500 anni prima. L’unico problema posto da questa ricostruzione è che nella parte del 1200 la mappa del 1593 rileva solo una grande sala lunga 25 o 26 metri mentre le misure dell’intero corpo, contornato da muri omogenei, ci risulta essere lungo 10 metri di più. Le soluzioni sono due: potrebbe trattarsi di un errore e in tal caso la sala avrebbe avuto nella realtà dimensioni abbastanza simili a quella del castello di Avigliana, che era di 17 per 32 metri, oppure, ed è il caso più probabile, chi ha

(14) Confrontare A. PEYROT, Le valli di Susa e del Sangone, vedute e piante dal XII al XIX secolo, pag. 24 (pianta del Castello di Susa).

(15) Confrontare A. PEYROT, Le valli di Susa, cit. pag. 75 e 76, riproduzione n. 62/3 (veduta della città di Susa). 33 disegnato la mappa non ha tenuto conto di un locale interno, probabilmente di servizio, che non aveva aperture importanti sul cortile. Questo poi è stato oc- cupato dalle scale settecentesche quando è stato abolito lo scalone esterno. La chiesa di S. Maria si mostra molto vicina al palazzo dell’XI secolo, orientata in senso Est-Ovest con l’abside ad Est ed un piccolo campanile ac- canto. Le misure sono circa 6 metri per 16 (16). Anche la parte Ovest del castello non è priva di interesse. Oggi dall’interno si possono vedere le due torri della porta romana ed un possente muro di difesa. Dall’esterno i resti di altre due torri appoggiate a que- sto muro e di una terza leggermente avanzata posta alla estremità delle due ar- cate dell’acquedotto del 375 d.C. (??). La base delle mura che è stata rimessa in luce dagli scavi del 1940, che hanno tolto i riporti di terra effettuati nel 1750 (17), rivela un taglio netto corri- spondente al punto in cui le mura romane furono demolite nel medioevo e ri- fatte con il tratto in cui sono inserite le due torri visibili solo dall’esterno. In questo periodo le mura di Susa furono coperte da uno strato di cocciopesto (18) che è restato integro nella parte interrata nel 1750 e che si intravvede ancora in alcuni interstizi della parte di mura medioevali superstite. Il dongione (19) triangolare ottenuto unendo le tre torri rappresenta una sor- ta di bastione avanzato che trova il suo simmetrico nell’uso dell’Arco romano come torre, con soprastanti monofore, come appare nella stampa del Masazza del 1750 (20). L’insieme costituiva un prototipo di struttura bastionata assoluta- mente insolito nel medioevo che varrebbe la pena di inserire nella storia delle

(16) Il muro di sostegno a Sud della chiesa del castello appare già crollato nel 1523 e rinfor- zato da nuovi contrafforti nella stampa ottocentesca del Gonin. Il cedimento dell’anno scorso non deve stupire. (17) M. Cavargna su Segusium n. 24 cit. (per i lavori eseguiti nel 1750) cfr. anche MC. su La Valsusa 31.5.2000: Matrimonio reale ad Oulx. (18) Lo strato di cocciopesto che è emerso steso uniformenente sulla parte delle mura che era restata interrata, corrisponde a quanto si trova ancora in piccole tracce, sovrapposta ad intonaci antecedenti, negli interstizi delle mura sopra la porta romana del castello, e degli archi cosiddet- ti delle terme e in un paio di altri luoghi nelle mura della via Çdei fossatiÈ. Per ulteriori notizie M.C., Susa il colore della città lungo i secoli, cit.; e M.C., L’arco e la forma urbana della città di Susa, cit. A rigor di termine per cocciopesto si dovrebbe intendere solo l’intonaco fatto con calce e polvere di mattoni che viene poi battuto con un asse per conferirgli tenuta alla pressione idraulica. (19) Con dongione si intende normalmente il mastio del castello (ossia l’ultimo e più podero- so ridotto difensivo). L’uso di questo termine per indicare la struttura detta, indica la grande im- portanza difensiva che le era attribuita. (20) È forse la più interessante stampa dell’arco di Augusto perché è rigorosamente fedele nelle misure e mostra il suo aspetto prima di tutti gli interventi di ripulitura. Non risulta purtrop- po tra quelle esposte nella Mostra del bimillenario. 34 fortificazioni militari, un campo in cui i Savoia furono sempre all’avanguar- dia. In quest’area nel 1750, per consentire l’accesso alle carrozze fu costruita la salita al castello e fu probabilmente aperto il fornice dell’arco per passarvi sot- to. Poi la strada eseguiva una svolta, passava su se stessa su di un ponticello ed entrava nella corte attraverso una grande apertura che oggi si vede solo dal- l’interno e che sembra una loggia cieca perché è restata sospesa per gli scavi compiuto dal Carducci che ha tolto la terra con cui fu livellata la corte per crearvi dei giardini.

* * *

Le ipotesi sui lavori da eseguire costituiranno certamente un banco di di- scussione per i prossimi anni. La raccomandazione d’obbligo è quella di ese- guire un restauro attento, il più possibile documentato, ma senza l’inserimento di modernismi in metallo e cemento che sembrano cari ad una scuola di archi- tetti desiderosi di imprimere il proprio marchio negli edifici storici più che di recuperarne la leggibilità della struttura. I criteri di un restauro archeologico, come quello eseguito per Porta Sa- voia, non devono essere dissimili da quelli di una struttura così antica e rap- prentativa come l’area del Castello.

Tra gli interventi più forti da suggerire, quello più importante mi pare la de- molizione del piccolo avancorpo comprendente l’alloggio del custode che oc- culta due bifore dell’XI secolo e maschera la visibilità di buona parte dell’edi- ficio romanico che è la parte di gran lunga più interessante di questo edificio.

Poi la rimessa in luce delle tre trifore gotiche che ornavano la parte nord del castello che dal basso doveva presentarsi come la quinta di chiusura di un vasto spazio delimitato dai campanili di S. Giusto e di S. Maria Maggiore e dalle torri di Porta Savoia, che oggi ha perso la sua visibilità a causa dell’ec- cessiva crescita delle piante dei sottostanti giardini. L’eliminazione di questi alberi, perlomeno come portamento ad alto fusto, dovrebbe essere un intervento preliminare.

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La veduta in facciata mostra l’effetto del piano più che aumentava l’emergenza castello sulla città. Poiché dal lato sulla corte interna i due piani mostrano già una ricca apertura di bifore, si deve supporre che l’ultimo piano mo, quattro bifore. La linea tratteggiata indica il livello del tetto attuale e le aperture oggi esistenti In basso, al termine della prima rampa, si nota l’apertura in asse con la porta romana e via Palazzo di Città, cui pa conservazione è stata il risultato di una nostra precisa segnalazione. Nello spigolo Sud-Ovest del castello, sopra la porta delle Gallie, sono state evidenziate le tracce di due arcate che probabilm vano a delle trifore. 36 IPOTESI DELL’ASPETTO DI SUSA ROMANA NEL III SECOLO D.C. DOPO LA COSTRUZIONE DELLE MURA Nella ricostruzione delle pagine seguenti gli elementi certi o ricostruibili con cer- tezza sono le torri, con le tre porte superstiti in tutto o in parte, e i monumenti che si sono conservati o sono stati individuati (arco, arcate dell’acquedotto, anfiteatro, sacel- lo di Cozio). Il disegno serve come ragionevole ipotesi della strutturazione dell’area del castel- lo, con il cardine massimo della città romana che risaliva in linea retta il fianco della altura e attraversava la porta romana del castello. 1) Arco di Augusto 2) roccia sacra con pozzo e altare a coppelle 3) palazzo dei Cozi? 4) via sacra che univa il foro, il sacello di Cozio, l’Arco di Augusto e l’area sacra co- ziana 5) caserma della coorte alpina? 6) ponte romano? nel primo sito in cui affiora un basamento roccioso. In linea con l’asse della porta romana, poi porta di «Savoia» 7 foro circondato da botteghe, secondo l’ipotesi che minimizza il sacrificio dell’a- rea urbana attuato con la costruzione delle mura 8) templi cittadini nei siti in cui sorgeranno S. Maria Maggiore, S. Giusto, e S. Maria del castello? 9) terme (la localizzazione era ritenuta abbastanza sicura nel primo novecento) 10) anfiteatro 11) cardine massimo 12) o decumano massimo 13) tempietto votivo sulla tomba di re Cozio 14) acquedotto, dove nel 375 circa verranno costruite le arcate e, in epoca medioeva- le, la 5a torre 15) posizione dell’agglomerato indigeno precedente alla pianificazione romana del 9 a.C.? 16) posizione del ponte attuale sulla Dora, dopo gli spostamenti dell’alveo dovuti alle alluvioni storiche 17) parti di insulae della città romana che furono sacrificate nella costruzione delle mura 18) Dora Riparia in un corso che si suppone parallelo alle mura antiche 19) rio Gelassa (nel sito dove scorreva sino alla alluvione del 1728: ora vi scorre il Merdarel) 20) pantano di confluenza tra il Gelassa e la Dora ex Çpiazza delle ocheÈ; sito del pon- te medioevale e moderno Sono stati aggiunti elementi che si ritrengono molto probabili: la caserma delle coorte alpina, di cui abbiamo notizie certe, e che qui è stata ipotizzata nel punto più strategico della città e il teatro su cui Anna Maria C. Allemano riteneva di avere delle ipotesi solide e che qui è stato immaginato in un punto riparato dai venti del Monceni- sio nei pressi dell’area monumentale. 37 38 39 Nella veduta d’insieme notare un angolo dello scalone monumentale che dava accesso alla ter- razza, che a sua volta dava accesso alla grande sala illuminata da tre trifore. La chiesa di S. Maria del Castello appare addossata all’ingresso dello spigolo del palatium di Ade- laide. Nel settore Ovest del castello sono state accennate le strutture messe in evidenza dagli scavi del 1940, in parte altomedioevali, in parte di datazione controversa ed ancora di più per il periodo in cui sono rimaste in uso. Notare la cosiddetta cisterna e sala con due pilastri e un corti- le antistante. Le arcate del cosiddetto «acquedotto» sono disegnate aperte perché, anche se ci sono pervenu- te chiuse da una muratura, le traccie di intonaco medioevale sulla faccia interna del fornice, indi- cano che nel Medioevo sono restate aperte, almeno per un certo periodo.

40 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 41-68

Giancarlo Chiarle Un villaggio medievale: Villar Focchiardo tra XI e XIII secolo

Come si trasformarono le comunità di villaggio nei secoli centrali del me- dioevo? Quali nuove identità assunsero? Il caso di Villar Focchiardo, in Val di Susa, può servire a illustrare alcune di queste trasformazioni, grazie a una do- cumentazione relativamente abbondante per il XIII secolo, epoca di importan- ti svolte (1).

La dinamica dell’insediamento: da ÇAlbareiaÈ a ÇVillare FulcardiÈ Tra antichità e medioevo, la struttura insediativa della Val di Susa fu carat- terizzata da piccoli nuclei demici sparsi, legati a un’economia di tipo silvo-

(1) La documentazione è per la maggior parte quella prodotta dalla Certosa di Monte Bene- detto (fondata intorno all’anno 1200 sulla «montagna» di Villar Focchiardo), che si può consul- tare, per quanto riguarda il XIII secolo, nelle seguenti raccolte documentarie: Cartario della Certosa di Losa e Monte Benedetto dal 1189 al 1252, a cura di M. Bosco [d’ora in poi: Monte Benedetto 1], Torino 1974; R. LO GIUDICE, Un cartulario medievale nella Certosa di Monte Be- nedetto [d’ora in poi: Monte Benedetto 2], dattiloscritto presso il Dipartimento di Storia dell’U- niversità di Torino, a.a. 1969-70; M. BERARDUCCI, Le carte della Certosa di Monte Benedetto e gli usi notarili nella Valle di Susa tra il XIII e il XIV secolo [d’ora in poi: Monte Benedetto 3], dattiloscritto presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Torino, a.a. 1969-70. Molti do- cumenti sono pubblicati e analizzati in S. PROVANA DI COLLEGNO, Notizie e documenti di alcune Certose del Piemonte, I, ÇMiscellanea di Storia ItalianaÈ, 3a serie, t. I (XXXII), 1895, pp. 1-347, e II, ÇMiscellanea di Storia ItalianaÈ, 3a serie, t. VI (XXXVII), Torino 1901, pp. 61-461. Varie notizie si possono trovare in L. MARTOIA, Storia di Villar Focchiardo, Borgone di Susa 1994, 2 voll. 41 pastorale che, secondo una linea di sostanziale continuità, privilegiava larga- mente l’incolto produttivo di uso comunitario, mentre lo sfruttamento inten- sivo del suolo, collegato alla centuriazione della pianura torinese-canavesana, si arrestava alle prime propaggini montuose, intorno alla sagoma prominente del Musiné. Gravi sconvolgimenti non furono determinati neppure dalle «in- vasioniÈ, che limitarono probabilmente il loro effetto allo stanziamento di piccoli nuclei militari goti, bizantini e longobardi (2). Sulla dinamica del po- polamento pesava inoltre il passaggio della strada romana delle Gallie: nella valle inferiore, fino a Susa, essa seguiva la sponda sinistra della Dora, ma non doveva mancare, secondo una recente ipotesi, una significativa variante in sponda destra, proprio nel tratto che interessa il territorio del nostro villaggio. Come noto, in epoca medievale fu proprio questo secondo percorso a essere valorizzato (3). Tra il X e il XII secolo si verificò, in generale, un processo di concentrazio- ne degli insediamenti (4). È a quest’epoca che «Villare FulcardiÈ acquista una sua precisa identità, che si tramanderà nei secoli successivi: il toponimo com- pare nel 1029; nel 1109 la località viene definita vicus, villaggio. Nel secolo

(2) Sui temi della continuità dell’insediamento sparso e dell’economia a prevalenza silvo- pastorale, vedi E. PATRIA, Almese. Una terra tra le Alpi e la pianura, Almese, s.d. (ma 1993), pp. 29-35; D. VOTA, Caselette antica tra preistoria ed età romana, in P. CARRARO et alii, Case- lette. Uomini e ambienti ai piedi del Musiné dalle origini all’Ottocento, Borgone di Susa 1999, pp. 65-7; L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ, uomini di Caselette. Origine e affermazione di una comunità, in CARRARO, Caselette cit., pp. 77-9.

(3) Sul tracciato principale, A. CROSETTO, C. DONZELLI, G. WATAGHIN, Per una carta archeo- logica della Valle di Susa, in «Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino» [d’ora in poi: ÇBSBSÈ], LXIX (1981), p. 364 (a p. 365, Çeventuali tracciati alternativiÈ sono definiti Çdel tut- to secondariÈ). Sulla variante in sponda destra, E. PATRIA, Almese cit., pp. 18-20. Tracciando questo percorso, l’autore ha evidenziato, nel tratto in cui è compreso Villar Focchiardo, i predia- li latini Nervianum a Sant’Antonino e Bassianum a San Giorio. Era questo, anzi, il nome antico della seconda località, «dove l’agionimo obliterò l’antico nome del fundus»: nell’elenco dei be- ni confermati nel 1001 da Ottone III al marchese Olderico Manfredi compare infatti, tra l’altro, la terza parte di Sancti Glorici in Bassiano (Carte inedite e sparse dei signori e luoghi del Pine- rolese fino al 1300, a cura di B. Baudi di Vesme, E. Durando, F. Gabotto, A. Tallone, Pinerolo 1909, p. 170 d. 2). Al nome antico si riconnettono probabilmente i toponimi Salbasino e pratum Basinum che si incontrano nel cartario di Monte Benedetto (vedi, per esempio, Monte Benedet- to 1, p. 43 d. 17 e p. 52 d. 27). Un’attestazione cinquecentesca relativa a Villar Focchiardo se- gnala inoltre una Çpietra luonga, dritta, fissa in la rippa della strada pubblica romanaÈ, che po- trebbe alludere alla presenza di un miliario analogo a quello trovato in territorio di San Giorio (E. PATRIA, Almese cit., p. 19 n.). Per il percorso medievale, G. SERGI, Potere e territorio lungo la strada di Francia, Napoli 1981, p. 38 n.

(4) L. PROVERO, L’Italia dei poteri locali. Secoli X-XII, Roma 1998, p. 152, sottolinea come il mutamento sia profondo «non tanto nelle forme dell’insediamento, quanto nell’organizzazio- ne della società e del territorio»: si afferma l’idea di villaggio come collettività organizzata, ciò che implica Çin alcuni casi il consolidamento di un nucelo centrale di insediamentoÈ. 42 successivo, troviamo un riferimento esplicito al caput ville (5). Una delle bor- gate, dove si trovano la domus signorile e la chiesa, è quindi chiaramente iden- tificata come capoluogo, mentre l’esistenza di alcuni nuclei minori, come Ban- da, Gravia, Chiapinetto, Castagneretto e Castellario, filtra attraverso il predi- cato di provenienza dei loro abitanti (6). A dimostrazione dell’elasticità che an- cora caratterizza le strutture insediative, nel 1206 Banda diventa grangia cer- tosina (7). La riorganizzazione dell’abitato intorno al nuovo centro avvenne probabil- mente nei primi decenni dell’XI secolo. Tra i locis et fundis valsusini di cui nel 1001 l’imperatore Ottone III conferma la terza parte al marchese di Torino Ol- derico Manfredi troviamo il toponimo ÇAlbaretiÈ. La posizione che occupa nel- l’elenco, tra Chianocco e Sant’Antonino, e la sua probabile identità con la loca- lità di «Albareia» (o «Albereta»), che le carte del XIII secolo collocano nel ter- ritorio di Villar Focchiardo, rendono plausibile l’ipotesi che il toponimo serva a designare proprio questo stesso territorio, o una sua parte significativa (8). Sappiamo da una serie di deposizioni testimoniali del 1276 che gli abitanti di Villar Focchiardo e quelli di Borgone godono di un diritto di reciprocità nel- l’uso delle rispettive «montanee», dei rispettivi beni comuni. Uno dei testimo- ni, Giacomo ÇBarlateriusÈ, precisa inoltre che tale situazione di diritto deriva dalla consuetudine et vicinitate tra gli abitanti dei due villaggi, ciò che, nel lin- guaggio dell’epoca, non significa una generica relazione di vicinanza spaziale, ma una contitolarità di diritti propria agli abitanti dello stesso villaggio. Le te- stimonianze vengono raccolte apud Albaream: la scelta della località, geogra-

(5) 1029: Le più antiche carte diplomatiche del monastero di San Giusto di Susa (1029- 1212), a cura di Carlo Cipolla, in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo XVIII (1896), p. 61 d. 1. Vedi anche MARTOIA, Villar Focchiardo cit., I, p. 98. 1109: 1109: Le carte della Prevostura d’Oulx raccolte e riordinate cronologicamente fino al 1300, a cura di G. Colli- no, Pinerolo 1908, p. 93 d. 91 [d’ora in poi: Oulx]. 1209: Monte Benedetto 1, p. 82 d. 59. Stefa- no de Capite Ville de Vilario Fulchardo compare in un documento del 1261 (Monte Benedetto 2, p. 20 d. 8). Questo centro medievale, nucleo costitutivo del villaggio, ha conservato l’appel- lativo medievale di «villa», come in molti altri comuni piemontesi: «In Piemonte si dà di solito il nome di “villa” alla fraz. capoluogo di un comune» (D. OLIVIERI, Dizionario di toponomasti- ca piemontese, Brescia 1965, p. 370). (6) Per fare alcuni esempi, relativi ai primi anni del XIII secolo: Andrea di Banda (Monte Benedetto 1, p. 61 d. 38), Enrico di Gravia (ib., p. 50 d. 24), Antelmo Çde GlapinetoÈ e Gugliel- mo Çde CastagneretoÈ (ib., p. 103 d. 78). Un ÇColum de GraviaÈ compare come teste in un do- cumento relativo a Villar Focchiardo del 1109 (Oulx, p. 94 d. 91). (7) Monte Benedetto 1, p. 71 d. 47.

(8) 1001: Carte inedite cit., p. 170 d. 2. L’ipotesi, suggerita da MARTOIA, Villar Focchiardo cit., I, pp. 97-8, andrebbe corroborata, ovviamente, dal rilevamento archeologico. La località viene ricordata anche in una carta del 1165 come limite geografico di una sostanziosa cessione di beni in Valle Segusia ab Albareta usque ad montes (Oulx, p. 152 d. 146). 43 ficamente intermedia tra le due comunità, ha forse relazione con la dichiarata vicinitas? (9). «Albareia» si trova in prossimità della confluenza del rio Gravio con la Do- ra, lungo la strada di Francia come le due comunità contermini di Sant’Anto- nino e San Giorio. Dopo il 1001 non viene più citata nei vari elenchi di beni arduinici trasferiti ad enti religiosi (già nel 1029 compare, come si è detto, Vil- lar Focchiardo), nel XIII secolo è regione di boschi, prati e coltivi (10). Non co-

(9) Monte Benedetto 2, pp. 112-125 d. 38. La deposizione di Giacomo ÇBarlateriusÈ si trova a p. 120. La causa che si dibatte riguarda proprio gli eventuali diritti degli abitanti di Borgone sui beni comuni della montagna di Villar Focchiardo, parzialmente sottratti all’uso delle due co- munità dall’insediamento della Certosa di Monte Benedetto. Sulla questione dei beni comuni, vedi avanti. La Çpresunzione che i territori presenti di Borgone e di Villar Focchiardo in tempo antico ne costituissero un soloÈ, basata sul fatto che gli abitanti del primo Çaccampavano sulle terre adiacenti al monastero [di Monte Benedetto] le stesse ragioni degli uomini del Villare», è avanzata già da PROVANA, Notizie e documenti cit., I, p. 115. Diritti comuni sugli stessi beni tra comunità limitrofe sono segnalati anche nella zona di Almese, ma implicano il pagamento di un censo (E. PATRIA, Rubiana. Una comunità di Valsusa, I, Rubiana 1982, p. 82). In generale, vedi M. BLOCH, I caratteri originali della storia rurale francese, Torino 19733, pp. 50 e 212. Come Villar Focchiardo, Borgone non compare nella citata conferma imperiale del 1001 (vedi nota precedente), e compare invece nella dotazione di S. Giusto di Susa del 1029 (Le più antiche car- te diplomatiche del monastero di San Giusto di Susa (1029-1212), a cura di C. Cipolla, in Bul- lettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo XVIII, 1896, p. 61 d. 1). Diversamente da Villar Focchiardo, compare, nel 739, tra i beni lasciati dal patrizio Abbone a dotazione del mo- nastero di Novalesa (Monumenta Novaliciensa Vetustiora, a cura di C. Cipolla, I, Roma 1898, p. 21). Per quanto riguarda la datazione topica del documento del 1276, faccio rilevare che la scel- ta della località negli atti medievali non è mai casuale, ha sempre forza simbolica. «Albareia» compare come datazione topica nel XIII secolo soltanto in un’altra occasione: nel 1281, per un ÇprecettoÈ del castellano di Susa contro i signori e gli uomini di Villar Focchiardo, ancora in re- lazione alla controversia con Monte Benedetto per l’uso della montagna (Monte Benedetto 2, p. 192 d. 59). (10) Monte Benedetto 1, p. 78 d. 55: nemore quod dicitur Albareia; p. 156 d. 126: terra colta et terra cum bosco et pratum... in Albareia; p. 159 d. 128: quodam prato iacenti in Albarea; p. 175 d. 144: rivi Gravii per Albaretam currentis. Nella località si trovano beni ceduti a Monte Benedetto, nel primo caso dal miles Guigo de Sala, che ne riconosce il dominium al monastero di S. Giusto; negli altri, da signori di San Giorio. La prossimità della Dora è ricordata nei docu- menti 126 (p. 157), 127 (p. 158), 128 (p. 159), 189 (p. 225). La località è segnata vicino al fiu- me nella cartina predisposta da M. Bosco in Monte Benedetto 1, p. 13. Per la corretta localizza- zione occorre tener conto del fatto che, nel corso dei secoli, il corso impetuoso del Gravio ha su- bito numerosi spostamenti (indicati nella cartina di MARTOIA, Villar Focchiardo cit., I, p. 13). Il passaggio della strada (strata) è ricordato nei documenti 127 (p. 158) e 189 (p. 225), gli unici di Villar Focchiardo che contengano tale riferimento. Il nome, un fitonimo, designa in origine un bosco di pioppi (OLIVIERI, Dizionario cit., Brescia 1965, p. 68; G. B. PELLEGRINI, Toponomasti- ca italiana, Milano 1994, p. 331). A. RAPETTI (Campagne milanesi, Torino 1994, p. 32) sottoli- nea come il pioppo (la cui presenza è attestata da toponimi quali Albaredum o Albarus) sia una Çpianta per eccellenza idrofila, amante dei terreni sabbiosi, umidi, e dei greti dei fiumiÈ e si tro- vi quindi segnalato «soprattutto in località umide». 44 nosciamo le motivazioni dell’abbandono, ma la posizione particolarmente esposta fa ragionevolmente ipotizzare l’incidenza delle periodiche alluvioni della Dora e di un rio turbolento come il Gravio. Non fu questo, però, l’unico motivo, e forse neppure quello decisivo: anche il Villare, infatti, continuò a es- sere soggetto a inondazioni devastanti (11). Il nuovo centro del villaggio ebbe probabilmente origine da un’azienda si- gnorile. Il primo elemento del toponimo allude a un insediamento germinato da un altro preesistente, confermando quella situazione di instabilità insediati- va cui abbiamo fatto riferimento in precedenza (12). Nato come diminutivo di villa, «villare» ne conserva però l’ambiguità semantica: designa infatti al me- desimo tempo, ma con accentuazioni diverse secondo le epoche, sia l’azienda agraria (villa o curtis), sia il piccolo abitato rurale (villaggio), due realtà che, nel contesto economico dell’alto medioevo, si corrispondevano (13). Che il si- gnificato prevalente fosse, almeno in origine, il primo è confermato dal deter- minativo ÇFulcardiÈ, che tramanda il nome del proprietario: un membro della piccola aristocrazia locale, nella quale è ben attestato l’uso dell’antroponimia germanica, in generale, e di questa radice onomastica, in particolare (14).

(11) SERGI, Potere e territorio, cit., p. 35, sottolinea come in Val di Susa la strada medievale fosse minacciata dai Çfrequenti straripamenti della DoraÈ e dal Çpericolo dei violenti e improv- visi straripamenti dei torrenti che affluivano nella Dora Riparia da vallette laterali: primo fra tutti il Gravio all’altezza di Villar FocchiardoÈ. Sui numerosi rii che attraversano il territorio co- munale e sulle inondazioni, periodicamente documentate a partire dal ’400, MARTOIA, Villar Focchiardo, cit., I, pp. 12-22 ter. Una nimia inundatione avvenne nel 1473 (PROVANA, Notizie cit., II, p. 382 d. 70). Il palazzo dei signori e la chiesa parrocchiale dovettero infine lasciare an- che la «villa» ed essere ricostruiti più in alto (MARTOIA, Villar Focchiardo, cit., I, p. 114 ter; II, pp. 337-348). Sull’abbandono dell’antico centro di un villaggio a causa di «calamità naturali», R. COMBA, Metamorfosi in paesaggio rurale, Torino 1983, p. 73 (il fenomeno rientra nella tipo- logia dei Çbrevi spostamenti di villeÈ, p. 65).

(12) Secondo E. PATRIA (Almese, cit., p. 52), «villare» viene usato per designare «nuove realtà insediative sviluppatesi da una villa contermine con la messa a coltura di nuove terre e con au- tonome iniziative di microrganizzazione territorialeÈ. Vedi anche C. ROSTAING, Les noms de lieux, Paris 1980, pp. 74-5, secondo il quale il termine designerebbe une partie de la villa, c’est- a-dire un domaine créé à la suite du démembrement du domaine principal.

(13) A. A. SETTIA, Castelli e villaggi nell’Italia padana, Napoli 1984: Ça datare dai primi de- cenni del secolo IXÈ, villa indica un Çabitato rurale indifesoÈ ed eventualmente Ça maglie lar- gheÈ (p. 324). D. BARTHÉLEMY, L’ordre seigneurial. XIe-XIIe siècle, Paris 1990, p. 92: la villa dei secoli XI-XII est de plus en plus un «village» plutôt qu’un «domaine». Notando questa cor- rispondenza, M. BLOCH (I caratteri originali della storia rurale francese, Torino 1973, p. 91) si chiede: «Esiste forse prova più valida del fatto che la maggior parte dei villaggi avevano avuto, in origine, un signore?È.

(14) OLIVIERI, Dizionario cit., p. 161. Su queste formazioni ibride (nome comune di origine latina accompagnato da un nome proprio di origine germanica), vedi E. NéGRE, Les noms de lieux en France, Paris 19772, pp. 85-6, e ROSTAING, Les noms de lieux cit., p. 89. Il nome pro- prio, derivato di Folco, è ben documentato. Vedi E. DE FELICE, Dizionario dei nomi italiani, Mi- 45 D.S.To, Corte, Carte Topografiche per A e B, Susa, n¡ 3, Parte quinta. Particolare (seconda metà XVIII sec.). 46 Ricapitolando. ÇAlbareiaÈ fu abbandonata (15). Il villaggio si distanziò dal fiume e dalla strada (16), sviluppandosi secondo modalità più conservative ri- spetto a borghi dalle definite caratteristiche «stradali» come Sant’Ambrogio, Sant’Antonino e lo stesso San Giorio (17). L’insediamento si riorganizzò intor- no a quello che era (o era stato) il nucleo centrale di una piccola curtis. Qui sorse la chiesa. Nel trasferimento di popolazione, anche a breve raggio, l’iniziativa signori- le era di regola predominante, e tanto più lo dovette essere in un caso come questo (18). Quali signori, all’inizio dell’XI secolo, controllavano questi paesi della Valle di Susa? lano 1986, p. 173: ÇFOLCO... continua un tipo nominale germanico, già longobardico e poi fran- cone, formato con *fulco- “popolo (in armi)”... normalmente unito a un altro componente». Tra i composti viene citato Folkhard. Vedi anche N. FRANCOVICH ONESTI, Vestigia longobarde in Italia, Roma 1999, p. 192 (antroponimi composti da fulka-, Çschiera, popoloÈ), A. DAUZAT, Les noms de famille de France, Paris 19492, p. 77 (cognomi derivati da FULC-HARD) e M. T. MOR- LET, Les noms de personne sur le territoire de l’ancienne Gaule du VIe au XIIe siècle, I, Paris 1968, che a p. 95 riporta ÇFULCHARDUSÈ, composto di folk, popolo (p. 94), e del gotico ÐHAR- DUS, con il significato di duro, solido (p. 14) e, metaforicamente, intrepido (p. 123). Un Fulcar- do (Fulchardus) è vescovo di Alba alla metà del X secolo (COMBA, Metamorfosi, cit., pp. 27-8); un Fulcardo di Forfice è possessore a Romanisio due secoli dopo (L. PROVERO, Dai Marchesi del Vasto ai primi Marchesi di Saluzzo, Torino 1992, p. 140 n. In Val di Susa troviamo il nome Falco tra i signori di Chianocco (Monte Benedetto 1, p. 75 d. 50). Confuse o palesemente fanta- stiche le note etimologiche dedicate a Villar Focchiardo rispettivamente da PROVANA, Notizie cit., I, p. 116, e da da MARTOIA, Storia di Villar Focchiardo, cit., pp. 99-101. (15) In prossimità di «Albareia» si trovava anche l’unica altra località del villaggio in cui pa- re di potere riconoscere la stessa radice linguistica di Fulchardus: Çcampo FoucherioÈ (o Ful- cherius) (Monte Benedetto 1, p. 68 d. 45 p. 68, p. 163 d. 132). Un estratto di mappa del 1745 consente di localizzare esattamente ÇPian FochieroÈ (da ÇCianÈ, per assonanza) tra Banda e ÇCampo Verso» (oggi Pianverso), sulla sinistra del Gravio e in prossimità dalla confluenza di quest’ultimo nella Dora. Una «croce di Pian Fochiero», che sovrastava questa zona di campi, prati e rivoire, restava ancora a testimoniare un antico insediamento o un antico confine (la ri- produzione della mappa settecentesca si trova in MARTOIA, Storia di Villar Focchiardo cit., I, Tav. XXXIV).

(16) Sulle relazioni tra strada e insediamenti nella Val di Susa medievale, vedi SERGI, Potere e territorio cit., pp. 249-250, che fa rilevare la «sorprendente stabilità insediativa» e i pochissi- mi casi di Çscomparsa di toponimi medievaliÈ: il caso di ÇAlbareiaÈ rappresenta quindi in certo senso l’eccezione a una regola di segno opposto.

(17) Per Sant’Ambrogio, L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ cit., pp. 111-123. Per Sant’An- tonino, U. GHERNER, Il borgo medievale e le sue chiese fra XI e XIII secolo, in Sant’Antonino. Note storiche e artistiche, a cura di P. Del Vecchio, Condove 1998, pp. 6-21. Per San Giorio, E. e L. PATRIA, Castelli e fortezze della valle di Susa, Torino 1983, p. 34. In generale, G. SERGI, Al- pi e strade nel medioevo, in Gli uomini e le Alpi, a cura di D. Jalla, Torino 1991, p. 46.

(18) COMBA, Metamorfosi, cit., p. 73, sottolinea Çgli stretti legami che intercorrono tra svi- luppo e struttura dell’insediamento umano e lotte per il potere dei gruppi egemonici operanti a livello localeÈ. Secondo SETTIA, Castelli e villaggi cit., il «popolamento rurale... più che obbe- 47 Dagli arduinici ai domini loci: le chiese come strumento di dominio Intorno alla metà del X secolo si consolidò, nella Valle di Susa, la domina- zione marchionale arduinica. Protagonista di questa affermazione fu Arduino il Glabro, il quale, approfittando del favore dei sovrani e della vittoriosa cam- pagna condotta contro i Saraceni di Frassineto, riordinò sotto la conseguita au- torità di marchese di Torino tutta la valle Çinerme e spopolataÈ (secondo le pa- role del cronista novalicense) e ne rimpinguò l’ancora scarno patrimonio fami- liare, sottraendo corti, villaggi e castelli ai monaci di Breme-Novalesa, e pro- babilmente non solo a loro (19). Nei primi decenni dell’XI secolo, il marchese di Torino Olderico Manfredi, nipote di Arduino, valorizzando le immunità ottenute dall’imperatore, avviò la costruzione, all’interno del distretto marchionale, di un «principato territoriale ereditarioÈ, comprendente quelle aree dove, come nella Valle di Susa, molto consistente era il patrimonio familiare. La fondazione di S. Giusto di Susa nel 1029, a cui il marchese destinò un’amplissima dotazione di terre quasi tutte comprese nella valle, segnò la svolta decisiva in tale direzione (20). é in questo contesto che va collocata la riorganizzazione dell’insediamento che abbiamo evidenziato nel caso di Villar Focchiardo, ma che sicuramente in- teressò anche altri centri della valle (21). In quegli anni, infatti, i Çpredecessori della contessa AdelaideÈ (dice un documento del XII secolo) fondarono, su terre di loro proprietà, numerose chiese, tra le quali vengono espressamente ri- cordate quelle di Bruzolo, Exilles, Chiomonte, Giaglione, Mattie, Bussoleno, Chianocco, San Giorio, San Didero, Villar Focchiardo e Frassinere, e la pieve da cui queste chiese dipendevano, S. Maria di Susa (22). Viene da pensare all’a- dire ad una possibile spontaneità, fu condizionato, come forse nessun altro aspetto della civiltà medievale, dall’iniziativa di chi le campagne le dominava: i contadini furono sollecitati, frenati, costretti, dissuasi, disputati fra competitori di alto e di basso rangoÈ (p. 336). (19) Secondo quanto l’abate Belegrimo scrisse al papa: Omnes cortes vicosque et cuncta op- pida, de quibus victus et vestitus nobis veniebat, totamque meliorem cenobii terram, cum famu- lis eidem pertinentibus, abstulit nobis (Cronaca di Novalesa, a cura di G. C. Alessio, Torino 1982, Appendice 3, p. 322). Su Arduino il Glabro, G. SERGI, Una grande circoscrizione del re- gno italico: la marca arduinica di Torino, in Studi medievali, s. III, XII (1971), pp. 655-660.

(20) G. SERGI, I poli del potere pubblico e dell’orientamento signorile degli Arduinici: Torino e Susa, in La contessa Adelaide e la società del secolo XI, ÇSegusiumÈ 32 (1992), p. 71. (21) Una mutazione del toponimo, che può costituirne indizio, interessò San Giorio, come si è visto (sopra, n. 3), e, in epoca di poco successiva, Sant’Antonino (GHERNER, Il borgo medieva- le cit., p. 12), comunità contermini a Villar Focchiardo. Uno spostamento del centro è segnalato per Bussoleno (PATRIA, Almese cit., p. 19). (22) La notizia si trova nella sentenza con la quale, nel 1172, il vescovo di Torino Milone dirime una lite tra i canonici di S. Maria di Susa e gli abitanti di Bruzolo (Oulx, p. 172 d. 162). G. CASIRA- 48 busata ma pur sempre suggestiva immagine della Çbianca veste di chieseÈ del- la quale, all’approssimarsi del terzo anno dopo il Mille, il «mondo intero» si rivestiva, quasi a volersi spogliare della sua vecchiezza, secondo il racconto coevo di Rodolfo Glabro: allora, Çanche i piccoli oratori dei villaggi furono ri- costruiti più belli dai fedeli», poiché «una certa emulazione spingeva ogni co- munità cristiana ad avere una chiesa più sontuosa delle altre» (23). Sia nel caso delle chiese di villaggio, semplici capelle, sia per S. Giusto di Susa, i notai sottolineano con cura l’origine allodiale della fondazione (in pre- dio suo, in allodio suo), che ne garantiva il possesso alla famiglia marchiona- le. In generale la fondazione di tali Çchiese privateÈ muoveva da motivazioni di ordine sociale, economico, devozionale: i signori le usavano come oratori privati; nominavano il clero officiante, scegliendolo tra i propri sottoposti; in- cameravano decime ed offerte; ne facevano un ÇsantuarioÈ dinastico, fissan- dovi il sepolcreto familiare. Inoltre, nel momento in cui il potere del signore tendeva a territorializzarsi, e la curtis si trasformava in villaggio, il dominio di una chiesa forniva un formidabile strumento di organizzazione del consenso e di Çinquadramento dei rusticiÈ stanziati su un certo territorio (24). Di queste chiese poterono servirsi gli Arduinici per rendere capillari le strutture del loro dominio nei singoli villaggi, facendone il cardine della rior- ganizzazione dell’insediamento (25). Generalmente tali funzioni sono attribuite

GHI, La diocesi di Torino nel medioevo, Torino 1979, p. 49 n., inclina a ritenere Çi marchesi di Tori- no, se non proprio i fondatori, almeno i restauratori di molte chiese della valle, distrutte o danneg- giate dalle incursioni saracene del secolo XÈ. In effetti, gli abitanti dei villaggi avevano probabil- mente contribuito alla costruzione (o alla riparazione) degli edifici sacri: vedi avanti nn. 61 e 62.

(23) Cito da G. DUBY, L’Anno Mille, Torino 1976, p. 163. Va ricordato che il monaco borgo- gnone, insieme con l’abate Guglielmo da Volpiano, fu spettatore della fondazione di S. Giusto nel 1029, e in tale occasione rilevò la credulità della «plebe rurale» (vulgus... rusticane plebis) che si entusiasmava, come lo stesso Olderico Manfredi, ai falsi prodigi di un impostore (RO- DOLFO IL GLABRO, Cronache dell’Anno Mille, a cura di G. Cavallo e G. Orlandi, Milano 1989, pp. 209-211). Il notevole incremento degli edifici ecclesiastici nell’Italia centrosettentrionale nel corso dell’XI secolo è confermato dai documenti (A. A. SETTIA, Chiese, strade e fortezze nell’Italia medievale, Roma 1991, pp. 4-5).

(24) SETTIA (ib., p. 12) sottolinea come, nei secoli dell’alto medioevo, le «chiese curtensi» avessero prevalentemente Çlo scopo di fungere da necropoli per le famiglie dei fondatoriÈ. SER- GI, L’aristocrazia della preghiera cit., p. 9, rileva tra l’altro (sulla scorta di J. F. Lemarignier) «l’importanza della fondazione come “centro di orientamento e di controllo” di larghi strati di una società locale». Il contributo delle chiese private alla costruzione della signoria territoriale è nettamente ribadito da G. TABACCO, Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italia- no, Torino 1979, p. 209: ÇIn questo senso, come mezzo di innalzamento delle famiglie signorili, le chiese in loro possesso – talora assai numerose – contribuirono a costituire la base per l’eser- cizio di poteri locali di natura territoriale e politica sulle popolazioniÈ. (25) Che le chiese fossero costruite o ricostruite (come suggerisce, in generale, Rodolfo Gla- bro e come opina G. Casiraghi: supra, nn. 22 e 23), che nell’impegno di costruzione fossero ma- 49 all’incastellamento: evidentemente nella Valle di Susa, per la quale è stato sot- tolineato il carattere parziale e tardivo di tale processo, una dominazione com- patta come quella arduinica, che abbinava potere distrettuale e possesso patri- moniale, non necessitava di una moltiplicazione delle fortezze, né consentiva o favoriva le iniziative delle signorie minori. Bastava il controllo dei castelli di Avigliana e di Susa. Bastava il controllo delle chiese e dei monasteri (26). Per le necessità dell’amministrazione, poteva bastare una domus o sempli- cemente una casa, collocata accanto alla chiesa, sul medesimo terreno patri- moniale, dalla quale i funzionari arduinici, gastaldi e custodi, amministravano il patrimonio e la giustizia. Nel 1065, dalla casa iusta ecclesie del villaggio di Almese, la contessa Adelaide, affiancata dal visconte Bruno e dal vicedominus Rodolfo, opera una donazione a favore della chiesa di Asti (27). Contro questa Çoccupazione della chiesa da parte dei laiciÈ che si ritrova ovunque, assumendo forme diverse ai vari livelli della società (28), intorno alla metà dell’XI secolo comincia a farsi sentire, anche nella marca torinese, il pe- terialmente e in prima persona coinvolti, come è probabile, gli abitanti dei singoli villaggi, ob- bligati a corvées e tributi (vedi oltre n. 61), insomma, che soltanto in senso traslato e a loro fun- zionale i predecessori di Adelaide potessero dirsi i ÇfondatoriÈ di queste chiese, non cambia la sostanza del problema: e cioè il fatto che essi se ne fecero padroni, come è dimostrato, tra l’al- tro, dalle successive donazioni a favore di Oulx (oltre, n. 30). Di tale funzione attribuita alle chiese, probabilmente non solo dai marchesi, può essere un indizio rilevante anche la frequenza degli agionimi divenuti nomi di villaggio nella bassa valle. (26) «Si è più volte notato come riesca arduo documentare i castelli valsusini negli anni del pieno medioevo, e di come solo in età tarda (sec. XII) le fonti registrino una seconda e finale stagione dell’incastellamento...» (E. PATRIA, Almese cit., p. 38). Sul tema della Çfunzione di ag- gregazione territorialeÈ svolta dalle chiese, Çin una terra ove le carte del tempo non menzionano castelliÈ, si sofferma anche, in relazione all’alta valle, L. PATRIA, La canonica regolare di S. Lo- renzo d’Oulx e i Delfini: poteri locali e regionali a confronto (sec. XI-XIII), in Esperienze mo- nastiche nella val di Susa medievale, a cura di L. Patria e P. Tamburrino, Susa 1989, p. 94 e n. Sulla storia delle fortificazioni della valle, vedi in generale E. e L. PATRIA, Castelli e fortezze cit. (p. 8: Çsono comunque pochi i casi di castelli riferibili con certezza alla dominazione arduinica: certamente Susa e Avigliana...È). Sul castello di Avigliana, ib., p. 31. Su quello di Susa, SERGI, I poli del potere, cit., pp. 69-72. Sul Çpeso determinanteÈ degli Arduinici nel primo incastella- mento e sui castelli di Avigliana e di Susa, vedi anche SERGI, Potere e territorio cit., pp. 251-4. È noto, d’altra parte, che chiese e campanili possono assumere, all’occorrenza, anche funzioni difensive (E. e L. PATRIA, Castelli e fortezze cit., p. 16). Il toponimo Castellarium, localizzato in territorio di Villar Focchiardo vicino a Banda (Monte Benedetto 1, p. 43 d. 17, p. 49 d. 74, p. 74 d. 49), potrebbe conservare memoria di un castello scomparso (A. A. SETTIA, Tracce di medioe- vo, Torino 1996, p. 111; COMBA, Metamorfosi cit. pp. 61-3). (27) 1065: Le più antiche carte dell’archivio capitolare di Asti, a cura di F. Gabotto, Pinerolo 1904, p. 343 d. 177.

(28) SERGI, L’aristocrazia della preghiera cit., p. 6. Vedi anche J. F. LEMARIGNIER, Autorità pubblica e chiesa nell’età feudale, Roma 1989, p. 202 e segg.: ÇA tutti i livelli del potere i capi politici si impadroniscono delle funzioni e dei beni ecclesiasticiÈ. 50 so del movimento riformatore. Una delle sue anime, meno intransigente di quella gregoriana, si proponeva di rinnovare la condotta del clero attraverso la pratica della vita comune e l’osservanza della regola agostiniana, in accordo con le gerarchie diocesane. Fu il movimento delle Çcanoniche regolari rifor- mate», che interessò in particolare l’Italia nord-occidentale ed ebbe in S. Lo- renzo di Oulx la sua rilevante propaggine valsusina (29). Nel contesto di questa particolare sensibilità riformatrice va interpretata l’azione della contessa Adelaide, che, mentre intratteneva rapporti alterni con S. Benigno di Fruttuaria e S. Michele della Chiusa, alfieri della riforma mona- stica, favoriva nettamente la canonica di Oulx, alla quale, nei primi anni ’60, con il consenso del vescovo di Torino, donò la pieve di S. Maria di Susa con le chiese dipendenti, tra le quali quella di Villar Focchiardo. Il recupero di edifici sacri da parte di un ente ecclesiastico, che così si realizzava, era tra gli obietti- vi più comuni della riforma. Nel 1065 lo stesso vescovo Cuniberto corrobora- va tale donazione, confermando inoltre ai canonici fratres Ultiensis congrega- tionis o a sacerdoti da loro nominati l’incarico dell’attività pastorale nelle chie- se dipendenti (30). Questa concessione, in seguito alla quale la presenza non solo spirituale della canonica di S. Lorenzo (erano infatti compresi i diritti patrimoniali sulle chiese) e i suoi diritti di patronato si affiancavano in molti villaggi alla signo- ria esercitata da S. Giusto di Susa, era destinata a innescare un interminabile conflitto tra i due enti religiosi, attestato fin dal 1095 da una controversia re-

(29) C. D. FONSECA, Le canoniche regolari riformate dell’Italia nord-occidentale, in Mona- steri in alta Italia dopo le invasioni saracene e magiare (sec. X-XII), Torino 1966, pp. 335-382; M. A. BENEDETTO, La collegiata di s. Lorenzo d’Oulx, ib., pp. 103-118. (30) 1065: Oulx, p. 21 d. 21. Sulle relazioni tra la contessa Adelaide e la canonica, vedi in particolare SERGI, Potere e territorio cit., pp. 101-102, e G. ANDENNA, Adelaide e la sua fami- glia tra politica e riforma ecclesiastica, in La contessa Adelaide cit., pp. 86-87. Sulla donazione di Adelaide, CASIRAGHI, La diocesi di Torino cit., pp. 48-9 e 104, dove si ricorda, tra l’altro, che già nel 1042 la contessa Adelaide e il marito marchese Enrico avevano ceduto alla chiesa dioce- sana di Torino la pieve di S. Maria di Susa con le chiese dipendenti e le decime della valle. La successiva donazione a Oulx doveva quindi essere avvenuta con «l’approvazione della Chiesa torinese». Sull’intricata questione diplomatistica della carta del 1065, vedi da ultimo E. CAU, Carte genuine e false nella documentazione arduinica della prima metà dell’XI secolo, in La contessa Adelaide cit., p. 200. Sul programma messo in atto dai canonici di Oulx per il recupero di Çnon poche chiese privatizzateÈ, cenni in L. PATRIA, La canonica regolare cit., p. 95. Sulla possibilità per i canonici regolari di esercitare la cura animarum, ribadita nel XIII secolo, vedi C. D. FONSECA, Canoniche regolari, capitoli cattedrali e Çcura animarumÈ, in Pievi e parroc- chie in Italia nel Basso Medioevo (secoli XIII-XV), I, Roma 1994, pp. 259-266. Nel Piemonte del XIII secolo risultano, tra l’altro, impegnati in questa attività i canonici di S. Colombano di Biandrate e di S. Maria di Vezzolano, come risulta da A. A. SETTIA, Crisi e adeguamento del- l’organizzazione ecclesiastica nel Piemonte bassomedievale, in Pievi e parrocchie cit., II, pp. 611-613. 51 Due immagini di Villar Focchiardo di circa un secolo addietro. In alto: l’imponente edificio della chiesa parrocchiale circondata dalle abitazioni. In basso: una via e le case dell’antico borgo stori- co di Villar Focchiardo. (Foto: Archivio F. Pangrazi).

52 lativa alla legittimità stessa della concessione del controllo della pieve di Su- sa (31). Sono gli anni critici della fine della dinastia arduinica e del crollo della marca di Torino. Nel 1090 (Adelaide morirà l’anno successivo), dal suo ca- stello di Baratonia in Val Ceronda, Bruno visconte concede alla canonica di Oulx l’honor del prete Adalardo, comprendente vigne, campi, prati in territo- rio di Villar Focchiardo, con relativi censi e taglie. Quello che Bruno cedeva erano in realtà i beni patrimoniali collegati al servizio religioso della chiesa del villaggio. Il prete Adalardo era forse un dipendente dei visconti, come cer- tamente loro dipendente era il fratello di lui, Adamo, qualificato come miles, vassallo dei visconti nel cui castello si trova ad agire. La concessione dell’ho- nor presbiterale completava quella della chiesa, effettuata da Adelaide una trentina di anni prima (32). Alla fine dell’XI secolo, quindi, si è già insediata a Villar Focchiardo la si- gnoria dei Baratonia, destinata a durare più di due secoli. Essi vantano un pre- stigioso titolo funzionariale, dispongono del Çfeudo presbiteraleÈ, possiedono (come risulterà in seguito) la domus attigua alla chiesa: sono gli eredi, a un li- vello più modesto e soltanto locale, del dominio arduinico (33).

Le basi antiche della comunità: la vicinia Gli uomini di Villar Focchiardo sono quasi totalmente assenti dalla docu- mentazione fino all’anno 1200, quando, in forma anonima e collettiva, sono

(31) Oulx, p. 56 d. 45. Sui contrasti per il controllo delle chiese dei villaggi, L. PATRIA, Prima del Laietto: chiese, oratori e cappelle cimiteriali su terra monastica di S. Giusto di Susa (secc. XI-XV), in F. CAVINATO et alii, San Bernardo a Laietto, Susa 1992, pp. 11-13. (32) Oulx, p. 54 d. 42. Nel 1109 una concessione analoga è operata da Oberto di Reano (ib., p. 93 d. 91). Honor, che in generale indica una carica (in origine, pubblica), il territorio sul qua- le viene esercitata e le rendite che le competono, e tende a confondersi con il concetto di Çbene- ficioÈ (Vocabulaire historique du Moyen Âge, Paris 1997, p. 134), assume anche il significato specifico di fief presbytéral, l’ensemble de bienfonds affecté à la subsistance du prêtre qui des- serte une èglise (J. F. NIERMEYER, Mediae latinitatis lexicon minus, Leiden 1976, p. 497). Come scrive A. VAUCHEZ (La vita pastorale nella chiesa d’occidente, in Storia del cristianesimo, 5, Apogeo del papato ed espansione della cristianità [1054-1274], Roma 1997, p. 721): «Nell’età feudale... i fondatori laici e i loro discendenti si erano appropriati delle rendite delle chiese... e i parroci erano stati ridotti al rango di agenti del signore... A forza di condanne e di sanzioni... la gerarchia ecclesiastica ottenne... la restituzione da parte dei laici della maggior parte di questi diritti, ma, in molti casi, i loro detentori non li cedettero al vescovo della loro diocesi, ma ai mo- nasteri e alle fondazioni religiose...È. (33) La prima citazione della domus signorile, davanti alla quale si trova una vigna confinan- te con la chiesa, è del 1193 (Oulx, p. 208 d. 196). Sugli sviluppi della signoria di Villar Foc- chiardo tra XII e XIII secolo, rimando a G. CHIARLE, I signori di Baratonia e di Villar Foc- chiardo, in ÇSegusiumÈ 38 (1999), in particolare alle pp. 54-71. 53 chiamati a dare il loro assenso a una grande donazione operata dai signori del villaggio a favore di Monte Benedetto. La cerimonia solenne, che si svolge davanti alla chiesa dei santi Cosma e Damiano, mette in scena una serie nutrita di protagonisti e comprimari: prima di tutto, da una parte i certosini, appena arrivati in paese, rappresentati ad alto livello da priori di importanti case piemontesi e savoiarde e da personaggi di spicco dell’ordine; dall’altra, i signori del villaggio (Enrico di Baratonia, Pal- merio di Reano, Bosone Carbonello), autori della donazione, affiancati da loro agenti, come il gastaldo Ugo, e da sodali aristocratici, come Enrico di Caselet- te. Il patronato del conte di Savoia sull’operazione è affidato all’intervento di Pietro di Touvet. Tra la gente del villaggio, in prima fila è il prete Martino, sacerdos de Vila- rio. Soltanto ultimi, alla fine dell’atto, e senza essere individuati per nome, i capifamiglia del villaggio (omnes boni homines de Vilario Fulcardo) lodano e confermano la donazione: esprimono, insomma, la loro volontà, che però non può non concordare, come ribadisce il notaio, con quella dei signori (pro iussu dominorum). Intervengono quattro categorie di attori, gli stessi che, nel corso del secolo, saranno coinvolti nelle controversie che seguiranno: i certosini, i domini loci, gli ufficiali sabaudi, gli abitanti del villaggio (34). Pur essendo scontato, il consenso dei boni homines non può mancare: la donazione alla Certosa comprende infatti una parte consistente dei beni comu- ni situati sulla montagna del paese, su cui gli abitanti del villaggio, i vicini, esercitano i loro diritti di pascolo e di ÇboscaggioÈ. Proprio in quanto titolari ab antiquo di tali diritti essi devono esprimere pubblicamente la loro adesione, come fanno, intorno agli stessi anni, in casi analoghi, gli uomini di altre comu- nità piemontesi (35). Prende corpo, così, la montanea Montis Benedicti, della

(34) Monte Benedetto 1, p. 42 d. 17. Vedi anche G. SERRA, Contributo toponomastico alla teoria della continuità nel medioevo delle comunità rurali romane e preromane dell’Italia supe- riore, Cluj 1931, p. 266. Sui rapporti tra i certosini e la comunità di Villar Focchiardo, vedi il mio contributo La Certosa e il villaggio in corso di pubblicazione negli atti del convegno su Monte Benedetto. (35) Nel 1186 gli homines Raconisienses sono chiamati a cedere comuniter i loro diritti su una pezza di terra (che essi asserivano essere comunem... tocius ville Raconisii) donata dai mar- chesi di Saluzzo alla canonica di Lombriasco (P. PEZZANO, Istituzioni e ceti sociali in una comu- nità rurale: Racconigi nel XII e nel XIII secolo, in ÇBSBSÈ LXXIV, 1976, pp. 635-6). Tra il 1216 e il 1217, gli homines di Revello sono tre volte chiamati a confermare le donazioni di ter- re e boschi operate dai Saluzzo a favore dell’abbazia di Staffarda (R. EANDI, Una comunità ru- rale in territorio signorile. Le origini del comune di Revello, in Economia, società e cultura nel Piemonte bassomedievale, Torino 1996, p. 86). L’intervento congiunto dei signori e degli uomi- ni del villaggio (presentati anche in questo caso in forma anonima: cum omni populo Cluse) è documentato anche per la dotazione della Certosa di Pesio nel 1173 (P. GUGLIELMOTTI, Gli esor- di della Certosa di Pesio (1173-1250): un modello di attività monastica medievale, in ÇBSBSÈ LXXXIV, 1986, p. 11). Secondo G. P. BOGNETTI, Studi sulle origini del comune rurale, Milano 54 quale i certosini sono proprietari esclusivi e custodi gelosi, anche a ragione del rigido isolamento imposto dalle loro Consuetudines. Ai vicini rimane soltanto una parte dei beni comuni (la montanea illorum de Vilario) dove si trova, tra l’altro, il bosco della comunità. Nel 1338, dopo lunghe controversie, si arri- verà a una più netta delimitazione delle due montagne (montaneas... monaste- rii et universistatis) (36). È intorno alla questione dei beni comuni che assume una forma sempre più visibile e organizzata, nel corso del XIII secolo, la comunità del nostro villag- gio. Certamente questi beni costituiscono la base più solida della sua autoiden- tificazione. Alcuni studiosi vi hanno rintracciato la prova della continuità tra le comunità rurali antiche, romane e preromane, e quelle medievali (37). In ogni caso, essi rappresentano le risorse di base indispensabili a un’economia di tipo silvo-pastorale di tradizione certamente antica, e all’epoca assolutamente pre- valente nel Piemonte occidentale, fondata sulla dinamica integrazione tra col- to e incolto o, in termini geografici, tra fondovalle e montagna (38). La comunità (vicinia) è propriamente formata da quanti, vicini o boni ho- mines, in virtù della residenza e del possesso di terre, godono degli usi e dei beni comuni (communia) (39). Definiti con termini come vicinitates o equiva- lenti, che derivano dalla stessa radice di vicus, questi diritti riguardano anche i possessi privati, nel periodo dell’anno in cui non sono soggetti allo sfrutta- mento individuale (e vengono perciò banniti), ma aperti all’uso collettivo (vai-

1978, p. 111, la «volontà del dominus lociÈ concorre Çnecessariamente con quella dei vicini nel determinare la destinazione dei viganalia [beni comuni]», e «la quota di comproprietà [è] fissa- ta nella metà delle terre o del ricavo». (36) Sui diritti esercitati sulla montagna, vedi le deposizioni testimoniali del 1276 (supra, n. 9). Per la delimitazione dei confini e il Çnemus... universitatisÈ, PROVANA, Notizie, cit., II, p. 386 d. 73. Secondo SERRA, Contributo toponomastico cit., p. 19, il termine mons e il collettivo mon- tanea contengono implicitamente il riferimento a pascoli soggetti a usi comuni.

(37) BOGNETTI, Studi sulle origini cit.; SERRA, Contributo toponomastico cit.; E. SERENI, Co- munità rurali nell’Italia antica, Roma 1955.

(38) Sull’importanza dell’incolto per l’economia contadina, vedi, per esempio, M. MONTA- NARI, L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo, Napoli 1979, pp. 34-49, e G. CHERUBINI, L’Italia rurale del basso medioevo, Bari-Roma 1985, pp. 40-55. Per la regione piemontese nei secoli centrali del medioevo insiste molto sulla «stretta complementarità allora esistente fra la pianura e la montagnaÈ C. ROTELLI, Una campagna medievale. Storia agraria del Piemonte fra il 1250 e il 1450, Torino 1973, pp. 4-5, 17-8. (39) In molti casi era probabilmente richiesto il possesso: ÇPer essere vicinus è indispensabi- le, nel medioevo, essere proprietario nel luogoÈ (BOGNETTI, Studi sulle origini cit., p. 111). In altri, probabilmente no: nel 1232, a Sant’Antonino, godono delle «vicinitates» tutti gli «homi- nes astantes et habitantes in villa Sancti AntoliniÈ (Cartario del Monastero di S. Maria di Brio- ne fino all’anno 1300, a cura di G. Sella, Pinerolo 1913, p. 36 d. 43). 55 Un importante documento per Villar Focchiardo medievale: il 30 gennaio 1307 a Villar Focchiardo nella casa dei visconti, Giovanni e Tommaso (figli del fu Oddone) e altri consignori del luogo si ac- cordano con la Certosa di Monte Benedetto riguardo ai diritti di caccia agli animali selvatici di grossa e piccola taglia. 56 ne pâture), generalmente tra fine settembre (S. Michele) e fine marzo (Annun- ciazione) - aprile (40). Gli stessi diritti di proprietà sono sottoposti alle «consuetudini» di ogni vil- laggio, trasmesse oralmente, che impongono i tempi e le modalità dei vari la- vori e consentono così di armonizzare le pratiche agricole e pastorali nell’inte- resse di tutti (41). é un sistema fondato sulla virtuale ÇuguaglianzaÈ dei mem- bri della comunità, che favorisce i più poveri garantendo un «minimo vitale» soprattutto nei momenti difficili (42). Nei primi anni del XIII secolo, i docu- menti di vendita del nostro villaggio contengono spesso una clausola che fa ri- ferimento a queste norme con formule come secundum usum paisii, ad usum patrie, secundum usum loci, secundum usum bonum paisii, espressione, que- st’ultima, nella quale viene richiamata, forse in modo strumentale (a usarla è infatti il visconte Enrico di Baratonia), la contrapposizione che anche si faceva tra le bone consuetudines (quelle comunitarie, più antiche) e le prave, intro- dotte dai signori e caratterizzate dalle superimpositiones (43). Tali diritti su boschi, pascoli e acque si estendono a tutto il territorio del vil- laggio, e vengono normalmente concessi per semplice iniziativa signorile, sen- za il coinvolgimento attivo della comunità (44). Dai documenti di lite della seconda metà del secolo veniamo a sapere che, su

(40) R. COMBA, A. DAL VERME, Allevamento, transumanza e commercio del bestiame nel Piemonte occidentale: secoli XII-XV, in Greggi, mandrie e pastori nelle Alpi occidentali (secoli XII-XX), a cura di R. Comba, A. Dal Verme, I. Naso, Cuneo 1996, p. 17. (41) ROTELLI, Una campagna medievale cit., p. 38: ÇNel XIII e nel XIV secolo il sistema dei campi aperti fa di tutto il territorio una grande azienda, in cui gli statuti campestri tendono a re- golare gran parte della vita agricola e delimitano il diritto del possessore e le possibilità di sfrut- tamento della terraÈ. Vedi anche F. PANERO, Servi e rustici, Vercelli 1990, p. 189 e n. Su questi usi, codificati all’inizio del XIV secolo negli statuti di una comunità della valle, vedi come esempio E. PATRIA, Rubiana, cit., pp. 125-134. (42) L’idea viene espressa anche da uno dei testi del 1276 (sopra, n. 9), Pietro di Castagneret- to, che sostiene che i certosini sarebbero tenuti a concedere l’uso della montagna agli uomini del villaggio quando questi lo richiedano pro eorum necessariis. (43) Rispettivamente, Monte Benedetto 1, p. 49 d. 24 (1201); p. 58 d. 34 (1203); p. 61 d. 37 (1203); p. 77 d. 54 (1207). Il termine impiegato nella formula notarile fa riferimento all’antico distretto pagense: gli usus Segusiensium vengono citati negli statuti di Susa del 1198 (SERGI, Potere e territorio, cit., p. 191); secundum consuetudinem vallis Secusie è la formula usata dal citato documento del 1165 (supra, n. 8). Ma risulta evidente come la comunità di riferimento tenda a restringersi al singolo villaggio. Nel 1276 compare anzi il dialettale pais come sinonimo di villaggio: illi de Burgono seu pais universitatis predicte (supra, n. 9). (44) Rispettivamente, Monte Benedetto 1, p. 72 d. 48 (1206): vicinitatem... in nemoribus, pa- squis et in aquis... in Vilario Fulchardo (concessione di Palmerio di Reano); p. 73 d. 49 (1206): vicinium de pascuis de tota villa Vilarii Fulcardi (concessione di Enrico di Baratonia). Nel vici- no villaggio di Sant’Antonino, nel 1232, il prevosto Ponzio, dominus loci, concede alle mona- che di Brione paschagium et boschagios et vias et omnes vicinitates (supra, n. 39). 57 quella che era stata la loro montagna, gli uomini del villaggio rivendicavano il diritto di tagliare e asportare legna e di pascolare i loro animali. Particolarmente ambita doveva essere la possibilità di utilizzare i grandi alberi per ricavarne le- gname da costruzione (45). Nei boschi si poteva anche pascolare, e se ne ricava- vano le frasche, che servivano da foraggio durante la stabulazione invernale del bestiame (46). Questi boschi fornivano inoltre la materia prima alle officine dei tornitori (1243), alimentavano le carbonaie delle fucine di Bruzolo (1282), man- tenevano una selvaggina grossa (orsi, caprioli, camosci, cinghiali) sulla quale, nel 1307, i domini loci ribadivano i loro diritti, lasciando ai certosini e ai loro ac- coliti la poco aristocratica piccola selvaggina (scoiattoli e lepri) (47). Nello sfruttamento della montagna, potevano così allearsi, paradossalmen- te, le esigenze dell’ascesi monastica e quelle del progresso economico, privan- do la comunità di una parte consistente delle sue risorse «naturali», anche al li- vello più umile e quotidiano della disponibilità dei prodotti della raccolta (frut- ti, funghi, cera e miele selvatico) o della possibilità di dissetare ai fontanili gli animali che salivano all’alpeggio (48). Era, del resto, quello dell’appropriazio- ne dei beni e degli usi comuni, un movimento generale nell’Europa dell’epo- ca, il fronte più «caldo» nei rapporti tra signori e comunità. Quella buona dose di Çcomunismo elementareÈ (M. Bloch) contenuta nelle antiche consuetudini

(45) A tali diritti fanno riferimento i precetti degli ufficiali sabaudi (vedi, per esempio, PRO- VANA, Notizie cit., I, p. 238 d. 82). Nel 1290 gli uomini di Villar Focchiardo impediscono con la violenza a quelli di Caprie di appropriarsi del legname da costruzione loro ceduto dai certosini (ib., p. 239 d. 84). Tutta relativa all’usum arbores scindendi ad construendum et comburendum è la più volte citata disputa del 1276 (supra, n. 9). Nei primi decenni del XIV secolo, i Çboschi plurisecolariÈ della montagna di Villar Focchiardo riforniva i cantieri dei castelli della pianura di «monumentali antenne» e di «legname d’opera» (L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ cit., p. 77 n. e p. 150 n.), proprio mentre il legno «era diventato una merce sempre più preziosa» (BLO- CH, I caratteri originali cit., p. 215). (46) Monte Benedetto 1, p. 43 doc. 17: pascua vicine de castaneretis in sursum, facere folia. Vedi anche L. PATRIA, Le grange, in Guida alla Certosa di Monte Benedetto e al Parco dell’Or- siera-Rocciavré, Torino 1995, pp. 34-5. (47) 1243: Monte Benedetto 1, p. 222 d. 186. 1282: Monte Benedetto 2, p. 201 d. 63. 1307: PROVANA, Notizie cit., I, p. 240 d. 86. Sugli usi del bosco, vedi anche COMBA, Metamorfosi cit., p. 108, e C. HIGOUNET, Les forêts de l’Europe Occidentale du Ve au XIe siècle, in Agricoltura e mondo rurale in Occidente nell’Alto Medioevo, Spoleto 1966, pp. 386-392. (48) Nel 1338 i certosini concedono agli uomini del villaggio di poter aberare sive aquare i loro animali che si trovano agli alpibus dicti loci Vilarii alle fontanellis del prato detto de Bona- nocte (ib., 386 d. 73). La trasformazione è così sintetizzata da G. DUBY, L’economia rurale nel- l’Europa medievale, I, Roma-Bari 19763, pp. 224-5: «La foresta dell’alto Medioevo era stata una larga riserva aperta a tutti... più ancora, era stata un vasto pascolo... Nel XIII secolo, diven- ne come una coltura protetta dell’albero, destinata a provvedere ai bisogni della costruzione, dell’artigianato e del riscaldamento. Nelle rendite signorili, infatti, la parte fornita dalla vendita del legno si allargò allora considerevolmente». Sull’economia certosina, ib., pp. 221-2. 58 cominciava a perdere colpi di fronte ai progressi dell’individualismo e del cal- colo economico. Cominciava una storia, fatta di abusi, usurpazioni e contro- versie, ma anche di accordi per la divisione dei beni comuni tra comunità e si- gnori o per il loro frazionamento a vantaggio dei ÇparticolariÈ, destinata a du- rare sostanzialmente fino alla metà del secolo scorso, fino al tramonto della «civiltà contadina» e all’«abbandono della montagna» (49).

La chiesa come parrocchia Le consuetudini imponevano, inoltre, obblighi di tutela e di difesa recipro- ca, e di partecipazione, secondo un ideale di mutuo concorso, ai lavori e alle spese per la costruzione e la manutenzione delle strutture di uso pubblico (chiesa, strade, ponti, pozzi, fossati, recinti fortificati, siepi e steccati) e alle re- lative spese, obblighi in qualche caso sanzionati da un giuramento collettivo, il salvamentum loci (50). Ormai rigidamente inquadrata, come tante altre, nei ranghi della signoria, all’inizio del XIII secolo la nostra comunità di villaggio riconosceva tali obbli- ghi nei confronti del signore. Questi onera rusticana, o vicinitates, come anche continuavano a chiamarsi, comprendevano taglie, decime, corvées, bannalità, e servizi militari di guardia e di spedizione armata al seguito del signore. Un do- cumento del 1230 cita appunto la ÇcavalcataÈ, che il visconte con i suoi uomi- ni, i vicini, è tenuto a prestare a richiesta del conte di Savoia (51). Nei servizi ob- bligati, nelle code al forno o al mulino dominicale, quante ÇrecriminazioniÈ avranno, d’altra parte, contribuito a rinsaldare i legami comunitari... (52). Se il signore, saldamente insediato nella sua domus al centro del villaggio, ha accaparrato a proprio favore consuetudini ed usi, proprio agli inizi del XIII

(49) Sull’appropriazione dei beni comuni, ib., pp. 219-234 e 247-254. Sulla Çlunga durataÈ del fenomeno, M. BLOCH, La fine della comunità e la nascita dell’individualismo agrario, Mila- no 1997. A Villar Focchiardo, nel 1796, i beni comuni coprivano ancora «oltre la metà dell’inte- ro territorio comunaleÈ ed erano localizzati nelle regioni Piano della Fontana, Bessea, Gran Comba, Sausia, Fontana Brusà, Fumavecchia, Laietto, Stagno d’acqua, Piansignore (MARTOIA, Villar Focchiardo cit., II, pp. 283 e 286).

(50) Sul salvamentum loci, BOGNETTI, Studi sulle origini cit. p. 131; PANERO, Servi e rustici cit., pp. 192-3.

(51) SERGI, Potere e territorio cit., p. 273. Sulla ÇcavalcataÈ in Val di Susa, vedi E. PATRIA, Rubiana cit., pp. 35-7. Un accenno ai vicini impegnati nell’exercitu comitale al seguito del ri- spettivo signore si trova in un documento del 1227 relativo a Bruzolo (PROVANA, Notizie, cit., p. 336 d. 28). Ad Albiano d’Ivrea, nel 1211, termini come vicinium, vicinitatem designano gli Çob- blighi imposti dal signore agli abitanti del villaggioÈ (A. BARBERO, Vassalli, nobili e cavalieri fra città e campagna, in ÇStudi medievaliÈ 33 [1992], p. 639).

(52) R. FOSSIER, Il risveglio dell’Europa, Torino 1985, p. 376. 59 secolo qualcosa cambia dal lato della chiesa. Con il quarto Concilio Latera- nense (1215), infatti, giunge a compimento il processo di valorizzazione della parrocchia, già avviato nel secolo precedente. Con il trasferimento dei princi- pali diritti sacramentali dalle chiese pievane, poste al centro di vaste circoscri- zioni, alle chiese dei singoli villaggi, si disegna una nuova geografia della vita spirituale, valida, nei suoi princìpi, almeno fino al Concilio di Trento e, per al- cuni aspetti, giunta fino a noi. La chiesa parrocchiale (parochialis ecclesia) è il punto di riferimento principale del rinnovato impegno nell’evangelizzazione dei fedeli (53). Per accostarsi ai sacramenti (viene imposto l’obbligo della con- fessione e comunione almeno annuali, del matrimonio in chiesa, della sepoltu- ra nella parrocchia), ogni fedele deve rivolgersi al suo parroco (proprius o pa- rochialis sacerdos, rector, curatus), il quale diviene così veramente «l’unico detentore del potere spiritualeÈ nel territorio di sua competenza, con il Çcom- pito di seguire il cammino dei fedeli dal battesimo alla sepolturaÈ (54). Anche la cura dell’edificio sacro e delle sue suppellettili (l’eucarestia deve essere custodita in chiesa in luogo degno, sotto chiave) contribuì allo «svilup- po del culto e della frequenza della chiesa da parte dei fedeliÈ e diede Çimpul- so all’arte sacra» (55). Insomma, la parrocchia Çdiventava il quadro obbligato- rio della vita religiosaÈ (56).

(53) ÇLa funzione della chiesa parrocchiale si rinforza progressivamente con lo sviluppo del- l’aspetto sacramentale della cura animarum... a partire dal Concilio Laterano IVÈ (A. VAUCHEZ, Reliquie, santi e santuari, spazi sacri e vagabondaggio religioso nel medioevo, in Storia dell’I- talia religiosa, 1, L’antichità e il medioevo, a cura di G. De Rosa, T. Gregory, A. Vauchez, Ro- ma-Bari 1993, p. 467). Le costituzioni conciliari sono esposte ed analizzate da M. MACCARRO- NE, ÇCura animarumÈ e Çparochialis sacerdosÈ nelle costituzioni del IV Concilio Lateranense (1215). Applicazioni in Italia nel sec. XIII, in Pievi e parrocchie in Italia nel Basso Medioevo (secc. XIII-XV), Roma 1984, pp. 81-195. Il più famoso canonista del XIII secolo, Enrico di Su- sa, cardinale Ostiense, definisce lo ius parochiale come cura animarum parochianorum (Sum- ma aurea, l. III, rubr. De parochiis et alienis parochianis, cit. ib., p. 190). (54) Per parochiales sacerdotes, vedi per esempio ib., p. 129. È questa l’espressione utilizza- ta dal vescovo di Torino Goffredo nelle sue costituzioni sinodali della seconda metà del secolo (G. BRIACCA, I Decreti Sinodali Torinesi di Goffredo di Montanaro [a. 1270, a. 1286], Torino 1985, p. 144). Per tutte le altre citazioni, G. PICASSO, ÇCura animarumÈ e parrocchie in Italia nella normativa canonistica, in Pievi e parrocchie, cit., I, pp. 73-4. Ogni fedele diventa un pa- rochianus, la cui comunità di riferimento si basa sulla residenza (ratione domicilii: ENRICO DI SUSA, Summa Aurea, l. III, ÇDe parochiis et alienis parochianisÈ, cit. ib., p. 75 n.). Per Çcura- tusÈ, A. VAUCHEZ, La vita pastorale, cit., p. 709. Le circoscrizioni pievane vengono in genere mantenute (e in certi casi addirittura incrementate), ma la loro preminenza tende progressiva- mente a ridursi a «un significato topografico» e a «una dignità... puramente onorifica» (A. A. SETTIA, Crisi e adeguamento dell’organizzazione ecclesiastica nel Piemonte bassomedievale, in Pievi e parrocchie cit., II, pp. 614 e 616).

(55) MACCARRONE, ÇCura animarumÈ cit., pp. 154-8.

(56) VAUCHEZ, La vita pastorale, cit., p. 709. 60 Rade sono, purtroppo, le tracce documentarie della trasformazione della chiesa dei santi Cosma e Damiano, in origine, come si è visto, «chiesa privata», nella chiesa ÇparrocchialeÈ del villaggio (57). Nel 1226 Giacomo, vescovo di Torino, conferma al prevosto di S. Lorenzo di Oulx la pieve di S. Maria di Susa con le sue dipendenze, distinte tra titulis (cappelle, oratori) e parrochiis cum omni iure parochiali. Nel generico elenco compare anche la chiesa di Villar Focchiardo (58). Di due anni successiva è la prima citazione del cimitero del vil- laggio, indizio del diritto di sepoltura (59). Nel 1239, in un ennesimo atto della interminabile controversia che opponeva i canonici di Oulx ai monaci di S. Giu- sto per la definizione delle rispettive titolarità nel territorio del villaggio, la chiesa, confermata a Oulx, è definita esplicitamente parochiali ecclesia (60). Anche sulla vita parrocchiale i documenti pervenuti, di interesse patrimo- niale (i soli conservati con cura), non dicono nulla di specifico. Alcune notizie relative ad altre piccole realtà locali della valle, molto vicine al nostro villag- gio, ci consentono comunque di intravedere quale stretta compenetrazione si fosse realizzata tra comunità locale e chiesa parrocchiale: gli abitanti del vil- laggio contribuiscono alla costruzione e alla manutenzione dell’edificio sacro, come fanno nel 1290 gli uomini di Caprie per la chiesa parrocchiale di Condo- ve da cui dipendono (61), e rivendicano, in qualche caso, il diritto di dire la loro nella scelta del sacerdote, di ÇeleggereÈ il parroco, come fanno (senza succes- so) gli uomini di Bruzolo nel 1172 (62).

(57) Sulle Çchiese privateÈ, sopra n. 24. In termini generali, VAUCHEZ sintetizza il cambia- mento in questo modo: Çda semplice appendice della signoria locale, quale era stata fino a quel momento soprattutto nelle campagne, la parrocchia tendeva a diventare un punto di riferimento dell’azione pastorale dell’episcopato e una vera e propria struttura d’inquadramento della vita religiosa dei fedeliÈ (La vita pastorale cit., p. 710). (58) Oulx, p. 264 doc. 254.

(59) Monte Benedetto 1, p. 156 d. 125, a. 1228: in cimiterio de Vilario. Secondo SETTIA (Chiese, strade e fortezze cit., pp. 11-15), contrariamente all’opinione diffusa, il diritto di sepol- tura non va considerato come esclusivo delle chiese plebanali, poiché «a tale consuetudine sfug- girono comunque le cappelle private nate... soprattutto per servire di sepoltura al gruppo paren- tale fondatore»: non è, questo, il caso della chiesa di Villar Focchiardo.

(60) L. PATRIA, Prima del Laietto cit., p. 14 n.

(61) 1290: PROVANA, Notizie cit., I, pp. 105-6 e docc. 84-85 pp. 239-240. é possibile che Çin quel periodo Caprie fosse soggetta alla giurisdizione ecclesiastica di CondoveÈ (CASIRAGHI, La diocesi di Torino cit., p. 139 n.). Per altre notizie, vedi PATRIA, Prima del Laietto cit., p. 25. Nel tardo medioevo le comunità locali intensificano i loro tentativi di «gestione diretta» degli edifi- ci sacri, con un «controllo sempre più codificato e propositivo»: ne offre alcuni significativi esempi, relativi a Frassinere, Bussoleno e Mattie (anche per la Çtipologia minore della cappella privata o di borgataÈ) lo stesso Patria (ib., pp. 28 e 33). (62) Il documento del 1172 è citato sopra alla n. 22. Gli uomini di Bruzolo sostengono che la loro chiesa era stata fondata dai loro predecessores (non dai marchesi), legittimando così il loro 61 Unico edificio costruito in pietra (lapis super lapide) e dotato di una certa eleganza (munda) (63), essa si distingue nettamente a prima vista dalle case, ge- neralmente costruite con materiali poveri, segnalando il centro del territorio (64). Le funzioni, che riuniscono tutta la popolazione, sono il momento culmi- nante della vita comunitaria, come conferma la scelta di questa occasione da parte degli agenti signorili o comitali per annunziare pubblicamente, “preco- nizzare”, notizie e moniti (65). La sacralità del luogo è rafforzata dalla vicinan- za del cimitero, dove l’unità integrale della comunità si ricompone nell’incon- tro tra i vivi e la memoria dei defunti (66). A Villar Focchiardo, come in molti altri villaggi, il sagrato è coperto dalle fronde di un olmo, anch’esso simbolo di vita comunitaria (67). Vicinia, populus, parochia, sono termini che nelle carte di questo secolo di- ventano sinonimi (68). È la chiesa il luogo di riunione della comunità: il 15 maggio del 1291, nella chiesa di Villar Focchiardo (infra ecclesiam), si svolge vantato diritto, che dicono di aver esercitato sexaginta annis et amplius. La sentenza del vesco- vo torinese Milone accredita invece la fondazione arduinica e impone loro il silenzio. Analogo tentativo è attribuito agli uomini di Mattie. In generale, VIOLANTE, Pievi e parrocchie cit., pp. 755-65. (63) Sono le caratteristiche attribuite da un teste, nel 1287, alla chiesa di Villar Almese: Car- te varie a supplemento e complemento etc., a cura di F. Gabotto et alii, Pinerolo 1916, p. 223 d. 187 (citato da E. PATRIA, Rubiana cit. p. 111 n.). (64) CHERUBINI, L’Italia rurale cit., p. 220. La fissazione della rete parrocchiale contribuisce inoltre a rendere più stabili i confini del villaggio: vedi VIOLANTE, Pievi e parrocchie cit., p. 748; G. G. MERLO, La nascita di una parrocchia: la cappella di Sant’Ilario di Voghera, in ID., Forme di religiosità nell’Italia occidentale dei secoli XII e XIII, Cuneo - Vercelli 1997, pp. 99 e 101. Tralasciando, per brevità, l’argomento, mi limito a segnalare, in connessione con l’olmo che si trova al centro del villaggio, la località ad Ulmum Magnum al confine con Sant’Antonino (Monte Benedetto 1, p. 93 d. 69). (65) La pratica era comune, per esempio, nelle chiese dipendenti dalla signoria di S. Giusto di Susa (L. PATRIA, Prima del Laietto cit., p. 19; E. PATRIA, Rubiana cit., p. 40). (66) Due documenti sono rogati nel cimitero nel 1290 (Provana, Notizie, cit., I, docc. 84-85 pp. 239-240). Un altro nel 1228 (sopra, n. 59). (67) Fanno riferimento all’olmo due documenti per Enrico visconte di Baratonia, rogati nel 1201 ante ecclesiam sub ulmo (Oulx cit., p. 224 doc. 215, p. 225 doc. 216), e inoltre un docu- mento del 1221 (Monte Benedetto 1, doc. 97 p. 127: ante ulmum). Su questa tradizione, vedi G. SERRA, Tracce del culto dell’olmo e del tiglio nella toponomastica e negli usi civili dell’Italia medioevale, in ID., Lineamenti di una storia linguistica dell’Italia medioevale, I, Napoli 1954, pp. 239-256. Nel 1305 la comunità di Sant’Antonino si riunisce ante ecclesiam... sub ulmo (Monte Benedetto 2, p. 401 d. 135). Nel XIV secolo è attestata anche la platea grossi ulmi di Caselette (L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ cit., p. 146 n. 6).

(68) Alla domanda quid est parochia?, vicinia si risponde a Voghera nel 1205 (MERLO, La nascita di una parrocchia, cit., p. 101), populus a Genova pochi anni dopo (VIOLANTE, Pievi e parrocchie cit., p. 738). 62 l’assemblea dei capifamiglia che nominano i loro procuratori nella causa con- tro Monte Benedetto. L’universitas vi si è radunata, «more solito», al suono della campana (69). Dell’affermazione della parrocchia è certamente indizio la frequenza con la quale, nei primi decenni del XIII secolo, sono chiamati a fare da testimoni ne- gli atti notarili e nelle cerimonie pubbliche i sacerdoti, individuati da un predi- cato territoriale che corrisponde al nome di un villaggio: evidentemente, i re- sponsabili della cura d’anime. Dei «parroci» di Villar Focchiardo, incontriamo per primo Martino, e poi i suoi successori Olderico e Pietro (70). Il parroco è spesso assistito da un chierico (Andrea nel 1201 e Guglielmo nel 1203) e, di tanto in tanto, da un altro sacerdote. Questa particolare «visibilità» documen- taria dei sacerdoti, che tende successivamente a sfumare, è il riflesso dell’au- mentato prestigio del prete, non più servo del signore, ma, in un certo senso, «funzionario pubblico» e mediatore tra il signore e la comunità (71). La comunità si organizza Posteriore di circa un secolo all’impianto delle signorie di banno, la diffu- sione della rete parrocchiale era un altro elemento che accompagnava e favori- va la maturazione della coscienza di sé, delle proprie potenzialità e dei propri diritti, da parte delle comunità locali (72). Il primo documento nel quale troviamo formalmente costituito l’organismo comunale è del 1281: come in altre comunità piemontesi, all’origine della

(69) PROVANA, Notizie cit., I, p. 246 d. 90; Monte Benedetto, p. 25 d. 13. (70) A conferma dell’importanza del suo ruolo, nell’elenco dei testimoni del 2 giugno 1200 (sopra, n. 35) Martinus sacerdos de Vilario viene subito dopo i personaggi dell’ordine certosino e precede tutti gli altri. La sua presenza è ricorrente fino al 1225 (Monte Benedetto 1, p. 143 d. 113). Domnus Odericus sacerdos de Vilario compare nel 1230 (ib., p. 170 d. 137); Petrus sacer- dos Vilari Fulchardi, nel 1241 (ib., p. 219 d. 182). (71) 1201: Monte Benedetto 1, p. 49 d. 24. 1203: ib., p. 63 d. 39. Sulla funzione del chierico, vedi MERLO, La nascita di una parrocchia cit., pp. 119 segg. Martino è «sacerdote di Villar Foc- chiardoÈ tra il 1200 (Monte Benedetto 1, p. 43 d. 17) e il 1225 (ib., p. 143 d. 113). Tra il 1212 e il 1220 in alcune occasioni è documentata la presenza nel villaggio di un sacerdote di nome Giuseppe (per esempio, nel 1212: ib., p. 93 d. 68). Dopo Martino, sacerdos de Vilario è Olderi- co tra il 1230 e il 1231; accanto a lui, nel 1231, è dominus Richelmus sacerdos (ib., p. 179 d. 131). Attestazioni analoghe sono facilmente inviduabili per gli altri villaggi. In base alla docu- mentazione disponibile, ho cercato di delineare il contesto formale dello sviluppo della parroc- chia: altra cosa è l’analisi del suo funzionamento concreto. Il tema delle «condizioni dell’orga- nizzazione ecclesiastica nei suoi livelli più bassi – la parrocchia e il clero in cura d’anime – e dei suoi rapporti con i bisogni religiosi dei fedeli» è sviluppato, per la diocesi di Torino, su docu- mentazione trecentesca, da G. G. MERLO, Vita di chierici nel Trecento: inchieste nella diocesi di Torino, in ÇBSBSÈ LXXIII (1975), pp. 181-210.

