SEGUSIUM 38 In copertina: Susa, cinta di mura, in una delle tavole del Theatrum Sabaudiae (1682).

Il fregio nella pagina precedente è la riproduzione di un sigillo-timbro – visibilmente usurato – del secolo XVIII della Provincia di Susa (Museo Civico - Susa). Società di Ricerche e Studi Valsusini

SEGUSIUM

SUSA - Settembre 1999 - Anno XXXVI - n. 38 Il Consiglio Direttivo di Segusium

Giulio Fabiano, presidente onorario. Lino Bortolo Perdoncin, presidente - Tullio Forno, vicepresidente - Ferruccio Pari, segretario - Giorgio Maffiodo, tesoriere - Consi- glieri: Natalino Bartolomasi, Enea Carruccio, Mario Cavargna, Mauro Minola, Alberto Perino, Luigi Pognant Gros.

Il Comitato di Redazione della rivista

Direttore: Tullio Forno. Comitato: Piero Del Vecchio, Giulio Fabiano, Laura Grisa, Mau- ro Minola, Ferruccio Pari, Alberto Perino.

Direttore responsabile: Tullio Forno. Autorizzazione del Tribunale di Torino, n. 1666, 31 luglio 1964.

Proprietà riservata

Finito di stampare dalla Grafica Chierese nel mese di settembre 1999.

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Segusium - Società di Ricerche e Studi Valsusini Sede: Via Unione Sovietica 8 (dei Fossali) - 10059 Susa (TO)

Indirizzare la corrispondenza a: Segusium - Casella Postale 43 - 10059 Susa (TO) I versamenti vanno fatti indirizzando a Segusium - Conto Corrente Postale n. 29681103 - 10059 Susa (TO). SEGUSIUM - Susa - Settembre 1999 - Anno XXXVI - n. 38

SOMMARIO

Questo numero 38 ...... pag. 6

RICERCHE E STUDI Mario Cavargna: La strada romana ÇPer Alpes CottiasÈ ...... pag. 11 Giancarlo Chiarle: I visconti di Baratonia e di Villar Focchiardo . pag. 35 Maria Luisa Moncassoli Tibone: Un messaggio per le genti: la Gran Reliquia dipinta in Val di Susa ...... pag. 97 Per Giorgio Gagnor: La devozione sulla montagna di Condove . . pag. 107 Piero Del Vecchio: Simboli e significati della devozione popolare . pag. 127 Tullio Forno: ÇIl RocciameloneÈ, pugnace antesignano cattolico della stampa valsusina ...... pag. 131

COMUNICAZIONI Laura Grisa: Maria e la sua montagna. Da cent’anni sul Rocciame- lone ...... pag. 161 Daniele Mazzucco: Eldradus, abate di Novalesa e santo ...... pag. 175 ***: La Susa antica restaurata e da conservare bella ...... pag. 179 Gianluca Popolla: Il Museo d’Arte Sacra della Diocesi di Susa . . pag. 187 Maria Grisa: Da 10 anni ÇAmici del PresepioÈ con impegno e bra- vura ...... pag. 191 Franco Ghivarello: La Valle di Susa nei sogni degli uomini del Nord pag. 197 Andrea Lomagno: I segni della guerra ...... pag. 205

LIBRI ...... pag. 211

BOLLETTINI - RIVISTE - QUADERNI ...... pag. 235

NOTIZIE ...... pag. 255

CRONACHE DI SEGUSIUM ...... pag. 279

Oltre agli autori citati nel sommario, hanno collaborato a questo numero 38: Gemma Am- prino, Stefania Bernard, Barbara Debernardi, Giuliana Debernardi, Piero Del Vecchio, En- rico Dolza, Guido Ferrero, Roberto Follis, Marco Fratini, Elvira Lambert, Mauro Minola, Alberto Perino, Margherita Petrillo, Pia Piras. Questo numero 38

Con la strada romana attraverso le Alpi Cozie; la pluriseco- lare vicenda storica dei visconti di Baratonia e di Villar Foc- chiardo, gli affreschi sindonici in Valle di Susa e Val Cenischia, il culto di Sant’Eldrado abate di Novalesa, i piloni votivi sulla montagna di Condove, il secolo abbondante di vita della stampa cattolica valsusina, il centenario della statua della Madonna sul Rocciamelone, le impressioni dei viaggiatori del Sette-Ottocento che si affacciavano alle porte di Susa, e con altro ancora, abbia- mo composto il presente volume di «Segusium» nell’anno 1999. Questo numero 38 di «Segusium» è, dunque, ancora miscel- laneo, ossia vario nei temi prescelti, però con il suo naturale, saldo filo conduttore: le Valli di Susa. Varietà può significare l’attenzione di un maggior numero di Soci e di altri lettori; quindi un più vasto interesse alla rivi- sta pubblicata dalla Società di Ricerche e Studi Valsusini: obiettivi senza dubbio ambìti, ma anche una maggior fatica e marcate difficoltà nell’individuare numerosi temi, nella loro traduzione in molte pagine stampate e illustrate, anche con un supplemento di illustrazioni a colori.