(72) VIOLANTE, Pievi e parrocchie cit., pp. 730-7, per la triplice territorializzazione. 63 Çpresa di coscienzaÈ comunale degli uomini di Villar Focchiardo vi è la que- stione dei beni comuni. Il 13 giugno di quell’anno, i consoli del «Comune», Ponzio de Iuliano, Michele di Chiapinetto ed Enrico Çde LanceoÈ, salirono al- la Certosa di Monte Benedetto per rivendicare il diritto degli abitanti del vil- laggio di far transitare i loro animali attraverso l’alpe Moschiglione (73). La scena della vita pubblica è occupata dagli stessi attori dell’accordo del 2 giugno 1200, con la differenza che ora i boni homines sono individuabili per nome e cognome e sono organizzati (74). L’associazione che li riunisce, l’uni- versitas, ha lo scopo di recuperare i diritti comunitari conculcati dalla Certosa e agisce in stretta alleanza con i domini loci, interessati anch’essi come i loro uomini (e forse più) a recuperare i beni ceduti. All’inizio degli anni ’90, questo consorzio signorile (Baratonia, Grassi, Giaglione) è normalmente rappresenta- to da un podestà, incaricato anche di amministrare la giustizia (75). Sull’altro fronte, la Certosa può resistere alle pressioni di questa e di altre comunità (Borgone, San Giorio) soltanto perché gode della protezione e del costante ap- poggio dei conti sabaudi e dei loro funzionari: è molto significativo, ma anche abbastanza scontato, il fatto che, nel 1290, il priore accusi di manifesta parzia- lità il podestà di Villar Focchiardo, e ricusi il suo tribunale per adire la curiam domini comitis Sabaudie (76). La linea di frattura non passa nel mezzo del villaggio, tra uomini e signori, ma sui suoi confini: tra il vecchio (le Çbuone consuetudiniÈ) e il nuovo (il Çde- serto» certosino), tra l’interno (vicinia, signoria e parrocchia) e l’esterno (il principato sabaudo). Da un altro punto di vista, il sorgere del Comune è favo-

(73) 1281: PROVANA, Notizie cit., I, p. 244 doc. 88. Sulle controversie tra Villar Focchiardo e la Certosa, ib., pp. 110-5. F. PANERO (Servi e rustici cit., p. 177) ha rilevato come Çla stessa esi- genza di regolamentare l’utilizzazione degli incolti di uso comune consentiva il mantenimento costante di una coesione sociale, che si accresceva quando i diritti collettivi... venivano messi in discussione dai domini o da uomini estranei al territorium loci. La resistenza ad interferenze esterne accentuava dunque gli aspetti organizzativi comunitari, connotandoli di un carattere ten- denzialmente politicoÈ. Per il concetto di Çpresa di coscienzaÈ, C. WICKHAM, Comunità e clien- tele nella Toscana del XII secolo, Roma 1995, p. 231.

(74) Supra, n. 34. La comunità di villaggio organizzata rappresenta, secondo W. ULLMANN (Individuo e società nel medioevo, Roma-Bari 1983, p. 47), uno dei fondamenti del Çsuccessivo affermarsi della dottrina dell’individuo visto come cittadino con pieno diritto».

(75) In sintesi, ai due estremi cronologici delle controversie giudiziarie, sia nel 1281 (PROVA- NA, Notizie cit., I, p. 238 d. 82) che nel 1338 (ib., II, p. 386 d. 73), troviamo la partecipazione congiunta dei signori e degli uomini. Un documento del luglio 1291 riepiloga sinteticamente i vari gradi della rappresentanza: podestà, signori, sindaci, uomini (il riferimento a «potestati, do- minis, sindicis, et hominibus dicti loci» è contenuto in un precetto del giudice sabaudo di Susa) (ib., I, p. 113). I signori sono stati i primi a contestare apertamente le donazioni a Monte Bene- detto (i Baratonia fin dal 1219: Monte Benedetto 1, p. 115 d. 89).

(76) PROVANA, Notizie cit., I, p. 245 doc. 89. Per il documento dell’anno 1200, vedi sopra, n. 34. 64 rito dal contrasto che si apre nel ceto dominante locale, tra signori e certosini, ciò che consente agli homines di trovare nei domini preziosi alleati. Meritereb- be approfondire la qualità particolare che assumono nel villaggio i rapporti si- gnorili, non estranea anch’essa al determinarsi di questa alleanza. I signori vi- vono infatti al centro dell’abitato, in una posizione che impone loro un’assi- duità quotidiana con i loro homines, favorendo certamente lo sviluppo dei rap- porti interpersonali. Secondo i documenti, l’edificio che li ospita fino al 1325 non reca tracce di fortificazioni, è una semplice domus, certo distinta dalle al- tre, ma, si direbbe, non troppo prevaricatrice, non troppo ostile (77). «Sede comunale» è la chiesa. Quando, come si è detto, nel 1291 i capifami- glia del villaggio vi si riuniscono, l’assemblea conta 115 uomini. Il primo dato che colpisce è proprio la consistenza numerica della popolazione, che risalta ancora di più se paragonata a quella di villaggi contermini: nel 1277, i vicini et habitatores Ville Nove et Veteris di Borgone presenti a un’assemblea analoga sono in tutto 19, più dei due terzi, precisa il documento, della comunità com- plessiva; nel 1303, l’universitas seu maior pars hominum della Villanova di Borgone è formata da 12 uomini; nel 1305, 28 uomini rappresentano l’univer- sitate seu maiori parte hominum di Sant’Antonino (78). Il villaggio era già mol- to vicino al suo massimo potenziale demografico, come confermano i dati del- l’epoca successiva: nel 1335 conterà 116 fuochi, contro i 66 di Borgone e i 50 di Sant’Antonino. Successivamente Villar Focchiardo, con Borgone, sarà tra i paesi più colpiti dalla peste nera, alla metà del secolo, con perdite intorno al 50 per cento della popolazione. A seguito delle successive ondate, nel 1414 la po- polazione dei tre centri risulterà drasticamente ridotta rispettivamente a 48, 20 e 18 fuochi (79). Alla fine del XIII secolo, la relativa prosperità demografica è indice di quella economica, e costituisce una delle possibili motivazioni delle recrimi- nazioni sulla montagna di Monte Benedetto. Risulta difficile pensare che que- ste ultime siano dettate soltanto dalla nostalgia del Çbuon tempo anticoÈ o dal- la volontà di tutelare i più deboli, e non dal desiderio di riconquistare risorse economicamente appetibili come le foreste. Villar Focchiardo non è una comunità di eguali. In questa piccola società, tutti si conoscono Çfaccia a facciaÈ e tutti sono in grado di riportare la pubbli-

(77) La casa dei signori, ancora nel 1307 indicata semplicemente come ÇdomusÈ (PROVANA, Notizie cit., II, p. 240 d. 86), nell’atto di vendita dai Baratonia ai Bertrandi del 1325 è descritta come Çdomum unam fortem cum thurreÈ (ib., p. 356 d. 47). Non compare, inoltre, tra le casefor- ti valsusine elencate in un documento del 1287 (E. e L. PATRIA, Castelli e fortezze cit., p. 14). (78) Borgone: Monte Benedetto 2, p. 131 d. 41; ib., p. 359 d. 118. Sant’Antonino: ib., p. 401 d. 135. Per l’assemblea del 1291, supra, n. 69.

(79) R. COMBA, Vicende demografiche in Piemonte nell’ultimo medioevo, in ÇBSBSÈ LXXV (1977), pp. 68-9, 77, 85, 118. 65 ca fama, la vox communis inter vicinos et notos, id quod omnes sciunt. Ma no- tai o contraenti degli atti si rivolgono, preferibilmente, a un ceto superiore di maggiorenti, boni homines o sapientes in senso proprio, i quali custodiscono la «memoria storica» della comunità, risalente anche di decine di anni. Per quanto empirico, è questo un primo indice che consente di individuare, all’in- terno della comunità, la fascia privilegiata delle persone più in vista, di cui fa parte, per esempio, quel Giacomo ÇBarlateriusÈ che mette in mostra una note- vole capacità rivendicativa e, non sappiamo con quanto fondamento, attribui- sce a una sua antenata la qualifica di domina (80). Allo stesso livello si colloca Aimone ÇCallieriusÈ (o ÇCalligariusÈ), di cui i documenti ci fanno conoscere, caso unico ed eccezionale, sostanzialmente tut- ta la famiglia: la moglie, ÇElaria (sic) CapellaÈ, e i due figli ÇUldrietusÈ e (no- me benaugurante) ÇDeusfecitÈ. La vendita di alcune pezze di terra e di prato gli frutta, nel 1213, la somma tutt’altro che disprezzabile, se messa a confron- to con le altre transazioni che avvengono nel villaggio, di 6 lire segusine. L’an- no prima, la vendita di terra arabile, castagneto e prato gli ha fruttato soltanto 30 soldi. In entrambi i casi, è intervenuto il dominus Palmerio di Reano, signo- re eminente delle terre. Due volte, nel 1213 e poi di nuovo nel 1229, i docu- menti vengono rogati nelle sue proprietà (nella vigna e nella «curte»), segno indubbio di un certo grado di distinzione sociale. La consuetudine col mondo signorile locale è confermata dai suoi interventi come testimone: nel 1208 per Palmerio di Reano, nel 1212 per i Borello di San Giorio, nel 1226, accompa- gnato dai due figli, accanto al visconte e a Guido di Giaglione (81). L’entourage signorile, e specialmente quello dei Baratonia e dei Reano nei primi decenni del secolo, è la palestra in cui si misurano le forze di quanti aspi- rano ad emergere per distinzione sociale. Nello stesso ambiente si forgiano le fortune, piccole o grandi, dei funzionari e degli agenti della signoria, gastaldi e villici incaricati dell’amministrazione della giustizia e del patrimonio. Spicca su tutti, sia per il numero delle citazioni che per la qualità delle relazioni, Pietro Mi- caila, che nel 1234, nel castello di Susa, riceve direttamente dal conte Amedeo IV l’investitura di terre situate lungo la Dora tra Sant’Antonino e San Giorio (82).

(80) Nel 1276, la sua memoria risale per oltre quarant’anni ed è, tra l’altro, l’unico dei testi- moni a ricordare come la donazione della montagna a Monte Benedetto fosse stata effettuata da Palmerio di Reano, Bosone Carbonello e domino Henrico vicecomite. Del personaggio ho trat- tato nel mio contributo citato alla n. 33. Per il documento, supra, n. 9. Dallo stesso documento sono riprese anche le citazioni letterali nel testo. (81) 1208: Monte Benedetto 1, p. 80 d. 56. 1212: ib., p. 93 e d. 68 e p. 97 d. 73. 1213: ib., p. 103 d. 78. 1226: p. 151 d. 121. 1229: ib., p. 160 d. 129.

(82) L. PATRIA, Consortie, confrarie, società di devozione: la religiosità dei laici nella Valle di Susa tardomedievale, in Spiritualità, culture e ambiente nelle Alpi occidentali, a cura di A. Salvatori, Stresa 1998, p. 76 n. 66 I cognomi individuali e familiari, che scendono ai livelli inferiori della so- cietà e iniziano a cristallizzarsi proprio in questo secolo, consentono di indivi- duare lo strato artigianale, non antitetico ma confluente con quello che circon- da i signori, e dal quale proviene lo stesso ÇCaligariusÈ (calzolaio) citato in precedenza. Particolarmente interessante il caso dei ÇForneriusÈ, Nicolao e Pietro (quest’ultimo originario di San Giorio, stando a un documento del 1228), anch’essi accreditati di buone frequentazioni: nel 1200 Nicolao è infat- ti, con pochi altri, ospite della domus di Palmerio di Reano. Il cognome si può infatti collegare a una ÇfornaceÈ che si trova proprio nella zona di ÇAlbareiaÈ, e alle tracce di questa lavorazione sopravvissute fino a oggi (83). Troviamo se- gnalazioni di famiglie di tornitori del legno (ÇTornatoresÈ), di fabbri (ÇFerre- riusÈ o anche ÇFaverÈ) e di mugnai (ÇMulineriusÈ): la bottega del fabbro e il mulino sono tra i luoghi più importanti della socialità comunitaria, i nodi del- l’opinione pubblica locale (84). A confermare il progresso dei traffici e degli scambi, anche se non trovia- mo nessun mercerius, nel 1201 compare Andrea di Lione, il testimone più ci- tato in assoluto, che gode certamente di rilevante prestigio e agisce in un am- bito perilocale (nel febbraio 1205, a distanza di pochi giorni, è prima nella ca- sa del visconte Enrico e poi nella domus templare di Susa; nel 1210 presenzia a un’investitura del conte Tommaso nel castello di Susa), e nel 1212 Pietro Çde Canaveisio», ma gli esempi si potrebbero moltiplicare. Nella seconda metà del secolo incontriamo il primo notaio di origine locale: Petrus Rastellus notarius de Villario Fulchardi (85). L’associazione comunale che da questa piccola società emerge è comunque contingente e precaria. Nata dall’esigenza di risolvere un problema, sembra, dai documenti, che in essa si esaurisca. Ne è riprova il fatto che le magistratu- re comunali sono soggette a rapida mutazione, e finiscono per cristallizzarsi nella meno duratura, la meno ÇpoliticaÈ: il sindacato, una rappresentanza di ti- po giuridico, vincolante e circoscritta. Insomma, se nel giugno del 1281 la co- munità è rappresentata da consoli, già dal mese successivo, e poi ancora nei

(83) 1200: Monte Benedetto 1, p. 47 d. 22. 1228: ib., p. 158 d. 127. Sulla fornace, ib., p. 158 d. 127, Fornace prope Albareia. Ancora in epoca recente fornaci da calce erano localizzate vici- no al confine con San Giorio, a Pianverso e al Malpasso, tra Banda e la Dora, mentre resti di Çantiche fornaci per la cottura della calceÈ si trovavano Çnei pressi della mulattiera, che da Ban- da conduce in Val GravioÈ (MARTOIA, Storia di Villar Focchiardo cit., I, p. 44 e Tav. XVIII a p. 195a; II, p. 460). (84) ÇFerreriusÈ: Monte Benedetto 1, p. 155 d. 125. Tornator e Tornatores: ib., p. 208 d. 172. Mulinerius: ib., p. 121 d. 92. (85) 1201: Monte Benedetto 1, p. 50 d. 24. 1205: ib., p. 67 d. 43; p. 69 d. 45. 1210: ib., p. 87 d. 63. 1212: ib., p. 98 d. 73. Il notaio è uno dei testi chiamati a deporre nel 1276 (supra, n. 9): ciò che contribuisce a certificare la sua origine locale. 67 pochi documenti che abbiamo del 1290-91 e del 1338, saranno nominati sol- tanto sindaci e procuratori, quasi che la comunità fosse restia, o incapace, di assumere una struttura più stabile. Non si andava al di là, insomma, dell’ab- bozzo di una fase di «spontanea sperimentazione istituzionale locale», né di- versamente andavano le cose, a quest’epoca, negli altri piccoli centri della val- le (86). Nonostante le contingenti alleanze, ancora troppo forte era il peso della si- gnoria. Vicini, bonihomines, parochiani... Gli uomini del villaggio erano ancora e soprattutto homines dei signori, né l’esperimento comunale era in grado di trasformarli in cives o burgenses, di svincolarli dal dominio signorile (87).

(86) Una rassegna analitica dei documenti riguardanti la controversia e l’organizzazione co- munale è offerta da PROVANA, Notizie cit., I, pp. 110-5. Per la citazione nel testo, SERGI, Potere e territorio cit., p. 205. (87) Va, tra l’altro, rilevato il fatto che, riferendosi ai membri dell’«universitas» e ai loro rap- presentanti, l’amministrazione sabauda usi regolarmente soltanto il termine homines. Così, per esempio, nel 1281, il precetto del castellano di Susa è rivolto ai signori del villaggio a nome lo- ro e degli hominum suorum de Vilario Fulchardo, e inoltre ai sindaci dell’universitatis hominum predicti loci (PROVANA, Notizie cit., I, p. 238 d. 82). 68 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 69-82

Mauro Minola Il trinceramento francese al Colle del Besso

Del trinceramento del Colle del Besso se ne è trattato diffusamente nel pre- cedente lavoro dedicato alle fortificazioni della Val Sangone (1). Occorre ritor- nare però sull’argomento perché, come avevo già anticipato nel n. 39 di Segu- sium, nell’agosto 2000 il manufatto è stato oggetto di uno specifico studio ma- teriale realizzato in collaborazione con il CAI di Giaveno. La sezione locale ha intrapreso ormai da diversi anni un’attività di studio del territorio montano della Valle del Sangone, sviluppando, con il concorso di parecchi soci volonta- ri esperti nelle differenti materie, studi sugli aspetti naturalistici ed antropici del territorio di Giaveno. Non poteva dunque mancare una particolare atten- zione anche a questa antica opera di difesa che sorge sulla cresta spartiacque tra le contigue valli del Sangone e del Chisone (1466 m). Grazie al determinante l’aiuto dei geometri Filippo Gillio, Giorgio Gillio, Ermanno Neirotti di Giaveno e di un motivato gruppo di soci che hanno aderi- to all’iniziativa (2), è stato possibile portare a termine un rilevamento topogra-

(1) M. MINOLA, Le fortificazioni della Val Sangone. Il Forte di S. Moritio. Il trinceramento al Colle del Besso, Segusium, 39, (2000). Il Colle del Besso (1466 m) si trova sullo spartiacque Sangone-Chisone tra il Monte Paletto (1668 m) e il Monte Cristetto (1612 m). Esso costituisce la via di comunicazione più breve tra il vallone del Romarolo nella Valle del Sangone e quello del Gran Dubbione nella Valle del Chisone (Pinasca); sul colle passa anche il confine tra i co- muni di Giaveno e di Pinasca. Per le numerose vie di accesso si veda E. FERRERI, Alpi Cozie Centrali, Club Alpino Italiano, Milano 1982, pag. 333. (2) Colgo l’occasione per ringraziare il dottor Livio Lussiana, presidente del CAI di Giave- no, i geometri Filippo Gillio, Giorgio Gillio, Ermanno Neirotti e gli amici Beppe Ronco, Vitto- rio Pane, Sandra Gianoglio, Stefano Lussiana, Italo Rolando, Livio Ughetto Budin, Giampiero Taberna che, con il loro prezioso contributo, hanno reso possibile la realizzazione del rileva- mento e del presente studio. 69 Il Colle del Besso, visto dalle pendici del Monte Cristetto: si scorge ancora abbastanza bene il trin- ceramento con i salienti triangolari rivolti verso la Val Sangone (punti 2-3-4 e punti 7-8-9 del rilievo topografico). 70 fico delle parti visibili dell’intero manufatto, qui riportato al completo nelle rappresentazioni elaborate graficamente. Analizziamo con attenzione le Tavole 1 ÇInquadramento territorialeÈ, 2 ÇSviluppo planimetricoÈ e 3 ÇProfilo longitudinaleÈ (3). Come si può vedere dalla Tavola 1 ÇInquadramento territorialeÈ, la linea magistrale dell’opera difensiva si estende per circa mezzo chilometro di lun- ghezza su buona parte della cresta spartiacque, tenendosi ad oriente rispetto all’asse longitudinale del valico, in modo da dominare il vallone sottostante e quindi le vie di accesso al colle dal lato Val Sangone. Si trova dunque, secondo il rilievo, interamente compreso nel territorio del Comune di Giaveno, il cui tracciato, secondo la mappa catastale, è determinato dalla linea denominata Cresta di Rocca Voloira. Questo elemento, insieme alla direzione dei salienti, il cui vertice è anche orientato verso est, ha permesso già da tempo di attribui- re la costruzione del trinceramento ai soldati francesi che nel periodo 1690-93, occupavano il lato orografico sinistro della Val Chisone e il vallone del Gran Dubbione. Spettava infatti a loro di difendere gli accessi alla valle del Dubbio- ne dalle provenienze da quella di Giaveno; le fonti archivistiche hanno confer- mato la paternità della realizzazione (4).

(3) Il rilievo topografico e l’elaborazione grafica delle tavole sono state eseguite dai geome- tri Filippo Gillio, Giorgio Gillio, Ermanno Neirotti di Giaveno, ai quali si rimanda per tutte le informazioni tecniche. La scala del rilievo è riferita all’originale, qui ridotto. (4) Riassumo, per brevità, le indicazioni archivistiche relative alla presenza di soldati france- si sul Colle del Besso nel periodo 1690-1693: un documento del 1693 attesta la presenza di truppe francesi di guardia al colle: «...l’on détache 400 hommes qui font la garde auprés de l’a- ba (Prà l’Abbà, Giaveno) sur le chemin de Javen a la montagne du Bess (Colle del Besso), et a colle de l’aso (Colle dell’Asino)È. Archivio di Stato di Torino (d’ora in poi AST), Corte, Mate- rie Militari, Imprese m. 4 n. 24/8, Dispositions des postes qu’occupent 28 battaillons qui sont aupres de Pignerol, 1693. Un secondo importante indizio sulla presenza di opere fortificate del- la zona ci viene fornito da una relazione informativa redatta nel luglio 1693 sulle strade tra la Marsaglia (Cumiana) e Pinerolo, su indicazioni di Jaque Mauret della Moncalarda di Cumiana. Dal documento possiamo accertare che vi erano fortificazioni (Garde retranchée) alla Siprina (Colle Sperina), al pras des l’abas (Prà l’Abbà), al col du bes, al col du muret (Colle Muretto) e al col de la jaune (Colle della Gianna). AST Corte, Materie militari, Imprese m. III n.17/7, Pro- getto fatto e nota delle strade che vi sono dalla Marsaglia per andar attaccare nelle montagne li nemici. La relazione del capitano piemontese Jean Baptiste Rouzier, alla voce Colle del Bes- so, dice: Ç...le sudit col... on peut retrancher, l’aiant deja été par le français le guerres que com- mencement de ce siecleÈ. AST, Corte, Carte topografiche dell’Archivio Segreto, 7 F I Rosso, Description des passages qui se trouvent dans les Alpes qui separent le Piemont de la France... par Jean Baptiste Rouzier, 1749, pag. 278. L’unica traccia iconografica che rappresenta il trin- ceramento è in un disegno al tratto del luglio 1693, che rappresenta la zona di Pinerolo e i mon- ti circostanti. Il Colle del Besso, indicato dal toponimo Coll del Bes, appare sbarrato da una pic- cola traversa di forma rettangolare, una barricata che segnala le opere di difesa campali elevate per controllare il colle e le sue immediate vicinanze. AST, Corte, Imprese militari, m. 4, 24/8, Disegno di Pinerolo e contorni. Il disegno è riportato in M. MINOLA, Le fortificazioni della Val Sangone. Il Forte di S. Moritio. Il trinceramento al Colle del Besso, Segusium, 39, (2000). 71 Tavola 1, Il trinceramento del Colle del Besso, Inquadramento territoriale sulla mappa catastale (geom. Filippo Gillio, Giorgio Gillio, Ermanno Neirotti, Giaveno). 72 Tavola 2, Il trinceramento del Colle del Besso, Sviluppo Planimetrico (geom. Filippo Gillio, Giorgio Gillio, Ermanno Neirotti, Giaveno). 73 Tavola 3, Il trinceramento del Colle del Besso, Profilo longitudinale (geom. Filippo Gillio, Giorgio Gillio, Ermanno Neirotti, Giaveno). 74 Il trinceramento sbarra, nell’ultimo tratto rivolto verso sud, la strada del Colle del Besso, un’ottima mulattiera, molto frequentata dai valligiani di en- trambi i versanti. La mappa catastale indica anche l’importante sorgente Fon- tana Cuminet che nasce sul versante orientale del Monte Cristetto, dando ori- gine ad un piccolo rio che conserva la stessa denominazione. Fino a non molto tempo fa, alcune decine di metri sotto il valico si trovava un’altra sorgente, ora disseccata. La presenza di diverse fonti d’acqua ha senza dubbio favorito la permanenza stabile dei presidi militari a guardia del valico. L’opera difensiva è costituita da un parapetto in terra battuta alto in media un metro e 40 centimetri, con scarpe moderatamente inclinate, ricoperte da una cotica erbosa che nel periodo estivo raggiunge un’elevata crescita e diffu- sione, mascherando i movimenti del terreno e rendendo anche difficile l’indi- viduazione di alcuni tratti (5). Tuttavia non vi è alcuna difficoltà a riconoscere il tracciato dell’opera se si lascia il piano del colle per guadagnare un poco di quota salendo sulle pendici del Monte Cristetto a sud o su quelle del Monte Paletto a nord. A differenza di altri apprestamenti difensivi che possiamo ancora oggi scorgere nelle zone al- pine, come per esempio i trinceramenti elevati al Colle dell’Assietta nella Val- le della Dora, quello del Besso è realizzato in terra battuta, elemento che lo as- simila alle fortificazioni campali tipiche del XVII secolo. Senza andare troppo lontano, un esempio simile lo possiamo ritrovare nel campo trincerato che oc- cupa l’intera estensione del Colle Lazzarà (Pramollo, Val Chisone), realizzato nel 1704 dai Francesi del Duca de La Feuillade. Sono entrambe fortificazioni di tipo campale, provvisorio, elevate al mo- mento del bisogno dai soldati che controllavano un particolare punto; tuttavia, a differenza del campo trincerato, che serviva per alloggiare le truppe nell’at- tesa di un assedio o per trascorrere la cattiva stagione in una posizione sicura dagli attacchi avversari, il trinceramento del Besso può essere attribuito alla ti- pologia dei trinceramenti difensivi di frontiera, perché realizzato proprio al fi- ne di sbarrare il passaggio sulla linea di demarcazione tra due sovranità diffe- renti (6).

(5) Il trinceramento poteva essere realizzato con terra, pietrame od entrambi i materiali. Il ri- vestimento più semplice, ed anche quello più antico, era attuato con semplici zolle erbose (le teppe o le piote) tagliate a colpi di zappa da una superficie pascoliva in forma rettangolare: le zolle venivano disposte sulle scarpe del terrapieno per filari orizzontali con l’erba all’ingiù, le une accanto alle altre, alternate per lungo e per largo, in modo che il corpo di ogni zolla del fila- re superiore cadesse sull’unione di due sovrapposte, come i mattoni nelle murature; si faceva inoltre in modo che l’ultimo strato risultasse erboso. L’erba, crescendo, ricopriva la struttura e dava maggior solidità al terrapieno. (6) Il trinceramento era costituito da un parapetto protettivo che si elevava sul terreno, pre- ceduto anteriormente dal fosso ostacolo. Le condizioni generali alle quali un trinceramento do- veva rispondere per ritenersi efficace variavano in funzione di molti elementi: importanza fon- 75 * * *

Osservando immagini fotografiche riprese negli anni passati, dove si vede benissimo il rilievo del trinceramento, e confrontandole con le riprese attuali, si può constatare come la traccia dell’opera diventi sempre più labile: ciò è do- vuto in prevalenza ai fenomeni erosivi indotti dagli agenti atmosferici, in par- ticolare all’azione dell’acqua piovana e della neve che ricopre per buona parte dell’inverno il sito. Una parte rilevante è anche dovuta all’azione dei movi- menti franosi che provocano un lento scivolamento verso valle del pendìo orientale del valico. Tuttavia il danno peggiore è senza dubbio attribuibile alla diffusa pratica motociclistica che vede il colle meta abituale di diversi patiti delle due ruote in montagna, anche grazie alla semplicità delle vie di accesso garantite da una viabilità minore tra il Cristetto e il Colle Ceresera. I veicoli motorizzati che scorazzano in piena libertà sul colle e nelle immediate adiacenze hanno aperto una vistosa traccia sui declivi retrostanti il trinceramento, risparmiando di massima, almeno per ora, i terrapieni del manufatto. Occorrerà comunque quanto prima intervenire con un’opera di sensibilizzazione presso le autorità competenti per far cessare o limitare al massimo il diffondersi di tale pratica, che appare per lo meno sconsiderata in una zona di così elevato interesse stori- co-archeologico; soprattutto prendendo in considerazione il fatto che non sono damentale avevano la posizione nella località prescelta, il profilo, la costituzione materiale e lo sviluppo del tracciato sul terreno. Relativamente alla posizione, occorreva badare che l’opera fosse collocata in una zona sicura, non dominata da alture vicine o da punti che potessero forni- re un appoggio al nemico in avanzata. In territorio alpino era ben difficile poter soddisfare que- sta richiesta, in particolare non si poteva evitare di costruire in presenza di alture dominanti: in questo caso era indispensabile occupare le posizioni pericolose con piccoli fortini di protezione (ridotte) da cui si potesse fiancheggiare il sito dell’opera sottostante. Visto in sezione il trincera- mento era costituito dal parapetto (o massa coprente) e dal fosso anteriore. Il parapetto aveva la funzione di consentire ai tiratori appostati dietro di esso di far fuoco con comodità, offrendo al soldato l’opportunità di adoperare l’arma individuale nella maniera più adatta, scorgendo bene il terreno vicino antistante. Allo stesso tempo permetteva alle truppe di ripararsi in una posizio- ne sicura, defilata alla vista e al tiro dell’avversario. Sul lato interno il parapetto disponeva di una banchina (o banchetta), una sorta di gradino in terra largo tra 50 e 80 centimetri, sul quale salivano i difensori per tirare contro gli attaccanti o per osservare il territorio circostante. Ai pie- di del parapetto interno veniva quasi sempre ricavato un piccolo fosso, denominato fosso rico- vero, che aveva la funzione di mantenere al sicuro le truppe che si trovavano in posizione d’at- tesa. Sul lato esterno il parapetto scendeva con pendenza costante attraverso lo spiovente e la scarpa verso il fosso: a circa metà o al piede della scarpa il pendìo era interrotto da un breve tratto rettilineo, la risega o berma: tale accorgimento serviva per trattenere in parte le terre del trinceramento che, smosse dall’effetto dei colpi in arrivo, franavano verso il fosso. Per una de- scrizione delle tipologie di opere campali del XVII-XVIII secolo si veda M. MINOLA - B. RON- CO, Fortificazioni nell’arco alpino. L’evoluzione delle opere difensive tra XVIII e XX secolo, Priuli e Verlucca, Quaderni di cultura alpina, Ivrea 1998, pagg. 43-44. 76 27 agosto 2000: la stazione di rilievo celerimetrico al Colle del Besso. Sullo sfondo si vede il Mon- te Paletto (1668 m). molte le fortificazioni campali del XVII secolo giunte fino a noi praticamente intatte. Spetterà alla sezione del CAI di Giaveno promuovere questa azione di tutela del patrimonio storico della valle; a tal fine anche la fattiva collabora- zione a portare avanti questo studio dimostra la volontà di conservare la trac- cia della memoria storica, prima che sia troppo tardi.

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Esaminiamo la Tavola 2 relativa allo sviluppo planimetrico: il trinceramen- to ha origine a nord dalle dirupate pendici rocciose del Monte Paletto, la Cre- sta di Roccia Palet della mappa catastale: in questo tratto il tracciato non è materialmente ben definito, in quanto l’elevata pendenza del rilievo roccioso e l’azione dei fenomeni naturali, hanno accelerato l’erosione del tratto iniziale. È tuttavia possibile distinguere l’accenno di un saliente con il vertice rivolto verso oriente (punti 21-20-19-18); tale elemento potrebbe però far parte di un’ulteriore opera difensiva superiore, una ridotta, posta al termine della linea in funzione di caposaldo di appoggio. Essa si rileva con difficoltà sul terreno, 77 ma l’osservazione delle riprese fotografiche lascia pensare ad una struttura ret- tangolare, simile a quella collocata sull’opposto versante. Dal punto 18 al punto 1 la magistrale ha un andamento pressoché rettilineo, seguendo di massima la direzione della cresta. Tale tracciato è mantenuto an- che nel successivo tratto (punti 1-11), con l’interruzione di due tipici salienti triangolari (punti 2-3-4 e punti 7-8-9), realizzati, come del resto l’intera opera, sul terreno in pendenza (7). I salienti, dalla caratteristica forma a punta di frec- cia, hanno il vertice rivolto verso la Val Sangone. Dal tracciato principale si diramano due traverse (8) rettilinee, di aspetto mas- siccio, che coprono tutto lo spazio fra un margine e l’altro della cresta spartiac- que, con andamento est-ovest. La prima, tra i punti 5 e 6, sorge circa a metà del tratto tra i due salienti; la seconda, non evidenziata sul rilievo, si origina dal pun- to 7 ed ha lo stesso orientamento est-ovest della precedente. Tra le traverse, sul retro del trinceramento, il terreno si presenta assai movimentato, con fosse, tagli regolari, buche circolari e quadrate, della cui origine si possono al momento fare solo delle ipotesi. Non è da escludere che possano essere i resti di un attenda- mento dei soldati che stazionavano sul valico alla difesa del passaggio. Nel punto 11 il trinceramento incrocia la mulattiera del Colle del Besso, corrispondente all’intaglio del valico (punti 10-11). Pare però poco probabile che l’antica strada giungesse in questo punto: osservando con attenzione la zo- na è possibile notare che esiste una traccia di mulattiera, probabilmente quella originaria, che guadagna il colle un poco più a nord del punto 5. Qui è possibi- le scorgere, nelle foto scattate dall’alto, un piccolo terrapieno a forma di mez- zaluna che può essere con ogni probabilità attribuito ad un rivellino che difen- deva l’accesso al trinceramento. Non è d’altro canto da escludere che il trac- ciato del sentiero, che attraversava l’intaglio più basso del valico, fosse stato deviato di proposito dai genieri che elevarono l’opera, al fine di farlo passare nel punto più favorevole per la difesa. Tale ipotesi spiegherebbe anche la pre- senza della massiccia traversa che si origina proprio dallo stesso punto (punti 5-6) e il taglio netto che la linea del trinceramento presenta in questo tratto.

(7) Nel realizzare un trinceramento particolare cura era riservata alle caratteristiche del trac- ciato generale: un buon tracciato doveva adattarsi con facilità al terreno, essere semplice e di fa- cile costruzione, ma soprattutto doveva disporsi sempre con la faccia principale verso la proba- bile direzione di arrivo dell’avversario e non essere esposto al tiro d’infilata. Se per la difesa dai tiri frontali e da quelli obliqui provvedeva la massa coprente del parapetto, per contrastare l’a- zione di quelli d’infilata e di rovescio, si diede grande spazio al tracciato poligonale a salienti e rientranti, che consentiva ai fucilieri appostati nelle pieghe del trinceramento di sparare di fian- co, coprendo tutti gli spazi esistenti davanti all’opera, anche quelli meno esposti, nei quali l’av- versario avrebbe potuto trovare un temporaneo riparo. Cfr. M. MINOLA - B. RONCO, Fortifica- zioni nell’arco alpino. L’evoluzione delle opere difensive tra XVIII e XX secolo, pag. 45. (8) Le traverse, costituite da terrapieni disposti perpendicolarmente al parapetto, alti e spessi come questo, con le scarpe inclinate a 45¡, erano impiegate contro il fuoco d’infilata. 78 Sopra: la ridotta del Monte Muretto in una immagine ripresa dall’alto (Foto G. Taberna). Sotto: una veduta aerea della ridotta di Monte Muretto (Foto CAI, Giaveno).

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Sul versante del Cristetto, dopo aver disegnato il profilo di un altro saliente (punti 11-12-13), il trinceramento si appoggia ad una ridotta di pianta rettan- golare, molto evidente e ben marcata (punti 14-15-16-17). Tale opera è stata identificata, nella tradizione locale, col suggestivo nome di Cimitero dei Fran- cesi, probabile riferimento ai soldati che la leggenda vuole caduti nell’estate del 1693, nel corso degli scontri con le truppe sabaude impegnate nel condurre l’assedio alla cittadella di Pinerolo. In realtà, come si è potuto constatare an- che in altre situazioni (9) il toponimo nasconde la presenza di una ridotta forti- ficata che, per la sua forma abbastanza regolare, può essere confusa con lo scavo di una fossa in grado di accogliere i corpi dei caduti. La presenza di una ridotta in questo punto è d’altronde normale, in quanto ad essa spettava di di- fendere il trinceramento da una posizione elevata che avrebbe potuto essere occupata dal nemico, con grave danno per i difensori attestati su tutta la lun- ghezza del tracciato. Ancora oggi, da qui è possibile scorgere l’intero sviluppo del trinceramento e dominarlo in tutta la sua estensione col tiro d’infilata. Le ridotte avevano infatti il duplice scopo di impedire che il nemico si avvalesse di posizioni pericolose da cui avrebbe battuto i capisaldi dei difensori e di con- correre al fiancheggiamento del tracciato dell’opera con un’azione portata sul fianco dell’eventuale attaccante. Erano piccoli fortini chiusi da ogni lato, che venivano occupati da un numero limitato di uomini. La loro forma si adattava al terreno sul quale sorgevano: spesso era quadrata, rettangolare o a stella, con l’inserimento di elementi derivati dal tracciato bastionato (lunette, mezzelune, tenaglie, opere a corno ecc.) (10). Facendo riferimento al toponimo esistente, non si può del tutto escludere che l’interno della ridotta sia servito anche a dare sepoltura ai cadaveri dei ca- duti. Non esistono peraltro elementi sufficienti per stabilire o meno se vi furo- no effettivamente scontri tra Francesi e Piemontesi sul colle, nel corso delle

(9) Giorgio Ponzio, nelle sue ricerche sul Campo trincerato del Duca de La Feuillade al Colle Lazzarà (Pramollo, Val Chisone) ha identificato, dove la tradizione locale indicava un an- tico cimitero di soldati, la presenza di una ridotta che era stata realizzata di fronte alla linea di- fensiva principale, lungo il pendìo rivolto verso la valle di Pramollo. Cfr. G. PONZIO, Il Campo trincerato del Duca de La Feuillade, Intervento presentato al Convegno al Forte di Exilles, no- vembre 2000, atti in corso di pubblicazione. Colgo qui l’occasione per ringraziare nuovamente Giorgio Ponzio per i suoi preziosi consigli e l’aiuto gentilmente prestato alle ricerche. (10) Relativamente al profilo e ai materiali da costruzione le ridotte si mostravano del tutto simili ai trinceramenti, mentre la loro estensione era determinata in funzione della forza chia- mata a presidiarle. Le ridotte non venivano mai posizionate a caso lungo il tracciato della linea di fuoco: poiché la gittata utile delle armi portatili raggiungeva a malapena i 300 metri, i capi- saldi, per fiancheggiarsi in maniera efficace, non dovevano mai superare tale distanza l’uno dal- l’altro. 80 operazioni di assedio contro Pinerolo (1693). Le fonti di archivio confermano la preparazione e l’avvio della manovra alleata diretta ad attaccare le truppe francesi attestate sulle montagne tra il Prà l’Abbà, la cascina del Coc di Taluc- co e il Colle del Besso, ma tacciono sulla portata degli scontri armati tra i due avversari. Vi è da ritenere che, con tutta probabilità, i soldati del Catinat a guardia delle opere del Colle del Besso si siano prontamente ritirati fra i più si- curi bastioni di Pinerolo. Per ora quindi, in mancanza di dati certi, non si può affermare nulla al pro- posito. Nel sito si possono solo vedere le tracce di piccoli scavi di saggio che, secondo le ricorrenti voci locali, sarebbero stati fatti dai cercatori di tesori. Un’antica tradizione racconta infatti che nella zona si cela un fantomatico te- soro di monete d’oro nascosto da un disertore francese: non sono pochi, sia a Giaveno che a Gran Dubbione, coloro che ritengono che esso esista realmente e che sia sepolto nel perimetro della ridotta detta Cimitero dei Francesi o nel- l’area compresa tra il Colle del Besso e il Monte Cristetto. E sono in parecchi a cercarlo: da alcuni abitanti del luogo è stato possibile sapere che nel passato, in modo del tutto casuale, sono state ritrovate dai pastori alcune palle di fucile ed antiche monete, forse francesi, nonché altri oggetti non meglio identificati, tutti però riferibili ad una costante frequentazione dell’area. Secondo alcune fonti orali raccolte in loco, sul sentiero che unisce il Colle del Besso al vicino Colle Ceresera sarebbero stati rinvenuti i resti di un’antica pistola del XVII- XVIII secolo. Il materiale ritrovato risulta però disperso. L’esistenza di tali re- perti, se fosse confermata da adeguati saggi ricerca archeologica condotti da personale qualificato, renderebbe ancora più attendibile la paternità del trince- ramento, già peraltro attestata dai non pochi dati di archivio. Dopo la ridotta, il tracciato pare scomparire: in realtà, da un esame somma- rio compiuto sul terreno, si può rilevare la presenza di un tracciato costituito da una serie di pietre squadrate posate orizzontalmente sul terreno, con un an- damento a salienti e rientranti tipico dell’opera fortificata. Questa parte del manufatto non è stata però rilevata topograficamente e sarà oggetto di succes- sive indagini. Come del resto si auspica che sia possibile in futuro svolgere, con personale specializzato, anche un’indagine archeologica sul sito, per poter approfondire le nostre conoscenze sulla permanenza di presidi militari sul va- lico.

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Se il trinceramento del Besso, per i suoi evidenti e conosciuti resti, risulta di gran lunga l’opera più interessante della zona, non bisogna dimenticare che nelle vicinanze sono presenti anche altre tracce fortificate. Di queste, una in particolare risulta molto interessante. Si tratta di un’opera difensiva situata sulla vetta del Monte Muretto, a nord del Colle del Besso. 81 Le foto scattate da un pilota di un veicolo ultraleggero hanno permesso di individuare una struttura a pianta triangolare, con terrapieni di notevole spes- sore, la cui forma è con buona probabilità attribuibile alla tipologia della ridot- ta isolata di altura. Al centro di uno dei lati della ridotta è visibile un grande masso che è stato scelto come caposaldo topografico e punto di riferimento per determinare la quota topografica del Monte Muretto (1707 m). Il saliente principale della piccola opera è rivolto verso la pietraia che si affaccia sul co- stone del Monte Brunello, lato Val Sangone (11). L’esistenza di tale ridotta è confermata da un documento del XVII secolo riguardante le strade tra Pinero- lo e Giaveno (12). La presenza di questa opera fortificata è ovviamente da met- tere in relazione con l’apparato difensivo del Colle del Besso, vicino, ma ad una quota notevolmente più bassa. Il Monte Muretto, facilmente raggiungibile dal versante della Val Sangone, risulta invece molto più ripido sul versante op- posto. Da questo lato, il sentiero che unisce ancora oggi i due valichi passando sul versante del vallone del Gran Dubbione è chiamato sentiero militare. Esso permetteva un rapido collegamento tra le fortificazioni del Besso e le ridotte di sorveglianza, quella che abbiamo individuato sul Monte Muretto e quella che sorgeva sul Colle o sulla Punta della Gianna, di cui, almeno per ora, non si hanno riscontri sul terreno. Senza ombra di dubbio il campo di ricerca è ancora aperto e può riservare nel prossimo futuro altre interessanti segnalazioni.

(11) Il Monte Muretto (1707 m) Ð si noti la caratteristica denominazione che molti, in zona, attribuiscono alla presenza di antichi muretti – è collegato da una facile cresta erbosa col Monte Paletto, denominato dai montanari Rocca o Roccia Palet (cioè «rocca piastrella»), un caratteri- stico lastrone di roccia sporgente verso sud dalla cresta che forma lo spartiacque tra i valloni del Romarolo e del Tauneri (Val Sangone). Per le vie di accesso si veda E. FERRERI, Alpi Cozie Cen- trali, Club Alpino Italiano, Milano 1982, pag. 332. (12) ÇAu col du muret, [Colle del Muretto] et de la jaune [Colle della Gianna], éloignés l’un et l’autre d’un quart de mil, a ces deux derniers les Ennemis ont des gardes retranchésÈ. AST, Corte, Materie militari, Imprese m. III n.17/7, Progetto fatto e nota delle strade che vi sono dal- la Marsaglia per andar attaccare nelle montagne li nemici. 82 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 83-102

Bruno Signorelli Interventi edili al campanile di S. Giusto a Susa (1772-1773)

Nel corso di una ricerca condotta presso l’Archivio di Stato di Torino, Se- zione di Corte, ho esaminato alcuni documenti relativi ad interventi conserva- tivi per il campanile e il tetto della Cattedrale di San Giusto di Susa e di ri- strutturazione degli edifici della residenza vescovile e del Seminario di quella città (1). Sulla storia del complesso della Cattedrale di San Giusto e degli edifi- ci contigui esistono il testo del Genin (2) e gli studi di mons. Savi (3) e di don Bartolomasi oltre all’utilissimo volume con l’inventario delle carte dell’Archi- vio Storico Capitolare e di quelle dell’Archivio Vescovile edito da ÇSegu- siumÈ (4). Dalla documentazione reperita, in particolare dalla ÇSottomissione del ca- po mastro piccapietra Carlo Antonio GiudiceÈ (5) e dalla lettera scritta (6) dal-

(1) Cfr. AS TO, Corte, Materie Ecclesiastiche, Materie Ecclesiastiche per Categorie, Regio Economato Regio Apostolico, mazzo 2 (da ordinare) e AS TO, Corte, Vescovadi, Susa, m. 2.

(2) Cfr. G. GENIN, Susa e Moncenisio, Torino 1909.

(3) Cfr. S. SAVI, La Cattedrale di San Giusto e le chiese romaniche della Diocesi di Susa, Pi- nerolo 1992. Si veda anche di N. BARTOLOMASI, La cattedrale di San Giusto in Susa in C. BER- TOLOTTO e G. AMPRIMO (a cura di), Il tesoro della Cattedrale di San Giusto, Torino 1998. (4) Archivio Storico Capitolare di San Giusto di Susa, (1029-1962); Archivio Storico Vesco- vile di Susa (128-1940), a cura di L. GATTO MONTICONE, presentazione di N. BARTOLOMASI, Ed. ÇSegusiumÈ, Susa 1996. (5) Cfr. Appendice I, Documento n. 1. AS TO, Riunite, Intendenza di Susa, Sottomissioni al- le Regie Aziende, mazzo n. 140, anno 1758-1773, cc. 215-219. 83 l’Economo Generale abate Crotti di Costigliole (7) risulta che si doveva sotto- murare Çun Campanile si antico, ed allora tanto pericolante [...] per essersi ri- trovati i muri del Campanile di peggior qualità, che non era apparita» (8). Le note che seguono hanno lo scopo di chiarire come avvenne l’intervento di restauro, chi lo effettuò, e anche di fornire alcune informazioni su architetti, mi- suratori e piccapietra operosi in Susa. Questo studio è stato diviso in due parti, la prima riguarda gli interventi, per cui non esiste una documentazione grafica, re- lativi alla Cattedrale, la seconda è riferita agli interventi per la formazione della residenza vescovile e il Seminario, in essa verranno prodotti alcuni disegni che necessitano di uno spazio adeguato per la loro rappresentazione fotografica.

ÇTestimoniali di sottomissione del Capo Mastro picapietra Carlo Antonio Giudice del luogo di Saltri stato di Milano per la provvisione delle pietre da taglio ed altre necessarie per la ripara- zione da farsi attorno il campanile di St. Giusto, e palazzo Abbaziale in SusaÈ. (6) Cfr. Ibidem, Documento n. 4. (7) Giuseppe Antonio Crotti fu Economo Generale dei Benefici Vacanti. In questo ruolo eb- be una parte fondamentale nella gestione iniziale e successiva amministrazione del patrimonio già della Compagnia di Gesù, dopo la soppressione di quest’ultima avvenuta a seguito del breve Dominus ac Redemptor emanato da Clemente XIV del 19 luglio 1773. Operò sovente con picci- neria, grettezza d’animo e mentalità estremamente burocratica, anche se giustizia vuole che per Susa fu attento alle richieste del Prevosto della Cattedrale per i parrocchiani poveri assistiti da quest’ultimo. Scriveva infatti il 12 gennaio 1773 (cfr. AS TO, Corte, Materie Ecclesiastiche, Materie Ecclesiastiche per Categorie, Cat. XXXII, Economato Regio Apostolico, m. 2 (da ordi- nare): «Il Prevosto della Cattedrale di Susa chiede altresì qualche sovvenimento per i suoi pove- ri Parrocchiani, ed è conosciuto per un Pastore che dà con discernimento quanto può dare alle sue pecorelle. Nella Cassa dell’Economato de’ redditi di quel vacante Vescovato non si trova veramente alcun fondo, anzi vi è il debito delle lire 2.000 fattegli imprestare sul fondo dell’Aba- zia di Casanova, e non sono ancora compite le riparazioni di quel Campanile, con tutto ciò, sti- merebbe il Rappresentante, che, quando si provveda in altra maniera, potrebbesi somministrare al detto Prevosto, da valersene in soccorso de’ suoi poveri Parrocchiani, la somma di lire 500, da rimpiazzarsi co’ frutti vacanti del Vescovato, che matureranno per tutto il prossimo mese di Marzo; giacché presso la Chiesa la causa de’ poveri prevale alle altre e non si farebbe , se non una parte di quanto dovrebbe fare il Vescovo, se vi fosseÈ. Il Crotti venne sollevato improvvisa- mente dall’incarico nel 1776, parrebbe a seguito di malversazioni effettuate da economi a lui sottoposti. Sull’opera del Regio Economato cfr. di C. LAURORA e M.P. NICCOLI, Il patrimonio immobiliare ed agricolo ex-gesuitico nelle carte dell’Insinuazione in B. SIGNORELLI e P. USCEL- LO (a cura di), La Compagnia di Gesù nella Provincia di Torino dagli anni di Emanuele Filiber- to a quelli di Carlo Alberto, Torino 1998. (8) In AS TO, Riunite, Intendenza di Susa, Sottomissioni alle Regie Aziende, mazzo n. 140, cit. si legge che avendo il re Carlo Emanuele III fatto procedere, a mezzo del Misuratore Gene- rale Ravelli, alla ricognizione «delle riparazioni necessarie farsi attorno le fabbriche dell’Abazia di San Giusto di questa città, e fra le altre, sendosi ritrovata quella del campanile minacciante prossima rovina, la medesima Maestà Sacra abbia ordinata di quella fare eseguire». Senza per- dita di tempo, come appariva dalla lettera dell’Intendente Botton del primo Febbraio 1772 si era proceduto a puntellare provvisoriamente il campanile per poi effettuare le riparazioni nella pros- sima primavera. 84 L’imponente campanile di San Giusto a Susa. Eretto poco do- po l’anno 1000, supera i 50 m di altezza, e sorge accanto alla Cattedrale. In questa immagine si vede chiaramente la base della costruzione quadrangola- re (m 11,20) che fu oggetto del- la «sottomurazione» perché il «Campanile sì antico» era «al- lora tanto pericolanteÈ e Çmi- nacciante prossima rovinaÈ, non solo, ma nel corso dei lavo- ri (1772-1773) vennero Çritro- vati i muri del Campanile di peggior qualità». Sul campanile vi è una meridiana recentemen- te restaurata. Monsignor Savi ha scritto che «è reputato da molti il più bel campanile roma- nico – o uno dei più belli – del Piemonte...È. 85 La vicenda si svolse negli anni iniziali della diocesi di Susa (9), che come è noto venne creata nel 1772; essa era al momento nullius e quindi amministrata dall’Economato Regio dei Benefici Vacanti, a capo della quale era il citato l’a- bate Crotti di Costigliole.

Il restauro della base del campanile di San Giusto Scrivendo del campanile di San Giusto il Savi (10) segnalava che esso ha una base «rinforzata verso la fine del ’700 da uno zoccolo a scarpa di grossi conci in pietra che nasconde i primi due pianiÈ e aggiungeva in nota che il Ge- nin ne attribuiva l’iniziativa al primo vescovo di Susa mons. Ferraris di Geno- la. Sempre il Savi indicava che sulla base Sud del manufatto si leggeva, come segnalatogli da don A. Bettoni la data incisa 1773. Le informazioni, che ci chiariscono la vicenda e confermano l’esattezza della data sopracitata, si trovano inserite, come accade molte volte, in una pra- tica di tipo economico: il contratto passato fra l’Intendenza di Susa e il picca- pietre Giudice e la richiesta del ÇpiccapietreÈ Carlo Antonio Giudice di essere indennizzato per lavori eseguiti in misura superiore rispetto a quanto gli era stato inizialmente richiesto. Carlo Antonio Giudice è una figura di secondo piano nel panorama dei lu- ganesi che lavoravano la pietra. Non risulta segnalato né dal Vesme (11), né dal

(9) L’intenzione di creare un vescovado in Susa era precedente al 1772. Cfr. in AS. TO, Cor- te, Provincia di Susa, m. 2, n. 15, un documento intitolato ÇMemoria istorica con cui si combat- te l’opinione del Pingone, che anticamente vi fosse un vescovado a Susa, - Indi si propone l’uti- lità, ed i mezzi per eriggere un vescovado nella suddetta Città di Susa». Questo documento non ha data, ma risulta inserito nell’inventario dopo il 1685 e prima del 1722. In AS TO, Corte, Vescovadi, Susa, m. 2, esistono inoltre una serie di documenti relativi alla costituzione della diocesi di Susa: «n. 1, 1772 22 Maggio, Decreto concistoriale per le alienazioni a farsi d’alcuni fondi del- l’Abazia di S. Giusto di Susa da eriggersi in Vescovado. Altro delli 27 luglio dello stesso anno per la spedizione delle Bolle d’erezione della sudetta Abazia in Vescovado, e di quella Collegiata in Cattedrale n. 2, 1772 4 agosto, Bolla di Papa Clemente XIIII d’erezione dell’Abazia di S. Giusto di Su- sa in Vescovado, e di quella Collegiata sotto il titolo di S.ta Maria, e de SS. Giusto e Mauro in Cattedrale. n. 3, 1772 2 7mbre, Processo fulminante per l’esecuzione della Bolla d’erezione del Vesco- vado di Susa delli 3 nonas agosto di detto anno ivi tenorizzataÈ. In AS TO, Corte, Vescovi di Susa, (mazzo da ordinare) esiste l’originale della bolla di ere- zione del Vescovado di Susa datata 3 agosto 1772.

(10) Cfr. SAVI, op. cit. pag. 89 e nota 2. (11) Cfr. Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, Torino 1966, II vol. Alla pag. 535 sono citati due membri di questa famiglia, Franco Maria e Giovanni Angelo, operosi all’inizio del secolo XVIII. 86 Debiaggi (12), che si è occupato dell’attività di diversi membri della famiglia Giudice; è stato invece citato da Gualano (13). Il 23 dicembre 1772 il Giudice indirizzò una supplica (14) al re Carlo Emanuele III dove riassunse la vicenda iniziata il 23 gennaio con la stipulazione della citata sottomissione, ed eviden- ziò che egli avrebbe dovuto aumentare i quantitativi di pietra fornita senza in- dennizzo, previo avviso del direttore dei lavori, il regio misuratore generale Giovanni Battista Ravelli (15). Quest’ultimo aveva ordinato al «piccapietre» di provvedere del materiale di rivestimento, da adoperare solo per il campanile, per l’altezza di un trabuc- co e mezzo (m. 4,5) «fuori delle fondamenta e per l’estensione dell’intera mu- raglia di facciata e della metà di quelle laterali». Il controllo dei lavori avven- ne quando era cessato l’obbligo del Giudice, il Ravelli prescrisse la copertura delle muraglie laterali per tutto il loro sviluppo, non solo ma per tutti i lati e per un trabucco e mezzo in più rispetto a quanto pattuito. Questa richiesta ave- va causato difficoltà finanziarie al Giudice perché aveva dovuto assumere altri bovari per trasportare le pietre ed effettuare una spesa doppia rispetto a quanto

(12) Cfr. C. DEBIAGGI, La balaustra di Filippo Juvarra per la chiesa di San Cristoforo a Ver- celli in Bollettino S.P.A.B.A, (n.s.), n. 46, 1994, ad indicem.

(13) Cfr. F. GUALANO, Un ancona lignea di Ignazio Perucca in Valle di Susa e altre diverse opere dalle fortificazioni alpine, in Bollettino S.P.A.B.A: (n.s.), n. 49, 1997, p. 166. Carlo Anto- nio Giudice risulta l’esecutore dell’altare della cappella del forte di S. Maria della Brunetta (1774), eseguito con Andrea Rossi. Gualano nello stesso testo cita a p. 163 l’opera del piccapie- tre Bernardino Giudice per lavori al forte di Demonte. Altri interventi per il 1772-73 sono indi- cati in AS TO, Riunite, Art. 183, Conto Tesoreria Fabbriche e Fortificazioni: provvista zoccoli marmo bianco per il Giardino Reale nel 1772; Giudice è segnalato quale “piccapietre” operoso nel laboratorio degli scultori fratelli Collino e “per l’escavazione e condotta da Bussolino nel Regio Magazino di questa Città di Marmi Verdi”. Risulta inoltre che il Giudice aveva residenza a Foresto, probabilmente per l’estrazione dei noti marmi di quella cava. (14) Cfr. Appendice, Documento n. 2.

(15) Per questo architetto cfr. C. BRAYDA, L. COLI, D. SESIA, Ingegneri e architetti del Sei e Settecento in Piemonte, p. 59 dove viene indicato quale architetto, misuratore ed estimatore, au- tore di lavori a Torino, al palazzo Reale, a quello dell’Arcivescovado, alla Cavallerizza del duca del Chiablese, alle tombe dei Reali a Superga, a Grugliasco alla parrocchiale dei SS. Ippolito e Cassiano e alla Confraternita di Santa Croce. Era segnalato ancora operoso nella Guida delle Cascine e Vigne di V.A. Grossi, Torino 1791, tomo II. La sua attività fu però molto più vasta, si veda, per gli anni 1772-73, in AS TO, Riunite, Art. 183, Conto Tesoreria Fabbriche e Fortifica- zioni: Direzione lavori Cittadella di Torino, 1772 e 1773; Casale 1773; 1773 Bard; 1773 Ivrea; Trasferimento a Pinerolo per riconoscere le riparazioni al Grande Otello 9 dic. 1772; Pinerolo Regie Fabbriche 1773; Direzione lavori Castello di Moncalieri 1772-1773 aiutato per il Giardi- no da Antonio Quattrino; Giardino Reale nuovo 1773; Castello di Rivoli riparazioni, 1772, 1773; Chiesa e Fabbrica di Superga, 1773; Valentino e Case degli Uffizi (estimi, conti, calcoli e istruzioni) 1773; assistenza illuminazione palazzina di Stupinigi e Porta di Po 1773; assistenza a fabbriche in Torino; nuova fabbrica dell’Arsenale, 1773. 87 indicato nel primo ÇpartitoÈ. Il contratto, proseguiva il Giudice, stabiliva quan- tità determinate di fornitura, non indeterminate, se il Ravelli aveva sbagliato i calcoli, il Giudice non doveva pagarne lo scotto. Avendo inoltre dovuto prose- guire nella fornitura chiedeva al Re di intervenire, la pratica venne passata alla Segreteria Interni l’11 Gennaio 1773. Il 21 aprile stesso anno il capo mastro Cesare Filippis scrisse che si era re- cato a Susa, su ordine dell’abate Crotti per visitare i lavori al campanile unita- mente al Giudice. Richiesto a quest’ultimo se avrebbe avuto difficoltà a forni- re le pietre necessarie per i lavori di sottomurazione lo stesso aveva risposto che lo avrebbe fatto ma con un incremento di prezzo. Non voleva che il lavoro fosse eseguito da altri ma neppure di essere danneggiato economicamente. Fi- lippis gli dichiarò che non poteva autorizzare l’incremento di prezzo ma che avrebbe informato il Crotti. Non avendo potuto incontrare quest’ultimo aveva conferito con il teologo Bologna, dell’Economato, che gli aveva fatto vedere una lettera di Crotti che affermava essere il Giudice obbligato alla maggior fornitura. Il 26 aprile intervenne, con una lunga memoria, anche il Crotti, il quale di- chiarò che il contratto era stato fatto senza la sua partecipazione, essendo egli all’epoca seriamente ammalato. Aggiunse che la prassi era di incrementare la fornitura dal 5 al 10 per cento, mentre nel caso in oggetto era avvenuto un au- mento di fornitura del 20 per cento. Crotti ritornò sul fatto il 3 marzo 1774 con lettera indirizzata al conte Corte di Bonvicino, Segretario agli Interni (cfr. Documento 7). In essa segnalava che il Giudice era stato liquidato con lire 1076.4 in data 18 dicembre 1773, per cui si pensava che non vi fossero altre richieste dello stesso. Una lettera del Corte del 28 (febbraio 1774?) segnalava un nuovo ricorso del Giudice, per cui aveva dato incarico al Misuratore generale Ravelli di determinare la cifra da pagare al «piccapietre» e chiudere l’annosa questione. Si può pensare che al Giudice sia stato accordato un indennizzo, infatti nel- lo stesso anno lavorava per l’esecuzione dell’altare della chiesa della fortezza della Brunetta (cfr. sub nota 13).

Alcune travi nuove al tetto della Cattedrale Un successivo intervento si ebbe con il restauro di parte del tetto della Cat- tedrale (16), il relativo documento è datato 9 agosto 1773 (17). In esso veniva se- gnalata la rottura di quattro elementi lignei di sostegno del tetto, cosa che met-

(16) Il documento è in AS TO, Corte, Materie Ecclesiastiche, Materie Ecclesiastiche per Ca- tegorie, Cat. XXXII, Economato Regio Apostolico, m. 2 (da inventariare) cit. (17) Cfr. Appendice II. 88 Il primo vescovo di Susa: monsignor Giuseppe Francesco Maria Ferraris di Genola, conte, che resse la diocesi segusina per 22 anni fino al 1800 ed è sepolto nella cripta della Cattedrale di San Giusto. Il cardinale Lorenzo Ganganelli, romagnolo, venne eletto papa all’unanimità dal conclave il 19 maggio 1769 e assunse il nome di Clemente XIV. Morì il 21 settembre 1774 dopo un pontificato di cinque anni e mezzo. Con la bolla ÇQuod nobisÈ istituì la Diocesi di Susa nel 1772, ma il primo vescovo Ferraris di Genola fece il suo ingresso soltanto il 22 ottobre 1778, dopo essere stato con- sacrato all’età di 33 anni. teva in pericolo di crollo la parte situata in prossimità dell’organo. Veniva quindi proposto un preventivo per la riparazione che prevedeva la sostituzione dei legni rotti, ad opera del falegname Vittorio Antino, con un costo previsto di lire 65.10. Il preventivo era redatto dall’architetto Agostino Marchiandi (18), che operava quale assistente ai lavori presso la fortezza della Brunetta.

(18) C. BRAYDA, L. COLI, D. SESIA, Ingegneri e architetti del Sei e Settecento in Piemonte cit., p. 47, dove si segnala Giacinto Agostino Marchiandi nativo di Susa (data ignota) e approva- to architetto dall’Università di Torino nel 1756 con un progetto di casa. Nello stesso testo si cita un Pietro Marchiandi, sempre nativo di Susa e approvato architetto nel 1775. Per entrambi non vengono segnalati interventi professionali, mentre invece oltre al progetto di restauro del tetto della Cattedrale, vi sono altri interventi del Marchiandi con esecuzione di elaborati grafici, di cui si darà conto nella seconda parte di questo lavoro. 89 In questa occasione il Vice Intendente di Susa fece istanza presso l’Econo- mo Crotti «acciò s’impedisca il filtramento nella strada dell’acqua del Giardi- no di San Giusto. Farebbe seguire queste riparazioni ma teme che si prenda occasione di dire che si fabbrica per il vescovado e SeminarioÈ. Una annota- zione sul documento indica «se gli è risposto in voce non esservi difficoltà a far seguire dette riparazioniÈ.

Per il buon avvio della Diocesi Gli elementi presentati in questa ricerca ci segnalano come lo stato sabau- do, tramite la struttura dell’Economato Apostolico Regio, intendesse porre la neonata diocesi di Susa in condizioni di ben operare, disponendo di tutte le ne- cessarie strutture. L’intervento di sostituzione delle pietre e di sottomurazione non deve esse- re stato di facile esecuzione ed è un peccato che non sia stato possibile ritrova- re le istruzioni del Revelli per il capo mastro Filippis. La diatriba fra il Giudice e l’Economato Regio Apostolico rientra nel modo sabaudo di condurre la gestione di fondi, oculata in alcuni casi sino alla gret- tezza. Emergono in questa vicenda in ambito artistico ed architettonico delle figure «minori», che però anche ad un esame su brevi periodi risultano ampia- mente operose. Questo indica la necessità di effettuare, con attenzione e acribia, scavi in direzioni che non siano solo quelli delle residenze sabaude, ma dedicandosi al territorio e soprattutto alla «periferia dell’Impero». La valle di Susa, nei due ambiti di bassa ed alta Valle, ognuna con caratteristiche sue proprie, se attenta- mente studiata può dare molte sorprese e numerose informazioni allo storico dell’arte e dell’architettura, citiamo solo a mò di esempio come per la parroc- chiale di San Saturnino di Mocchie per cui è nota la progettazione di Giuseppe Giacinto Morari l’esistenza di due altri progetti precedenti di Giovanni Batti- sta Feroggio e dell’ingegnere militare Giovanni Felice Ceretto.

90 Appendice I

DOCUMENTO 1 - AS TO, Riunite, Intendenza di Susa, Sottomissioni alle Re- gie Aziende, mazzo n. 140, anno 1758-1773, cc. 215-219. ÇTestimoniali di sottomissione del Capo Mastro picapietra Carlo Antonio Giudice del luogo di Saltri stato di Milano per la provvisione delle pietre da taglio ed altre ne- cessarie per la riparazione da farsi attorno il campanile di St. Giusto, e palazzo Abba- ziale in Susa. ÇL’anno del Signore millesettecentosettantadue ed alli ventitre di Gennaio in Susa, ed Ufficio dell’Intendenza, giudicialmente avanti l’illusstrisismo signor Avvocato Mauro Richiardi Vice Intendente per S.M. di questa Città e provincia, [...]. «Sendosi d’ordine di S.M. per mezzo del signor Misuratore Generale Ravelli fat- to procedere alla ricognizione delle riparazioni necessarie a farsi attorno le fabbriche dell’Abazia di St. Giusto di questa città, e fra le altre sendosi ritrovata quella del cam- panile minacciante prossima rovina, la medesima M.S. abbia ordinato di quella far eseguire senza perdita di tempo secondo ne appare da lettera scritta a quest’uffizio d’Intendenza sotto il primo del corrente mese del sig. Intendente Commendatore Bot- ton, relativamente agli ordini di cui in essa, siasi in primo luogo proceduto ad un pro- visionale pontalamento per poscia divenire nella prossima primavera alle necessarie sottomurazioni ed altre riparazioni che il prenominato Sigr. Misuratore Generale avrebbe credute necessarie, ed indispensabili e sendosi per mezzo di questo indi pro- ceduto alla ricognizione del quantitativo di pietre necessarie pell’effetto suddetto, per preparare le quali restando indispensabile un termine competente [...] siasi presentato Carl’Antonio Giudice del fu Andrea del luogo di Saltri stato di Milano e in quello di Foresto residente il quale si è offerto, obbligato e sottomesso [...] di dar provviste e condotte [...]. Carra numero 230 pietre da taglio da escavarsi alle solite cave di Pradonio (pra- donco) travagliate a tutte parti in squadra, e nella parte esteriore, formate a scarpa, se- condo la dimoda che verrà data nell’atto del lavoro [...] caduna carra lire sette. Trab. 6 superficiali paramani di detta pietra piccati a cinque lati e formati nella par- te esteriore a scarpa [...] lire settanta cadun trabucco. Trab. 10.4 lineali canali di pieta simile di larghezza oncie nove, spessezza oncie quattro e mezza [...] martellinato a grana fina [...] lire dodici per cadun trabucco. Tese numero trenta pietre grosse di schiappo per le muraglie in ragione di lire cin- que per caduna tesa. Trab. otto lineali banchine di detta pietra di larghezza oncie diecisette, spessezza oncie due refilate a squadra, spianante e martellinate [...] lire sei per cadun trabucco. Trab. 3 superficiali losoni di spessezza oncie una e mezza circa spianati nella parte superiore [...] lire venti cadun trabucco. Trab. 4 lineali lose ordinarie [...] lire cinque cadun trabucco. Tese 100 lose da coperto sane, sonanti e piane [...] denari sei caduna tesaÈ. ÇVenne stabilito un acconto di lire cinquecento e qualora “la quantità di pietre sour’espresse non fosse sufficiente, per la terminazione dell’opera...». Si concedeva al Giudice di scavare in luoghi diversi da Pradonio, già destinati per l’escavazione di materiali destinati al forte della Brunetta. 91 DOCUMENTO 2 - AS TO, Corte, Materie Ecclesiastiche, Materie Ecclesiasti- che per categoria, Economato Regio Apostolico, cat. XXXII, m. 2 (da ordinare) Supplica di Carlo Antonio Giudice (s.d. ma 1773) ÇS.R.M. Rappresenta Carlo Antonio Giudice piccapietre di professione avere per contratto delli 23 gennaro precorso anno stipulato nanti l’Ufficio della Regia Inten- denza di Susa, in cui si è obbligato alla provvista e condotta di pietre da taglio per le riparazioni destinate al Campanile di San Giusto, e Palazzo Abbaziale di detta città in quella quantità, qualità e prezzo in esso contratto stabilito e secondo il calcolo al me- demo ramostratogli, e medesimamente per la maggior quantità necessaria per l’intiero compimento, allor quando non fosse sufficiente la sovra stabilita provvisione, che s’intesero fosse eseguita per tutta l’allor prossima Primavera senza alcuna indennisa- zione, purché ne fosse detto esponente preventivamente, ed a misura del bisogno in tempo abile avvertito da chi avrebbe diretta l’opera sud.ta che all’occasione del con- tratto s’intese il Rappresentante d’eseguire a seconda di quanto gli fu allora notificato, ed imposto dal Regio Misuratore Ravelli riguardante solamente il Campanile e nella provvista della quantità di pietre necessaria pel reinvestimento di quello in altezza di un trabucco e mezzo fuori delle fondamenta, e per l’estensione dell’intiera muraglia di facciata, e della metà delle muraglie laterali, ed intanto s’obbligò egli alla provvista d’una maggior quantità di pietre, quanto che le fu verbalmente indicata in certa misura la riparazione. «Ma il fatto sta, che dopo d’aver adempito all’assonta obbligazione con tutta pon- tualità, ed esatezza colla provvista delle pietre sul sito del lavoro, ed esse messe in opera, si devenne alla visita e ricognizione delle fatte riparazioni in tempo, che già era cessato a termini del contratto l’obbligazione del rapp.te pella provvista e condotta di dette pietre, e si formò in seguito dal Misuratore Ravelli un nuovo calcolo, e si pre- scrisse quindi il reinvestimento delle muraglie laterali per tutta la loro estenzione, ma eziandio di tutti tre i lati per un trabucco d’altezza maggiore di quella, che si era in pri- mo ordinata, perciò fu astretto dall’Ufficio sud.to non ostanti [sic] le proteste di lui a viva voce fatte a quell’Economo, ed in scritto all’Ufficio del Regio Economato, già per il medesimo licenziati, e prendere altri bovari per la condotta e di proseguire con doppia spesa la maggior provvista ascendente al doppio di più di detto suo partito sino alla terminazione delle nuove opere, senza che siagli mai riuscito di ottenere alcuna indennisazione, sulla supposizione, che alle sue dimande osti la lettera del di lui con- tratto. ÇAvvegnaché dal contratto stesso s’evince, che precise si stabilirono le provvisioni in certo determinato tempo, e quantonque se ne sii patuita maggior quantità, questa certamente non si è potuta, ne si può considerare indeterminata, ma relativamente a la- vori, che s’intesero d’esequire; Che se questi colla fatta recognizione, e visita non si riconobbero sufficienti, ciò non deve ridondare in danno dell’Impresaro, il quale dagli individuati lavori prese norma per convenire li condottieri ed operarij in certa quantità, e per un certo tempo, onde non pare che debba succombere del proprio alla maggior spesa, a cui fu astretto suplire per le nuove condotte, e per la mercede d’altri lavoranti in tal tempo già impiegati altrove. «In tali circostanze siccome dall’Ufficio del Regio Economato si ricusa d’accorda- re al Rappresentante quella bonificazione, che pur li resta incontrastabilmente dovuta, come si è dall’Ufficio della Regia Intendenza di Susa conosciuto per essersi d’ordine 92 Carlo Emanuele III (re di Sardegna, 16¡ duca di Savoia) che si occupò delle condizioni del cam- panile di San Giusto a Susa sollecitandone il restauro per mezzo del suo segretario agli Affari In- terni e dell’Intendenza di Susa. Carlo Emanuele III di Savoia, re di Sardegna, nato a Torino nel 1701, figlio minore di Vittorio Amedeo II e di Anna di Francia, regnò dal 1730 al 1773, anno della morte (20 febbraio). A causa del fisico esile e della statura modesta il padre lo chiamava ironica- mente «Carlin», ma quando salì al trono si rivelò sovrano di forte temperamento, animato da profonde convinzioni religiose. Era in trono quando si combatté la vittoriosa battaglia dell’Assietta (luglio 1747). 93 del medesimo mandato al rappresentante di continuare la somministrazione delle pie- tre da taglio per compimento della sudetta opera, senza pregiudicio d’ogni ragione di bonificazione al medesimo competente, quale si presenta in data delli 5 precorso Otto- bre sottoscritto Arigo Vice Intendente [pro Giovanni Gaetano Arrigo avvocato fiscale di Susa], né essendo giusto, che il medesimo soffra senza suo fatto, e colpa sì grave danno, massime che tratterebbesi di un contratto lesivo di lesione enormissima, ove dir si volesse obbligato ad una indeterminata maggior provvista di pietre, cosa, che di regola si restringe tutto al più al quinto di quanto espressamente si patuisce, così per provvedere alla sua indennità colla produzione del sunarrato ordine e testimoniali di sottomissione ha pensato d’umiliare a Piedi di V.S.R.M. ÇUmilmente supplicando che presi in benigna considerazione le sovra addotte ra- gioni, e lo stato miserabile del Rappresentante si degni commettere a quel Ministro che parerà e piacerà alla M.V., che, prese le opportune informazioni, e constandogli delle ragioni che assistono il supplicante, ordini all’Economato Regio delle Abbazie vacanti dover indennizzare il sud.to supp.te per tutto ciò quanto potrà competerli in vi- gore delle sovra prodotte testim.li di sottomissione. Che della grazia Charlo Antonio Giudice - Avvocato Cattaneo O ritirato le charte mensona nel sovra seuito richorso Torino li 23 decembre 1773 - Charlo antonio giudice Sul verso: Alla Segreteria di Stato per gli affari interni Torino addì 11 genn. 1773, MorozzoÈ.

DOCUMENTO 3 - AS TO, Corte, Materie Ecclesiastiche, Materie Ecclesiasti- che per categoria, Economato Regio Apostolico, cat. XXXII, m. 2 (da ordinare) ÇRappresenta Carlo Antonio Giudice Capo Mastro Pica pietre avere sotto li 23 Gennajo anno ora scaduto passato contratto nanti l’Ufficio della Regia Intendenza di Susa, in cui si è sottomesso per la provvista e condotta delle pietre da taglio ed altre necessarie per le riparazioni destinate attorno il Campanile e Palazzo Abbaziale di S. Giusto colli patti e condizioni, di cui in esso contratto. «E dopo che il detto Rappresentante ha compitamente adempito all’obbligazione sud.ta gli venne fuori tempo per parte dell’Azienda imposto di provvedere altra quan- tità delle sudette pietre necessarie per l’intiero compimento del variato dissegno, e cal- colo sufficiente per la terminazione dell’opera nuova, e così in total suo pregiudicio. «In tal seguito umiliò nel mese di Gennajo corrente anno Riccorso a S.M. affin d’ottenere qualche indennisazione pel grave pregiudicio dal Supplicante sofferto per causa della variazione sudetta, e maggior provvista di pietre fuori tempi imposta, qual Riccorso è stato trasmesso colle carte unite alla Segreteria dell’E.V. «Ma comecché veniva il povero supplicante grandemente molestato da di lui Cre- ditori, che hanno travagliate, e condotte le sudette pietre fu astretto d’incommodare V.E. colla rassegnazione fatta nel mese d’Aprile ora scorso d’una rappresentanza affin d’ottenere le disposizioni, e provvidenze pel fatto in detto Riccorso espresso. ÇOra ritrovasi il premenzionato Giudice in estreme angustie sia per essere minac- ciato d’affronti, e spese dai sud.i suoi Creditori, sia per esser privo di beni di fortuna, e fondi per attendere, e proseguire i di lui lavori, e così non esser in istato d’adempire al- 94 le obbligazioni intraprese di simile lavoro, sia finalmente per non avere che provve- dersi del necessario vivere in questi così calamitosi tempi. «In tale stato di cose si è portato il med.o dal Sig.r Abbate Crotti Economo Genera- le de’ Vescovati, ed Abbazie vacanti per esiggere il saldo dell’importare di detta im- presa, per non cadervi ciò in questione, il quale rispose non poter esso far passare cosa alcuna, e che adressar si dovesse all’E.V.; e per andar al riparo d’ogni ulterior suo pre- giudicio ha pensato di nuovamente umiliare il presente all’E.V. ÇUmilmente supplicandola, che presi caritatevolmente in considerazione li succi- tati motivi, per tratto di sua innata bontà, e carità voglia ben degnarsi di procurare al sud.o povero Rapp.te la spedizione del premenzionato Riccorso sporto a S.M. per l’in- dennisazione sud.a, e mandato a chi sia duopo, che fra breve termine gli vengano pa- gate le somme portate dal summenzionato contratto non cadenti in questione, che del- la grazia etc. Il che etc. Charlo Antonio GiudiceÈ.

DOCUMENTO 4 - Crotti a Morozzo Primo Segretario di Stato per gli Affari Interni «Dall’Uffizio dell’Economato Generale - addì 26 aprile 1773 ÇPer informare V.E. della supplica del piccapietre Carlo Antonio Giudice, commu- nicatami col riverit.mo suo foglio de’ 18 corr.e, ho l’onore di dirle che il di lui contrat- to de 23 gennaio 1772 fu fatto senza veruna mia partecipazione, mentre io ero grave- mente infermo, epperciò non potevo se non attenermi alla lettera del med.mo, nulla avendo mai saputo delle verbali spiegazioni ch’egli allega intervenute. Dalle informa- zioni procuratemi ho rilevato, che in simili contratti gli Impresari sogliono intendersi obbligati a provvedere il cinque in dieci per cento circa di più della quantità espressa nel contratto senza che se ne esprima alcun patto, ed il detto piccapietra me l’ha ad- messo la prima volta, che fu da me dopo insorta la presente quistione, ed ora nella sup- plica dice eziandio che tal obbligazione s’estende al quinto, val a dire al 20 p% e da ciò ho dedotto, che il patto espresso nel contratto del Giudice non poteva cadere sul- l’aggiunta del 20 p%, bensì fu per obbligarlo a provvedere per gli stessi prezzi tutta quella maggior quantità di pietre; che sarebbe stata necessaria, oltre la determinata nel contratto, per l’intero compimento dell’opera, che s’intende eseguire, cioè delle ripa- razioni del Campanile di S. Giusto, e darle provviste, e condotte sul posto nell’inverno allora corrente, e successivamente, val a dire anche nella primavera, e nella State, ed ho pensato, che si fosse devenuto a tal patto per assicurarvi d’aver quante potessero ri- chiedersi a non lasciare imperfetta l’opera, quallora nel progresso del lavoro si fossero scoperti difetti occulti, che esiggessero maggiori riparazioni, e per conseguenza mag- gior quantità di materiali, come dovevasi provvedere trattandosi di sottomurazione d’un Campanile si antico, ed allora tanto pericolante. «Questo patto insolito non ha potuto a meno d’eccitare l’attenzione del Piccapietre Giudice, solito ad attendere alle imprese, e di fargli comprendere, che il contratto non si limitava ai soli lavori - allora prescritti, e portati nel calcolo, qual dice essergli stato rimmostrato, ma non credo da lui veduto, si perché non sogliono rimmostrarsi i calco- li agli Impresarij, si perché in esso sono calcolate a Lire 12 caduna le carra di pietre da 95 taglio, ch’egli ha pattuito a Lire 7, si perché non si vede in esso determinato il numero de trabucchi de’ paramani, e questi sono iui confusi in uno stesso capo colle pietre da schiappo, e colla fattura della muraglia, che si calcola di trab(ucchi) 28 a lire 25 cad., invece che nel contratto del Piccapietra si sono pattuiti separatamente i paramani a ra- gione di Lire 70 per cad. trabuco, e si sono dterminati per trabucchi sei, e le pietre da schiappo a ragione di lire 5 per caduna tesa, e determinare a tese 30, per il ché non sembra, che abbia il Piccapietra potuto prender la norma del suo contratto dal detto Calcolo. «Su questi fondamenti allora che si scoprì necessario un maggior alzamento della nuova muraglia di rinforzo, ed il prolungamento dei due laterali sino contro la Chiesa, non già, com’Egli narra, quando adempita per esso l’assunta abbligazione, e messe in opera le pietre siasi divenuto alla visita delle fatte riparazioni in tempo, che già fosse cessata a termini del contratto la di lui obbligazione, ma mentre queste si andava adempiendo, e si proseguivano le riparazioni stesse a principio prescritte, per essersi ritrovati i muri del Campanile di peggior qualità, che non era apparita, ho pensato di non riscontrare difficoltà presso il Piccapietra per la provvisione agli stessi prezzi del- la maggior quantità di pietre divenuta perciò necessaria, come non l’ho incontrata presso gli impresarj della calcina, e della sabbia, benché nei contratti di questi non si fosse espresso il sudetto patto; Epperciò nella mia rappresentanza delli 2 agosto ho espresso a S.M. di gloriosa memoria, re Carlo Emanuele III di Savoia morto nel corso di quel 1773, che avrei stimato di farle provvedere dallo stesso Impresaro, che avea provvedute le altre, e sullo stesso partito, che gli era stato deliberato, come si degno la medesima d’approvare. ÇPortatosi quindi in Susa il Capomastro Filippis per incaminare le sudette ulteriori riparazioni interpellò il detto Piccapietra e sostanzialmente si ridusse questi alla di- manda d’una qualche bonificazione, e senza che gli fosse data altra speranza, che di parlarmene, cominciò a provvedere le pietre per le medesime, come risulta dalla di- chiarazione quì unita per copia del predetto Capomastro. Io era allora a Saluzzo, ed informato di tal dimanda risposi, che il Piccapietra era tenuto in vigor del suo contrat- to, e non gli era dovuta alcuna bonificazione, e si facesse compellire. Si dispose per- tanto il medesimo a continuare la provvisione delle pietre, protestando però in voce al Signor Prevosto Didier mio Subeconomo, ed instando, che si dovesse aver riguardo alla perdita considerevole; cui succomberebbe, quallora non gli si facesse una bonifi- cazione di maggior prezzo per questa nuova provvista, perché allora dovea pagare una mercede maggiore a’ suoi lavoranti, ed a condottieri. ÇIo mi restituii qui il primo settembre, e dopo alcuni giorni il detto Piccapietre al- l’occasione, che qui era venuto per i guaj, che aveva per la sua impresa al Castello d’Aglié, venne a parlarmi per convenire della predetta bonificazione, e mi sovvengo, che avendomi trattenuto per un’ora mostrava, che sarebbesi contentato d’una bonifica- zione discretta, massime dopo, che gli avevo rilevato, che anzi conveniva pensare a ri- parare l’errore corso in danno dell’Abazia nell’essersi colà misurati per pietre da ta- glio i paramani, benché non abbialo voluto ammettere, ma nulla ottenne, e partì per- suaso, che io assolutamente non volessi accordargli alcuna bonificazione, e tenessi fermo nel pretenderlo obbligato in vigor del suo contratto a fare anche questa maggior provvisione per li prezzi portati dal med.mo. «Ritornò egli a Susa li 11 med.mo Settembre, da dove era stato assente quindeci 96 giorni con aver però lasciato colà otto lavoranti per provvedere dette pietre, ed ivi con- tinuò a sostenere la sua pretesa della bonificazione, ed a provvedere le pietre, poi sotto li 15 riportò una parcella del Sovrastante, visata dal Sr Misuratore Marchiandi, da cui risultava fralle altre partite, che aveva già provvisto carra 426 pietre da taglio a lire 7 caduna, tese 18 pietre da schiappo a lire 5 caduno, e trabucchi tre paramani rilevante detta parcella a Lire 3640, a conto delle quali aveva già ricevuto lire 2000, poi venne li 19 a presentarmela senza più mover quistione se non sul prezzo d’una picciola quan- tità di tese di pietre da schiappo grosse fatte spianare. Poiché non era tal parcella mu- nita del sentimento del Signor Ravelli sull’a buon conto, che gli si potesse pagare, non ho potuto spedirgliene subito il mandato, ma gliel’ho spedito, e rimesso li 24 med.mo mese, giorno in cui me la riportò, munita allora di tal sentimento, facendogli pagare Lire 1000. «Sul principio d’ottobre mostrando il detto Piccapietre di voler cessare dalla prov- visione delle pietre diede motivo al mio subeconomo di farlo compellire a continuarla, coll’ordine dell’uffizio dell’Intendenza de’ 5 detto ottobre, che ha unito detta Suppli- ca, epperciò l’indomani venne a presentarmi una rimmostranza, alla quale, appena let- tala, feci il decreto, che ha per copia pur unito alla med.ma Supplica, la quale fu la pri- ma ed unica istanza, che abbia fatta in scritti a questo mio uffizio. Chiedeva Egli, che gli facessi corrispondere quella discreta ed equitativa bonificazione, che mi sembre- rebbe, et sarebbe benevisa al discernimento e giudizio eziandio del Sr. Ravelli per non costringerlo ad implorare della Sovrana giustizia un qualche straordinario provvedi- mento. ÇLa mia intenzione era appunto di prender poi il sentimento del Sr. Ravelli, e secon- do questo accordatogli, o nò la bonificazione, ma parevami doversi tal risoluzione ri- mandare al tempo, che compite le riparazioni si potesse, al med.mo pagare il saldo, per- ché nel decorso dei lavori l’entrare in tale discussione non serve, che ad interrompergli, e ad inalberare l’Impresaro attesa la necessità, che vede aversi del materiale, ed è inuti- le, mentre non si fa il saldo agl’Impresari, se non dopo terminata l’opera, perilché [sic] sotto li 10 med.mo ottobre scrissi al detto mio subeconomo in questi termini.Alle di- mande dell’Impresaro Giudice contenute nella presentatami rimmostranza ho corrispo- sto con un Decreto uniforme all’intimazione emanata da cottesta Intendenza, non con- venendo assolutamente prima del compimento delle provviste di sentire trattative, o avanzare promesse , né lusinghe . Il mede.mo dovrebbe anzi temere di dover soggiace- re ai danni, che fossero per venirne alle riparazioni già fatte del Campanile, se per sua testardaggine rimanessero imperfette. Io lascio a parte per ora, se abbia o nò ragione nella dimanda di qualche bonificazione, ma dico, che deve ad ogni costo continuare le provvisioni per il compimento dell’opera, e deve esservi compellito, mentre non gli è chiusa la strada a conseguire in appresso ciò, che possa essergli dovuto. «Ma non stimai, che fosse ancora tempo d’aprirmi con esso Impresaro, il quale colla sua lentezza a provvedere le pietre, è stato causa, che non si sono date riparazio- ni del Campanile potute condurre a termine, e li 24 med.mo ottobre si è desistito dal prosseguirle, se sino dalli 11 agosto si era dovuto diminuire il numero de’ mastri, li quali non hanno mai lavorato, se non attorno al Campanile. ÇSotto li 17 9mbre su nuova parcella ricevuta lo stesso giorno del sentimento del sudetto Sr. Ravelli ho fatto pagare al medesimo Impresaro Lire 500, e sotto li 15 Xmbe altre lire 900, a buon conto, con essere restato allo Stato delle sue parcelle creditore di 97 sole Lire 1200, oltre alcune picciole partite lasciate in bianco, ed oltre ciò che gli possa esser dovuto a titolo della sudetta bonificazione. Ora non avendo io ancora fatto metter mano a compire tali riparazioni, nelle quali egli è tenuto a prestar la mano per metter in opera le pietre, non sono nemmen ancora in caso di farlo soddisfare per saldo. «Non rimane però se non a fare l’alzamento del muro di rinforzo di tre piedi circa accomunati e se V.E. stima, che vi faccia metter mano, purché vi sia la sufficiente provvisione delle pietre, giacché vi sono quelle della sabbia, e calcina, crederei, che potrebbero compirsi fra un mese. «Ciò fatto darei commissione al Sr. Ravelli d’esaminare qual bonificazione potreb- be accordarsi al detto Piccapietra per quella maggior quantità di pietre, che abbia dovu- to provvedere con maggior sua spesa per le maggiori opere portate dal suo sentimento e calcolo del primo agosto, avendo riguardo, che in tale stagione i lavoranti piccapietra, se hanno maggior paga fanno anche maggior lavoro, che nell’inverno, ed avendo pure riguardo alla compensa, che sarebbe da farsi, se fossero stati misurati per pietre da ta- glio i paramani, mentre un trabucco di paramani componendo 32 in 33 carra, essendosi queste contate a Lire 7 caduna verrebbe ad avere il Giudice conseguito Lire 224 circa, in vece di Lire 70 pattuite, per ogni trabucco di paramani, e benché dopo che sono mes- si in opera, non si possano più discernere i paramani dalle pietre da taglio io tengo per certo, che tal errore sia corso, purché a tenore del primo calcolo – sulle carra 230 pietre da taglio doveva provvedere trabucchi 6 paramani, e se ne vedono nella parcella de’ 15 7mbre soli trabucchi 3.1.4, quando vi erano già carra 426 pietre da taglio, alle quali avrebbero dovuto corrisponder in proporzione Ð circa trabucchi undici di paramani, e dopo che io ho avvertito, che dovea esser certo tal errore si è nelle susseguenti parcelle veduta a comparire la proporzione tra i paramani, e le pietre da taglio. «Nell’essere da me interpellato su tale errore il Giudice mostrò il suo imbarazzo a rispondermi all’improviso, e si schermì poi con dire che avevano misurato ogni pietra, onde non doveva esser corso tal sbaglio di prendere i paramani per pietre da taglio. Con tutto ciò non potendosi più convincere né il Piccapietra, né chi ha fatte le misure, che tal errore sia seguito, non penserei, che potesse farsi a rigore tal compensa, ma so- lamente contrapporsi a diminuire, secondo il suo grado di probabilità alle pretese di bonificazione promosse dal piccapietra secondo il discernimento e buon giudizio del Sig.r Ravelli esperto delle arti, che usansi dagli Impresarij. Questo era, e sarebbe ancora il mio sentimento, qual però sottopongo a quello di V.E. nel restituirle qui compiegata la supplica del sudetto Piccapietra colli titoli uniti- vi, mentre ho l’onore di rassegnarmi col più profondo rispetto. Di V.E. Dall’Ufficio dell’Economato Generale - Addi 26 aprile 1773 S.E. il Sig.r Cau.re Morozzo Ministro e Primo Segretario di Stato per gli affari in- terni Divotissimo Osseq.mo Obblig.mo Servitore - L’Abate Crotti di Costigliole».

DOCUMENTO 5 - ÇCopia di dichiarazione del Capo Mastro Cesare Filippis de 21 aprile 1773. ÇDichiaro io sottos.to che sul principio dello scorso mese di Agosto d’ordine del- l’Ill.mo R.mo Sig.r Abate Crotti, Reggente l’Ufficio di Regio Economato de Vescova- 98 ti, ed Abbazie vacanti, mi sono trasferto nella città di Susa, per ivi visitare li lavori che si stavano costruendo in riparazione del Campanile della chiesa di S. Giusto, e nel vi- sitar le pietre da taglio, che stavansi impiegando in simile riparazione in compagnia del tagliapietre Carlo Giudice, interrogai il medemo se avrebbe avuta difficoltà di provvedere quella quantità e qualità di pietre da taglio che erano necessarie per la co- struzione di que’ lavori, che nuovamente si erano ordinati di fare in sottomurazione del predetto Campanile sotto li prezzi, e patti da esso convenuti nella sottomissione che aveva passata nell’inverno precedente, sovra di che il med.mo ha risposto si sareb- be incaricato di provvedere tali pietre da taglio a termini di suo contratto, purché dal- l’Ufficio se li fosse poi fatta per esse una qualche bonificazione, mentre co’ prezzi con cui aveva convenute le altre, non poteva provvederle senza suo pregiudicio, onde a ta- le risposta io gli ho detto che l’avrei partecipato all’Ufficio, mentre non avevo autorità d’accordargli alcuna bonificazione, ed esso Piccapietre disse, che com’era così avreb- be provvedute le pietre, mentre non voleva, che si facessero queste provvedere da un altro, ma che non ommettessi di parlarne poi al detto sig. Abate, e cominciò a provve- derle. ÇEssendo poi io ritornato qui trovai, che il Sig, Abate era a Saluzzo, e perciò resi conto di quanto sovra al Sig.r teologo Bologna che faceva le di lui veci, ed avendo- gliene egli scritto mi ha fatto vedere la risposta di detto Sig.r Abate, che credeva il pic- capietre obbligato a provvedere anche tal maggior quantità di pietre per lo stesso prez- zo in vigor d’un capo del di lui contratto in cui s’era obbligato a provedere anche tutta quella maggior quantità che fosse statta necessaria oltre l’espressa nel Contratto. E questo è quanto etc. Torino 21 aprile 1773, Cesare FilippisÈ.

DOCUMENTO 6 - Torino 3 luglio 1773 ÇGio Batta Ravelli «D’ordine della Segreteria di Stato per Affari Interni avendo esaminato le comuni- catemi due rappresentazioni del Piccapietra Carlo Antonio Giudice e il sentimento del signor Abate Crotti riguardante la provvista delle pietre fatta nell’anno scorso 1772 da detto Giudice a beneficio della intrapresa sottomurazione del Campanile di S. Giusto nella città di Susa; con commissione di spiegare il mio sentimento riguardo all’inden- nizazione domandata dal sudetto Piccapietra, ho l’onore di riferire quanto segue. ÇSebbene il Ricorrente si faccia lecito di erroneamente rappresentare essergli stato da me notificato ed imposto a riguardo del solo campanile la provvista della quantità delle pietre necessaria pel rivestimento di quello in altezza di un trabucco e mezzo fuori della fondamenta, e per l’estenzione dell’intera muraglia di facciata, e della metà delle muraglie laterali; la verità però si è, che avendomi il detto Giudice, dopo di ave- re stipulato il suo contratto, richiesto di dirli a quale altezza ad un dipresso si sarebbe portata la sottomurazione del campanile, acciò potesse egli regolarsi per la provvisio- ne assontasi delle pietre, gli diedi in schietta risposta, che sarebbe stata di due trabuc- chi fuori terra per tutta l’estenzione della facciata e della metà delle muraglie laterali di esso campanile. «Nell’atto però, che stavasi eseguendo la predetta sottomurazione, essendosi rco- 99 nosciuto essere necessario per maggiore cautela dell’opera di proseguirla sino all’al- tezza di trab. due e mezzo, vale a dire di un mezzo trabucco di maggiore altezza di quella stata come sovra stabilita, ne ho proposto all’ufficio del generale Economato il progetto col calcolo unito della spesa per detta maggior elevazione. «Dalle quantità des(crit)te in detto calcolo si può comprovare col confronto del primo calcolo, la verità, che siasi solo ordinato l’aumento di mezzo trabucco in altezza col prolungamento dei due laterali, e non già di un trabucco, come falsamente viene nella rappresentanza esposto. «Quallora impertanto potesse militare a favore dell’Impresaro la verbale dichiara- zione da me come sopra fattagli, si dovrebbe semplicemente estendere la domandata indennizazione soura l’aumento posteriormente fatto del mezzo trabucco d’altezza e del prolungamento dei due laterali, dovendosi prescindere dalla irragionevole pretesa sulle altre maggiori quantità, state provviste di più del calcolo per la restante sottomu- razione, sia per riguardo, che si è a tanto obbligato l’impresaro nel suo contratto, sia a contemplazione, che un tal eccesso viene prodotto dalla maggiore grandezza delle pie- tre da taglio state provviste ad arbitrio del Partitante, a cui in virtù di suo contratto re- stava solo proibito di provvederle di minor grandezza di quella fissata in esso contrat- to, ed in conseguenza facoltativo di provvederle di maggior mole, come veramente ha praticato per profittare di tutta la pietra. ÇSiccome resta ancora a terminare la prefatta sottomurazione per detta altezza di mezzo trabucco circa, secondo mi viene riferto, sovra quale maggior altezza potrebbe cadere la questione non posso essere in grado per ora di procedere a verun conto d’in- dennizzazione. ÇPer soccorrere per altro le indigenze del Rappresentante sarei in senso, che se gli potessero far pagare le lire duecento di residuo conto finale dell’anno scorso, poiché resterebbe nulladimeno ancor creditore della provvista di alcune tese di grosse pietre di schiappo, e di altre pietre da taglio già in provvisione sul posto pel proseguimento dell’opera, non ancora entrate in conto. Torino 3 luglio 1773 - Gio Batta RavelliÈ.

DOCUMENTO 7 - Lettera Crotti a Corte (m. 2 da ordinare 1774) ÇIll.mo ed Ecc.mo Sig. Sig.r Pron. Col.mo «Coerentemente al mio Sentimento de 26 aprile 1773, allorché il Piccapietra Giu- dice si è presentato per conseguire il saldo della sua impresa delle pietre per le ripara- zioni del Campanile di Susa nel comunicare al Signor Misuratore Generale Ravelli la di lui parcella, e carte l’ho ricercato d’aprire anche il suo sentimento sovra la bonifica- zione dal predetto Giudice pretesa, ma’ egli non ha voluto, dicendo, che non era di sua perizia il decidere l’articolo, se fosse, o nò a termini del contratto dovuta la bonifica- zione, ma soltanto di fissarne la somma, quando fosse dovuta. Ho pertanto fatta paga- re al Giudice, seconda la tassa dal detto Sig.r Ravelli fatta la somma di lire 1076.4 per il saldo sudetto con mandato delli 18 Decembre scorso, qual ha esatto senza più farmi alcuna instanza di modo, che pareva, che avesse declinato dalla sua domanda. ÇOra, in seguito al riveritissimo foglio di V.E. de 28 scaduto col nuovo ricorso dal predetto giudice comunicatomi, avendo chiamato il detto Signor Ravelli per vedere il 100 come finir una volta questo affare, mi è avvenuto di sapere, che in simili casi l’uffizio dell’Intendenza generale delle fabbriche ha adottato l’uso di prescindere dalla decisio- ne dell’articolo, se sia o nò dovuta la bonificazione, e di commettere al Perito di dare il suo sentimento sull’importare della mede.ma, e che li ricapiti in seguito spediti hanno avuto il suo corso al Controrollo (sic). Seguirò pertanto quest’esempio, e gli farò indi pagare quanto dal detto Sig.r Ravelli sarà giudicato equitativo, sentito che abbia quan- to gli addurrà il Giudice. Intanto ho l’onore di rassegnarmi col più profondo ossequio Di V.E. Dall’Uffizio dell’Economato generale - Addì 3 marzo 1774 Div.mo Osseq.mo Obblig.mo Ser.e - L’abate Crotti di Costigliole».

Appendice II

Nella camicia vi è il riassunto della pratica, nota del Morozzo (?) «se gli è risposto in voce non esservi difficoltà a far seguire d.e ristauraz.».

ÇTorino 9 agosto 1773 Sig.r abbate Croti (sic) Economo Generale Regio ÇDovendosi cambiare quattro travi del tetto della chiesa cattedrale di Susa stati ul- timamente riconosciuti infranti, rileva la spesa di questa riparazione a lire 65.10 come dal Calcolo che ha trasmesso. [...]

ÇIll.mo ed Eccel.mo Sig.re Sig.re Pron Col.mo «Sull’avviso avuto con lettera dl primo corrente esersi rotte tre travi del tetto della Chiesa Cattedrale di Susa, ho fatto procedere alla ricognizione, e calcolo, dell’urgen- za, e spesa di tale riparazione dal Sig.r Architetto Marchiandi assistente alle Regie for- tificazioni della Brunetta, e ne ricevo questa mattina la dichiarazione, e calcolo qui compiegato per copia. ÇIl Sig.r Vice Intendente dela medesima Città con sua lettera di jeri mi rinnova l’instanza per impedire il filtramento nella strada dell’acqua del Giardino di S. Giusto di cui in mia Memoria dei 18 scad.o rimessa a V.E., e siccome non si è potuto scoprire onde venga il difetto, non se ne può calcolare la spesa. ÇNon avrei difficoltà di far eseguire l’una e l’altra riparazione se il dubbio che pos- sa prendersene occasione di dire, che si fabbrichi per il Vescovato, o Seminario, non mi trattenesse, insino a che V.E. ne sia preventivamente informata, e possa quindi tran- quillizzarmi a tal riguardo, come la supplico, mentre col più profondo ossequio ho l’o- nore di rinnovarmi. Dall’Uffizio dell’Economato Generale - Addi 9 agosto 1773 Div.mo Osseq.mo Obblig.mo Ser.e L’abate Crotti di Costigliole 101 A S. E. il Sig.r Caval. Morozzo Ministro e Primo Seg.rio di Stato Per gli affari Interni ÇPer commissione del. M. Ill. e M. Rev.do. Sig. Canonico Tesoriere di questa insi- gne Cattedrale di San Giusto sonomi portato io infrascritto quest’oggi in compagnia del med.mo e coll’intervento, ed indicazione del Mastro Falegname Vittorio Antino alla visita del coperto della chiesa Cattedrale sudetta di San Giusto dove si è osserva- to, e verificato, che in quella porzione di detto coperto esistente superiormente alla scala d’accesso agli organi sonovi quattro legni recentemente, e notabilmente infranti alla metà della loro longhezza, cioè il colmo, due costane ed un cantero, con evidente pericolo d’imminente rovina di tutta quella porzione di coperto, se prontamente non vi si va al riparo, perché non ammette dilazione, col cangiamento di detti quattro legni ; dovendosi perciò disfare tutta quella parte di coperto da una muraglia all’altra, cioè per la larghezza di trab. due e per la lunghezza di trab. tre circa, potendo ascendere la spesa di tale riparazione alla somma, come infra si calcola: Provvisione di tre travi di malegine rosso [larice] stagionati di lunghezza trab. 2 e gross.a on. 5. p. 6 squarati a squara ordinaria condotti sul posto a lire 10 cad lire 30 Un cantero di lungh. tr. 3 gross.a onz. 3 in ponta squarato di grosso lire 3 Tiratura e mettitura in opera de’ med.mi lire 4 Disfacimento di detto coperto con ammorione [sic] delle lose e legnami lire 6 Rifacimento di detto coperto lire 18 Provvisione di n¡ due tese di lose in aggionta lire 4.10 Ascende la spesa a lire 65.10 lire 65.10

Susa li 8 Agosto 1773, sottoscritto Agostino Marchiandi architettoÈ.

102 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 103-124

Cristina Scarato Storia della Biblioteca Civica di Susa

Nel dicembre 1867 il Ministero d’Istruzione Pubblica rese nota all’Ammini- strazione Comunale l’intenzione di voler concedere alla città di Susa i libri com- ponenti le biblioteche dei Conventi soppressi dei Padri Cappuccini di Susa e di Avigliana (1). Era sindaco nel biennio 1867-1868 il notaio Giuseppe Martina. Poiché Susa era sprovvista di una biblioteca che potesse accogliere questi numerosi volumi (circa 1.200), gli amministratori comunali non si lasciarono sfuggire l’occasione, probabilmente aspettata da tempo, di valorizzare mag- giormente la cittadina con la fondazione di una biblioteca (si potrebbe anche azzardare l’ipotesi, in mancanza di documenti che lo affermino, che gli stessi amministratori comunali abbiano fatto esplicita richiesta al Ministero d’Istru- zione Pubblica di ottenere la dotazione dei libri dei Cappuccini, assicurando in cambio l’imminente apertura di una biblioteca nella città). Tra i promotori dell’iniziativa ricordiamo l’avv. Pio Garelli, l’assessore Michele Buffa, che sarà eletto sindaco di Susa nel 1883, il cav. Enrico Vazone ed il prof. Giovanni Ferreri. La decisione fu immediata. Così decretò il Consiglio Comunale il giorno 20 dello stesso mese: Ç...il Consiglio delibera unanimemente doversi aprire al pub- blico una biblioteca in questa città... e pone a disposizione per le spese di apertura la somma di lire 400, con riserva di ulteriormente provvedere per l’avvenire» (2).

(1) 1866, soppressione delle corporazioni religiose. Legge 2897, Decreto Luogotenenziale 3036: ÇI libri, i documenti, etc. devono essere devoluti alle pubbliche biblioteche delle rispetti- ve provincieÈ.

(2) Archivio Storico Comunale di Susa (da qui in avanti sarà abbreviato con la sigla A.S.C.S.), Faldone 1171, Copia di deliberazione del Consiglio Comunale, 20 dicembre 1867. 103 I primi dieci anni (1867-1877) I preziosi libri dei Cappuccini, per la maggior parte opere di ascetica, di teologia, di morale, risalenti al 1600-1700, costituirono dunque il primo fondo della biblioteca: venne immediatamente effettuata una selezione e furono eli- minati tutti i volumi considerati di scarso pregio ed importanza, soprattutto tra quelli provenienti da Avigliana (3). Si aggiunsero a questo primo piccolo nu- cleo i libri che si acquistarono con la somma stanziata dal Comune. Era a questo punto necessario affidare la gestione del tutto ad una o più persone volenterose e soprattutto fidate. Il Consiglio Comunale, tra coloro che si dichiararono disponibili, scelse tre persone per costituire la Prima Commis- sione della biblioteca: il canonico teologo Bartolomeo Pugno, il tenente colon- nello Baldassarre Vietti e l’avvocato Leone Gatti, delegato mandamentale per l’istruzione pubblica. Con i libri provenienti dalle biblioteche conventuali soppresse, con la som- ma stanziata dal Comune per l’acquisto dei primi libri, con la collaborazione e l’interesse di coloro che furono membri della prima Commissione fu dunque possibile, per la prima volta per quanto riguardava la Valle di Susa, dare vita all’importante istituzione. Il canonico Bartolomeo Pugno, autore tra l’altro del volumetto (di 84 pagi- ne) molto prezioso Brevi notizie topografico-storico-sacre sul Rocciamelone (4), fu scelto dai Consiglieri comunali come persona più idonea per assumere la carica di Bibliotecario, importante funzione che egli esercitò fino al 1869, anno della sua morte. Era questa una carica non retribuita, anche se richiedeva responsabilità ed impegno. La biblioteca venne inizialmente collocata in un piccolo locale del palazzo municipale, in verità del tutto inadeguato e disagevole: «...è infelicissimo per questo scopo, stante la grande umidità, riceve pochissima luce dal di fuori» (5). L’intento dei fondatori era quello di donare alla cittadina una biblioteca che fosse accessibile a tutti, anzi in particolar modo orientata a soddisfare le esi-

(3) A dire il vero, osservando l’elenco delle opere acquisite, è assai difficile immaginare con quale criterio alcuni volumi poterono essere considerati di scarso pregio ed importanza!

(4) BARTOLOMEO PUGNO, Brevi notizie topografico-storico-sacre sul Rocciamelone, Susa, Tipografia Ramondetti Giacomo, 1867 - «Con permissione dell’Autorità Ecclesiastica».

(5) A.S.C.S., F. 1171, La Commissione della biblioteca al Sindaco della Città di Susa G.B. Garino, 1869. Il notaio Giovan Battista Garino fu sindaco nel 1869-1871, poi il medico Simeo- ne Chiapusso (1872-1875), di nuovo Garino (1875-1876), l’avvocato Federico Genin (1876- 1882), il consindaco Michele Buffa (1882-1886), il consindaco Eugenio San Pietro, di nuovo il notaio Garino (1888-1889), di nuovo Buffa (1890-1893), l’avvocato Giulio Richard (1893- 1894) (poi rieletto nel 1895 e dimissionario nel 1896); di nuovo Garino (1896-1897), di nuovo Genin (1898-1899), per qualche mese ancora Buffa; infine l’Ottocento si chiude con un nuovo incarico al notaio Garino. 104 genze del popolo, degli studenti, ma anche degli operai, dei contadini, e che fosse di stimolo per un avvicinamento alla lettura ed alla cultura soprattutto per i giovani. Ci si era dunque inizialmente proposti di aprire la biblioteca al- cune ore alla settimana e di suddividerla in due settori: il primo avrebbe dovu- to comprendere l’insieme di tutti quei libri destinati a «persone già più versate alla scienzaÈ ed essere fisso (solo consultazione, niente prestito); il secondo settore avrebbe invece compreso libri per la lettura popolare e sarebbe stato circolante, avrebbe cioè dovuto offrire sia il servizio della consultazione in se- de, sia il servizio del prestito dei libri: Ç...questi libri potrebbero circolare nel- le mani di ognuno, mediante alcune norme che assicurino la proprietà della amministrazione civicaÈ (6). Per questo motivo dal momento stesso della fondazione la biblioteca di- venne denominata Biblioteca Popolare Circolante. Nonostante i buoni propositi tuttavia, a causa dell’inadeguatezza del locale troppo piccolo in cui venne situata, per i primi nove anni non fu possibile apri- re al pubblico la biblioteca. Il popolo, a cui principalmente doveva essere de- stinata, non poteva insomma usufruirne e probabilmente vi accedevano sola- mente studiosi interessati a qualche particolare argomento o comunque perso- ne fidate conosciute dai membri della Commissione: sta di fatto che per tutti questi anni non possiamo proprio ancora considerare la biblioteca popolare, né tantomeno circolante. Pur rimanendo una biblioteca, possiamo dire, di tipo privato la Commissio- ne fin dall’inizio si diede da fare per incrementarne il materiale librario e per fornirla il più possibile di opere utili alla cultura popolare, opere che «sminuz- zino la scienza in modo facile e pratico e la rendano così più universale».

I benemeriti donatori privati Per l’acquisto dei libri si utilizzò la somma stanziata ogni anno dal Comu- ne in favore della biblioteca (dai documenti d’archivio non mi è stato possibi- le individuare la cifra esatta, comunque trovando scritto in una lettera del 1877, inviata al sindaco dal bibliotecario, che proprio in quell’anno fu portata a lire 100 la dotazione del Comune per la biblioteca, si riesce logicamente ad intuire che fino a quel momento la somma non superò mai tale cifra) e le sov- venzioni saltuariamente inviate dal Ministero della Pubblica Istruzione. Nel giro di questi dieci anni la biblioteca però progredì in fretta, il patrimo- nio librario crebbe notevolmente, ma non dobbiamo dimenticare che il merito fu soprattutto dovuto all’iniziativa di tutti quei privati che, consapevoli della missione culturale ed educativa della biblioteca, contribuirono al suo sviluppo

(6) A.S.C.S., F. 1171, Delibera della Commissione sull’ordinamento della biblioteca, 6 no- vembre 1969. 105 L’interno della Biblioteca Civica nella sede in Via Palazzo di Città (Palazzo del Tribunale) in una fotografia scattata il 21 maggio 1967, quando si celebrò il centenario dell’istituzione. con numerose offerte di denaro e donazioni di libri. Del gran numero di questi donatori non facevano solamente parte letterati o comunque persone di un cer- to livello sociale, ma anche persone più modeste e umili che pur comprende- vano l’importanza di dotare la città di una biblioteca: accanto dunque ai nomi di professori, notai, avvocati, maestri, quali per esempio Alessandro Fabre, Giuseppe Clapier, Oreste Hermil, oppure di storici, politici, uomini di cultura quali Domenico Berti, Cesare Cantù, Felice Chiapusso, Ugo Rosa troviamo i nomi di persone meno conosciute, il panettiere G.B. Buffa, il ceraio Luigi Chiapussi, l’orologiaio. Comunque, proprio per il fatto che gran parte dei libri proveniva da dona- zioni di privati, fin da allora la biblioteca si ritrovò ad essere ricca di pregiate opere antiche e a difettare invece di opere popolari moderne e di facile lettura. Purtroppo però, per quanto riguarda questi primi anni non esistono documenti o relazioni che descrivano o quantifichino precisamente il materiale librario posseduto dalla biblioteca. Dai documenti d’archivio sappiamo comunque che nel 1869 essa era già abbonata al Giornale delle Biblioteche diretto da Euge- nio Bianchi e associata al supplemento di tale giornale, il Monitore delle bi- blioteche popolari circolanti. Questo fu anche l’anno della morte del primo bibliotecario Bartolomeo Pu- 106 gno Ç...le cui cure intelligenti ed assidue attorno a codesto nascente istituto la- sciano del medesimo desiderio grandissimoÈ (7). Il 12 luglio, sempre nelle forme segrete volute dalla legge, con votazione del Consiglio comunale venne eletto a sostituirlo il prof. Francesco Podio, in- segnante di prima e seconda classe ginnasiale. Si decise anche, in questa occa- sione, di aggiungere un membro alla Commissione amministratrice nella per- sona dell’avv. Felice Chiapusso; la Commissione venne a questo punto ad es- sere composta da quattro persone, cioè dal bibliotecario, nel ruolo di presiden- te e da altri tre membri; la loro carica aveva la durata di tre anni e poteva esse- re riconfermata. Il Podio, già anziano, ricoprì il ruolo fino alla data della sua morte, 14 no- vembre 1876, quindi per circa sette anni. Pur avendo lavorato in condizioni per lui poco adatte (cosa che non mancò mai di sottolineare nelle sue lettere indirizzate al sindaco: «...è strettamente necessario il traferimento della biblio- teca in una nuova sede, perché così continuando i libri stessi per l’umidità de- periscono, ed io pure con mio rincrescimento non potrei più a lungo occupar- mene per il locale malsano, principalmente per la mia avanzata eta...È (8)), an- ch’egli si impegnò scrupolosamente nell’ordinare la biblioteca e nel fare ac- quisti di nuovi libri: era importante che questi fossero adatti per una biblioteca di carattere popolare. Sappiamo per esempio dell’acquisto della sesta edizione dell’Historia Uni- versale, del Vocabolario della Crusca; la biblioteca fu inoltre abbonata alla Biblioteca Classica economica della Sonzogno e alla Guida per le arti e i me- stieri. Teniamo presente comunque che la scelta dei libri era soprattutto detta- ta dalla disponibilità economica: le condizioni poco floride di Susa immedia- tamente dopo l’apertura del traforo del Frejus non permettevano di stanziare in bilancio somme considerevoli per la biblioteca. Quando il denaro non era suf- ficiente si cercava di acquistare i libri da privati, in modo da poterne patteggia- re il prezzo. Talvolta furono purtroppo venduti anche alcuni dei vecchi libri dei Cappuccini, considerati allora di scarsa importanza, in modo da ricavarne il necessario per l’acquisto di libri più nuovi.

L’insigne bibliotecario Ferreri Alla morte del Podio si fecero avanti due segusini, Ippolito Bonini e il prof. Giovanni Ferreri, che inviarono al Comune rispettosa domanda al fine di farsi assegnare la carica, ancora gratuita, di bibliotecario civico.

(7) A.S.C.S., F. 1171, Verbale di deliberazione del Consiglio Comunale, l2 1uglio 1869.

(8) A.S.C.S., F. 1171, Il bibliotecario Podio al Sindaco di Susa G.B. Garino, lettera del 4 maggio 1870. 107 L’8 dicembre 1876, in seguito a votazione, il Consiglio comunale affidò la direzione della biblioteca a Giovanni Ferreri, professore di Lettere e di Doveri e Diritti del cittadino Çalla scuola tecnica pareggiata di SusaÈ (9). Sarà proprio quest’uomo, nativo di Barbanìa, a portare la biblioteca ad un livello di consolidamento e di notorietà davvero inaspettati. Zelante, preciso, appassionato, il Ferreri durante i dieci anni in cui svolse il ruolo di bibliotecario dedicò alla biblioteca tutto il suo tempo libero. Il suo obiettivo fu da subito quello di riuscire finalmente a rendere attiva la vita della biblioteca, aprendola cioè all’intera cittadinanza e mettendo finalmente in vi- gore, pur se in condizioni precarie, il servizio di prestito libri: Ç...Cercando di dar vita all’istituzione della Biblioteca mi propongo di conseguire un bene a vantaggio della cittadinanza in generale e soprattutto della gioventù» (10). Per ottenere questo era però necessario procedere con un riordino e una se- lezione generale di tutti quei libri fino a quel momento confusamente ammas- sati nella piccola biblioteca: dopo circa tre mesi di assiduo lavoro fu quindi in grado di inviare al Comune un Primo Regolamento relativo al funzionamento della biblioteca, un Primo Catalogo Generale ed una Relazione del lavoro da lui compiuto, debitamente corredata di notizie riguardanti lo stato materiale ed economico della biblioteca. Il Regolamento, compilato in data 14 gennaio 1877 dal Sig. Felice Chia- pusso membro della Commissione e deputato provinciale, perfezionato e com- pletato poi da tutta la Commissione e definito come Regolamento per la bi- blioteca della città di Susa (Art. l-19, Amministrazione, Ordinamento inter- no), venne approvato dal Consiglio comunale il 29 settembre 1877 e pubblica- to col visto della Prefettura del 19 novembre 1877. Purtroppo il Catalogo generale, per la compilazione del quale il Ferreri dis- se di aver seguito il disposto delle vigenti leggi sull’ordinamento delle biblio- teche governative, è oggi introvabile, ma grazie alla diligente Relazione sap- piamo che era suddiviso in otto parti. La prima parte registrava tutti i libri che trattavano di Storia antica, e il Ferre- ri precisò: «...in proposito piacemi il dire che la biblioteca ha nel genere storico una ben ricca collezione di opere antiche, ai nostri giorni assai ricercate e pregia- bilissime...È. é inoltre specificato che furono radunati in un settore a parte della biblioteca tutti i libri che riguardavano la storia di Susa e della valle. La seconda parte comprendeva i libri relativi alla scienza medica (erano opere antiche e mo- derne quasi tutte donate alla biblioteca dal dottore collegiato Angelo Maffoni); la terza i libri religiosi provenienti dai conventi soppressi di Susa e Avigliana; la quarta libri di teologia, la quinta libri ascetici; la sesta libri rari, manoscritti, au-

(9) A.S.C.S., F. 1171, Estratto del Verbale del Consiglio Comunale, 8 dicembre 1876.

(10) A.S.C.S., F. 1171, Giovanni Ferreri al Sindaco di Susa, lettera del dicembre 1876. 108 Nel cortile del Castello, attraverso un bel porticato si accede ai locali dell’ala sinistra, al cui primo piano è sistemata la Biblioteca Civica. A sinistra dell’ingresso, a pianterreno, i locali riservati al- l’Archivio Storico della Città di Susa, fonte importante di documentazione per gli studiosi. (Dise- gno di Valerio Tonini). tografi (i manoscritti erano 78, trattavano quasi tutti di filosofia e di teologia; v’erano poi lettere, decreti, delibere. Il più antico risaliva al 1783, ma per la maggior parte era impossibile risalire alla data d’origine); la settima le carte geo- grafiche; l’ottava elencava il numero degli scaffali, sedie, tavoli, ecc. Grazie poi ad una tabella compilata sempre dal Ferreri siamo a questo pun- to in grado, dopo ben dieci anni dalla fondazione, di vedere quantificato per la prima volta il patrimonio librario della biblioteca.

Storia, Geografia, Scienze volumi 898 Medicina e Chirurgia volumi 635 Prediche, Quaresimali volumi 369 Teologia volumi 353 Bibbie, libri ascetici volumi 329 Totale volumi 2.608 109 Nella tabella del prof. Ferreri figuravano anche: Manoscritti 78 Carte geografiche 4 Incisioni 1 Libri inservibili 238 Ricorda ancora il Ferreri, nella Relazione, che i due libri più antichi posse- duti dalla biblioteca erano una Bibbia latina illustrata, scritta in caratteri gotici, stampata a Parigi nel 1512 (11) e i Commentarii di Giulio Cesare, con carte geografiche, stampati a Venezia nel 1513 (12). Se si pensa che la prima Bibbia, detta delle 42 linee, venne stampata nel 1455, si ha ancora oggi tutto il diritto di conservare come preziosi questi due libri, editi l’uno 62, l’altro 63 anni dopo. Si verrà ad aggiungere, probabilmente poco più tardi, un altro prezioso li- bro, del 1497: i Rhetoricorum libri cure tribus comentis, di Cicerone (13).Vi erano in tutto circa 40 opere stampate prima del 1600, tra cui l’edizione di To- rino del 1579 della Summa Aurea, volgarmente detta Somma Ostiense, scritta da Enrico di Susa (Cardinale Ostiense vissuto nel 1200), discendente dalla fa- miglia fiorentina dei Tolomei, celebre canonista e giureconsulto ricordato an- che da Dante nel XII canto del Paradiso (14). La Summa Aurea fu, dopo la Bibbia, tra i libri a stampa più diffusi subito dopo l’invenzione del Gutemberg (15).

Finalmente si apre al pubblico Alla fine del gennaio 1877 il Ferreri vide finalmente realizzato il suo obiet- tivo: col consenso del Comune la biblioteca venne ufficialmente aperta al pub-

(11) Biblia cum pleno apparatu..., Parigi, Simon Vostre, 1512. (12) Caesaris de Bello Gallici Commentarius, Venezia, s.n., 1513.

(13) CICERONIS M.T., Rhetoricorum libri cum tribus comentis, Venetiis, Impressum per Jaco- binu Suigu, 1497. (14) Ai versi 82-85 del canto XII nel Paradiso della Divinia Commedia Dante Alighieri esal- ta la figura di San Domenico: «Non per lo mondo, per cui mo s’affanna / di retro ad Ostïense e a Taddeo / ma per amor de la verace manna / in piccol tempo gran dottor si feo;È (Non per pro- cacciarsi beni mondani, per i quali adesso ci si affanna a seguire gli insegnamenti dell’Ostiense e di Taddeo, ma solo per avere nutrimento spirituale (Çla verace mannaÈ) [San Domenico] in poco tempo è diventato un gran dottore). L’Ostiense è il celebre canonista Enrico di Susa; Tad- deo d’Alderotto è l’autore di trattati di medicina.

(15) HENRICI DE SEGUSIO Cardinalis HOSTIENSIS, Summa Aurea, Augustae Taurinorum, apud heredes Nicolai Bevilaquae, 1579. 110 Il locale della segreteria e della consultazione presso la Biblioteca Civica di Susa. blico. Possiamo immaginare la soddisfazione di questo umile bibliotecario che già nel 1872, quando era solamente un accanito sostenitore della biblioteca, co- sì aveva scritto al sindaco di Susa Simeone Chiapusso: «...Scopo pertanto di questa lettera si è il manifestare il bisogno da tutti sentito che venga resa di pubblica utilità la biblioteca di cui va provvista Susa. Non avvi chi ignori i nu- merosi e profondi cangiamenti che vanno succedendogli nel mondo civilizzato dal principio di questo secolo... In mezzo a tanti affacendarsi chi potrà ancora credersi in diritto di rimanere inerte osservatore? Tutti sono chiamati a prende- re parte attiva in su la scena del teatro mondiale, e a mettere in grado l’indivi- duo ad occupare convenientemente il posto che in società gli compete non sono sufficienti le scuole... ma vediamo come mezzo efficacissimo per educarci ad accrescere il patrimonio delle utili cognizioni sia la lettura di ottimi libri...È (16).

La biblioteca incominciò dunque ad essere tenuta aperta tutte le domeniche mattina dalle ore 9.00 alle ore 10.00 e al pomeriggio dalle ore 14.00 alle ore

(16) A.S.C.S., F. 1171, Giovanni Ferreri al Sindaco di Susa S. Chiapusso, lettera del 14 otto- bre 1872. 111 15.00. Non esiste nessuna pratica che ne dia testimonianza, tuttavia da docu- menti successivi mi sembra di riuscire a dedurre che fu proprio in questo pe- riodo che la biblioteca venne trasferita dal Municipio al Palazzo della Pretura, in un locale un poco più ampio, ma nuovamente piuttosto infelice, in quanto collocato nel seminterrato dell’edificio, perciò decisamente umido, buio e freddo. Di certo per questo primo anno la biblioteca funzionò in modo ancora ab- bastanza provvisorio: per le condizioni poco favorevoli del locale era impossi- bile permettere che i libri fossero consultati in sede; potevano però essere pre- si in prestito in seguito a ricevuta scritta su apposito registro. Comunque, nella relazione sull’andamento della biblioteca civica presentata alla Commissione dal bibliotecario nella seduta del 31 dicembre 1877, si dichiarò che nel corso di tutto l’anno furono soddisfatte le richieste di 292 individui e che furono messi in circolazione 560 volumi (soprattutto opere storiche). Ciò sta a dimo- strare che la biblioteca fu subito accolta favorevolmente dai cittadini di Susa. Con la contentezza di un uomo che si sta adoperando con tutto l’animo alla realizzazione di un proprio progetto il Ferreri scrisse anche che, per la prima volta dopo la fondazione, il 27 giugno 1877 la biblioteca fu visitata ufficial- mente dal senatore avv. Angelo Barioni, prefetto della provincia di Torino e dal cavalier Gioachino Rho, provveditore agli studi. Aggiunse anche che nello stesso anno ben quattro giornali si occuparono per la prima volta della biblioteca di Susa: 1. La Gazzetta di Torino, n. 178, 30 giugno 1877 2. La Gazzetta del Popolo di Torino, 29 giugno 1877 3. Il Bollettino del Comizio Agrario di Susa, Anno II, 1877 4. La Palestra della Nazione, Ferrara, 31 marzo 1877 (17).

Alla fine del 1877 il Comune decise di portare a Lire 100 la somma annua- le da destinare alla biblioteca: ÇI rappresentanti del Comune elevando di bel nuovo a cento lire la somma da spendersi a beneficio della biblioteca in consi- derazione di quel poco di vita che io le aveva saputo infondere, mi fecero il più caro, il più ambito elogio che io mi potessi aspettare» (18). Al diligentissimo bibliotecario si deve anche l’iniziativa di inviare alla Gazzetta del Popolo dei bollettini trimestrali, a partire dalla fine del 1877. Ol- tre a cenni statistici riguardanti l’andamento della biblioteca, essi comprende- vano anche l’elenco dei nomi di coloro che facevano dono di libri alla biblio- teca stessa. Gli incoraggianti risultati ottenuti dalla biblioteca in questo perio-

(17) A.S.C.S., F. 1171, Relazione annuale 1877, 31 dicembre 1877.

(18) A.S.C.S., F. 1171, Il bibliotecario Ferreri al Sindaco F. Genin, lettera del 28 novembre 1877. Cfr. anche sopra, pag. 22. 112 Una delle sale della Biblioteca Civica di Susa nella attuale sede del Castello, prima che iniziasse- ro i lavori di ristrutturazione dell’antico edificio. Purtroppo si è creata una situazione di emergenza della quale non è facile prevedere la conclusione. do erano sicuramente dovuti anche a queste periodiche pubblicazioni, che ser- vivano a ringraziare i vari donatori e nello stesso tempo fungevano da stimolo ad imitarne l’esempio. Tali bollettini, puntualmente pubblicati dalla Gazzetta del Popolo, per gen- tilezza del dott. Bottero che gratuitamente aprì le colonne del suo diffuso gior- nale, vennero ritagliati e raccolti dal bibliotecario in un volume tuttora conser- vato (19). La Commissione incominciò poi a iscrivere il nome dei più cospicui dona- tori di libri o di denaro e di coloro che coll’opera o col consiglio contribuivano al buon andamento della biblioteca, anche in un apposito Albo dei Benemeriti esposto al pubblico nella sala della biblioteca, a perpetuo ricordo del donatore. I primi tre nomi che comparvero in tale elenco furono quelli del can. Bartolo- meo Pugno, del dott. Angelo Maffoni e del prof. Francesco Podio. Così recita l’articolo n. 5 del primo Regolamento: ÇIl nome degli oblatori

(19) Raccolta dei Bollettini pubblicati a nome della Commissione direttrice della Biblioteca Civica di Susa, 1877-1912, a cura di GIOVANNI FERRERI. 113 di ragguardevoli somme di denaro e di coloro che facessero cospicue donazio- ni di libri, disegni, ecc., verrà, in seguito a speciale deliberazione della com- missione, iscritto nell’elenco che dovrà essere sempre esposto in biblioteca, ed i libri, manoscritti, disegni, ecc. donati porteranno nel catalogo generale, ac- canto al titolo dell’opera, il nome del donatore».

La biblioteca si consolida Scrisse il sindaco Federico Genin nell’aprile del 1878: ÇLa biblioteca non ebbe vera e propria vita se non quando nel 1877 venne assunto alle funzioni di bibliotecario il prof. Ferreri, il quale, postovi studio e amore, trasse da quella informe massa di libri una ordinata biblioteca, ne com- pose il catalogo e l’inventario, incuorò i donatori, organizzò le letture a domi- cilio, in una parola la rese efficacemente profittevole...È (20). L’amore per la cultura, la pazienza, l’ambizione di questo bibliotecario fe- cero sì che il decennio 1876-1886 sia probabilmente il periodo più importante e incisivo per quanto riguarda la vita e l’evoluzione della biblioteca di Susa. Con quanto sdegno il Ferreri stesso scrisse al sindaco Genin di aver letto il giudizio che nel 1816 il francese A.S. Millin (21) aveva dato di Susa nel Voyage en Savoie, en Piémont, à et à Gènes: ÇLa nourriture de l’esprit n’est pas plus abondante a Suze que celle du corps. Il n’y a ni bibliothèque ni cabinet». Non era davvero tollerabile che Oltralpe si potesse avere una tale conside- razione dello stato intellettuale, economico e materiale della città! (22). Ci si impegnò perciò a tal punto che, quella che nel 1877 era una modesta biblioteca ancora sconosciuta dalla maggior parte della cittadinanza, nel giro di pochi anni si ritrovò ad essere frequentata ed apprezzata da un numero sem- pre più cospicuo di lettori e studiosi e il patrimonio librario ad essere addirittu- ra triplicato, grazie ai continui e sempre più cospicui doni di privati che crede- vano fermamente in questa nuova istituzione. Pensiamo che il solo cav. Enrico Montabone, di Borgone di Susa, già iscritto nell’Albo dei benemeriti, per tanti anni inviò puntualmente e gratuitamente alla biblioteca più di una ventina di periodici riguardanti svariati argomenti, dalla politica all’economia, dall’arte alla letteratura, alla storia, alla scienza. Il Ministero della Pubblica Istruzione, in data 9 agosto 1879, riconobbe uf- ficialmente l’esistenza di questa biblioteca e nell’arco di pochi anni mandò in

(20) A.S.C.S., F. 1171, Il Sindaco F. Genin al Consiglio Comunale, Relazione del 1 maggio 1878.

(21) A.S. MILLIN, Voyage en Savoie, en Piémont, à Nice et à Gènes, Paris, Wassermann, Tip. Sajou, 1816; vol. I, pag. 131.

(22) A.S.C.S., F. 1171, Il bibliotecario Ferreri al Sindaco di Susa, lettera del 18 marzo 1877. 114 dono di incoraggiamento ben tre sussidi in libri e due assegni di Lire 50. Scris- se il Ferreri: ÇIl Ministero della Pubblica Istruzione ha trattata la biblioteca Susina come quelle di Genova, di Bologna e di altre città di prim’ordine». Del 1880 fu il sussidio di Lire 250 inviato dalla Deputazione provinciale, somma che venne depositata in Banca e destinata per comprare il Supplemen- to della Enciclopedia popolare, allora in corso di pubblicazione (23). La Regia Deputazione di Storia Patria di Torino donò invece la Miscella- nea di Storia Italiana, a partire dal volume XVI, I della seconda serie. La bi- blioteca riuscì così a mettere insieme parecchie importanti collezioni, utili per l’interesse di tutti, tra cui per esempio la Biblioteca Classica economica, la Bi- blioteca del Popolo, la Biblioteca universale antica e moderna, tutte della Sonzogno, la Biblioteca illustrata dei viaggi, della Guigoni, la Biblioteca agraria del Moretti, la serie scientifica dei Manuali Hoepli. Il bibliotecario e gli uomini della Commissione erano instancabili: fu pun- tualmente compilato sia il Bollettino mensile da esporre nel vestibolo della bi- blioteca, recante l’annotazione dei libri giunti in dono e dei nomi dei donatori, sia il Bollettino trimestrale da pubblicare sulla Gazzetta del Popolo. Seguendo l’Art. 13 del Regolamento in vigore, alla fine di ogni anno venne compilata dal bibliotecario una Relazione annuale, molto precisa e dettagliata, che rias- sumeva in pratica l’andamento della biblioteca. Tali relazioni sono state quasi tutte conservate e tornano molto utili oggi per ricostruire la storia della Biblio- teca. Alla fine dell’anno l’inventario generale veniva aggiornato con delle «Ap- pendiciÈ. Il Ferreri inoltre per tutti gli anni in cui restò in carica ebbe anche cura di trascrivere su quaderni, tuttora conservati, tutte le lettere ricevute o in- viate dalla biblioteca.

I manoscritti di Placido Bacco La biblioteca continuò ad essere tenuta aperta al pubblico la domenica, ma anche in settimana, su richiesta e secondo la disponibilità del bibliotecario, vi si poteva accedere. Nonostante non mancassero le lamentele da parte della Commissione sull’inadattabilità del luogo in cui trovava sede («...il salnitro trovasi in abbondanza e i muri sgretolano da ogni parte...») ci si sforzò di ren- dere più confortevole e pratica la biblioteca con l’acquisto di scaffali, sedie, tavoli, tappeti, quadri, ecc. Nel 1879 la biblioteca impreziosì il patrimonio librario acquistando i quat- tro volumi manoscritti dell’illustre archeologo della Valle di Susa Padre Placi- do Bacco da Giaveno, morto in Torino il 19 maggio 1879:

(23) A.S.C.S., F. 1171, Relazione annuale 1880, 31 gennaio 1881. 115 1. Avigliana - Santuario, dissertazione e miscellanee, 387 facciate in volu- me unico, Pinerolo, 1 maggio 1864 2. Avigliana e il R. Santuario, 476 facciate in volume unico, Pinerolo, 30 settembre 1865 3. Avigliana e il R. Santuario, 438 facciate in volume unico, Avigliana, 14 settembre 1868 4. Cenni storici su Avigliana e Susa, 286 facciate. Venne aperta una pubblica sottoscrizione per riuscire a raccogliere la som- ma necessaria al pagamento dei preziosi manoscritti e alla pubblicazione di al- meno una parte; furono incaricati a ricevere le offerte i Tipografi di Susa Gui- do Gatti e Giuseppe Ramondetti (24). Le offerte furono numerose e nel giro di tre anni si riuscì a portare in stam- pa i due volumi intitolati Cenni storici su Avigliana e Susa (25). L’opera, corredata dall’elenco degli oblatori e da un resoconto della Com- missione, venne venduta al prezzo di Lire 4 e l’intero ricavato della vendita fu speso a totale beneficio della biblioteca. Questo era il giudizio del settimanale Dora Riparia su Padre Bacco: Ç...di- remo che l’esimio storico di Susa ed Avigliana seppe con molta sagacia e fine acume ricercare le nostre più antiche memorie dal tempo dei Romani, narran- do in semplice e chiara forma le vicende fortunose di queste nei passati secoli, discorrendo di numismatica, di riti religiosi, di fatti d’armi più importanti ed eccitando sempre vivissimo interesse nel lettoreÈ (26).

1881: 5.000 libri, 4.720 richieste di lettori Così, grazie ai libri che era ormai in grado di acquistare e a quelli che le ve- nivano donati, dai 2.608 volumi totali posseduti nel 1877 la biblioteca soltanto pochi anni dopo, nel 1881, raggiunse i 4.913 volumi. Si soddisfecero 4.720 ri- chieste, contro le 292 del 1877 (27). Per una questione di praticità, dato il crescente numero di libri, si provvide ad applicare a ciascun volume un’etichetta che riportava una lettera dell’alfa- beto numerata, corrispondente alle indicazioni date nel Catalogo generale. Ricordiamo che oltre al Catalogo generale per materie la biblioteca venne anche dotata di un Catalogo alfabetico e furono compilati dei Cataloghi spe-

(24) A.S.C.S., F. 1171, Copia della delibera del Consiglio Comunale, 21 giugno 1879.

(25) Padre PLACIDO BACCO da Giaveno, Cenni storici su Avigliana e Susa, Susa, Tip. Gatti 1881. Nel 1995 «Segusium» ha fatto ristampare l’ormai introvabile Cenni storici su Avigliana e Susa, in due volumi (pagine 280).

(26) G.I. ARMANDI, articolo in ÇLa Dora RipariaÈ n. 23, Susa, 10 giugno 1883.

(27) A.S.C.S., F. 1171, Relazione annuale 1881, 31 dicembre 1881. 116 ciali, tuttora conservati: il Catalogo dei manoscritti e autografi, il Catalogo di edizioni antiche e libri rari stampati prima del 1600, il Catalogo delle opere possedute dalla biblioteca riguardanti la città di Susa e il Circondario, il Cata- logo di opere comperate per conto della biblioteca coi fondi stanziati in bilan- cio dal Comune. Esisteva pure un Catalogo generale scritto su apposite schede di cartoncino.

Il prof. Ferreri spiegava la procedura messa in atto nel momento in cui un nuovo libro entrava in biblioteca (28). La procedura era già abbastanza simile a quella attuale. Ancora oggi i libri che entrano in biblioteca, prima di essere collocati sugli scaffali, vanno regi- strati, inventariati e catalogati: sono pertanto indispensabili almeno un inven- tario topografico, un catalogo alfabetico per autori e un catalogo a soggetto. Il Ferreri non si sofferma sulla descrizione delle norme seguite nella cataloga- zione dei libri, ma possiamo immaginare che già allora esse dovevano rappre- sentare un problema: è del 1885 infatti il concorso bandito dal ministro della Pubblica Istruzione on. Michele Coppino (29) che destinava un premio all’au- tore dello scritto che dettasse le regole più razionali e pratiche per la formazio- ne dei cataloghi. In Italia soltanto nel 1921 fu approvato un primo Codice uni- co di norme per la compilazione del catalogo alfabetico; aggiornato e modifi- cato nel 1956. é stato sostituito nel 1978 dal nuovo Codice per la compilazio- ne del catalogo alfabetico per autori, tuttora utilizzato, intitolato Regole italia- ne di catalogazione per autori.

Medaglie al merito per la biblioteca di Susa Nel 1881 il Ferreri fece partecipare la biblioteca di Susa alla Esposizione Industriale Nazionale di Milano, inviando in data 27 marzo ’81 la monografia Cenni storici e statistici sull’origine e progresso della Biblioteca popolare cir- colante di Susa: con grande soddisfazione di tutta la cittadinanza e soprattutto della Commissione, la biblioteca venne premiata con la ÇMenzione Onorevo- leÈ. Motivo di ulteriore orgoglio fu il fatto che in tutto le biblioteche premiate

(28) A.S.C.S., F. 1171, Il bibliotecario Ferreri a Francesco Uccelli, Presidente dell’Associa- zione di Mutuo Soccorso degli operai di Casalmaggiore (Cremona), lettera del 16 dicembre 1884. (29) Michele Coppino era nato ad Alba nel 1822 (morto a Torino nel 1901); studiò nel locale seminario e poi si laureò in lettere a Torino nel 1844, insegnò retorica a Demonte, Pallanza, No- vara, dal 1844 al 1848. Ministro della Pubblica Istruzione nel 1867 (Ministero Rattazzi) e di nuovo nel 1876 (Ministero Depretis) viene considerato «l’artefice dell’istruzione elementare obbligatoria», ma anche il ministro che definì un percorso di studi organico per gli studenti gin- nasiali e liceali. Insegnò dal 1865 all’Università di Torino. 117 furono solamente quattro: la Biblioteca popolare di Milano, quella di Chiaven- na, la Biblioteca magistrale di Domodossala e, appunto, quella di Susa (30). Così tre anni dopo, nel 1884, memore di questa prima felice esperienza, il Ferreri presentò all’Esposizione Generale Italiana di Torino una seconda più estesa e particolareggiata monografia, intitolata Cenni storici e statistici sulla Biblioteca civica popolare circolante di Susa ed i due volumi legati in uno di Padre Placido Bacco, editi dalla Commissione della biblioteca coi proventi di pubblica sottoscrizione. La giovane e piccola biblioteca fu questa volta tra le sole tre biblioteche italiane che ebbero una onorificenza e venne premiata con un diploma ed una medaglia di bronzo. Dall’elenco ufficiale dei premiati que- ste risultano essere le tre sole medaglie assegnate alle biblioteche d’Italia: 1) Regia Biblioteca Vittorio Emanuele, Roma = medaglia d’argento 2) Biblioteca magistrale, Domodossola = medaglia di bronzo 3) Biblioteca civica popolare circolante, Susa = medaglia di bronzo (31). Grazie soprattutto alle offerte di Lire 100 dell’avv. Teodoro Sollier e di Li- re 104 del sindaco Michele Buffa, fu possibile stampare 500 copie di questa monografia: esse furono poi regalate a titolo di riconoscenza ai vari benefatto- ri della biblioteca (32). A differenza di questa, la Monografia del 1881 non ven- ne invece stampata e oggi noi non saremmo in grado di leggerla se il Ferreri non si fosse preso cura di ricopiarla su di uno dei quadernetti nei quali trascri- veva la corrispondenza.

Le monografie sono oggi utilissime per ricostruire la storia della biblioteca dalla fondazione fino al 1884. Vennero dedicate «Alla città di Susa, prima culla della dinastia Sabauda, eletta dalla provvidenza a raccogliere in una sola famiglia tutti i figli d’Ita- lia...È. Sono abbastanza simili: entrambe possono infatti essere suddivise in due sezioni distinte: 1. Cenni storici e statistici; 2. Regolamento in vigore. La prima è la parte più ampia e quella che maggiormente ci interessa. Dopo alcune brevi notizie storiche troviamo innanzitutto una accurata descrizione dei Cataloghi esistenti, quindi notizie sui libri più antichi posseduti dalla bi- blioteca e, solo su quella del 1884, su personaggi storici di Susa, quali il Car- dinale Ostiense, il Monaco Giona, Padre Bacco da Giaveno. Segue l’elenco delle principali collezioni, dei dizionari, delle cronache, degli atlanti, degli au- tografi. La Monografia del 1881 dedica anche un paragrafo all’elenco dei pe- riodici e dei principali autori delle opere storiche possedute dalla biblioteca.

(30) La Gazzetta di Susa, n. 4, Anno I, 23 ottobre 1881.

(31) A.S.C.S., F. 1171, Relazione annuale 1884, 31 dicembre 1884.

(32) GIOVANNI FERRERI, Cenni storici e statistici sulla Biblioteca Civica popolare circolante di Susa, Torino, Tip. Giuseppe Tarizzo, 1884, 71 pp. 118 Vengono infine notizie varie riguardanti la Commissione, le Relazioni annuali, l’orario di apertura, i Bollettini, i frequentatori della biblioteca. Veniamo a sa- pere che era sempre più frequentata da impiegati, operai, contadini, militari, li- beri professionisti e che era intanto salita a 200 Lire la somma stanziata in bi- lancio dal Comune per la biblioteca. Nella seconda parte delle due Monografie è riportato per intero l’ultimo Regolamento per la biblioteca messo in vigore dal 21 ottobre 1880 e suddiviso in 19 articoli, il primo dei quali recitava: ÇLa Biblioteca Civica di Susa è desti- nata a diffondere l’istruzione popolare ed è dichiarata Circolante».

La Monografia del 1881 riportava in conclusione la copia dell’elenco dei libri antichi stampati dal 1512 al 1600 posseduti dalla biblioteca. Tale elenco non è stato però trascritto dal Ferreri sul quadernetto. Nella Monografia del 1884 troviamo invece un Elenco alfabetico degli oblatori di somme di denaro, dei donatori di libri, disegni, manoscritti: compare il nome, il cognome e il luogo di residenza di tutti coloro che avevano fatto donazioni alla biblioteca fino al gennaio 1884. Sono infine riportate alcune deliberazioni nelle quali è dimostrata tutta la stima portata dalla Commissione e dal Comune nei riguardi dell’opera del Fer- reri. é precisato comunque che tali Atti e deliberazioni della direzione della Biblioteca civica e del Consiglio comunale di Susa «...erano stati dall’egregio bibliotecario per eccesso di modestia lasciati in disparte e che suo malgrado la Commissione volle dovessero servire di corollario al suo pregiato lavoroÈ.

Tanti libri e anche un ÇvicebibliotecarioÈ Il patrimonio librario della biblioteca intanto nel 1884 raggiunse i 5.933 volumi. La Commissione amministratrice ritenne a questo punto necessario nominare un Vicebibliotecario, in quanto ormai il bibliotecario non era più in grado da solo di occuparsi della gestione della biblioteca. In data 3 dicembre 1883 fu deliberata l’aggiunta all’Art. 3 del Regolamen- to: ÇIl Consiglio Comunale sulla Proposta della Commissione dirigente elegge pure un Vicebibliotecario, il quale, sotto la direzione immediata del biblioteca- rio, lo coadiuverà nell’esercizio delle sue funzioni e ne farà le veci durante le sue assenze; in tali casi con pari diritto di voto. La sua nomina sarà pure trien- nale e potrà venire riconfermato». Venne pubblicato un avviso di concorso il 15 gennaio 1884, ma allo scadere del termine ultimo per presentare domanda, il 31 gennaio, nessuno ancora si era fatto avanti. La Commissione allora Ç...ri- conoscendo la necessità che questa carica venga tosto occupata da qualcuno delibera di dare una indennità non minore di L. 150 annue al vicebiblioteca- rioÈ. E ricordando il servizio gratuito prestato alla biblioteca dal Sig. Roberto Pietro durante le vacanze autunnali del 1883, nella seduta del Consiglio Co- 119 munale del 29 marzo 1884 si decise di assegnare a lui la carica triennale di vi- cebibliotecario (33). Egli accettò e da subito ricevette l’indennità annuale che gli spettava. Nel 1885 il sindaco Michele Buffa concesse che anche lo scrivano munici- pale, il maestro Beniamino Bruno, prestasse la sua opera di amanuense in bi- blioteca al mattino della domenica, facilitando così la consegna, la registrazio- ne e la distribuzione dei volumi. Sappiamo poi anche della presenza, sempre alla domenica, di due aiutanti volontari, i signori Chiarmasso Domenico e Grange Pietro (34). é del 1886 la richiesta al Comune da parte del bibliotecario di nominarli ÇAssistenti della bibliotecaÈ mediante una qualche retribuzione.

Teniamo conto che il 27 ottobre 1884 fu fondato a Susa il Museo Civico per iniziativa del prof. Ugo Rosa, commissario della biblioteca. Egli riuscì in- fatti a realizzare il desiderio espresso da suo padre, il celebre poeta Norberto Rosa, nella quarta nota dell’ultima sestina del poemetto L’arco di Susa, dove Ç...faceva caldi voti affinché si iniziasse un Museo per raccogliere preziosi do- cumenti atti ad attestare l’antichità, la civiltà, la grandezza di questa non favo- losa ma vera Fenice che cento volte incendiata e cento volte risorta dalle sue ceneri, meritò di fasciare il civico suo stemma col glorioso motto In flammis probatus AmorÈ (35). Il museo venne collocato in una stanza attigua alla biblioteca, e alla stessa Commissione della biblioteca ne fu affidata l’amministrazione: il bibliotecario si ritrovò perciò investito anche del ruolo di Conservatore del museo e il vice- bibliotecario di quello di viceconservatore. Per gestire queste due importanti istituzioni si era fatta dunque sentire l’esigenza di aumentare il personale. Ricordiamo coloro che in questo decennio si alternarono a far parte della Commissione: l’avv. Felice Chiapusso, Consigliere provinciale, Deputato al Parlamento; l’avv. Pio Garelli; Baldassarre Vietti, colonnello a riposo; Miche- le Buffa, Sindaco di Susa per più di un anno; Enrico Vazone, impiegato, consi- gliere comunale; Ugo Rosa, professore. Con soddisfazione il Ferreri ci ha lasciato scritto nella Relazione dell’anno 1885 della visita che avevano fatto alla biblioteca prima il sen. comm. avv. Bartolomeo Casalis, Prefetto della Provincia di Torino, e poi il comm. dott. Carlo Gioda, Provveditore agli studi della Provincia di Torino. In tale anno la biblioteca ricevette 282 volumi donati dal Club Alpino Italiano, sezione di Su- sa, in seguito al suo scioglimento.

(33) A.S.C.S., F. 1171, Verbale del Consiglio Comunale, 8 aprile 1884.

(34) A.S.C.S., F. 1171, Relazione annuale 1885, 31 dicembre 1885. (35) Corrispondenze, lettera datata 1 ottobre 1884. 120 Non si poteva che essere orgogliosi del decoro che arrecava alla città que- sta biblioteca ormai sempre più conosciuta. La Gazzetta letteraria artistica e scientifica così ne tesseva gli elogi: «...ben a ragione può quindi parlare con intima compiacenza di successi e di servigi resi agli studi una biblioteca che, sorta quasi dal nulla, seppe rendersi conosciuta e grande e meritare in men di sette anni il titolo di Biblioteca popolare modello...È (36). Alla fine del 1886 per motivi di famiglia il Ferreri dovette purtroppo trasfe- rirsi a Torino dove incominciò ad insegnare lettere italiane alla regia scuola tecnica Sommeiller: egli dovette abbandonare perciò la «sua» biblioteca, alla quale aveva per tanti anni dedicato tutte le ore di libertà e i giorni di vacanza. Ricevute le sue dimissioni, il Consiglio comunale per dimostrargli la ricono- scenza del Municipio e della Città decise di rendergli onore conferendogli la Cittadinanza Susina e regalandogli un elegante calamaio di argento lavorato, opera pregiata di un valente orafo di Torino, su cui spiccava lo stemma della città con la scritta «La città di Susa al Prof. Giovanni Ferreri, Bibliotecario ci- vico dal 1876 al 1886È. All’atto della consegna il sindaco Michele Buffa gli rivolse le seguenti pa- role: ÇL’opera intelligente e solerte, lunga e paziente del prof. Ferreri, lascia a Susa una luminosa e duratura traccia ed i suoi dieci anni passati tra le pareti della nostra biblioteca segneranno nella nostra città un’epoca memorabile nel- la quale per il grande amore e per il grande affetto di un uomo ammirabile si è veduta rinascere, si è veduta crescere ognor più rigogliosa una istituzione che onora Susa e che può servire di modello ad altre città. Egregio Prof. Ferreri! Portandole il saluto di tutti i nostri concittadini, possiamo assicurarla che a Su- sa il suo nome sarà sempre ricordato con affetto e con riconoscenzaÈ (37). La Commissione direttrice scrisse il nome di lui nell’Albo dei benemeriti con questa motivazione: ÇBenemerito fra i benemeriti, alla nascente istituzio- ne dedicò se stesso con coscienza di compiere un sacro mandato. Con opera sapiente e instancabile la ordinò, la crebbe, le infuse nuova vita aprendola al pubblico a decoro della città, ad incremento dello studio e della morale» (38).

(36) La Gazzetta letteraria e scientifica, n. 38, settembre 1884. (37) L’Indipendente - Gazzetta di Susa e del Circondario, n. 6, Anno I, 1887. (38) Alla fine del 1994, anno cui fa riferimento la tesi di Cristina Scarato, la Biblioteca Civi- ca di Susa aveva un patrimonio di circa 28.000 volumi, tra i quali non pochi di notevole impor- tanza per la storia della Città e della Valle. Ogni anno entravano da 700 a 1.000 volumi, Çcon prestito medio di circa 7.000 libri all’anno». Non solo, ma da anni la Biblioteca prende anche Çiniziative in ambito culturale e socialeÈ, soprattutto per mezzo della Associazione Amici del Castello della Contessa Adelaide, di recente fondazione. Un punto dolente – fa notare l’autrice della tesi – è però il calo dei prestiti se paragonati, ad esempio, «con gli anni intorno all’inizio del 1900» quando «su di una media di circa 10.000 vo- 121 A rendere la misura della crescita e del movimento-libri della Biblioteca Civica di Susa serve bene la tabella seguente.

Movimento libri

Anno Richieste Volumi Volumi Volumi Volumi di volumi consultati donati acquistati registrati soddisfatte e messi sui cataloghi in circolazione

1877 292 560 376 20 3.080 1878 1.124 1.983 688 46 3.814 1879 3.274 4.029 397 131 4.205 1880 3.880 5.500 148 234 4.596 1881 4.720 6.035 267 50 4.913 1882 4.872 6.043 151 104 5.168 1883 4.970 5.649 261 139 5.568 1884 5.320 6.322 283 82 5.933 1885 5.340 6.491 660 118 6.673 1886 5.479 6.594 658 71 7.402

Il totale dei volumi di ogni anno dovrebbe corrispondere al totale dell’anno precedente più la somma dei doni e delle acquisizioni. Non sempre i conti tor- nano, specialmente per gli anni 1879-1880. Probabilmente i cataloghi non era- no perfettamente aggiornati. Si trattava di un lavoro lungo e minuzioso e i pur bravi bibliotecari non riu- scivano in certi periodi a tenere il passo tra il servizio al pubblico e l’organiz- zazione interna abbastanza complessa di una biblioteca già di rilevanti dimen- sioni.

lumi venivano annualmente dati in prestito circa 4.500 volumi e che nei nostri ultimi 15-10 an- ni invece, su circa 23.000 volumi di media tra consultazioni in sede e prestiti superiamo a mala- pena i 6.000 all’anno». 122 Dall’Ottocento ad oggi Nella impossibilità di pubblicare interamente la tesi di laurea di Cristina Scarato accenniamo almeno ad alcune tappe e situazioni significative nell’esistenza della Bi- blioteca Civica di Susa dopo la metà degli anni 1880 e fino ai giorni nostri. Per vari anni la situazione restò lontana dai requisiti per un sufficiente funziona- mento, tant’è vero che nella relazione del bibliotecario prof. Benedetto Romano per l’anno 1919 si legge: «La mancanza di un locale adatto anche alle più modeste esigen- ze degli studiosi costringe la nostra biblioteca, che pure è ricca di manoscritti e volumi preziosi, all’umile e modesta funzione di biblioteca circolante». Alla richiesta del prof. Romano di elevare il contributo annuale a L. 500 il Comu- ne di Susa rispose portandolo da 200 a 300 lire. Finalmente nel 1958 la nuova bibliotecaria Gemma Migliardi riuscì – leggiamo nella tesi Ð Ç...ad ottenere una nuova sistemazione: pur rimanendo nello stesso caseg- giato di Via Palazzo di Città, la biblioteca veniva trasferita dal seminterrato ai piani superiori, nei locali fino ad allora occupati dal museo che, a sua volta, in una sorta di gioco di scacchi, venne spostato nei locali del Castello della Marchesa Adelaide la- sciati liberi dalla Scuola Media (spostatasi a sua volta nel nuovo edificio di Piazza Sa- voia)È. Nel 1983 da Via Palazzo di Città la biblioteca salì al Castello di Adelaide, dove si trova ora. Dal 1987 «è stato affiancato alla biblioteca anche l’Archivio Storico Comu- nale, un patrimonio culturale di enorme valore ed importanza storicaÈ. Frattanto, a partire dal 1977 Çla carica di bibliotecario smise di essere onorifica e gratuita: il bibliotecario è nominato mediante concorso, è inserito a far parte del perso- nale comunale e tutt’oggi lavora a tempo pieno». Con Regolamento del 1981 è nato anche un «Consiglio di biblioteca» composto da una diecina di persone. In realtà questo Consiglio non ha poteri; «ha solo funzioni di rappresentanzaÈ ma, in effetti, con gli anni ha perso anche questa, sia pure modesta, funzione. Dal dicembre 1978 una Legge regionale attribuisce alle biblioteche vari compiti, sicuramente molto estesi e impegnativi (forse utopistici); così anche quella di Susa si è andata Çtrasformando in un vero centro di funzioni polivalenti nella vita culturale del- la comunità segusina». L’evoluzione è tuttora in corso ed è quindi prematuro stendere un bilancio di questi ultimi anni: ci si può soltanto augurare quell’avvenire produttivo e fortunato che meri- terebbe una biblioteca di queste caratteristiche e dimensioni in un territorio come la Valle di Susa.

123 I fichi secchi e il futuro La dott. Scarato Ð che ringraziamo Ð ha trattato il tema della sua tesi con equili- brio riconoscendo alla Biblioteca Civica di Susa pregi e meriti conquistati sul campo. Naturalmente queste glorie hanno nomi e cognomi di persone encomiabili che la tesi menziona con numerosi, documentati particolari. Tuttavia, nonostante la sua buona disposizione d’animo, la nostra ricercatrice non ha potuto tacere almeno uno dei guai di questa istituzione culturale e del collegato, prezioso Archivio Storico della città di Susa: il problema della Çscarsezza del perso- naleÈ. Infatti Çda parecchi anni la biblioteca – scrive Cristina Scarato – è gestita dal- la sola bibliotecaria (n.d.r. Maria Pia Piras), ma è davvero un po’ poco che in Susa ci sia una sola persona preparata a dirigerne il funzionamento: in caso di assenza della bibliotecaria la biblioteca viene tenuta chiusa. Fortunatamente oggi, come nel secolo scorso, si può contare sulla preziosa collaborazione di alcuni diligenti volontariÈ. Come si vede siamo purtroppo alle solite, diffuse situazioni italiane e in vita no- stra ne abbiamo viste diecine di consimili: Çle nozze con i fichi secchiÈ. Capi in testa di enti pubblici e di aziende private sono pronti a vantarsi di avere questo o quel servizio capace di conferire lustro; in realtà tengono in vita alcuni set- tori di attività destinando loro mezzi irrisori, da parenti in miseria, al limite della so- pravvivenza. Altro capitolo dolente è la sistemazione logistica: una volta tanto bisogna parlar- ne. Chi ha visto un po’ di biblioteche, antiche o moderne, famose o meno (da quella storica, stupenda, della Fondazione Cini di Venezia a quelle di Asti, di Colico, Son- drio, Morbegno, Alessandria, Sanremo, ecc.) si rende subito conto che i locali del Ca- stello di Adelaide sono un ripiego, con i limiti degli edifici costruiti per ben altri sco- pi, secondo i criteri Çdi una voltaÈ. Conosciamo persone che, a malincuore, hanno smesso di frequentare la biblioteca a causa delle difficoltà logistiche. E l’Archivio non sta meglio. Biblioteca e Archivio dovrebbero essere situati al centro (per esempio, il Palazzo della Provincia?), con sale il più possibile al pian terreno, arredate per la consulta- zione, riscaldate, gestite da addetti in numero adeguato. L’undici novembre 1999 il Consiglio Direttivo di ÇSegusiumÈ ha formulato una proposta pubblicata sul n. 39 della rivista: dare vita a una fondazione per la Storia della Valle di Susa. Sarebbe una bella iniziativa, di qualità elevata, con risonanze ad ampio raggio. La sede naturale di una simile istituzione dovrebbe essere la Biblioteca Civica di Susa opportunamente adeguata.

Tutte queste osservazioni e proposte provengono da persone incontentabili, sono utopie di visionari? Sono impazienze eccessive in attesa, ad esempio, che il Castello di Adelaide riceva una promessa sistemazione più funzionale? Non lo crediamo e sappiamo, inoltre, che in questo nostro paese si è capaci ogni tanto di imprese meritorie (una sede degna e nuova, una buona ristrutturazione), ma ciò che diffusamente scarseggia è la mentalità della gestione ordinaria per il funzio- namento dei servizi della cultura ai quali garantire, anno dopo anno, i mezzi adegua- ti. Considerando che sono assai più difficili da gestire di parecchi altri servizi pubbli- ci forniti dagli enti locali. 124 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 125-134

Tullio Forno La Biblioteca e parecchio altro in città e in Valle

Nel marzo 1861, nella capitale Torino, il Senato, con sede a Palazzo Mada- ma, a Palazzo Carignano la Camera dei Deputati (vale a dire i due rami del Parlamento del Regno di Sardegna), approvarono all’unanimità la legge di un solo breve articolo: ÇIl Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successo- ri il titolo di Re d’Italia». Con la proclamazione del Regno d’Italia si concluse la prima, più calda fa- se del Risorgimento. Al nuovo regno mancavano ancora le Venezie, sotto regi- me austriaco, e lo Stato Pontificio (ridotto suppergiù al Lazio), ma il più era fatto per mettere insieme i sette-otto pezzi della terra italiana, per darle unità politica. Restava ancora parecchia strada da percorrere per conferire assetto unitario al nuovo Stato: dalla pubblica istruzione alla pubblica amministrazione, alla giustizia, all’economia, alla finanza, al consolidamento delle istituzioni, alle forze armate e dell’ordine, alle strade, alle ferrovie. C’era parecchio da fare e si incominciò subito dal collaudato esempio pie- montese, nel solco della politica attuata da Cavour e dai suoi collaboratori ÇmoderatiÈ per il Regno di Sardegna. Purtroppo il conte Camillo di Cavour morì dopo breve malattia ai primi di giugno 1861, all’età di 51 anni: venne a mancare al neonato Regno d’Italia il miglior uomo di stato che il nostro paese abbia avuto nel suo quasi secolo e mezzo di vita unitaria.

Gli anni risorgimentali impegnativi, rischiosi furono caratterizzati da una effervescente, concreta, costruttiva energia; soprattutto in Piemonte che per al- cuni decenni fu il protagonista determinante e continuerà ad essere elemento fondamentale anche quando il governo e la capitale non saranno più a Torino. In linea con il diffuso fervore, con la volontà e con l’avveduta fiducia della 125 classe dirigente di quell’Italia sono da collocare talune realizzazioni a Susa: esse stanno a indicare come quelle energie si siano sprigionate anche in questa Valle tra le montagne, con iniziative locali maturate grazie a idee, mezzi, intra- prendenza valsusini.

* * *

Nella seconda metà dell’Ottocento l’Ospedale di Susa contava quasi un se- colo di vita. Era una realtà importante per tutta la Valle.

A Susa funzionavano da molto tempo il Tribunale Civile Correzionale (1), la Regia Procura, il carcere.

Nel 1854 qui arrivò il treno, simbolo del progresso ottocentesco, con una delle principali linee ferroviarie di quel tempo: la Torino-Susa di 53 Km, co- struita a tempo di primato (2). La ferrovia però, tre lustri dopo quel memorabile 1854, tradì Susa lascian- dola in disparte quando per altro itinerario salì al Traforo del Frejus per colle- garsi con la Francia. Tra polemiche e ripicche fu un duro colpo per la città.

Nel 1859 se n’erano andati anche la sede e il prestigio dell’Amministrazio- ne provinciale. La Provincia sminuita in Circondario. Nel decennio successivo al 1859 la città, ricca di monumenti romani e me- dievali, pagò un prezzo alto proprio mentre si unificava l’Italia. Furono anni di declino anche se dignitosamente mascherato; però la gloriosa, antica «porta d’Italia» non si sedette a leccarsi le spellature; la classe dirigente locale reagì, a cominciare dall’apertura di nuove scuole. Ossia investì per il futuro.

(1) Nei dodici mesi dal dicembre 1867 al 1¡ dicembre 1868 Çil Tribunale Civile Correziona- le di Susa aveva iscritto nel Ruolo Generale di spedizioneÈ ben 294 cause (258 civili, 36 com- merciali). I procedimenti penali dello stesso periodo Ð si legge in L’Eco susina Ð erano stati 494 ai quali aggiungerne Ç53 entrati nel mese di novembre 1867 ed altri 96 vertenti al 1 dicembre 1867... totale di 643 processi trattati nel corso degli ultimi 13 mesiÈ. Una sorprendente mole di lavoro portato a termine. (2) Lo sviluppo delle ferrovie del Regno di Sardegna ebbe il seguente andamento: nel 1849 furono aperti al traffico 40 Km di strade ferrate, altri 56 Km nel 1850, 22 nel 1851, 94 nel 1853, 184 nel 1854, 147 nel 1855, 140 nel 1856, 114 nel 1857, 110 nel 1858. Nell’aprile 1859, all’ini- zio della Seconda Guerra d’Indipendenza, il Regno di Sardegna aveva 914 Km di ferrovie, ossia più di tutti gli altri Stati d’Italia messi insieme. Il costo di questo grande sforzo economico e tec- nico era valutabile in circa 200 milioni di lire, cifra imponente per quei tempi. I capitali erano arrivati a Torino con prestiti garantiti dal governo e con la partecipazione rilevante dei privati che avevano fiducia nelle finanze e nel bilancio del regno di Sardegna (governi D’Azeglio e Ca- vour). 126 Vecchia Susa: in via Marchesa Adelaide, davanti ad un bel Palazzo della Provincia, alcuni ragaz- zini, tutti con berretto, una madama pronta per il giro della spesa, un carretto e un mulo, l’antico selciato con le guide (ripristinato da pochi anni). 127 Susa: lavatoio pubblico di Piazza Savoia. Fra le opere definite «migliorie compiutesi nell’interesse dell’Igiene e dei pubblici servizi» erano da annoverare, come particolarmente significativi, i lava- toi, soluzione di circa un secolo e mezzo fa ad un problema sentito dalla popolazione, special- mente dalle donne. 128 Il Ponte degli Alpini com’era appena costruito. Anni dopo dovette essere riparato ed ebbe la strut- tura attuale. Nella pagina seguente: l’edificio delle Scuole Elementari Femminili sul Lungodora (ora corso Trieste).

Il 21 luglio 1860 era stato istituito a Susa il Regio Ginnasio (3), il primo tratto del più meritorio, apprezzato corso di studi medi da completare con il li- ceo classico. Si fece notare l’importanza di quella scuola per le ragioni che Ç...Gli studi ginnasiali aprono la via al sacerdozio, alle pubbliche amministra- zioni ed agli studi superiori...È. Insomma, il primo gradino della scuola che garantiva l’adeguata formazione della classe dirigente.

Nel 1865 era sorta la Scuola Tecnica frequentata il primo anno da 21 alunni: erano le avanguardie coraggiose di quei lavoratori che costituiranno

(3) Ç...dal secolo XVIII esisteva il Real Collegio di Susa rispetto a cui il nuovo Ginnasio si propone come continuazione ideale: il collegio è retto da un “Prefetto” che spesso è anche diret- tore spirituale e professore di teologia; vi vengono osservate le disposizioni delle “Regie Costi- tuzioni per l’Università degli Studi” e i regolamenti del Magistrato della Riforma; nel 1773 le classi sono quelle della Retorica, quella di Umanità, la Terza, la Quarta, la Quinta, la Sesta e la SettimaÈ (GERMANO BELLICARDI, Dal Regio Ginnasio al liceo ÇNorberto RosaÈ di Susa, Susa, 1992). Il Ginnasio di Susa era già ordinato secondo la Legge Casati del 1859. 129 l’élite per le aziende manifatturiere di non lontana realizzazione in città e nella Valle. La cosa pubblica in mano ai nostri antenati risorgimentali procedeva con passo alacre. Il 20 dicembre 1867 il Consiglio comunale di Susa deliberò «...unanime- mente doversi aprire al pubblico una biblioteca in questa città...». é stato sen- za dubbio un evento di alto rilievo, a dimostrazione che la sensibilità della ci- vica amministrazione di quel tempo travalicava le materie esclusivamente cor- renti per scendere sul terreno dei servizi attinenti l’istruzione e la cultura. Il 1868 recò un evento tutto speciale: l’8 maggio Susa e la Valle ebbero il primo giornale locale, L’Eco susina fondato e diretto dall’avvocato Felice Chiapusso, futuro deputato e uomo di governo a cavallo fra Ottocento e Nove- cento (4).

(4) L’avvocato Felice Chiapusso, fecondo scrittore su temi storici valsusini, nacque a Susa nel 1841. Laureatosi a vent’anni in legge a Torino, esercitò poi la professione di avvocato, al tempo stesso diventando consigliere comunale e provinciale. Fu eletto alla Camera dei Deputati nella 15a Legislatura il 29 ottobre 1882 e successivamente confermato varie volte. Morì a Roma 130 Il Cimitero nuovo della città di Susa alcuni anni dopo la costruzione. é stato situato in posizione comoda, sulla strada che porta all’Alta Valle e al confine francese. (Le illustrazioni provengono dalla collezione privata del geom. Roberto Follis).

Nello stesso 1868 si inaugurò il Teatro Comunale che allineava questa piccola città di circa 5.000 abitanti con altri centri di ben maggiore popola- zione. Il progetto definitivo del Teatro Civico era opera del geometra Giuseppe Levis, un biellese trapiantato a Chiomonte dove si era sposato. Il geometra Le- vis fu padre del pittore Giuseppe Augusto. Per molti anni il Teatro Comunale sarà la sede di vari spettacoli (5) e mani- festazioni artistiche, punto di riferimento della vita pubblica segusina, di in- contri, cerimonie, feste. Per esempio, nel teatro cittadino era consuetudine ogni anno premiare i migliori alunni delle varie scuole: che tutti pubblicamen-

nel 1908. Prima di lui vi fu un altro deputato Chiapusso, l’avvocato Francesco, eletto nel colle- gio di Susa: era nato nel 1802 e morì nel 1865. (5) Un esempio di utilizzo del nuovo teatro: il 18 aprile 1869 la Compagnia Filodrammatica del Teatro Civico di Susa andò in scena con la commedia piemontese Marioma Clarìn, autore Zoppis. 131 te sapessero chi erano i ragazzi più bravi e meritevoli. Lodevole usanza pur- troppo da tempo tramontata (6). Ai primi di marzo del 1869 Ð riferisce L’Eco susina Ð Çla Giunta Municipa- le ha deliberato di dar mano alla costruzione di pubblici lavatoi, per la quale opera erasi in bilancio stanziata la somma di L. 2.500 circa. È questa un’otti- ma cosa a cui tutti applaudivano perché torna di vantaggio reale e di decoro al- la città...». Sono gli anni in cui si avviava a passi ponderati anche l’industrializzazione della Valle di Susa ed era saggio creare condizioni favorevoli per le nuove atti- vità manifatturiere. Nella primavera del 1869 il consigliere Vigna propose al Consiglio Comuna- le di nominare Çuna commissione la quale studj e riferisca se non sia il caso di acquistare nelle vicinanze di Susa quattro locali [ossia terreni] di tre giornate ca- duno [poco più di un ettaro] attigui a salti d’acqua e di ottenere dal Governo il permesso di derivazione dell’acqua per la forza di 50 cavalli effettivi cadunaÈ. Su quei terreni con attigui «salti d’acqua» si dovevano impiantare attività indu- striali con capitali privati; costo per il bilancio cittadino non oltre le 60.000 lire. ÇIl 16 agosto Ð scriveva il giornale di Susa Ð il sindaco Garino rende nota la deliberazione dopo che la Commissione ha accertato di avere forze motrici sufficienti e siti appropriatiÈ.