* * * Meno ardua delle fatiche redazionali, per fortuna, è l’ade- sione dei collaboratori che vengono a noi per stima e simpa- tia: studiosi, ricercatori, eruditi in varie discipline, ben dispo- sti all’impegno dello studio e della scrittura. In controtendenza, rispetto a una penuria di collaborazioni che molteplici riviste di cultura paventano o sperimentano da tempo, «Segusium» può esibire nuovi autori: Maria Luisa Mon- cassoli Tibone (un ritorno dopo lunga assenza), Giancarlo Chiarle, padre Daniele Mazzucco, Pier Giorgio Gagnor, An- drea Lomagno ai quali si affiancano Maria Grisa, Elvira Lam- bert, Stefania Bernard, Giuliana Debernardi, Barbara Deber- nardi, don Guido Ferrero, Marco Fratini. Sono nomi conosciuti di persone impegnate da tempo sul terreno culturale valsusino.

6 Questi nuovi collaboratori, che ÇSegusiumÈ ringrazia viva- mente, si uniscono agli indefettibili veterani (citati in fondo al sommario), garanzia di sicura continuità per ogni sezione del- la rivista: dalle corpose presenze in ÇRicerche e StudiÈ fino al- le notizie di casa. E a proposito delle rubriche informative è nostra palese convinzione che una rivista culturale come ÇSegusiumÈ acqui- sti completezza contornando i saggi con un’informazione (li- bri, riviste, notizie) che contribuisca alla memoria storica del- la cultura nelle Valli di Susa. Ricordare è importante anche per fare bene oggi e in futuro. Teniamo a mente che queste sezioni della rivista si avvalgo- no di vari collaboratori Çin sordinaÈ: a cominciare dalla mag- gioranza del Comitato di Redazione che il Direttore ricorda con il grato riconoscimento che si deve alla bravura tenace e riservata. Come già scritto – ma giova ripeterlo – da Soci e Lettori at- tendiamo collaborazione, proposte, osservazioni, suggerimen- ti. C’è posto anche per la critica, non importa se dura, purché leale.

Susa, settembre 1999

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Ricerche e Studi

SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 11-34

Mario Cavargna La strada romana ÇPer Alpes CottiasÈ

Il percorso e le tappe della più importante strada commerciale romana che attraversava le Alpi (1) restano un argomento di discussione. Le tracce fisiche sono quasi inesistenti, tranne qualche miliario che spesso è di incerta prove- nienza (2), le fonti scritte sono talvolta in disaccordo ed anche i resti della gran-

(1) JEAN PRIEUR, La province romaine des alpes Cottiennes, Gauthier Villeurbanne 1968, p. 95 ed Amniano Marcellino XV 10,2-8: «la strada di cui parleremo (quella del Monginevro) è ef- fettivamente la più corta e la più frequentata». Nell’attraversamento delle Alpi la via coziana del Monginevro mantenne il primato commerciale mentre quella dei salassi e del San Bernardo mantenne il primato per importanza militare. (2) PRIEUR, op. cit., p. 100. BRECCIAROLI TABORELLI L., Rivoli località Truc Perosa, insediamento rurale di età romana, tratto di strada della via pubblica delle Alpi Cozie e necropoli altomedioevale, ÇQuaderni della Soprintendenza Archeologica del PiemonteÈ, n. 11, anno 1993, pp. 282 e seg. A. CROSETTO - C. DONZELLI - G. WATAGHIN, Per una carta archeologica della valle di Susa, in ÇBollettino Storico Bibliografico subalpinoÈ, pp. 355-411; in particolare si veda: N. 6 Collegno, fraz. Regina Margherita chiesa di S. Massimo epigrafi e strutture murarie della basilica della metà del V secolo, Çin quintoÈ, secondo un documento del 1047. N. 18 Truc Perosa, Rivoli statio ad undecimum miliario di età romana. N. 52 Villar Dora, resti di strada con piazzole età romana. N. 54 Caprie, fraz. Novaretto Miliario di Treboniano Gallo e Volusiano 251-253 d.C. CIL 8075. N. 61 S. Giorio, miliario di Massimino 236 d.C. CIL 8076. N. 70/1 Susa, miliario di Costanzo e Galerio aug. e Severo e Massimino caes. con la indica- zione di XXI miglia 305-306 d.C. N. 71/25 Susa, miliario di Giuliano 360-363 d.C. CIL 807. N. 71/62 Susa, miliario di Valente, Valentiniano e Graziano 375-378 d.C. Cf anche N. BARTOLOMASI, Valsusa antica, Vol. I, pp. 109 e seg. I lavori autostradali del 1990 hanno incontrato due volte dei resti archeologici al Truc Pero- 11 de stazione doganale di Ad Fines, che furono parzialmeme indagati tra il 1868 ed il 1874, sono stati ricoperti e perduti, oggi non sono più rintracciabili, sem- brano voler confermare un vuoto di conoscenza che si fatica a colmare (3). Scopo di questo lavoro è un riesame della documentazione disponibile, per localizzare, con la massima precisione consentita, le stazioni di Ad Fines e di Ocelum e le tappe del versante italiano. Nel primo caso si è proceduto con ricerche sui catasti antichi per identifica- re il sito esatto degli scavi e dei ritrovamenti ottocenteschi, la cui coincidenza