Quando (1866) il Veneto diventò parte dell’Italia e il Lazio lo imitò nel set- tembre 1870, in questo medesimo anno si provvide all’acqua potabile e per pubblica utilità in tutta Susa zampillarono allegramente alcune fontane. Sempre nel 1870, in marzo, un regio decreto di Vittorio Emanuele II, con- trofirmato dal primo ministro, il medico casalese Giovanni Lanza, autorizzò l’amministrazione comunale di Susa – sindaco il notaio Giovan Battista Gari- no Ð ad aprire ufficialmente l’Asilo Infantile, costituito in Ente morale, nel- l’ex-Convento dei Cappuccini. L’Asilo veniva definito «mirabile istituzione,

(6) L’Eco susina del 10 aprile 1869 in un lungo articolo di cronaca cittadina riferisce che era avvenuta la Çdistribuzione dei premi nelle scuoleÈ. Alla festa nel Teatro Civico di Susa ÇAssi- stevano numerose le autorità Civili e Giudiziarie, il Corpo Municipale, gli Insegnanti, la Milizia Nazionale, ogni ordine di cittadini; gremita la sala, piene di spettatori le gallerie. Erano interve- nuti oltre il Sotto Prefetto, solennemente muto, il Regio Provveditore agli Studi della Provincia al quale vuol essere resa testimonianza di gratitudine per la compiacenza avuta nell’onorare di sua presenza la nostra festaÈ. ÇVa quindi lodato il Sig. Sindaco [era il notaio cav. uff. Giovan Battista Garino] il quale chiudeva acconciamente la festa con brevi parole, ma piene di ottimi pensamenti e di sensi deli- catissimi nei quali si rivelava tutta la sua anima elettaÈ. Il notaio e sindaco Giovan Battista Garino era nato a Mattie nel 1811 e morì quasi centena- rio a Susa nel 1907. 132 trovato della filantropia moderna... santa e caritatevole opera che onora l’età nostra, che grande influenza esercita sul bene morale e fisico della classe po- vera e della società in generale...». L’Asilo infantile, promosso dal Comune, doveva in buona parte i mezzi finanziari per la propria attività e funzionamen- to alle oblazioni di almeno trecento benefattori e poteva così permettersi di ac- cogliere gratuitamente i bambini delle famiglie povere della città (7). Nel mese di giugno 1872 a Susa venne costituita la locale Sezione del Club Alpino Italiano (C.A.I.). Era la sezione 8a in ordine di tempo; la prima nacque a Torino il 23 ottobre 1863. Secondo una millenaria tradizione e per naturale collocazione geografica Susa è sempre stata piazza militare di rilievo e lo era anche nell’Ottocento: se- de di distretto militare, deposito di reggimenti di fanteria. Un capitolo speciale nella vita segusina è lo stetto legame durato oltre un secolo fra la città (e la Valle) e le truppe alpine. Il 15 ottobre 1872 un regio de- creto portò alla sollecita formazione di 15 «compagnie alpine»: la 7a si chiamò ÇSusaÈ e reclutava i suoi 120-130 uomini nei mandamenti di Susa, Bussoleno, Condove. L’anno successivo le compagnie dei soldati impiegati in montagna salirono da 15 a 24 che andarono a formare 7 battaglioni tra i quali il ÇVal Do- raÈ con sede a Susa e il ÇMoncenisioÈ stanziato in parte a Susa e in parte a Giaveno. Nel 1882 vennero costituiti 6 reggimenti alpini: il 3¡ (sede a Torino) aveva i suoi 4 battaglioni Pinerolo, Fenestrelle, Exilles, Susa, dislocati in varie loca- lità delle nostre montagne. Restando in tema di cose militari nel 1876 fu costruito sulla Dora Riparia il ÇPonte degli Alpini» per collegare nel punto più comodo l’allora strada pro- vinciale per Torino con la strada comunale di Meana (che sale sulle montagne e mette in comunicazione la Valle di Susa con la Valle del Chisone). Nel 1873 venne creato anche l’Osservatorio Meteorologico di Susa, instal- lato nella torretta del Palazzo della Sottoprefettura. Lo diresse a lungo Ettore Chiapussi, pubblico amministratore, uomo di molteplici interessi, di profes- sione ceraio, nato a Susa nel 1851. Trascorse circa un decennio e nel 1885 si inaugurò il Museo Civico dal quale i promotori probabilmente attendevano per la città un lustro che non venne nella misura sperata. L’illuminazione elettrica arrivò nel 1889, presto rispetto ad altre città e nel- lo stesso anno venne costruito il nuovo Cimitero.

(7) Dopo 130 anni dalla fondazione l’Asilo Infantile di Susa, intitolato al «Principe Umberto di Savoia», ha cessato l’attività il 30 giugno 1999. (Vedere ÇSegusiumÈ n. 39, settembre 2000). 133 Oltre alle realizzazioni della pubblica amministrazione cittadina, sono de- gne di rilievo le associazioni e società di carattere economico-sociale. Ne citiamo due a titolo di esempio. Nel 1852 era stata fondata la Società Operaia di Mutuo Soccorso, una delle tante già funzionanti in Piemonte.

Nel gennaio 1868 si era costituito il Comizio Agrario Circondariale, l’asso- ciazione fra i proprietari, i fittavoli, altre persone che comunque avevano inte- resse per il miglioramento dell’agricoltura. I Comizi Agrari erano nati con de- creto legge nel 1866 durante il governo presieduto dal barone Bettino Ricasoli.

In Susa si erano sviluppate anche varie società, associazioni, congregazioni benefiche e caritative, tra le quali, per anzianità, è da ricordare «l’ospizio degli espostiÈ fondato nel 1822 e diventato per tutta la provincia il centro di raccol- ta dei bambini abbandonati.

* * * Come si può constatare da questo pur sommario promemoria, gli anni ri- sorgimentali avevano portato a Susa nuovi servizi, nuovi enti, realizzazioni per l’ammodernamento della vita cittadina. Soprattutto era ben vivo e diffuso uno spirito di iniziativa in vari campi in città e nella Valle. Quella classe dirigente locale, animata da vigoroso senso civico, preso atto che molto era da fare, si rimboccò le maniche e nonostante la modestia delle risorse economiche, mobilitando anche la popolazione, riuscì a realizzare bel- le, importanti migliorie di pubblica utilità. Nel circa secolo e mezzo trascorso da allora, e nonostante sensibili progres- si in altri settori, i poteri amministrativi locali hanno perduto terreno rispetto al- le capacità realizzatrici dei nostri antenati risorgimentali piemontesi. Probabilmente la maggior responsabilità di questa flessione va addebitata all’invadenza opprimente dello Stato nella vita delle comunità locali, al grovi- glio di lungaggini defatiganti, ai regolamenti improvvidi, all’intrico labirintico di molteplici funzioni sovente impraticabili nella realtà. La conseguenza è che un po’ dovunque in ambito locale si sono abbando- nate per strada, come stracci vecchi, realizzazioni importanti costate fatica e quattrini. È qualcosa di più di beni immobili che deperiscono; è costume, tra- dizione, storia che vengono cancellati. Per esempio, il Teatro Civico e il Museo di Susa da lungo tempo sono ca- duti in malinconico disuso; in attesa e nella speranza di tempi migliori (che per il momento non danno segni premonitori favorevoli).

134 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 135-160

Rita Martinasso La stampa laica liberale valsusina nell’Ottocento: L’Indipendente

A Susa nell’Ottocento (1) erano attive alcune tipografie: la tipografia Gatti Ð la prima Ð, fondata nel 1819 da Gerolamo Gatti, tipografo di Acqui, e da Bartolomeo Barberis, notaio impiegato alla Sottoprefettura di Susa nativo di Cassinelle (Alessandria) (2), la tipografia Remondetti, la Tipografia Subalpina, nata nel 1890, e quella de Il Rocciamelone (diventata poi de La Valsusa) dal 1900. Tutte queste tipografie stamparono i numerosi libri e opuscoli scritti dai valsusini, statuti delle associazioni, sonetti matrimoniali, cartoline, lettere pa- storali del Vescovo, ecc., ed i settimanali che uscirono a Susa. Il primo tentativo di giornale di carattere locale (3) è costituito dal settima-

(1) Questo saggio si avvale della consultazione dei periodici dell’epoca e dei testi (libri, opu- scoli, relazioni) prodotti nello stesso periodo (quasi tutti conservati nella Biblioteca di Susa), dalla consultazione di alcuni mazzi dell’Archivio Storico di Susa, e di molte tra le numerosissi- me ricerche condotte, in tempi recenti, sia da studiosi sia da ricercatori locali che, singolarmen- te o all’interno di più ampie attività di carattere culturale, si sono interessati di svariate «micro- realtà» e problemi concernenti la Valle.

(2) CHIAPUSSO FELICE, Saggio genealogico delle famiglie segusine, Susa, Gatti, 1907, Vol. III, p. 72; cfr. PATRIA ETTORE, Note sull’economia e sulla società valsusina nell’età della Re- staurazione: la bassa provincia (mandamenti di Almese, Avigliana, Bussoleno e Condove), in Quaderni Valsusini, n. 3, Torino, Toso, 1987, p. 11 n. 7.

(3) Le notizie sui giornali sono tratte essenzialmente da: COUVERT GUSTAVO, Giornali e gior- nalisti nella Valle di Susa, in Rivista d’Italia, a. XVIII, fasc. IV, 30 aprile 1915, pp. 627-638; BUFFA MICHELE, Susa nei tempi antichi e moderni, Susa, Gatti, 1904; e dalla consultazione dei giornali stessi. Si veda anche: DEBERNARDI BARBARA, Una Diocesi Alpina. Il cammino della Chiesa in Valle di Susa, Susa, Susalibri, 1991; JANNON GIORGIO, Cronache di ieri. I Çtempi mo- derniÈ nelle valli di Susa e Sangone 1887-1909, Condove, Morra, 1996; BERNARDETTO Mons. 135 nale L’Eco Susina (4), stampato dalla tipografia Remondetti tra l’8 maggio 1868 e il 27 novembre 1869. Per tutti gli anni ’70, poiché le uniche pubblicazioni periodiche locali furo- no il Bollettino mensile del Comizio Agrario Circondariale di Susa (stampato dal 1875 al 1880 per un totale di 39 numeri) (5), e il Bollettino mensile della Sezione di Susa del Club Alpino Italiano (pubblicato per un totale di 3 soli nu- meri, dal 1879 al 1880) (6), i Valsusini dovettero ÇaccontentarsiÈ di leggere giornali ÇnazionaliÈ o ÇtorinesiÈ (7). Nel 1886 fu inoltre edito il numero unico del Bollettino del Museo Civico di Susa, su cui fu pubblicato il primo Catalogo degli oggetti donati al Museo, formato da reperti trovati in zona e da monete appartenenti a collezioni private (8), e dal 7 marzo 1889 al 1¡ luglio 1892, per un totale di 58 numeri, fu pubbli- cata anche la Rivista Agraria del Circondario di Susa (9).

VITTORIO, Un pulpito di carta - Cento anni de La Valsusa, 1897-1997, supplemento de La Val- susa, marzo 1997; FORNO TULLIO, Il Rocciamelone pugnace antesignano cattolico della stampa valsusina, in Segusium n. 38 (1999); VAIR SUSANNA, ÇLa ValsusaÈ: quasi un secolo per un gior- nale di successo, in Segusium n. 39 (2000). (4) L’Eco Susina. Giornale di agricoltura, di amministrazione e di varietà, dedicato agli in- teressi del circondario. Era stato fondato dall’avvocato segusino Felice Chiapusso, poi Deputa- to Ð allora ventisettenne Ð, che ne fu anche il direttore gerente ed il redattore principale. (5) Venne stampato su iniziativa del Comizio Agrario di Susa costituitosi nel gennaio 1868, su proposta del socio Maggiorino Assandro, veterinario, per ovviare all’isolamento tra Direzio- ne del Comizio e gli agricoltori. (6) Organo della Sezione Segusina del Club Alpino Italiano, fondata nel 1872 per iniziativa di Federico Genin, Felice Chiapusso ed Ettore Agnès. (7) Come Gazzetta del Popolo, Gazzetta di Torino e Gazzetta Piemontese, oppure come il quotidiano Emporio Popolare, sul quale uscì, tra gennaio e febbraio 1876, la Memoria di padre Placido Bacco sugli scavi archeologici di borgata Malano di Avigliana, nella bassa Valle di Susa [Emporio Popolare, 17-24 gennaio; 7-14-21 febbraio 1876 (Appendice. Memoria del P. Placido Bacco sulle antichità d’Avigliana)].

(8) CARLI LAURA, Antichità romane e tesori egizi. Il Museo Civico di Susa, in Panorami. Valli di Susa, Delfinato e Savoia, a. III, n. 1, 1994, pp. 7-8; LAMBERT CHIARA (testo a cura di), Il Museo Civico di Susa, Associazione Amici del Castello..., Città di Susa, Giugno 1996 (opusco- lo); articoli dei giornali locali. (9) Bollettino del Comizio Agrario e della Delegazione Fillosserica. Organo delle Società Agrarie Cooperative e di Mutuo Soccorso. Memoriale agricolo dei Comuni e dei Maestri rura- li del Circondario poi Rivista agraria del circondario di Susa. Bollettino ufficiale del consorzio fra le Società Agrarie cooperative ed istituzioni congeneri di Valsusa, della delegazione filosse- rica e del comitato Sanitario Circondariale. Si pubblicava il 1¡ e il 3¡ giovedì d’ogni mese, il redattore-proprietario era il veterinario Maggiorino Assandro. Si rivolgeva ai Comuni, ai Comizi agrari, alle Società Agrarie Cooperati- ve e di Mutuo Soccorso, alla Società fra gli insegnanti primari del circondario, al Comitato anti- fillosserico Circondariale, al Comitato Sanitario Circondariale e Çagli agricoltori tuttiÈ. 136 Il primo numero de ÇL’Indipendente» datato 2 gennaio 1887: settimanale, costava 10 centesimi, usciva la domenica. In prima pagina un breve indirizzo ai lettori con la promessa che Ç...noi intre- pidi ci affretteremo alla pugna»; di spalla «Della cultura in Italia», mentre il taglio basso è occupa- to dalla prima puntata di un romanzo di appendice dal titolo ÇTiburziaÈ. Il racconto inizia in una fo- sca atmosfera romantica: «Era oscuro e l’aria era fredda ed un acquerugiola cominciava a cade- re. Nella landa immensa e triste...È.

Nella prima metà degli anni ’80 dell’Ottocento (stagione fortunata per i giornali locali in genere) nacquero a Susa due settimanali, che però ebbero vi- ta breve: il primo, la Gazzetta di Susa e del Circondario (1881-1883), stampa- to a Torino, e il secondo, La Dora Riparia (1883-1884), stampato a Susa dalla Tipografia Gatti, ma che aveva per direttore un avvocato torinese. Dobbiamo comunque aspettare la fine degli anni ’80 per assistere alla na- scita di un settimanale interamente valsusino, L’Indipendente (1887-1934), di orientamento ÇliberaleÈ, e poi del suo antagonista Corriere delle Alpi (1889- 1895). L’Indipendente, il più longevo, continuò a rappresentare gli interessi della Valle per tutto l’Ottocento e la prima metà del Novecento, affiancato e Çcon- trastatoÈ via via da Il Rocciamelone (1897-1904), che fu il primo giornale cat- 137 tolico della Diocesi di Susa, dal monarchico La Dora (1899-1900 e 1905), che ebbe vita breve, dal socialista La Valanga (1905-1912), e infine dal settimana- le diocesano La Valsusa, nato nel 1907 in sostituzione e proseguimento de Il Rocciamelone, e tutt’ora in vita.

I giornali venivano venduti, intorno al 1890, Çpresso il baraccone in P.zza del Sole e presso il banco dinanzi la farmacia Borelli-FilipponeÈ (10). Nel 1904 un altro chiosco fu aperto da Costanzo Grosso, primo compositore della Tipo- grafia Subalpina di Rumiano: «Era una necessità veramente sentita quella di un chiosco in piazza del Sole, per la vendita dei giornali, e la grandissima mag- gioranza dei nostri cittadini ha vivamente applaudito l’iniziativa dei rivendito- ri di giornali sigg. GrossoÈ (11). Nell’Ottocento la maggior parte dei giornali era in quarto: quattro facciate, su due o tre colonne, di cui la prima era occupata in genere dall’articolo di fondo, che talvolta era pubblicato Ça puntateÈ. La seconda e la terza pagina ospitavano la «Cronaca del Circondario» e le notizie dall’estero, diffuse dal- l’Agenzia Stefani con dispacci telegrafici; vi era poi, talvolta, spazio per i ro- manzi d’appendice («soprattutto nei fogli di indirizzo democratico»), pubbli- cati a puntate, e per la pubblicità (12).

(10) L’Indipendente, 18 gennaio 1891, n. 6, p. 1; 14 dicembre 1890, n. 50, p. 3. (11) L’Indipendente, 17 luglio 1904, n. 29, p. 4 (Gazzettino. Chiosco in piazza del Sole). La nuova edicola venne costruita nel 1905 dal falegname Vineis sul ponte della Dora. Ini- zialmente il chiosco, su cui troneggiava l’insegna Agenzia Giornalistica Grosso, si trovava sul lato Ça monteÈ, presso la Chiesa del Ponte, mentre in seguito venne trasferito dalla parte oppo- sta del ponte, dov’è ancora oggi. Probabilmente la proprietà del chiosco in sé era di Rumiano, e Grosso era titolare dell’attività commerciale. Costanzo Grosso era nato nel 1877 da una famiglia di origini valsesiane, che all’inizio del secolo gestiva una trattoria su piazza del Sole. Aveva coltivato la passione per la fotografia, e ol- tre che giornalaio fu creatore ed editore di cartoline, e pittore dilettante. Nel 1899 aveva sposato, a Campertogno (VC), Matilde Molino, probabilmente figlia di quel Giovanni Molino che fino al 1891 era stato il direttore della Tipografia Subalpina, e che si era poi trasferito a Torino. Nel 1926 Costanzo Grosso si trasferì nel negozio di via Roma, attività portata avanti dai figli nel dopoguerra. Morì nel 1964, lasciando un consistente fondo documen- tario e fotografico (da: GILIBERT VOLTERRANI ANNA - GILIBERT ALFREDO, Val Susa com’era - im- magini di un tempo perduto, Vol. 2, Susa, Delphinus, 1977, p. 20, foto n. 6; JANNON GIORGIO, Quei giornali lungo il fiume. Notizie e pitture dell’Agenzia giornalistica Grosso, in Luna Nuo- va, martedì 20 maggio 1997, p. 17; BREZZO GIORGIO, ÇTantinÈ Grosso, edicolante e fotografo. Le sue ÇcartolineÈ oggi raccontano la storia, in La Valsusa, 20 gennaio 2000, n. 3, p. 19; arti- coli de L’Indipendente).

(12) MOLA ALDO ALESSANDRO, Per una storia della pubblicistica periodica provinciale in Piemonte dal 1860 al 1870, in AA.VV., Il giornalismo italiano del periodo post-unitario, Tori- no, Ed. 45¡ parallelo, 1966, p. 19; BANTI ALBERTO MARIO, Storia della borghesia italiana. L’età liberale, Roma, Donzelli, 1996, p. 191. 138 Dal luglio 1889 ÇL’Indipendente» cambiò di nuovo (per la quarta volta) la grafica della testata, più elaborata, con scoperte tentazioni liberty e con l’impegnativo motto «Fiat lux».

I periodici valsusini si avvalevano anche della collaborazione di alcuni sto- rici e letterati piemontesi, come Vincenzo Armando (13), Cosimo Bertacchi (14), Antenore Fabris e il barone Gaudenzio Claretta (15) (uno dei più attivi), e pub- blicavano poesie di poeti piemontesi. Solitamente le notizie che non erano Çdi

(13) Addetto alla Biblioteca dell’Accademia delle Scienze (da: ALBERTI ADRIANO, Al lettore, in La battaglia dell’Assietta, Torino, Casanova editore, 1902). (14) Nato nel 1854 a Pinerolo, divenne condovese d’adozione per aver sposato Marina Pero- do. Laureato in scienze fisiche, docente di geografia presso diverse università italiane, amico dei poeti Arturo Graf e Giovanni Pascoli, fu egli stesso scrittore. Condove lo ricorda come be- nefattore (da: DEBERNARDI GIULIANA, Gli ÇillustriÈ. Cosimo Bertacchi, in Panorami, n. 20, 1¡ trimestre 1996, p. 22). (15) Tra il 1895 e il 1900 presidente della «Società per la conservazione e la ricerca dei mo- numenti di Antichità e Belle Arti nella provincia di Torino», poi «Società di Archeologia e Bel- le Arti per la provincia di TorinoÈ (S.P.A.B.A.) (da: SIGNORELLI BRUNO, Studio, recupero e con- servazione: l’opera della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti (1874-1910), in: Cen- tro Studi sull’Arco Alpino Occidentale. Università di Torino, Accademie, salotti, circoli nell’Ar- co Alpino Occidentale. Il loro contributo alla formazione di una nuova cultura tra Ottocento e Novecento, Atti del XVIII Colloque franco-italien. Torre Pellice, 6-8 ottobre 1994, a cura di CLAUDIA DE BENEDETTI). 139 interesse pubblico», cioè «dichiarazioni, ringraziamenti, cenni necrologici, co- municati Società, corrispondenze personali», venivano considerate come in- serzioni a pagamento (16).

Le gazzette liberali a Susa Tra gli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento in Italia i due schieramenti politici della costellazione liberale, che non riuscirono mai ad organizzarsi in una qualche forma-partito (la Destra Storica e la Sinistra Costituzionale), si erano ulteriormente frammentati in una serie di gruppi parlamentari a base regionale o personale, i quali non avevano regole organizzative, ma avevano come soli- do punto di riferimento un leader e il suo collegio uninominale, e come princi- pale sostegno un giornale (17). In quest’epoca, infatti, e soprattutto in aree provinciali come la Valle di Su- sa, si aveva ancora una percezione ÇprepoliticaÈ della partecipazione allo Sta- to, e la Çlotta politicaÈ era ancora legata al confronto fra ÇclanÈ, e non allo svi- luppo di un moderno sistema di partiti (18). A questo si riferivano gli stessi Çli- beraliÈ valsusini dalle pagine de L’Indipendente alla fine dell’Ottocento, quan- do affermavano Çi principj rimangono, gli uomini passanoÈ (19); ma non erano poi capaci di svincolarsi dalla vecchia lotta ÇpersonalisticaÈ che dichiaravano di aborrire. Quindi, come successe in generale in Italia, anche a Susa la lotta politica si combatté, dai primi anni ’80 dell’Ottocento, tra due opposti «partiti», apparte- nenti entrambi alla costellazione liberale, che si raggruppavano intorno ad un leader e che trovavano espressione in pubblicazioni giornalistiche avverse. L’opposizione, quindi, non era tanto «politica» in senso generale, ma in parte ÇpersonalisticaÈ. Ancora ad inizio Novecento la stampa provinciale di stampo liberal-de- mocratico offre Çla misura dei limiti delle proposte della liberal-democrazia

(16) L’Indipendente, 4 giugno 1893, n. 24, p. 3 (A chi spetta, a firma avv. Luigi Rumiano).

(17) BANTI ALBERTO MARIO, Storia della borghesia italiana..., cit., pp. 44-45. (18) Ricordiamo, inoltre, che il 1882-1891 (tre tornante elettorali) è il periodo dello scrutinio di lista. Nel novembre del 1892 si torna al sistema uninominale, che contribuisce Ça un rimesco- lamento delle carte, almeno nelle circoscrizioni di provinciaÈ. Questo sistema vincola la lotta elettorale alla personalità del candidato, a cui, però, viene richiesta «una sicura conoscenza del- le condizioni della vita locale, un contatto costante con gli orientamenti e le richieste delle sin- gole categorie». Restò in vigore fino alle elezioni del 1919 (da: CASTRONOVO VALERIO, Il Pie- monte, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi, Torino, Einaudi, 1977, p. 129; ID., Tori- no, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 63; FORNO TULLIO, Erano onorevoli e galantuomini. Gli uomi- ni che hanno fatto l’Italia, Torino, Piemonte in Bancarella - Il Punto, 1995, pp. 25; 36; 72; 133). (19) L’Indipendente, 19 maggio 1895, n. 20, p. 1 (Appello ai giovani. é ora di finirla). 140 piemontese, ancorata ad una visione provinciale e notabilare della lotta politi- caÈ (20).

Dopo la breve vita dell’Eco Susina, pubblicata da Felice Chiapusso tra il 1868 e il 1869, di «carattere spiccatamente liberale, e perciò di opposizione ai Ministeri di Destra di quell’epoca» (21), si deve attendere il 1881 per veder ri- nascere un giornale ÇliberaleÈ locale, la Gazzetta di Susa e del Circondario, fondata dal professor Ugo Rosa (1856-1901), figlio di Norberto, seguita nel 1883 dalla Dora Riparia. Se dobbiamo credere al segusino Gustavo Couvert (22), autore, nel 1915 di un citato articolo su Çgiornali e giornalisti della Valle di SusaÈ (23) Ð nel quale sicuramente si può rintracciare una «rappresentazione» della situazione politi- ca locale da parte di chi l’aveva vissuta «dall’interno» –, a quanto pare a Susa furono vecchie diatribe locali e non il nuovo regime elettorale di ampliamento del suffragio, nel 1882, a determinare la vivacità della vita politica, e, di con- seguenza, delle vicende giornalistiche. Couvert scrive infatti che la direzione de La Gazzetta di Susa, venne ben presto assunta dal ÇpoliticoÈ Federico Genin (nato nel 1837, fu sindaco, consi- gliere comunale e provinciale), il quale, a detta di Couvert, Çdesiderava di ave- re un giornale che rispecchiasse le sue idee, lo appoggiasse e, inspirandosi [sic] alle sue vedute, gli servisse di arma potente contro i suoi avversari nelle vivaci contese che allora dilaniavano la città; egli impresse perciò alla Gazzet- ta un carattere (...) politico liberale, di Sinistra temperataÈ. A quel punto la parte avversaria, che esprimeva le posizioni del Çcentro Si- nistraÈ, capeggiata da Felice Chiapusso (1841-1908, consigliere comunale, poi provinciale, e infine deputato al Parlamento), nel 1883 fondò La Dora Ri- paria per combattere Genin e il suo giornale. Il clima di veementi polemiche non si modificò con la chiusura della breve parentesi editoriale de La Gazzetta di Susa e La Dora Riparia: a riprodurlo troviamo dopo pochi anni L’Indipendente (1887-1934) e Il Corriere delle Alpi (1889-1895).

(20) MOLA ALDO ALESSANDRO, Stampa e vita pubblica di provincia nell’età giolittiana (1882- 1914), Milano, Mursia, 1971, pp. 394-395.

(21) COUVERT GUSTAVO, Giornali..., cit., p. 630. (22) Nato nel 1855, medico, socio di varie associazioni cittadine, consigliere comunale (si can- didò sia con Chiapusso che con Genin), si interessò soprattutto di storia e di cultura: fu Ispettore per la conservazione dei Musei, presidente della Biblioteca di Susa, membro della Società di Archeolo- gia e Belle Arti per la provincia di Torino, e pubblicò alcuni saggi storici (da: CHIAPUSSO FELICE, Saggio genealogico..., cit., Vol. II, p. 248; Statuto organico dell’Asilo infantile di Susa. Elenco degli azionisti fondatori..., Susa, Tip. Gerolamo Gatti e figlio, 1870; articoli dei giornali locali).

(23) COUVERT GUSTAVO, Giornali..., cit. 141 Inizio Novecento a Susa: gli alpini che qui sono di casa sfilano in città e la gente fa ala al passag- gio dei soldati del ÇsuoÈ battaglione. 142 Qui sopra: una esercitazione dell’artiglieria da montagna nella caserma «Clemente Henry» in Piazza d’Armi. Sotto: sulla sinistra della allora via Moncenisio la caserma degli alpini (non più esi- stente). Di fronte si vede l’insegna della Agenzia di Trasporti Alessandro Ramella.

143 Il primo, fondato nel 1887 dall’avvocato Rumiano (già collaboratore della Gazzetta di Susa), secondo Couvert tentò inizialmente di rimanere al di fuori delle dispute politiche, ma in seguito «divenne l’organo dell’avvocato Genin». Il secondo, creato due anni dopo da Vittorio Piccini, già condirettore de L’In- dipendente con Rumiano, era stato fondato, dice Couvert, per appoggiare l’av- vocato Felice Chiapusso e il suo partito «contro la tenace ostilità mossagli da L’IndipendenteÈ. In effetti le polemiche tra i due giornali si scatenarono immediatamente, tanto che ebbero un grottesco apice dopo appena tredici numeri del neonato Corriere delle Alpi, quando sfociarono in un duello tra il direttore de L’Indi- pendente e un collaboratore del Corriere delle Alpi.

I liberali di fronte ai ÇclericaliÈ Se si analizzano gli articoli dei giornali liberali L’Indipendente e Corriere delle Alpi, si può notare come «l’identità liberale» dei segusini venga fuori so- lo in opposizione alle altre identità politiche («clericali» e socialiste): l’affer- mazione del proprio «liberalismo» è sentita necessaria solo di fronte alle mi- nacce cui esso è sottoposto. Nel 1896 il direttore de L’Indipendente scrive: Çtutta una rivoluzione poli- tica si viene svolgendo in Italia. Da una parte si allineano a poco alla volta tut- ti i conservatori; dall’altra rimangono tutti i liberali. Sono coi primi i clericali, i ricchi oziosi, e quanti hanno simpatie od interessi con loro; sono coi secondi gli spiriti lavoratori, industriali ingegnosi e quanti aspirano per sé e per gli al- tri a condizioni miglioriÈ. I liberali, che si dividono in tre correnti (costituzio- nali, da progressisti semplici fino all’estrema sinistra; socialisti... e anarchici), sono coloro che Çnon vogliono che la religione sia un mezzo per arrivare al dominio delle cose temporaliÈ (24). Nel 1897 è la nascita del locale giornale cattolico diocesano Il Rocciamelo- ne, a spingere i liberali ad affermare con più forza la propria identità politica: da quel momento è come se questi si sentissero mossi dal bisogno di «definir- siÈ e di ÇpuntualizzareÈ. Il nuovo settimanale venne fondato soprattutto per iniziativa del Vescovo Rosaz, con l’intento di restare lontani dalla gara politica dei partiti e di favori- re l’educazione popolare, ma anche per contrapporsi a quella «stampa (...) di- venuta ai giorni nostri un’arma potentissima ai nemici della nostra santa fede col combattere quanto di più sacro ha la religione, e per essere certi della dia- bolica vittoria, col promuovere l’immoralità con scritti osceni» (25).

(24) L’Indipendente, 21 giugno 1896, p. 1 (Posizioni nette, a firma Luigi Rumiano). (25) Lettera del 1897 di Monsignor Rosaz ai sacerdoti della diocesi, citata da: FORNO TULLIO, Il Rocciamelone cit., p. 143. 144 La Chiesa di Susa si poneva così in linea con gli orientamenti del Papato alla fine dell’Ottocento, in un anno, il 1897, in cui «le organizzazioni cattoli- che erano al massimo della loro espansione ed erano apertamente combattute come eversive dagli ordinamenti liberali»: a quella data l’Opera dei Congres- si, controllava – oltre a circoli universitari, società operaie, sezioni giovanili, ecc. Ð, anche 24 quotidiani e 155 periodici (26). L’Indipendente, rimasto l’unico giornale valsusino dalla chiusura del Cor- riere delle Alpi nel 1895, si trova ora di fronte ad un nuovo e ben più agguerri- to nemico, che identifica quale organo del partito clericale (27). Subito accese si fanno le polemiche tra gli opposti schieramenti, giocate sul doppio campo della politica e dell’informazione, e si moltiplicano sulle colonne de L’Indi- pendente gli articoli anticlericali, tanto che nella sola annata 1897 ne vengono pubblicati ben trentacinque. Nei nostri giornali «liberali» l’opposizione ai «clericali», era sempre stata presente, e lo stesso Indipendente sin dai suoi primi numeri aveva dato vita ad una vera campagna anti-clericale (Çnon per offendere il sentimento religioso ma per combattere l’alto Clero rivelandone i vizi e i delitti» (28)). L’uscita del nuovo giornale non aveva fatto, quindi, che inasprire le pole- miche, ed è soprattutto da questo momento che – principalmente in occasione di manifestazioni patriottiche Ð gli articoli de L’Indipendente insistono sul fat- to che i clericali Çnon sono italiani; essi formano ancor sempre uno stato a par- te (...) che è il nostro nemico più fiero, perché è in casa nostra», e affermano che i Clericali si oppongono allo Stato ed offendono «gli eroi» dell’«Italia re- denta» ed «i principii di libertà e di unità». Addirittura si sostiene che i Cleri- cali, che mirano a «distrurre l’unità italiana», hanno «apertamente bandito» una «crociata (...) contro l’indipendenza e la sicurezza della Patria» «per ri- vendicare il regno della TiaraÈ (29). Il mondo cattolico, quindi, per i nostri liberali ottocenteschi, rappresentava un grosso pericolo da cui guardarsi (30).

(26) ROMANELLI RAFFAELE, L’Italia liberale. Storia d’Italia dall’Unità alla Repubblica, Vol. II, Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 319-320. (L’Opera dei Congressi era l’Organizzazione nazionale del cattolicesimo intransigente co- stituita nel 1875 nel corso del II Congresso cattolico italiano). (27) A Susa il Çpartito clericaleÈ era stato fondato nel 1896 dal Canonico Antonio Tonda, dal 1894 prevosto della Cattedrale. (28) L’Indipendente, 22 settembre 1889, n. 38, p. 2 (La Cronaca Nera - giornale clericale -. I nuovi ribelli). (29) L’Indipendente 30 maggio 1897, n. 22, p. 1 (Stampa clericale. Giuseppe Garibaldi); 20 giugno 1897, n. 25, p. 2 (Ci scrivono, lettera siglata N.N.); 16 maggio 1897, n. 20, p. 2 (Provo- cazioni clericali); 10 gennaio 1897, n. 2, p. 1 (Il primo centenario del Tricolore Italiano); 1 ago- sto 1897, n. 31, p. 1 (Il prete). (30) L’Indipendente, 19 settembre 1897, n. 38, p. 1 (I giornali dei preti - 1a parte); 15 feb- braio 1903, n. 7, p. 1 (Pericolo nero); 1 agosto 1897, n. 31, p. 1 (Il prete). 145 La ÇmissioneÈ della stampa Nel 1848 Massino-Turina scriveva: «il giornalismo è un sacerdozio civile» (31). Gli faceva eco nel 1853 Angelo Bargoni: Çgli scrittori politici (...) hanno da essere educativi e un giornale deve essere un atto di sacerdozio, un’opera di apostolatoÈ (32). Simili accenti li ritroviamo, nel 1868, nell’articolo di fondo del primo nu- mero del valsusino L’Eco Susina: Çci accingiamo al compito nostro riverenti alla nobile e severa missione della stampa (...). Un giornale dovrebbe essere (...) in qualche modo utile (...). Noi andiamo coi tempi (...) alla meta cui tutti aneliamo: la prosperità e il perfezionamento civile» (33). In seguito su L’Indipendente apparvero spesso lunghi articoli (sempre firmati dal direttore Luigi Rumiano) sulle virtù, i vizi e la missione della stampa: si sostiene che il giornalismo è il più forte «potere dello Stato (...) perché è l’indispensabile fattore dell’opinione pubblica»; che è «una forza operosa, assidua (...) posta al servizio del pubblico, che per suo mezzo non ignora nulla di ciò che avviene d’importante nel mondo», che «non forza l’opinione pubblica (...) ma ne è l’eco. Talora la guida, la illumina, dissipa gli equivoci, getta uno sprazzo di luce fra le tenebreÈ, e che Çsi dirige a tut- ti quelli che vogliono leggere, senza distinzione fra l’abito a coda e la giac- ca di fustagnoÈ (34). Secondo i giornali liberali valsusini la stampa ha quindi il compito di di- vulgare opinioni, diffondere la verità e sostenere battaglie. Essa «svela le ma- gagne, (...) insegna essere falsa la via battutaÈ (35), come fece in Francia, quan- do appoggiò coloro che cercavano «di rompere la fitta reti di intrighi e di fal-

(31) E proseguiva: «Precipuo dovere del giornalista è quello di sorvegliare attentamente l’an- damento del potere esecutivo (...). I suoi comandamenti sono la difesa della libertà, l’educazio- ne popolare, l’incremento del progresso, la soppressione degli ordini religiosi, la volontà di resi- stere alle seduzioni del potere e disprezzare le clamorose strida dei partiti mai sazi nelle loro e- goistiche passioniÈ (da: CASTRONOVO VALERIO, Torino, cit., p. 11; ID., Giornalismo e giornalisti piemontesi nel decennio post-unitario, in AA.VV., Il giornalismo italiano del periodo post-uni- tario, Torino, Ed. 45¡ parallelo, 1966, p. 4).

(32) In: CASTRONOVO VALERIO, La stampa italiana dall’Unità al fascismo, Bari, Laterza, 1970, p. 6. (Bargoni, cremonese, futuro direttore del Diritto e ministro della pubblica istruzione). (33) L’Eco Susina, 8 maggio 1868, pp. 1-2 [Articolo di fondo del 1¡ numero]. (34) L’Indipendente, 22 dicembre 1889, n. 51, p. 2 (I giornalisti); 30 novembre 1890, n. 48, p. 2 (Il giornalismo); 27 settembre 1891, n. 77, p. 1 (I banchetti politici). (35) L’Indipendente, 4 maggio 1899, pp. 1-2 (Siamo vili!). 146 Una cartolina con tanto di cornice per ÇPiazza e Borgo SavoiaÈ. Niente automobili, un carretto con il cavallo, due bambini che osservano curiosi l’armeggiare del fotografo, un uomo in uniforme. sità» nell’Affaire Dreyfus (36), o in Italia, rivelando i Çmisteri africaniÈ che su- scitarono «un ululato terribile di orrore e d’indignazione» (37). Perché una certa idea possa acquisire «il favore popolare» è necessario diffonderla «coi libri, opuscoli, riviste, giornali, stampe». La stampa è anche Çun potentissimo ed efficace tramite di cultura (...): un popolo, quanto più leg- ge, tanto maggior possibilità ha di educarsi, di istruirsi e di progredire». La let- tura di giornali e libri è soprattutto di «reale vantaggio [a]lle nostre popolazio- ni agricoleÈ e i giornali sono i Çveri benefattoriÈ del popolo. Eppure in Italia essi Çnon trovano abbonati e lettori quanto meritanoÈ, per-

(36) L’Indipendente, 9 ottobre 1898, n. 41, p. 2 (Fatti diversi. All’estero). (37) Ci si riferisce al tenente dei carabinieri Livraghi, direttore della ÇpoliziaÈ italiana a Mas- saua durante l’epoca coloniale, che si rese responsabile di delitti a danno di ricchi uomini d’af- fari locali (L’Indipendente, 8 marzo 1891, n. 20, p. 2 (Assassinii in Africa commessi dal tenente Livraghi...); 12 marzo 1891, n. 21, p. 2 (L’arresto a Lugano di Livraghi l’autore degli assassinii in Africa); 19 marzo 1891, n. 23, p. 1 (L’onore italiano)). 147 ché, soprattutto nei «comuni piccoli della campagna (...) ove i giornali sono poco letti ed è connaturato il misoneismo per ogni più santa novità», il popolo è, purtroppo, «ignorante, indifferente, fatalistaÈ (38). A volte la stampa ha anche delle responsabilità negative, come quando, diffondendo «nei più umili Comuni le notizie delle feste e delle eleganze della vita urbana, la quale, veduta da lontano, appare un paradisoÈ, contribuisce al- l’esodo dei giovani dalle campagne verso la città (39). Purtroppo, sostiene L’Indipendente, «sebbene la stampa sia nella mente de’ suoi migliori scrittori un sacerdozio, tuttavia è innegabile che in questa come in altre nobilissime cose si innesta e s’infiltra la speculazione per lo scopo del guadagno». Questo è il giornalismo «in pantofole ed in veste da camera (...) esclusivamente industriale (...) sdraiato in un comodo eclettismo che non è al- tro fuorché un opportunismo vile»; è «la stampa venduta; triste privilegio di questa Italia, che non ha potuto ancora (...) liberarsi (...) dai ruffiani della poli- tica, dagli avventurieri della pennaÈ: Çi giornali pagati sono la piaga di un pae- seÈ (40).

I compiti di un giornale di provincia Come scrive Valerio Castronovo, in provincia i giornali costituivano innan- zitutto degli Çefficaci e collaudati strumenti (...) di illustrazione dei programmi politici e di mobilitazione dei consensi per gli esponenti liberaliÈ sia moderati che progressisti (41). L’Indipendente nel 1891 osservava che il politico ha a propria disposizione Çgiornali ufficiali ed ufficiosi che non domandano di me- glio che d’aprirgli le loro colonneÈ (42). In secondo luogo, e lo dichiarava già L’Eco Susina alla fine degli anni ’60, l’utilità di un giornale «noi la potremmo procacciare quando segnassimo i con- fini del nostro giornale nel giro degli interessi locali (...). Tutto ciò che è am- ministrazione... desiderio, aspirazione della località (...) culto delle memorie

(38) L’Indipendente, 26 novembre 1905, p. 1 (La protezione degli animali); 3 agosto 1902, n. 31, p. 1 (Quel che si è fatto in trent’anni); 29 gennaio 1905, n. 5, p. 2 (Scuole popolari); 3 feb- braio 1895, n. 5, p. 1 (Imitiamo i Giapponesi); 12 agosto 1900, p. 2 (Per l’autonomia comunale. I piccoli Comuni). (39) L’Indipendente, 25 agosto 1901, p. 1 (Il censimento e la campagna). (40) L’Indipendente, 30 aprile 1891, n. 35, p. 2 (La stampa locale); 30 novembre 1890, n. 48, p. 2 (Il giornalismo); 4 maggio 1899, pp. 1-2 (Siamo vili!); 6 ottobre 1895, n. 40, p. 1 (Siamo al- la Guerra in Africa). Altri articoli contro il giornalismo corrotto: 1 marzo 1896, p. 1 (Quaresi- male dell’Indipendente); 6 gennaio 1899, p. 1 (Il grande partito. I malcontenti).

(41) CASTRONOVO VALERIO, Il Piemonte, cit., p. 52. (42) L’Indipendente, 27 settembre 1891, n. 77, p. 1 (I banchetti politici). 148 patrie (...). Ricercare, esaminare, discutere tutti gli argomenti d’interesse loca- le: offrire a tutti una voce per esprimersi, un campo dove manifestarsi e farsi avvezzi agli esercizi ed alle lotte della vita pubblicaÈ (43). Vent’anni dopo, nel 1889, gli faceva eco L’Indipendente: «Niuno più di noi, che vantiamo per luogo nativo questa città, dove anche abbiamo dimora, ha veramente a cuore gli interessi di Essa e del suo CircondarioÈ (44), e il Cor- riere delle Alpi riteneva suo compito «propugnare strenuamente gl’interessi di tutta la valle di Susa e di ottenerne il miglioramento economicoÈ (45). Nel 1903 L’Indipendente ribadiva di aver l’intento «di fare un giornale (...) che abbia davanti a sé, come bene ideale, il bene di Susa e dei paesi che con Susa hanno vitaÈ, rammaricandosi di come, purtroppo, mancassero Çqualche volta i mezzi per rendere il periodico l’eco fedele di tutto quanto di notevole avviene in Città e nel CircondarioÈ (46). In terzo luogo, scopo dichiarato del giornale non era solo quello di Çfornire di notizie il lettore, di tenerlo al corrente di quanto succedeÈ, ma anche Çpro- muovere (...) il pubblico bene e la pubblica onestà», «il trionfo della giustizia e della libertà», e il sorgere Ça difesa di qualunque classe di persone che possa venire fatta oggetto di ludibrioÈ. Si era inoltre convinti che il direttore di un giornale locale avesse «in mano le chiavi dell’andamento morale, economico, politico e religioso della vallataÈ (47). Si dichiarava anche che di fronte al «bene pubblico» non vi erano rivalità giornalistiche, e quindi Ð scrive L’Indipendente rivolgendosi al Corriere delle Alpi Ð: ÇNon sarebbe meglio, egregio confratello, invece di punzecchiarci, ri- scaldarci a vicenda, incominciando polemiche, la quale cosa in fin d’anno od a qualche tempo di distanza darà un bel zero, di associarsi in un’azione, in una propaganda comune pel bene della nostra città e del nostro circondario?» (48). Lungo tutto il corso delle loro esistenze lunghe o brevi, i giornali di Susa si fanno promotori di iniziative benefiche e culturali e di pubblica utilità per la Valle e il suo capoluogo: per la formazione di una Società per «l’incremento

(43) L’Eco Susina, 8 maggio 1868, pp. 1-2. (44) L’Indipendente, 7 aprile 1889, n. 14, p. 1 (Chi ha ragione? - Al Direttore di altro giorna- le -, a firma Il Direttore avv. Rumiano Luigi). (45) Corriere delle Alpi, 7 marzo 1889, n. 1, p. 1 (Ai lettori). (46) L’Indipendente, 4 gennaio 1903, n. 1, p. 1 (Ai lettori). (47) L’Indipendente, 26 settembre 1897, n. 39, p. 1 (I giornali dei preti - 2a parte); 4 gennaio 1903, n. 1, p. 1 (Ai lettori); 7 aprile 1889, n. 14, p. 1 (Chi ha ragione? - Al Direttore di altro giornale -, a firma Rumiano); 24 maggio 1903, n. 21, p. 3 (Bussoleno. Guerra e guerriglia. Gentilissimo sig. Direttore de L’Indipendente, a firma Molteni dott. Mario - 1a parte). Anche: L’Indipendente, 14 luglio 1889, n. 28, p. 3 (Gazzettino. Ghiaccio e baraccone). (48) L’Indipendente, 9 febbraio 1890, n. 7, p. 1 (A chi spetta). 149 Susa appena dopo la conclusione della Prima Guerra Mondiale: Piazza IV Novembre (del Sole), all’angolo di Corso Trieste, lungo la Dora, dove si trovavano allora l’Ufficio delle Regie Poste e le Scuole elementari femminili. della musica cittadina», per l’impianto delle Cucine di Beneficienza per i po- veri e per una dotazione al teatro cittadino, per il museo, ecc. (anche se, alla fi- ne, Çspetta al Municipio esaminare questi progettiÈ (49)). Essi si assumono il compito di controllare l’ordine pubblico, come ad esempio quando si rileva che non viene rispettato il Regolamento di Polizia Urbana a proposito di carri, vetture e cavalli, che vengono lasciati incustoditi in mezzo alla strada impe- dendo il passaggio alla gente, o quando si raccomanda una maggior pulizia delle strade (50). Anche l’operato delle pubbliche amministrazioni è sotto l’occhio vigile della stampa, che Çha il diritto di mettere il nasoÈ (e non mancano le polemi-

(49) L’Indipendente, 1 dicembre 1889, n. 48, p. 3 (Gazzettino. Società di patronato della Banda cittadina di Susa); 11 agosto 1889, n. 32, p. 3 (Gazzettino. Museo Civico); 15 dicembre 1889, n. 50, p. 2 (Gazzettino. Il nostro teatro). (50) L’Indipendente, 11 agosto 1889, n. 32, p. 3 (Gazzettino. Attenti!); 18 agosto 1889, n. 33, p. 3 (Gazzettino. Per gli spazzini). 150 che tra amministratori e giornali di diverso orientamento): ecco quindi che Ru- miano, direttore de L’Indipendente, viene autorizzato ad assistere alle sedute del Consiglio Comunale nello stesso recinto dove siedono i consiglieri, e che il suo giornale chiede ed ottiene che vengano rese Çpubbliche, col mezzo della stampa localeÈ le deliberazioni della Giunta (51). I giornali segusini danno anche Çinformazione ad ampio spettroÈ sugli av- venimenti del Circondario, diffondono notizie utili alla popolazione, come ad esempio avvertire gli emigranti delle effettive possibilità di lavoro all’estero (52), o mettere in guardia i lettori contro investimenti bancari poco sicuri e con- tro la diffusione di denaro falso. Il giornale locale è anche di utilità all’economia: «Giovatevi sempre della Pubblicità!!! (...). Chi non si serve della pubblicità dei giornali, rinunzia ad estendere la propria clientela, ad aumentare i propri affari. Tutti gli industriali, commercianti, esercenti, hanno bisogno del pubblico: come possono sperarne l’appoggio se non si curano mai d’informarlo, di destarne la curiosità, di invo- gliarlo a spendere? Come possono fondare speranza sulla benevolenza del pubblico, se essi, spontaneamente, si isolano dal pubblico, rinunziando alla pubblicità?» (53).

Giornali grossi e giornali piccoli Il rapporto tra i giornali locali e quelli nazionali, tra il locale e l’esterno, ed accenni all’opposizione tra i grandi centri e i paesi di provincia, si trovano quando i nostri giornali, come fa L’Indipendente, scrivono di non voler essere «l’oracolo dei grandi giornali (...) organo di seconda mano e macchina a ripe- tizione, ma (...) apportare un proprio e libero contingente»; che «l’opinione pubblica si forma dal concorso dei sentimenti e dei pensieri che si manifestano in tutte le frazioni del territorio, e la moltitudine dei cittadini sparsa nei villag- gi e nelle minori città è una grande maggioranza a petto del numero che si rac- coglie nei grandi centri. E sarà questa minorità che dovrà dare il tono, e la mi- sura, ed ammannirà bell’e fatta l’opinione a tutto il resto del paese?». Secondo il nostro settimanale, la Çristretta clientelaÈ del giornale locale fa sì che «i lettori della piccola città si affezionano al loro foglio locale, di cui co- noscono gli scrittori, o gli ispiratori, ciò che è raro che accada pei fogli di lon-

(51) L’Indipendente, 8 febbraio 1903, n. 6, p. 3 (Oulx); 19 maggio 1889, n. 20, p. 2 (Gazzet- tino. Regolamento consigliare); 16 febbraio 1890, n. 8, p. 1 (Gazzettino. Stampa, Municipio); 8 giugno 1890, n. 23, p. 2 (Gazzettino. Giunta municipale). (52) L’Indipendente, il Corriere delle Alpi, Il Rocciamelone e La Valanga avevano tutti una rubrica dedicata agli emigranti. (53) L’Indipendente, 2 marzo 1890, n. 10, p. 4 (pagina degli annunci economici). 151 tana provenienza e nei lettori dei centri popolosi», così «il sospetto di specula- zione giornalistica, che può facilmente cadere sui fogli a larga diffusione, i quali rappresentano nel loro felice esito considerevoli benefizi, non tocca la modesta pubblicazione localeÈ, la quale scrive non per Çscopo speculativo, maÈ per scopo Çsincero di diffondere idee che si credono utili al paeseÈ (54). Naturalmente anche a Susa i giornali torinesi venivano letti e offrivano mo- tivo di confronto e discussione, e spesso gli stessi settimanali segusini riporta- vano articoli e notizie tratte da altre pubblicazioni. Anzi, lo stesso Indipenden- te Ð accusato dal Corriere delle Alpi di aver ÇritagliatoÈ un articolo Ð, ammet- te essere questa una prassi comune: «è cosa che fanno tutti i giornali e grandi e piccoli, ed anche L’Indipendente qualche volta è stato ritagliato, e lo stesso giornale che ci accusa» l’ha fatto (55). L’Indipendente pubblicava, ad esempio, articoli tratti dalla Gazzetta del Popolo ma non della Gazzetta di Torino, e faceva la réclame alla Gazzetta Pie- montese (con l’allegata Gazzetta Letteraria (56)). Il Corriere delle Alpi era opposto a La Gazzetta di Torino e vicino a La Gazzetta Piemontese (57). Talvolta i lettori della Valle si servivano delle colonne dei giornali torinesi per esprimere accuse e lamentele verso i loro ÇconvalligianiÈ ed amministra- tori, suscitando in tal modo delle polemiche che si sarebbero poi trascinate sui giornali segusini. Altri valsusini, compresi alcuni collaboratori dei giornali lo- cali, erano anche corrispondenti dei fogli torinesi. Dopo Norberto Rosa (1803- 1862) Ð che scrisse su Messaggiere Torinese, Gazzetta del Popolo ed altri gior- nali in epoca risorgimentale –, troviamo suo figlio Ugo, che fondò anche Il movimento letterario italiano, Federico Genin, anche corrispondente de La Gazzetta di Torino, ed Enrico Rossero, non solo collaboratore del Corriere delle Alpi e de L’Indipendente ma anche della Gazzetta Piemontese. Inoltre Ernesto Napoli, i collaboratori de L’Indipendente Edoardo Barraja e Gustavo Couvert, oltre allo stesso Luigi Rumiano, pubblicarono anche alcuni articoli sulla Gazzetta del Popolo, ecc. Ai propri collaboratori, però, i giornali valsusini chiedevano «l’esclusiva» sugli articoli inviati.

(54) Tutte le citazioni riportate dall’inizio di questo paragrafo fino a qui sono tratte da: L’In- dipendente, 30 aprile 1891, n. 35, p. 2 (La stampa locale). (55) L’Indipendente, 1 giugno 1890, n. 22, p. 1. (56) «Uno dei più grandi e dei migliori giornali italiani (...) un buon giornale politico» (L’In- dipendente, 22 dicembre 1889, n. 51, p. 3 (pubblicità)). (57) È però difficile tentare di capire la posizione politica dei giornali segusini, e di conse- guenza dei Segusini politicamente attivi, attraverso la ÇstoriaÈ delle loro ÇalleanzeÈ coi fogli to- rinesi, dato che queste alleanze si dimostravano molto ÇflessibiliÈ. 152 Il liberale L’Indipendente nell’Ottocento L’Indipendente, avente inizialmente come sottotitolo Gazzetta di Susa e del Circondario, Giornale politico-amministrativo-commerciale Ð poi modificato a partire dal secondo anno in Periodico di Susa e del Circondario –, pubblicò il suo primo numero il 2 gennaio 1887, per poi cessare le pubblicazioni nel 1934. (In seguito rinacque col nome L’Alpe Fascista – già L’Indipendente Ð). Luigi Rumiano, che lo fondò «di sua iniziativa e a sue spese», ne fu pro- prietario, direttore ed il principale artefice; e anche se Gustavo Couvert Ð nel saggio più volte citato – sostiene che egli scrisse poco di suo e si limitò a com- pilare il giornale con notizie tratte da altri periodici, articoli dei suoi corrispon- denti e annunci a pagamento, nel 1903 Rumiano scrive: ÇCi mancano qualche volta i mezzi per rendere il periodico l’eco fedele di tutto quanto di notevole avviene in Città e nel Circondario (...) gli è che l’opera d’un uomo solo è limi- tata assaiÈ (58). Ritroviamo comunque il suo pensiero in ogni articolo pubblica- to sul suo giornale, espressione delle sue idee politiche, delle sue idee sulla questione sociale, sulla questione femminile, sul giornalismo (che per lui è una vera passione e una missione), ecc. Nel primo numero Rumiano espose il suo proposito rivolgendosi ai lettori: «un pensiero solo, un pensiero superbo ci guiderà: il bene del nostro paese. Indi- pendenti da qualsiasi partito, da chi comanda oggi come da quelli che agognano comandare domani, non mossi da rancori personali o da mire insoddisfatte, spas- sionatamente giudicheremo le cose e gli uominiÈ (59). Il giornale, che Çsi occupa soprattutto di cose d’amministrazione, d’attualità e di immediato interesse», si definiva ÇliberaleÈ e ÇradicaleÈ, Çperiodico popolare per eccellenzaÈ, che Çpa- trocina (...) la causa del proletariatoÈ (60). Anche se mantenne per tutto l’Ottocen- to Çcarattere democratico-radicale-legalitarioÈ Ð come scrive Couvert Ð, venne definito Çrepubblicanissimo, per non dir altroÈ (61) e accusato alternativamente di ÇclericalismoÈ e di ÇsocialismoÈ dal Corriere delle Alpi in occasione delle lotte elettorali, mentre più tardi venne combattuto dal giornale cattolico Il Roc- ciamelone (e poi da La Valsusa) perché di sentimenti anticlericali e persin socia- listi, e poi dal giornale socialista La Valanga in quanto troppo legalitario. Tra i più importanti collaboratori locali (62) (spesso solo occasionali) che

(58) L’Indipendente, 4 gennaio 1903, n. 1, p. 1 (Ai lettori). (59) L’Indipendente, 2 gennaio 1887, n. 1, p. 1. (60) L’Indipendente, 16 febbraio 1889, n. 7, p. 2 (Corrispondenza da Marsiglia); 18 dicem- bre 1892, n. 53, p. 1 (Anno VII L’Indipendente). (61) Corriere delle Alpi, 6 gennaio 1895, n. 1, p. 2 (Avigliana. Ci scrivono). (62) ÇVi collaborano eminenti scrittori e scrittrici. Ha un servizio estesissimo di corrispon- denze nel circondarioÈ; il giornale Çessendosi assicurata la collaborazione di distinti scrittori, in 153 firmarono nel corso degli anni articoli, recensioni, corrispondenze, racconti, troviamo Federico Genin, Ugo Rosa, Edoardo Barraja, Gustavo Couvert, Ma- tilde Dell’Oro Hermil, Maggiorino Assandro (63); ma anche Enrico Rossero, i medici Felice Bruno e Candido Botta di Almese, i veterinari Guido Marietti e Giuseppe Passet (veterinario di confine a Modane e Bardonecchia); gli avvo- cati Emilio Cler e Giorgio Agnes; i fratelli Luigi (notaio) e Primitivo (ufficia- le) Grange; Augusto Levis (pittore e sindaco di Chiomonte), Augusto Pezzana (ufficiale e sindaco di S. Ambrogio), Giuseppe Piazza (direttore del Regio Gin- nasio), Alfredo e Felice Campagna, P. Poncet, Nino Bonini (che mandava cor- rispondenze dal Sud Africa), Paolo Re, ecc. Per quanto – come scrive Couvert – il giornale ben presto divenne «l’organo dell’avvocato Genin e del suo partito», inizialmente tentò di rimanere al di fuo- ri delle varie dispute tra partiti, ed è forse per questo che tra i corrispondenti dei primi anni abbiamo trovato anche Roberto Lepetit (64), già alleato politico di Chiapusso, e Vittorio Piccini (65), il quale in seguito si allontanò per contrasti

parecchi Comuni della Bassa Valle (Alpignano, Rivoli, Trana, ecc.) si occuperà quanto prima non solo degli interessi del Circondario di Susa, ma di quelli dell’intiera Valle della Dora Ripa- riaÈ (da: L’Indipendente, 3 gennaio 1892, n. 1, p. 1; 5 novembre 1899, p. 1 (Avviso)). (63) Nato a Venaria Reale nel 1848, fu veterinario, professore di scienze naturali nella scuola tecnica, agente di assicurazione e direttore dell’Ospizio del Moncenisio. Non partecipò mai alla vita politica della città, anche se fu attivo in quella associativa e fu decisamente un personaggio di rilievo, occupandosi di questioni agrarie, zootecniche e sanitarie, tenendo conferenze, scri- vendo trattati e articoli sui giornali (da: Statuti dell’Unione Operaja di Susa approvati dall’as- semblea generale del 18 marzo 1883. Elenco dei soci fondatori, Susa, Tip. Gatti; Strenna Cor- riere delle Alpi, Susa 1892, Susa, Tip. Gatti, 1891; BUFFA MICHELE, Susa nei tempi..., cit., p. 287; ZANONE POMA EDOARDO, Le teorie sul folklore di inizio secolo ed i loro influssi sui ricer- catori piemontesi, in: SIBILLA PAOLO - ZANONE POMA EDOARDO (a cura di), Culture e tradizioni in Val di Susa e nell’arco Alpino occidentale, Atti del Convegno di Rivoli 13-14 ottobre 1995, Segusium, n. 35 (1997), pp. 27-44; articoli dei giornali locali). (64) Roberto Lepetit (1842-1907), francese, chimico e cavaliere, era uno dei proprietari della fabbrica segusina di estratti coloranti «Ledoga», fondata nel 1872, che partecipò anche alle Esposizioni Nazionali. Fotografo dilettante e cultore d’arte, realizzò numerose opere benefiche e fu attivo nella vita sociale segusina. A lungo consigliere comunale, era alleato di Felice Chia- pusso: negli anni ’80 aveva fatto parte del partito che fondò La Dora Riparia, negli anni ’90 fu vicino al Corriere delle Alpi, ma nel 1898 si alleò con Genin. Nel 1901 lasciò Susa (da: Relazio- ne dei membri della Giunta..., cit., in FERRERI GIOVANNI, Esposizione generale italiana, Torino 1884. L’antica Provincia di Susa e l’attuale Circondario nelle varie esposizioni dal 1805 al 1884. Monografia presentata dalla Giunta locale di Susa per l’esposizione generale italiana, Torino 1884 (Manoscritto); BUFFA MICHELE, Susa nei tempi cit., pp. 264-267; BANTI ALBERTO MARIO, Storia della borghesia, cit., p. 154; articoli dei giornali locali). (65) Avvocato torinese, giornalista, molto attivo nella vita sociale di Susa, appartenente al partito di Chiapusso, entrò attivamente in politica solo a partire dagli inizi del ’900. 154 d’idee e fondò il Corriere delle Alpi, ma anche Ulisse Morelli (66), Dario G. Rossi (67), il dottor Mario Molteni (che fu il fondatore del socialismo Valsusino e del settimanale La Valanga nel 1905) (68), e probabilmente anche Virgilio Bel- lone (69), che confluirono successivamente nello schieramento socialista.

Com’era L’Indipendente Fino al 25 dicembre 1887 L’Indipendente fu pubblicato a Susa dalla tipo- grafia di Guido Gatti (che già aveva stampato La Dora Riparia) e dal gennaio 1888 al 26 ottobre 1890 a Torino dalla tipografia Pietro Celenza e Antonio Mastrella (via Parini 5) Ð anche se Gatti continua a raccogliere Çle associazio- ni e le inserzioniÈ (70) Ð. A partire dal novembre 1890 Rumiano stesso apre una tipografia, la Tipografia Subalpina, in p.zza del Sole n. 3, che pubblicherà il giornale fino alla chiusura. Il formato, inizialmente piccolo (38 x 25), si ingrandisce (45 x 31) a partire dal 29 giugno 1889. Dal 7 luglio 1889 la testata cambia per la quarta volta ve- ste grafica, adottando quella che manterrà almeno fino al 1905: la scritta L’In- dipendente, non più in caratteri tipografici «regolari» ma dal sapore vagamen-

(66) Socialista, probabilmente torinese, fu collaboratore de L’Indipendente e del Corriere delle Alpi, sui quali scrisse corrispondenze, articoli e poesie. La tipografia di Rumiano pubblicò un suo «volume di versi (...) opera informata a principi socialistici intesi nel più elevato senso della parolaÈ (L’Indipendente, 4 dicembre 1892, n. 51, p. 2 (Prossima pubblicazione)). (67) Democratico ed emancipazionista, autore di articoli su questione sociale, padri della pa- tria, politica e pensieri sui «massimi sistemi» (pace, contro il militarismo, la donna e l’istruzio- ne...), racconti d’appendice «anticonformisti». (68) Il torinese Mario Molteni, dal 22 luglio 1898 al maggio 1899 Ð quando era medico ad Exilles Ð, aveva pubblicato su L’Indipendente una serie di articoli sulle piante medicinali, dal ti- tolo I rimedi della montagna, che vennero ripubblicati nel 1907, nel 1914-15 e nel 1921-22 (cfr. anche SACCO SERGIO - RICHETTO GIGI, Il dinamitificio Nobel di Avigliana, Susa, Melli, 1991, p. 76s e 79s; RICHETTO GIGI, Il medico-apostolo Mario Molteni, in Laboratorio di ricerca. Rivista di storia contemporanea promossa dal Centro Studi sulla Storia del Movimento Operaio in Val- le di Susa ÇV. BelloneÈ, a. IV, n. 1, gennaio 1995, pp. 25-34; SARTI EMANUELA, Medici in val Su- sa una Çstoria socialeÈ. Dal colera a Bussoleno nel 1835 alla figura eroica del dottor Molteni, in Luna Nuova, n. 20, 14 marzo 1995, p. 16).

(69) Virgilio Bellone (1880-1976), maestro, giornalista, scrittore e socialista (da: RICHETTO GIGI, Virgilio Bellone maestro e organizzatore culturale, in Laboratorio di ricerca. Rivista di storia contemporanea promossa dal Centro Studi sulla Storia del Movimento Operaio in Valle di Susa ÇV. BelloneÈ, Borgone, Melli, a. I, n. 0, gennaio 1992, pp. 4-13; RICHETTO GIGI, Il medi- co-apostolo Mario Molteni, cit., pp. 25-34). (70) Guido Gatti, figlio di Gerolamo, nato a Susa nel 1842, era politicamente vicino a Chia- pusso e fu più volte consigliere comunale, oltre a socio di svariate associazioni cittadine. Nel 1895 divenne amministratore del Corriere delle Alpi. 155 te liberty, si staglia su uno sfondo in cui brilla un sole contenente la scritta ÇFiat luxÈ. Nasce come settimanale, in edicola la domenica. Nel 1891 viene stampato due volte la settimana (la domenica, e al giovedì «in mezzo foglioÈ). Dal 1892 torna alla vecchia cadenza; si ritenta la pubblicazione bisettimanale a partire dal 1899, ma già a novembre dello stesso anno si annuncia che «il giornale uscirà soltanto alla domenica in sei pagine» (71). Il numero di pagine varia dal- le quattro alle sei, e talvolta raggiunge le otto (soprattutto in casi particolari, ad esempio in periodo di campagna elettorale), inizialmente in tre colonne e poi in quattro. Nel 1899 si adottano caratteri più piccoli e interlinea più stretta. Quell’anno la tiratura raggiunge le tremila copie (72). Dopo i primi anni il prezzo non subisce più molte variazioni: nel 1887 il numero singolo costa 10 centesimi, l’abbonamento annuale 5 Lire, quello se- mestrale 3 Lire e quello per l’estero 7,50; nel 1888, cambiando tipografia, il numero singolo scende a 5 cent., l’annata a 3 Lire, il semestre a 1,50 Lire e l’Estero a 5,50. Nel 1889 l’abbonamento annuale sale a 4 Lire e quello seme- strale a 2,50; nel 1891 l’abbonamento annuale è a 5 Lire e quello semestrale a 3 Lire; nel 1895 è previsto anche un abbonamento al trimestre, a Lire 1,50; nel 1905 l’abbonamento annuale è invariato. In linea di massima la prima pagina è occupata dall’articolo di fondo (spes- so di politica), a volte in appendice sono inseriti brevi racconti; la seconda pa- gina riporta la corrispondenza da Roma e da Torino, la terza il gazzettino della città di Susa, la cronaca del circondario, recensioni e poesie, la quarta è occu- pata dalla pubblicità (anche di quotidiani come La Stampa-Gazzetta Piemon- tese e Gazzetta del Popolo, riviste e libri). Sono molto frequenti gli articoli di agricoltura (per es.: Çdopo la mietitu- raÈ; Çcura estiva del pollaioÈ; Çalimentazione invernale delle gallineÈ; Çrac- colto e trattamento del linoÈ; Çla mungituraÈ; ecc.), nella rubrica dal titolo «Per gli agricoltori«, che spesso occupa già la prima pagina, mentre col tempo le notizie locali (cronaca, resoconti dei consigli Comunali, di feste, pranzi d’o- nore, ecc.; Rivista del Tribunale e di tutte le Preture del Circondario Ð con no- tizie di furti, truffe, aggressioni, ecc. Ð) arrivano ad occupare anche la seconda e talvolta parte della prima pagina. Nuove rubriche si susseguono, come

(71) L’Indipendente, 5 novembre 1899, p. 1. (72) Nel primo decennio postunitario la tiratura complessiva dei quotidiani si aggirava sulle 400.000-450.000 copie. Sul finire del secolo poteva approssimativamente aggirarsi tra uno e due milioni di copie. Il numero dei giornali e delle riviste era di 762 nel 1871 e alla fine del 1895 saliva a 1901. A metà degli anni Settanta, se si guarda ai periodici, Torino contava 85 te- state (da: BANTI ALBERTO MARIO, Storia della borghesia italiana..., cit., p. 190; D’ORSI ANGE- LO, Nostalgia della capitale, in CASTRONOVO VALERIO, Torino, cit., p. 489; L’Indipendente, 3 agosto 1902, n. 31, p. 1 (Quel che si è fatto in trent’anni)). 156 ÇInfortuni sul lavoroÈ, ÇPer gli operai emigranti in Europa e nel LevanteÈ, ÇLa settimana nel mondoÈ, ÇPunti, appunti e puntini...È, ÇPubblicazioniÈ, e la rubrica di meteorologia curata da Ettore Chiapussi (73). Con il passare del tempo, inoltre, la pubblicità «invade» anche la terza pagi- na, e le réclame paiono aumentare di anno in anno, anche inserite nel corpo del giornale stesso: Esanofele Bisleri, Sapone Banfi di Milano, Pillole Pink, Lane Herion, Pastiglie Paneraj... Queste pubblicità sono strutturate come degli arti- coli più o meno lunghi, e risultano anche una buona occasione per «istruire» i lettori su norme igieniche e funzionamento del corpo umano. Ad esempio si de- scrive il sangue, i globuli rossi e bianchi, oppure o «l’esame delle urine» (74).

Il direttore Luigi Rumiano Luigi Rumiano nacque a Susa il 12 luglio 1860 da famiglia originaria di Villar Focchiardo (75), e morì a Torino nel 1934. Sua madre, Gaspara Berta, ri- masta vedova si risposò con l’avv. Ferdinando Montabone (76).

(73) Nato a Susa nel 1851, proprietario della fabbrica di Çcera naturale e lavorata, torce da chiesaÈ, agente di assicurazioni, consigliere comunale e socio di svariate associazioni cittadine, fu Direttore dell’Osservatorio Meteorologico di Susa, creato nel 1873 (ospitato fino al 1915 nel- la torretta della Sottoprefettura), e si occupò delle rubriche di meteorologia su L’Indipendente (Temperature Estreme e in seguito Osservatorio Meteorico - Susa. Temperature estreme) e su Il Rocciamelone. Politicamente era vicino a Chiapusso (da: CHIAPUSSO FELICE, Saggio genealogi- co..., cit.; FORNO TULLIO, ÇIl RocciameloneÈ, cit., p. 140; RUMIANO LUIGI, Il circondario di Susa illustrato sotto l’aspetto storico, geografico, turistico e commerciale, Susa, Tip. de L’Indipen- dente, s.d. (1900), p. 80; GILIBERT VOLTERRANI ANNA - GILIBERT ALFREDO, Val Susa com’era..., cit., p. 20; PATRIA LUCA, Modelli culturali fra otto e novecento. Appunti per una ricerca, in: 1890-1930. Il Circondario di Susa nelle cartoline d’epoca, Torino - Museo Nazionale della Montagna ÇDuca degli AbruzziÈ, 1 giugno-2 settembre 1984, Cahier Museomontagna, n. 32, p. 20; articoli de L’Indipendente). (74) L’Indipendente, 7 agosto 1904, n. 32, p. 1 (ÇConversazione scientifica. Il liquido miste- riosoÈ) e articoli pubblicitari del Çdott. Veritas» nei primi anni del ’900. (75) La famiglia Rumiano di Villar Focchiardo, Çricchi particolariÈ, ebbe membri che copri- rono cariche pubbliche dall’inizio dell’800: il notaio Giovanni Antonio (di cui sono conservati gli atti, redatti tra il 1787 e il 1835, presso l’Archivio di Stato di Torino, Notai del Distretto di Susa (Secc. XVI-XIX)); il chirurgo Michele Antonio; Giovanni (1820-1893), servitore di camera di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, e il medico Biagio Angelo (1829-1900) (da: GIACCONE MARIO, La ÇStoria di Villar FocchiardoÈ di Luigi Martoia, in Segusium, n. 22 (1986), p. 141). (76) Avvocato, nato a Torino nel 1833, fece parte del Consiglio di Stato, fu inviato in Basili- cata e poi trasferito alla prefettura di Como. Nel 1868 venne a Susa a ricoprire l’incarico di Se- gretario Comunale, dove inizialmente collaborò con Felice Chiapusso nella redazione de L’Eco Susina. Si sposò con Gaspara Berta, dalla quale ebbe una figlia, mentre sua sorella Adelaide sposò l’avvocato segusino Leone Couvert. Nel 1884 riprese la carriera degli impieghi governa- tivi e ed esercitò l’ufficio di Pretore a Trinità di Mondovì, Noli e Varazze. Morì nel gennaio 1894. 157 Rumiano fu avvocato praticante, ÇpatrocinatoreÈ, difensore di cause pena- li, «già collaboratore fin dal 1881 dell’on. Deputato Cocito» (77), e agente di assicurazione (78). Già collaboratore de La Gazzetta di Susa, fondò L’Indipen- dente quando aveva solo 27 anni. Fu anche corrispondente della Gazzetta del Popolo con lo pseudonimo di Veritas. Elettore di Susa, iscritto al Ruolo Ricchezza Mobile per Lire 1.200 (79), era anche il proprietario della tipografia dove veniva stampato il giornale (ÇTipo- grafia Subalpina e de L’Indipendente»), e del chiosco di rivendita. Impiegò la sua tipografia Çper una vera e propria campagna di documentazione delle realtà locali, sia promuovendo conferenze di cultori di storia e di arte, sia pub- blicizzando mostre, proiezioni e visite culturali e turisticheÈ (80). Stampò mol- te cartoline, che venivano pubblicizzate su L’Indipendente (nel 1905 arrivaro- no a 136), e fu autore di una guida di Susa dal titolo Il circondario di Susa il- lustrato sotto l’aspetto storico, geografico, turistico e commerciale Ð stampata nella sua tipografia Ð, che venne inviata nel 1900 come strenna agli abbonati del giornale, e di cui L’Indipendente fece per anni la pubblicità, descrivendolo come un volume Çricco di notizie storiche, geografiche, touristiche, industriali e commerciali, ed ornata di 48 artistiche incisioni, rappresentanti i monumenti e vedute più importanti e pittoresche della regione (...) dà il nome delle auto- rità, dei professionisti, negozianti, artieri, ecc. È pure utile al tourista colla de- scrizione delle principali ascensioni ed escursioniÈ (81). Nel 1904, in seguito ad una polemica coi socialisti, di sé scrisse: «i miei mezzi finanziarj mi permetterebbero di sbarcare il lunario anche senza dirigere la mia tipografia (...) l’essermi laureato ventenne, l’avere nell’elezione politica del 1890, da solo senza l’aiuto di comitati, tenendo conferenze (...), ottenuto 1100 voti, potrebbe anche significare che desiderandolo, potrei anch’io fare l’avvocato o il propagandista». Invece «Avvocato, io faceva l’operaio» (82). Nel 1887 troviamo Rumiano nella direzione del Circolo dell’Unione Ope- raia, mentre nel 1889 è membro della direzione della «concorrente» Società Operaia. Fu anche socio della Croce Rossa, della Società di patronato della Banda cittadina di Susa, del Comizio Agrario del Circondario di Susa e fu nel-

(77) L’Indipendente, pubblicità in 1a pagina a partire da marzo 1895. (78) Nel 1889 e almeno fino al 1891 delle assicurazioni L’Ancora e nel 1904 rappresentante generale nei mandamenti di Susa, Oulx e Cesana delle Assicurazioni Generali Venezia. (79) Corriere delle Alpi, 13 ottobre 1895, n. 41, p. 2 (Elenco dei Ruoli Ricchezza Mobile). (80) 1890-1930. Il circondario di Susa..., cit. (81) L’Indipendente, 15 gennaio 1905, n. 3, p. 2. (82) L’Indipendente, 18 dicembre 1904, n. 51, p. 3 (Socialisti!); 4 dicembre 1904, n. 49, p. 3 (Socialisti! A chi spetta, a firma Çavv. Rumiano Luigi, TipografoÈ). 158 la direzione del Circolo Sociale Alpino Ð dal 1902 poi ospitato nei locali Çdel- la casa Rumiano... in Via Marchesa Adelaide 22È Ð. é presidente della Com- missione teatrale nel 1903, l’anno dopo si esibisce a teatro cantando, ed era anche un ÇdilettanteÈ di spada e sciabola (83). Politicamente era vicino all’avvocato Federico Genin, a cui «prestava» le colonne del proprio giornale per campagne elettorali e ÇsmentiteÈ, e si dichia- rava anticlericale. Più volte tentò la carriera politica: nel 1889 per le elezioni comunali, una candidatura che afferma essere stata Çpresentata quale protesta contro quella del sig. avv. Catella, redattore del Corriere delle AlpiÈ, poiché «l’abbiamo detto migliaia di volte, i rappresentanti di giornali non dovrebbero mai entrare nei Consigli Comunali per potere mantenersi imparziali ed indi- pendentiÈ (84); nel 1895 per le elezioni provinciali (mandamenti di Susa, Oulx e Cesana), ma non venne eletto (85). Tentò anche la carriera di Deputato, nel 1890 (XVII legislatura) e nel 1900 (XXI legislatura), ma fu sconfitto in entrambi i casi da Felice Chiapusso. La prima volta, nel 1890, si presentò «con un programma radicale-legalitario» (86) e «antiministeriale» un po’ troppo ardito: istruzione assolutamente gratuita; aumento di stipendio per i maestri e i dipendenti pubblici; riduzione della fer- ma militare e trasformazione del sistema di reclutamento; stop agli armamenti navali, riduzione delle spese d’Africa, nessuna economia sulle opere pubbli- che e riforma del sistema di appalti e subappalti; divieto di accumulo di cari- che ministeriali e divieto di intromissione da parte dei membri del Governo nelle questioni del Parlamento; modifiche alla legge comunale e provinciale per ampliare l’autonomia locale, sindaci elettivi in tutti i comuni (87). Di sé scrive: «Io sono radicale legalitario; e con questo nome si debbono intendere i progressisti decisi, che vogliono leggi che sieno di benefizio serio alle classi lavoratrici, che siano di utilità a tutte le classi sociali; radicale lega- litario perché non vado contro le leggi dello Stato» (88). La seconda volta, nel 1900, si presentò come rappresentante dei «popola- riÈ, contro Chiapusso rappresentante dei ÇministerialiÈ (89).

(83) Notizie tratte da L’Indipendente. (84) L’Indipendente, 27 ottobre 1889, n. 43, p. 1; 3 novembre 1889, n. 44, p. 1 (Chi ha vin- to?). (85) L’Indipendente, 9 giugno 1895, n. 23, p. 1; 30 giugno 1895, n. 26, p. 1 (Elezione dei due consiglieri provincial). (86) L’Indipendente, 13 novembre 1892, p. 1 (Abbiamo vinto). (87) L’Indipendente, 9 novembre 1890, n. 45, p. 1 (La candidatura dell’avv. Rumiano Luigi). (88) L’Indipendente, 23 novembre 1890, n. 47, p. 1 (Il discorso dell’avv. Rumiano Luigi agli elettori del III collegio di Torino). (89) L’Indipendente, 3 giugno 1900, p. 1 (L’appello al Paese). 159 Nel 1902 alle amministrative gli fu proposto di entrare nella lista che veni- va definita «clericale», e, coerentemente, rifiutò. Anzi, in seguito alla succes- siva vittoria di tale lista, fu tra i promotori di un’Associazione Liberale (90). Nel 1903, quale organizzatore della «fiaccolata e fuochi d’artifizio» per la Fe- sta del XX settembre, devolse al Comitato per i Festeggiamenti Çle 25 lire (...) che aveva versate come primo fondo per la costituzione della Società liberale- progressistaÈ (91). Rumiano fu spesso vicino ai socialisti, anche se nel 1895 smentì fermamen- te di essere un socialista (Çquasi che il desiderare il benessere degli operai e de- gli agricoltori fosse socialismoÈ (92)), cosa che tornò ad affermare nel 1904 (93).

* * *

In seguito, la guerra di Libia (1911), la legge elettorale del 1912 con l’in- gresso di nuove forze (cattolici e nazionalisti) nella vita pubblica e «l’avvento, dopo le elezioni del 1913, di nuovi criteri di gestione del sistema politicoÈ (non più personalistico ma basato sui rapporti di forza tra i vari partiti), e il de- clino della stagione dei giornalisti d’opinione, ultimi «interpreti e garanti del costume e dell’opinione pubblica liberale», segneranno un deciso cambiamen- to nel clima generale italiano (94). Ma, come sappiamo, molte altre cose successero in Italia nel Novecento e L’Indipendente, che non sopravviverà al suo fondatore, si adatterà ai tempi, trasformandosi, dopo il 1934, in Alpe Fascista (95).

(90) L’Indipendente, 3 agosto 1902, n. 31, p. 4 (Associazione liberale progressista). (91) L’Indipendente, 13 settembre 1903, n. 37, p. 4 (Gazzettino. XX settembre). (92) L’Indipendente, 30 giugno 1895, n. 26, p. 1 (A ciascuno il suo. Commenti sulla lotta am- ministrativa). (93) L’Indipendente, 4 dicembre 1904, n. 49, p. 3 (Socialisti! A chi spetta, a firma Çavv. Ru- miano Luigi, TipografoÈ).

(94) CASTRONOVO VALERIO, La stampa italiana..., cit., p. 153. (95) Nel periodo successivo la direzione del giornale fu assunta da Giulio Genin: figlio del- l’avv. Augusto Genin (fratello dell’avv. Federico) e di Adalgisa Chiapusso (lontana parente del- l’avv. Felice) nacque a Torino nel 1880 e morì nel 1941 a Susa, fu avvocato (senza mai esercita- re), fotografo dilettante, autore di guide della Val di Susa (da: GILIBERT VOLTERRANI ANNA - GI- LIBERT ALFREDO, Val Susa com’era, cit.). 160 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 161-176

Laura Grisa Il vescovo Edoardo Rosaz da dieci anni beato

Mons. Edoardo Giuseppe Rosaz, ritratto dal pittore Luigi Guglielmino. Il quadro, custodito nella sacrestia dei Canonici della Cattedrale, venne esposto in S. Giusto nel 1991. (Fotografia di Laura Grisa). 161 ÇAlto della persona e slanciato, Monsignor Rosaz lasciava indovinare una struttura corporale e un’ossatura salda e resistente. La fronte aperta, la bocca alquanto larga, le labbra sottili erano atteggiate a facile e benigno sorriso; gli occhi cilestrini, chiarissimi, per lo più erano socchiusi e, senza fuggire lo sguardo, non si scorgevano mai fissi sulle cose o meno ancora sulle persone. Colla testa leggermente inclinata, or verso la spalla destra or verso quella sinistra, aveva un atteggiamento divoto, senza caricatura. I capelli erano radi e tendevano al castagno chiaro, mentre il colorito della pelle era bronzeo e ricordava una di quelle figure di abati, dipinti da Macrino di Alba, che hanno un aspetto severo e qualche cosa di ascetico. Vestito degli abiti pontificiali, Mons. Rosaz era imponente, e il suo incedere, deciso e per la lunghezza del passo assai veloce, diveniva grave in tempo di funzioni. Nel parlare e specialmente nel predicare, la voce forte, risonante e piena, era udita facilmente nelle più ampie chiese; nel canto si estingueva quasi affat- to, né pareva più la stessa. Questo quanto al fisicoÈ. (Da: Mons. Edoardo Giu- seppe Rosaz nella vita e nelle opere di Giuseppe Calabrese - Tipografia La Val- susa - Susa, 1914).

1991: Papa Giovanni Paolo II in Val di Susa Dieci anni or sono Ð il memorabile 14 luglio 1991 Ð Giovanni Paolo II pro- clamò beato l’ottavo vescovo della diocesi di Susa: mons. Edoardo Giuseppe Rosaz. Il Papa, in vacanza nella Valle d’Aosta, giunse a Susa dove visse con i val- susini e le altre persone Ð circa centomila Ð convenute in Piazza Savoia, una giornata intensa in cui, tra emozioni e giubilo, la cascata del suo amore si fece Çvisita, presenza, parola, incoraggiamentoÈ. Così «colse» nel suo editoriale pubblicato sul Supplemento a La Valsusa (n. 28, 11 luglio 1991) dedicato alla visita del Pontefice, il direttore, Don Etto- re De Faveri: un Papa che venne Çcon la sicurezza della sua fede, il carisma del suo ministero, la garanzia della sua missione e con l’eccezionale esperien- za che lo colloca tra i personaggi più significativi della storia».

Questa, una delle espressioni, tratte dal «Benvenuto» a Sua Santità, del Ve- scovo Vittorio Bernardetto Ð pubblicato sempre sullo stesso supplemento Ð il quale più avanti scrive: «Confidiamo che la visita del Papa a Susa scuota la nostra indifferenza, sciolga la nostra inerzia, solleciti la nostra fede e susciti un soprassalto di carità coerente». Un auspicio forte, pregnante, impegnativo. Per quanto riguarda la beatificazione, la definisce Çun evento singolare, ir- ripetibile, unico, voluto dal Papa per la nostra DiocesiÈ. 162 A dieci anni di distanza da quel 14 luglio, rivisitare quell’evento ci è sem- brato ancora una proficua opportunità per un incontro con il «Vescovo dei po- veriÈ e di riascolto della voce del Papa che sempre ci invita a seguire le orme del Beato di cui scrisse: «Egli si sentì un chiamato, un evangelizzatore, un apostolo di Dio che è AmoreÈ.

La folla acclamante all’arrivo di papa Giovanni Paolo II in piazza Savoia a Susa, la mattina di do- menica 14 luglio 1991. 163 La lettera pastorale Nell’aprile 1991 esce dalla tipolito Melli, Borgone (TO), la lettera del ve- scovo, mons. Vittorio Bernardetto, in preparazione alla visita di Giovanni Pao- lo II alla Chiesa di Susa, dal titolo Dio ricompensi. Un titolo che si ispira ad uno degli intercalari Ð Bóg zapla«c Ð che in Polonia «si mescolano nelle conversazioni quotidiane e sono, finché durano (come da noi: ÇSe Dio vuoleÈ), la trasparenza di una fede impastata con la vita e che non ha paura di sporcarsi intrecciandosi nel vocabolario di tutti i giorni. «Questo motto, sospeso tra l’augurio e la benedizione, l’ho letto in un di- scorso dell’Arcivescovo Karol Wojtyla pronunciato nella Cattedrale di Craco- via (non era ancora Cardinale), prima di partire per Roma per l’ultima Sessio- ne del Concilio Vaticano II e mi è sembrato significativo, per la molteplicità dei sentimenti che richiama, riportarlo come titolo di questa lettera in prepara- zione alla storica Visita Pastorale di Giovanni Paolo II a Susa il 14 luglio pros- simoÈ. Così, nella presentazione, l’autore. Una lettera concepita come prope- deutica per un’accoglienza consapevole e matura al Pastore universale della Chiesa, a «questo uomo di Dio così straordinario da portare la Chiesa nelle pa- gine della storia, trasformandola in storia della ChiesaÈ. (Ancora dalla presen- tazione). E inoltre, lettera come catechesi basilare sulla Chiesa, il Papa, i vescovi, con una breve presentazione di ÇquestoÈ Papa, mirata a rilevare tre aspetti es- senziali del pontificato di Giovanni Paolo II, «per mostrare la fecondità del suo servizio petrino alla Chiesa: 1¡ - l’opera evangelizzatrice nel campo della fede e della morale cristiana, alla luce dei viaggi apostolici; 2¡ - l’impegno nell’attuare il Vaticano II con riferimento ai laici; 3¡ - aprire la cristianità occi- dentale all’Oriente e la preoccupazione di preparare la Chiesa al terzo millen- nio, con fiducia nell’aiuto di Maria “madre del Redentore”». La lettera pastorale presenta anche la Chiesa che è in Susa con i suoi mini- stri e ministeri, dedica una breve scheda ai vescovi della diocesi, a partire dal primo, mons. Giuseppe Francesco Maria Ferraris dei Conti di Genola che co- struì il vescovado, restaurò la Cattedrale e resse la Diocesi (eretta il 3 agosto 1772 con la Bolla Quod Nobis) dal 1778 al 1800. A corollario, la preghiera composta da mons. Bernardetto per il nuovo Bea- to, una scheda biblica, un vocabolarietto e alcune pagine in bianco dedicate agli ÇappuntiÈ. Un libretto prezioso, divulgato nelle varie parrocchie della Diocesi, per ca- pire, gustare e partecipare con maggior consapevolezza, preparazione e re- sponsabilità al grande evento che ormai era alle porte.

164 La notizia ufficiale della beatificazione In prima pagina sul n. 23 del settimanale La Valsusa (6 giugno 1991), esce la notizia ufficiale della proclamazione della beatificazione di mons. Edoardo Giuseppe Rosaz, il primo segusino assurto a questo grado di perfezione. L’articolo, a firma di mons. Vittorio Bernardetto, conferma definitivamente le voci ufficiose e le attese che da mesi si respiravano in Valle. Quel Çrallegriamoci ed esultiamoÈ sgorgato dal pastore della Diocesi, non stenta a contagiare i valsusini che si dispongono a vivere, in vari modi, la sto- rica giornata che è sintetizzata dalle parole del Vescovo come Çuna grazia che il Signore concede alla Chiesa che è in Susa», come «un momento di riflessio- ne per la Congregazione delle Suore Francescane, fondate dal Beato RosazÈ e anche come «una pausa di ripensamento per la società civile segusina, autorità e cittadini, perché guardi a questo conterraneo che le appartiene a tutti gli ef- fetti, come ad un autentico uomo di questa terra e di questa Chiesa, povero e solidale con i poveri, esempio del servizio ecclesiale, nella fedeltà al suo Si- gnoreÈ. Con il n. 27 del 4 luglio 1991, si conclude sul settimanale La Valsusa la ca- techesi del Vescovo, articolatasi in sette momenti. Quella del numero citato propone il magistero di mons. Rosaz. La santità del nuovo Beato «fonte e foce della sua pastorale» è colta come «prossimità a Dio e al Popolo di Dio affidato alle sue cure e nella non estraneità ai problemi della storia in una evoluzione epocale per tanti versi, simile alla nostraÈ. Il n. 28 de La Valsusa uscirà con un supplemento di 34 pagine, dal titolo Il Papa a Susa. Il n. 158 de L’Osservatore Romano del 12 luglio 1991 presenterà un inser- to di otto pagine dedicate alla visita del Papa alla diocesi di Susa. Altre testate, locali e nazionali, servizi radiofonici e televisivi diffonderanno la notizia in Italia e oltre.

Le biografie Ritorniamo ancora al n. 27 del settimanale diocesano. Sulla stessa pagina della catechesi, ricordata sopra, mons. Vittorio Bernar- detto presenta il libro del sacerdote-giornalista di Pinerolo, Vittorio Morero, una biografia del nuovo Beato, pubblicata dall’editrice Esperienze di Fossano nel giugno del 1991. La seconda che l’autore dedica al Rosaz. La prima, dal titolo Edoardo Rosaz, un vescovo che amò la sua terra Ð un libretto di sessantaquattro pagine – uscì dalla Stampa Diocesana Segusina nel 1986, a seguito della proclamazione ufficiale dell’eroicità delle virtù del Servo di Dio (22 marzo 1986). Questa nuova biografia di duecentottantasei pagine, è definita «seria, sfron- 165 data dai soliti stereotipati schemi agiografici, critica e legata alla storia segusi- na, da mettere in mano a persone intelligenti, senza dover arrossire per troppa ingenuità, senza candidarla agli scaffali dei pochi dotti e alle biblioteche dei posteriÈ. Un libro prezioso per incontrare a fondo questa figura di vescovo perlopiù sconosciuto a molti, nonostante il suo carisma e le sue importanti opere, nono- stante la pubblicazione di alcune precedenti biografie, a partire da quella del can. Giuseppe Calabrese Ð segretario per diciotto anni di mons. Rosaz e poi ve- scovo di Aosta Ð uscita nel 1914 dalla tipografia La Valsusa, Susa (TO) col tito- lo Mons. Edoardo Giuseppe Rosaz, Vescovo di Susa, nella vita e nelle opere. Gli altri libri dedicati al Beato sono: quello di Giuseppe Borello, editato dalla SEI nel 1965, intitolato Mons. Edoardo Rosaz, un grande amico di S. Giovanni Bosco, ristampa integrale della prima edizione, pubblicata nel 1930 dall’Ed. La Salute (Torino), quello di Felice Rossetti, Mons. Edoardo G. Ro- saz che venne stampato nel 1969 dall’Industria Grafica Pistolesi (Siena) e poi ristampato nel 1991 dallo stabilimento A. C. grafiche di Città di Castello (PG), ampliato di due capitoli. E ancora quello di Alessandro Rossi, Servo di Dio Mons. Edoardo Giusep- pe Rosaz Vescovo e Padre dei poveri, Suore Terziarie Francescane, Susa (TO), 1978. Per completare l’elenco delle biografie, devo riportare anche il titolo del mio libro, Le ÇroseÈ del vescovo, ed. Melli, Borgone (TO), 1995. Il primo e l’unico, finora, uscito dopo la beatificazione del Rosaz.

14 luglio 1991 Terminata questa breve carrellata relativa al «prima» dell’evento, siamo giunti al grande giorno, rimasto indelebilmente scolpito nell’animo di tutti colo- ro che, direttamente o indirettamente, in varie forme, ne furono coinvolti e parti- colarmente atteso e poi vissuto in pienezza di gaudio dalle Suore Francescane Missionarie di Susa, giunte nella cittadina anche dalle loro terre di missione. Per rivivere la gioia e l’atmosfera di quel «dono» – come definì la beatifi- cazione il vescovo Vittorio Bernardetto nel saluto al Papa in Piazza Savoia Ð un dono, quale Çulteriore richiamo (...) alla concretezza e al radicalismo del VangeloÈ, ho pensato di proporre il primo capitolo del mio libro ricordato so- pra, in cui, con rapide pennellate, fresche ancora dell’eco della visita papale*, ho ritratto d’empito, l’emozione che vieppiù lievitava, di ora in ora, nell’ani- mo di noi presenti nella piazza Savoia gremita di diecimila persone.

* Per chiarimento devo precisare che il mio libro, pronto, in prima stesura, già molto tempo prima dell’uscita, vide le stampe solo nel 1995, perché i miei vari problemi di salute, protrattisi per un lungo periodo, furono di impedimento ai tempi programmati. 166 167 Bóg zapla«c 14 luglio 1991. Susa svegliata da un vento vigoroso che impone la sua pre- senza e la sua autorità. Susa pavesata di bianco e di giallo. Susa gremita da una folla strabocche- vole che cammina spedita, cerca, raggiunge la piazza. Susa, con il suo cuore che batte più forte, in sintonia con quello di coloro che dai vari paesi della bas- sa e alta Valle, dalla Savoia e da altre parti del Piemonte e del mondo si prepa- ra all’eccezionalità dell’ora. E il momento non si fa attendere troppo oltre l’orario previsto. Intorno all’ora stabilita – 10.15 – ecco lo scroscio, l’erompere osannante. Piazza Savoia è un giubilo che brilla negli occhi di tutti i convenuti che fis- sano quel palco dove il Papa è salito unitamente a due cardinali, Angelo Soda- no Ð Segretario di Stato Ð e Giovanni Saldarini Ð metropolita di Torino Ð a quattro arcivescovi, a ventidue vescovi, al nunzio apostolico a Ginevra, mons. Justo Mullor Garcia, per la concelebrazione. Una funzione per un evento tanto atteso e che adesso sta per concretarsi: la proclamazione della beatificazione di Edoardo Giuseppe Rosaz. Un grande ÇBóg zapla«cÈ (ÇDio ricompensiÈ) verso Giovanni Paolo II che è venuto qui dedicando una giornata delle sue vacanze in Valle d’Aosta alla diocesi di Susa sgorga caloroso dall’animo di tutti. E la voce commossa e ri- conoscente del vescovo di Susa, mons. Vittorio Bernardetto, ne è interprete fedele. Poi si prega, si canta, si ascoltano le parole del Papa. ÇDio. Padre del Signore nostro Gesù Cristo... ci ha scelti per essere santiÈ (Ef. 1,3-4). Carissimi fratelli e sorelle, con queste parole dell’odierna liturgia, tratte dalla Lettera agli Efesini, saluto tutti voi, che siete oggi qui radunati per par- tecipare alla beatificazione di Mons. Edoardo Giuseppe Rosaz, figlio della vo- stra terra e vescovo della diocesi di Susa. (...) «In Cristo “Dio” ci ha scelti prima della creazione del mondo, per es- sere santi e immacolati al suo cospettoÈ (Ef. 1,3-4). Siamo tutti chiamati alla santità. L’apostolo Paolo ci invita a vivere nella più diligente fedeltà al mandato che Dio ci ha affidato. Si tratta, certo, di una missione difficile, ma fondamentale per la nostra esistenza e per la vita della Chiesa, segno di salvezza per l’intera umanità. Quanto opportunamente si addice alla testimonianza di Mons. Edoardo Giuseppe Rosaz questa pagina biblica! (...) C’è bisogno di apostoli che vadano fra la gente senza bisaccia, né de- naro nella borsa, ma calzati solo di sandali e con una tunica sola (cfr. Mc 6,8): poveri e umili, ma ricchi della grazia divina. Carissimi fratelli e sorelle, sono qui, fra voi, per confermarvi nell’univer- 168 Il suggestivo palco che ha ospitato la celebrazione della messa del Papa, assistito da cardinali e vescovi e la proclamazione del beato mons. Edoardo Rosaz. sale compito missionario affidatoci dal ÇPadrone della messeÈ, additandovi come esempio a cui ispirarsi il novello Beato. I Santi e i Beati mostrano alla Chiesa sulla terra il legame che la congiun- ge al mistero della Comunione dei santi, e nello stesso tempo indicano la via alla santità, alla quale, tutti siamo chiamati. Il cristiano deve percorrere questa strada. Egli sa che non può appesantir- si di beni superflui ma che deve andare all’essenziale come mons. Rosaz, il quale si liberò di ogni terreno fardello non indispensabile al cammino della perfezione, imitando gli scalatori delle vostre montagne quando, ad esempio, 169 salgono sul Rocciamelone, sul Tabor o sull’Orsiera. Le vette, voi lo sapete, vanno scalate scarpinando prima sugli speroni rocciosi ed è su quelle balze che si misura lo sforzo e il fiato e la capacità di salire. Molti si arrestano e ritornano sui loro passi. Per raggiungere le cime della santità occorre passare nei contrafforti della carità, rischiando, faticando, non arrendendosi dinanzi alle difficoltà. Ben sottolinea questo programma di vita spirituale lo stemma della vostra Città: «In flammis probatus amorÈ, e ÇDio ricompensiÈ (1).

...Con la recita dell’Angelus, si chiude questa suggestiva, emozionante cerimonia accolta dai Valsusini come un dono irripetibile di grazia e di esul- tanza. La funzione, fissata in migliaia di fotogrammi e in diverse riprese televisi- ve, sfuma con l’onda delle ovazioni che accompagnano Giovanni Paolo II che sta per recarsi in Cattedrale, dove si inginocchierà davanti al trittico di Rota- rio, all’altare della Madonna del Rocciamelone. Termina così il primo momento di questa intensa giornata del Pontefice che Lo vedrà, nel pomeriggio, all’Istituto «Mons. RosazÈ per un ÇpellegrinaggioÈ alla ÇPorziuncolaÈ della Çbenemerita Famiglia ReligiosaÈ (2) delle Suore Francescane Missionarie e poi all’Arena Romana in un caloroso incontro coi giovani. A conclusione, ancora una breve visita alla Sacra di San Michele, per l’ulti- ma benedizione alla Valle che da oggi ha il suo primo beato segusino: Edoardo Giuseppe Rosaz.

Il ÇdopoÈ A ricordo della visita papale, ancora nel mese di luglio 1991, esce dalla Ti- polito Melli in collaborazione con la SGI (società generale dell’immagine s.r.l.), una pubblicazione rievocativa dei vari momenti della giornata segusina del Papa. Il libretto Ð settantotto pagine, dal titolo ÇA Susa col Papa c’ero anch’io», coordinato da don Gian Piero Piardi Ð offre una panoramica suggestiva di bel- le immagini, tutte a colori, che hanno scandito la visita papale, rievocandone i momenti più salienti. A fianco, alcuni scritti che riportano le impressioni personali sulla giornata a firma di Giulia Tonini, Mario Paris, Bruno Andolfatto, con in primo piano i vari discorsi del Papa, il saluto d’accoglienza del Vescovo e una breve intervi- sta alla Superiora Generale delle Figlie spirituali del Rosaz, Madre M. Man-

(1-2) Mons. Rosaz e le sue opere (periodico trimestrale dell’Istituto delle Suore Francescane Missionarie di Susa, fondato nel 1928). Speciale beatificazione del Fondatore. 170 sueta Gentile. Abbinata al libretto, una videocassetta della durata di trenta mi- nuti, avente lo stesso titolo. Un ricordo vivo di quelle ore singolari. Una forte emozione. Il 1¡gennaio 1992 la Congregazione religiosa fondata dal Beato nel 1874, sorta col nome di Terziarie di S. Francesco di Susa, diffonde il Numero Unico del periodico Mons. Rosaz e le sue opere, dedicato alla beatificazione del ve- scovo segusino. Nella presentazione, la Superiora Generale scrive: Çé con grande gioia e immensa riconoscenza al Signore per i Suoi doni che mi accingo a presentare questo Numero Unico (...) che vuole fissare nella memoria e nel tempo, il ri- cordo di ciò che abbiamo vissuto il 14 luglio 1991, giorno in cui la nostra città di Susa, e in particolare la nostra famiglia religiosa, ha accolto la visita del Santo Padre Giovanni Paolo II e ha celebrato la Beatificazione di Mons. Edoardo Giuseppe Rosaz, Vescovo di Susa e nostro Padre Fondatore. Due grandi avvenimenti che segnano la storia della Diocesi, e ancor di più il cam- mino della nostra CongregazioneÈ. La pubblicazione, su carta patinata con numerose foto a colori Ð un bel Çri- cordoÈ veramente Ð, riporta i vari discorsi di Giovanni Paolo II, il saluto del Vescovo di Susa, prima della Messa di beatificazione, quello della Superiora Generale, nonché alcune pagine relative all’iter della causa di beatificazione e anche testimonianze di chi aveva presenziato alla cerimonia. Da segnalare ancora il saluto del Cardinale Angelo Sodano cui era stata conferita la cittadinanza onoraria da parte della città di Susa, nonché l’apporto del sindaco prof. Germano Bellicardi. Inoltre medaglie commemorative e gli annulli postali a ricordo della memorabile giornata.

Decimo anniversario Quest’anno, decimo anniversario della beatificazione, le Suore Francesca- ne Missionarie, la parrocchia di S. Giusto, in collaborazione con la Pro Loco di Susa, il Gruppo Catechistico di S. Giusto e di S. Evasio, la Caritas, gli Ami- ci del Presepio, hanno voluto celebrare in modo più marcato e solenne degli anni precedenti, la Festa del Beato, con varie iniziative proposte nei giorni tre, quattro, cinque, sei maggio scorsi. Il primo giorno la popolazione è stata invitata ad una veglia di preghiera animata da don Ettore De Faveri, tenutasi nella chiesa Maria Immacolta del Centro Beato Rosaz. Una toccante funzione, con canti eseguiti dalla Corale Liturgica di S. Giusto, passi evangelici ispirati alla carità, pagine tratte dal li- bro di Felice Rossetti, uno dei biografi del Rosaz, preghiere presentate dai va- ri gruppi del volontariato, dall’Istituto delle Suore di S. Giuseppe, dai Frati Minori Conventuali, dalle Suore del Beato e dalle loro Postulanti Ð le Çsenti- nelle del terzo millennioÈ Ð come suole chiamare i giovani, questo Papa. 171 Il quattro maggio è stato dedicato alla celebrazione Eucaristica, officiata in cattedrale, dal nuovo vescovo, Mons. Alfonso Badini Confalonieri. Il cinque fu la giornata dei ragazzi delle due parrocchie segusine, invitati ad una Çcaccia al tesoroÈ per le vie cittadine, sui passi del Rosaz, con possibi- lità di visita al museo e alla cripta dove riposano le spoglie del Beato. L’ultimo giorno fu realizzato un pranzo comunitario al «Centro Rosaz», con la proposta pomeridiana del musical Forza venite gente, interpretato dalla compagnia ÇLupi PentitiÈ della Valmessa.

A ricordo di questo decimo anniversario, La Valsusa ha offerto ai suoi let- tori Ð col n. 28 del 12 luglio Ð un supplemento illustrato di quattro pagine in cui si è dato voce ad alcuni protagonisti del 14 luglio 1991: Sabrina Farci e G. Mario Martra che porsero il saluto al Papa a nome dei tanti giovani valsusini che si erano trovati all’incontro col Papa nell’Arena Romana; mons. Renato Boccardo, nativo di S. Ambrogio, responsabile dei viaggi del Papa; Michele Ruffino, l’architetto che progettò il palco-altare e le altre strutture; don Gian Piero Piardi, responsabile della sala stampa; Madre M. Mansueta Gentile, Su- periora Generale delle Suore del Rosaz; Ines Blandino Martin, una delle cuo- che che prepararono il pranzo al Papa. Sul n. 1 - aprile 2001 Ð del trimestrale Mons. Rosaz e le sue opere (già cita- to), la Madre Generale, nella pagina dedicata al ricordo del decennale della beatificazione, scrive: ÇIl Beato Rosaz (...) si ripropone alla nostra attenzione non soltanto come il ricordo di un giorno di festa, di un avvenimento storico e unico per la città di Susa. Egli vuole offrirci la nostalgia della santità, vuole ri- cordarci che, camminando nelle strette viuzze della nostra città, visitando le famiglie più modeste, accogliendo gli appelli dei poveri, pregando e celebran- do nella vetusta Cattedrale, ha potuto e saputo incontrare e contemplare il “Volto di Cristo”. Preghiera, annuncio e carità sono le prerogative della santità del Beato Rosaz. I suoi scritti sono un invito pressante alla santità, ci rivelano la sua profon- da contemplazione dei misteri della salvezza, la sua fede incrollabile nella Di- vina ProvvidenzaÈ.

Mons. Renato Boccardo, sullo stesso numero del trimestrale suddetto, do- po aver evidenziato la fisionomia della santità nei seguenti termini – «La san- tità (...) è il contrario del fatalismo. Essa allenta la morsa del determinismo inesorabile per lasciarvi l’imprevisto di Dio» (totale fiducia, perciò, nella Provvidenza) Ð continua ricordando quanto il Rosaz soleva ripetere in propo- sito: «Sia fatta ed in eterno esaltata l’altissima, la giustissima, l’amabilissima volontà di Dio». E richiama anche l’espressione che scrisse a tal riguardo Giuseppe Cala- brese, a pagina novanta del suo libro (sopra ricordato): Çla fede del Rosaz nel- 172 la Provvidenza fu quella che irrigò l’albero, cresciuto all’ombra della prote- zione del cieloÈ. Voglio ancora ricordare, a complemento delle varie manifestazioni relati- ve al decennio della beatificazione, la Celebrazione Eucaristica del 14 luglio, presieduta dal vescovo Mons. Alfonso Badini Confalonieri, nella chiesa del ÇCentro Beato RosazÈ. Una Messa in cui la lettura e il passo evangelico sono stati un richiamo al dono di sé e al premio eterno riservato a chi si fa prossi- mo, eleggendo gli ultimi, come testimonia la vita del Beato che il Vescovo definì santo, dedito al Signore, umile, semplice, prudente, attento al prossi- mo, con una ferrea volontà di seguire Cristo, incarnando in modo eroico le virtù cristiane. Un’omelia toccante, concreta, coinvolgente per la sua dimensione feriale, aliena dagli stereotipi del panegirico, con la presenza ÇtangibileÈ del Beato.

Molto significativo il momento delle offerte, quando il bastone pastorale e un paio di scarpe di Mons. Rosaz Ð simboli del suo ministero sacerdotale il primo e dello zelo nel diffondere la parola di Cristo, il secondo Ð furono porta- te all’altare unitamente al pane, all’acqua, ad un Vangelo, ad una manciata di riso, ad un cestino con alcuni articoli ricamati a mano. Simboli dell’attenzione alla fame nel mondo, dell’impegno nell’evangeliz- zazione e nella promozione umana, intenti suggeriti dal Beato e concretizzati dalle Suore da lui fondate e dai laici dediti al volontariato. Una vicinanza agli ultimi che Ð quale insegnamento sempre attuale Ð il no- stro Vescovo Beato ci addita con la forza del suo esempio per scalare Çnella semplicità e povertà evangelica», «la vetta della santità» (dalla «Preghiera» del Beato, di mons. Vittorio Bernardetto).

173 Susa, Cattedrale di San Giusto: la statua lignea del beato Edoardo Rosaz, ope- ra dello scultore Serge Couvert. (Fotografia di Laura Grisa).

I dati cronologici più importanti della vita di Mons. Edoardo Rosaz 1830 (15 febbraio) - Nasce a Susa (Torino) da Romualdo e Maria Francesca Dupraz. 1840 - Riceve la Prima Comunione e Cresima a Saluzzo, nel collegio, ove i genitori lo avevano collocato per gli studi. 1851 (ottobre) - Parte per Nizza Marittima per continuare gli studi e migliorare la sa- lute. 1854 - In questo anno a Nizza ha l’ispirazione di fondare una Congregazione di Suore. 1854 (Vigilia della SS. Trinità) - A Nizza da Mons. Galvano viene consacrato sacer- dote. 1854 (fine di giugno) - Torna definitivamente a Susa. 1855-1859 - In questi anni visita il Santo Curato d’Ars. 1856 (25 novembre) - Muore Mamma Margherita. Due giorni dopo Don Bosco va a Susa a confortarsi dal Can. Rosaz. 174 1856 - Accoglie le prime fanciulle abbandonate. 1874 - Prende possesso della carica di Rettore del Seminario. 1874 (8 dicembre) - Tre ragazze del Ritiro fanno la vestizione religiosa nelle mani di Mons. Rosaz: erano le prime tre Suore Terziarie. 1877 (1 maggio) - Mette la prima pietra della Chiesa del Ritiro. 1877 (26 dicembre) - Riceve il biglietto di elezione a vescovo di Susa da Sua Santità Pio IX. 1878 (24 febbraio) - Viene consacrato vescovo dall’Arcivescovo di Torino Mons. Ga- staldi. 1879 (29 gennaio) - Prende possesso canonico della Sede Vescovile. 1879 (9 dicembre) - Prima visita ad Limina. 1882 (8 ottobre) - Mons. Rosaz offre un pranzo a 247 poveri in Casa-Madre nel giorno dell’ingresso delle Terziarie. 1883 (10 luglio) - Leone XIII scrive a Mons. Rosaz una lettera di compiacenza. 1888 (29 gennaio) - Tiene pontificale con panegirico in onore di Francesco di Sales a Torino, e assiste alla santa morte di Don Bosco. 1888 (29 luglio) - Riapre la chiesa di S. Francesco. 1890 (1 agosto) - Consacra la nuova chiesa di Novaretto. 1890 (1 novembre) - Consacra il nuovo cimitero di Susa. 1895 (20 febbraio) - Si trova a Roma per la visita ad Limina. 1895 - Concede il ritorno dei Frati Minori Conventuali nella Chiesa di S. Francesco. 1897 (1 aprile) - Esce il primo numero de ÇIl RocciameloneÈ, da lui voluto. 1899 (15 giugno) - Mons. Rosaz benedice la Statua della Madonna del Rocciamelone, opera di S. Stuardi. 1899 (28 agosto) - Viene solennemente inaugurata, con il compiacimento di Mons. Rosaz, la Statua della Vergine del Rocciamelone sulla vetta a m 3537. 1900 (2 febbraio) - Va a Roma con un pellegrinaggio diocesano per l’Anno del Giubi- leo. 1901 (4 ottobre) - Apre il Ricovero per le povere vecchie. 1902 (2 febbraio) - Con Decreto della Curia approva la Congregazione delle Suore Terziarie. 1903 (12 gennaio) - Mentre ricambia gli auguri natalizi ad una scuola cittadina, ha il sintomo del male che lo porterà alla tomba. 1903 (3 maggio, ore 12,45) - Dopo aver recitato il Te Deum laudamus con gli astanti, pronunciate le parole di Cristo sulla Croce: ÇIn manus tuas, Domine, comendo spi- ritum meumÈ, santamente spira. Aveva 73 anni, due mesi e dodici giorni. 1903 (5 maggio, ore 9,30) - In una vera apoteosi di Autorità e Popolo, la Salma di Mons. Rosaz viene tumulata nel cimitero, entro il Sepolcreto dei Vescovi e dei Ca- nonici di Susa. 1911 (29 maggio) - Un decreto Ministeriale concede la facoltà di trasportare la venera- ta Salma di Mons. Rosaz dal cimitero nella Cappella del Ritiro. 1919 (7 maggio) - Traslazione della Salma di Mons. Rosaz nella Cappella del Ritiro. 1921 (17 luglio) - Viene inaugurato il monumento sepolcrale, con stemmi e medaglio- ne, opera del Prof. Cellini. 1930 (15-16 febbraio) - Viene commemorato il centenario della sua nascita, e ricorda- to con la inaugurazione del Ritiro per poveri vecchi. 175 1930 (7 maggio) - Si apre il Processo Informativo per la Causa di beatificazione. 1956 (27 agosto) - Si fa il Processo Apostolico per la beatificazione. 1986 (22 marzo) - Viene ufficialmente proclamata l’eroicità delle virtù del Servo di Dio. 1991 (14 luglio) - Viene proclamato Beato da Giovanni Paolo II, in Piazza Savoia a Susa.

176 Comunicazioni

SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 179-184

Piero Del Vecchio Mons. Vittorio Bernardetto Vescovo di Susa

Mercoledì 7 marzo, poco dopo le sei del mattino, presso la nuova abitazione nella Casa del Clero a Susa, si è spento all’età di 75 anni mons. Vittorio Bernardetto vesco- vo emerito di Susa, pastore della diocesi segusina per 22 anni. La lunga malattia che lo portò prima all’ospedale Susa, poi alle Molinette ed infine al Cottolengo, ha avuto la meglio su una fibra non certo forte ed appesantita dalla fatica. Era nato a Castellamonte (Ivrea) l’8 novembre 1925 da famiglia modesta, entrò in seminario all’età di 14 anni e il 29 giugno 1949 fu ordinato sacerdote. Iniziò il mini- stero come vice parroco a Pont Canavese dove rimase per nove anni quando lasciò la parrocchia per dedicarsi al Santuario di Santa Maria a Pont Canavese. Nel 1968 mons. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, lo volle con sé come parroco della più popolosa par- rocchia cittadina, San Lorenzo, e suo vicario. Qui mons. Bernardetto si impegnò a fondo, istituì una scuola biblica con la presenza settimanale di Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, rinnovò il consiglio pastorale parrocchiale: la sua parrocchia camminava spedita nel solco tracciato dal Concilio Vaticano II. Ordinato vescovo di Susa il 7 luglio 1978 nella cattedrale di Ivrea dal Cardinale Anastasio Ballestrero, fa il suo ingresso ufficiale a Susa il 17 settembre 1978. Fu l’ul- timo vescovo italiano nominato da papa Paolo VI. Il primo decennio del suo mandato in diocesi fu segnato dallo sforzo di pianificare, rimettere ordine, avvicinare la diocesi al cammino dell’episcopato italiano. Inventò il Convegno diocesano, un’intuizione felice, nuova ed efficace fino alla metà degli anni ’90, divenne un punto di riflessione e rielaborazione pastorale. Un appuntamento an- nuale atteso, preparato con cura badando al coinvolgimento di associazioni, parroc- chie, laici. Nei primi anni le presenze sono davvero numerose poi, progressivamente, l’interesse sciama in modo proporzionale alle difficoltà di tradurre in pratica le diretti- ve e gli entusiasmi del Convegno. Il rinnovamento della chiesa segusina aveva biso- gno di tempi più lunghi. Uno sforzo rilevante dell’azione di mons. Bernardetto nei primi anni di episcopato si concentra nel settore della formazione teologica e culturale di clero e laici. Nel 1980 nasce lo Studio Teologico Diocesano con sede a Novalesa, poi sostituito nel 1989 dal 179 Corso per operatori pastorali, accanto ad esso, nel 1984, si istituisce il Centro Dioce- sano per la formazione dei catechisti. A questi corsi partecipano molti laici che affron- tano esami di fine anno anche impegnativi, tra i docenti saranno chiamati teologi del- l’abbazia della Novalesa, della diocesi di Torino e qualche sacerdote segusino. La Commissione Episcopale Italiana cambia i testi per la catechesi e mons. Bernardetto consegna al Convegno diocesano e ad una serie di iniziative mirate il compito di pre- parare sacerdoti e catechisti alle novità in atto. Inizia la prima visita pastorale nel 1981, benché abbia già conosciuto molte parroc- chie della diocesi in occasione delle cresime e di conferenze a cui è chiamato volentieri dove si fa apprezzare per l’eloquenza della parola. Sempre in quell’anno istituisce il Consiglio Pastorale Diocesano formato da laici e sacerdoti, chiede ed ottiene che ogni parrocchia abbia un suo Consiglio, raduna periodicamente le parrocchie per zone geo- grafiche nell’intento di facilitarne la comprensione e l’analisi dei problemi. Nel 1984 scrive una ÇBozza per un piano pastorale diocesanoÈ un documento di solida struttura pastorale e teologica, per certi versi audace, eppure disatteso da laici e sacerdoti. Forse il primo segnale di difficoltà, o meglio della diversa velocità di assimilazione delle no- vità in atto da parte del clero e dei laici e fra le diverse aree geografiche della diocesi. Mons. Bernardetto frequentava con assiduità le riunioni della Conferenza Episco- pale Piemontese e della CEI, era molto aggiornato, leggeva con attenzione tutti i docu- menti dell’episcopato italiano di cui conosceva anche la genesi, le Encicliche del Pa- pa, era interessato alla prassi pastorale dell’America Latina, che aveva conosciuto con mons. Bettazzi, leggeva con passione gli autori della teologia contemporanea. Era giornalista pubblicista dal 1982 e ricoprì presso la Conferenza Episcopale Piemontese la carica di presidente della Commissione per le comunicazioni sociali, dove profuse con zelo il suo apprezzato impegno. Questa sua competenza e passione teologica, unita ad un temperamento forte, a volte burbero, eppure ricco d’umanità e debole di fronte all’ostinazione di chi non condivideva le sue proposte o non seguiva i suoi orientamenti, talvolta segnava la dif- ferenza con gli interlocutori, credo anche, in taluni momenti, con il clero segusino, la- sciando spazio al disimpegno. Il tentativo di riordino della diocesi prosegue nella prima metà degli anni ’80 con la costituzione di Commissioni diocesane per la catechesi, la famiglia, il lavoro e i problemi sociali, i giovani. Queste assolveranno al compito di centri propulsori, in qualche modo autonomi e sinergici alle indicazioni del vescovo. Per una decina di an- ni esse avranno un ruolo certamente positivo.

Questo ultimo decennio è invece contrassegnato da due eventi: la visita del Papa a Susa il 14 luglio 1991 e la sua malattia. La visita del Papa a Susa e la beatificazione di mons. Edoardo Rosaz segnano forse il punto più alto dell’episcopato di mons. Bernar- detto non tanto per il fatto in sé quanto per averlo potuto pensare e realizzare. La diocesi di Susa visse momenti indimenticabili. Sulla scia di quell’evento il ve- scovo cercò di rilanciare un po’ tutte le attività, fra queste il Consiglio Pastorale Dio- cesano, la Caritas, la pastorale giovanile. I problemi di salute si fanno pressanti, la stanchezza si fa sentire, una certa resistenza al cambiamento fa il resto. La diocesi in questi ultimi anni offre un’immagine di sé stanca, sopita, di questo mons. Bernardetto ne è certamente consapevole ma non unico responsabile. 180 Le opportunità create in questo lungo ventennio sono state molte e chi ha voluto profittarne ha trovato modo di farlo. Si può ben dire che monsignor Bernardetto ha collocato la diocesi di Susa a pieno titolo tra le consorelle del Piemonte, ha portato in valle teologi della fama di don Bruno Forte, vescovi del calibro di mons. Riboldi, Bet- tazzi, Ruini, personalità come Oscar Luigi Scalfaro e don Luigi Ciotti. Ha trasformato lo stile del linguaggio pastorale, non più intriso di deduzioni teologiche e ammoni- menti, ma immediato e denso nei toni, in sintonia con l’attualità teologica e pastorale. Si è dimosrrato attento alle tematiche sociali. Anche in questi ultimi anni, ha cercato di essere presente agli avvenimenti più im- portanti, tra questi va certamente ricordato l’impegno profuso per il centenario della posa della statua della Madonna del Rocciamelone nel 1999. Ha voluto il restauro del vescovado e della cattedrale di S. Giusto, il riordino dell’archivio e del museo dioce- sano. Ha amato la sua diocesi ÇteneramenteÈ come ebbe a dire commosso nel suo sa- luto alla diocesi sabato 3 febbraio in cattedrale di fronte ad una grande folla di fedeli venuti per porgergli l’ultimo saluto, tanto da voler rimanere fra i suoi cittadini a Susa una volta lasciato l’incarico. Gesto che gli varrà la cittadinanza onoraria. Un mese do- po lascia definitivamente la sua diocesi.

La cerimonia esequiale, celebrata venerdì 9 marzo in cattedrale, fu presieduta dal Cardinale Severino Poletto arcivescovo di Torino, che aveva accanto a sé il vescovo di Susa mons. Alfonso Badini Confalonieri e mons. Arrigo Miglio vescovo di Ivrea. Of- ficiarono il rito un centinaio di sacerdoti, tra questi l’intera Conferenza Episcopale Piemontese. Una folla numerosa e commossa gli ha dato l’estremo saluto. La salma è stata poi tumulata nel cimitero di Castellamonte, accanto alla mamma. 181 Il suo testamemo spirituale

ÇSignore Gesù, non so quali sono i tuoi disegni su di me per concludere la mia vita. Desidero dirti che fino a quando mi sosterrà l’intelligenza e la vo- lontà, li accetto come espressione del tuo amore per me. Ti ringrazio, Signore Gesù, per tutti i doni che mi hai fatto: la mia famiglia, i miei superiori, i vescovi, i miei parrocchiani di San Lorenzo d’Ivrea e questa diocesi di Susa con i suoi sacerdoti, vivi e defunti, i religiosi, le religiose e i fe- deli che ho cercato di amare e di servire sempre con retta intenzione, con i miei limiti, ma con passione profonda. Ti ringrazio, Signore Gesù, per la libertà che mi hai dato di disubbidirti qualche volta e di non amarti come avrei voluto. Ti chiedo perdono e lo chiedo a quanti: vescovi, sacerdoti e laici hanno avuto l’impressione di essere da me dimenticati, incompresi, non amati. Li met- to tutti sotto la tua bontà, Signore Gesù, perché almeno alla mia morte siano una comunità come avrei dovuto e voluto fare durante la mia povera vita. Rinnovo la mia fede in te, Signore Gesù, nella tua Chiesa. Custodisci questa diocesi di Susa che hai affidato alla mia cura pastorale, falla crescere nell’amore a te e sia lievito nel territorio di questa Valle. Benedici, Signore Gesù, con la mia salma, quanti vorranno ancora donar- mi il suffragio della preghiera. Grazie di tutto a tutti. E adesso, nella tua misericordia, a noi due, Signore Gesù, per sempreÈ.

Susa, 6 aprile 1997 VITTORIO BERNARDETTO vescovo di Susa.

182 Mons. Alfonso Badini Confalonieri

Mons. Alfonso Badini Confalonieri è stato consacrato vescovo della diocesi di Su- sa mercoledì 31 gennaio dal Cardinale Angelo Sodano, Segretario dello Stato della Santa Sede presso la basilica di San Pietro in Vaticano. Alla cerimonia hanno partecipato molti valsusini laici, sacerdoti e religiosi ed una delegazione di autorità civili della Valle di Susa, guidati dal presidente della Regione Enzo Ghigo. Mons. Confalonieri è nato a Valenza (Alessandria) il 1 agosto del 1944; rampollo nella numerosa famiglia dell’on. Vittorio Badini-Confalonieri, il liberale più volte de- putato nel collegio Cuneo-Asti-Alessandria, più volte ministro, deceduto da pochi an- ni, mentre la mamma del nuovo vescovo ha potuto assistere alle cerimonie dell’inse- diamento. Si è laureato in economia e commercio nel 1970, è entrato in seminario nel 1975 ed è stato ordinato sacerdote a Bardonecchia da mons. Garneri il 29 luglio del 1978. L’anno successivo si trasferisce a Roma dove il 5 luglio del 1981 consegue la Licenza in Teologia Morale alla Gregoriana. Dal 1981 ha lavorato alla Segreteria di Stato vaticana e il 9 luglio 1994 il Papa lo ha nominato delegato della sezione ordinaria dell’amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Fa il suo ingresso ufficiale in diocesi domenica 11 febbraio, accolto da una folla strabocchevole che San Giusto non riesce a contenere. A lui il compito di dissodare il terreno, rimotivare laici e sacerdoti all’impegno cristiano.

Nella Cattedrale di Susa, domenica 11 febbraio 2001, la cerimonia dell’ingresso del nuovo vesco- vo mons. Badini Confalonieri che riceve le consegne dal precedessore mons. Vittorio Bernardetto (a sinistra). (Le fotografie di questo servizio sono di Bruno Andolfatto). 183 Il nuovo vescovo di Susa, Mons. Alfonso Badini Confalonieri, nel giorno del suo solenne, festoso ingresso nella Diocesi. Alla sua sinistra l’assessore regionale alla cultura dr. Giampiero Leo. 184 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 185-188

Ricordo di don Guido Ferrero amico degli artisti

A metà gennaio di quest’anno, dopo lunghe tribolazioni, ci ha lasciato don Guido Ferrero; era originario di Sant’Antonino di Susa e aveva ottant’anni. Era entrato nel 1932 nel Seminario diocesano e a Susa aveva compiuto tutto il cor- so degli studi ginnasiali e liceali diventando poi anche insegnante al Liceo e all’Istitu- to magistrale. Lo incontravo abbastanza sovente per strada nelle vie cittadine di Susa, ci ferma- vamo qualche minuto a conversare con amabile civiltà. Brevi, purtroppo, le soste ne- gli altimi mesi, quando i suoi passi sempre più affaticati lo portavano all’ospedale per cure indifferibili e a rigorose scadenze. Mai però scomparve dal suo volto il sorriso bonario, limpido. Il canonico don Ettore De Faveri, parroco del Duomo di Susa, che lo ebbe profes- sore in ginnasio e poi in liceo, ha scritto su ÇLa Valsusa» di cui è direttore: «...voglio dirvi chi era per me questo piccolo, ma davvero tanto grande prete. Che poteva, se lo voleva, risponderti in latino o in greco antico, tanto ne sapeva. Che amava le cose bel- le della vita: la musica... la letteratura (quanti libri avrà mai letto don Guido?), la cul- tura (quante enciclopedie aveva?), la pittura, la poesia... Il mondo delle arti lo cercava perché un articolo di don Guido, una prefazione, anche solo la sua presenza all’inau- gurazione di una mostra era come un marchio di garanziaÈ (1). Del critico a don Ferrero mancava quel pizzico di ÇferociaÈ che ogni tanto bisogna dimostrare anche nel mondo delle cose che vogliono essere belle per definizione. Ave- va però innegabilmente la capacità di cogliere gli aspetti migliori e distintivi di un ar- tista, e non è poco davvero.

(1) Il settimanale ÇLa ValsusaÈ del 26 giugno 2001 ha pubblicato un supplemento a colori di 4 pagine dedicato a don Guido Ferrero. é soprattutto il ricordo e un tributo affettuoso al sacer- dote appassionato di arti e belle lettere da parte di un gruppo di artisti: Tino Aime, Anna Bran- ciari, Germana Albertone, Lina Laterza, Romano Bartolomasi, Gilardi, Franco Mercuri, Francesco Tabusso. Nelle stesse pagine Laura Grisa ci comunica, commossa, le sensazioni toccanti di un breve, ultimo incontro con don Ferrero Çcon nel cuore un triste presagio che la sua presenza mi viene confermando, a mano a mano che la conversazione procedeÈ. 185 E più avanti, nel ricordo di don De Faveri, leggiamo: «È stato fino all’ultimo il cappellano delle Suore Giuseppine e Dio solo lo sa quante volte è salito, sempre pedi- bus calcantibus, su a Villa San Pietro... È stato per più di cinquant’anni il cancelliere della Curia... Ha servito tre vescovi e si apprestava a servire anche il nuovo vescovo... Ha formato generazioni di maestri, ne ha preparati non so quanti ai concorsi...È. «Don Guido era prima d’ogni altra cosa una persona buona» e questo lo intuivano e lo sapevano in tanti; lo si comprendeva facilmente, al primo colpo d’occhio, anche solo incontrandolo per strada o parlando un po’ con lui, per esempio, di Norberto Ro- sa del quale possedeva e conosceva tutta l’opera. (Pur essendo scrittore agli antipodi, per concezioni di vita e stile, dell’alacre pretino).

Occupandosi di arti figurative e recensendo libri su ÇLa ValsusaÈ, don Ferrero ine- vitabilmente era anche diventato consulente e giudice (per lo più benevolo) di velleita- ri poeti e narratori che chiedevano, più che sentenze per la loro produzione letteraria, conforto e incoraggiamento per la loro ispirazione. In un paio di situazioni mi domandò un parere: si trattava più di casi umani che let- terari – spiriti in fuga non si sapeva bene da che cosa... –. Sono i casi più difficili che certo il «critico» don Ferrero risolse con tatto, correttezza, e anche carità cristiana, com’era nel suo carattere, nelle sue congenite doti di cuore, nel suo mai ostentato acu- me psicologico. Chi scrive questa breve nota di ricordo ogni tanto passava a trovarlo in Curia, nel- la Cancelleria, la sua quotidiana trincea fatta di mille carte, di tanti problemi diversi; braccio importante (ma non ÇCancelliere di ferroÈ!) per il governo della Chiesa in questa terra alpina. Quando nel 1995, con mia moglie gli portai in Curia copia del mio Erano onorevo- li e galantuomini (e ne lasciai, con un biglietto, un altro volume con preghiera di por- gerlo al vescovo Mons. Bernardetto), con un bel sorriso mi disse: Çé un tema inedito e di sicuro interessante; in Valle di Susa siamo sempre occupati, e troppo fermi, direi, ai Romani e al Medioevo. Se crede vorrei recensirlo per La ValsusaÈ. Chiedeva quasi il permesso di usare una preziosa, ricercata gentilezza all’autore. Un gesto straordinario di umanità e ne fece subito una recensione che andò ben oltre il contenuto del libro. Fu anche una perorazione, un invito alla cultura valsusina a inda- gare attentamente nella realtà storica più recente della Valle di Susa, perché ricerca es- senziale alla comprensione di talune situazioni di oggi (2).

(2) Dell’opinione di don Ferrero era anche il Vescovo di Susa Mons. Vittorio Bernardetto che, in data 14 giugno 1995, aveva scritto all’autore di Erano onorevoli e galantuomini. Dopo aver premesso che a Roma, all’assemblea della Conferenza Episcopale Italiana del libro ricevu- to in omaggio Çil segusino Mons. Renato Boccardo se n’è impossessato con avida curiosità», il vescovo di Susa proseguiva rimarcando il contributo alla storia locale perché «le notizie e i dati riferiti sono di una ricchezza unica per la conoscenza di uomini e di situazioni che, finora, non avevano trovato una sintesi così completa» e aggiungeva «spero che possa trovare il tempo per continuare nello “scavo” del nostro passato» per «donare agli uomini superficiali di oggi gli esempi degli uomini di ieri, nella speranza di aiutare a crescere nelle virtù antiche i “galantuo- mini” di domani». 186 Don Guido Ferrero (a sinistra) con il vescovo di Susa monsignor Vittorio Bernardetto. I due reli- giosi sono deceduti a poche settimane di distanza, all’inizio di quest’anno 2001. 187 Nel novembre 2000, alla riunione prenatalizia di redattori e collaboratori di La Valsusa ebbe per primo la «penna d’argentoÈ riservata ai collaboratori Çdi lungo cor- soÈ. Credo che sia stato il più degno di ricevere quel riconoscimento, destinato anche a premiare la sua capacità di affrontare vari temi e sempre con un linguaggio così chia- ro da risultare esemplare come scrittura di giornalismo. Da uomo schietto, non era produttore di fumisterie inespressive, anche quando valutava con prudenza e con gar- bo, virtù necessarie a chi giudica l’opera dell’ingegno altrui.

Don Ferrero non era soltanto un uomo erudito per i solidi, sudati studi classici Çdi una voltaÈ, seguiti con profitto e coltivati anche dopo la scuola, era uomo attento alla cultura della Valle di Susa e si fregiava del titolo di socio benemerito di ÇSegusium - Società di Ricerche e Studi valsusini» per molti anni presieduta da Mons. Severino Savi, altro importante uomo di cultura per le valli di Susa. La sua adesione a ÇSegusiumÈ risalente alle origini onorava il pluridecennale so- dalizio culturale della Valle e questa rivista era altrettanto onorata di ospitare ogni tan- to suoi scritti, l’ultimo dei quali nel n. 38 (settembre 1999) fu la recensione del libro Il Rocciamelone ieri e oggi di don Gian Piero Piardi. Anche a «Segusium» mancherà don Guido Ferrero. t.f.

188 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 189-192

Ricordo di Augusto Doro direttore di ÇSegusiumÈ

Nel n. 37 di Segusium abbiamo ricordato il professore Clemente Blandino, inizia- tore e primo direttore di questa pubblicazione periodica per oltre un decennio, a parti- re dal 1964. Ci sembra doveroso ricordare ora Augusto Doro che ha diretto questa rivista (chia- mata per vezzo letterario ÇbollettinoÈ) dal n. 11 al n. 19, ossia dal 1976 al 1983: 9 nu- meri in 7 volumi (perché due a numerazione doppia). Erano anni di fervida attività per Segusium, sotto la presidenza di un non ancora vecchio monsignor Severino Savi, coadiuvato da alcuni uomini di solida cultura. In quel periodo si distinguono due volumi della rivista della direzione Doro: il n. 15 (1979) sul convegno ÇIl 1250¡ dell’Abbazia di Novalesa» e il n. 16 (1980) con gli At- ti del convegno su Enrico da Susa detto il ÇCardinale OstienseÈ. Supplemento del n. 15 figura un’ampia bibliografia su Novalesa, curata da mons. Savi. Segusium – Società di Ricerche e Studi valsusini – nata da due-tre lustri, aveva an- cora dinnanzi a sé il territorio inesplorato, o quasi, della storia, dell’arte, dell’archeo- logia, insomma della cultura valsusina: in quello spazio si inoltrò alacremente, forte di alcuni solidi appoggi, facendo sentire la sua voce persuasiva, premessa a importanti ri- sultati per lo studio, la conoscenza, la conservazione del nobile patrimonio delle Valli di Susa. Nella storia di Segusium Ð 35 anni di impegno e di cultura nelle Valli di Susa pub- blicata nel 1998 Ð Michela Fiore ha scritto che Augusto Doro fu: Çindustriale, amante delle ricerche etnologiche e archeologiche che lo condussero ad essere presidente del- la Associazione di Antropologia ed Etnografia, Amici del Museo di Torino, collabora- tore della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, Conservatore del Museo di Cuneo, membro della sezione torinese dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri (Bor- dighera), oltreché corrispondente della Société Préhistorique française di ParigiÈ. Si- curamente un uomo di molteplici interessi che avevano il pregio di tradursi in realiz- zazioni sul terreno delle iniziative culturali. A Cuneo, dove svolgeva le funzioni di Conservatore, Augusto Doro nel 1973 in- serì una sua collezione di oggetti nel primo allestimento di quel Museo Etnografico Provinciale, allora nella ex-Caserma Leutrun. 189 Nel 1994 quel Museo Etnografico cuneese si è trasferito in provincia, nei tre piani del castello settecentesco di Rocca de’ Baldi ed è retto dall’Associazione denominata ÇCentro Studi storico-etnografici e Museo Provinciale Augusto DoroÈ. La dotazione più importante del Museo di Rocca de’ Baldi è la collezione che Au- gusto Doro raccolse negli anni 1970 per la Società di Studi Storici, Archeologici e Ar- tistici della Provincia di Cuneo. Le collezioni raccolte da Augusto Doro fanno particolare riferimento alla cultura materiale contadina della ÇProvincia GrandaÈ, soprattutto a quella delle popolazioni della montagna (agricoltura e allevamento del bestiame). Alla stessa raccolta appar- tengono svariati attrezzi artigianali per la lavorazione del ferro e antichi mantici per officine e per la fucina del fabbro ferraio. Il Museo Etnografico sistemato nel castello di Rocca de’ Baldi, intitolandosi ad Augusto Doro, ricorda degnamente lo studioso, il sagace ricercatore di reperti da con- servare con cura. é un riconoscimento che di riflesso gratifica anche Segusium della quale Augusto Doro è stato per parecchi anni attivo dirigente e responsabile di questa pubblicazione, onorata anche da suoi scritti. (t.f.)

Un erpice antico e caratteristico della collezione Doro nel Museo storico-etnografico provinciale con sede nel castello di Rocca de’ Baldi (Cuneo). 190 Augusto Doro (nato il 19-3-1906, morto il 17-11-1983) era torinese, ma di fami- glia profondamente radicata nel Saluzzese e nella ÇProvincia GrandaÈ. Di famiglia modesta, apprendista alla Fiat nell’adolescenza, lavorava frequentan- do le scuole serali e quando negli anni ’20 si impiegò in una ditta di esportazioni im- parò tedesco e francese, lingue che aprirono larghi orizzonti alle sue molteplici curio- sità culturali: dall’alpinismo escursionistico all’archeologia, etnografia, antropolo- gia, toponomastica, del mondo alpino che amava. La sua preparazione, le sue intuizioni lo portarono a svolgere varie ricerche e a collaborare anche con organismi a livello universitario in Italia, Francia e altrove. Tutto ciò senza trascurare la sua attività di affermato imprenditore industriale. Quando Doro morì era, tra l’altro, vicepresidente della Società Segusium (di cui era stato cofondatore nel 1963) e direttore di questa rivista che gli dedicò il n. 20: in 191 300 pagine una raccolta di scritti a partire dal 1928-29 quando l’autore era poco più che ventenne. Quel numero della nostra rivista è inequivocabile testimonianza dei suoi molteplici interessi culturali, della sua serietà di studioso ricercatore, di solerte organizzatore.

Il n. 20 di Segusium, datato dicembre 1984, si apre con la sobria presentazione di Mons. Severino Savi, presidente della Società di Ricerche e Studi Valsusini per un trentennio. ÇIl giorno 18-11-1983, successivo a quello della morte del Vice Presidente Augu- sto Doro, si riunì il Consiglio Direttivo della Segusium e commemorando la figura dello Scomparso, deliberò di raccogliere tutti gli scritti di carattere culturale da Lui editi in varie riviste italiane ed estere, per pubblicarli unitariamente in un numero speciale del proprio BollettinoÈ. ÇRiteniamo ora di essere riusciti a completare tale raccolta. Rendendola di pub- blico dominio, non solo onoreremo nel modo migliore l’insigne studioso scomparso, ma grazie alla Sua produzione letteraria perpetueremo nel tempo e per un maggior numero di persone quella missione di Maestro che Egli, in vita, svolse con tanta com- petenza e con tanta passioneÈ.

Una serie di zangole (attrezzi per la produzione del burro) nel Museo ÇAugusto DoroÈ. 192 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 193-196

Dario Vota Il segno sul monte I 100 anni della Croce monumentale sul Musiné

In un interessante volumetto pubblicato nel 1910 l’allora parroco di Val della Torre don Pietro Prato (che vi fu Prevosto dal 1900 al 1944) scrisse quella che fu probabil- mente la prima nota storiografica sulla costruzione della Croce del Musiné, di cui era stato pochi anni prima testimone diretto e osservatore in qualche modo privilegiato quanto già all’ideazione del monumento. Scriveva il Prato: «Nell’anno giubilare 1900 dell’E.V. sorse in Italia l’idea di consacrare le vette principali dei nostri monti con monumenti a Gesù Cristo Redentore. La proposta ven- ne tosto incoraggiata e benedetta dal grande pontefice Leone XIII, e così ogni regio- ne, ogni diocesi fece sorgere o una chiesa o una croce o una statua sul monte più ele- vato dei contorni. Quantunque i Vescovi del Piemonte avessero già scelto il Mombarone nella Dioce- si d’Ivrea per l’omaggio collettivo della regione subalpina, dietro iniziativa del Teol. Francesco Pautasso, Prevosto di Caselette, i Parroci della Vicaria di Pianezza e dei paesi limitrofi proposero di elevare una croce monumentale sulla vetta del Musiné. L’ubicazione non poteva essere più felice: la croce si vede dalla valle di Lanzo e da quella di Susa fino a Torino, Villastellone e Carignano. Stando al progetto primitivo, essa doveva innalzarsi proprio sul vertice del monte, dove si trovano i termini dei circondarii e delle Diocesi di Torino e di Susa, che se- gnano pure i confini di Val della Torre, Caselette, Rivera ed Almese. Essendosi poi ini- ziata la fabbrica alcuni metri più sotto, in territorio di Caselette, le popolazioni circo- stanti se l’ebbero a male, ed i Caselettesi furono lasciati quasi soli all’impresa. Quel Prevosto però non si smarrì d’animo ed il grandioso monumento venne su come per incanto, nonostante le immense difficoltà che si riscontrarono per il trasporto del ma- terialeÈ. Il parroco valtorrese poneva l’accento sull’aspetto religioso-istituzionale dell’idea- zione del monumento, sull’iniziativa del suo entusiasta promotore don Pautasso e sul- la dimensione essenzialmente caselettese in cui l’opera finì per inscriversi dopo l’ini- ziale progetto a più ampio coinvolgimento. Ma dietro a questi elementi sicuramente 193 caratterizzanti sta la trama di una vicenda assai articolata, la cui ricostruzione non è fa- cile a causa dello stato della documentazione che di quell’opera si è conservata, sor- prendentemente scarsa e non di rado intessuta di reticenze e ambiguità, che, se rappor- tate al ben documentato contesto civico della Caselette di quegli anni, non possono non sollevare interrogativi intriganti. Ad essi ha cercato, tra le altre cose, di rispondere un piccolo saggio a cura dello scrivente da poco pubblicato dall’Amministrazione Co- munale di Caselette in occasione delle celebrazioni del Centenario della Croce del Musiné, a cui si rimanda per conoscere più in dettaglio e contestualizzare un’impresa di cui ci si limita a dare qui qualche cenno d’inquadramento.

Nell’ambito delle celebrazioni religiose dell’anno giubilare 1900, don Francesco Pautasso (Carignano 1851 - Caselette 1928), parroco di Caselette dal 1886 alla morte, lanciò in sede vicariale di Pianezza l’idea di costruire una croce monumentale sulla vetta del Musiné, per inaugurare anche dalle nostre parti il secolo ventesimo all’inse- gna di Gesù Cristo, giustificando la scelta del luogo, da una parte, con la visibilità che il monumento avrebbe avuto data la sua posizione e, dall’altra, per il legame con la tradizione della cosiddetta apparizione della croce all’imperatore Costantino (312 d.C.). L’arcivescovo di Torino card. Richelmy incoraggiò l’opera, inizialmente pensata in metallo ma poi progettata in cemento armato dall’ingegner Mario Accati di Torino: scelta costruttiva praticamente obbligata una volta escluse tanto la struttura metallica quanto il lavoro in semplice muratura, per la difficoltà nel primo caso di far salire lun- go i sentieri del Musiné dei pezzi lunghi e pesanti e per la non sufficiente garanzia di stabilità nel secondo caso. La soluzione in cemento armato poteva fare affidamento su una tecnica a fine Ottocento ormai consolidata e su un’impresa edile specializzata co- me la ditta Visetti di Torino. La costruzione si componeva di un basamento alto m. 3,20 a forma di prisma a ba- se quadrata di 4 m. di lato, su cui poggiava un tronco di piramide alto m. 1,80 come raccordo tra la sezione del basamento con quella più ridotta della croce vera e propria, che si elevava a sezione quadrata per un’altezza di 10 m., con i bracci di m. 1,75 di sbalzo; l’altezza complessiva era dunque di 15 m.; a partire da m. 9,50 dal suolo l’in- terno era vuoto con le pareti di spessore via via decrescente verso la cima. L’ingente sforzo di far arrivare in vetta i materiali necessari alla costruzione fu at- tuato col concorso di una parte non piccola della popolazione del paese: persone di tutte le età si offrirono di caricarsi in spalla sabbia e cemento, salendo sulla montagna una o due volte al giorno, in cambio di una modestissima paga. L’acqua venne attinta da una cisterna di raccolta dell’acqua piovana situata sul crestone nord del Musiné po- co più in basso rispetto alla vetta. Il vero e proprio intervento edilizio fu realizzato a partire dal mese di luglio del 1901 e durò fino a ottobre, mentre un po’ di trascuratezza per gli aspetti burocratici (ri- tardi e omissioni nella richiesta delle autorizzazioni sia all’occupazione del terreno di proprietà comunale sia all’edificazione su un sito soggetto a vincolo forestale) mise non poco in apprensione don Pautasso e costrinse il sindaco di quegli anni, Giuseppe Girardi, e probabilmente anche qualche amico autorevole dotato di conoscenze altolo- cate come il conte Luigi Cays ad adoperarsi per tamponare le approssimazioni in cui l’entusiasmo del parroco era in buona fede caduto. 194 L’inaugurazione del monumento si svolse con gran concorso di folla la domenica 10 novembre di quello stesso 1901, con celebrazioni religiose la mattina in vetta al Musiné e al pomeriggio al santuario di S.Abaco e poi nella chiesa parrocchiale. Se si considera l’ingente sforzo, di risorse e di disponibilità, che la costruzione del- la Croce riuscì a mobilitare nella comunità caselettese, non appare esagerato vedere in quest’opera un valore che il paese vi riconobbe come segno di una propria identità collettiva. Il monumento doveva cioè rappresentare, per quanti avevano in vario modo concorso alla sua realizzazione, un’impresa per cui era valsa la pena lavorare, perché attorno ad essa si coagulavano ideali e motivazioni nel contempo religiosi e civili: te- stimonianza di fede e senso comunitario di appartenenza, verosimilmente cementati dall’orgoglio di riconoscersi in un segno capace di esprimere una peculiarità locale. Significato, questo, che si aggiungeva al valore simbolico del monumento, rappresen- tato dalla sua intima essenza di emblema primario della fede cristiana e sottolineato dall’imponenza della sua mole e dalla sua solenne visibilità. Così, quando un decennio dopo si decise in ambito ecclesiale di avviare le «cele- brazioni costantinianeÈ (per il 16¡ centenario dell’editto con cui l’imperatore Costan- tino concesse nel 313 d.C. libertà di culto alla religione cristiana), la proposta di inau- gurare nel 1912 quelle celebrazioni con un pellegrinaggio al Musiné, a ricordo della cosiddetta apparizione della croce a Costantino nel 312 (localizzata da una tradizione nella piana occidentale del Torinese), trovava nel monumento caselettese non solo un riferimento geografico opportuno, ma una presenza già altamente simbolica. La giornata celebrativa in vetta al Musiné si tenne il 12 settembre 1912 e il tem- po freddo e nebbioso non ostacolò la partecipazione di migliaia di persone, che si raccolsero in un triplice pellegrinaggio: tre comitive salirono rispettivamente da Ca- selette (con il card. Richelmy, che si fermò al santuario di S. Abaco), da Val della Torre (con alla testa mons. Bartolomasi, vescovo ausiliare di Torino) e da Rivera (sotto la guida di mons. Castelli, vescovo di Susa), incontrandosi poco sotto la cima e proseguendo processionalmente fino alla Croce, presso cui si svolse la funzione religiosa.

Lungo il corso del Novecento la Croce del Musiné sempre più prese a contrasse- gnare di sé la montagna e il paese ai suoi piedi: emblema esteriore, per visibilità e im- ponenza, di un’identità topografica, essa è diventata probabilmente il primo connotato di Caselette agli occhi e alla mente dei forestieri e per i Caselettesi un segno familiare. Ma, sul piano materiale, col passare degli anni le intemperie e qualche atto di van- dalismo arrecarono danni alla pur solida struttura del monumento, rendendo necessari degli organici interventi di restauro. Questi furono effettuati in due riprese principali negli ultimi decenni: una prima volta nel 1974 (quando si inaugurò, con la Croce ri- messa a nuovo, l’iniziativa della Festa della Croce che il Comune di Caselette ha da allora promosso annualmente); una seconda volta, con un più considerevole interven- to conservativo, nel 1990, grazie anche al volontariato di un gruppo della Quinta Zona dell’Associazione Nazionale Alpini. Il 1¡ maggio 1991 una memorabile manifestazione, coronata da grande affluenza di gente, reinaugurò in vetta al Musiné la Croce restaurata con una solenne funzione religiosa presieduta dall’arcivescovo di Torino card. Saldarini e concelebrata tra gli al- tri dal vescovo di Susa mons. Bernardetto e dal parroco di Caselette don Depaoli. 195 Quest’anno, in occasione del centenario della costruzione, il Comune di Caselette ha promosso un’articolata serie di manifestazioni, con al centro la grande giornata del 16 settembre con la celebrazione sul Musiné, solennizzata dalla partecipazione del- l’arcivescovo di Torino cardinale Poletto e del vescovo di Susa mons. Badini Confalo- nieri, di numerose autorità civili e da un’imponente e corale partecipazione di folla.

* Per una ricostruzione storica della vicenda della Croce del Musiné si rimanda a DARIO VOTA, Il segno sul monte. Caselette, don Pautasso e la Croce del Musiné 1901-2001, a cura del- l’Amministrazione Comunale di Caselette, ed. Melli, Borgone 2001.

La monumentale croce, alta circa 15 metri, eretta un secolo fa in vetta al Musiné, come appariva nelle sue linee originarie in una immagine che risale a circa il 1965, ossia ben prima del restauro conservativo effettuato nel 1990. 196 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 197-206

Orianna Baritello Suona da 150 anni la banda di Villar Focchiardo

Tra i gruppi di aggregazione sociale assai diffusi in tutta la Valle di Susa un posto di riguardo meritano le bande musicali, poiché ancora oggi rappresentano in molti paesi l’unica forma di educazione artistica accessibile a tutti. La costituzione e l’attività di una banda musicale costituiscono un fenomeno so- ciale piuttosto complesso, poiché si tratta di organizzare l’azione di molte persone sta- bilendo delle regole rigide, che siano in grado di garantire una gestione attenta dell’as- sociazione. Generalmente è assai difficile risalire con precisione alle date di fondazione dei so- dalizi musicali valsusini, anche se sappiamo che si collocano per lo più nel corso del 1800, in epoca risorgimentale o post-unitaria. La data di fondazione della Banda di Villar Focchiardo viene collocata nel 1851: è infatti la più antica data a cui si riesca risalire, perché ricamata sulla più vecchia ban- diera, anche se non vi sono documenti dell’epoca che possano dimostrarlo con sicu- rezza. Secondo qualcuno l’anno di nascita potrebbe anche essere precedente, poiché le bandiere venivano rifatte spesso e la data che vi veniva apposta sopra era quella dell’i- naugurazione del nuovo stendardo. Ma il documento che più avalla tale tesi è un verbale del Consiglio di Direzione da- tato al 14 aprile 1901 (1), in cui viene discussa l’opportunità di commemorare il cin- quantenario della Filarmonica. In tale seduta viene stabilito che Çallo scopo di procac- ciare alla circostanza la maggiore solennità possibile, viene secondata l’abitudine dei concerti e ritrovi musicali di varie società circonvicine». Viene poi stabilito che, Çaffin- ché non fallisca l’intento della società, ogni socio e qualunque persona onorabile inten- da intervenirvi, faccia un deposito di lire una a mani del Direttore o del CassiereÈ.

(1) Archivio della Società Filarmonica di Villar Focchiardo. 197 Come scrisse Vessella (2) nel 1935 Çla Banda, forma di arte spontanea e popolare, nasce come musica guerresca con i primi eserciti che mossero alla guerra fin dalle an- tiche civiltà orientali e si affermò, dopo, come mezzo culturale del popolo sulle piaz- ze, dall’apparire di quei primi suonatori girovaghi che nel Medio Evo costituiscono la classe organizzata dei Trovatori o Trombettieri, ammessi poi nelle Corti e nei Comuni italiani come musici stipendiatiÈ.

La prima banda musicale di cui si ha notizia certa in Piemonte risale alla seconda metà del ’500 (3): era chiamata ÇBanda dei tromboniÈ, comprendeva sei elementi tra suonatori di pifferi e musettes (cioè cornamuse di origine francese) ed aveva il compi- to di allietare le feste di corte di Emanuele Filiberto, il duca di Savoia che aveva appe- na trasferito da Chambéry a Torino la capitale dei suoi possedimenti. Dopo che ÇTesta di FerroÈ ebbe fatto costruire la cittadella di Torino, sappiamo che tra i corpi militari stanziati nella nuova fortezza della capitale vi era anche un cor- po musicale, composto da 12 tra musici e capomusici. È molto probabile che proprio dal momento in cui la banda acquisì marcate conno- tazioni militari cominciò a diffondersi il fenomeno delle bande in Val di Susa. Dal 1791 in poi, le bande militari presero il nome di Çbande turcheÈ (4); erano generalmen- te composte da 15 suonatori e offrivano una varietà di strumenti musicali più vasta ri- spetto a quella dei secoli precedenti: clarini, fagotti, tromboni, triangoli, piatti e gran- cassa. Nel 1798, quando il regno sabaudo crollò di fronte al vento della Rivoluzione fran- cese, non soltanto l’esercito piemontese venne incorporato in parte in quello napoleo- nico, ma anche i corpi musicali. Vedendo le date di fondazione della maggior parte delle bande valsusine è possibi- le ritenere che qui i gruppi musicali si siano moltiplicati soltanto dopo la caduta del- l’impero napoleonico. Conosciamo infatti l’interesse di Napoleone per la musica mili- tare, tanto che in un suo documento riguardante l’organizzazione della campagna d’I- talia affermava: Çpongano i comandi di divisione particolare cura affinché ogni mezza brigata abbia la sua musica completaÈ (5). é dunque probabile che il trait d’union tra le bande militari e civili sia stata pro- prio la presenza di soldati dell’armata napoleonica ritornati ai propri paesi dopo aver appreso l’arte musicale durante il servizio militare. Infatti la rigida organizzazione che si diedero nel secolo XIX le bande valsusine ricorda l’ordine militaresco: di queste re- gole era richiesta la ferrea osservanza e potevano essere modificate a seconda del mu- tare dei tempi (6).

(2) A. VESSELLA, La Banda. Dalle origini fino ai giorni nostri, Milano, Istituto Editoriale Nazionale, 1935.

(3) M. CORDERO DI PAMPARATO, Per una storia delle musiche militari piemontesi, in Gazzet- ta del Popolo della Domenica, anno XVI, 1896, pagg. 226-227.

(4) A. VESSELLA, op. cit., pag. 132.

(5) A.M. GIANNELLA, Musiche militari, Touring Club Italiano, n. 7, 1916, pag. 395.

(6) G. JANNON, La musica e la sua gente, Pietro Melli Editore. 198 La dirigeva allora il

illar Focchiardo nel 1951, durante le celebrazioni del centenario della fondazione banda.

ersino.

incenzo V

La Società Filarmonica di V maestro V 199 La Banda di Villar Focchiardo, come quasi tutte le Bande della Valle di Susa, ha dunque riunito in sé questi due filoni musicali, cioè quello della musica militare e del- la musica popolana rivolta a tutti, che invita a ballare e che rimarca solennità religiose e feste di paese. Tra le rare testimonianze scritte dell’800, troviamo allegato ad un verbale d’adu- nanza dei soci del 1¡ gennaio 1861, anno dell’Unità d’Italia, un documento molto im- portante: lo «Statuto fondamentale per lo Stabilimento d’un corpo di Musica in Villar FocchiardoÈ (7), composto di 35 articoli contenenti norme diventate ormai patrimonio comune delle bande musicali della Valle. L’articolo 2 del suddetto statuto afferma che «scopo della Società è di stabilire e di promuovere l’insegnamento della musica, specialmente istrumentale, a lustro e decoro del paese, di dare corpo ad una compagnia di filarmonici, e di cementare così sempre più l’armonia e la concordia degli uomini nel paese stesso e coi paesi vicini», sottoli- neando dunque che la Banda è un’associazione di dilettanti che si inserisce nel tessuto sociale con un ruolo ben preciso. La società vive grazie alle sovvenzioni di tutti i soci e l’articolo 10 stabilisce una quota mensile, destinata agli allievi e fissata in lire 1 e una annua per i soci onorari, che non deve essere inferiore alle tre lire. Le modalità di pagamento previste sono molto rigide: gli allievi devono pagare nella seconda metà di ogni mese, mentre i soci onorari possono usufruire di rate trimestrali. La cosa curiosa da sottolineare è che lo Statuto prevede persino che i morosi possano essere perseguiti per via giuridica. Lo statuto prevede poi le figure del presidente e vicepresidente: costoro possono essere anche dei soci onorari, ossia dei non musicanti, ed hanno lo scopo di promuo- vere e mantenere la buona armonia della società. Vi sono poi i ruoli del direttore e vi- cedirettore: costoro devono essere necessariamente dei suonatori, perché il loro scopo è quello di far osservare la disciplina nella scuola di musica, di rimproverare i negli- genti e i perturbatori e di coadiuvare il maestro nelle sue funzioni. Gli obblighi previsti per gli allievi sono quelli di assistere alle lezioni, agli intratte- nimenti detti d’accademia, ai concerti ordinari e straordinari, alle feste pubbliche e na- zionali e alle solennità. Gli strumenti sono di proprietà dei musicanti: ogni strumentista è tenuto a pagarse- lo ed a provvedere alle eventuali riparazioni. È però previsto che il Consiglio Direttivo possa decidere di aiutare finanziariamente gli allievi che non possono provvedere inte- ramente di tasca propria all’acquisto dello strumento, a patto che essi dimostrino di avere una condotta lodevole e buona volontà nell’impegnarsi e nel perfezionarsi.

* * * Dallo statuto emerge che l’attività bandistica aveva all’interno del paese, allora co- me anche oggi, un compito educativo, oltre che un ruolo sociale e culturale. Numerosi articoli sottolineano poi le norme riguardanti la disciplina e il comporta- mento da tenere durante le prove: fondamentali sono la stima, il buon ordine, il silen- zio, la deferenza e l’obbedienza nei confronti del maestro, ma soprattutto il rispetto re- ciproco, sia delle persone che degli strumenti di proprietà comune e di altri.

(7) Archivio della Società Filarmonica di Villar Focchiardo. 200 1974, diretta dal maestro Bruno Fasti, stendardo in testa, la banda musicale sfila in bell’ordine nel centro di Villar Focchiardo. Nella pagina seguente: la banda nel 1991, con una ormai numerosa presenza femminile.

La presenza alle prove e ai concerti era considerata un dovere inderogabile: alla prima assenza «senza legittimo motivo d’impedimento» era prevista una multa di 25 centesimi e alle successive la cifra aumentava gradualmente. Le violazioni alle norme disciplinari erano punite, a seconda dei casi, con una semplice ramanzina del maestro, del direttore o peggio ancora del consiglio direttivo, arrivando alla decisione estrema della cacciata dalla Compagnia «con l’obbligo prima di saldare il proprio debito verso la stessa per tutta l’intiera annata e del pagamento di una somma di lire 50 per inden- nizzare la Società stessa». Tale Statuto rimase in vigore per circa 100 anni, cioè fino agli anni ’50, ma sappia- mo dai musicanti più anziani che le rigide regole fissate da alcuni articoli (come ad esempio le multe per le assenze o per l’abbandono) non sono mai state applicate nel corso del ’900. Successivamente, nel corso degli anni ’50, per rendere tale regolamento più conforme ai mutati tempi, venne sostituito da un nuovo statuto. A parte i documenti precedentemente citati, mancano completamente altre infor- 201 202 mazioni circa l’attività della Banda nel corso dell’Ottocento. La più antica notizia re- peribile su un giornale locale è che la «Musica Municipale» di Villar Focchiardo, che da molto tempo era senza maestro, ritornò ad esibirsi nel 1914 con un concerto diretto da Ernesto Sestero, diplomato in composizione e maestro di numerose altre formazio- ni strumentali valsusine (8). A guerra iniziata, però, il maestro Sestero lasciò il panorama valsusino che in que- gli anni l’aveva visto protagonista attivo, con 14 formazioni bandistiche passate sotto la sua direzione, per recarsi in Canada, dove lo attendeva un’altra formazione musica- le della quale gli era stata offerta la conduzione artistica.

* * *

Durante il periodo della Prima Guerra Mondiale l’attività della Banda venne so- spesa, per la partenza per il fronte dalla maggior parte dei suoi componenti. Riprese poi il suo ruolo all’interno del paese a guerra terminata, intorno al 1919, sotto la guida del maestro Virginio Bosco, che la guidò fino al 1944, anno della sua morte. Costui per molti anni rivestì in paese anche la carica di podestà e fu anche maestro delle Ban- de di Borgone e Bussoleno. Tra gli avvenimenti importanti ricordati negli annali di Villar Focchiardo vi è poi la visita del compositore Pietro Mascagni, che il 1¡ novembre 1925 assistette ad un concerto della Filarmonica e che lasciò come ricordo del suo passaggio una sua foto- grafia autografa. Inizialmente la Banda si esibiva soltanto a Pasqua, San Cosma e San Damiano, fe- sta patronale del paese, e a Santa Cecilia, patrona della musica. Dal dopoguerra, oltre al concerto, in queste occasioni la Banda intratteneva il pubblico suonando liscio sul ballo a palchetto, di proprietà della banda stessa, e si ballava la domenica e il lunedì della festa e la domenica successiva. La Banda smise di impiantare il ballo a palchetto intorno al 1975 per motivi economici, poiché tra spese di diritti d’autore e una tremen- da nevicata che rovinò il padiglione era diventato controproducente dal punto di vista economico affittarne uno. Diventò anche rischioso entrare in concorrenza con molte nuove sale da ballo e con i differenti gusti musicali. Attualmente oltre alle sfilate per le vie del paese svolte in occasione delle manife- stazioni del 1¡ maggio, del Corpus Domini, della commemorazione del 4 novembre e della festa di Santa Cecilia (in cui tutta la Banda si riunisce per il tradizionale pranzo), la Filarmonica si esibisce in concerto alla festa patronale dei santi Cosma e Damiano, alle feste delle borgate Comba e Castagneretto a cui si aggiunge alla domenica pome- riggio nei castagneti l’intrattenimento musicale, i giochi e la cena organizzati dalla banda stessa. Da alcuni anni ha aggiunto nel calendario degli impegni un concerto nel periodo natalizio, invitando ogni anno una banda vicina, per mantenere vivi i buoni rapporti di amicizia e di collaborazione con le filarmoniche degli altri paesi. Piuttosto singolare è il fatto che in 80 anni, cioè dagli anni 1920 ad oggi, si siano finora succeduti sul podio soltanto 5 maestri: il già citato Virginio Bosco e, dopo il se-

(8) L’Indipendente, anno XXVII, n. 11, 13 marzo 1914. 203 condo conflitto mondiale, Baritello Araldo dal 1945 al 1946, Versino Vincenzo dal 1946 al 1957, Fasti Bruno dal 1957 al 1975 e Enduir Piero che dal 1975 dirige la filar- monica villarfocchiardese. Tra le persone che per lungo tempo si sono dedicate al- l’amministrazione della Banda va poi ricordato Bruno Casale, che rivestì ininterrotta- mente dal 1953 al 1992 la carica di Direttore.

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La Banda di Villar Focchiardo è una forma di associazionismo molto radicata nel tessuto sociale, tanto che è una delle poche formazioni musicali valsusine in cui nes- sun componente proviene da formazioni esterne, ma tutti sono del paese. Infatti se og- gi molte bande, per un periodo di crisi che sembra colpire gran parte delle formazioni musicali, dipendono spesso da aiuti esterni, la filarmonica villarfocchiardese vanta in questo momento una compagine di circa 65 elementi, tutti allievi dei corsi di forma- zione musicale. Sono per lo più allievi del maestro Piero Enduir, che da circa 30 anni dedica molto del suo tempo libero alla formazione musicale dei giovani del paese. Significativo è verificare i dati riportati negli annali del maestro: dal 1973 al 2000 hanno iniziato a frequentare i corsi di formazione musicale 139 giovani del paese, una percentuale molto alta, considerando che la popolazione di Villar Focchiardo è di circa 2000 abitanti. Ma, poiché la musica, a differenza di molti altri hobby, richiede uno stu- dio e un impegno costante, soltanto 82 di questi sono arrivati all’ingresso in Banda, mentre gli altri 57 hanno abbandonato durante la frequenza del corso. Di questi 82 sol- tanto più 52 sono ancora attualmente in Banda, perché gli altri 30, per motivi diversi, sono stati dimissionari nel corso degli anni. Questo deve farci riflettere sul tempo e le energie che i maestri dedicano, spesso infruttuosamente, agli studenti dei corsi di formazione: ogni allievo ha la possibilità di frequentare la scuola di musica due pomeriggi alla settimana e prima che sia in grado di entrare a far parte della Banda passano dai due ai tre anni scolastici, a seconda del- l’impegno e delle capacità dell’allievo. é dunque facile calcolare quante ore vengano dedicate dall’insegnante ad ogni studente, ma soltanto gli allievi possono dire quanto impegno e quanto studio da parte loro richieda la musica, perché come ogni altra for- ma culturale deve essere presa sul serio e richiede buona volontà e spirito di sacrificio!

Il concerto è sempre stata la massima espressione musicale della banda, ma ogni banda aveva ed ha un suo repertorio più o meno ricco, a seconda dell’iniziativa perso- nale dei singoli maestri. Molto in voga nell’800 erano le marce militari, i ballabili e le rivisitazioni di brani tratti da opere liriche. Per poter conoscere quale fosse il genere musicale eseguito dalla Banda di Villar Focchiardo e in generale dalle Bande valsusine agli inizi del ’900 è importante legge- re ciò che scriveva in un articolo del 1913 Virgilio Bellone, maestro che aprì bibliote- che per gli operai e i contadini e a cui fu molto a cuore la cultura musicale dei piccoli centri. Egli scrive su un settimanale locale, senza mezzi termini, rivolgendosi ai mae- stri che organizzano i concerti (9): ÇLe nostre filarmoniche abusano sempre di marce e

(9) L’Indipendente, anno XXVII, n. 32, 8 agosto 1913. 204 di valzer... Assistete pure a un convegno musicale di prim’ordine: quasi tutti i concerti si svolgono su marce militari, mazurche, polche e valzer. I maestri obiettano che i pez- zi d’opera sono di difficile esecuzione e sui medesimi gravano anche i diritti legali d’autore... Ma è un errore credere che un’opera sia sempre difficile per banda. Sono assai più difficili certi ballabili di sapore popolare, i quali sono la disperazione per me- si e mesi dei maestri e degli allievi. Sui brani classici l’allievo ha modo di perfezionar- si; la varietà dei temi e l’originalità delle frasi che richiedono note più accentuate e precise che nei soliti volgari ballabili (nei quali ogni stecca può passare senza dogana) educano l’orecchio e il sentimento di chi suona, coltivano l’educazione estetica di chi, in mancanza di altro diversivo intellettuale nelle sperdute borgate, ama dimenticare le noie e i travagli della vita operosa col soave effluvio dei concertiÈ. Sappiamo infatti che fino al dopoguerra la Banda eseguiva quasi esclusivamente marce, ballabili e brani di musica classica, a cui successivamente si aggiunsero le mar- ce sinfoniche che ebbero grande successo e diffusione fino agli anni ’80, quando co- minciarono a diffondersi gli arrangiamenti per Banda dei brani di musica moderna. Da allora nella nostra valle poco per volta tutte le Bande hanno cominciato a dirigersi ver- so questo nuovo stile proveniente per lo più dall’estero, che ha avuto la possibilità di svilupparsi soprattutto grazie alla diffusione a livello europeo, e poi mondiale, sia del- la musica, che dell’editoria musicale. Bellone inoltre deplora la cattiva abitudine di fare a gara a chi suona più forte: è un rimprovero attuale ancora oggi, che si sente spesso risuonare nelle scuole di musica: ÇFra molti suonatori vige un pregiudizio assai dannoso: si crede che il miglior musi- cante sia colui che prodiga maggior copia di fiato al suo strumento: quindi la gara de- plorevole a chi suona più forte, a chi fa rintronar maggiormente l’orecchio del pazien- te ascoltatore. Che cos’è che dà alla musica il linguaggio che arriva al cuore, che com- muove, esalta, inebria e santifica? La varietà delle tinte: il piano e il forte, il lento e l’accelerato, la melodia e l’armonia, l’intuito musicale, insomma, che dovrebbe aleg- giare alla mente di ognuno che odora di musicalità, o che vuole essere chiamato musi- coÈ (10).

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Il miglioramento delle bande dal punto di vista qualitativo si è manifestato soprat- tutto dal dopoguerra ad oggi, grazie alla presenza di un numero sempre maggiore di giovani, molto più preparati di un tempo dal punto di vista musicale, ai nuovi strumen- ti musicali che hanno aumentato le potenzialità musicali ed alla preparazione dei mae- stri, in grado ormai di affrontare repertori che spaziano dalla musica classica a quella moderna. Tra le date importanti da ricordare per la storia della Banda di Villar Focchiardo vi è poi quella del 1963, anno in cui ha avuto inizio il gemellaggio con la formazione musicale di Saint Julien Montdenis, paesino della Maurienne a metà strada tra Saint Jean e Saint Michel. Tale scambio culturale fu voluto inizialmente da Pent Alberto, ciabattino villarfocchiardese emigrato in Francia per motivi di lavoro e da lì si creò tra

(10) L’Indipendente, anno XXVII, n. 32, 8 agosto 1913. 205 le due formazioni musicali un’amicizia che dura ancora oggi. Inizialmente ci si incon- trava ogni tanto, senza date stabilite, mentre col passare del tempo è diventata una consuetudine incontrarsi ogni due anni alternativamente nei due paesi. Tale sodalizio, nato inizialmente dall’universalità della musica, è poi cresciuto con lo scambio di altre associazioni ed è infine stato suggellato nel 2000 con il gemellaggio ufficiale tra i due Comuni.

Un passo in avanti molto importante sia per il ruolo sociale della Filarmonica vil- larfocchiardese, sia per l’emancipazione femminile venne fatto nel 1972, quando per la prima volta furono ammesse a far parte della Banda le donne. Adesso è per noi una cosa del tutto naturale vedere molte ragazze nelle formazioni musicali valsusine, ma ancora agli inizi degli anni ’70 la Banda rimaneva un’associazione tipicamente ma- schile. Oramai in tutte le bande la presenza femminile è una percentuale significativa ed in quella di Villar Focchiardo si aggira intorno al 30%. Negli ultimi 20 anni, oltre ad essere cresciuta come numero di componenti, la Ban- da di Villar Focchiardo è molto maturata dal punto di vista musicale, ottenendo prege- voli risultati ad alcuni concorsi. Ma la cosa più importante da sottolineare è l’importantissimo ruolo aggregativo che la Banda conserva ancora oggi: è una scuola di vita, in cui i giovani suonano ac- canto agli anziani e dove la passione per la musica si tramanda di padre in figlio, che spesso si ritrovano a suonare vicini. La Banda, oltre ad insegnare la musica, deve so- prattutto educare i giovani a sentire il senso della collettività e a far crescere in loro la voglia di fare qualcosa non soltanto per sé, ma anche per gli altri.

206 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 207-210

Emanuela Sarti Vaie: preistoria per scopi didattici

ÇPresso il borgo di Vaies, situato nella valle della Dora Riparia, circa a mezza stra- da tra la conca di Susa e lo sbocco della valle nel piano, si stacca dal fianco destro del- l’erta e boscosa montagna uno sprone di roccia». Così, verso il 1900, l’archeologo An- tonio Taramelli descriveva il sito preistorico che per molti anni ha restituito interes- santi manufatti in pietra e frammenti ceramici. Un luogo che, conosciuto con il nome di «Riparo Rumiano» in onore di colui che, per primo, a fine ’800, ne aveva intuito l’importanza, a Vaie ha ispirato la creazione di un percorso didattico e di un museo-la- boratorio che nel loro genere costituiscono un’esperienza del tutto singolare. Non ci sono veri e propri scavi archeologici da vedere, come nella più famosa ed organizzata Chiomonte; non ci sono nemmeno esposti reperti originali, tutti custoditi nei magazzini del Museo di Antichità di Torino e di quello Civico di Susa. Tuttavia, ne- gli scorsi mesi primaverili, periodo che tradizionalmente le scuole dedicano alle visite didattiche, sul posto si è registrato un intenso passaggio, merito di un’idea brillante e caparbia: spiegare ai ragazzi la preistoria portandoli in un luogo che sicuramente accol- se uomini della tarda età del bronzo, spingerli ad ascoltare, osservare, immaginare e in- fine a sperimentare in laboratorio le tecniche della manipolazione dell’argilla e della tessitura al piccolo telaio, circondati da splendide tavole illustrative e da fedeli riprodu- zioni di vasi e oggetti lavorati in pietra in osso. Semplice e difficile allo stesso tempo, in un’epoca dove per capire l’interesse dei giovanissimi (ma spesso anche degli adulti) c’è quasi sempre bisogno di costosi effetti speciali o di ricostruzioni ÇdisneyaneÈ. Ciò di cui stiamo parlando ha bisogno di un preambolo che spieghi il significato della scelta compiuta dall’amministrazione comunale di Vaie, sostenuta in questa rea- lizzazione dall’assessorato alla cultura della Provincia di Torino: svolgere principal- mente attività didattica per le scuole dando vita ad una piccola attrazione turistica, ma anche sperimentare la nascita di un centro culturale a partire da uno degli argomenti cruciali della storia del paese.