sa: il primo, il 29.1.1990, a seguito di un telegramma della Pro Natura alla Soprintendenza Ar- cheologica (su segnalazione di Alberto Perino); il secondo, a seguito del sopraluogo della So- printendenza un chilometro a NordOvest del precedente, il 9 febbraio successivo. Nel primo sito fu ritrovata una necropoli altomedioevale sistemata tra i resti di edifici roma- ni, con 22 sepolture che vanno dal III al VI secolo d.C. e, poco distante sul fianco della collina, una traccia di acciottolato che è stata identificata con la strada romana della Alpi Cozie. Nel se- condo sito un’altra necropoli e resti di mura che davano verso la strada. (3) La statio romana di Malano nel comune di Avigliana fu indagata da padre Placido Bacco intorno al 1870. Gli appunti di padre Bacco restarono inediti: un nuovo scavo fu relazionato da A. Fabbretti sul 1¡ volume degli Atti della Società Piemomese di Archeologia e Belle Arti, Para- via 1875 Scavi di Avigliana, pp. 19-30. Per gli appunti di padre Bacco vedere N. Bartolomasi in Valsusa Antica, Vol. I, ed. Alzani 1975, pp. 299-305. Negli scavi del 1868-1873 fu messo in luce un imponente complesso di metri 77 per 40, con muri di un metro e mezzo di spessore. Vi vennero recuperati frammenti di sculture marmoree, una ara in bassorilievo, epigrafi, moltissime monete, bronzi, ceramiche, ora al Museo Archeolo- gico di Torino. Furono mecenati degli scavi alcuni dei nomi più illustri della cultura piemontese della seconda metà del 1800. L’edificio scoperto fu subito reinterrato per restituire il terreno al- l’uso agricolo. L’area non è più stata esplorata, se non con piccoli saggi che ne hanno accertato la notevole estensione. Per gli studi ed i ritrovamenti successivi: FAVA A.S., Frammenti di terra sigillata, da Avigliana su ÇAd QuintumÈ 2, 1971, pp. 49-53. FOGLIATO D., Ansa figurata in bronzo, su ÇAd QuintumÈ 1, 1970, pp. 9-12. FOGLIATO D., Recenti ritrovamenti ad Avigliana, su ÇAd QuintumÈ 2, 1971, pp. 18-28. Da segnalare il saggio di L. CONVERSO su ÇLuna NuovaÈ del 31.7.87: La mansio di Ad Fi- nes di Avigliana. BRECCIAROLI TABORELLI L. ed altri, Avigliana frazione Drubiaglio borgata Malano, saggi di accertamento nell’area della Statio Ad Fines, ÇQuaderni della Soprintendenza Archeologica del PiemonteÈ 1991, n. 10, pp. 185 e seg. BRECCIAROLI TABORELLI L., Avigliana, borgata Malano, edificio pertinente alla Statio Ad Fines della Quadragesima Galliarum, ÇQuaderni della Soprintendenza Archeologica del Pie- monteÈ 1993, n. 13, pp. 370 e seg. Rinvenimenti successivi, in corso di pubblicazione, sono stati fatti a seguito di un ritrova- mento fortuito effettuato nel 1998, a poche decine di metri dall’area indicata come luogo degli scavi di padre Placido Bacco. Gli scavi hanno portato al rinvenimento di parti murarie di abita- zioni costruite ed adattate tra il I e IV sec d.C. con numerosissimi resti di vasi, anfore ed oggetti di vario tipo tra cui una trentina di monete l’ultima delle quali risale al V secolo, data di proba- bile abbandono del sito. 12 con Ad Fines è testimoniata dalle iscrizioni conservate al Museo di Archeolo- gia di Torino. Nel secondo caso si sono riportate le distanze in miglia indicate dagli itine- rari romani su dei percorsi ricostruiti sulla base di una grande carta topografi- ca settecentesca.