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Risale ormai a cent’anni fa la scoperta del sito preistorico di Vaie dove, dopo una prima campagna di ricerche, furono ben pochi i tentativi sistematici: da una parte per- 207 ché i lavori di cava, da lungo tempo avevano compromesso fortemente la possibilità di rilievi archeologici; dall’altra per la cronica mancanza di fondi necessari a condurre campagne di scavi e, forse, per lo scarso interesse che per decenni ha circondato la materia. Nonostante questo, e nonostante che per i reperti originali vaiesi esistano no- tevoli incertezze nella datazione del sito, si è voluto prendere spunto da questa forte suggestione per creare un’occasione didattica e turistica su un modello particolarmen- te diffuso in Francia. Già alcuni anni fa le scuole materna ed elementare di Vaie avevano lavorato con gli esperti del ÇCentro archeologia sperimentale TorinoÈ di Villarbasse, tracciando un percorso di studio sulle ipotesi intorno a quello che poteva essere stato il ÇvillaggioÈ preistorico e avviando i ragazzi ad attività di laboratorio. Di lì partì l’intuizione che questo bagaglio di esperienza potesse essere messo a disposizione di altre scuole, e in- torno a questa idea si è aggregato un gruppo di volontarie, sorrette da una Guida turi- stica professionista, che hanno seguito corsi di formazione e che, oltre a garantire ogni domenica pomeriggio l’apertura del Museo-laboratorio, hanno lavorato al materiale promozionale e alla diffusione dell’informazione presso le scuole. Presto ci sarà un ulteriore arricchimento del percorso, con la posa di cartelli illu- strati dedicati alla flora e alla fauna locali in epoca preistorica e alle loro trasformazio- ni dopo i mutamenti climatici e l’introduzione di nuove piante effettuata dall’uomo; il ripristino naturalistico del laghetto in località ex-ghiacciaia dovrebbe poi dare modo di completare un circuito di visita completamente autoguidato e quindi fruibile anche in occasione di una semplice passeggiata familiare.

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Non meno interessante può essere la visita al Museo-laboratorio, collocato al pia- no superiore dell’ex municipio di Vaie. In quest’ambito lo sforzo degli esperti del «Centro di archeologia sperimentale» è stato indirizzato verso la fedele riproduzione di oggetti di uso quotidiano, secondo i ritrovamenti compiuti sul posto e secondo quel- la che si è immaginato potesse essere la vita nel sito vaiese in quell’arco di tempo che va dal tardo neolitico all’età del bronzo: lavoro che ha visto il rigoroso rispetto delle tecniche e dei materiali in uso in quei periodi. Innanzitutto la pietra, che levigata forniva molti attrezzi indispensabili al disbosca- mento e alle prime forme di agricoltura e che scheggiata si trasformava in lama, ra- schiatoio, punta di freccia. E poi l’osso, che poteva trasformarsi in pettini da telaio, aghi, punteruoli; la scorza di betulla, invece, opportunamente lavorata e cucita con ra- dici diventava contenitore per piccoli frutti. La caccia, importante fonte alimentare, si svolgeva con arco e frecce ma anche con lancia e propulsore, tutti oggetti fedelmente riprodotti; con l’aiuto di uno sbattitore rica- vato dalla punta di un pino si otteneva forse il formaggio e sicuramente si mescolavano le zuppe, mentre i cereali selvatici o coltivati si riponevano in vasi di terracotta. La tec- nica più frequente con cui questi ultimi venivano prodotti è documentata con la presen- tazione delle fasi di lavorazione di vasellame con il metodo della sovrapposizione di bande e, accanto, è possibile osservare alcuni prodotti finiti tra cui un bel vaso a bocca quadrata (cultura non rilevata presso il sito vaiese) il cui colore nero è frutto di un parti- colare sistema di cottura effettivamente utilizzato soprattutto in Italia Centrale. 208 Particolarmente affascinante è il grande telaio in legno dove è possibile osservare la complessa meccanica della produzione delle pezze di stoffa, la cui materia prima erano principalmente lino ed ortica. Ma non manca la sezione dedicata all’accensione del fuoco, abilità di fondamentale importanza per la sopravvivenza: in mostra com- paiono sia i manufatti necessari a praticare il metodo «dell’archetto», sia per quello detto «a percussione», che prevede l’uso della pirite e del fungo-esca. Ogni sezione di oggetti è illustrata da tavole a colori che riproducono i gesti del- l’uomo primitivo impegnato nelle sue attività quotidiane, ma non mancano sintetiche descrizioni che collocano ogni funzione nella vita e nella cultura del villaggio. Que- st’ultimo è stato immaginato dall’abile disegnatore Elio Giuliano in uno dei pannelli più suggestivi, dove le varie occupazioni degli ipotetici abitanti compongono un qua- dro quanto mai vivo e significativo della vita di cinquemila anni fa intorno al ÇRiparo RumianoÈ come lo vediamo oggi.

Museo Archeologico di Vaie, interno. Pannello illustrativo della lavorazione dei recipienti in terra- cotta. A lato, alcune produzioni eseguite dal Laboratorio Archeologico del ÇCentro di Archeologia SperimentaleÈ di Villarbasse. 209 Sopra: il Museo Archeologico di Vaie collocato nella sede dell’ex-Municipio in via S. Pancrazio. Foto in basso: una sala dell’interno del Museo.

210 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 211-216

Carlo Ravetto Voglia di teatro in piemontese

Il desiderio di teatro piemontese, da anni lingua (non più dialetto), ha in Valle di Susa radici lontane. Desiderio di raccontare la vita, nella sua quotidianità e nei suoi sogni, di affidare alla parola, al gesto, alla mimica, al canto o alla musica, i molteplici aspetti dell’essere o dell’immaginare: il lavoro, le speranze, la paura, le gioie, le storie già vissute e quel- le a venire, i sentimenti e le emozioni, la fede, i colori e le voci della natura, i successi e i rimpianti. La vita anche qui da noi è teatro, e il teatro è stato e continuerà ad essere vita. Un tempo nei cortili, lungo le vie, nelle piazze, sui sagrati delle chiese o tra gli spalti dei castelli, ora in luoghi maggiormente deputati e circoscritti, anche se c’è un apprezza- bile sforzo, talvolta sin troppo sbandierato, di recupero del territorio e degli spazi au- tentici del quotidiano. Pensiamo e parliamo in piemontese, seppure avvezzi nell’ufficialità ad esprimerci nell’italico idioma o nella barbara anglosassone sintesi dei nuovi mezzi di comunica- zione. Riusciamo ad azzeccare con un po’ di buona volontà pure i congiuntivi e ci sforziamo di recuperare qualche inusuale passato remoto, ma non impediteci di dialo- gare in piemontese perlomeno con i fratelli, gli amici, i vicini di casa. Da qui un teatro direttamente riconducibile non solo alla parola, ma al nostro stes- so modo di essere abitanti di una determinata zona: i gesti, le abitudini, le arguzie, i di- fetti, gli stati d’animo, gli elementi dell’ambiente, il corpo con le sue funzioni e i suoi atteggiamenti, le tradizioni e i modi di vestire, le relazioni col mondo circostante e l’u- niverso intero. Da qui la necessità di calzare nella nostra specificità forme varie di tea- tro, indossarle con naturalezza, per esaltare quell’ineffabile tesoro che ogni angolo di mondo possiede e che qui da noi si chiama ghëddo.

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Ne discende un grazie sincero a coloro che as cario ’l badò di scrivere testi teatra- li, di tradurli o ridurli in copioni non banali, di proporsi in veste di animatori, di offri- re delle idee, di sostenere comunque questa stupenda forma espressiva. Radici lontane, si diceva, per la voglia di teatro piemontese in valle; radici difficil- 211 Sopra: Mino Ambrosiani, Giorgio Arlaud e Franco Bernard della Compagnia ÇLa TorÈ di Oulx. Sotto: Debora Pellegrini e Bruno Trolton della ÇCompagnia dij BorghÈ di Bruzolo. Nella pagina accanto: in alto, Rosalba Giacone e Piero Limerutti della Compagnia ÇLe spluveÈ di Rosta; in basso, Savio Giacone e Anna Carnino della Compagnia «J bàby» di Drubiaglio.

212 213 mente rintracciabili, costituite da tanti gruppi che nei decenni hanno alimentato quella passione che in ambito più ampio è da collegarsi a nomi come Toselli, Bersezio, Dro- vetti, Brofferio, Bonelli, Gemelli, Milone e avanti fino a Macario, Campanini, Barbe- ro, Farassino, Molino, Scaglione. Una passione che qui da noi, come altrove, ha dovu- to fare i conti con difficoltà di carattere sociale, con le guerre, con i problemi del lavo- ro, con forme di emancipazione che stentavano a farsi largo, ma che ha saputo essere quasi sempre opportunità di aggregazione, momento di confronto tra caratteri (e quel- li dei teatranti sono tosti), tra esperienze diverse di vita, occasione di crescita umana individuale e collettiva.

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Bella e significativa l’esperienza bussolenese dell’immediato dopoguerra, quella dei Villa, Olivero, Richetto, Lacomba, sulla quale andrà ad innestarsi l’innata piemon- tesità di Mario Paris, attore e autore limpido e ben radicato alla nostra terra, per dar vi- ta, ospiti di don Vallory, don Grisa e don Amprimo, ai cinque lustri di palcoscenico della Compania dël teatro piemontèis. Un gruppo che alle capacità interpretative dei vari Battagliotti, Villa, Caporali, Brezzo, Tomassone, Guglielminotti, ha potuto ag- giungere i frutti della schietta vena creativa di Paris: èl giramond, Le ferie d’un pò- vr’òm, Anime an mes ai brich. Ispirazione a denominazione d’origine garantita quella di Mario, sia che offra spa- zio all’ironia, sia che tocchi le corde più profonde del sentimento, accompagnandoci tra le vicende degli ultimi abitanti di una montagna che perdeva man mano la sua iden- tità, la sua cultura, la sua irripetibile ricchezza, la sua gente.

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Nasce negli anni ’50 in alta valle, facendo riferimento all’oratorio salesiano, anche la compagnia comica dialettale La Tor di Oulx, che nel nome ricorda tanto l’attore (l’ator) quanto il simbolo del paese (la Tor). Si trattava inizialmente di un gruppo ma- schile, messo insieme da Riccardo Giai Minietti e da Giulio Pozzallo, che intorno al ’60 si collegò alla compagnia femminile, animata da Olga Prin, per dar vita ad anni di brillanti allestimenti e di repliche. Commedie che argutamente Riccardo adattava alle necessità della squadra, sempre con interventi sapienti che sapevano valorizzare al meglio le caratteristiche e le espressioni tipiche della parlata piemontese. Peul sempre desse di Armando Mottura, èl re dël petròlio di Casaleggio, El nemis dle dòne e Mè papalino ’l professor di Alberto Rossini, An sl’onda dij ricord di Gilberto Govi, A l’è mej aveine doe, La gelosia ’d mè marì, sono solo alcuni tra i molti titoli che hanno ac- compagnato ed accompagneranno questo significativo «ensemble» dialettale dell’alta valle.

Garanzia di freschezza e di genuinità anche sotto gli spalti del castello di San Gio- rio, dove cresce e prospera La Malva, compagnia sorta nel 1978 e ufficializzata nell’81 per offrire al pubblico brillanti commedie. Era parroco di San Giorio don Carlo Martin quando La Malva nacque come emanazione del Centro culturale Amprimo Rolle e da quell’iniziale Mare granda di Elisabetta Schiavo alla recente Eredità ’d monssù Pin- 214 gon di Eugenio Testa sono ventidue anni di commedie che hanno fatto la storia del teatro piemontese. Coordinata da Marialina Bellone la compagnia ha portato in scena, tra l’altro, èl sindich ëd Val Somara, Monssù Giget, Temistocle Pautasso, Madama Rompaciap, L’avocat dle caose perse, L’eredità ’d Magna Ninin, Ël pare dla sposa, Ël curà ëd Rò- cabrusà. Un insieme molto affiatato di una trentina di persone, tra collaboratori, attori e tecnici, che è sempre riuscito ogni anno ad offrire al proprio pubblico un diverso al- lestimento.

Superati il Malpasso e Le Chiuse, luoghi dove nel corso dei secoli si è sicuramente recitato spesso a soggetto, eccoci, scendendo velocemente la valle, sulle sponde dei due laghi, dove da oltre trent’anni si rincorrono sotto i riflettori le Rate Voloire di Avi- gliana. Pipistrelli e nottambuli proprio perché, essendo come un po’ tutti di giorno piuttosto occupati, lasciano che sia l’incanto delle tenebre a farsi complice della loro passione. Hanno preso parte con alcuni classici del nostro teatro a numerose rassegne in valle di Susa, in val Chisone, nel Canavese e a Torino, affermandosi in locali presti- giosi con soddisfacenti risultati individuali e di gruppo, sotto la guida prima di France- sco Vinassa e ora con regie a più mani. Organizzano rassegne e dovrebbero uscire in questo ottobre 2001 con un nuovo allestimento.

Pipistrelli tra le mura medievali di Avigliana dunque e rospi oltre Dora. A Drubia- glio, anche se rappresentazioni teatrali dialettali e brevi farse hanno da sempre accom- pagnato i momenti allegri e significativi della comunità, sia in ambito parrocchiale che alla cooperativa, è dal 1995 che son saltati fuori I Babij (i rospi), a ricordare gli anfibi che un tempo abitavano numerosi prati e canali. Andandosi ad agganciare a precedenti esperienze della Famija ’d Drubiaj alcuni appassionati, con la regia di Luciano Goffi, hanno deciso di portare in scena un pezzo forte del grande Macario, ÇAchille Ciabotto, medico condottoÈ: successo immediato e stimoli per continuare. Ed ecco I canon ëd Coni, Busie e fabiòch, poi Ciccino, di Fran- co Roberto e L’avocat dle caose perse, La sorpreisa dla macia ’d vin, A l’è mej aveine doe e Atension, goardeme ant j’euj.

A Villardora anima del teatro è il primo cittadino Elisio Croce, il sindaco capace di tradurre in testi di garbata poesia, ma anche di grande arguzia ed incisività, i fatti reali della vita e del nostro territorio. Coadiuvato da un buon gruppo di amici, Croce sa evidenziare o mettere alla berli- na virtù e nefandezze, trionfi e mediocrità dell’epoca che viviamo e permette ai colle- ghi di dare il giusto spazio alle caratterizzazioni. Ironia bonaria, ma chirurgica preci- sione, sia che racconti di sanità o di tangenti, sia che parli di appalti, di alta velocità, di mezzi di comunicazione o di quant’altro.

C’è anche chi preferisce scriversi i testi, sostenendo che è ormai difficile trovare belle commedie in dialetto non eccessivamente sfruttate. Succede a Rosta, dove da una ventina d’anni son tornate a scintillare Le Spluve, con una quindicina di comme- die brillanti e comiche, tutte rigorosamente in piemontese, portate in scena con entu- siasmo e divertimento. 215 Anche qui si è raccolta l’eredità di una passione mai del tutto sopita e la compa- gnia, per sua scelta, cura molto regia e caratterizzazioni, privilegiandole a scenografie e costumi. Si porta in scena il quotidiano, cercando il più possibile di rappresentare l’ambiente in cui si vive, per offrire allo spettatore l’opportunità di ritrovarsi. Le Splu- ve incendiano senza danni soprattutto la bassa valle e la cintura torinese dove hanno ormai un buon numero di affezionati estimatori.

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Ritornando in valle incontriamo a Susa la breve esperienza dialettale del Gruppo Teatroinsieme: Drolarie di Roberto Alarni e Achille Ciabotto di Amendola e Corbucci. A Bussoleno Dimensione Teatro, animata da Marcello Oliveri, visita solo occasio- nalmente il dialettale, ed è un peccato per questa compagnia che ebbe in Carlo Vair uno tra i più genuini e credibili teatranti di Valsusa. Piemontese anche alla Chiusa, con l’appendice teatrale del Gruppo Folkloristico, ed a Novaretto, con un’esperienza troppo presto interrotta da un tragico destino: siamo in tanti ad augurarci il ritorno degli Amis dla gesia veja.

La voglia di palcoscenico che aveva pervaso Condove negli anni ’50 è stata recu- perata dal Gruppo Silvia Vigna. In più, in collegamento alle iniziative che la Pro Loco organizza nelle borgate di montagna, Gent dël mè pais, compagnia dialettale richiama alla mente molti simpatici personaggi della valle del Gravio ed ha esordito anch’essa con un beneaugurante Mare Granda.

Da due o tre anni è attiva in valle anche La compagnia dij Borgh, sorta in Bruzolo per non lasciare inespresse alcune notevoli capacità sceniche dell’archiviato Palio dei borghi. Un Molière piemontese come esordio, quel Monssù Camoss che è versione valsusina di Georges Dandin e poi ’L meisinor e L’oberge dij tre pin, quasi degli ine- diti per questa giovane compagnia di girovaghi che ha già all’attivo oltre venti repli- che in una quindicina di diversi paesi della valle. Un’ulteriore testimonianza di quanto possa la passione per la nobile arte del teatro, anche quando ci si deve inventare spazi per prove e spettacoli, cercare piazze, sperare in un po’ di pubblico. Passione che accomuna tutti i gruppi dialettali della valle di Su- sa, desiderosi di offrire alla gente qualche attimo di autentica evasione, e divertendosi, di divertire il prossimo.

216 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 217-220

Un pascià segusino Il generale Emilio De Giorgis

Le vie di parecchie città italiane, più precisamente in quella parte che definiamo il Çcentro storicoÈ, hanno edifici sovente ornati di lapidi marmoree, o anche di bronzo, secondo una apprezzabile consuetudine dei nostri antenati i quali, giustamente scettici sulla memoria dei loro compatrioti, ricordavano con questi manufatti duraturi nel tem- po gli eventi storici accaduti fra le mura cittadine, o riguardanti concittadini illustri; quelli che si usa definire ÇpersonaggiÈ. Era il modo più semplice per i nostri avi di farsi «laudator(es) temporis acti», di lo- dare il tempo passato (secondo il poeta Orazio), di ricordare perennemente persone e fatti memorabili alle generazioni successive dei concittadini e degli ospiti. In più, e senza dubbio, un modo di voler bene al proprio paese tramandandone il ricordo di ge- sta militari e civili. Anche Susa mette in mostra parecchie lapidi interessanti, ma una può certamente incuriosire più di altre. In via Palazzo di Città, sul lato sinistro rispetto all’ingresso dell’edificio sede del Tribunale, dal 20 settembre 1908 è apparsa una grande lapide di marmo bianco a ricordo di un segusino: il generale (per la precisione Çtenente genera- leÈ) Emilio De Giorgis che proprio in quella casa ormai antica nacque. Emilio De Giorgis – nato a Susa nel 1844 e morto a Roma nel 1908 – partecipò con il grado di sottotenente del Genio alla Terza Guerra d’Indipendenza nel 1866; poi entrò a far parte dello Stato Maggiore. Nel 1891 era colonnello comandante il 46¡ reg- gimento fanteria. Con questa lapide la Società Militare di Susa ha voluto ricordare il suo Çbenemeri- to presidente onorario» e celebrare l’inconsueto incarico internazionale che portò De Giorgis ad accoppiare l’alto grado nell’esercito italiano a quello turco, altrettanto pre- stigioso, di «pascià».

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La vicenda personale e la carriera del generale De Giorgis, che fino al dicembre 1904 comandava la divisione carabinieri di Cagliari, ebbero una svolta quando l’alto ufficiale venne messo a disposizione del Ministero degli Esteri per una importante missione internazionale. 217 218 Alcuni degli ufficiali italiani (nelle divise ottocentesche in dotazione alla gendarmeria locale) ad- detti alla organizzazione della Gendarmeria della Macedonia all’inizio del Novecento.

La politica europea di quegli anni era attenta, e preoccupata, in particolare alle condizioni di crescente debolezza dell’Impero Ottomano, soprattutto della sua presen- za precaria nella Penisola Balcanica, autentica polveriera in pericolo di esplodere da un momento all’altro con gravi conseguenze internazionali. Più di una delle grandi po- tenze europee, soprattutto Austria - Ungheria e Russia desideravano subentrare in que- st’area cruciale all’impero turco.

Philip Mansel in Costantinopoli - Splendore e declino della capitale dell’Impero Ottomano, 1453/1924 (Ed. Mondadori, Milano 1997), facendo riferimento alle conti- nue turbolenze di quelle province ottomane, ha scritto: ÇIn un giorno qualsiasi del 1896 potevano giungere notizie di tumulti a Creta, di una sollevazione in Libano o di una incursione di armeni russi nell’Anatolia centrale. Dopo il 1900 la questione mace- done Ð come governare una regione abitata, e ambita, da musulmani, greci, bulgari, serbi e albanesi – divenne l’incubo del Palazzo e delle cancellerie europee» (1).

(1) La Macedonia era insorta nel 1902 ed era perciò una provincia dell’Impero Ottomano bi- sognosa di attenzioni e di vigilanza. Di questa incombenza si incaricarono le maggiori potenze europee. 219 Con l’accordo di Murzsteg (2-3 ottobre 1903) l’Impero Austro-ungarico e quello russo dello zar da una parte, l’Impero Ottomano dall’altra convennero su alcune riforme (in parte praticamente anche imposte) per tentare di rinsaldare lo scricchiolante, vasto, eterogeneo impero del sultano le cui crisi erano benevolmente definite con l’espressione di «questione d’Oriente». Uno dei punti dell’accordo fra le parti era il riordinamento, l’organizzazione della gendarmeria in Macedonia, per tentare di controllare e pacificare quel territorio: 29 uffi- ciali stranieri Ð ben compensati dalle esauste finanze di Istanbul (Costantinopoli) Ð avreb- bero messo a disposizione la loro professionalità di docenti e di organizzatori. E poiché i nostri Carabinieri godevano in Europa già di una solida fama di bravura ed efficienza an- che come istruttori, venne scelto un generale italiano per comandare la missione multina- zionale in Macedonia (2).

L’incarico toccò al sessantenne generale Emilio De Giorgis a partire dal 1¡ gennaio 1904, con il titolo di Lieutenant Général Réorganisateur. Il generale nato a Susa resterà in Macedonia a quel posto di responsabilità internazionale fino alla morte, avvenuta a Ro- ma nel 1908 (3). La missione multinazionale – con sede principale a Monastir – si rivelò assai im- pegnativa e previde, fra l’altro, anche l’apertura di due scuole per formare i coman- danti delle stazioni della gendarmeria macedone riorganizzata (4). Per quell’opera efficacemente svolta in Macedonia la ÇSublime PortaÈ (vale a dire il governo del sultano) attribuì al segusino generale Emilio De Giorgis l’altisonante – e prestigioso – titolo di «Pascià» (5), come leggiamo nella lapide sulla facciata della casa natale, nel cuore dell’antica Susa. (t.f.)

(2) Dopo la nomina del generale De Giorgis per il comando della Missione in Macedonia vennero selezionati altri sette ufficiali dei carabinieri (capitani e tenenti) che avessero particola- ri requisiti: Çcelibi e senza prole, conoscenza buona almeno del francese, lingua parlata da pa- recchi turchiÈ. L’impegno aveva la durata minima di tre anni. (3) A capo della Commissione internazionale in Macedonia al generale Emilio De Giorgis subentrò un altro ufficiale italiano: il generale Mario Nicolis di Robilant. (4) Con l’approssimarsi della guerra italo-turca (e relativa conquista della Libia da parte del- l’Italia) tutti gli ufficiali italiani operanti in Macedonia, e in altre parti dell’Impero Ottomano, furono richiamati in patria entro il settembre del 1911. (5) Pascià è la forma italianizzata «...del turco pasha, titolo concesso ai più alti dignitari tur- chi, derivato da padishahÈ. (P. MANSEL, Costantinopoli..., opera citata). 220 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVIII - VOL. 40 (2001) pagg. 221-224

Sacra rappresentazione alle Ramats (e deplorevoli dimenticanze)

Il 21 aprile 2001 alle Ramats di Chiomonte (quasi 1000 metri di altitudine) si è te- nuto un dotto convegno organizzato dal Cerca con il sostegno della Regione Piemon- te, della Comunità Montana Alta Valle, della locale parrocchia. Il tema era la sacra rappresentazione Storia di Sant’Andrea apostolo e martire messa in scena in quella borgata alpina nell’anno 1739. Di quel vecchio testo il Cerca ha fatto un libro Ð n. 2 della Collana Sussidi eruditi, edito da Melli Ð nella trascrizione di Giuliana Giai e a cura di Valerio Coletto. Il volu- me è stato appunto presentato nell’incontro del 21 aprile come piatto forte della gior- nata alle Ramats. Nella lunga introduzione il parroco delle Ramats, don Bruno Dolino, ringrazia do- verosamente Giampiero Leo assessore regionale alla cultura; ringrazia anche l’asses- sore alla cultura della provincia di Torino, Walter Giuliano, Çper aver dato vita a quel gioiello d’arte incastonato tra le montagne di Chiomonte, che è la cappella di S. An- drea delle RamatsÈ.

é nostra ferma convinzione che la storia vada sempre rispettata e il rispetto comin- cia dai fatti, date e nomi che citiamo subito (1). M. Cicchelli in Luna nuova del 17 aprile 1987 che titola Segusium lancia l’allar- me per la Cappella di S. Andrea; gli fa eco immediatamente La Valsusa del 23 aprile 1987. M.C. ritorna sull’argomento: Sotto sorveglianza S. Andrea delle Ramats (in Lu- na nuova del 13 luglio 1987). Nel maggio 1989 la rivista Segusium n. 26, come supplemento, pubblicò un volu- me di un’ottantina di pagine a firma di tre note sue collaboratrici, Enrica Regis, Mar- gherita Tua, Giuliana Debernardi: Santi e dannati negli affreschi del XV e XVI secolo in Alta Valsusa.

(1) «Con l’oblio lo storico ha un conflitto professionale: scoprire quel che è stato nascosto dalla polvere del tempo è il piccolo piacere per il quale lavorano gli studiosi del passato», ha scritto lo storico Adriano Prosperi e anche noi vogliamo concederci Çil piccolo piacereÈ di non permettere che venga dimenticato ciò che ha fatto e fa Segusium - Società di Ricerche e Studi valsusini. 221 A pagina 27: «Sulla strada che da Chiomonte conduce alla Ramats è visibile sulla destra una cappella che, all’interno, presenta sulle pareti e sulla volta dell’abside un ciclo di affreschi con la “Storia di S. Andrea”. ÇLa data 1760 leggibile sulla facciata fa pensare a un restauro risalente a tale epo- ca, ma attualmente lo stato fatiscente delle pitture ne suggerirebbe un altro, special- mente dopo che sono state eseguite riparazioni al tetto...È. Le autrici danno una som- maria descrizione dei pericolanti riquadri di affreschi con la storia del santo e ricorda- no anche un testo di Ç9.000 versi recitati da 142 attori... sul sagrato della cappella co- me avveniva anche in altri luoghi sacriÈ.

Proseguono i documenti. Segusium n. 30 (1991), a firma dell’allora presidente Giulio Fabiano pubblicò Realizzazioni di Segusium - Cappella di S. Andrea della Ra- mats (Chiomonte); ma G. Roddi aveva già fatto tirare un sospiro di sollievo ai lettori di La Valsusa il 7 dicembre 1989 annunciando: Inaugurato il nuovo sagrato, sottoli- neando che il progetto tecnico era dell’architetto Giulio Fabiano, presidente di Segu- sium, la società culturale promotrice del restauro quando ne era ancora presidente mons. Severino Savi.

Anche l’occhio vuole la sua parte. Pubblichiamo perciò una fotografia di quegli anni: nell’agosto 1987 – 14 anni fa – la Cappella di Sant’Andrea alle Ramats era in condizioni preoccupanti e Michela Fiore nella sua lodata tesi di laurea poté obiettiva- mente scrivere (Segusium n. 37 del 1998) a pagina 22: ÇAltro edificio architettonico che deve la sua attuale sistemazione all’interessamento della Segusium è la Cappella di Sant’Andrea alle Ramats di Chiomonte. La Segusium nel 1987 chiese l’interessa- mento della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici, e l’anno successivo ottenne dal- la Sitaf (Società dell’Autostrada) il controllo della stabilità delle strutture murarie con idonee apparecchiature; intanto l’architetto Fabiano aveva elaborato un progetto di si- stemazione del sagrato antistante alla cappella, realizzato dalla Sitaf e dall’Ammini- strazione provinciale nel 1989 a ampiamente documentato sulle pagine della rivistaÈ. Rimandiamo perciò a Segusium n. 30 pubblicato nel 1991. Prosegue Michela Fiore: Ç... nel 1992 fu nuovamente presentato alle stesse Soprin- tendenze un progetto corredato da una relazione tecnico-descrittiva delle opere da ese- guirsi sulla Cappella... che condusse a due lotti di interventi conservativiÈ. ÇNel primo lotto vennero rifatti gli intonaci esterni e restaurate le coperture del Cam- panile e dell’Abside, al fine di salvaguardare gli affreschi tardo quattrocenteschi sulla vol- ta a botte e raffiguranti le storie di Sant’Andrea, opera dell’anonimo “maestro della Ra- mats”, caposcuola di un gruppo di artisti che nei tre decenni successivi lasciarono bellissi- me testimonianze su alcuni monumenti valsusini quali il portale laterale della chiesa di San Giusto a Susa, la chiesa di San Pietro ad Avigliana e quella di San Sebastiano a Pia- nezza. ÇIl secondo lotto di interventi venne realizzato nel 1995 con la demolizione e rico- struzione del vano esterno della scala di accesso al matroneo, la ricostruzione delle murature in pietra e del tetto esistente e del rifacimento della scala e degli intonaci in- terni ed esterni, rifacimento quest’ultimo che è stato preceduto da una campagna di saggi stratigrafici finalizzati alla verifica della presenza o meno di pitture nascoste sot- to i vari strati di intonaco. In più sul prospetto ovest è stato restaurato il dipinto raffi- 222 Questa fotografia dell’agosto 1988 (pubblicata in Segusium n. 30) ci mostra la cappella di Sant’Andrea di Ramats com’era prima che iniziassero i lavori di con- solidamento e di restauro promossi e seguiti dalla Società di Ricerche e Studi val- susini. Grazie a quegli interventi di «Segusium» l’edificio e i preziosi affreschi in- terni sono stati salvati. 223 gurante Sant’Andrea, nella cornice di stucco... in uno stato critico di conservazione, a causa dell’esposizione continua agli agenti atmosferici...». Ç...é opportuno segnalare che proprio di recente (luglio 1996) la Cappella di San- t’Andrea è stata oggetto di un nuovo ritrovamento di affreschi, databili ai primi anni del ’500, nascosti sotto l’intonaco di quella che era la facciata della cappella originaria e che ora costituisce l’arco trionfale della nuova chiesa: trattasi probabilmente di un’Annunciazione, con le due figure laterali della Madonna e dell’Angelo e, sopra, la figura del PadreternoÈ (vedasi MARIO CAVARGNA, S. Andrea delle meraviglie, spunta- no nuovi affreschi, in Luna nuova 26 luglio 1996; P.P. BENEDETTO, Sotto la calce un tesoro d’arte, in La Stampa del 4 agosto 1996) (2).

Alla fine del volume n. 2 dei ÇSussidi eruditiÈ alcune illustrazioni ci mostrano i preziosi affreschi dell’antica cappella: il loro restauro è stato possibile in tempi recen- ti solo perché gli interventi pensati, progettati, sollecitati, seguiti da Segusium li hanno salvati dalla distruzione, come hanno mantenuto in piedi l’edificio seriamente minac- ciato. Giusto il riconoscimento a chi ha realizzato la parte finale, ma senza dimenticare il più fatto da Segusium in tempi antecedenti, necessario preambolo ai risultati successivi. Tutto questo per la storia completa del restauro di Sant’Andrea alle Ramats; ossia per una storia nella quale i protagonisti non siano soltanto quelli citati nelle circostan- ze particolari che ispirano gli scritti più recenti.

(2) Degli affreschi sacri in Valle di Susa si era autorevolmente occupata Maria Luisa Mon- cassoli Tibone: Iconografia dell’immagine di devozione negli affreschi di qua e di là dai monti, nel n. 22 di Segusium pubblicato nel 1986. 224 Libri

La Valle di Susa e le vallate limitrofe sono argomento di una rag- guardevole attività editoriale. Sono pubblicazioni ispirate a molteplici temi di livello, toni, ve- ste tipografica differenti: dall’opuscolo divulgativo alla ricerca sto- rica specialistica, ma tante, a nostro parere, meritevoli di segnala- zione. In questa rubrica non ospiteremo recensioni accademicamente raffinate, né esegesi approfondite. Ci limiteremo a chiare segnala- zioni, informando brevemente sui contenuti. In termini semplici, ma precisi, questa rubrica si propone perciò come un servizio ai nostri Soci e a tutti i Lettori di Segusium. Al tem- po stesso vuole rappresentare un riconoscimento dell’impegno, dei meriti di autori ed editori, che invitiamo a mandarci le loro opere. La rubrica «Libri» è coordinata da Laura Grisa. (N.B. - Le segnalazioni non firmate, né siglate sono della Dire- zione-Redazione).

La Sacra di San Michele simbolo del chino, Daniele Biancolini, Alberto Vanel- Piemonte europeo - (Quaderno Sacrense li e Giuseppe Carità. n. 9) - A cura di Chiara Campi e Luigi In conclusione di volume due Çalle- Lombardo - Edizioni Rosminiane, Stresa, gatiÈ di Carlo Tosco e di Giuseppe Carità 2000, pagg. 296, ill., L. 30.000. sui modelli architettonici nel romanico subalpino e sull’evoluzione degli edifici Con legge n. 64 del 21 dicembre 1994 abbaziali di San Michele della Chiusa. ÇLa Regione riconosce la Sacra di San L’importanza del tema del convegno Michele quale monumento simbolo del ha avuto la presenza, e brevi interventi, Piemonte...È (art. 1) e questo libro deriva di Antonio Salvatori rettore dell’Abbazia dal IV Convegno sacrense dedicato ap- della Sacra, del vescovo di Susa mons. punto all’evento, con il titolo «La Sacra Vittorio Bernardetto, di Mario D’Addio, di San Michele simbolo del Piemonte eu- Giampiero Leo, Gian Battista Zantede- ropeoÈ (26-27 maggio 1995). schi. In tre sessioni, presiedute dai profes- Nel libro ci sono anche gli annunci di sori Gian Giacomo Fissore, Giuseppe impegnativi propositi per l’avvenire: una Sergi, Francesco Traniello dell’Univer- biblioteca di filosofia, spiritualità, reli- sità di Torino, hanno svolto vari temi En- giosità dei contemporanei; un museo per rico Nerviani, Giuseppe Sergi, Giovanni accogliere le espressioni artistiche signi- Romano, Giampietro Casiraghi, Carla ficative delle religioni monoteistiche; in- Frova, Umberto Muratore, Renato Bor- contri a cadenze biennali sui rapporti fra done, Giovanni Spinelli, Marzia Barac- religiosità, laicità, filosofia. 227 Riflesso di quell’importante incontro pina; ora che purtroppo il patuà è stato alla Sacra di San Michele, dei numerosi surclassato nelle famiglie dal piemontese interventi è questo libro vivo, anche pre- e poi dall’italiano». mio per la fatica di Chiara Campi e di Promosso dal Comune di Bardonec- Luigi Lombardo per assemblare al me- chia, questo è il «Quaderno n. 3È, con glio i pezzi prodotti da tante mani diver- presentazione del prof. Tullio Telmon se, come sono gli atti di un convegno a dell’Università di Torino. E proprio Tel- molte voci di livello elevato. mon ha scritto con calore: Ç...Che farsene di una lingua che non andava bene per la scuola? Che non andava bene per il com- mercio e per il turismo? Che, a parlarla, dava la sensazione non soltanto di non AUGUSTA GLEISE BELLET: ’L cäíë d’ lä essere capiti, ma soprattutto di essere mèitrë (Il quaderno della maestra - Ciclo scambiati per ignoranti? Ben pochi si so- di lezioni sul patuà di Bardonecchia e no soffermati a pensare che da gente che, Millaures) - Ed. Alzani, Pinerolo 2000, come loro, aveva il patois come lingua pagg. 120, ill. materna erano usciti fior di studiosi, di uomini di stato, di ingegneri e di avvoca- ti e di medici più o meno illustri...». Per fortuna Çsi assiste oggi ad una sorta di ri- pensamento...È. E dal ripensamento, con affetto e no- stalgia, è nato questo libro del cuore: un po’ grammatica, un po’ nomenclatura, un po’ antologia di ricordi e poesie. Con bel- le immagini Çdi una voltaÈ, cartoline e fo- tografie, di quando abitualmente si parla- va soltanto la lingua materna delle mon- tagne.

GISELLA CANTINO WATAGHIN, GIAN CAR- LO ALESSIO, GIOVANNI LUNARDI, PAOLA RUFFINO, GIANLUCA POPOLLA, GIACOMO GIACOBINI, CLAUDIO BERTOLOTTO, GIO- VANNA SARONI, GIANGIACOMO FISSORE, GUIDO GENTILE, GUIDO OSTORERO: No- «Prima che sia troppo tardi» è il mot- valesa. Una storia tra fede e arte - Susa- to comune a pubblicazioni come questa libri, 2000, pagg. 144, L. 38.000, ill. la cui encomiabile autrice venne solleci- tata ad occuparsi di un corso di patuà da Con apprezzabile puntualità (appena una sua ex-scolara, perché «c’è in molti un anno dal convegno di Novalesa del 21 il desiderio di conservare quella Lingua agosto 1999) appare questo volume che, che è stata la base della nostra civiltà al- per fortuna, non ci sembra ricalcare alla 228 lettera quanto è avvenuto nella giornata di CINZIA CARGNINO, GIAN GIORGIO MASSA- quell’incontro culturale. Così nulla per- RA: Testimonianze sindoniche in Haute dono gli ÇattiÈ; di sicuro il libro ci guada- Maurienne, nelle Valli di Lanzo e nella gna in leggibilità (e sarebbe una felice tro- piana di Ciriè (Schede per un inventa- vata se Ð qui come dovunque Ð le citazio- rio) - Società Storica delle Valli di Lanzo, ni bibliografiche scrivessero per esteso il Lanzo Torinese 2000, pagg. 128, ill. (edi- nome di battesimo degli autori). zione fuori commercio). Dopo le rituali presentazioni, i primi tre saggi danno un buon quadro storico. Gisella Cantino Wataghin: ÇIn loco nunc- copante NovelicisÈ; La Novalesa dall’età romana alla fondazione di Abbone. In co- da all’autorevole saggio, nell’ampia bi- bliografia figurano autori su Novalesa: Alfonso Bogge, Luisa Brecciaroli Tabo- relli, Gisella Cantino Wataghin, Mario Cavargna, Giovannella Cresci-Marrone, Jacques Debergh, Augusto Doro, Antonio Ferrua, Cesare Letta. Gian Carlo Alessio (Università di Ve- nezia) si occupa di Novalesa nel Medioe- vo (storia e leggenda), mentre Giovanni Lunardi delinea I rapporti fra l’Abbazia e il borgo di Novalesa (726-1856). Completata questa essenziale prima parte storica, entriamo in temi più settoria- li: Paola Ruffino: Committenze Novalicen- si ed importanti donazioni presso la par- rocchiale di Santo Stefano (una carrellata sul patrimonio artistico); Gianluca Popol- la: La ricognizione dell’urna di Sant’El- La Società Storica delle Valli di Lan- drado; Giacomo Giacobini: I resti schele- zo, fondata nel 1946 da Giovanni Donna trici rinvenuti nell’urna di Sant’Eldrado; d’Oldenico, con questo ultimo titolo è al- Claudio Bertolotto: La cassa di Sant’El- la 62a opera della sua collana editoriale; drado e i reliquiari ritrovati; Giovanna un elenco di pubblicazioni che fanno Fissore: La pergamena del reliquiario. Un onore a quanti si sono impegnati in una omaggio dello ÇScriptoriumÈ di Novalesa gamma di ricerche assai varie, riguardan- a Sant’Eldrado?; Guido Gentile: Reliquie ti le vallate alpine contigue alla Valle di e reliquiari nelle fonti novaliciensi; Guido Susa. Ostorero: Lingua e consapevolezza lingui- Bruno Maria Guglielmotto Ravet, at- stica in una comunità di confine. tuale presidente della benemerita società Una bella documentazione per imma- storica con sede a Lanzo (nella Bibliote- gini completa il volume che si inserisce ca civica) introduce con La Sindone nelle degnamente nella già cospicua bibliogra- Valli di Lanzo - Raccogliamo le fila delle fia di qualità su Novalesa e la sua celebre ipotesi: ÇNon abbiamo certezza assoluta Abbazia. del passaggio della Sindone nelle Valli di 229 Lanzo. Non un documento, non una testi- ria Luisa Moncassoli Tibone in ÇSegu- monianza concreta. Solo due ipotesi, una siumÈ n. 38. in particolare molto accreditata» ed è quella dell’anno 1535, quando il duca Carlo III di Savoia predispose il viaggio del «sacro lino» da Chambéry a Torino attraverso Bessans, il Colle d’Arnas, la BERNARDIN UCHARD: Poème en franco- Valle d’Ala. provençal de Bresse, en hommage au Nel 1561 la Sindone avrebbe fatto ri- Maréchal Lesdiguières (1619) - Edition torno a Chambéry, per poi viaggiare defi- critique avec tradution française par Ga- nitivamente fino a Torino nel 1578. ston Tuaillon professeur à l’Université Sul viaggio della Sindone nel 1578, Stendhal di Grenoble - Ed. Cerca, 2000, voluto dal duca Emanuele Filiberto di Sa- pagg. 206. voia perché l’arcivescovo di Milano non Questo numero 3 della collana ÇSus- dovesse recarsi fino a Chambéry, Giusep- sidi eruditi» propone un’opera per spe- pe Duc ha scritto: Ç...in diversi borghi fu cialisti che il presidente del Cerca nella dipinta l’immagine sulla facciata delle ca- breve introduzione deve classificare tra i se dove essa fu ricoverata per alcune oreÈ Çtesti forse minori, alcuni ostici, ma im- (Histoire de l’Eglise d’Aoste). portanti per la storia delle AlpiÈ. Questo itinerario di devozione reli- Comunque nell’originale una storia giosa, che il libro ci propone mediante di- decifrabile da pochissimi senza il soccor- pinti di vari stili e soggetti, incomincia a so della traduzione francese. Un docu- Bessans (e frazioni) con affreschi dei se- mento singolare che presenta già incer- coli XVI-XVIII, prosegue a Bonneville- tezze a cominciare dalla scelta per la gra- sur-Arc, Lanslevillard, St. Michel-de- fia del titolo originale. Maurienne, (e in più varie testimonianze Il poema storico apre con un lungo di affreschi scomparsi nella Haute Mau- elogio di François de Lesdiguières, cui rienne). segue la narrazione delle imprese del fa- Varcate le Alpi l’itinerario sindonico moso ÇmarechalÈ: dalla traversata delle prosegue con i dipinti delle Valli di Lan- Alpi, all’assedio di Asti, agli scontri ar- zo: due in Balme, due a Ceres (con la fra- mati in alcuni paesi delle colline fra Asti zione Voragno), due a Corio, due a Lan- e Alessandria. zo, tre a Lemie, due a Mezzenile, uno a Segue un indispensabile glossario per Usseglio, cinque a Viù e frazioni. tradurre il Çlangage bressanÈ. A Ciriè i dipinti considerati sono no- ve, uno a Fiano, due a Grosso, uno a No- le, uno a Rocca Canavese, uno a San Car- lo Canavese, due a San Maurizio Cana- vese, ai quali bisogna aggiungere le non VITTORIO BERNARDETTO (Vescovo di Su- poche Çtestimonianze scomparseÈ. Ogni sa): Non mi vergogno del Vangelo - Edi- affresco è accompagnato da una chiara zioni SDS, Susa 2001, pagg. 136, ill. scheda informativa ricavata da documen- ti e collaborazioni (come la lunga lista di ÇNon enim erubesco evangeliumÈ: ÇringraziamentiÈ dimostra). questo il motto di monsignor Bernardetto In tema di affreschi sindonici nelle vescovo della diocesi di Susa dal settem- Valli di Susa ricordiamo il saggio di Ma- bre 1978 alla fine del 2000. 230 Il libro raccoglie Çalcuni passi di que- STEFANIA BARPI: Il fregio dell’arco di sto suo magisteroÈ con una sottolineatura Augusto a Susa - Problematiche stori- per Ç...tre voci fondamentali, che come che e artistiche - Torino, Università, Fa- un ritornello ci ha ripetuto in questi anni: coltà di Lettere e Filosofia, tesi di laurea, chiesa locale, famiglia e giovaniÈ, ha anno accademico 1998-1999, pagg. 256, scritto don De Faveri. ill.

La dr.ssa Barpi nel giugno 2000, in occasione dell’assemblea annuale dei so- ci di Segusium, accettò l’invito del presi- dente e tenne una applaudita conversa- zione sul fregio dell’Arco di Augusto, te- ma della sua recente laurea. La tesi Ð che si trova nella Biblioteca Civica di Susa Ð porta un altro tassello al- la già ricca bibliografia su questo monu- mento celebre non soltanto a Susa e nella Valle. Per rendersene conto è sufficiente os- servare quante persone Ð soprattutto nella buona stagione Ð salgono ad ammirare, osservare, fotografare l’Arco e gli altri monumenti romani nell’area del Castello della contessa Adelaide. Stefania Barpi, sulla scorta di un’am- pia bibliografia citata in apertura, ha Tuttavia il libro non consiste sola- svolto una diligente ricerca per illustrare mente di questi tre pur importanti capito- non solo le caratteristiche artistiche ed ar- li. C’è anche altro e di alto significato per chitettoniche del monumento, ma per de- la Diocesi di Susa (62 parrocchie, circa finirne il valore storico e quello di testi- 70.000 abitanti). monianza ÇpoliticaÈ nel quadro della pe- Per esempio, troviamo le ÇlettereÈ re- netrazione-occupazione romana di que- lative a tre importanti eventi di questo sto tratto delle Alpi Occidentali e dei ce- lungo episcopato: la visita del Papa (14 lebri passi, appunto le Alpi Cozie, come luglio 1991) che proclamò beato il vesco- Cozio era il nome del re che nell’anno 8 vo segusino Edoardo Rosaz; il centenario a.C. terminò la costruzione dell’Arco de- de ÇLa ValsusaÈ (ÇUn pulpito di cartaÈ), dicandolo ad Augusto imperatore. ossia della stampa cattolica diocesana na- Il celebre monumento è alto «...m ta nel 1897; il centenario della colloca- 13,07 (45 piedi romani); la larghezza è di zione della statua della Madonna sulla m 11,93 (40 piedi romani), lo spessore m vetta del Rocciamelone (1899). 7,30 (25 piedi romani). Il fornice presen- Un florilegio da conservare non sol- ta una larghezza di m 5,86 (20 piedi ro- tanto per devozione e riconoscenza al ve- mani) e un’altezza di m 8,25 (30 piedi ro- scovo emerito mons. Bernardetto, ma an- mani) corrispondente a due terzi circa di che documento utile, non secondario per quella totaleÈ. la storia della Valle di Susa. L’indice della tesi propone una Intro- 231 duzione storica; L’Arco di Augusto a Su- sa; Il fregio; Conclusioni. Segue un ricco corredo di illustrazioni d’insieme e di particolari indispensabili per apprezzare questo eccezionale monumento al quale ÇSegusiumÈ ha dedicato nel 1992 un im- portante convegno internazionale di studi i cui atti sono stati pubblicati in un volu- me della rivista (1994).

Montagna grigia - Catalogo della lette- ratura grigia e minore - Biblioteca nazio- nale del Club Alpino Italiano, Torino 2000, pagg. 350.

Questo volume di grande formato al catalogo della biblioteca del CAI Ð nata nel 1863, via Barbaroux 1, Torino Ð uni- sce anche quella del Comitato Glaciolo- gico Italiano e quella del Museo di antro- pologia ed etnografia. Questo ÇQuaderno n. 4È, patrocinato Ne ha patrocinato la pubblicazione la dal Comune di Bardonecchia e dalla Re- Regione Piemonte e l’assessore Giampie- gione Piemonte Ð con prefazione del ro Leo ne ha scritto una breve presenta- prof. Tullio Telmon Ð ci accompagna a zione. Certamente da parte dei compila- completare l’esplorazione di un mondo tori sarebbe stata utile una introduzione sorprendente, inesauribile di conoscenze, più ampia allo scopo di delineare le ca- storia, tradizioni, vita, emergenti da tem- ratteristiche salienti della biblioteca cui pi lontani, come da una profonda miniera la pubblicazione si riferisce. di beni preziosi da non disperdere e da ri- cordare. In altre parole, il patrimonio antico dei toponimi che Çattestano lontani inse- diamenti etnici, che scarsa o nulla traccia MARZIANO DI MAIO: Guida dei toponimi hanno lasciato nei dialetti localiÈ. di Melezet, Les Arnaud, Valle Stretta - Le carte e le illustrazioni Ð sempre Alzani Editore, Pinerolo, ÇI Quaderni di scelte con cura e funzione esemplare Ð BardonecchiaÈ, 2001, pagg. 168, ill., L. completano e chiariscono questa conti- 32.000. nua scoperta alla quale Di Maio guida i suoi lettori. Con l’avvertenza che bisogna Nel n. 39 di questa rivista abbiamo fissare queste memorie, Çprima che sia segnalato in termini assai positivi la Gui- troppo tardi»: un’avvertenza che non bi- da ai toponimi di Bardonecchia e frazio- sogna stancarsi di ripetere ad ogni occa- ni, dello stesso autore. sione. 232 Alcune notizie storiche riguardanti Val Il libro è diviso in 26 capitoletti, che della Torre, raccolte e ordinate dal Teo- trattano del paesaggio e dei confini, dell’o- logo Cav. P. Prato, Prevosto di S. Dona- rigine del nome, della storia del Comune to (2a edizione) - Tip. Paolo Conte, Savi- (feudatari, sistema tributario, proprietà co- gliano 1913, ristampa anastatica a cura munali, vertenze tra il Comune e i partico- della Biblioteca Comunale, Tipolitogra- lari di Brione, istruzione pubblica, Congre- fia TECA, Torino 1999, pagg. 138, ill. gazione di Carità), della storia delle chiese presenti sul territorio (Monastero di Brio- ne, parrocchie di S. Maria e S. Donato, al- tri edifici di cui si hanno solo alcuni Çindi- ziÈ documentari, le cappelle campestri, ma anche il Santuario della Bassa), gli elenchi dei parroci e delle badesse del Monastero, e Çpersonaggi notabiliÈ, il tutto corredato di note e di illustrazioni. Il volume è anche arricchito da cartoline d’epoca. Una bella iniziativa, questa della Bi- blioteca di Val Della Torre, per Çtraman- dare gli avvenimenti storici e culturali, gli aneddoti di vita vissutaÈ ed offrire ai Valtorresi di origine e di adozione la possibilità di conoscere e approfondire, la storia del comune in cui viviamo at- traverso il passato, per immaginare il fu- turo e capire il nostro presenteÈ (dalla presentazione del presidente del Consi- glio di Biblioteca Carlo Alberto Tappe- ro), poiché, come scrive il sindaco Sisto Cheli, Çun paese senza memoria storica è come un albero senza radici». La Biblioteca Comunale di Val Della Rita Martinasso Torre ha ristampato (in anastatica) que- st’opera del 1973, ormai in pochi esem- plari, del teologo Pietro Prato di Caval- lermaggiore, prevosto di Val della Torre tra il 1900 e il 1944 (anno della morte). L’autore raccolse e pubblicò le noti- zie fornite dalla tradizione locale e dalla FRANCESCO MERLO: Diario e memorie di consultazione di documenti antichi, dan- un alpino 1939-1945 - Con il Terzo Alpi- do alle stampe il volume nel 1910, cosa ni nella Seconda Guerra Mondiale - Al- che ebbe «l’effetto di attirare sul Cartario zani Editore, Pinerolo 2000, pagg. 284, di Brione (...) l’occhio scrutatore dell’il- ill., L. 32.000. lustre Prof. F. Gabotto e di altri dirigenti la Biblioteca della Società Storica Subal- Classe 1917, nativo di Osasco, ultimo- pinaÈ (sfociato nella pubblicazione del genito di dodici fratelli, arruolato nella Cartario stesso fino al 1300). compagnia comando del battaglione ÇPi- 233 BATTISTA GARIGLIO: I lunghi sentieri del ritorno - Dal Montenegro a Taranto - Alzani Editore, Pinerolo 2001, pagg. 112, ill., L. 18.000.

Il sergente maggiore Battista Gari- glio, nato a Perosa Argentina nel 1921, arruolato nel 3¡ Reggimento Alpini, bat- taglione ÇFenestrelleÈ, 30a compagnia ha ottenuto la qualifica di Çpartigiano com- battenteÈ per aver fatto parte della divi- sione «Garibaldi» dall’8 settembre 1943 al 4 marzo 1944. La ÇGaribaldiÈ era formata da milita- ri italiani che in Jugoslavia sfuggirono al- la cattura da parte dei tedeschi dopo l’ar- mistizio del settembre 1943 e combatte- rono con le forze partigiane, in una situa- zione di caos difficilmente descrivibile, tante erano le contrapposte forze in cam- po: esercito italiano, esercito tedesco, ustascia (milizie volontarie croate), do- neroloÈ, plotone collegamenti, 3¡ Reg- mobrani (esercito croato), cetnici (serbi gimento Alpini. ortodossi monarchici), partigiani comu- Diventato radiotelegrafista, France- nisti comandati da Tito. sco Merlo fu con il reggimento prima sul- In questa irripetibile situazione si le Alpi (Fronte Occidentale), poi in Bo- svolge l’odissea del sergente maggiore snia Erzegovina, Dalmazia e Montenegro Gariglio, raccontata con semplicità; un (1942-’43) dove meritò una medaglia di viaggio pericoloso dal Montenegro alla bronzo al valor militare. Serbia, Bulgaria, Grecia e finalmente Ita- Dopo l’armistizio (8 settembre 1943), lia (a Taranto), ma ancora in armi con la mentre i suoi commilitoni venivano inter- 8a armata inglese fino al congedo nell’a- nati in Germania, Merlo e alcuni suoi col- prile 1946. leghi radiotelegrafisti affrontarono una serie di avventure, pericoli, sofferenze at- traverso l’Europa (Jugoslavia, Ungheria, Austria). Il caporal maggiore Merlo non solo AUTORI VARI: Atti del Congresso Inter- portò a casa la pelle, ma annotò in un suo nazionale di Archeologia, Storia e Archi- diario le peripezie di Çprigioniero itine- tettura militare (a 40 anni dalla scoperta rante agli ordini dei tedeschiÈ, fino al della Scala di Pietro Micca) - a cura di rientro in Italia nel luglio 1945. Guido Amoretti e Patrizia Petitti - Omega é questo un libro di memorie, utile te- Edizioni, Torino 2000, pagg. 464, ill. stimonianza per tutti di ciò che hanno vissuto tanti uomini che oggi, se ancora Il congresso annunciato nel titolo si vivi, sono a cavallo degli ottant’anni. tenne a Torino nei giorni 11-12-13 no- 234 vembre 1998 in Palazzo Falletti di Baro- Dalla Francia due interventi, di Phi- lo (via delle Orfane): è risultato una cele- lippe Bonnet: Ercole Negro et Vauban a brazione a 40 anni dalla scoperta della Fort Barraux et ses environs; Jean Pierre scala dove, per chiari segni, esplose la Martin: Les forts de Savoie dans la ba- mina di Pietro Micca nella notte fra il 29- taille des Alpes (Juin 1940), ossia le vi- 30 agosto 1706, durante l’assedio di Tori- cende storiche nell’ultima guerra mon- no da parte delle truppe francesi. Nel no- diale. me di Pietro Micca nel 1961 venne isti- Nella sezione quarta, dedicata alle tuito un museo già onorato da oltre piazzeforti, troviamo una rassegna stori- 1.200.000 visitatori. co-tecnica degli apprestamenti sabaudi, I testi di 22 relazioni formano le quat- soprattutto in difesa a levante nel cruciale tro sezioni di questo libro ben documen- settore aperto alla pianura padana, com- tato: Archeologia delle fortificazioni, La presa ovviamente Torino e, con qualche storia e i documenti, I Forti delle Alpi, Le sorpresa, persino Tolone, base navale. Piazzeforti. Un importante panorama per la storia Ha particolare rilevanza che nel volu- di casa nostra, ivi comprese le fortezze me compaiano per la prima volta i risul- famose della Valle di Susa (ma non ab- tati delle più recenti scoperte nella Citta- biamo capito le ragioni per cui il signifi- della di Torino, frutto incontestabile della cativo titolo di copertina Ð La scala di quarantennale attività di ricerca del gene- Pietro Micca – è sparito nel frontespizio rale Amoretti Ð presidente del Centro per lasciare posto al freddo, interminabi- Studi e Ricerche storiche sull’Architettu- le ÇAtti del Congresso...È). (t.f.) ra militare in Piemonte Ð e dei suoi valen- ti collaboratori. La prima sezione è strettamente tori- nese e riguarda la Cittadella, ossia la for- tezza della capitale del Ducato dei Savoia. La seconda sezione raccoglie pagine di storia importanti dal secolo XVII in AUTORI VARI: La piazzaforte di Verrua - poi e di particolare interesse valsusino è A cura di Micaela Viglino Davico - Ome- il contributo di Giuliano Gasca Queiraz- ga Edizioni, Torino 2001, pagg. 80, ill. za sul capitano valdese Rouzier e gli ap- prestamenti militari ai valichi delle Alpi Con prefazione del generale Guido occidentali. Amoretti (che nel 1937, adolescente, rag- Nella terza sezione, I Forti delle Alpi, giunse in bicicletta Verrua da Torino... e Pier Giorgio Corino si occupa della no- non lo lasciarono entrare nel castello) stra ÇamataÈ Brunetta di Susa Çmito del- Micaela Viglino Davico ha raccolto tre la fortificazione sabaudaÈ, considerata saggi, a cominciare dal suo Verrua: da inespugnabile. nucleo murato tardomedievale a fortezza Francesco Barrera e Agostino Magna- moderna dei Duchi di Savoia, la ÇExigua ghi intervengono sul Forte di Exilles fra celeberrima VerrucaÈ. é la storia di que- storia e progetto; Giorgio Ponzio (colla- sta piazzaforte sulle colline del Monfer- boratore di Segusium): Il Forte di Mara- rato, a guardia del passaggio del Po in bocco; Rosella Seren Rosso: La difesa corrispondenza di Crescentino, (e una del transito alpino - Il vecchio e il nuovo delle fortezze sabaude prima della Bru- forte di Bard. netta di Susa). 235 Il secondo intervento, di Andrea Bru- Dedicato alla memoria del dottor Ma- no jr., illustra I documenti grafici sulle rio Zambelli, fondatore del gruppo Ar- trasformazioni dell’insediamento e Silvia cheologico ÇAd QuintumÈ, questo volu- Bertelli si è dedicata a Il plastico della me affronta un tema di largo interesse e piazzaforte di Verrua nell’ottobre 1704 ancora non del tutto chiarito nei suoi vari (prima del celebre assedio). A giudicare aspetti. Infatti ÇIl problema del popola- da quel poco che resta della poderosa for- mento dell’area compresa tra Dora Ripa- tezza settecentesca appollaiata sulle col- ria e Ceronda, da Torino all’estremità al- line a strapiombo sul Po questi studi sono largata del contrafforte montuoso che se- anche un bel libro dei rimpianti. para la Valle di Susa dalla Valle di Viù, Verrua è stata patria del generale Giu- sulla quale insistono i centri abitati di seppe Da Bormida, che fu ministro con Pianezza, Druento, San Gillio e, più peri- Cavour, deputato del collegio di Aviglia- fericamente, i Comuni della Comunità na nei primi anni 1850. Montana Val Ceronda-Casternone, pre- senta evidenti difficoltà interpretative per la totale assenza di un supporto docu- mentario antecedente il periodo tardo-ro- mano, peraltro anch’esso allo stato attua- le lacunoso e mal definitoÈ. PIER LUIGI CASTAGNO - GIAN PAOLO SPA- Gli autori percorrono un lungo itine- LIVIERO - CARLO MAROCCO: Tra Dora Ri- rario di vari secoli: dalle prime presenze paria e Ceronda - Ricerca sul popola- umane organizzate agli insediamenti al- mento di un territorio - Supplemento n. to-medievali, i borghi murati, le varie lo- 4 di ÇAd QuintumÈ, 1998, pagg. 128, ill. calità, le popolazioni, le vie di comunica- 236 zione oggi di non facile identificazione e gusiumÈ Ð diciamolo ancora una volta Ð i loro collegamenti con la Çstrada delle una fonte documentaria di tutto rispetto GallieÈ. in alcuni casi unica. Particolare importanza in quest’area Due volumi per una materia ampia e (e con castello) la famiglia dei visconti di composita. Il primo è diviso in due parti: Baratonia infeudati nel 1246 di metà di Susa e la stampa valsusina e Costruzione Varisella dal marchese Bonifacio di Mon- e rappresentazione delle identità attra- ferrato (vedere ÇSegusiumÈ n. 38 di G. verso la stampa locale in Valle di Susa. Chiarle). La base della ricerca è l’analisi dei periodici segusini di fine Ottocento, ossia dei giornali pubblicati a Susa; in partico- lare del settimanale ÇL’indipendente» (1887-1934) Çdi orientamento liberaleÈ e che «ebbe una continuità tale da giustifi- carne la sceltaÈ. Infatti visse quasi mezzo RITA MARTINASSO: Una società locale di secolo, superando varie difficoltà. fronte alla «modernità» nella rappre- Attraverso questo settimanale (e an- sentazione della stampa di Susa a fine che alle altre testate che a partire dal 1868 Ottocento (1880-1905) - Tesi di laurea, sono apparse a Susa) si sviluppa un tra- Facoltà di Scienza della Formazione, gitto di esplorazione, di scandaglio della Università di Torino - Relatore prof. Dia- società di quel tempo, in città e in Valle. na Carminati, Anno Accademico 1999- Una ricognizione attenta come raramente 2000, 2 volumi, pagg. 562. capita di avere tra le mani. Tra le varie cose buone di questa tesi ÇVotazione esame di laurea: 110/110 spicca il capitolo IV della seconda parte e dignità di stampa» per questa tesi non (vol. I) dedicato alla donna in Valsusa a solo imponente per numero di pagine, ma fine Ottocento, con una serie di scoperte sostanziosa. e di ritratti notevolmente precisi, sicura- Vien voglia di citare Giuseppe Prez- mente poco noti. zolini (ÇL’italiano inutile»): «...le tesi di Il II volume è soprattutto riservato al- laurea fanno parte dell’inflazione lettera- le categorie sociali preminenti e ai perso- ria di cui siamo afflitti; e non rappresen- naggi di spicco: legali e giornalisti, lega- tano, generalmente, dei libri sentiti e vo- li-politici, altri legali, sanitari valsusini, luti, ma dei compiti imposti ed accettati ingegneri, gli insegnanti, gli industriali con rassegnazioneÈ. (compresi gli imprenditori stranieri in Su- La tesi di laurea della dr. Martinasso sa e in Valle). La ricostruzione delle bio- non può essere iscritta nella categoria dei grafie non è stata facile e qualcuna avreb- «compiti» e lo spiega nell’introduzione: be bisogno di un completamento. ÇQuesta ricerca si occupa della Valle di Non solo tante pagine nel lavoro del- Susa perché io sono Valsusina e mi inte- la dr. Martinasso, ma una ricca, ordinata ressava approfondire lo studio della materia che ci dà una buona visione di “mia” terra». Susa e della Valle. Con tante notizie uti- Una motivazione consapevole e lode- li, frutto di una accurata ricerca in un vole; il risultato dà ragione alla giovane terreno dove la documentazione non che si è impegnata in una ricerca a largo sempre c’è e non sempre appare inecce- raggio, trovando anche nella rivista ÇSe- pibile. 237 GIUSEPPE MORSELLI: Tre grandi della NICOLA ROSSETTO: Chiesa e istruzione Mirandola - Cassa di Risparmio di Mi- popolare nel Risorgimento - L’opera di randola, Ed. Gianfranco Rocchetti, Mi- Mons. Andrea Charvaz, precettore di randola 2000. Vittorio Emanuele II, nella Diocesi di Pinerolo (1834-1847) - Alzani Editore, Ho un caro cugino che vive a Miran- Pinerolo 2000, pagg. 224, ill., L. 29.900. dola (Modena) innamorato della Valle di Susa: per anni, da ragazzo, trascorse le vacanze estive a Meana. Mi ha mandato un libro edito a cura della locale Cassa di Risparmio: tre bio- grafie di suoi importanti concittadini, na- tivi, per dirla all’emiliana, «della Miran- dolaÈ (che fu glorioso ducato dei Pico fi- no al 1710). Il primo di questi tre personaggi è un famoso pittore, il Çpoeta del coloreÈ, Dosso Dossi (1486-1542) della ÇScuola FerrareseÈ, celebrato in una grandiosa mostra a Ferrara nel 1998 e i cui dipinti onorano i musei di mezzo mondo. Il terzo personaggio è un valente giu- rista, Giuseppe Luosi (1755-1830), per- sonaggio di rilievo nel periodo napoleo- nico, attivo ministro nella Repubblica Ci- spadana, poi in quella Cisalpina e nel Re- gno d’Italia. Il secondo personaggio del volume è quello che giustifica la presente segnala- zione: il mirandolese conte Annibale Nel 1850 il Regno di Sardegna aveva, Maffei (1667-1735) dalla tenera infanzia tra pubbliche e private, 4.336 scuole ele- trapiantato a Torino alla corte sabauda, mentari maschili, 1.276 femminili; i Co- poi valoroso ufficiale e avveduto diplo- muni privi di scuole maschili erano 433, matico durante quasi tutto il lungo regno di quelle femminili 2.372. Nel 1855 le del primo re di Sardegna Vittorio Ame- elementari maschili erano salite a 5.426, deo II (morto nel 1732). più che raddoppiate le femminili, più che Il conte Maffei, tra l’altro, fu anche dimezzati i Comuni privi di scuole. vicerè in Sicilia quando l’isola fece parte Ad un esame equilibrato questi pochi del regno sabaudo dal giugno 1713 all’e- numeri servono a riconsiderare la con- state 1718. Ceduta la Sicilia, a Vittorio trapposizione fra l’opera dei laici e quella Amedeo II venne assegnata la Sardegna Ð spesso frenante Ð della Chiesa e di talu- (1720) che diede titolo regale definitivo ne Congregazioni religiose in fatto di ai Savoia fino al 1861. istruzione pubblica. Tuttavia allo svilup- Ovviamente la vita movimentata del po dell’istruzione nel Regno di Sardegna conte Maffei si svolse quasi tutta in Pie- contribuirono entrambe le componenti, monte, con non rare vicende in Valle di laica e religiosa. Susa. (t.f.) Anche se l’arcivescovo di Torino, il 238 conte Luigi Fransoni, fu campione di Iniziarono così i quasi tre lustri di epi- Çconservatorismo intransigenteÈ, non tut- scopato di mons. Charvaz nella Diocesi to l’episcopato del regno sardo lo seguì si- di Pinerolo, fino a che nel 1847 quel ve- no in fondo su quella strada. Su posizioni scovo attivo e battagliero si dimise riti- più concilianti ci fu di sicuro mons. An- randosi a vita privata in Savoia, per pro- drea Charvaz il cui impegno educativo testa contro la legge che imponeva il vi- ebbe modo di manifestarsi in molti anni e sto dell’autorità civile anche agli scritti in varie situazioni ambientali nel Regno del vescovo. di Sardegna. Re Vittorio Emanuele II che, pur non Il savoiardo Andrea Charvaz era nato amando i libri e la scuola, voleva bene al a Hautecourt nel giorno di Natale del suo precettore degli anni infantili, riuscì 1793, quando da un anno la Savoia era dopo lunghe trattative con la Santa Sede stata occupata dalle truppe della Rivolu- a far nominare nel settembre 1852 mons. zione Francese, con relative confische di Charvaz arcivescovo di Genova, dove il beni ecclesiastici, devastazioni di chiese, prelato savoiardo profuse Ð pur fra non persecuzione dei sacerdoti. pochi contrasti – la sua tenace attività pa- Con l’impero napoleonico, placatosi il storale e organizzativa. fanatismo giacobino, verso gli 8 anni il L’arcivescovo di Genova si dimise nostro Andrea (che faceva anche il pasto- nel 1869 e morì nell’ottobre 1870 a Mou- rello) frequentò la scuola di latino di un tiers dov’è sepolto. parroco di montagna rivelando già quelle Abbiamo riassunto sommariamente doti d’ingegno che ne faranno un dotto alcune tappe della vita di mons. Charvaz letterato, filosofo e ferrato teologo. Non per motivare il giudizio positivo su que- solo, ma mons. Charvaz, oltreché uomo di sto libro di storia di Nicola Rossetto, lau- chiesa, è anche figura non secondaria del reato in pedadogia, giovane borsista alla Piemonte risorgimentale, a cominciare dal cattedra di Storia dell’Educazione nella non facile incarico di educatore dei due fi- facoltà di Scienza della Formazione al- gli di Carlo Alberto: Vittorio Emanuele, l’Università di Torino, dove fa parte an- futuro re, e Ferdinando duca di Genova. che della commissione di esami per la Nel 1827, quando i principi avevano sua materia. rispettivamente 7 e 5 anni, l’allora cano- In questo libro, introdotto con chiare nico Charvaz redasse un ÇPiano di StudiÈ pagine dal prof. Redi Sante Di Pol (Sto- approvato sia dal vescovo della Maurien- ria dell’Educazione), l’autore offre una ne che da re Carlo Alberto. avvincente panoramica della situazione Charvaz esercitò le funzioni di pre- scolastica-educativa in rapporto all’opera cettore dei due principi sino al dicembre di mons. Charvaz vescovo di Pinerolo, 1833 e dopo, com’era consuetudine per esponendola con linearità e documentan- gli educatori dei rampolli di casa Savoia, dola nelle sue varie fasi con quattro cor- ricevette una promozione ben superiore pose appendici, frutto di una ricerca me- ad altri suoi predecessori: il 2 febbraio ticolosa. 1834 papa Gregorio XVI spedì a Torino L’opera di Rossetto è una bella sor- la bolla di nomina a vescovo di Pinerolo presa che, pur nei confini Ð per nulla cul- e re Carlo Alberto concesse subito l’Exe- turalmente riduttivi Ð di Çstoria localeÈ, quatur, aggiungendovi le insegne di fa onore sia all’autore che all’editore. commendatore dell’Ordine dei SS. Mau- (t.f.) rizio e Lazzaro. 239 LORENZO TIBALDO: Leggere, scrivere e scolastico confessionale e statale hanno far di conto... - Le Scuole Cattoliche nel- impresso allo sviluppo economico e socia- l’Ottocento pinerolese - Alzani Editore, le delle comunità locali nel loro insieme»; Pinerolo 1999, pagg. 208, ill., L. 28.000. a partire dalla obbligatorietà – per almeno tre lustri largamente disattesa Ð della scuo- la elementare decretata nel 1822, regno di Carlo Felice di Savoia. Fu un difficile per- corso con risultati positivi se nel 1861, an- no dell’unità d’Italia, il Piemonte con il 57% degli abitanti adulti analfabeti era la regione italiana più «letterata» e nel 1871 Ð al secondo censimento del regno Ð fece ancora meglio con il 50%. La prima parte del libro riguarda il problema delle scuole ottocentesche nel Pinerolese. L’autore passa poi ai ritratti di personaggi benemeriti dell’istruzione in questa parte del Piemonte: i vescovi Rey, Charvaz (sul quale recensiamo il li- bro di Nicola Rossetto), Renaldi; la colta, caritatevole Juliette Colbert marchesa Falletti di Barolo; le Suore di San Giu- seppe giunte in Piemonte dalla Savoia; l’abate Jacopo Bernardi, «veneziano a Pi- neroloÈ; Giovanni Battista de La Salle; le Dame del Sacro Cuore; i Fratelli delle Il professor Lorenzo Tibaldo, docente Scuole Cristiane; le iniziative dell’Ordi- di italiano e storia nelle scuole superiori, ne Mauriziano. può vantare una interessante serie di pub- Molte notizie, un’analisi attenta e di blicazioni sul movimento operaio e sulla ampie vedute in questo libro che si con- scuola, con riferimento soprattutto a clude con una appendice riservata al ÇRe- quella delle comunità valdesi. golamento per le scuole delle FiglieÈ Ora questo bel volume edito da Alza- (1840) e con un’utile «Cronologia essen- ni ci sembra un punto fermo, il corona- zialeÈ dal 1816 al 1911. (t.f.) mento di meritevoli studi, la sintesi di va- rie ricerche del prof. Tibaldo, con il pre- gio autentico di facilitarci la comprensio- ne dei giorni nostri conoscendo bene il passato. GIORGIO JANNON (a cura di): I colori del- Aurelio Bernardi nella presentazione la notte nelle Valli di Susa e Sangone - ha scritto: «Il problema è inquadrato in Editrice Morra, Condove 2001, pagg. un’ampia panoramica che si chiama l’im- 272, ill., L. 65.000. pervia strada dell’alfabetizzazione in Ita- lia perché ne descrive le difficoltà, le reti- Il condovese professore Giorgio Jan- cenze, le debolezze e le ambiguità senza non, narratore sempre leggibile di storie trascurare le spinte positive che il sistema delle Valli di Susa, autore di parecchi li- 240 Racconigi, un secolo - Dall’archivio fo- tografico di Giorgino Chialvo - Introdu- zione di Aldo A. Mola - Volume di gran- de formato, 1993.

bri, da qualche anno va sperimentando una nuova strada: l’utilizzo delle imma- gini in modo sempre più determinante ai fini del ÇraccontoÈ. Questo libro di eccellenti fotografie Questa recente vocazione, a dire il ve- in bianco e nero venne stampato in prima ro, era già sotto pelle da tempo perché nei edizione nel marzo 1991 a cura della libri di Jannon le ÇillustrazioniÈ avevano Cassa di Risparmio di Cuneo; ristampato gradatamente accresciuto il loro spazio e nel 1993 in occasione dell’inaugurazione peso, segnalando anche l’autore come del busto di re Umberto II di Savoia (il abile scopritore di significative immagini quale, come il suo avo Carlo Alberto, di tempi andati (ormai storiche quelle de- andò in esilio nel 1946 in Portogallo). gli emigranti valsusini). Allo studio fotografico Chialvo è sta- Ora si è avviato su questo nuovo ter- to assegnato il premio ÇL’Arcangelo» reno dove si incontrano memoria storica, 2000; da quella cerimonia di premiazione cronaca, narrativa, poesia, arte, per dise- è arrivato a noi il bel libro. gnare belle cornici ad immagini sovente Aldo A. Mola di Nomaglio intitola la di alta qualità, a cominciare dalla coperti- sua dotta prolusione ÇLa capitale di so- na, fotografia scattata da Roberto Chirio gnoÈ: ÇCapitale di sogno Racconigi di- appostato nelle tenebre su quel meravi- venne prima che il suo castello assumes- glioso balcone valsusino che è Giaglione. se l’aspetto di una piccola Versailles e ac- In questa immagine si vedono tutte le comunasse le reliquie della martire Gre- luci notturne della Valle di Susa, fino ai ba- cinia, trattevi dalle catacombe di San Cal- gliori un po’ sulfurei della lontana Torino: listo, con i fasti del Salone di Diana e di un quadro di rara suggestione che rinnova quello d’Ercole; incastonasse il mono- nelle pagine del libro alcune emozioni di gramma di caratteri napoleonici di Carlo quello dedicato alla cometa Hale-Bopp. Alberto tra le fantasie del sommo inta- 241 gliatore Piffetti; fondesse insieme l’im- penetrabile volto di Bernardino II di Pan- calieri con quelli di Polissena Cristina d’Assia Rheinfels, sposa in seconde noz- ze di re Carlo Emanuele III di Savoia, del tardivo gesuita Carlo Emanuele IV di Sa- voia e di sua moglie Clotilde, venerabile di Santa Madre Chiesa... fantasmi in atte- sa di un’evocazione storica...». Le immagini del libro, dai primi tem- pi della fotografia documentano in modo splendido la presenza dei Savoia a Rac- conigi: Vittorio Emanuele III e la regina Elena con figli e nipoti; le bellezze archi- tettoniche, il giardino elegante, il sugge- stivo, immenso parco, gli edifici Çrusti- ciÈ, le chiese, la vita di questo grosso borgo agricolo e commerciale, le filature e le prime industrie. Una serie di rari quadri, di documenti storici (come il 92¡ fanteria schierato sul- lo scalone della facciata) per comporre i molti aspetti di una Çcapitale di sognoÈ dove accanto ai personaggi importanti vi- ve e lavora la gente comune. letano, già profugo a Torino nel 1848) il quale nel 1872 scrisse in una relazione: i liceali erano da considerare Çsomma di cittadini intelligenti, volonterosi, attivi che costituiscono il nerbo della società ALFONSO SCOTTO DI LUZIO: Il liceo clas- civile, e che sono chiamati a compiere, sico - Ed. Il Mulino, Bologna 1999, pagg. secondo le mutevoli vicende della fortu- 184, L. 18.000. na, l’arduo ufficio di comandare e quello non men difficile dell’obbedire, senza Nella collana ÇL’identità italiana» è protervia e senza viltà». apparso questo utile libro, informato e Naturalmente questa storia fa riferi- critico, del quale non ci saremmo occu- mento al corso completo di studi Ð 5 anni pati qui se il liceo classico ÇNorberto Ro- di ginnasio più 3 di liceo (legge Casati saÈ di Susa non fosse da tempo in crisi. del 1859) – antecedente all’amputazione Sulla copertina una fotografia di tanti per fare posto alla media per tutti. anni fa di una classe liceale: giovanotti tut- Una caratteristica importante di quella ti in giacca e cravatta, di aspetto vivo, or- scuola era il saldo intreccio con la classe dinato, affidabile per l’avvenire. dirigente; ne indirizzava la solida, seletti- Per quei ragazzi, più o meno diciot- va formazione, diventava sede della sua tenni, sono calzanti le parole del Ministro educazione civile. In più, fino al 1969 della Pubblica Istruzione, l’on. Antonio (legge 910), era stata il solo passaggio ob- Scialoja, professore universitario (napo- bligato per tutte le facoltà universitarie. 242 E anche: ÇLa cultura classica imparti- lori, ideato da due maestre Ð Grazia Cal- ta dalla scuola assume il valore specifico liero e Rita Previati Ð per Çij citÈ che vo- di cultura nazionale... essa è chiamata a gliono imparare a parlare, leggere e scri- fornire il bagaglio etico, estetico e intel- vere in piemontese. lettuale del ceto che nel progetto liberale Il libro è «il coronamento di un sogno è individuato come la chiave di volta del- coltivato per molti anni passati ad inse- l’architettura sociale della nazione, l’ele- gnare il piemontese an forma ufissiosa mento connettivo che ne tiene insieme la a nòstri anlev, così esordiscono nel- fragile tramaÈ (pag. 36). l’«achit» (prefazione) le due autrici. Inoltre, il liceo classico per genera- La pubblicazione è un liber ëd travaj zioni di giovani è stato anche il periodo all’insegna delle tecniche della didattica fecondo di iniziazione alla vita Çin cui moderna, per un primo, piacevole ap- l’incerta materia sentimentale dell’adole- proccio al piemontese. Protagonisti di scenza si costituisce e si fa consapevole, questo minipercorso didattico sono sette in un dialogo serrato con i libri e soprat- topi curiosi Ð na bela famija ’d giari Ð tutto con il professore, figura indimenti- che conducono il piccolo lettore, attra- cata degli anni cruciali della giovinezzaÈ. verso le loro curiosità, fantasie ed esplo- Chi, per età, frequentò quella scuola e razioni all’acquisizione di un buon nume- ÇquelÈ liceo, con ÇqueiÈ professori, sa ro di termini e di alcune basilari regole che la descrizione in molti casi ricalca del lessico piemontese. una positiva realtà lontana ormai non me- Le piste sono quanto mai invitanti: re- no di mezzo secolo e purtroppo si ram- bus, parole crociate, indovinelli, labirinti, marica della sbiadita, nobile tradizione di filastrocche, poesie, storie, conte. Il tutto una scuola di alta qualità. armoniosamente arricchito da simpatici Ma forse c’è una bella speranza: «...La ed accattivanti disegni, realizzati dalle tradizione formativa del liceo classico è stesse autrici del testo. sempre stata di eccellenza: in questi anni Un invito ai piccoli a scoprire la lin- spesso si è perduta. Si tratta a questo pun- gua ëd nòstri vej he può interessare anche to di ricuperarne la sostanza e la forma e chi piccolo non è più. Laura Grisa di estenderla, possibilmente, a tutti gli isti- tuti secondariÈ (ÇFamiglia CristianaÈ del 5 agosto 2001, Intervista di Simonetta Pa- gnotti alla signora Letizia Moratti ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca). GRUPPO RICERCA PISCINA - ’L RUBAT, Mu- seo Etnografico della Pianura Pinerolese Piscina (TO): C’era una donna che... - Figure femminili in campagna tra l’800 e il ’900 - Ed. Alzani, Pinerolo (TO) GRAZIA CALLIERO - RITA PREVIATI: èl but 2001, pagg. 335, L. 38.000. - Prim liber ëd travaj per ij cit ch’a veu- lo amprende a parlé, lese e scrive an pie- Il libro, uscito recentemente dall’edi- montèis - Ed. Alzani, Pinerolo (TO) tore Alzani, è il terzo della collana «Cul- 2001, pagg. 135, L. 29.000. tura ContadinaÈ. Gli altri due s’intitola- no: Voci di un tempo. Soprannomi di pae- èl but (il germoglio) è un sussidio di si, famiglie, persone e Tempo e luna, Pre- centotrentacinque pagine, illustrato a co- visioni meteorologiche e lunari. 243 Il corposo volume – 335 pagine – è Uno specchio di un modus vivendi co- riccamente illustrato da significative fo- mune a molte comunità di orfani, dove tografie d’epoca che visualizzano alcuni solitudine, sofferenza, autoritarismo, di- dei più importanti aspetti trattati. La pub- scipline ferree erano il comune denomi- blicazione Ð un accurato e documentato natore di un metodo educativo vessatorio viaggio nel passato, con protagonista la e fallimentare. donna – è stato realizzato dal Gruppo Ri- Segue il capitolo che ha per protago- cerca Piscina, nato nel 1979 «con l’inten- nista il padre-padrone, una tipica fisiono- to di valorizzare le memorie della civiltà mia che anche il libretto degli sposi contadinaÈ, come viene esplicitato nel li- (stampato nel 1939 dalla libreria Ed. Re- bro. ligiosa Giacomo Arneodo, Torino) Ð inte- Un ricupero di una cultura che era ri- gralmente riportato come corollario al masta per lungo tempo, dopo la rivolu- terzo capitolo – evidenzia qua e là nei va- zione industriale, «nel confine dell’o- ri paragrafi relativi ai diritti e doveri del blio, della cancellazione anche dalla me- marito e della moglie. moriaÈ. Una proficua spigolatura di A conclusione, alcune rime di una grande interesse e valore, questa che il li- poetessa contadina, Maddalena Menzo, bro ci offre, che ha per substrato partico- che hanno la freschezza della rugiada e il lari fonti di ricerca, una sua metodologia, sapore del pane casereccio appena sfor- applicata anche per la creazione del mu- nato. seo ’L rubat (Museo Etnografico della Un libro scritto con la passione della Pianura Pinerolese di Piscina - Torino), verità, anche quando scotta, in cui la fi- nato nel 1981 e gestito dal Gruppo so- gura della donna contadina del periodo praccitato, composto da trentaquattro preso in esame, è stata messa magistral- membri. mente a fuoco. Nella prefazione, a cura degli autori, Tanti flash dove emerge il ruolo cen- si legge in neretto una frase, quasi una trale della donna (anche se di subordina- dedica, che recita: ÇTutte queste pagine zione) nella famiglia patriarcale, in una vogliono rappresentare un semplice rin- cultura maschilista, in un contesto di fati- graziamento alle nostre ave che hanno la- che immani, di spirito di abnegazione, tra vorato, sofferto, gioito, pregato, contri- fede, tradizioni, simboli e rituali. buendo perché tutti noi potessimo vivere Un libro in cui la donna contadina Ð in questo secolo nel benessere attualeÈ. «l’anello forte» (così l’ha siglata Nuto Il volume si compone di tre parti così Revelli nel titolo del suo libro dedicato titolate: Dalla nascita al matrimonio, La alle nostre contadine dei secoli passati) Ð donna sposata, L’anziana. ha avuto tutta l’attenzione che le si do- Le ultime pagine Ð una settantina Ð veva. vanno sotto il nome di Appendice. Qui Gli autori hanno pure tratteggiato troviamo quattro interessanti capitoli de- icasticamente, come in una galleria di ri- dicati, il primo, al ÇdiarioÈ inedito di una tratti, anche altre peculiari figure dell’e- bambina che narra le proprie pene patite poca: la balia, la serva di città, la suora, in un collegio di povertà degli anni Tren- la maestra, la levatrice, la perpetua, l’ar- ta. Uno spaccato di vita che si legge sen- tigiana, la commerciante, l’impiegata za soluzione di continutà per la fluidità postale e la moglie del professionista di dello scritto e per le varie impressioni e paese. sensazioni che sa suscitare. Laura Grisa 244 LUCA PATRIA: Bussoleno com’era - Il MAURO CARENA: Le spalle larghe - Ed. Borgo Medievale - Ed. Del Graffio, Bus- Arti grafiche San Rocco, Grugliasco soleno 2000, pagg. 95, L. 28.000. (TO) 2000, pagg. 113, ill., L. 28.000.

In collaborazione con l’Associazione Le spalle larghe come richiamo alla Centro Storico di Bussoleno, con la con- fatica del vivere, di cui il mondo monta- sulenza di Sergio Sacco Ð testi di Luca naro è l’emblema e a cui l’illustrazione Patria, materiale illustrativo del Centro della copertina rimanda con l’icastica im- Studi V. Bellone, fotografie attuali, dello magine della patinà, su, appunto, due ro- studio Commisso – è uscito a dicembre buste spalle larghe. Una fatica peculiare 2000, dalle Edizioni Del Graffio, il libro intessuta di rispetto per la natura, per i «Bussoleno com’era», con sottotitolo «Il suoi ritmi stagionali, di tutti i suoi doni, Borgo MedievaleÈ. Una pubblicazione della sua fisionomia da non inquinare, introdotta da due autorevoli scritti che ne stravolgere, alterare, adulterare, violare, evidenziano, tra l’altro, il grande valore violentare. per la comunità, come contributo per il Le spalle larghe come accettazione recupero della memoria, delle proprie ra- non passiva della vita, vista come impe- dici. gno, il più delle volte sofferto, portato Il primo è di Walter Giuliano, asses- avanti con speranza, per sé e per gli altri, sore provinciale alla Cultura Parchi e senza chiusure, perbenismi ipocriti, vitti- Aree Protette, il secondo, del sindaco del mismi e tutti gli altri ÇismiÈ, vecchi e paese, Alida Benetto. Il libro si avvale ol- nuovi, zavorra di chi s’intruppa in fatali- tre che di fotografie dei nostri giorni, an- smi o in rassegnazioni passive o in vacui che di quelle d’epoca, di mappe, di alcuni e deleteri onnipresenti piagnistei o in fra- disegni a carboncino eseguiti da Clemen- gili, pericolose aspettative epidermiche. te Rovere e di vedute di vecchie cartoline Le spalle larghe come simbolo di e di progetti che completano visivamente un’esistenza a misura d’uomo, dove prin- il testo. cipi e valori consolidati, tradizione, con- Sono presi in esame, dopo uno sguar- cretezza, buon senso, impegno Ð visti do storico alla Bussoleno medievale, la nella loro piena accezione Ð riacquistano cinta muraria, la Porta Superiore o di la loro pregnanza e giusta presenza, nella Francia, la Porta Inferiore o di Piemonte, società, nella scuola, nella famiglia. Pre- l’ospedale, il borgo chiuso, il Ponte di senza che sembra vieppiù evanescente, Dora, la fiera, la Chiesa Parrocchiale del- mistificata, bistrattata, se non già, in mol- l’Assunta, Casa Aschieri, il mulino, la lo- ti casi, definitivamente gettata alle orti- canda della Croce Bianca. che. Un libro che ci guida con chiarezza, La montagna, il suo habitat, quindi, essenzialità e rigore nel passato di uno come palcoscenico su cui si alternano dei paesi della nostra Valle che ancora flora, fauna, tracce vecchie e più recenti parla all’attento visitatore della sua vita, del suo passato, respiro di esistenze che delle sue vicende, della sua economia, parlano al cuore e alla mente in rispettoso della sua fede, della sua cultura, delle sue ascolto. tradizioni, della sua storia quotidiana e di E da qui, dalla montagna, si snoda il quella degli annali, attraverso segni, re- racconto del libro. Ma non da una monta- perti, manufatti, edifici sacri e non. gna astratta, teorica, generica. Laura Grisa Lamet, Moncenisio, forte de La Tur- 245 ra, Montfroid, forte Roncia, Ferrera Ce- MASSIMO CENTINI: La lésa - Storia e tra- nisio, lago Arpone... nomi che richiama- dizioni (L’antico mezzo di trasporto per no la Val di Susa, l’«orizzonte del cuore» le mulattiere) - Ed. Susalibri, S. Ambro- per l’Autore. gio (TO) 2001, pagg. 80, ill., L. 18.000. Un racconto che parte da questi ed al- tri nomi con le loro svariate presenze per confluire, immergersi nella realtà dei no- stri giorni e nelle strade pulsanti della vi- ta con le sue opposizioni, problematiche e prospettive individuali e sociali, colte e proposte all’insegna di quelle «spalle lar- ghe» il cui emblematico significato è sta- to presentato in apertura. Il libro Ð impreziosito da splendide fotografie in bianco e nero e a colori di Luca Giunti – è articolato in una quaran- tina di capitoletti in cui sulla bellezza dei luoghi, su osservazioni, escursioni, esplorazioni, incontri e alcuni indovinati, sentiti ritratti di volti cari all’Autore, s’in- nestano riflessioni che portano al senso del vivere e s’inoltrano tra le difficoltà e le contraddizioni dei nostri giorni, tra leg- gi, burocrazie, mondo del lavoro, specu- lazioni edilizie, squilibri geologici ed ecologici e tante altre negatività. Tra i refrigeranti profumi della flora Il libro, dotato di molte fotografie a alpina, cascate, ghiacciai, variegate co- colori e in bianco e nero, diagrammi, di- rolle, pini cembri, stambecchi, camosci, segni di ricostruzione, vecchie illustra- marmotte e molti altri abitatori delle ci- zioni, si articola in tre parti che presenta- me, compreso un inaspettato lupo, la car- no: la cultura della lésa, la tradizione e il rellata sui passi in salita della vita proce- rito ad essa legati e, inoltre, l’arte ispirata de con un sottofondo di considerazioni, a questo manufatto. Il tutto preceduto da introspezioni e salutari slarghi dello spi- un capitolo in cui vengono affrontati il rito. concetto di nozione e di cultura materia- È anche l’invito a non «perdere il sen- le, uomo e ambiente. In appendice trovia- so del villaggio d’origine», a «custodire mo una notevole bibliografia che spazia a con orgoglio quel mondo antico di uomi- largo raggio e va oltre frontiera. ni e natura che sono le AlpiÈ e a Çnon tra- «La slitta è forse il più antico veicolo scurare quanto è veramente nostro». Un nella storia della cultura materiale. Si libro come Ð soprattutto Ð sincero e cor- tratta di un mezzo antico, precedente la diale omaggio allo scrigno della nostra ruota (...)È. Così l’Autore nelle riflessio- Valle che non dobbiamo considerare Çun ni conclusive relative all’analisi delle corridoio, bensì un salotto da valorizzare informazioni raccolte. ove l’Europa s’incontri». Infatti esistono alcuni documenti ico- Laura Grisa nografici che confermano l’esistenza di 246 questo mezzo di trasporto nella preisto- Lo sguardo che spazia su questo mez- ria. Il più vetusto reperto relativo alla lé- zo, fatto oggetto d’arte da autori che si sa sembra essere un pendaglio in osso ispirano alla cultura contadina, completa magdaleniano, risalente a 15.000 anni fa, l’interessante studio sull’antica lésa. rinvenuto a S. Marcel (Indre, Francia). Laura Grisa Anche nelle Alpi Marittime, alcune inci- sioni rupestri della Valle delle Meraviglie rimandano all’oggetto in questione. Con una rapida carrellata viene presentato l’impiego della lésa attraverso i secoli, ANDREA CATTANEO: La Certosa di Mon- legato ai lavori agricoli, ma anche come tebenedetto com’era - Ed. Melli, Borgo- veicolo per il trasporto di tavole litiche o, ne (TO) 2001, pagg. 60, L. 15.000. ad esempio, del sale, come testimonia uno dei petroglifi dell’incisione rupestre Andrea Cattaneo, col suo libro ÇLa che si trova nel Finalese () deno- Certosa di Montebenedetto com’era» ha minata ÇCiappo del saleÈ. offerto a tutti gli amanti dell’arte e del E per rimanere ancora in casa nostra e passato, una significativa perla del nostro in località più prossime, ricordiamo l’uso patrimonio culturale poco conosciuto. delle ramasses, impiegato dai marrons Il suo amore per questa certosa, fre- per trasportare i viaggiatori in transito sul quentata fin da piccolo, l’ha portato a far valico del Moncenisio, a partire dal XV rivivere i secoli lontani del complesso secolo e delle lése per portare a valle Ð la certosino che ebbe le sue origini nel stazione di arrivo era S. Ambrogio Ð i vi- 1196, a seguito del trasferimento della sitatori della Sacra di San Michele che vi comunità monastica dalla Losa dove si erano giunti a dorso di mulo. Un passato era insediata nel 1189. Il libro Ð ricca- che da alcuni anni viene rievocato in pae- mente illustrato da mirate fotografie a co- se con la tradizionale Çcorsa delle léseÈ. lori di Elio Giuliano, Fulvio Riva, Franco Interessanti le due testimonianze, la Tamarin, arch. Quaglino, Andrea Catta- prima di Gualtiero Rivoira e la seconda neo e da una planimetria – è un suggesti- di Gianetu Salada che si riferiscono al- vo viaggio a ritroso per un incontro con l’impiego della lésa da parte dei lusatiai- la certosa dei lontani secoli, sotto la gui- re, cioè i cavatori di pietra di Luserna. da dell’Autore. Gli scritti sono tratti dall’antologia Il suo viaggio esplorativo prende in Da pare ’en fieul. Esperienze raccolte esame tutto l’antico monastero, con gran- tra la gente della valle del Po e Pellice. ge e correria (monastero minore) com- Un quaderno di cultura popolare pubbli- presi, che sono fatti rinascere nella loro cato nel 1982. L’uso della slitta in fun- efficienza e peculiarità, come si presenta- zioni non legate al mondo del lavoro, è vano ai tempi del loro impiego. Ruderi, affrontato nel capitolo Tradizioni e rito porte murate, passaggi, celle, chiesa, bi- che esplora l’aspetto sicuramente meno blioteca, sala capitolare, cortili, chiostro conosciuto, relativo a questo mezzo di sono ricollocati nella loro sede di origine trasporto. Citiamo al riguardo, un esem- e si ergono nuovamente per accoglierci, pio: le Corse in traineau, corse di aristo- pellegrini di preghiera e raccoglimento, cratici che si svolgevano a Torino fin dal in questua di silenzio. XVI secolo su slitte sfarzosamente in- La sua ricostruzione fa riemergere da fiorate. quella disastrosa alluvione distruttrice del 247 1473 che danneggiò, fece crollare, sep- LAURA MANCINELLI: La Sacra rappre- pellì gran parte dei fabbricati, con conse- sentazione - Ed. Einaudi, Torino 2001, guente forzato trasferimento a Banda del- pagg. 136, L. 22.000. la decina di monaci della comunità, quan- to allora costituiva questo centro di rigo- rosa vita ascetica. Andrea Cattaneo ci accompagna an- che, nella sua descrizione, per le vie, i ponti e i luoghi che conducevano al mo- nastero e ai fabbricati annessi, dove con- versi e oblati svolgevano svariate man- sioni per l’andamento quotidiano della vita dei religiosi. E così a mano a mano che la lettura procede, lo scandire delle ore canoniche, il profumo dell’incenso, il fervore degli studi e delle orazioni, la magna quies (Parva domus, magna quies Ð piccola ca- sa, grande quiete Ð la scritta sovrastava l’entrata della casa abbaziale) ti avvolgo- no con la loro particolare aura. La parte introduttiva offre una breve premessa storica e l’ultima è dedicata ad evidenziare le opere di restauro, rifaci- mento, ristrutturazione che il Parco Or- siera Rocciavré e la Regione Piemonte Facciamo una eccezione segnalando hanno già messo in atto, con particolare un libro di narrativa ambientato in Valle riguardo alla storica chiesa romanica. di Susa. Ricordo anche il Congresso Interna- Nel pomeriggio di sabato 23 giugno zionale itinerante sui Certosini che nella presso ÇLa LibreriaÈ di Via Roma a Susa suggestiva chiesa di Montebenedetto ha lo professoressa Laura Mancinelli, valo- avuto la sua inaugurazione ufficiale e la rosa germanista dell’Università di Tori- sua prima giornata di lavoro il 13 luglio no, ha partecipato alla presentazione del 2000. suo più recente libro, La sacra rappre- Con l’entusiasmo, la dedizione di sentazione. Presentatrice è stata, con gar- molti e la passione particolare di Andrea bata efficacia, la prof. Gemma Amprino Cattaneo per la «sua» certosa, il sole si è Giorio. riacceso sulle sue vetuste mura. E i nostri Quest’ultima opera della scrittrice to- monumenti hanno sicuramente bisogno rinese riguarda l’inizio del Settecento, in di questo sole per poter parlare. Diversa- piena guerra di successione spagnola, mente, come recita l’emblematica scritta quando piemontesi e francesi con una della meridiana che il visitatore può an- continua guerriglia si contendevano l’alta cora a stento leggere Ð sine sole sileo Valle di Susa le cui difese facevano perno (senza sole non segno) Ð rimarranno sem- sul forte di Exilles e il confine tra Francia pre più in ombra e in silenzio di morte. e Piemonte era a Gravere. Laura Grisa é appunto il paese di Exilles, secondo 248 il racconto, a ospitare nel 1707-1708 i preparativi e poi la Sacra rappresentazio- ne in onore di San Rocco. Una piacevole storia, le vicende di una comunità di montagna immaginata bonariamente tre secoli fa, con tanti per- sonaggi locali e la guarnigione del forte (che allora puntava i suoi cannoni verso la bassa Valle). La conclusione nella finzione narrati- va è legata alla giornata della fantasiosa Sacra rappresentazione durante la quale nell’estate 1708 «...i Savoia con un colpo di mano si sarebbero impadroniti del maggior baluardo difensivo fatto costrui- re dai francesi, il forte di Exilles, e tutta la valle sarebbe stata annessa al Piemonte col nome che ha tuttoraÈ. Una gradevole storia derivata dalla vera Storia; una buona lettura che ci inte- ressa da vicino. In copertina un pregevole ÇExillesÈ di Tino Aime, l’artista che risiede a Gravere. to con pudore ed efficacia da chi si è la- sciato lentamente affascinare dalle vicen- de di un uomo certamente non comune. Anzitutto coerente: fu al fianco degli al- pini nella campagna militare italiana nei CHIARA SASSO - MASSIMO MOLINERO: Balcani negli anni 1941 e 1942, dei parti- Una storia nella Storia e altre storie, giani dopo l’8 settembre del 1943, dei de- don Francesco Foglia sacerdote - Ed. portati a Mauthausen e Dachau dal gen- Morra, Condove 2000 (I), pagg. 264. naio 1944 fino alla Liberazione, nell’im- mediato dopoguerra presso le comunità La figura di don Francesco Foglia è più povere del Brasile per circa 20 anni, nota in Valle di Susa in particolare per il come cappellano presso un nosocomio in suo impegno a fianco dei partigiani, talu- Germania dove non rivelò mai loro il suo ni lo ricordano con l’appellativo di «don eroico passato. Un uomo, insomma, che dinamiteÈ per aver contribuito a far salta- ha attraversato la storia tumultuosa di re il ponte dell’Arnodera nell’inverno del questi ultimi 60 anni da protagonista sen- 1943. za mai lasciarsi imprigionare da alcuna Il merito del lavoro di Chiara Sasso e ideologia, mantenendo fede – con umiltà di Massimo Molinero, recentemente Ð alla sua missione religiosa. scomparso stroncato da un melanoma, è ÇUna storia nella Storia e altre storie, stato quello di svelarci altri aspetti della don Francesco Foglia sacerdote» è un li- sua personalità, impegno gravoso a giu- bro ricco di spunti storici, di aneddoti dicare dalle molte interviste e ricerche evocativi, di riflessioni quanto mai attua- fatte. Un viaggio appassionato, racconta- li per il recente passato. Un libro mai ba- 249 nale, retorico o agiografico, al contrario è Il lavoro si propone di Çoffrire un or- rigoroso nella ricostruzione storica degli ganico panorama del processo di roma- eventi e rispettoso nel giudizio. Forse nizzazione della Valle di SusaÈ, attraver- qualche pagina in meno avrebbe reso so un testo semplice e divulgativo che l’ultima parte del testo ancor più avvin- punta, in una prima parte, a inquadrare le cente. Ne possono comunque essere feli- linee generali di quel processo e, in una ci gli autori e l’editore, il libro, giunto al- seconda parte, a fornire un catalogo per la sua seconda edizione con oltre 1600 singoli siti delle tracce archeologiche del- copie vendute, ha trovato il consenso dei la presenza romana in territorio valsusi- lettori e degli specialisti, tra questi Gior- no. Con la sua esposizione piana e linea- gio Bocca. re e la sua grafica curata nell’impagina- (P.D.V.) zione come nelle illustrazioni, il libro ha le caratteristiche formali adatte a offrirsi come gradevole lettura; ma i risultati in termini di contenuto mostrano una certa debolezza per l’impostazione poco ag- ELISA LANZA - GABRIELLA MONZEGLIO: I giornata, soprattutto nella prima parte. Romani in Val di Susa - Ed. Susalibri, S. Questa, oltre a una trattazione un po’ Ambrogio 2001, pagg. 137, ill., L. 28.000. sbrigativa e criticamente poco sorveglia- ta (pensiamo, ad esempio, alla riproposi- zione di vecchi luoghi comuni sui rappor- ti tra Cesare e Donno, su cui recenti con- tributi hanno invitato a una considerazio- ne più prudente, o alla proposta paritaria di due teorie sulla successione a Cozio I, l’opzione tra le quali invece non pone più problemi), mostra anche omissioni non da poco nella base informativa. Vi si omette infatti non solo la citazio- ne ma anche l’utilizzo di parecchia bi- bliografia (soprattutto la più recente, ma non solo) sulla romanizzazione valsusina e si mostra di ignorare (o di non tenere nel dovuto conto) sia recenti contributi sull’occupazione romana delle Alpi Co- zie e sul primo incontro della Valle con la romanità, sia soprattutto le fondamentali indicazioni di studiosi specialisti (pensia- mo, ad esempio, ad un contributo basila- re, neppure citato nel libro, di G. Cresci Marrone) sui rapporti tra la dinastia cozia e la colonia di Augusta Taurinorum e sul legame funzionale (forse anche cronolo- gico) tra la fondazione di questa in pro- babile età mesoaugustea e l’acquisizione a Roma del controllo delle Alpi Cozie, le- 250 game che dal più recente orientamento seo e risponde a due obiettivi: da una par- storiografico su Torino romana (pensia- te, offrire ai ricercatori un catalogo scien- mo soprattutto ai lavori di G. Cresci Mar- tifico rigoroso ed esauriente della colle- rone e S. Roda) sempre più emerge come zione e, dall’altra, spiegare al lettore non dato basilare, da cui non potrebbe più specialista gli aspetti di vita quotidiana prescindere un inquadramento critica- dell’antichità legati a questi specifici og- mente aggiornato della romanizzazione getti. valsusina. Schede, note e illustrazioni del cata- Appare più utile il catalogo per siti logo possono pienamente soddisfare gli che costituisce la seconda parte del libro, studiosi, mentre la parte introduttiva sul- anche se risulta un po’ limitante la scelta la fabbricazione e l’uso delle lucerne of- di non portarlo quasi mai al di là del sem- fre una spiegazione divulgativa capace di plice elenco descrittivo dei ritrovamenti, incuriosire e interessare qualunque letto- con la rinuncia a proporne una discussio- re appassionato di cose antiche. ne interpretativa (limite particolarmente (D.V.) evidente per siti rilevanti come Malano di Drubiaglio o per le ville di Almese e Ca- selette, su cui sarebbe stato importante un discorso su funzione e fisionomia inse- diative). DARIO VOTA: Il segno sul monte. Case- (D.V.) lette, don Pautasso e la Croce sul Mu- siné 1901-2001 - A cura dell’Ammini- strazione Comunale di Caselette - Ed. Melli, Borgone 2001.

LAURENT CHRZANOVSKI: Lumières anti- ques. Les lampes à huile du Musée Ro- main de Nyon - Musées Nyon - Ed. Et, Milano 2000, pagg. 132, ill., s.i.p.

Anche se l’argomento non è attinente al territorio valsusino, ci è gradito segna- lare questo interessante lavoro di uno stu- dioso in contatto con ÇSegusiumÈ e at- tualmente impegnato in ricerche in colla- borazione con istituzioni culturali italia- ne. Si tratta di un’opera pubblicata per conto del Musée Romain di Nyon (Sviz- zera), importante centro di conservazione di testimonianze archeologiche di epoca romana di un territorio presso il Lago di Ginevra che ebbe un ruolo significativo nella romanizzazione dell’area alpina oc- cidentale. Il libro è dedicato alla collezione di lucerne a olio di età romana di quel mu- 251 Voluto dall’Amministrazione Comu- Segni dell’uomo nelle Alpi - Quaderni di nale di Caselette nell’ambito delle celebra- Antropologia delle Alpi Marittime - A cu- zioni del centenario della costruzione del- ra del LASA (Laboratorio di Antroplogia la Croce in vetta al Musiné, il libro propo- Storica e Sociale delle Alpi Marittime), ne un quadro ricostruttivo della vicenda 2001, pagg. 172, ill. che vide nel 1901 la realizzazione del mo- numento che domina come grandioso sim- bolo l’imbocco della Valle di Susa. Una prima parte del lavoro delinea i tratti essenziali del contesto locale dell’o- pera, fornendo una panoramica sulla vita della comunità civica di Caselette negli ultimi anni dell’Ottocento. A questa se- gue un capitolo dedicato alla realtà par- rocchiale caselettese di quegli anni, in cui si staglia la forte personalità di don Fran- cesco Pautasso (1851-1928), parroco di Caselette per 42 anni, ideatore ed entusia- sta promotore della costruzione della Croce, sacerdote di robusta tempra uma- na e religiosa, che nella memoria storica del paese si pone come una delle figure di riferimento. La terza parte del libro si concentra sulla vera e propria realizzazione dell’ope- ra monumentale, ricostruendo i particolari che la rarità della documentazione rimasta consente di mettere in luce sulle vicende Curato dal LASA (con sede a Zucca- legate a quell’impresa, che, partita da rello, provincia di Savona) questo volu- un’intuizione di don Pautasso, coinvolse metto comprende gli Atti del Convegno fattivamente un intero paese e attirò l’at- Internazionale ÇDalla pietra al suono: i tenzione ammirata delle realtà circostanti. segni dell’uomo nelle terre alte fra pasto- Alcune considerazioni sul ruolo e sul rizia, agricoltura e tradizioni popolariÈ. significato odierno di questa presenza mo- Negli atti del convegno troviamo: AN- numentale in vetta al Musiné chiudono, NIBALE SALSA: Dal segno al simbolo - Si- con una postfazione del parroco don De- gnificato antropologico dei segni della paoli, un lavoro che, mentre si offre come sacralità nelle terre alte; LIVIO MANO: Le contributo a una più approfondita cono- radici antiche delle danze degli spadona- scenza della Croce del Musiné (nel quadro ri; CARMELO PRESTIPINO: Frammenti di di un impegno di valorizzazione del patri- religiosità e sacralità nelle incisioni ru- monio storico e culturale del paese che il pestri alpine; AURELIANO BERTONE: La Comune di Caselette sta da anni in più prima colonizzazione delle Alpi Cozie e modi perseguendo), vuole anche rappre- Graie - Il Gruppo Dora, Chisone, Arc. sentare il ricordo riconoscente per un par- Poi altri contributi significativi di: roco di cento anni fa la cui memoria meri- Andrea Lamberti, Franco Amirante, Pier ta di essere conservata e trasmessa. Leone Massaioli, Flavio Menardi Nogue- 252 ra, Raoul Aspegren - Simona Cerruti, due soli sono ancora viticoli, Chiomonte Edilio Boccaleri, Giacomo Nervi, Mauro ed Exilles; Salbertrand lo è stato «sino al Fella, Daniela Zennaro, Danilo Bruno, primo dopoguerraÈ; Oulx, Bardonecchia, Suzanne Simone. Cesana, Sauze di Cesana, Sestriere, Cla- viere soltanto Çrivelano singolari presenze di toponimi di vigna»; Sauze d’Oulx che Çnon giace in pieno soleÈ non ha queste presenze. Giaglione e Gravere sono stati MARZIANO DI MAIO: Avënøa, Biquèt, Nibiò, aggiunti con l’arrivo, pochi anni fa, della Müscat... Vigne, vendemmie e vini nel- Comunità Montana e qui la «coltivazione l’Alta Valle della Dora Riparia - Ed. Vala- della vite può essere praticata in una situa- dos Usitanos, Torino 1997, pagg. 140, ill. zione altitudinale più favorevole». Marziano Di Maio è un esperto che sa raccontare bene sia la storia che la viti- coltura e l’enologia, esplora tutta la Valle di Susa e ci offre anche una preziosa ter- minologia insieme ad un elenco dei topo- nimi citati nel volume. Le illustrazioni integrano al meglio la materia; ci fanno vedere com’era, cos’e- ra, cos’è oggi questa viticoltura eccezio- nale in Alta Valle di Susa, ai piedi del Rocciamelone (immagine di copertina).

SERGIO SACCO: Carbone bianco - Ed. Del Graffio, Bussoleno 2001, pagg. 144, ill., L. 22.500.

Il recente lavoro di Sergio Sacco si snoda in cinque capitoli: preistoria del- l’industrializzazione, le fonti dell’ener- Siamo nell’Alta Valle di Susa, ossia il gia, la situazione industriale del Circon- territorio «più settentrionale del dominio dario di Susa tra la fine dell’800 e l’inizio linguistico occitano di qua delle Alpi, un’a- del ’900, i limiti di forza idraulica e l’av- rea alpina storicamente infeudata ai Delfi- vento dell’energia elettrica, l’epoca delle ni di Albon-Vienne e poi al regno di Fran- grandi centrali. cia per circa sette secoli, prima del passag- é il secondo volume, il precedente (ad gio al Regno di Sardegna nel 1713È. opera dello stesso autore è uscito lo scorso Qui si trovano Ð soprattutto si trova- anno), della collana Se otto ore vi sembra- vano – «le vigne più alte d’Europa», una no poche, storia delle fabbriche e dei la- viticoltura ÇeroicaÈ e insolita, come la voratori in Valle di Susa. Anche in questo definì Maggiorino Assandro nel 1884. caso il linguaggio utilizzato è semplice e Dei dieci Comuni di quest’area oggi divulgativo, l’impostazione grafica curata 253 tivo, non propriamente riuscito, del Co- mune di Susa (1869) di allocare nel pro- prio territorio qualche industria di rilievo, non è detto però quale significato potesse avere questa scelta Ð e quelle che analo- gamente fecero molti altri comuni della valle – quali problematiche portò con sé. Il capitolo terzo poi offre la trascrizio- ne quasi integrale di due inchieste indu- striali, una compiuta nel 1883, l’altra nel 1908, nel frattempo alcune industrie pas- sano dall’utilizzo della forza vapore a quella elettrica, l’innovazione tecnologi- ca e di mercato impose agli industriali ra- dicali ristrutturazioni negli impianti, vi furono conflitti sociali e dibattiti. Aspetti questi non affrontati nel testo. Nella seconda parte, i capitoli 4-5, so- no descritti i singoli impianti idro-elettri- ci con una certa preferenza per l’approc- cio tecnico e descrittivo eccedendo nelle e gradevole, ricca di immagini inedite. informazioni specifiche più consone ad Tuttavia, l’intento, cioè quello di «riper- un pubblico specializzato. Anche in que- correre le tappe maggiormente significati- sto caso l’analisi difetta. Ad esempio co- ve dello sviluppo dell’industria elettrica sa significò per le industrie locali – ma (...) evidenziando nel contempo le trasfor- anche per l’economia domestica ed agri- mazioni economiche del territorio valsusi- cola Ð vedere notevolmente potenziata e no», è largamente disatteso. L’analisi della semplificata la forza motrice? Quali tra- situazione economica precedente alla pri- sformazioni comportò in termini di occu- ma industrializzazione e lo sviluppo tra pazione, tecnologie, strutture? ’800 e ’900 – circa 70 pagine – è certa- é fatto cenno al contenzioso intercorso mente dipendente dagli studi di Jaquet, tra alcuni proprietari terrieri e gli industriali Assandro, Blanchard scritti tra inizio e fi- Wild e Abegg circa la derivazione delle ac- ne Ottocento e dagli studi di B. Malvicino, que (pagg. 75-80); non è detto come andò a P.E. Peirano pubblicati su L’ambiente sto- finire la vicenda! L’impressione, insomma, rico nel 1979, con qualche incursione nel- è che il testo sia frutto di una ricerca affret- la stampa locale d’epoca. Un insieme di tata e che l’autore non abbia potuto, o volu- contributi, non sempre citati espressamen- to, addentrarsi nell’analisi dei documenti in te, privi di approfondimenti e di raffronti. suo possesso lasciandoci un’opera certa- Non è detto, ad esempio, quali furono mente curiosa, leggibile, ma che non ag- i fattori che tra l’inizio dell’800 (Blan- giunge nulla di nuovo a quanto largamente chard) e il 1884 (Assandro e la Monogra- conosciuto o comunque facilmente reperi- fia della Giunta di Susa) portarono alle bile. La fretta, o il desiderio di aggiungere profonde trasformazioni economiche e titoli alla collana, è stata cattiva consigliera sociali che il Circondario subì e visse non penalizzando il rigore scientifico che Ser- senza qualche difficoltà. é detto del tenta- gio Sacco certamente conosce. (P.D.V.) 254 Bollettini * Riviste * Quaderni

255 256 Questa rubrica raccoglie le segnalazioni di alcuni bollettini, rivi- ste, quaderni, ossia delle pubblicazioni periodiche di società cultu- rali simili alla nostra; oppure di enti pubblici preposti alla tutela dei beni archeologici, architettonici, artistici, storici, ambientali: ossia il benemerito mondo degli operatori culturali che quasi ogni giorno devono vincere notevoli difficoltà. Con queste segnalazioni speriamo di fare cosa gradita ai nostri Soci e a tutti i lettori: è certamente un positivo contributo alla cono- scenza di ciò che altri fanno. Inoltre ci ripromettiamo di seguire an- che in futuro e, se possibile ampliarlo, questo settore di pubblicazio- ni culturali in notevole parte edite da associazioni, da società di ri- cerche e studi senza fini di lucro, come Segusium.

Studi Piemontesi - Torino, novembre cancellieresca sabauda nel Cinquecento 2000, vol. XXIX, fascicolo 2¡, pagg. (1562-1580); PIERO BARALE: L’anfiteatro 412, ill. romano di Augusta Bagiennorum; SERGIO GIUNTINI: ÇLa ginnastica e i pazziÈ Particolarmente robusto questo volu- (1871), un opuscolo di Giovanni Tonino me semestrale di Studi Piemontesi, per psichiatra torinese. E altre ÇnoteÈ di An- accogliere numerose collaborazioni. dreina Griseri, Filomena Pompa, Anna- In ÇSaggi e studiÈ, dedicati soprattut- maria Destefanis, Elena Francisetti, Nar- to all’Ottocento, apre TONI IERMANO: Da ciso Nada. Parravicini e De Amicis: considerazioni Dalla sezione ÇDocumenti ineditiÈ sulla letteratura per l’infanzia tra Risor- segnaliamo: ALBERICO LO FASO DI SER- gimento e Italia umbertina; ROSSANA RADIFALCO: Siciliani al servizio del Re- MELIS: ÇCi ho lavorato col cuoreÈ, 24 gno di Sardegna nel XVIII secolo; AL- lettere di Matilde Serao a Vittorio Berse- BERTO TURINETTI DI PRIERO: La prigionie- zio (1878-1885); GUALTIERO RIZZI: 1845 ra di Fenestrelle. Note su Gian Antonio e - Teatri a Torino secondo il ÇMessaggie- Polissena Turinetti di Priero. reÈ di Brofferio; MARIA VITTORIA CATTA- Il Notiziario bibliografico (recensioni NEO: Gli inizi della collezione archeolo- e segnalazioni) costituisce il solito buon gica di Agliè. L’impegno di Carlo Felice panorama dell’editoria regionale (ma non e Maria Cristina di Savoia, da Tuscolo a necessariamente limitato al Piemonte). Veio (1821-1839); CATERINA SIMONETTA IMARISIO: Turismo e beni culturali in Pie- Ð ❍ Ð monte. Un percorso geografico per un rapporto di transizione. AUTORI VARI: Antropologia del Me- Nelle ÇNoteÈ: PIETRO CAZZOLA: Tori- dioevo - Biologia e cultura - Atti del no 1864, vista da un esule boemo, Josef V. Convegno tenuto ad Alba, 15/16 maggio, Fric; BENEDICT BUONO: Note sulla lingua 1998 - Da ÇAlba PompeiaÈ, Alba, 1999. 257 Le cattedre di antropologia, di scien- La copertina reca la firma illustre di ze biologiche e di archeologia medievale Eugenio Guglielminetti, dal titolo ÇIl pla- dell’Università di Torino hanno promos- tanoÈ, ossia la pianta ultrasecolare che so un convegno ad Alba in occasione del «...fu posta dov’è un secolo dopo la na- centenario del Civico Museo ÇFederico scita di AlfieriÈ, nel giardino del palazzo EusebioÈ, diretto dal professor Gianfran- della celebre famiglia aristocratica asti- co Maggi. giana. Il professor Melchiorre Masali, catte- Il volume apre con il ricordo della drattico di antropologia a Torino, ci ha in- professoressa Enrica Jona, figura emi- viato i fascicoli degli atti Ð estratti da nente della cultura astigiana, deceduta ÇAlba PompeiaÈ Ð relativi a ricerche in nell’agosto 2000 a 90 anni. Enrica Jona, varie località piemontesi. Segnalando la docente al ginnasio-liceo ÇVittorio Alfie- pubblicazione, Segusium lo ringrazia riÈ di Asti, era sopravvissuta al campo di cordialmente. sterminio di Auschwitz dove aveva per- duto i genitori. Ð ❍ Ð Il sommario offre ampia materia per molteplici interessi: GIOVANNI DONATO: Il platano - Rivista di cultura astigiana - Soffitti dipinti per il Medioevo astigiano; Asti, anno XXV, 2000 (2¡ semestre), FRANCESCA e CLAUDIO OSTA: Il soffitto pagg. 148, ill. ritrovato; EZIO CLAUDIO PIA: Stefano Giuseppe Incisa, sacerdote e accademico di provincia; DONATELLA GNETTI: Le Vil- lenove nell’Italia comunale (dal conve- gno di Montechiaro); IVANA BOLOGNA - ANDREA ROCCO: Montechiaro sacra; GIANLUIGI BERA: Per la storia del Palio. I dipinti di Palazzo Cotti-Gazelli; GIAN- CARLO LIBERT: de Montfalcon du Cengle, canonico di San Maiolo e vesco- vo di Tarantasia; MAURIZIO LANZA: Il Palazzo dei Leoni o dei Parati; NATALE FERRO: Il matrimonio di Asti nei secoli XII-VIV (secondo i documenti dell’Archi- vio capitolare); MARISA VARVELLO: Una tela della Madonna nera di Guadalupe nella chiesa parrocchiale di Chiusano; CARLA FORNO: L’orgoglio della poesia: le raccolte di Francesco Antonio Lepore; MAURIZIO CASSETTI: L’archivio della fa- Siamo lieti e onorati di accogliere per miglia Colli Ricci di Felizzano (e altri ar- la prima volta la segnalazione de ÇIl pla- chivi di famiglie nobili). tanoÈ, organo dell’Associazione Amici di I «fatti d’arte» sono stati curati da Asti, vessillifero della cultura astigiana Marida Fausone; seguono le Çrecensio- (una pubblicazione alla quale ha collabo- niÈ, notizie del Rotary Club di Asti, Noti- rato anni fa anche il direttore di ÇSegu- zie e l’elenco dei soci dell’Associazione siumÈ). Amici di Asti (che si assume l’onere am- 258 bito di pubblicare due volte all’anno la ri- tolo Studi sul paleolitico, mesolitico e vista). neolitico del bacino dell’Adriatico. In ri- cordo di Antonio M. Radmilli. Ð ❍ Ð Il professor Radmilli, recentemente scomparso, dal 1972 al 1989 è stato pre- Quaderni della Soprintendenza Archeo- sidente della Società per la preistoria e la logica del Piemonte - n. 16, Torino, 1999, protostoria della Regione Friuli-Venezia pagg. 380 (delle quali 112 di illustra- Giulia: con questa pubblicazione viene zioni). ricordato da parecchi studiosi, suoi colle- ghi italiani e di altri paesi. Si tratta della È l’ultimo numero dei Quaderni (data raccolta di 21 saggi sulla preistoria del 1999, uscita anno 2000) con la direzione bacino dell’Adriatico, in particolare del della dr. Liliana Mercando, soprintenden- Carso Triestino e dell’Abruzzo. te al termine del suo incarico nella nostra regione. ÇSegusiumÈ la saluta con defe- Ð ❍ Ð renza e stima. Nella sezione introduttiva del volume Bollettino del Gruppo Archeologico Ð ÇContributiÈ Ð alcuni saggi sulla forma- Aquileiese - Aquileia, anno IX, n. 9, di- zione della collezione etrusca nel Museo cembre 1999, pagg. 72, ill. di Antichità di Torino (Giulio Paolucci); Tre fermagli di cintura da Castelletto Tici- no di MICHELA RUFFA; Una testimonianza di arte celtica nella bassa Ossola di FILIP- PO M. GAMBARI; Il caso di S. Anastasio di Asti di Andrea Longhi; due saggi sugli scavi dell’antica Moncalieri (Gabriella Pantò; Antonella Aimar, Gabriella Campa- ri, Marco Subbrizio, Laura Vaschetti). Il notiziario, ripartito geograficamen- te per province, comprende un centinaio di pagine, con la consueta ricchezza di informazioni. Con rammarico, dobbiamo rilevare che in questo Quaderno n. 16 non ci sono notizie che riguardano la Val- le di Susa.

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Società per la preistoria e la protostoria della Regione Friuli-Venezia Giulia - Questa ÇRivista di archeologia, storia Quaderno n. 8, Edizioni Svevo, Trieste, ed arte del G.A.A.È, diretta da Giorgio 2000, pagg. 280, ill. Milocco, ci ripropone in miscellanea un bel numero di argomenti. A cura di Paolo Biagi (Dipartimento A cominciare da ALBERTO FRAPPA: di scienze dell’antichità, Università di Aspetti giuridico-economici relativi alla Venezia) questo Quaderno n. 8 reca il ti- fondazione di Aquileia (questione dibat- 259 tuta a partire dal 183 a.C. al Senato di Ro- TERESA COLOMBO: Il provenzale Cotto- ma); GIOVANNI BOLAFFIO: Promozione lengo, ossia la vicenda di una famiglia di sociale e aurappresentazione dei liberti mercanti della valle di Barcelonette fra nei monumenti iscritti aquileiesi; MONIA 1700 e 1800; La lingua del cuore di PIASENTIER: I codici dell’Archivio Capi- MARKO KRAVOS scrittore sloveno di Trie- tolare di Udine; GABRIELE CAIAZZA: Bar- ste. letta e lagenaria - Appunti su due antichi Libri e notizie varie, fra le quali una recipienti da viaggio (e ÇbarlettaÈ in pie- mostra Ð fra Natale 2000 ed Epifania montese è «barlet»); LUCIA SALIERNO: La 2001 Ð sui piloni votivi in Val Varaita al- raffigurazione della Trinità incastonata lestita dal Comune di Sampeyre. in una casa di Cervignano; GIORGIO MI- LOCCO: Aquileia tra pellagra e malaria; Ð ❍ Ð MARIO GIOVAN BATTISTA ALTAN - ELIANA MERLUZZI BARILE: L’organo di S.M. Il ÇBannieÈ - Quadrimestrale della par- Imp.le e R.le Francesco Giuseppe nella rocchia di S. Pietro Apostolo, Exilles, n. Basilica di Aquileia (dono dell’imperato- 90-91-92 dell’anno 2000 - Ogni numero re nel 1896); SERENA TONO: Le officine 28 pagine, ill. aquileiesi (Appunti sulla tecnica vetra- ria); NEDI TONZAR: Il cedro del Libano (pianta storica e ornamentale). Le segnalazioni e le recensioni di al- cune opere chiudono questo numero del- la rivista, come sempre ricca di stimoli interessanti.

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Coumboscuro - Periodico della minoran- za provenzale in Italia - n. 347/348, anno XXXXI, 2001.

Crociata o popolo europeo? di RO- BERTO SALETTA: nella Provenza moderna i governi dell’Europa hanno parlato di costruzione del popolo europeo, stenden- do una carta dei suoi diritti. In un editoriale Ð La pumo dal mini- stre Ð si critica la riforma della scuola ita- Questo «banditore» di Exilles è un liana proposta dal ministro Tullio De glorioso veterano nato nel 1962 (due anni Mauro (governo di Giuliano Amato): prima di Segusium) e chiunque pensasse Ç...un progetto che butta sul mercato una di considerarlo soltanto un Çbollettino scuola per robot all’americana e non una parrocchialeÈ sbaglierebbe di grosso. La scuola per maturare menti e sensibilità pubblicazione di Exilles, diretta da Don critiche sui valori e disvalori dell’uomo». Remigio Borello, ma animata dal respon- Di MASSIMO CENTINI: Le voglie - Se- sabile Luigino Bernard, coadiuvati dalla gni tra psicologia e superstizione; MARIA segreteria di Jeanne Arnol, è in realtà una 260 rivista di sostanza nonostante il limitato CARLO PESARINI; di MARIO CAFFI un Cen- ambito territoriale, ed ha tanti contenuti simento degli uccelli svernanti in una attraenti. marcita della pianura bresciana; Prima Se fra i tre fascicoli che abbiamo sul segnalazione di istrice (Hystrix cristata) tavolo scegliamo l’ultimo dell’anno in provincia di Cremona di FRANCO LA- 2000, troviamo gli auguri del parroco per VEZZI e altro ancora, comprese segnala- Natale e Capodanno; poi Il forte ha vinto zioni e recensioni. l’ultima sua battaglia di MICHELE BOE- RO; Il progetto di restauro del forte; Cro- Ð ❍ Ð nache exiliesi; Il Forte dei sogni (Nostal- gia di ricordi) di FULVIO NORSE. Ci sono Pianura - Scienze e storia dell’ambiente anche i danni dell’alluvione dell’ottobre padano - N. 12/2000, Amministrazione 2000, i guasti provocati dai selvatici (cin- Provinciale di Cremona - pagg. 208, ill. ghiali, cervi, caprioli), vecchio, insoluto problema ormai sull’orlo dei ridicolo; Il In questo numero numerosi e vari te- pranzo degli anziani; Concorso Exilles in mi. GIUSEPPE BRAMBILLA e DANIELA fiore; Il Bugigattolo; le nascite, matrimo- CHIAPPETTA: I legni silicizzati delle allu- ni, compleanni, lauree, i coscritti, la pri- vioni quaternarie padane di Portalbera- ma comunione, le feste delle borgate, il Zerbo (Pavia); GIACOMO ANFOSSI - MA- Circolo Amici di Cels, i defunti, ecc. RIO ROSSI - GIUSEPPE SANTI: I bisonti del In queste pagine la cronaca della vita Pleistocene superiore nella Lombardia; di una comunità che «Il Bannie» aiuta a MARIO COTTA RAMUSINO - GIOVANNI sentirsi unita e partecipe, fra le monta- LONGONI - CARLO SEGHETTI: Le risorgive gne, accanto al celebre Forte carico di se- della riserva naturale di Monticchie (So- coli e di storia. maglia-Lodi); FABRIZIO BONALI e GIO- VANNI D’AURIA: Segnalazioni fioristiche Ð ❍ Ð per la provincia di Cremona; RICCARDO GROPPALLI: Avifauna in tre aree con dif- Pianura - Scienze e storia dell’ambiente ferente dotazione arborea; MANUEL AL- padano - Amministrazione Provinciale di LEGRI: Prospetto degli uccelli nidificanti Cremona, n. 11, 1999, pagg. 192, ill. nella provincia di Cremona. Seguono argomenti più circoscritti, La rivista ci offre il tradizionale som- ma sempre interessanti, su insetti, singoli mario, ricco di vari temi tra i quali la fau- uccelli (lanario, corriere piccolo e altri), na pliocenica di Casteggio nell’Ottocento flora, per completare una rassegna sem- pavese di ROBERTA ZECCA e GIUSEPPE pre ricca di proposte per gli studiosi o i BRAMBILLA; il ritrovamento di resti fossi- semplici lettori comuni appassionati di li di Megaloceros giganteus di GIACOMO natura e agricoltura. ANFOSSI e GIUSEPPE SANTI; problemi di toponomastica lungo un tratto della via Ð ❍ Ð romana Mediolanum-Cremona di VALE- RIO FERRARI; un rapporto preliminare sul Bollettino della Società per gli Studi sto- censimento della flora cremonese di FA- rici, archeologici ed artistici della Pro- BRIZIO BONALI e FRANCO GIORDANA; i re- vincia di Cuneo - Aziende agrarie nel gni del Parco del Ticino meridionale di Medioevo (secoli IX-XV) - N. 123, 2¡ se- RICCARDO GROPPALI, PAOLO LUCCHINI, mestre 2000, Cuneo, pagg. 312. 261 po gli autori già citati – sono opera di Francesco Panero, Paolo Grillo, Ermanna Ariano, Giumliana Alliaud, Laura De An- gelis Cappabianca, Giuseppe Gullino.

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Bulletin de la Société d’études des Hau- tes-Alpes - Gap, 1997, pagg. 168, ill.

Il numero di questo Bulletin apre con un interessante saggio di Bernard Oury sulla toponomastica alpina nell’area del Col Saint-Guigues (o Col Bayard): Çla denominazione delle montagne ha segui- to, come in vari altri aspetti della vita, i bisogni degli uomini, a cominciare dalla pastorizia e poi anche alle vie di comuni- cazione...È. Questa ricerca sulle forme della con- Leggiamo poi: ÇUn nobile di Oulx duzione fondiaria agricola nell’Italia racconta la peste del 1720 a Marsiglia e nordoccidentale interessano non soltanto le sue conseguenze nella ValleÈ di JAC- l’economia, ma anche la storia del pae- QUELINE ROUTIER; di YVES DURIAU: Les saggio modificato dalle iniziative assunte Habitant des Guibertes et leur église. Se- dall’uomo e dalle esigenze delle aziende guono altri temi, notizie della Società di rurali nel corso dei secoli. Studi delle Alte Alpi, segnalazioni biblio- Vari sono gli ambienti presi in consi- grafiche. derazione: dal Milanese trattato da ANNA MARIA RAPETTI, alla Lombardia centrale Ð ❍ Ð di LUISA CHIAPPA MAURI, al priorato di San Colombano di Bardolino nel Veneto Bollettino della Società per gli Studi sto- (e siamo nel nordorientale) di ANDREA rici, archeologici ed artistici della Pro- PIAZZA, alla Çsignoria rurale dei vescovi vincia di Cuneo: Costigliole Saluzzo, un di AcquiÈ di FRANCESCO PANERO. museo diffuso - N. 122, Cuneo, giugno Seguono altre ricerche: sull’Abbazia 2000, pagg. 272, ill. di Staffarda, su una grangia cistercense nel Saluzzese (secc. XII-XIII), sulla ge- ÇCostigliole Saluzzo, un museo diffu- stione del patrimonio fondiario dei Sa- so» è il titolo di questo volume, risultato voia-Acaia a Collegno, sulla castellania di un convegno tenutosi nel municipio di sabauda di Fiano, sulla zona di Spiano quel comune il 6 giugno 1999 sul tema (fondo delle Misericordia Maggiore di della conservazione del paesaggio Çav- Bergamo), sui beni della pieve di San Lo- vertito come preziosa merce da valoriz- renzo di Voghera, sull’azienda contadina zareÈ evitando con cura di Çdistruggere in genere nel Piemonte sud-occidentale un bene irripetibileÈ e spesso non ripristi- nel tardo Medioevo. nabile con le sue vere caratteristiche na- Tutti questi numerosi contributi Ð do- turali. 262 Augusto Doro fu apprezzato dirigente di ÇSegusiumÈ e per anni direttore di questa rivista, incarico nel quale subentrò al professor Clemente Blandino, decedu- to nel gennaio 1976.

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Valados Usitanos, quadrimestrale edito dal Centro Studi e Iniziative Valados Usi- tanos - N. 64 - settembre-dicembre 1999, pagg. 80, ill.

I vari temi sviluppati. GIULIA MOLLI BOFFA: Il territorio costigliolese fra prei- storia e medioevo (dati archeologici); ENRICA CULASSO GASTALDI: L’ager sa- luzzensis nella romanizzazione della Ci- spadana occidentale; GIOVANNI COCCO- LUTO: Costigliole, Piasco e Falicetto, problemi di un fondovalle; PAOLO GRIL- LO: Il comune di Costigliole nello spec- chio dei suoi statuti; ALESSANDRO VITA- LE-BROVARONE: Lingua e vita quotidiana negli Statuti di Costigliole di Saluzzo; GIUSEPPE GULLINO: Il paesaggio agrario di Costigliole da un estimo del 1515; LEA La rivista, espressione dell’Associa- CARLA ANTONIOLETTI: Uno scenografo di zione Culturale omonima nata nel 1975, corte a Costigliole Saluzzo - Luigi Vaccia esce dalla fine del 1977. Quadrimestrale, e il palazzo Giriodi. solo dagli anni anni ’80 è riuscita a ri- Dopo i temi del convegno l’interes- spettare tale cadenza. I primi sette nume- sante ÇAtlante dei Musei etnografici della ri erano diretti da Gianpaolo Giordana e Provincia di CuneoÈ con schede di ALES- Antonio Rovera, mentre dal numero 8 a SANDRA ABBONA e NADIA CORDERO. Sono Giordana si è affiancato Sergio Ottonelli. ben 31 i musei della Provincia di Cuneo La finalità dell’Associazione è quella dei quali si danno notizie, con un abbon- della promozione, tutela e conservazione dante corredo di pertinenti illustrazioni. della cultura occitana, attraverso obiettivi Primo fra tutti il Museo storico-etno- che si sono fatti via via più coerenti e me- grafico provinciale ÇAugusto DoroÈ a no ÇcasualiÈ. Rocca de’ Baldi. Le scelte di fondo sono essenzialmente 263 tre: cercare di essere presenti in tutte le Val- Valados Usitanos, quadrimestrale edito li di lingua e cultura d’Oc, cioè le valli pie- dal Centro Studi e Iniziative Valados Usi- montesi dall’Alta Valle Dora fino alla Val tanos - N. 65 - gennaio-aprile 2000, pagg. Corsaglia (Frabosa); il rigore nella ricerca 84, ill. (fonti orali, diari, lettere Ð ad esempio Ð non vengono mai ÇabbellitiÈ ma trascritti In questo numero: editoriale: Valsusa così come vengono raccolti); la difesa sen- Filmfestival 2000, manifestazione pro- za compromessi dell’autonomia dell’Asso- mossa dall’A.N.P.I, quest’anno dedicata ciazione da qualunque tipo di strumenta- a Massimo Mila, e che si è avvalsa della lizzazione politica, a cui si aggiunge l’anti- collaborazione di Valados Usitanos; poi fascismo come scelta ideologica. un commento ai Çcambiamenti di bandie- Tra i temi della rivista storia, arte, ar- ra» dell’assessore «almesino» Roberto cheologia, poesia, natura, e l’attenzione Vaglio; infine una bella commemorazio- ad aspetti linguistici, antropologici e et- ne del poeta dialettale Antonio Bodrero nologici. (Çbarbo ToniÈ), morto il 14 novembre 1999. Nel numero 64 trova spazio la 3a par- Unico articolo dedicato alla Valle di te dell’intervento di ORESTE REY: Salber- Susa è quello di DANIELA GARIBALDO: trän: lu travòu dl’utën, raccolta di rac- S’mera uz öru. L’alpeggio alle grange conti di vita quotidiana trasmessi dall’au- Horres di Millaures (Valle della Dora) - tore salbertranese ai bambini della locale prima parte, una ricerca sulla transuman- scuola elementare all’interno di un pro- za che si avvale di testimonianze orali, getto didattico di studio della storia loca- del diario di Maximin Gendre (1855- le (progetto presentato dal Comune, con 1939), e dei manoscritti di Laurent Alli- il sostegno del Parco e di privati, contro zond e di Celestino Giuffrey (1869- il rischio di soppressione delle classi ten- 1948). tato dal Provveditorato agli Studi della Altri articoli: PIERO BARALE: Nuove Provincia). istoriazioni rupestri presso Sampeyre; Tra le recensioni, il libro di CLELIA SERGIO OTTONELLI: La storia della gente BACCON BOUVET: Salbertrand. Storia di attraverso i censimenti. Maira, Grana, una Comunità alpina e della sua Valle, Stura 1777-1783; GIANLUCA COMBA: 1999. Moiola e San Membotto. Un santo venu- Gli altri articoli: Notizie dal Centro to da molto lontano; GIOVANNI BERNARD: Culturale Occitano ÇF. FontanÈ; Poeti Lou pon dei patroun. Bellino: le sette delle valli occitane: Tavio Cosio, dieci croste del pane del padrone nelle lettere anni dopo; EZIO SESIA: Il paese al di là degli emigrati; ORESTE LORENZATI: Brr..., delle Montagne (Mollières, nella valle tè sal, tè...! Aspetti della pratica ovina ad della Tinée); ALBERTO TRIVERO, I Mapu- Ostana. L’esperienza diretta di alcuni ex che. Un’etnia sempre in lotta; FRANCO pastori (quarta parte); Raccontare è bel- BRONZAT, Il ramiè: storia e tradizione; lo!; FAUSTO GIULIANO: L’estoria ’d Giän PIERO BARALE: Arte rupestre di età stori- Chersant; MARIO FANTINO ÇGRIéTÈ (a ca a S. Anna di Vinadio (Valle Stura); cura di): Le fiabe di Lucia; I mendìe d Ko Monumenti da salvare: dal vecchio batòu d’i Kayre. una lezione di cultura materiale. A S. Mi- Rita Martinasso chele, in Val Maira. Rita Martinasso Ð ❍ Ð 264 Valados Usitanos, quadrimestrale edito Nell’editoriale, oltre ad una conside- dal Centro Studi e Iniziative Valados Usi- razione su Çche fine ha fatto Espaci Oc- tanos - N. 66 - maggio-agosto 2000, citan?», si dà notizia che l’amministra- pagg. 80, ill. zione comunale di Salbertrand – ed è il primo comune ÇoccitanoÈ a farlo Ð ha de- In questo numero: nell’editoriale tro- liberato l’intitolazione di una via a Fran- va spazio la critica a Memorie storiche di çois Fontan, «padre del nazionalismo oc- Cesana e Borgate, libro che presenta 19 citanoÈ. La via, situata oltre Dora in loca- stemmi araldici delle borgate, iniziativa lità Prà de l’outre, collega la strada d’ac- realizzata, si scrive, Çnella totale ignoran- cesso al Gran Bosco e alla Ghiacciaia con za delle parlate occitane localiÈ che Çpre- la nuova sede del Parco. scinde ovviamente dagli etimi originari e Il primo articolo, Un po’ di antifasci- evidenzia fantasie talvolta perverseÈ. smo... Biografie di valligiani, tra impe- Due gli articoli che riguardano la no- gno politico, emigrazione e guerre anti- stra Valle: DANIELA GARIBALDO: S’mera fasciste (guerra civile di Spagna 1936- uz öru. L’alpeggio alle grange Horres di 1939 e Resistenze), firmato da uno dei di- Millaures (Valle della Dora) - seconda rettori, GIANPAOLO GIORDANA, è il primo parte; ORESTE REY: Salberträn: lu travòu abbozzo di una vasta ricerca sui valligia- dl’utën (4a puntata). ni piemontesi impegnati non solo politi- Gli altri articoli: GIANFRANCO RIBET- camente ma anche militarmente contro il TO - DANIELA LIBRALON: Uccelli della Val fascismo. Tra questo primo gruppo di Chisone e della Val Germanasca; (a cura biografie troviamo Francesco Bret nato a di) SERGIO TONELLI: Sen teucci ardi pur- Cesana nel 1897 (figlia e genero parteci- tau ben... Na bela littra a la moda dal parono, inoltre, alla Resistenza in Val di Mel; MODESTO BESSONE: Anà për laouze Susa), Giovanni Battista Usseglio Car- a l’Oustanëtto; GIUSEPPE PASERI: Santa levè nato alla borgata Gischia di Giaveno Maria di Becetto. Un antico santuario nel 1904, e Michele Gilli nato a Rosta nel della Valle Varaita; FAUSTO GIULIANO: 1904. Una rassegna delle favole bovesane Gli altri articoli: DUCCIO GAY: Le (parte 9»); MARIO FANTINO ÇGRIéTÈ: Lu Bournes. Notizie e considerazioni; SERGIO Candi dar Vir ’d la Balma. Un racconto OTTONELLI: Alta Val Varaita. La revisione su esseri misteriosi e fantastici nella par- dei fuochi del 1449; ORESTE ORENZATI: lata di Roaschia; MILLI CHEGAL: I tesori Brr..., tè sal, tè...! Aspetti della pratica di Marmora - Alta Valle Maira; ANTONIO ovina ad Ostana. L’esperienza diretta di ALLEMANDI: Santo Digno Meràto a mu- alcuni ex pastori (ultima parte); GIOVAN- stà n ’urasiùn...; infine: segnalazioni: 20 NI BERNARD: Anar per sooudà. Bellino: maggio 1728: il ricordo di una giornata così scrivevano i nostri soldati; PIERO BA- drammatica. Acqua e grandine sull’alta RALE: La costellazione di Orione nella Val Varaita. Rita Martinasso tradizione popolare alpina (Alpi sud-oc- cidentali); infine una recensione a cura di Ð ❍ Ð Marziano Di Maio del libro di AUGUSTO VIGNA TAGLIANTI, Fauna d’Oc. Storie di Valados Usitanos, quadrimestrale edito animali e di uomini nelle Alpi Occitane, dal Centro Studi e Iniziative Valados Usi- Quaderno di Primalpe n. 3 Centro docu- tanos - N. 67 - settembre-dicembre 2000, mentaz. Valle Stura, anno 2000. pagg. 88, ill. Rita Martinasso 265 Ousitanio Vivo - Occitania viva, mensile, un’estòria religiosa de l’Occitània: Inno- - N. 254 - 21 marzo 2001, pagg. 80, ill., cenzo III, sostituto di Dio sulla terra. Un Venasca (CN). Papa che cercò di sottomettere tutti al vo- lere di Dio e all’interesse della Chiesa; e Il mensile, che ha raggiunto il 28¡ an- poi notizie dalle Valli occitane, recensio- no di vita, presenta in questo numero in ni, e la rubrica Enté anar, che raccoglie prima pagina l’intervista, firmata da Da- feste, concerti, fiere, convegni... rio Anghilante, a Massimo Garavelli, sin- Rita Martinasso daco di Salbertrand: Dagli Escartons al- l’identità occitana. Salbertrand ha dedi- Ð ❍ Ð cato una via a François Fontan, padre dell’occitanismo politico. Civico Museo Etnografico ÇOstana Alta Garavelli parla dell’importanza del re- Valle PoÈ - Associazione culturale ÇI cupero e della valorizzazione della cultura Rënèis», Comune di Ostana, Comunità occitana, appartenenza alla quale la mag- Montana Valli Po, Bronda e Infernotto, gioranza della popolazione di Salbertrand Regione Piemonte - Quaderno n. 2 - ha Çfinalmente preso coscienzaÈ grazie ad Ostana: intrecci di vita - maggio 1998, amministratori locali e ricercatori locali pagg. 70, ill. come Clelia Baccon e Oreste Rey. Un im- portante contributo a questa tutela della é il secondo Quaderno della collana storia locale è stata l’istituzione dell’Eco- del Museo Etnografico ÇOstana Alta Val- museo ÇColombano RomeanÈ, mentre le Po», curato dall’associazione culturale nelle scuole locali sono attivi programmi «I Rënèis» – che in occitano significa sperimentali di ricerca linguistica, e nelle Çgermogli, polloni che spuntano dalle ra- vie del paese la cartellonistica reca la dop- dici di un tronco tagliato ÐÈ. pia dicitura in italiano e in occitano. In questo numero ha inizio, con l’arti- Garavelli auspica, inoltre, che le colo Ostana: le frazioni, la descrizione realtà presenti, a partire dal Gran Bosco, particolareggiata del territorio di Ostana dall’Ecomuseo stesso, dal progetto vigne, e dell’insieme di attività e consuetudini il museo di Giaglione, il forte di Exilles, che lo hanno caratterizzato: basata su te- il sito archeologico della Maddalena di stimonianze orali fornite dalla popolazio- Chiomonte, ecc., possano diventare Çun ne, non è «sguardo retrospettivo su “co- polo turistico d’eccellenza, non in con- me eravamo”, bensì conoscenza del mo- correnza con le realtà turistiche dell’e- do di vita che l’uomo ha profuso in questi strema valle ma complementari ad esseÈ, luoghi, come mezzo imprescindibile per soprattutto in vista delle Olimpiadi del un nuovo utilizzo delle risorse che il ter- 2006. ritorio offreÈ. Il primo lavoro è dedicato alla frazio- Altri articoli: GIANNA BIANCO: Un’i- ne Ciampagna (Champanho), la più lon- dentità dinamica; GIOVANNI BATTISTA tana dal capoluogo. FOSSATI: Non facciamoci incantare dai Seguono poi: La lunga lite per i ÇFi- suonatori di pifferi; LUCIANO TAS: Torne- nes CommunesÈ con Crissolo - 1a parte; ranno nei Sudeti dieci milioni di profughi Quei nostri antichi predecessori, curio- tedeschi? (A proposito di profughi pale- sità circa i cognomi degli abitanti di stinesi); MARCO STOLFO: Una legge an- Ostana citati in un documento del 1505 che per gli Sloveni; PAOLO SECCO: Per (il più diffuso era Genre); Il museo si rin- 266 nova; I coltivi. La patata, dal campo alla sto gruppo di persone è convinto che sia cantina; Il matrimonio. Testi a cura di Li- necessario fare il possibile perché il pas- via Bernardi, Delia Bertorello, Daniela sato non vada del tutto perduto, e si au- Bruno, Paola Bruno, Marinora Giacone, spica che la loro attività sia la base per un Oreste Lorenzati, Giuseppe Raso. futuro possibile. Rita Martinasso In questo numero: Ostana: le frazioni. I Bernardi, articolo che prosegue la de- Ð ❍ Ð scrizione del territorio di Ostana, Çanaliz- zandone l’ambiente, i nuclei abitativi, le Civico Museo Etnografico ÇOstana Alta attività e le consuetudini della popolazio- Valle PoÈ - Associazione culturale ÇI neÈ; Tra i pascoli della Vardetta e i boschi Rënèis», Comune di Ostana, Comunità dell’Aijghera: i confini con Paesana; Tra- Montana Valli Po, Bronda e Infernotto, dizione e fede: rogazioni, voti e novene; Regione Piemonte - Quaderno n. 4 - Notizie dal museo; I coltivi: l’orzo, il gra- Ostana: i passi e le orme - maggio 2000, no saraceno, l’avena, l’erba medica. pagg. 76, ill. Testi a cura di Aldo Chiaffredo Ber- nardi e Maria Teresa Lingua, Olga Ber- nardi, Delia Bertorello, Marinora Giaco- ne, Oreste Lorenzati. Rita Martinasso

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Studi Piemontesi - Centro Studi Piemon- tesi, Torino, marzo 2000, vol. XXIX, 1, pagg. 340, ill.

In ÇSaggi e studiÈ, di MARCO CERRU- TI: Degli studi e delle virtù dell’Abate Valperga di Caluso; LAURENT BÉGHIN: Leone Ginzburg russista; NARCISO NADA: Il Journal des Débats (5 ottobre 1845) anticipa l’azegliano Programma per l’o- pinione nazionale italiana; ALBERTO S. MASSAIA: Pietro Fenoglio architetto; AN- GIOLA M. SASSI PERINO: Le ferrovie del Scrive l’Associazione nella prefazio- Piemonte preunitario. ne al quarto Quaderno del Museo: ÇPer- La sezione delle «Note» tra l’altro ci ché un gruppo di persone, giovani e me- offre I recenti restauri della Consolata no giovani, dedicano tanto del loro tem- (ANDREINA GRISERI); Dall’uniforme sa- po a raccogliere testimonianze, a ricerca- bauda a quella italiana (VITTORIO SCHIA- re documenti, a catalogare oggetti, a ri- VO); La fondazione delle Conferenze di pristinare e pulire periodicamente le anti- San Vincenzo a Torino e il contributo del- che strade, a progettare e mettere in posa l’aristocrazia sabauda (MAURIZIO CESTE). una segnaletica?È. Seguono ÇRitratti e ricordiÈ: DONATO Ben cosciente dei propri limiti, que- D’URSO: Raffaele Cadorna e Alessan- 267 dria; SERGIO GIUNTINI: Dorando Pietri a di mare hanno facilitato le imprese e so- Torino; FRANCESCO ARGAN: Un eroico spinto ad altre avventureÈ, ha scritto Al- soldato piemontese: il maggiore Felice merino Lunardon nella prolusione inau- Chiarle. gurale. Infine ÇDocumenti ineditiÈ e il sem- Nonostante i numerosi interrogativi pre completo, informato ÇNotiziario bi- avari di risposte questo numero di Atti e bliograficoÈ con tante recensioni e segna- memorie è importante sia per gli storici lazioni dell’editoria «piemontese». che per quanti amano il mare.

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Atti e memorie - Società Savonese di Sto- Rivista di Studi Liguri - Istituto Interna- ria Patria, vol. XXXIV-XXXV, Savona, zionale di Studi Liguri, Bordighera, 1998/1999, pagg. 320, ill. 1999, pagg. 548, ill.

Questo corposo volume edito dalla Questo grosso volume, a cura di Da- Società Savonese di Storia Patria racco- niela Gandolfi, comprende nella prima glie gli atti del Convegno dedicato a Cri- parte gli Atti del Convegno (Genova, Al- stoforo Colombo e tenutosi nell’ormai belga, Bordighera, 20-22 marzo 1998) in- lontano 1992, nel quinto centenario della titolato ÇNel ricordo di Nino Lamboglia - scoperta dell’America. Un ritardo nella Studi e ricerche di storia, toponomastica, pubblicazione che tocca non di rado agli epigrafia, archeologia, storia dell’arte e atti dei convegni di studio. restauroÈ. Il titolo Ð Mercanti, banchieri, mae- Il convegno internazionale dedicato stri d’ascia e marinai nell’età di Cri- al prof. Nino Lamboglia (1912-1977), stoforo Colombo Ð ci dice che i numerosi nel ventennale della morte, ha reso omag- relatori hanno spaziato in lungo e in largo gio alla «poliedrica personalità» dello nella marineria del secolo XV (e anche in studioso che si è occupato per molti anni quelli successivi) alla ricerca di elementi di molteplici ricerche Çnel territorio oc- certi che spesso risultano assai scarsi o cupato dagli antichi LiguriÈ. introvabili. Per questa povertà di docu- Tra i temi del convegno: Le Alpi Ma- menti, ad esempio, si sa poco sulle navi rittime fra Celti e Liguri di PASCAL AR- di quei tempi perché non venivano co- NAUD; Nino Lamboglia e l’architettura struite su disegni e progetti che indicas- subacques di FRANCISCA PALLARéS; Ce- sero le forme precise, le misure delle co- ramica e archeologia di GLORIA OLCESE; struzioni navali e altri particolari. Nino Lamboglia e l’archeologia cristia- Infatti «se è certo che uno dei dati più na di PHILIPPE PERGOLA; Lamboglia e significativi del secolo XV è rappresenta- l’archeologia medievale di CARLO VA- to dalle scoperte marittime e di nuove ci- RALDO; e altri studi di Tiziano Mannoni, viltà, non è chiaro come ad esse si è arri- Laura Balletto, Giulia Petracco Siccardi, vati, quali conseguenze hanno prodotto, Fiovanna Rotondi Terminiello, Liliana quali uomini hanno contribuito alla loro Pittarello. realizzazione, quale posto hanno occupa- Nella sezione ÇStudi e RicercheÈ tro- to i mercanti all’alba del nascente capita- viamo, tra gli altri, su vari temi i contri- lismo, quanto la nuova documentazione buti di Nadia Campana - Roberto Maggi cartografica e le esperienze degli uomini - Fabio Negrino, Piera Melli, Enrico 268 Franceschi, Giovanni Mennella - Sonia cheologici per garantirne la sorveglianza Barbieri, Bruno Massabò. e le possibilità di studio. Ne è un proban- ÇNote e discussioniÈ completano que- te esempio, fin dal 1978, un’area nell’an- sto volume. tico abitato di Annecy considerata dagli storici come uno degli antichi vicus me- Ð ❍ Ð glio noti della regione. Seguono di JEAN FRANÇOIS DE ROUS- La revue Savoisienne - Académie Flori- SY DE SALES: Le reliquaire du coeur de montane di Annecy, anno 139¡, 1999, Saint François de Sales; LAURENT PÉRIL- pagg. 312, ill. LAT: Trois exemples d’ascension sociale aux XVI¡ at XVII¡ siècle; HÉLÈNE VIAL- LET: Sorcellerie et déviances en pays de Savoie du XV¡ au XVII¡ siècle; BRIGITTE HERMANN: Un ami piémontais de René Descartes - Alphonse de Pollot; MARIE- CLAUDE RAISSAC: Une dynastie au servi- ce de la musique - La famille Gentil. Conclude il volume una corposa Biblio- graphie savoisienne a cura di ISABELLE BOUVIER e NATHALIE COSTA.

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Montagna Mibri - 14a Rassegna Interna- zionale dell’Editoria di Montagna - Tren- to, aprile-maggio 2000, pagg. 240.

La Rassegna dell’Editoria della Mon- tagna ha pubblicato il suo catalogo an- nuale in cui figura anche ÇSegusiumÈ (n. Questo numero dell’antica e ben nota 39) fra le riviste partecipanti. rivista savoiarda inizia con la vita e l’atti- A questa manifestazione sulla monta- vità dell’Accademia che la pubblica, cui gna Çscritta, studiata, fotografataÈ hanno segue una rassegna di poesie qualificatesi preso parte parecchie case editrici piemon- al concorso 1999. tesi: Allemandi, Alzani, Antropologia Al- La parte più robusta della pubblica- pina, L’Arciere, CAI, Centro Documenta- zione è la rassegna curata da JOéL SERRA- zione Alpina, Università di Torino (Dipar- LONGUE: Chronique des découvertes ar- timento di Scienza del linguaggio), Vival- chéologiques dans le département de la da, ecc. (citando soltanto alcuni editori ad Haute-Savoie en 1999. Questa rassegna inizio e fine dell’elenco alfabetico). ripartita per gli arrondissement di An- necy, Bonneville, Saint-Julien-en-Gene- Ð ❍ Ð vois, Thonon-les-Bains inizia con una utile indicazione sui Plans d’occupation Natura bresciana - Museo Civico di du sol (P.O.S.), ossia le aree perimetrali Scienze Naturali, Brescia, 2000, n. 32, istituite intorno ai monumenti e ai siti ar- pagg. 260, ill. 269 to Bianchi Çarcheologo e giornalista, col- laboratore della Soprintendenza archeo- Il lungo sommario comprende un bel logica della Puglia», nonché alla cattedra numero di qualificati collaboratori e ri- di Storia Medievale dell’Università di cercatori che trattano molteplici temi, tra Bari con un apposito sito web intitolato i quali: i molluschi acquatici dell’oloce- Castelli italiani on line. ne, un focolare neolitico, specie esotiche ÇL’Istituto Italiano dei Castelli – scri- di flora italiana, la lepidotterofauna del ve l’autore – ne ha contati oltre ventimi- comprensorio gardesano, la presenza del la...È, ma avverte che Çnel calderone chia- cormorano, bibliografia dell’avifauna del mato castello sono finiti casaforte e palaz- Bresciano, la fertirrigazione in un’area zo fortificato, roccaforte e arce, torre e morenica (aspetti ambientali e igienico- cinta, fortilizio e reggia, fortezze feudali, sanitari), flora della pianura bresciana, comunali e regie, edifici guardiani o di resoconto ornitologico bresciano 1997, e dazio e fortificazioni di popolamento, im- altro ancora sulla natura di questa parte pianti litoranei e montani e via dicendoÈ. dell’Italia settentrionale. Per organizzare la vasta materia, quasi si- Ð ❍ Ð nonima di Medioevo e orpellata di luoghi comuni, l’autore è ricorso a una suddivi- Medioevo (Dossier) - Trimestrale di De sione temporale e geografica. Così abbia- Agostini-Rizzoli Periodici, Milano, anno mo i capitoli: Oh, che bel castello; Il sim- VI, n. 1, 2001, pagg. 98, ill. bolo del potere; L’età del legno - L’età della pietra; Gli artigli della città; L’in- Da alcuni anni la rivista di divulga- castellamento nel Sud; A prova di bomba; zione storica Medioevo viene arricchita Una missione quasi impossibile; Un’im- dai ÇdossierÈ monografici dedicati a temi presa colossale; Dolce vita di corte. ritenuti bisognosi di chiare sintesi e di Illustrazioni e disegni, gradevoli e sviluppo. Tale è questo dal titolo Il Ca- pertinenti, corredano opportunamente la stello. Un’invezione del Medioevo di Vi- pubblicazione. 270 Piemonte Parchi - Regione Piemonte, di vita (di DANIELE CASTELLINO, disegni Torino, anno XV, n. 9, dicembre 2000, di Cristina Girard). pagg. 48, ill. Seguono il notiziario dei parchi pie- montesi, le rubriche di notizie, libri e al- tro.

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Il possesso della Moschettera, ovvero delle antiche rivalità tra le comunità di Sant’Antonino e Coazze di Giorgio Jan- non, premessa di Piero Del Vecchio - Quaderno n. 6; Unitre di Sant’Antonino, settembre 2000, pagg. 36.

La bella pubblicazione periodica de- gli assessorati regionali dell’Ambiente e della Cultura, sempre varia di molteplici articoli, apre questo numero con un ser- vizio sulla Certosa di Monte Benedetto: ÇAi margini del Parco Orsiera Rocciavrè, questo vero gioiello incastonato nel ver- de, ancora poco conosciuto dal vasto pubblico, è una importante testimonianza storica ed architettonicaÈ. Il testo è di Enrico Massone, le belle foto di Luca Giunti, i disegni di E. Giu- Questo quaderno n. 6 dell’Unitre di liano. Sulla Valle di Susa c’è anche un Sant’Antonino continua la serie delle ri- pezzo di LUCA GIUNTI, L’anello dell’Or- cerche negli archivi comunali e verte sul rido, dedicato all’Orrido di Foresto. possesso di un’area montana a pascolo di Altri argomenti: Il granchio di fiume circa 685.840 m2 (ossia 180 giornate pie- (di SANDRO BASSI); Lo stambecco nelle montesi) sotto il Colle Bione. valli del Penerolese (di MARCO GIOVO - Sembra incredibile, ma dalle latitanze ROBI JAVANEL - DOMENICO ROSSELLI); del diritto e dei documenti medievali, Musei del territorio: i mestieri di Cister- dalla presa di posizione di vari preten- na (di ALDO MOLINO); Sua maestà il tar- denti, a partire dal 1378 «le due comunità tufo (di ALDO MOLINO); Dall’A alla zuc- e i singoli proprietari si fronteggiarono in ca (di CATERINA GROMIS di Trana); Un m2 furibonde liti e di fronte ai giudiciÈ per 271 oltre seicento anni, sino alla sentenza del tava questa presentazione storica e tecni- Tribunale di Susa (4 giugno 1890) con- ca, distribuita largamente al pubblico e fermata dalla Corte di Appello di Torino alla quale hanno collaborato: don Ettore (18 luglio 1891) a favore della gente di De Faveri, Nicola di Liso, Mariano Mar- Sant’Antonino. I perdenti furono Ç27 uo- tina, Italo Marzi, Renato Bulgarelli. mini di CoazzeÈ. Interessante in particolar modo la sto- Si tratta di una storia singolare per la ria degli organi della Cattedrale di Susa a sua interminabile durata e valeva certa- partire da circa metà Settecento, con in- mente una ricerca d’archivio, attività or- formazioni tecniche per gli appassionanti mai sperimentata con esiti positivi dal- di musica organistica. l’Unitre di Sant’Antonino e dalla quale si Al gradevole opuscolo è stato saggia- ricava una vera lezione di storia, medie- mente allegato il programma del concer- vale prima, moderna poi, quando il dirit- to inaugurale del maestro Fornero. to si fa strumento regolatore della società in sostituzione delle molte incertezze di Ð ❍ Ð varia natura, tipiche del Medioevo. Siberian Rock Art - Archeologia, inter- Ð ❍ Ð pretazione e conservazione - CeSMAP (Centro Studi e Museo d’Arte Preistori- L’organo Vegezzi Bossi della Cattedrale ca) - Pinerolo, ottobre 1999, pagg. 112, di San Giusto in Susa - A cura di Basilio ill. Pusceddu e Mariano Martina, fotografie di Franco Laidelli - Susa, aprile 2001, Questo quaderno dedicato a Jakov pagg. 12, ill. Sher maestro nell’arte rupestre della Si- beria, trae origine dalla spedizione scien- tifica internazionale dell’agosto 1998, in occasione del Congresso di Arte preisto- rica tenutosi a Kemenovo, in Russia. Nella pubblicazione-catalogo bilin- gue (italiano e inglese), introdotto da Da- rio Seglie (direttore del Museo d’arte preistorica di Pinerolo) abbiamo una pa- noramica sull’archeologia e l’arte rupe- stre in Siberia Çterra che con la sua carat- teristica steppa e taiga, nel cuore dell’A- sia, contiene un ricco patrimonio di pe- troglifi di incalcolabile valore e di splen- dida bellezzaÈ. é il patrimonio del passato custodito in quella terra lontana, precisamente la Siberia meridionale. «La Siberia è un paese immenso Ð ha scritto Jakov Sher Ð, circa settemila chilometri dagli Urali alla costa dell’Oceano Pacifico e più di tremi- Il restauro dell’organo della Cattedra- la da nord a sudÈ. le di Susa (vedere fra le ÇNotizieÈ) meri- Oltre all’immensità continentale que- 272 sta terra «è un paese di forti contrasti na- cune qualità: l’impostazione lineare, le il- turali e culturali...»; è come «...un largo lustrazioni (soltanto 12) essenziali per la corridoio... attraverso il quale gli antichi comprensione visiva del grandioso mo- popoli e tribù si spostavano in tutte le di- numento, la buona qualità della stampa; rezioniÈ. il testo encomiabile per completezza Il quaderno edito a Pinerolo ci mostra stringata (opera del compianto canonico un buon campionario di questa varietà don Natalino Bartolomasi). culturale tramandata dall’arte rupestre si- Per merito di don Bartolomasi abbia- beriana, diligentemente scoperta e verifi- mo un breve, chiaro riassunto di storia cata nel corso della recente spedizione della antica chiesa di Susa, sorta all’ini- scientifica. zio dell’anno Mille e divenuta Cattedrale nel 1772 «con l’erezione della Diocesi di Ð ❍ Ð SusaÈ. Né mancano le valutazioni dei pregi La Cattedrale di Susa - Arte e storia - te- d’arte, sia del monumento che delle su- sto di Natalino Bartolomasi, ill. pellettili di arredo (con qualche osserva- zione critica dove occorre). Il pieghevole si trova in Cattedrale in cambio di una piccola offerta.

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SOCIETË SAVONESE DI STORIA PATRIA: Atti e memorie - vol. XXXIV, Savona, 2000, pagg. 296, ill.

La Liguria occidentale, in particolare la provincia di Savona, è da lontani tempi storici terra ben nota ai piemontesi, che oggi numerosi vi hanno casa e vi trascor- rono vacanze in riva al mare. Nel numero 36 di Atti e memorie (so- prattutto memorie) troviamo molte pagi- ne dedicate a riscoperte, a Vado e a Savo- na, con alcune ricerche su temi poco noti. ELEONORA SALOMONE GAGGERO: Cul- ti orientali a Vada Sabatia; FRANCO FER- RETTI: Antoniani nel Museo Queirolo di Vado Ligure (III d.C.); SERGIO APROSIO: Note di linguistica ed etimologia; GIU- LIANO FALCO: Memoria et terras... Ap- punti per una storia di due boschi medie- vali savonesi, gli Iliceta e le Scalete; AN- GELO NICOLINI: Schiavi a Savona fra Tre Questo pieghevole (a quattro ÇanteÈ) e Quattrocento (1323-1460); MAURIZIO merita una convinta segnalazione per al- TARRINI: Le lettere di Giovanni Lorenzo 273 Mariani a Padre Martini nel Civico Mu- gli anziani?... Leggende paesane, maghi, seo Bibliografico Musicale di Bologna streghe... Com’era la scuola al tempo dei (1753-82); LUISA GABBARIA MISTRANGE- nonni?È. LO: Il mémoire sur le port de Savone di Queste e altre le domande rivolte, al- Gilbert-Joseph-Gaspard Chabrol de Vol- cune delle quali risultarono incomprensi- vic conservato negli Archivi Nazionali di bili per i piccoli: ad esempio «Perché si è Parigi; LUIGI CATTANEI: Un taccuino persa la nozione delle antiche “conte” quarantottesco ligure; EMILIO COSTA: An- fatte dagli anziani nelle sere invernali?. ton Giulio Barrili giornalista. La perplessità è stata però di breve durata poiché vi è stata da parte loro la riscoper- Ð ❍ Ð ta di un mondo completamente nuovo, basato su microstorie personali di grande Pallare: c’era una volta... - Quaderno importanza in cui l’anziano diveniva di pubblicato dal LASA e realizzato dalla nuovo il centro dell’attenzione sociale scuola di Pallare (Savona - Comprenso- non più sotto il profilo assistenziale, ma rio scolastico di Carcare) - Ottobre 2000, sotto quello dlela cultura e, se vogliamo, pagg. 32, illustrato con disegni dei bam- della sapienza da trasmettere alle giovani bini. generazioni, ripetendo una operazione sociale svolta per secoli nelle comunità alpine e non soloÈ. Una situazione rara oggigiorno e for- tunati nonni e nipoti di Pallare.

Siamo nell’Alta Valle Bormida. I ra- gazzini delle scuole elementari hanno in- tervistato i loro nonni: «Com’era il lavo- ro? Le feste? Come vivevano i bambini e 274 Notizie Questa rubrica conta sull’impegno di alcuni componenti il Comitato di Redazione, ma in particolare il direttore ringrazia Barbara Debernardi per la stesura del maggior numero di no- tizie. L’organo della Cattedrale ro Italo Marzi e figli Stefano e Marco di Pogno. di San Giusto Ha scritto il canonico don Ettore De L’organo ultracentenario della catte- Faveri raccontando la recente storia del- drale di San Giusto a Susa è stato restau- l’organo della Cattedrale. rato e inaugurato con un eccellente con- Dopo aver elogiato il dr. Marcello certo la sera del 21 aprile 2001 dal mae- Pacchiotti (di recente scomparso) straor- stro Luciano Fornero, direttore del Con- dinario Çquestuante per la sua ChiesaÈ, servatorio ÇGiuseppe VerdiÈ di Torino, don De Faveri ha scritto: ÇTrovammo i alla presenza del vescovo Badini-Confa- primi soldi, ci incoraggiò don Luciano lonieri, del parroco della Cattedrale cano- Vindrola, l’economo diocesano che ot- nico De Faveri, di numerose autorità, di tenne un importante contributo della Cei, centinaia di appassionati di buona musi- grazie all’otto per mille. E poi, come ca, in particolare di quella sacra, prove- sempre, fidati e affidati alla Provvidenza. nienti da tutta la Valle di Susa e anche da Commissionammo l’opera al sicuro Italo Torino. Marzi e figli e il restauro della cassa del- L’organo, costruito dal noto artigiano l’organ, della consolle e della tribuna a Carlo Vegezzi Bossi (1858-1927) di Tori- Renato Bulgarelli e tutto sempre in pieno no, venne collaudato con esito felice nel dialogo e secondo le direttive della com- maggio 1889 e costò L. 7.800 (con l’uti- petente Soprintendenza, in particolare del lizzo della cassa di legno del precedente Professor Nicola de LisoÈ. strumento). Il Vegezzi Bossi nuovo in- Il restauro è stato effettuato anche in stallato in San Giusto era uno strumento omaggio alle disposizioni contenute nelle Çcon effetto di due organiÈ, tastiera di 61 tasti e pedaliera di 20 note. Nel corso di questo abbondante seco- lo di vita l’organo di San Giusto ha rice- vuto varie cure periodiche e alcuni ritoc- chi: nel 1906 una manutenzione con rifa- cimento di sette canne; nel 1932-33 Fran- cesco Vegezzi Bossi (fratello del costrut- tore Carlo) dotò lo strumento di due ta- stiere di 58 tasti e di una pedaliera di 27 note, con sistema pneumatico di trasmis- sione: così la Cattedrale di Susa ebbe «il più bell’organo della DiocesiÈ, inaugura- to nel 1934 con una applaudita esecuzio- ne del maestro Angelo Surbone. Nel 1950 altro intervento di manuten- zione e di riparazione senza modifiche, a conferma della «sua ottima versalità li- turgicaÈ. Il tempo però trascorreva anche per gli organi e, dopo un primo esame (1989) dieci anni dopo venne rilasciata l’autorizzazione al restauro conservativo La pregevole consolle di inizio Ottocento con realizzato ora nel 2000-2001 dall’organa- le due tastiere e la pedaliera. 277 L’organo della Catte- drale di San Giusto a Susa come appare do- po il restauro recente- mente concluso e ben riuscito, a giudicare dalle melodie sprigio- nate nel concerto di inaugurazione nella esecuzione applaudita del maestro Luciano Fornero, la sera del 21 aprile 2001.

ÇCostituzioni sulla Sacra LiturgiaÈ del trimonio d’arte e di cultura non soltanto Concilio Vaticano II che affermano: a Susa, ma in tutta la Valle e nella Dio- ÇNella Chiesa Latina si abbia in grande cesi. onore l’Organo a canne, il cui suono è in Terminati i lavori di messa a punto, grado di aggiungere notevole splendore la sera del 21 aprile la splendida inau- alle cerimonie della Chiesa e di elevare gurazione con l’organista Luciano For- potentemente gli animi a Dio e alle cose nero che ha deliziato una Cattedrale celestiÈ. gremita di pubblico giunto anche da Infine, ma aspetto rilevante, questo lontano, con musiche di Bach, Lefébu- restauro Ð come tutti gli altri finora ese- re-Wély, Yon, Mendelssohn-Bartholdy guiti in Cattedrale Ð arricchiscono il pa- e Peeters. 278 ÇBussolegnoÈ: l’arte della montagna Partendo dalle esistenti scuole di inta- glio, frequentate in prevalenza da giova- ni, e dalla secolare tradizione montanara, il Comune di Bussoleno (con la presenza degli enti territoriali di maggior ampiez- za) ha organizzato ÇBussolegnoÈ e via W. Fontan si è traformata per un giorno in un laboratorio all’aria aperta. Il cielo sereno di una giornata di primavera ha favorito al meglio lo svolgimento della manifesta- zione. Prima di dare il via agli scalpelli, stru- menti di quest’arte antica, il sindaco on. prof. Alida Benetto aveva presentato, con altre personalità, la manifestazione nella recuperata Casa Aschieri, importante te- stimonianza medievale in città. Adulti e ragazzi all’opera nella bella giornata di Padroni del campo sono stati poi gli ÇBussolegnoÈ - 22 aprile 2001. artigiani e gli allievi delle scuole d’inta- glio: insieme hanno gareggiato in pezzi Vent’anni di Unitre di bravura, suscitando l’ammirazione del a Bussoleno numeroso pubblico che passava da un banco all’altro a veder nascere i pregevo- L’università della Terza Età è stata co- li manufatti. stituita a Torino 26 anni fa e a Torino tut- Il pubblico curiosava e valutava; di tora c’è la direzione nazionale. Una delle qui un altro aspetto positivo rappresenta- aree di più immediata espansione è stata to a questa ÇBussolegnoÈ dalla vendita di la Valle di Susa, a cominciare proprio da varie opere appena eseguite e se gli Çaf- Susa e Bussoleno. fari» sono stati soddisfacenti è segno che L’Unitre delle Valli di Susa, con at- parecchi tra questi artigiani del legno tuale sede a Bussoleno, ha festeggiato hanno riscosso largo apprezzamento da vent’anni di vita e giustamente all’inau- parte dei visitatori. gurazione – 4 novembre 2000 – dell’An- Per l’anno prossimo si attende la ripe- no Accademico 2000/2001 il presidente tizione di quest’iniziativa di nobile arti- prof. Tullio Telmon (segusino) ha espres- gianato tipico della civiltà della monta- so la propria soddisfazione per il traguar- gna. L’assessore comunale all’artigianato do raggiunto, accomunando nei meriti e alla cultura, Antonella Zoggia, punta quanti Ð e sono numerosi Ð hanno contri- già al 2002, per replicare il successo del buito, dagli allievi ai docenti, a questa 2001: viste le premesse le possibilità di lunga esistenza a cominciare da Ettore ben figurare ci sono tutte. Patria scomparso alcuni anni fa. L’Università della Terza Età delle Valli di Susa era nata nel capoluogo sto- rico della Valle, per poi sdoppiarsi fra Su- 279 sa e Bussoleno, finché da alcuni anni si è e a Vaie: un criterio operativo encomia- verificata una separazione e le Unitre so- bile e valido se viene rintuzzato il peri- no diventate due e autonome. colo della dispersione sempre incomben- Se non altro la divisione ha dimostra- te su iniziative di questo tipo. to che i due centri, più o meno della stes- Gli appuntamenti dell’ultimo anno sa consistenza demografica, sono in gra- accademico (2000-2001) sono stati 182, do con buoni risultati di alimentare cia- indice di un intenso lavoro di program- scuno una propria organizzazione didatti- mazione e di organizzazione, ma che pro- co-ricreativa. babilmente può essere una concausa di In Valle di Susa le Unitre sono ormai ciò che ha affermato Del Vecchio: ÇLa parecchie. Questa proliferazione non è frequenza ai corsi è in effetti leggermente soltanto il risultato di legittime ambizioni calata in questi anni, anche per effetto di campanile, ma l’esigenza di offrire co- delle molte proposte che impongono una modità di partecipazione ai corsi e ai «la- scelta agli iscritti, e di un certo calo di in- boratoriÈ a persone che sarebbero co- teresse su certe tematiche; sempre molto strette ad affrontare viaggi di 10-15 Km. alta invece l’affluenza ai laboratoriÈ. Le Unitre valsusine sono comunque In questa chiara sintesi del prof. Del nel loro insieme una realtà interessante: Vecchio è condensata una problematica uno studio su tutte queste iniziative, sulle non nuova per le Unitre: più corsi siste- docenze, sulla loro qualità, sui program- matici, e più iniziative diverse? mi, sui risultati conseguiti sarebbe, pen- Sarebbe utile che le Unitre della Valle siamo, di indubbio interesse. di Susa affrontassero questo tema di fon- do, insieme ad altri di comune interesse che attengono al loro futuro: maggiore Sant’Antonino: spazio all’insegnamento (o ripasso!), o 5 anni di Unitre all’intrattenimento di buona qualità? L’Unitre di Sant’Antonino ha com- piuto 5 anni: è dunque tra le più giovani Dieci anni fortunati della Valle, ma la sua crescita la colloca per l’Unitre di Condove al livello di alcune veterane. La presiede il prof. Piero Del Vec- chio, coadiuvato da validi collaboratori la cui opera ha stabilizzato il numero degli iscritti intorno ad un largo 200; parecchio in rapporto agli abitanti. Un’attività specifica sono i 6 «qua- derni» dedicati alla storia di Sant’Antoni- no e agli antichi mestieri (anch’essi cul- tura e storia): costituiscono un bel patri- monio di pubblicazioni accumulato dal Il 31 maggio 2001 l’Unitre di Condo- «Laboratorio della memoria» dell’Unitre ve ha celebrato con festeggiamenti e cena e dei quali ÇSegusiumÈ ha sempre dato la chiusura dell’Anno Accademico e, in- positive segnalazioni. sieme, il 10¡ anniversario di attività, pri- Da notare che l’Unitre di Sant’Anto- ma come sede succursule (o distaccata) nino si è «allargataÈ a Villar Focchiardo dell’Unitre di Almese, da qualche anno 280 Çsede autonomaÈ, una qualifica guada- I vini della Valle di Susa gnata sul campo grazie alla multiforme, ben organizzata attività. e il consorzio di tutela Gli iscritti in media si avvicinano ogni anno alle 300 unità. Soprattutto è ri- levante la partecipazione alle iniziative proposte dal programma, a cominciare dai corsi sistematici che ricordano con af- fettuosa nostalgia quelli scolastici di tanti anni prima. Poi l’ampia scelta nel campo dei ÇlaboratoriÈ (dal ricamo al restauro in legno e altro). Infine le iniziative cultura- li varie e insieme di svago, quali le gite, i viaggi, le manifestazioni, le conferenze su temi di viva attualità. Da alcuni anni la viticoltura valsusina Nei programmi si nota l’impegno per ha preso animo e nel 1997 è arrivata la una impostazione coerente e misurata, Denominazione di Origine Controllata secondo la miglior tradizione dell’Unitre; Valsusa (Doc Valsusa) il cui disciplinare un risultato sicuramente significativo ot- di produzione prevede la seguente com- tenuto con una indefessa dedizione di pa- posizione: non meno del 60% di uve Ava- recchie persone. nà, Barbera, Dolcetto, Neretta cuneese, Il merito di questi dieci anni fortu- da sole o insieme e dal 40% di altri viti- nati ha numerosi protagonisti, a comin- gni autorizzati nel territorio della provin- ciare dalle centinaia di ÇallieviÈ, alle cia di Torino. schiere dei docenti; ma in primo piano Si è così rinverdita un’antica tradizio- va collocato il gruppo dirigente, a co- ne ed ora l’area di produzione del vino minciare dall’ex presidente Giovanni Doc Valsusa comprende 19 Comuni da Brunetto a quello attuale, la Dr. Patrizia Almese ad Exilles, con vigneti anche ad Battaglini Lucciola, con una menzione una quota assai elevata, vicina ai 1.000 speciale per la ben nota efficienza della metri. Segreteria. A riconoscimento dei meriti Per favorire questa ripresa vitivinico- dell’Unitre di Condove alla festa ha la nel dicembre 1999, con tutti i crismi presenziato Irma Maria Re, presidente dell’ufficialità, presso la Comunità Mon- nazionale. tana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia C’è da rimarcare che alle attività del- si è costituito il Consorzio per la tutela l’Unitre di Condove prendono parte non dei vini valsusini che si è dato un consi- pochi iscritti dei paesi vicini, evidente- glio d’amministrazione e un presidente, mente attirati dalla qualità e varietà delle Francesco Sibille di Gravere. offerte culturali, dal clima amichevole. Importante anche il marchio del Con- Dopo dieci anni di positive attività sorzio: un’insegna non solo di garanzia, questa Unitre ha ancora rilevanti possibi- ma che dovrebbe anche accrescere il nu- lità di tenuta e di sviluppo perché è tra le mero dei produttori di vino associati in più dinamiche, coordinate, funzionanti in Valle. Valle di Susa.

281 Giovanni Sicheri diane esperienze, non aveva mai appro- vato Ð e accettato con disappunto Ð la spaccatura della Valle in due Comunità montane. ÇPer lui la divisione tra Alta e Bassa Valle era stato un inciampo ad un comune sviluppoÈ. Il sindaco Giovanni Sicheri vedeva giusto e aveva mille ragioni logiche di non gradire questa assurdità. Purtroppo gli era stato impossibile persuadere chi pregiudizialmente non voleva sentire ra- gioni. Ora mancherà in Valle la sua voce ammonitrice sul registro del buon senso e della serietà.

Gli alpini ricordano la conquista del Monte Nero Gli alpini non dimenticano la storia, tanto meno le vicende che li videro prota- gonisti. Alla fine di settembre dello scorso an- no, nel corso dei festeggiamenti patronali Era stato sindaco di Susa dal 1970 al di Villar Focchiardo, il locale gruppo del- 1980 e ora sindaco di Gravere in carica. l’Associazione Alpini ha voluto riportare Dopo una vita spesa in molti, lunghi, fati- alla memoria un ÇloroÈ fatto storico cele- cosi impegni pubblici è deceduto Gio- brando l’ardimentosa conquista del Mon- vanni Sicheri che a metà ottobre 2000, te Nero avvenuta il 15 giugno 1915 per nella cattedrale di San Giusto ha ricevuto opera della 84a compagnia del battaglio- Çfunerali di statoÈ, a giudicare dalla par- ne Exilles, 3¡ reggimento alpini. tecipazione, dalla presenza di personaggi La vetta di quella montagna (2.245 rivestiti di cariche istituzionali. m), tenuta dagli austriaci venne scalata la Come ha scritto, commosso, il diret- notte del 15 giugno 1915 da cinque alpini tore di ÇLa ValsusaÈ, era uomo di sentita guidati dal sottotenente Alberto Picco; li religiosità. Mai venuta meno Çla sua par- appoggiava da vicino tutta la compagnia tecipazione attiva alla vita della parroc- al comando del capitano Vincenzo Arba- chia di San Giusto...È e Ç...succede rara- rello. Il colpo a sorpresa riuscì grazie alla mente che un uomo attivo, dai mille im- bravura e al coraggio di quei giovani. pegni venga a messa quasi tutti i giorni e Durante la serata commemorativa a faccia la Comunione senza per questo es- Villar Focchiardo il generale Cesare sere iscritto al gruppo dei bigottiÈ. Meano ha proiettato le belle diapositive Riferiscono i necrologi, tutti impron- scattate nel 1995 quando una delegazione tati a sincero rimpianto, che nella sua vi- di penne nere si recò sul Monte Nero (ora sione dei problemi della Valle di Susa, in terra slovena) per celebrare l’ottantesi- frutto di attente osservazioni e di quoti- mo anniversario dell’eroica impresa. 282 Premio ÇL’ArcangeloÈ 2000 Ricordo di Bersezio nel centenario della morte

L’Associazione Immagine per il Pie- monte premia ogni anno sodalizi, enti, scrittori, artisti, ricercatori, studiosi che abbiano svolto attività meritevoli contri- buendo ad affermare l’onore e il prestigio della terra piemontese di oggi, muovendo dalla consapevolezza del passato e guar- dando al domani. Lo scorso anno ÇL’Arcangelo premio Da poco si è compiuto il secolo dalla di cultura» 1999 è stato assegnato a «Se- morte di Vittorio Bersezio, nato a Pevera- gusium - Società di Ricerche e Studi val- gno (Cuneo) nel 1828 e morto a Torino susiniÈ. Per l’anno 2000 la giuria – pre- nel febbraio 1900. sieduta dal conte Alessandro Cremonte Giornalista e anche deputato ebbe la Pastorello Ð ha assegnato ÇL’Arcangelo» direzione de Il Fischietto primo giornale alla Real Casa Fotografica Chialvo di umoristico illustrato italiano (tra i colla- Racconigi: Çcome alto riconoscimento boratori Norberto Rosa). Collaborò an- per l’attività fotografica e di documenta- che ad altre testate torinesi finché nel feb- zione svolta nel XX secolo attinente i va- braio 1867 fondò a Torino il ÇsuoÈ quoti- lori della cultura e della storia del Pie- diano: Gazzetta Piemontese. monte e di Casa Savoia nel passato e nel Con il valente giornalista erano sempre presente e per lo stimolo e la promozione convissuti il commediografo, il romanzie- svolte negli ultimi 100 anni a favore del- re, infine lo storico. Frutto di questa molte- l’immagine del Piemonte in Italia e nel plice attività fu, tra l’altro, nel 1877 la rea- mondoÈ. Un’immagine che si affida alla lizzazione Ð primo in Italia Ð di un Çsup- figura di Vittorio Alfieri. plemento letterarioÈ nella Gazzetta Pie- La cerimonia di premiazione è stata montese. Il vecchio, un po’ greve e mono- abbinata al tradizionale convivio natali- corde giornale ottocentesco con intenti for- zio nella Sala Guarini al Palace a mativi, gradualmente apriva le porte ad Torino la sera del 13 dicembre 2000. una maggior varietà di temi. 283 Nel 1880 Bersezio cedette il giornale a Luigi Roux il quale nel 1894 lo fece di- ventare La Stampa, tuttora in vita. Tra i sostenitori subalpini della lingua italiana quasi ignota nell’800, Bersezio non disdegnò il piemontese nella stesura di una trentina di opere, con lo pseudoni- mo Carlo Nugelli. Proprio in piemontese produsse la commedia che lo ha consegnato indele- bilmente alla storia della letteratura: Le miserie ’d Monsu Travet (1863), opera lodata da Alessandro Manzoni e da Bene- detto Croce e che Camillo Brero dice «degna di figurare nel più vasto campo della letteratura mondialeÈ (Segusium, n. 36, 1998). Più di trent’anni dopo, poco prima di morire, Bersezio portò a termine la sua ultima bella commedia: Bastian Contrario.

Un castello di progetti Susa, 16 dicembre 2000, Castello del- la Contessa Adelaide, ÇGiornata di studio sui beni architettonici e ambientaliÈ, vale a dire una sequenza di Çprogetti di stu- dioÈ affidati nell’enunciazione ad un nu- mero elevato (troppo?) di relatori con ben scarso tempo a disposizione. Se ne sono occupati: Maria Pia Piras, teri ad interessarsi dei beni architettonici Daniela Formento, Micaela Viglino, Car- e ambientali nelle Valli di Susa. E a crea- la Bartolozzi, Liliana Mercando, Giuse re premesse utili per il futuro, in attesa di Scalva, Luisella Peirani, Carlo Tosco, poter mettere a fuoco qualche ÇprogettoÈ Claudia Bonardi, Andrea Bruno, Giusep- che secondo le dichiarate linee operative pe Sergi, Luca Patria, Luigi Provero. Or- della Regione Piemonte rappresenti ope- ganizzatori dell’incontro l’Associazione ra di valida tutela dei beni culturali da Amici del Castello della Contessa Ade- non considerare a sé stanti, ma parte del laide, la Regione Piemonte, la Provincia loro contesto ambientale. di Torino. Come a dire ipotesi e poi interventi I vari temi nella vasta materia, più che davvero di intenzioni ottimali, quanto un atteso, logico inventario, hanno dato mai impegnativi. la sensazione di un «carotaggio» in più direzioni, probabilmente allo scopo di saggiare la disponibilità dei pubblici po- 284 Nuovi piloni votivi vo già esistente nel 1700 e demolito nel 1930 durante la costruzione della strada a Condove carrozzabile Condove-Mocchie. L’ultimo in ordine di tempo (foto n. 3) è sorto nella zona montagnosa di Con- dove non lontano dai ruderi dell’entica Chiesuola di San Pietro alla Roceja. é stato dedicato alla Santissima Trinità dal- la famiglia di Gagnor Pier Giorgio, P.G.R., coadiuvata da: don Silvio Berto- lo, il Comune di Condove, la Proloco, i Vigili del Fuoco, la Famiglia di Pieruz Giorgio, Renato Rocci, Renzo Selvo e la ditta Versino di Villar Focchiardo. Nell’edicola saranno anche collocate le immagini della Sacra Famiglia e di S. Pietro in Vincoli. La costruzione muraria è opera di Bruno Senor che, con un pa- ziente e faticoso lavoro, l’ha abilmente realizzata in un luogo isolato e non forni- to di acqua, né di elettricità. (p.g.g.)

A Condove in dodici mesi sono sorti altri tre nuovi piloni e la già numerosa se- rie di sacelli presenti sul territorio comu- nale ha raggiunto la notevole cifra di 89. L’anno scorso, in occasione del Giu- bileo, in via Papa Giovanni venne realiz- zato il progetto nato da un’idea delle si- gnore Maria Rinelli e Lucia De Innocen- tis (foto n; 1). Inizialmente nell’edicola venne collocata una statua della Madon- na, ma nel mese di maggio 2001 il pittore Piero Pautasso ha completato l’opera con una tavola che riproduce lo sfondo della Sacra di San Michele. Il giorni 11 novembre 2000 venne inaugurato il pilone delle borgate Giagli e Fornacchia (foto n. 2) dedicato alla Ma- donna del Rocciamelone. Le comunità formate da circa 40 residenti si erano atti- vate per ricostruire il vecchio pilone voti- 285 286 Occitano lesa (Valle Cenischia), Meana, Mattie, Chianocco, Rubiana (Bassa Valle di Susa), e franco-provenzale Giaveno, Valgioie, Coazze (Val Sangone). Articolo n. 6 della Costituzione della Tra l’altro il 30 giugno scorso il Cir- Repubblica Italiana: ÇLa Repubblica tu- colo Didattico di Oulx ha messo in pro- tela con apposite norme le minoranze lin- gramma di far iniziare nell’anno scolasti- guisticheÈ. Le Çapposite normeÈ hanno co 2001-2002 l’insegnamento di «Lingua impiegato oltre cinquant’anni a tradursi e cultura localeÈ. Un atto concreto per nella Legge 482/1999 (non certo un dare sostanza alle buone intenzioni di esempio di sollecitudine delle Camere belle parole. del Parlamento di casa nostra). Più sollecito era stato il Consiglio Re- gionale del Piemonte che in data 10 apri- Il Parco Orsiera Rocciavré le 1990 (a vent’anni dalla nascita) ap- provò a larga maggioranza la legge n. 26 ha compiuto vent’anni su ÇTutela, valorizzazione e promozione Il 14 dicembre 2000 il Parco Orsiera della conoscenza dell’originale patrimo- Rocciavré ha raggiunto la bella età dei nio linguistico del PiemonteÈ al dichiara- vent’anni. to scopo di valorizzare «...l’originale pa- Come quasi tutte le strutture pubbli- trimonio linguistico del PiemonteÈ per- che nel nostro paese anche il Parco si è ché lo considera «...parte integrante del- avviato un po’ alla garibaldina, un misto l’azione di tutela della storia e della cul- di slancio volonteroso abbinato ad una ap- tura regionale...È. prossimazione un po’ pericolosa. Cele- Ora è la volta dell’Amministrazione brando la ricorrenza lo ha ricordato il pre- provinciale che, per dare attuazione alla sidente Mauro Deidier: dopo alcuni anni legge dello Stato 482/99, l’11 giugno dalla costituzione Ð ha dichiarato a Bruno 2001 ha deliberato la perimetrazione e Andolfatto per ÇLa Valsusa»: «...non c’e- definizione del territorio a minoranza lin- ra una sede e gli uffici erano nel sotterra- guistica della Provincia di Torino, su in- neo della piscina di Giaveno in locali di dicazioni dei Comuni (che in tutto sono due metri per tre», non solo, «...non c’era una sessantina). una sola struttura di appoggio in quota per Per quanto riguarda le Valli di Susa e l’attività dei guardiaparco, il bilancio (cir- del Sangone la ripartizione è la seguente ca un miliardo e mezzo) copriva al 98% in base all’identità linguistica locale, le spese correnti, ...i rapporti con il perso- compresa quella delle comunità valdesi nale di vigilanza erano difficili...È. delle Valli Chisone, Pellice, Germanasca In questo groviglio di spine al Parco si dove il francese è la lingua del culto. sono districati prima risolvendo le grane e La ripartizione n. 1 delle zone lingui- le manchevolezze interne, poi trovando i stiche comprende i Comuni Occitani: Se- mezzi per sistemare la Certosa di Monte strières, Sauze di Cesana, Cesana, Cla- Benedetto (400 milioni), costruendo (con vière, Oulx, Sauze d’Oulx, Bardonec- mezzo miliardo) 5 casotti di sorveglianza chia, Salbertrand, Exilles, Chiomonte, in quota indispensabili per seguire sul ter- tutti in Alta Valle di Susa. ritorio la vita animale e vegetale. La zona n. 2 comprende i Comuni a Non solo, ma si è trovato il modo di lingua franco-provenzale Gravere, Gia- dedicare mezzi e attenzione anche al For- glione (Alta Valle di Susa), Venaus, Nova- te di Fenestrelle in Val Chisone. 287 Sul fronte faunistico nel 1993 è avve- nuta l’introduzione dello stambecco; in progetto Çil paradiso delle raneÈ anche come zona di richiamo turistico e altre novità per fare dell’Orsiera Rocciavré un parco efficiente, bello, vivo.

Gli stemmi dei Vescovi della Diocesi di Susa é antica tradizione (a partire da circa metà del secolo XIII) che ogni vescovo si dia uno stemma araldico, o ÇarmaÈ, che diventa il sigillo da apporre sui documen- ti ufficiali del suo episcopato. Lo stemma compare, ben visibile, sulla facciata della Cattedrale, del Palazzo vescovile, del Se- minario diocesano. Lo stemma del defunto Mons. Vitto- con la scritta in rosso ÇNon enim erube- rio Bernardetto aveva come figura cen- sco EvangeliumÈ, ossia ÇNon mi vergo- trale uno scudo azzurro con al centro un gno - non arrossisco - del VangeloÈ (con bastone pastorale e in basso un cartiglio quell’«enim» rafforzativo). Lo stemma ecclesiastico di Mons. Alfonso Badini Confalonieri Ð 15¡ vesco- vo della Diocesi di Susa Ð, ben visibile sul portale della Cattedrale in Piazza Sa- voia, è composto da uno scudo a forma di calice, da una croce d’oro dietro lo scudo (e vi appare con l’elsa a forma di croce). Lo scudo è sormontato da un cappello prelatizio con cordoni a sei fiocchi (tutto di colore verde); particolare identico al predecessore. Nello scudo, nel primo partito in az- zurro (ossia la metà di sinistra) c’è un leone d’oro che regge una bandiera e de- riva dall’antico stemma civile della fami- glia Badini Confalonieri. Il secondo partito (la metà di destra) è Çinterzato di rosso e oroÈ con una croce, una rosa rossa e un cuore. Il motto di Mons. Badini Confalonieri è «Non mihi Domine» («Non a me, o Si- gnore») esprime sincera dedizione e umiltà verso il Signore, datore di ogni bene. 288 Un Piccolo Principe ÇL’uomo dal fiore in bocca» Bardonec- chia ha consacrato la serata di sabato 26 in Alta Valle febbraio 2000. C’era una volta un Piccolo Principe, A dar voce a questi drammi, un gran- che da un mondo piccolo piccolo, sul de Michele Placido e una grande ed inu- quale regnava, curando una rosa e quat- suale colonna sonora, col sax di Enzo tro vulcani, giunse un bel giorno in que- Avitabile, ma anche tante reminescenze sto nostro grande e complicato mondo. di sapore etnico. La serata, dall’evocato- La storia, celebre, narrata da Antoine de re titolo di ÇBeffe della vita e della mor- Saint-Exupery, è approdata anche in te» ha segnato l’ennesimo traguardo di Valle di Susa, proprio all’esordio del qualità nel cartellone teatrale del Palazzo 2000, grazie ad una rappresentazione delle Feste bardonecchiese. teatrale proposta al Palazzo delle Feste di Bardonecchia. Nato dalla collabora- zione tra la compagnia di Giorgio Alber- Le musiche del Graal tazzi e l’Associazione Culturale Manni- ni Dall’Orto, la pièce è sostenuta dallo al Castello di Adelaide stesso Dall’Orto, insieme ad Alcese Fer- C’è fame di radici antiche oggi fra rari, Luisa Guicciardini e il piccolo Max tanti. giovani e meno giovani. Solo così Panconesi. si spiega il grande successo incontrato a Un Piccolo Principe perfetto, fioren- Susa dal Laboratorio Musicale del Graal, tino di origine fuori dalla finzione sceni- nel concerto organizzato a fine luglio ca, ma arrivato da poco dal Brasile, capa- 2000 dalla Associazione Amici del Ca- ce di destreggiarsi con agilità fra l’inge- stello. nuità, la dolcezza, l’ironia e la malinco- Il gruppo musicale, nato nel 1986 a nia di quel Piccolo Principe amico di una Londra è oggi uno dei gruppi italiani di volpe. La voce di Irene Grandi, che il musica celtica più apprezzati e ricono- pubblico conosce per ben altro genere di sciuti, ormai anche a livello internaziona- interpretazioni musicali, ha offerto al la- le. La loro proposta spazia dal repertorio voro una nota di magia in più con la Can- bretone a quello irlandese, dalla tradizio- zone della Rosa, cioè il commiato fra il ne scozzese a quella dell’area celtica in Piccolo Principe e la sua amata rosa. generale. Gli strumenti sono altrettanto Çtradi- zionaliÈ: tamburi dai suoni evocatori e Pirandello a Bardonecchia profondi, cornamuse ed arpe celtiche, flauto sciamanico e un antico bouzuki. Pirandello: non occorrono preamboli Il gruppo, formato da dieci elementi, per illustrare la grandezza di questo auto- non si accontenta però di proporre solo re. Eppure non tutte le sue opere sono no- musica. La danza infatti, che accompa- te al grande pubblico. È il caso de «All’u- gna il loro repertorio, è parte e momento scitaÈ, storia di tre morti che non riesco- integrante di una rievocazione capace di no a lasciare definitivamente la terra, poi- toccare le corde più profonde dell’anima. ché ancora legati ad essa da qualche fac- Di un’anima che affonda le proprie radici cenda in sospeso: un po’ d’amore, un in un mondo che, grazie al Laboratorio frutto maturo di melograno, un po’ di pa- Musicale del Graal, non è andato del tut- ce... A quest’opera e alla più celebre to perduto. 289 Tre valsusini locate dentro la mandorla in pietra del- l’Arena romana di Susa. e la musica celtica Così è stato anche per l’edizione Cosa potrebbero avere in comune tre 2000. Dalle danze eteree provenienti dal giovani valsusini, di Borgone, Sant’An- gelo della Siberia, alla frenesia solare del tonino e Giaveno, con la musica celtica e gruppo Tungurahua dell’Ecuador, pas- irlandese? Apparentemente nulla. Eppure sando per le esibizioni ÇnostraneÈ del a questa musica, lontana per geografia e gruppo segusino, degli Spadonari di Ve- cultura, è consacrato l’impegno dei Filid, naus e delle Majorettes di Bussoleno, la il gruppo valligiano composto da Mauri- rassegna del Folk targata Susa ha ancora zio Marcellino, Marco Rege e Davide una volta colto nel segno. Per capirlo è Vergnano, giunto nei primi mesi del 2000 bastato osservare il pubblico che gremiva a lanciare il suo primo album di folk ir- l’arena ed asciltare gli applausi che han- landese, made in Valsusa. no scandito l’intero pomeriggio di festa. La scelta, dettata da una grande pas- sione per la musica e la tradizione cultu- rale irlandese, pare essere vincente. Ospi- ÇProfumo di stelleÈ ti al Festival Internazionale dei Burattini e di ghiotta cucina di Genova, una tournée nel Lazio, il Car- nevale di Viareggio, un Cd composto da ÇProfumo di stelleÈ. Bel titolo per par- 11 brani di tradizione irlandese ed ameri- lare di cieli e cibi delle nostre Valli. Un ac- cana e alcune loro canzoni inedite, sono costamento ardito, quello inventato dall’A- quanto i Filid hanno già realizzato. tl e da Montagne Doc per l’estate e l’inizio A ciò si aggiunga l’attività di anima- dell’autunno 2000. In sostanza, una serie zione nelle scuole, là dove il terzetto in- di serate per parlare di astronomia, ma an- segna ai bambini a costruire strumenti che per gustare piatti tipici, in località dove musicali utilizzando materiali di recupe- è ancora facile vedere le stelle, senza il di- ro. Ce n’è davvero per applaudire all’ori- sturbo dell’inquinamento ottico ormai dif- ginalità. fuso anche in tanti centri della nostra Valle. La serata inaugurale ha avuto per sfon- do il cielo di Chianocco, per tema gli aste- roidi e per ÇcontornoÈ gastronomico tomi- La «Castagna d’oroÈ 2000 ni freschi, salami valsusini, trote in carpio- Ballerini dell’Ecuador e del Tibet, ne e taglioli ai porcini, sacocia ripiena e pa- danze del centro Africa e costumi della tate al forno, torta di mele e cioccolata. siberiana repubblica di Buriazia: questo e Il tutto servito dall’Ostu d’Pavajun, altro al 35¡ appuntamento segusino con il ristorante sistemato nei locali dell’antica Folklore internazionale. scuola della borgata di Pavaglione. E do- La «Castagna d’oro», ideata e voluta po gli asterodi è stata la volta del pianeta dall’arch. Fabiano, presidente onorario di Marte, della ricerca degli extraterrestri, ÇSegusiumÈ, nel corso dei decenni ci ha delle stelle cadenti, dei pianeti medicei e ormai abituati ad incontrare danze e co- della luna. I posti in cui si è gustato il stumi di ogni parte del mondo, eppure, profumo delle stelle? Usseaux e Sauze ogni anno, c’è un pizzico di stupore nel- d’Oulx, Claviere e Bardonecchia, Fusero l’osservare le esibizioni di culture tanto e Sacra di San Michele, per citare solo al- lontane, in certa misura ÇesoticheÈ, col- cuni dei cieli più suggestivi e... gustosi. 290 L’Arcangelo Michele in teatro Gli angeli sono esseri di luce, mes- saggeri celesti, custodi dell’uomo. Così almeno sostengono quelli del ÇTeatro dell’Ora Esatta», che il 10 e 11 giugno 2000 hanno presentato alla Sacra di San Michele proprio un’opera dedicata a que- sti esseri alati, di tradizione ebraico-cri- stiana, ma non solo. Lo scenario, quello dell’Abbazia del Pirchiriano, è senza dubbio il più adatto ad ospitare un lavoro del genere, dedica- to com’è ad un Angelo speciale, un Ar- cangelo, come Michele. Lavoro che na- sce da un gesto d’amore e di ricordo af- fettuoso, capace di varcare i confini della morte, poiché è dedicato a Claudia Geno- vese, fondatrice insieme a Marco Rossa- nino e ad Anna Pilotti della Compagnia Teatrale «dell’Ora Esatta» e che proprio poco prima della morte, avvenuta im- provvisamente, aveva espresso il deside- rio di raccontare qualche storia di angeli. Ecco dunque come è nata la rappre- sentazione, tratta liberamente da testi di- In due tornate Ð mattino e pomeriggio versi, da scritti di Yukio Mishima e da Ð presieduti da don De Faveri e don Po- Vassalikov. polla Ð sono intervenuti: Renzo Savarino: L’edificio sacro nel secolo XI; Luisella Pejrani Baricco: Lettura stratigrafica del- Cattedrale di San Giusto le strutture della chiesa abbaziale; Giu- inesauribili sorprese seppe Carità: Ipotesi sui modelli di San Giusto in epoca romanica; Carlo Tosco: La Cattedrale di San Giusto a Susa, Architettura gotica in San Giusto; Susan- pur studiata a fondo per una vita da mons. na Salines: Gli affreschi del San Giusto: Severino Savi, riserva nuove sorprese il contributo dell’archeologia; Claudio che emergono nel corso dei lavori di re- Bertolotto: Testimonianze pittoriche ri- stauro in atto da circa un decennio. trovate; Giovanni Romano: La scultura Per leggere una aggiornata storia e fa- lapidea: l’altare romanico e i capitelli go- re il punto sull’ormai millenario monu- tici; Guido Gentile: L’antico arredo litur- mento, il 21 ottobre 2000, nella stessa gico del presbiterio; Michele Ruffino: Cattedrale (o Basilica), si sono radunati a Cronaca dei recenti restauri della Basili- convegno diversi relatori di qualità scien- ca-Cattedrale; Giancarlo Santi: Arte e ar- tifica nota per inquadrare in una visione chitettura a servizio della comunità cre- complessiva il passato e il presente. dente. 291 Il Museo d’Arte Sacra a Susa è realtà Venerdì 22 settembre 2000 si inau- gurò il Museo Diocesano di Arte Sacra di Susa. Un evento culturale di grande por- tata per la Diocesi e per l’intera Valle, che finalmente può offrire al turismo di qua- lità un luogo in cui ammirare – ed era proprio ora che accadesse! – i tesori d’ar- te e di fede che fino a ieri giacevano in bui armadi di sacrestia. Il Museo è ospitato nei locali, com- pletamente e attentamente restaurati della centralissima ed antica Chiesa della Ma- donna del Ponte. Uno spazio espositivo concepito secondo i più moderni criteri museali, in cui l’oggetto d’arte, sia esso il Trittico di Bonifacio Rotario o la Croce processionale detta Çdi Carlo MagnoÈ, non è chiuso immobile e muto in teche di A fianco: una pisside in avorio (donne alla tom- vetro, ma continua ad interagire con il ba di Cristo), secolo VI, provenienza da Siria- mondo esterno. Non solo, ma il museo, Palestina. che per ora può contare solo sullo spazio Sopra: croce processionale del sec. XIV in ar- segusino, diventerà negli anni sempre più gento sbalzato su anima di legno. museo di territorio. Saranno infatti inaugurate anche alcu- ne sezioni staccate a Novalesa, Giaglione e Melezet, che ospiteranno le collezioni Anna Branciari di arte sacra maggiormente legate a quel- lo specifico contesto ambientale e cultu- in mostra al Sestriere rale. Un’occasione in più per far diventa- Sestriere ai più evoca neve, impianti re la Valle di Susa una Valle capace di tu- di risalita, magari la famiglia Agnelli... rismo non solo invernale. Eppure a Sestriere il mondo non è tutto fatto di sci. Esiste anche la possibilità, ra- ra, ma non impossibile, di andar per mo- stre e di gustare l’arte vera. Ne è stato esempio la personale di Anna Branciari, tenutasi al Grand Hotel Principi di Piemonte, dal 5 al 15 febbraio 2000. La Branciari, artista segusina cre- sciuta artisticamente a Macerata e a Ro- ma ed educatasi nello studio del maestro Pannaggi, a Sestriere ha offerto una ras- segna di un cammino artistico comincia- to già negli anni ’70. Olio, acrilico, ac- 292 qua e di là delle Alpi. Mai nessuno, però aveva pensato di ritornare, in modo orga- nico e puntiglioso, in quei luoghi che in certa misura dipendevano ed erano legati alle vicende dell’abbazia clusina. Nel maggio 2000 a colmare questo vuoto (con l’intenzione di arrivare alla pubblicazione di un lavoro sul tema) ci hanno pensato l’Associazione Amici di Avigliana e l’Associazione degli Amici della Sacra. Sono bastati un pulmino, una mappa dettagliata dei posti da visitare, ed eccoli in viaggio per la Linguadoca e il Sud della Francia. Nimes, Albi, Lezar sur Leze, Tolosa, Carcassonne, Fontfroid, Perpignan, Peyrepertuse sono state le tappe principali di questo speciale viag- gio nella memoria. Viaggio che non è stato di solo turi- smo, ma che ha consentito l’incontro con storici locali, primo fra tutti Pierre Lucas, autore di uno studio specifico sull’abba- zia di Lezar sur Leze, che dipendeva pro- prio dalla ÇnostraÈ Abbazia di San Mi- Anna Branciari: Susa - Santa Maria Maggiore chele della Chiusa. Tanta storia, tanta sto- realizzata per la cartella di ÇMille e ancora Mil- le... anni di luceÈ. ria dell’arte, gustata dai pochi che hanno intrapreso il viaggio, ma che ci auguria- mo possa diventare patrimonio condiviso quarello: la sua tecnica spazia dall’una al momento della pubblicazione di uno all’altra forma con abile sicurezza. studio in proposito. Ma la sua espressione arriva anche al- la creta, al bronzo, all’acquaforte, con cui, per esempio, ha realizzato recentemente Città d’arte in musica. lavori in commemorazione del Centena- L’esempio di Sant’Ambrogio rio della Madonna del Rocciamelone. Un’artista di spicco, una mostra di pregio Tutti ormai conoscono e apprezzano ed una cornice invernale che ha saputo le giornate consacrate all’arte, all’acco- valorizzare tanto l’una quanto l’altra. glienza turistica, alla storia e intitolate «Città d’arte a porte aperte». Non ne dia- mo quindi rendiconto, poiché davvero Dalla Sacra alla Francia troppi sarebbero le città e i paesi della sulle orme della storia Valle che anche quest’anno hanno spa- lancato le loro porte ai turisti. La Sacra di San Michele, si sa, negli C’è invece un’iniziativa culturale, pa- anni del suo massimo splendore medioe- rallela e con titolo simile, che merita cen- vale, contava su ampi possedimenti di no e soprattutto ascolto. Si tratta di «Città 293 d’arte in musica». Potremmo definirla la colonna sonora di «Città d’arte a porte aperteÈ, che nel marzo scorso ha fatto tappa anche a Sant’Ambrogio. L’idea è quella di far conoscere attra- verso il mezzo più consono, un concerto, gli strumenti musicali celati nel cuore di tante cittadine piemontesi. Sono organi, soprattutto, alcuni con una grande storia alle spalle. Ed è questo il caso dell’orga- no santambrogese: strumento di fine ’700, di cui rimangono le canne in faccia- ta, composto di 17 registri e 1038 canne. I brani eseguiti a Sant’Ambrogio (Bach, Hendel, Domenico Gabrielli) sono diven- tati, insieme ad altri pregevoli pezzi, re- gistrati a San Giorgio Canavese e a Mon- tanaro, un Cd, vero fiore all’occhiello per la parrocchiale dedicata a San Giovanni Vincenzo, che da oggi può vantare anche questo riconoscimento Çin musicaÈ.

San Giovanni Vincenzo eremita a Celle San Giovanni Vincenzo fu vescovo La grotta di San Giovanni Vincenzo come si del Ravennate ed eremita a Celle, capace presenta all’esterno. (Foto di P. Bressano). di lunghissimi viaggi. Così ci racconta la storia della sua vita, che lo vede in cam- Le reliquie dunque, a dorso di mulo, mino fino in Spagna, sulle orme del mae- partirono da Celle, ma alla Sacra non ar- stro San Romualdo, e così ce lo attesta rivarono mai. Per qualche ragione, che l’indagine medica condotta recentemente molti vollero miracolosa, giunto a sulle sue reliquie, da cui traspare l’ossa- Sant’Ambrogio il mulo non volle saperne tura di un uomo che davvero tanto cam- di proseguire. E San Giovanni Vincenzo minò nella sua vita. venne seppellito dunque ai piedi della Sa- Ma in questi ultimi mille anni (tanti ne cra. Ma il suo peregrinare non si conclu- sono trascorsi dalla sua morte) neppure le se lì. A mille anni dalla morte, infatti, sue spoglie sono rimaste tranquille. Sep- l’urna del Santo ha ripercorso la strada pellito sul Caprasio, dove aveva trascorso inversa e per una settimana è ritornata a gli ultimi anni della sua vita in romitag- Celle, accompagnata dai sindaci di Ca- gio, dopo 154 venne traslato (o trafugato) prie e di Sant’Ambrogio e da tanta folla per volontà dell’Abate della Sacra, che devota. Poi, nuovamente, un viaggio fino volle attribuire la fondazione miracolosa a Sant’Ambrogio, dove l’urna riposerà, dell’abbazia sul Pirchiriano operata pro- almeno fino alla prossima millenaria ce- prio dal vescovo-eremita di Celle. lebrazione. 294 Riavrà la sua bella voce l’antico organo di Novalesa L’Abbazia della Novalesa sede di im- portanti concerti per organo, inserita in un circuito provenzale? E magari anche sede di un centro di formazione per orga- nisti? Può essere. Anche se potrebbe a prima vista apparire strano, poiché l’ulti- mo organo a canne di cui si aveva notizia nel monastero novalicense risaliva al 1856. In realtà in un magazzino attiguo al complesso abbaziale è stato recentemen- te ritrovato un organo di enorme valore storico ed artistico. La data? XVII secolo. E non è poco. Non solo: la firma dell’organaro che lo rea- lizzò, incisa sull’anima della canna mag- giore, è garanzia di ulteriore rarità. Si tratta infatti di un lavoro eseguito da Cesare Ca- ogni anno, perché è lì che prende avvio la tarinozzi di Affile, un nome che ai profani parte religiosa di una festa anche profa- può non dir nulla, ma che agli addetti ai la- na. La mattina della domenica, infatti, vori fa brillare gli occhi di interesse. quest’anno come in ogni anno del passa- L’organo era stato donato, smontato, to, è stata dedicata alla celebrazione della dall’Abbazia Benedettina di Subiaco e Messa e all’individuazione della Priora, a poi, chissà perché, dimenticato in un an- cui annualmente è affidata la cura della golo. Lo stato di conservazione, comun- Cappella. que, è buono e sono presenti all’appello Ma nel pomeriggio, con il Çballo del- tutti i pezzi originari. Non resta dunque l’Orso» la festa prosegue su toni che for- che attendere la conclusione dell’attento se è scorretto definire semplicemente lavoro di restauro (ci vorrano un paio profani. Forse, come suggeriscono gli d’anni e circa 300 milioni) per poter nuo- studi etnografici che tanti in proposito vamente sentire echeggiare le note di un hanno condotto, si dovrebbe ancora par- organo a canne (e che organo!) nella lare di «rito», benché pagano, ancestrale. chiesa abbaziale della Novalesa. I cacciatori dunque, in quest’anno di nuovo millennio, così come è accaduto nei millenni passati, anno «stanato» l’or- A Mompantero so (la cui identità, diversa ogni anno, re- l’antico rito dell’orso sta comunque rigorosamente segreta), lo hanno incatenato e lo hanno condotto per A Santa Brigida è dedicata la cappella le strade del paese, fra la gioia varipinta della frazione Urbiano di Mompantero. dei bambini, abbondanti sorsate di vino e Cappella piccola, recentemente restaura- urla che, se non erano d’orso, certamente ta, rinnovata nel campanile, nella faccia- di umano avevano poco. E così, ancora ta, nel presbiterio e nel tetto. Cappella una volta, i fili del passato sono stati an- della quale si parla ai primi di febbraio di nodati a quelli dell’oggi. 295 Ha compiuto vent’anni ne, è riuscito a «tener banco» ad Aviglia- na, Bardonecchia, Cesana, Mattie, Coaz- il Traforo stradale del Frejus ze, Giaveno, Oulx, Rivoli, Rosta, Sauze Il traforo del Frejus ha compiuto d’Oulx e Susa. vent’anni. All’evento, pur fra polemiche Di cosa si è parlato in tutti gli incontri e qualche amarezza valsusina, è stata de- promossi nei vari paesi? Di patrimonio dicata ampia varietà di festeggiamenti, arboreo e di verde urbano; di raccolta dif- fra i quali anche un Convegno a Bardo- ferenziata e di risorse del bosco; di uso, necchia. consumo, depurazione dell’acqua; di di- Il tema, celebrativo, ma non solo, ha scariche e di educazione all’ecologia nel- preso l’avvio dal prossimo importante le scuole. appuntamento della Valle con il mondo: Ma non c’è stato solo tempo di parla- le Olimpiadi invernali del 2006. La do- re. Largo spazio è stato riservato, oltre manda era: come arriviamo sui luoghi che al ÇdireÈ anche al ÇfareÈ: passeggiate delle gare? La risposta, quasi obbligata, è ecologiche e pulizia di torrenti, fiumi, ca- stata: con l’Autostrada del Frejus. nali, sottoboschi e città hanno coinvolto E di qui, via a parlare di sicurezza, di tanti valsusini. E l’impegno di quanti già costi, di pedaggi. E inevitabilmente il sono attenti al benessere ambientale spe- confronto è stato con il Monte Bianco, il riamo sia servito d’esempio ai tanti, trop- rogo che lo ha devastato, la sua chiusura. pi, che ancora pensano all’ecologia come Di questo ha trattato anche un nome illu- ad una faccenda che riguarda Çgli altriÈ. stre del Convegno: il premio nobel Carlo Rubbia, che ha posto l’accento sulla ne- cessità di raffinare ulteriormente la tec- La Festa del Piemonte nologia con cui non solo si costruiscono, ma si controllano costantemente i trafori. numero 33 Perché oggi viaggiare in aereo è mol- La festa del Piemonte, che vede nella to meno pericoloso che spostarsi sulle commemorazione della battaglia della quattro ruote? Proprio perché agli aerei è Assietta il suo momento clou, nel 2000 è stata applicata una tecnologia avanzatis- giunta alla sua 33a edizione. Edizione che sima, che è ancora lontana dagli standard per la Valle di Susa si è dimostrata specia- della viabilità quotidiana, quella fatta su le, poiché non ha ospitato soltanto la festa strade e autostrade. sopra il Colle delle Finestre, ma l’intero programma 2000. Per far ciò si è partiti ben prima della metà di luglio. Già a fine Difesa dell’ambiente maggio hanno preso il via le celebrazioni, problema di tutti con la consegna del Gran Drapò, la ban- diera del Piemonte, a Chianocco, da parte I primi di giugno 2000 hanno visto ar- dei rappresentati della Valsesia, che han- rivare in Valle di Susa la Giornata Mon- no ospitato l’ultima edizione del millen- diale dell’Ambiente: iniziativa di sensibi- nio della Festa del Piemont. Ma inseriti lizzazione sui temi dell’ecologia promos- nel quadro delle manifestazioni, in tre sa dalla Provincia di Torino, insieme ad mesi intensi, hanno trovato spazio con- associazioni ed enti locali. Davvero un corsi enologici, Vijà (veglie) di solida- tema di cui in questa Valle non si parla rietà, serate di concerti cori e canti popo- mai abbastanza e che, in questa occasio- lari, convegni e conferenze, fiere di arti, 296 mestieri e prodotti locali, mostre fotogra- fiche e sfilate, disseminate in tanti paesi dell’Alta e della Bassa Valle di Susa, da Mompantero a Borgone, da Avigliana a Collombardo, da Oulx a Chianocco. Il tutto ha fatto da corona all’evento centrale della Festa del Piemonte: quella commemorazione della Battaglia del- l’Assietta di cui dicevamo in apertura, memoria di quel 19 luglio 1747 che vide nascere il Piemonte moderno grazie al valore testardo di un pugno di soldati pie- montesi, che riuscirono ad aver ragione di truppe francesi ben più numerose, ma certo poco determinate nel combattere una guerra che non era in casa loro. Massimo Mila in un’immagine che lo coglie in un ambiente a lui caro, la montagna.

Valsusa Filmfest Martyn New Orleans. Sauze d’Oulx e Se- dedicato al silenzio striere: film per le scuole I quattrocento Metà marzo 2000: prende l’avvio la colpi. Ancora Condove: rompere il silen- quarta edizione del Valsusa Filmfest. Te- zio sulle culture negate: I Curdi. Proiezio- ma: il silenzio. Di un silenzio di cui c’è ne del film: Un canto per Beko, di Niza- oggi un gran bisogno, in senso reale ed in mattin Aric. Bardonecchia: mostra Tino senso metaforico. E di un silenzio da in- Aime per Massimo Mila. E anche: Silenzi frangere, per dar voce a chi non ha voce. (l’altra Medea), di Luciana Falco, del Il programma di questo appuntamento gruppo Teatro in Rivolta. oramai fisso per la Valle e la cultura cine- Certo, un elenco. E neppure troppo matografica è tanto ricco da diventare, se completo. Ma sufficiente per capire concentrato in poche righe, un solo elen- quanta strada ha fatto il Valsusa Filmfest co di nomi. in quattro anni di vita. Ci proviamo comunque, per dar conto della varietà di proposte che il Valsusa Filmfest negli anni ha saputo catalizzare Alla scoperta ed armonizzare attorno a sé. Citiamo dun- della pietra verde que, piluccando qua e là dal calendario, che occupa più dello spazio di un mese: ÇAlla scoperta della pietra verdeÈ Oulx: incontro con Ales Doktoric, diretto- sembra un film di avventura, tagliato su re del Festival Sloveno, sul tema Rompe- misura per Indiana Jones. E invece è il re il silenzio sulle culture minoritarie. nome di un interessante depliant ideato Condove: omaggio a Massimo Mila. Sal- dalla Associazione della Pietra e della beltrand: Rompere il silenzio sulle culture Castagna di Bussoleno. Dodici itinerari, minoritarie, i Francoprovenzali, interventi dodici sentieri nati attorno alla antica Ca- di Valados Usitanos e de Li Barmenc. va della Fugera, nell’Indiritto di Bussole- Condove: concerto jazz con la Barry no, comprensivi di tavola di orientamen- 297 to, collocata in prossimità del Truc San di S. Giusto, appaia essere l’unico signo- Martin e di segnaletica verticale, che dav- re della valle. vero rappresentano un bel modo di pro- Forse la situazione era diversa e quel- muovere un turismo culturale di qualità. la concessione di un solo terzo rappresen- Il motivo conduttore degli itinerari è tava un difficile compromesso per lega- il marmo verde di Foresto, usato in tanta lizzare il possesso di fatto della valle, oc- architettura antica della Valle (portali di cupata dal nonno di Olderico, dopo lo chiese ed altari, ma anche capitelli e ar- spopolamento causato dalle spedizioni chitravi), apprezzato da Casa Savoia, che arabo-saracene. Un possesso illegale per- lo sfruttò fin dal 1724 e che lo utilizzò, ché Arduino il Glabro era un feudatario tra il resto, per i decori del Palazzo Reale del regno d’Italia mentre la valle di Susa di Torino. era una terra del regno di Borgogna. Gran parte della storia della valle di Susa è stata condizionata dall’essere stata I mille anni un territorio al di fuori dei confini dell’I- della Valle di Susa talia. Prima dei Romani al di là dell’anfi- teatro morenico abitavano i Taurini, di Ricordiamo un evento storico che non ceppo italico, di qua i Celti. Con i Roma- deve rimanere dimenticato. ni scomparvero le divisioni etniche ma ri- Mille anni fa, esattamente il 31 luglio masero quelle politiche e amministrative. 1001, Ottone III re d’Italia e di Germa- Poi arrivarono i Burgundi e dal 560 nia, imperatore del Sacro Romano Impe- d.C. la valle diventa dei Franchi e l’Italia ro, concedeva a Olderico Manfredi, conte dei Longobardi. di Torino e marchese del Piemonte e del- Dopo la parentesi carolingia, ritorna- la Liguria occidentali, il feudo di un terzo no le divisioni amministrative: la Valle di di Susa e della sua valle. Susa è del regno di Borgogna, la pianura Non è la prima volta che la valle di torinese appartiene al regno d’Italia che Susa entra nelle vicende storiche, ma è la sarà presto acquisito dagli imperatori ger- prima volta che viene citata in modo de- manici. Poi, dopo un nuovo periodo di finito, con molti dei suoi borghi più im- unione sotto i marchesi di Torino ed Ade- portanti: Avigliana, Almese, Villardora, laide, la valle tornerà ancora una volta ad Caprie, S. Giorio, Bussoleno, Salber- essere terra di Borgogna, attraverso il trand, Cesana... che, con questo atto, si possesso da parte dei conti di Savoia che, affacciano alla storia. partendo da qui, concretizzeranno il loro L’atto resta avvolto da un alone di mi- lento avanzamento verso Torino, che si stero: non sappiamo a chi siano andati gli concretizzerà tra la fine del Milletrecento altri due terzi. Sulla base di una labile e i primi del Millequattrocento. traccia sul possesso del castello di Susa (M.C.) gli storici pensano che la parte restante sia andata ad altri membri della famiglia arduinica, ma a chi e quando non lo sap- piamo. Come non sappiamo attraverso quali altri atti Olderico Manfredi, padre di Adelaide, meno di trent’anni dopo, al momento della fondazione del monastero 298 Cronache di Segusium

Relazione del Presidente

Assemblea ordinaria dei soci - Susa 28 aprile 2001 Pubblichiamo il testo della relazione all’assemblea dei soci (28 aprile 2001, Ca- stello di Susa) letta dal presidente di Segusium, Lino Perdoncin. ÇCari Soci, signore e signori, rispettando lo Statuto – che è nuovo di zecca – il Consiglio Direttivo di Segusium nella riunione del 3 aprile scorso, ha indetto questa assemblea ordinaria con l’ordine del giorno che a tutti è stato inviato per posta. A proposito di Statuto, in questo Castello di Adelaide, nell’assemblea straordinaria dello scorso 10 giugno 2000, alla presenza del notaio dr. Annese ci siamo messi in li- nea con la legge approvando una nostra “Carta Costituzionale”, pubblicata nel n. 39 della rivista Segusium. La stesura del nuovo statuto – dopo ampie consultazioni – è stata realizzata grazie alla regia del consigliere Alberto Perino al quale ha dato man forte il tesoriere Giorgio Maffiodo e altri ancora hanno collaborato. A tutti grazie. Che la legge 662 del 23 dicembre 1996 sia un provvedimento illuminato è difficil- mente dimostrabile. Secondo la poco lodevole tradizione italiana di linguaggio giuri- dico non è neanche chiara e per di più batte la strada dell’invadenza più che della sem- plicità efficiente. Sulla nostra rivista è stato scritto che paventiamo “sterili complica- zioni” al posto di sperati, necessari vantaggi per le associazioni culturali che come la nostra hanno bisogno di regole semplici per vivere ed operare. Senza disperare dell’avvenire, la nostra moderata diffidenza sembra naturale; il fu- turo dirà se abbiamo peccato di pessimismo, considerando che ogni tanto giunge noti- zia di “trattamenti di favore” a nostro giudizio immotivati (e non diciamo altro). Tutta- via abbiamo modificato lo statuto secondo la legge e lo rispettiamo.

Quest’anno 2001 è l’ultimo del quinquennio del Consiglio Direttivo in carica. A suo tempo il Presidente vedrà di fare un consuntivo dell’attivo e del passivo, dei pro e dei contro. Sin d’ora però chiedo a voi tutti di attivarvi per sollecitare le candidature a consigliere tra i Soci più valenti. In particolare da individuare tra le persone che sono attive, si interessano ai problemi culturali e hanno voglia di fare e fare bene. Per ora mi limito a rilevare che nell’anno 2000, al quale si riferisce questa relazio- ne a questa assemblea, si è operato con un impegno dignitoso, rapportato alle nostre forze, nei nostri settori di attività ormai tradizionali e nei quali Segusium gode di buo- na considerazione. In particolare, e in primo luogo, una novità: l’iniziativa chiamata “Mille e ancora mille... anni di luce” che ha raccolto intorno ad un tavolo di lavoro ben 9 associazioni culturali della valle di Susa da Avigliana ad Oulx. Promossa dalla professoressa Gem- 301 ma Amprino Giorio, presidente dell’associazione “Il Ponte” di Susa, l’iniziativa si proponeva di illuminare quattro monumenti: la torre del colle di Villar Dora, la faccia- ta ed il campanile di Santa Maria Maggiore di Avigliana, il campanile di Santa Maria Maggiore a Susa e la Torre Delfinale di Oulx. Il progetto ha avuto largo consenso ed in parte è stato autofinanziato dalle 9 asso- ciazioni: ottimo risultato sia di immagine che finanziario è stata la vendita delle cartel- le contenenti quattro acqueforti eseguite appositamente e gratuitamente da quattro ar- tisti valsusini: Anna Branciari, Paolo Genovese, Gabriel Girardi e Lia Laterza. Sono altresì state realizzate con una particolare tecnica fotografica otto cartoline degli stessi monumenti. La Segusium ha collaborato in modo positivo e personalmen- te sono soddisfatto di aver seguito l’iniziativa che ha avuto una conclusione felice e nei tempi prefissati, nonostante le varie difficoltà, non ultime quelle burocratiche. L’o- perazione si è chiusa il 16 febbraio 2001 con una pubblica manifestazione. L’impegno finanziario totale è stato di lire 160.000.000 interamente coperti.

Questa iniziativa offre anche un diverso spunto alla nostra riflessione: può la fran- tumazione attuale delle energie culturali presenti in valle di Susa dare impulso ad una serie di attività di sicura efficacia al servizio della Valle? Inoltre, data la frantumazione in atto, dietro alle sigle associative c’è sempre una capacità autentica di assumere iniziative regolari, continuative, di alto livello? Osser- vando questo nostro panorama valligiano si ricava la netta sensazione che dietro a ta- lune di queste sigle associative vi siano soltanto buone intenzioni non traducibili in azioni concrete, continuative, di reale spessore. Oppure situazioni monocratiche, sen- za organismi direttivi collegiali, senza pubbliche assemblee come quelle di Segusium. Sono dubbi che ci piacerebbe veder smentiti.

Come ognuno può vedere Segusium non soltanto fa le assemblee societarie, ma tiene fede ai suoi scopi istituzionali e tiene alta la propria insegna di “Ricerche e Studi valsusini”: attività di rado sotto i riflettori della cronaca, fatta di lavoro assiduo, di tan- te piccole incombenze espletate in consapevole modestia. Ed è così che ogni anno, re- golarmente in autunno, Segusium pubblica un robusto volume della propria omonima rivista giunta al n. 39 (e tra qualche mese saremo al 40). Non è soltanto un inequivocabile segno di presenza e di vitalità, ma la possibilità di offrire spazio anche a giovani di cultura, a studiosi che altrimenti non avrebbero possibilità di esprimersi. L’elenco dei collaboratori della rivista in questi ultimi anni dimostra che le sue pagine sono ambite, perché i suoi volumi, senza falsa modestia, sanno farsi apprezzare, perché il gradimento è in espansione. Inoltre, constatiamo sempre più spesso che non c’è opera riguardante la Valle di Susa – ma non solo – che non citi anche molte volte “Segusium” e buona parte dei suoi più prestigiosi autori.

Si rivolgono a noi anche associazioni che hanno bisogno di un supporto di notizie, di impostazione culturale per loro specifiche iniziative. é recente il caso di un gruppo fotografico cui necessitava una panoramica storica sul Moncenisio; il caso di un noto giornalista-scrittore che ha in cantiere un libro sulle ferrovie in Valle di Susa; il desi- derio della associazione culturale “Amici di Asti” di venire da noi per onorare il loro 302 concittadino Rotario, “eroe” del Rocciamelone con il suo famoso trittico e l’ascensio- ne della montagna. Non sono che alcuni pochi casi citati e stanno a significare che la pur discreta pre- senza di Segusium è più corposa di quanto non appaia. E tutto ciò va a merito di quan- ti dirigono le nostre attività, dei Soci, di tutti coloro che si occupano della rivista, au- tentica suscitatrice di stimoli e di contatti culturali. Consentitemi di ricordare il Consiglio Direttivo che si batte Ð e si arrabatta Ð per procurare le finanze indispensabili alla nostra attività, in primo luogo a quella editoria- le, senza soccorsi né speciali, né continuativi certi da parte dei pubblici poteri. Abbiamo il rammarico di non disporre di più per fare qualcosa di meglio.

Pubblicare ogni anno un volume della rivista di circa 300 pagine di contenuti vali- di, ponderati, ben curati, non significa soltanto metterci capacità, impegno, fatica, tut- te qualità sommamente apprezzabili. Dopo aver fatto la rivista bisogna spedirla ai soci di Segusium, distribuirla alle librerie e cartolerie della valle e alcune di Torino, fare i cambi con varie decine di altre pubblicazioni con le quali siamo in rapporti, con bi- blioteche pubbliche, istituti universitari, con richieste di singole persone. Voglio citarvi un esempio. Poco prima di Pasqua un ricercatore svizzero, di Gine- vra, aggregato ad un istituto di Storia dell’Università di Torino si è rivolto a noi per ot- tenere vari volumi della nostra rivista, necessari ai suoi studi sugli insediamenti roma- ni in Piemonte. Per fortuna siamo stati in grado di soddisfare una richiesta di alto li- vello come questa. Per inciso, conversando con lo studioso, il direttore della nostra ri- vista ha scoperto che il ricercatore svizzero è discendente del generale Chzarnosky che comandava l’esercito piemontese nella infausta battaglia di Novara del marzo 1849. Per fare le cose come si deve è essenziale anche tenere in ordine il magazzino del- le nostre pubblicazioni (il Comune di Susa da anni ci concede un locale di questo Ca- stello) e poi sovente, accontentare le richieste di chi vuole i numeri arretrati, o altri vo- lumi. Dunque la rivista richiede un continuo impegno, sia editoriale, sia amministrati- vo; altrimenti perdiamo una parte della sua efficacia riducendo la diffusione, o non di- mostrandoci in grado di aderire a richieste di documentazione (ultimo caso dagli isti- tuti di Storia dell’Arte e di Storia dell’Università di Parma, subito accontentati). Come mio dovere – ed è un dovere interessante – seguo da vicino la vita della rivi- sta e da parte sua il direttore Tullio Forno mi tiene informato di tutto. Ancora una vol- ta devo confermare i giudizi del passato: Direzione e Comitato di Redazione della ri- vista lavorano con metodica regolarità: dai rapporti con vecchi e nuovi collaboratori alla ricerca della migliore impostazione, alla acquisizione di materiale vario utile alla pubblicazione. Ritengo che al presente e per il prossimo avvenire l’attuale struttura possa garantire una degna continuità. I rapporti con lo stampatore sono regolari e corretti: i risultati tecnici ad un livello accettabile, ma vedremo di migliorarli con gli interventi che si renderanno necessari in campo tecnico.

In questi ultimi anni sono cresciuti la sollecitudine e la fedeltà dei nostri circa 200 Soci, ma lento è l’inserimento di nuovi nomi di valore. Per fortuna qualche giovane sta arrivando. 303 Le perdite di soci sono rare e perlopiù, disgraziatamente, per decesso. Ne desidero citare uno la cui famiglia si è dimostrata un esempio di correttezza. Nello scorso mar- zo è purtroppo deceduto Louis Barbera residente a Beaulieu (Alpi Marittime) Francia: era nostro socio da tempo immemorabile e aveva 96 anni. I suoi parenti ci hanno dato comunicazione mediante una dichiarazione ufficiale dagli Uffici Comunali, affinché Segusium possa tenere in regola i suoi elenchi. Anche il socio vitalizio Don Guido Ferrero Ð cancelliere della Curia Vescovile di Susa Ð ci ha lasciati. Nel prossimo nu- mero della rivista verrà ricordato come merita questo nostro collaboratore.

Il tesoriere Giorgio Maffiodo vi dà, cifre alla mano, la nostra situazione finanzia- ria, quella dell’esercizio appena concluso. I conti sono in regola; purtroppo le cifre troppo modeste. Vi ho esposto considerazioni e fatti salienti della vita di Segusium nell’anno 2000 e al termine di questa relazione mi piacerebbe che si sviluppasse un vivace dibattito, con tante proposte e ancora più numerose offerte di collaborazione. Solo così, infatti, le Società culturali come la nostra possono dare sempre il meglio di sé, nel proprio ambito di attività. È questo un auspicio che il Consiglio Direttivo formula con sincerità, aperto a tut- te le proposte, ben sapendo però che sull’organismo dirigente eletto dai Soci ricadono le responsabilità intere della conduzione di Segusium, fondata nel 1963. Ferme restando le responsabilità, vorremmo poter suscitare intorno al nostro pre- zioso, ormai maturo, sodalizio culturale un maggior fervore, per esempio da parte del- la scuola in Valle, presa nel suo complesso. Vi ringrazio di essere intervenuti all’assemblea della vostra Segusium e di aver se- guito con attenzione il rendiconto del tesoriere e mioÈ.

* * *

Alla relazione del Presidente, applaudita con simpatia, sono seguiti gli interventi di alcuni tra i Soci presenti; interventi di assenso, sobri ma sentiti. Evidentemente la rela- zione è stata chiara, documentata, improntata a serietà e di toni misurati. Il gruppo dirigente di Segusium sa bene che cosa potrebbe fare (e vorrebbe); al tempo stesso prende atto della situazione e delle possibilità effettive. Vi è però un dato di fatto incontrovertibile: nonostante le non propizie condizioni (di cui sopra) Segu- sium vive e opera ormai da molti anni sempre tenendo fede ai suoi scopi e la sua cor- retta linearità viene premiata dalla considerazione da parte di non poche persone colte e da quelle amanti della Valle di Susa e del suo patrimonio culturale. Ai nostri giorni, fra tanti individui, diciamo, distratti, non è certamente poco.

304 Il Consiglio Direttivo

A partire dalle notizie date nelle ÇCronache di SegusiumÈ del n. 39 di questa rivista il Consiglio Direttivo della Società di Ricerche e Studi valsusini si è riunito quattro vol- te sotto la presidenza di Lino Perdoncin e il consigliere Ing. Prof. Enea Carruccio ha svolto volonterosamente le funzioni di segretario-verbalizzatore delle sedute. Tutte le attività citate nella relazione del presidente Lino Perdoncin – e anche l’or- dinaria amministrazione Ð sono state discusse, deliberate dal Consiglio e poi realizza- te dalla presidenza. In particolare è stato vivo l’interessamento, e vivace la discussione, sulla istituzio- ne del sito internet ÇSegusiumÈ, caldeggiato a spada tratta da alcuni consiglieri, in pri- ma fila Alberto Perino il quale – dopo l’approvazione – lo ha tempestivamente realizza- to con il concorso prezioso del dr. Massimo Marighella (come si legge nelle pagine ri- servate all’iniziativa). Le premesse di questa iniziativa sono incoraggianti: al nostro sito «bussano» già con inattesa frequenza ed è un altro lavoro cui Segusium dovrà far fronte in avvenire, in primo luogo per tenere la materia sempre aggiornata, per esempio inserendo i sommari, e i saggi di maggior significato, via via che i numeri della rivista vanno in stampa. Inol- tre, ci sono i libri editi dalla nostra «Società di Ricerche e Studi valsusini» da valorizza- re perché ormai sono edizioni rare.

Il presente Consiglio Direttivo eletto nel dicembre 1996 esaurirà il proprio mandato quinquennale il 31 dicembre di quest’anno. Nella eventualità che non sia possibile rinnovarlo alla scadenza esatta sarà necessa- rio adottare per breve tempo un regime di ÇprorogatioÈ. é comunque un problema che il Consiglio Direttivo esaminerà quanto prima, senza arrecare turbamento alla vita del- la Società.

Sempre in tema di Consiglio Direttivo, ricordiamo con sincero affetto e rammarico che nel corso di questi cinque anni sono mancati due preziosi nostri consiglieri che ab- biamo apprezzato e rimpianto. Prima Arrigo Barbero, insegnante e valente pittore (Çartista che sempre ha avuto un marcato rilievo nella vita artistica pedemontanaÈ, scrisse di lui don Guido Ferrero in ÇRaccontavalsusaÈ 2001).

Dopo breve tempo ci ha lasciati anche il canonico don Natalino Bartolomasi, stori- co insigne della Valle di Susa, la cui opera abbiamo già ampiamente ricordato su queste pagine nel n. 39. 305 Il consigliere Luigi Pognant Gros di San Giorio è stato cooptato per rimpiazzare il defunto Arrigo Barbero (perché allora il vecchio Statuto consentiva le cooptazioni; ora non più possibili con lo Statuto nuovo).

Arrigo Barbero Natalino Bartolomasi

306 Massimo Marighella - Alberto Perino http://www.segusium.org Abbiamo messo Segusium in rete

Ma cos’è la rete? E cos’è Internet? Soprattutto a cosa servono, realmente, queste nuove tecnologie? E perché mettere anche Segusium in rete? Con tutta probabilità sono questi i quesiti, più che legittimi, ai quali la gente comu- ne cerca di trovare una risposta. Anche perché, normalmente, chi formula questi inter- rogativi vorrebbe avere non solo una risposta «tecnica», bensì una sorta di intuizione complessiva, una visione d’insieme in grado di incasellare in qualche modo, dando lo- ro un significato ben preciso e comprensibile, tutte quelle informazioni su Internet che gli sono piovute e gli piovono addosso, in particolare dai giornali e dalla TV, ma anche da qua|che amico (o nipote) esperto in ÇnavigazioneÈ e ambienti ÇvirtualiÈ. E ancora come e perché tutto questo può riguardarlo. Non è facile dare una risposta esaustiva e corretta a questi quesiti, perché le rispo- ste non sono sempre ÇtecnicheÈ ma a volte ÇfilosoficheÈ. Diciamo subito, anche se non è una novità, che questi «strumenti» sono recentissimi, ma in pochissimi anni hanno avuto una diffusione che, probabilmente, non ha paragone nella Storia. «Internet è sicuramente un autentico prodigio tecnologico, secondo alcuni il ma- nufatto più sofisticato mai prodotto dall’attività umana, al tempo stesso semplice ed elegante dal punto di vista concettuale e progettuale: il mezzo finale di comunicazione capace di veicolare, riassumere e assimilare quelli già esistenti e di ricondurre a sé ogni possibile, futura modalità comunicativa» (1). Questa definizione credo sia ben az- zeccata per definire le potenzialità di una tecnologia che, nata una trentina di anni fa negli U.S.A. per scopi militari (2), è oggi, dopo essere stata smilitarizzata, di uso uni- versale senza più frontiere e con pochissimi vincoli. Il World Wide Web (cui spesso ci

(1) AA.VV., Computer no problem - dalla teoria alla pratica, 1997 McGraw-Hill, pag. 1069. (2) Nasce nel 1969 sotto l’acronimo di ARPA (Advanced Research Project Agency) la prima rete per lo scambio di dati tra i vari organi della difesa nazionale. Ogni centro è un «nodo»; tut- ti i nodi sono collegati ma in caso di avaria (o di attacco nemico) ad uno qualunque dei nodi tut- ti gli altri continuano a funzionare in modo indipendente. Ulteriore elemento di sicurezza è la nuova trasmissione dei dati detta ÇPacket SwitcingÈ (commutazione a pacchetto) in sostituzione del vecchio ÇCircuit SwitchingÈ (Commutazione a circuito). In origine (settembre 1969) la nuo- va rete ARPAnet consente un massimo di 256 nodi diversi. Non dimentichiamo che l’informati- ca dell’epoca potrebbe essere paragonata al periodo mesolitico della Storia! Il successo del nuovo sistema di trasmissione dati «a pacchetti» è immediato e negli anni ’70 viene adottato da altre «reti». Inizia subito un grande lavoro per risolvere il problema di 307 si riferisce semplicemente con Web o con l’acronimo WWW) è stata cronologicamente l’ultima funzionalità di Internet ad essere sviluppata. Ma il successo della «ragnatela mondiale» è stato tale che attualmente, per la maggior parte degli utenti (e dei mass- media), essa coincide con la rete stessa (3). Internet è dunque un potentissimo e semplicissimo mezzo di «comunicazione». Con questo strumento possiamo in pochi minuti inviare lettere, testi, immagini, suoni, filmati a persone collegate in rete ovunque siano nel mondo. Ma queste Çinformazio- niÈ possiamo anche riceverle, cercarle e trovarle molto velocemente. Internet è nata per far comunicare fra loro dei computer. Ma dietro gli schermi e le tastiere dei computer collegati ad Internet ci sono delle persone, ed è questo che rende il tutto più interessante. Considerare Internet solo come una rete di computer sarebbe riduttivo: Internet è anche – e in primo luogo – una rete di persone collegate attraverso i computer. Si tratta di un dato importante, da tener presente per capire la caratteristica forse fondamentale di Internet: quella di essere insieme una risorsa informativa e un luogo di interazione culturale, sociale, economica. Chi pensa ad Internet come una immensa libreria, un enorme supermercato o un megagiornale, chi cioè la vede come semplice veicolo di «informazione» ne ha una vi- sione riduttiva ed incompleta. La vera rivoluzione di Internet consiste nel fatto che chiunque può mettere infor- mazione in rete: molti lo fanno già, moltissimi lo faranno nel prossimo futuro. Noi ora l’abbiamo fatto. Dietro all’informazione che circola su Internet ci sono, si è detto, del- le persone. Ogni scambio informativo è una forma di interazione sociale, e la rete è dunque luogo di innumerevoli interazioni sociali. Ogni informazione immessa in rete, ogni pagina su World Wide Web, ogni file (o «documento informatico») reso disponibile alla comunità degli utenti, costituisce una forma di interazione sociale. E generalmente si tratta di interazioni sociali ÇaperteÈ, ri- volte cioè non a un gruppo precostituito di utenti ma a un pubblico potenzialmente va- stissimo ed eterogeneo, le cui caratteristiche specifiche prendono forma man mano che l’iniziativa si sviluppa. commutazione di reti eterogenee. Il nuovo protocollo del controllo di Rete, NPC (Network Con- trol Protocol) si arficola nel protocollo di controllo della trasmissione TCP (Transmission Con- trol Protocol) e nel protocollo Internet IP (Internet Protocol), da allora noti collettivamente co- me TCP/IP (utilizzati ancora oggi per configurare i collegamenti (con i nostri PC). Già negli an- ni ’80 la «ARPA Internet» è universalmente conosciuta come «Internet». (3) La storia di World Wide Web inizia intorno al 1990 quando Tim Berners Lee Ð ricercato- re presso il CERN di Ginevra – concepisce l’idea di realizzare un sistema di distribuzione dei documenti sulla rete destinato alla comunità dei fisici delle alte energie. Per alcuni anni lo stru- mento ideato e sviluppato da Berners Lee è rimasto un’applicazione alquanto esoterica, impie- gata a malapena nel luogo in cui è nata. L’impulso decisivo alla sua diffusione, infatti, viene so- lo agli inizi del 1993, quando Marc Andressen ed Eric Bina, ricercatori presso il National Cen- ter for Supercomputing Applications (NCSA) dell’Università dell’Illinois, realizzano la prima interfaccia grafica multipiattaforma per l’accesso ai documenti pubblicati su World Wide Web: Mosaic. La semplicità di uso di Mosaic e le caratteristiche innovative dell’architettura informa- tiva del Web, nel giro di pochissimi mesi, hanno conquistato tutti gli utenti della rete, dando ini- zio ad un processo di espansione tecnologica senza pari nel passato. 308 Il villaggio globale costituito da Internet è solo sotto certi profili egualitario e addi- rittura «anarchico» come viene spesso presentato. Innanzitutto, perché i suoi abitanti costituiscono una ben precisa élite culturale ed economica. La maggior parte degli uti- lizzatori di Internet è giovane e proviene dalle fasce sociali benestanti e culturalmente più avanzate dei paesi industrializzati. La stessa competenza informatica e telematica che li caratterizza contribuisce ad accentuate il divario che separa il Çcittadino delle retiÈ dal resto del mondo. Altrettanto reale è il «gap» esistente fra la generazione che precede e quella che segue la rivoluzione informatica. La generazione dei nostri nipoti vivrà – se riusciremo a mantenere il fragile equili- brio attuale Ð in un mondo profondamente diverso da quello che abbiamo conosciuto. Ma in quel mondo dovranno e vorranno vivere anche molti di noi, perché la durata media della vita si allunga, e con essa cresce la sovrapposizione fra generazioni diver- se potenzialmente attive. Se questa è, in soldoni, la filosofia che sta dietro ad Internet è facile comprendere perché ad un certo punto «i giovani» del consiglio direttivo di Segusium hanno posto il problema di allargare i confini dei possibili estimatori del nostro sodalizio ed i frui- tori di quel notevole patrimonio che sono le pubblicazioni della nostra Società. Si è scelto di acquistare lo spazio (4) e registrare il dominio (5) (www.segusium.org) e non di utilizzare uno spazio gratuito ma con dominio anonimo (ad esempio http://di- gilander.iol.it/segusium/) tra quelli messi a disposizione dai vari providers (6), sia per comodità dell’utilizzatore (l’indirizzo web è più semplice ed immediato), sia per una questione di immagine ed anche per avere più visibilità nei motori di ricerca (7). Ab- biamo scelto il dominio di primo livello (8) Ç.orgÈ e non Ç.itÈ per il semplice motivo che quest’ultimo risultava già acquisito da un commerciante di Susa. La cosa non ci dispiace perché «.org» è l’identificativo delle organizzazioni e in particolare delle co- siddette «noprofit», categoria in cui ben ci riconosciamo. E così è venuto fuori l’indi- rizzo del sito http://www.segusium.org che per brevità può anche essere digitato sem- plicemente con www.segusium.org. Acquistato lo spazio con il suo indirizzo, con la valida collaborazione del dr. Mas- simo Marighella, dopo aver illustrato al direttivo di Segusium il progetto e avuto il be- nestare, si sono confezionate graficamente le pagine e riempite di contenuti, tenendo

(4) Si intende la parte di disco di un computer (definito ÇserverÈ) sempre connesso con la re- te che è necessario «noleggiare» dal provider (vedi nota 6) e sul quale «pubblicare» le nostre pa- gine informative. (5) Più propriamente «dominio di secondo livello», ovvero indirizzo decifrabile che è neces- sario registrare presso un ente autorizzato, analogamente ad un ÇmarchioÈ tradizionale (in que- sta comunicazione non è possibile illustrare tecnicamente il funzionamento di Internet né forni- re un glossario generale dei termini, quasi tutti di matrice anglosassone, che vengono utilizzati; di volta in volta si cercherà di dare le definizioni tecniche dei termini specifici usati). (6) Società o istituzione che fornisce l’accesso a Internet. (7) Programma in grado di indicizzare automaticamente informazioni e rendere possibili ri- cerche da parte degli utenti sulla relativa base di dati. (8) Parte dell’indirizzo Internet che ne stabilisce l’appartenenza ad una categoria di sistemi o ad un’area geografica. 309 fermi alcuni indirizzi fondamentali: semplicità e chiarezza di accesso, velocità di cari- camento, possibilità di lettura e stampa della documentazione on line per gli utenti. Avremmo potuto riempire le pagine di effetti speciali: suoni, immagini animate, fotografie a colori (in rete si trova di tutto e anche gratis e l’archivio fotografico di Se- gusium è grande), ma avremmo appesantito le pagine e rallentato il caricamento delle stesse: in questa fase inizia|e abbiamo privilegiato i contenuti. In seguito, selezionan- do il materiale più interessante, potremo allestire servizi più sofisticati. Graficamente la schermata è strutturata in tre zone: una prima col «sommario» a sinistra ove vengono presentate le «pagine» in cui è strutturato il sito, una seconda in alto che ospita il logo «Segusium Società di Ricerche e Studi ValsusiniÈ (queste due zone sono fisse), nella terza, centrale, sono visualizzati i testi e le immagini di volta in volta selezionate. La home page o pagina iniziale contiene l’immagine di Susa tratta dal Theatrum Sabaudiæ che orna la copertina della nostra rivista, il numero dei contat- ti e, se del caso, alcune informazioni ÇurgentiÈ. Il sommario consta di 4 sezioni: Chi siamo; La Rivista; Gli interventi; Contatti.

Chi siamo Per modestia, o per pudore, l’onore e l’onere della presentazione l’abbiamo lascia- to alla dott. Michela Fiore prendendo pari pari il testo dal n. 37 di Segusium [Presen- tazione]. Abbiamo inserito il nuovo statuto affinché tutti potessero conoscere le linee guida della nostra Società e decidere a ragion veduta di aderire o meno al nostro soda- lizio [Statuto)]. Poi abbiamo inserito i nominativi di coloro che guidano la Segusium attraverso il Consiglio Direttivo ed il Collegio dei Revisori dei Conti con i diversi in- carichi statutari [Organismi direttivi]. Con una presentazione del Direttore illustriamo la Rivista ÇSegusiumÈ [Rivista] ed elenchiamo i componenti il comitato di redazione [Comitato di redazione].

La rivista Una pagina sicuramente utile è quella relativa all’indice degli articoli, dei contri- buti, delle comunicazioni di tutti i numeri della nostra Rivista editi fino ad oggi, con l’indicazione dell’autore ed il titolo; per alcuni di questi articoli, particolarmente inte- ressanti o importanti è possibile, attraverso il collegamento ipertestuale (9), aprirli di- rettamente a video in formato PDF (10), con le fotografie, i disegni e quant’altro allega-

(9) Si tratta di una o più parole riconoscibili normalmente dalla sottolineatura e dal colore blu. Facendo un clic con il mouse puntando su una di esse viene visualizzata una nuova pagina o un nuovo documento. In analogia con la documentazione tradizionale, si tratta di una nota o un riferimento alla pagina di un libro, con la differenza che il libro viene aperto e la pagina vi- sualizzata immediatamente. (10) Si può intendere come la «fotocopia elettronica» di un documento cartaceo. È possibile soltanto leggere il documento a video o ristamparlo su carta. È garantita quindi la sua integrità. Il formato PDF (Portable Document Format) è lo standard a livello mondiale per le banche dati documentali in formato elettronico. 310 to. Quanto prima inseriremo la possibilità di fare ricerche inserendo ad esempio l’au- tore, la data, l’argomento ecc. [Indice annate]. C’è poi una pagina dedicata ai numeri monografici [Monografie sulla Valle di Susa]. Un discorso a parte merita l’Archivio Storico Capitolare di San Giusto: qui, oltre al- la presentazione dell’opera da parte del curatore, dott.sa Laura Gatto Monticone, vi è la possibilità di scaricare l’intero archivio, unitamente ad un potente motore di ricerca, che permette di incrociare una serie di dati partendo da semplici nomi, luoghi, date, caratte- ristiche dei documenti ecc. per ritrovare a video (con la possibilità di stampa) i regesti e le caratteristiche dei documenti che soddisfano i criteri di ricerca impostati. L’ Archivio Storico Capitolare di S. Giusto di Susa dal 1029 al 1962 in punta di mouse!

Gli Interventi La Segusium non ha solo pubblicato libri. Ha anche restaurato monumenti notevo- li della valle che stavano cadendo in rovina o che erano nel più completo oblìo. San Saturnino e il Portale dei Cappuccini a Susa, Sant’Andrea della Ramats a Chiomon- te sono esempi di restauri, profondamente rispettosi dell’opera originale, che dovreb- bero essere presi ad esempio dai moderni ÇrestauratoriÈ che hanno svillaneggiato i campanili di Santa Maria e di San Francesco a Susa trasformandoli in un qualcosa più simile ad uno chalet svizzero che ad un campanile romanico.

Contatti Come si diceva all’inizio, dietro ad ogni Personal Computer ci sta almeno una per- sona, e dunque la rete permette di comunicare. Comunicare nei due sensi: non solo di- re delle ÇcoseÈ ma anche e soprattutto ricevere delle ÇcoseÈ, al contrario della televi- sione o della carta stampata che si limitano ad inviare messaggi. A tale scopo forniamo il nostro indirizzo di posta elettronica (o e-mail) (11) [email protected] e ri- chiesta di adesione nella speranza che conoscendoci vi sia chi ci apprezza ed ha pia- cere di contribuire con noi alla diffusione della cultura; ma anche i link (12) per cono- scere e relazionare quelli che, in rete, condividono alcuni dei nostri interessi. Non è facile descrivere un sito Internet. La cosa più bella è utilizzarlo. Entrarci e «navigare», scoprendo la magia dell’ipertesto e dei collegamenti, viaggiando attraver- so pagine (o videate) che ci mettono in comunicazione con Çil mondoÈ, ricordando che un’ora di «navigazione» costa meno di un caffè al bar. A ritrovarci su http://www.segusium.org e dintorni.w

(11) Servizio assolutamente identico a quello della posta ordinaria. Ognuno ha un indirizzo a cui inviare messaggi sotto forma di testo a cui è possibile allegare qualunque documento purché contenuto e leggibile da un computer. Rispetto alla posta ordinaria ha il pregio di recapitare im- mediatamente i messaggi e di essere in funzione 24 ore su 24. (12) Vedi Nota 9. 311 312 Istruzioni da stampare in corsivo. Altre indicazioni redazionali e tipografiche spettano alla per i Collaboratori Direzione. 1 - Segusium, bollettino-rivista della 8 - Ogni citazione in lingue straniere Società di Ricerche e Studi valsusini, o regionali, i titoli di libri, di articoli, le pubblica lavori concernenti tutti i campi testate di giornali, ecc., devono essere di di interesse archeologico, storico, artisti- seguito tradotte in italiano, tra parentesi co, sociologico, naturalistico, ecc., per la e tra virgolette. Valle di Susa e vallate adiacenti. 9 - Le note devono seguire una loro 2 - I testi delle ricerche e degli studi numerazione progressiva. (non inferiori alle 8-10 cartelle), di co- 10 - La bibliografia segue dopo il te- municazioni, recensioni, notizie completi sto. I nomi degli autori in maiuscoletto, di eventuali illustrazioni, tabelle statisti- titolo in corsivo; in tondo le altre indica- che, ecc., devono essere inviati a SEGU- zioni bibliografiche. SIUM - Casella Postale n. 43 - 10059 SUSA (TO). 11 - Le citazioni bibliografiche nel te- sto devono essere riportate tra parentesi 3 - I temi devono essere sviluppati e come per la bibliografia solita. con linguaggio preciso, appropriato, chiaro e lineare. 12 - Le illustrazioni (fotografie, stam- pe, disegni) fornite dall’Autore siano ac- 4 - I lavori dei Collaboratori devono compagnate da esaurienti didascalie. avere per tema ricerche e studi non prece- dentemente pubblicati nella stesura pro- 13 - Agli Autori verranno inviate per posta a Segusium. La lunghezza dei testi e la correzione le prime bozze della compo- altre caratteristiche della collaborazione sizione, che andranno restituite entro i vengono definite con la Direzione. termini indicati dalla Direzione. Le modi- fiche, e le eventuali aggiunte al testo, do- 5 - La Direzione Ð avvalendosi del vranno essere limitate al minimo indispen- parere del Comitato di Redazione Ð si ri- sabile, onde evitare costosi rifacimenti e serva di accettare, rifiutare, suggerire sconvolgimenti dell’impaginazione. modifiche ai lavori che le perverranno. 14 - Segusium non è in grado di com- 6 - I testi dei lavori devono essere pensare i collaboratori. Ad ogni Autore completi e definitivi, redatti in lingua ita- verranno inviate cinque copie dell’intera liana, battuti nitidamente a macchina su pubblicazione. Ogni Autore potrà ottene- fogli formato UNI, a doppia spaziatura, re a proprie spese un numero desiderato con ampi margini. é gradito anche il te- di estratti mediante accordo diretto con sto sopra supporto magnetico, con l’indi- lo stampatore della rivista. cazione del programma di scrittura. 7 - Gli Autori sono invitati a limitarsi La Direzione è disponibile ad ogni alla semplice sottolineatura delle parole collaborazione con gli Autori.

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