Si è poi proceduto ad una indagine sulle vicende successive della strada nel periodo altomedioevale per trovare la spiegazione del radicale spostamento che l’ha portata dal versante sinistro, dove concordano di porla tutte le testi- monianze classiche, al versante destro dove si trova dal 1000 d.C. in poi.

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L’impero romano non fu mai una unica area doganale: il suo territorio era diviso in 11 circoscrizioni che esigevano un diritto di accesso e di transito i cui proventi andavano direttamente all’erario imperiale e ne costituivano una del- le principali entrate. Per le Gallie esso corrispondeva alla quarantesima parte del carico (4). Almeno per il I e II secolo, insieme alla sua omologa di Lione (Lugdunum) e fintantoché Lione restò la capitale politica, amministrativa ed economica delle Gallie, Ad Fines Cottiae, localizzata presso Avigliana sul confine tra le circoscrizioni dell’Italia e delle Gallie, fu una delle principali dogane degli iti- nerari di terra. Ne danno conferma le due aree dedicate da PUDENS, trovate ne- gli scavi ottocenteschi, che testimoniano il suo passaggio dall’incarico di con- trascriba ad Ad Fines a quello arcarius (5) a Lugdunum e che indicano come il lavoro svolto Ad Fines potesse permettere la promozione ad un incarico più elevato direttamente nella sede centrale delle dogane delle Gallie (6).

(4) L’impero romano si divideva in circoscrizioni e le merci, per passare dall’una all’altra, pagavano una dogana il cui ammontare variava dal 2% della Spagna al 5% della Sicilia. Per le Gallie era il 2,5% ed era esatta a Lione, Ginevra, Avigliana e in altre località di itinerari minori. Le 11 circoscrizioni doganali dell’impero erano Spagna, Gallie e Germania, Britannia, Italia, Si- cilia, Illirico, Asia, Bitinia, Siria, Egitto, Africa. Il centro del commercio romano verso il II seco- lo tese a spostarsi da Oriente ad Occidente perché Spagna, Gallie e Britannia acquistarono una maggiore importanza nell’economia imperiale. Il più importante collegamento di terra tra que- ste regioni e l’Italia, che era il cuore commerciale dell’impero, era la via Coziana. Le principali merci esportate dalla Gallia erano vino, carni salate, cuoi, ceramiche, tessuti di lana, lino e ca- napa, prodotti metallurgici (cf A. Segré su Treccani, vol. X, p. 953). (5) A. FABBRETTI, op. cit., p. 24 e 24 CIL, XII, p. 248. Contrascriba è un controllore; arcarius un cassiere o tesoriere. (6) T. MOMMSEN, L’impero di Roma, UTET 1966, pp. 490-491. ÇL’unica zecca di monete imperiali che si può sicuramente dimostrare essere stata nell’occidente nei primi tempi dell’im- pero, era quella di Lione. Qui era l’ufficio centrale delle dogane di tutta la GalliaÈ. Grazie alla 13 Qui sopra: Alcune delle proprietà dell’area di Malano in un dettaglio del Catasto Rabbini che risa- le al 1859. Nella pagina a destra: Sulla dorsale di Torre del Colle, la località detta «Castellar» (tra Novaretto e Villar Dora), dove si sono rinvenuti embrici romani, che è sovrastante il punto del XX miglio fra Tori- no e Susa, dove gli antichi itinerari collocavano Ocelum. La cima che fa da sfondo è Rocca Sella.

Un’altra iscrizione con il nome di ALYPUS, liberto della casa di Vespasiano (7) (69-79 d.C.), ed il riferimento alla ÇQuadragesima GalliarumÈ, prova la presenza in loco di funzionari imperiali di massimo livello. Ad Fines ebbe un ruolo di grande importanza, parallelo a quello della gran-

sua posizione centrale Lione fu nel I e II secolo la principale città delle Gallie ed una delle più importanti dell’impero, seconda solo a Roma ed a Cartagine, nella parte occidentale: decadde a partire dall’incendio e dal saccheggio dei soldati di Settimio Severo, nel 197 d.C. (7) A. FABBRETTI, op. cit., p. 23 e 24 CIL, V, p. 7209. Alypus è forse il tabularius della qua- dragesima galliarum. 14 Roccasella ➘

Castellar

Celle

Torre del Colle ➘ La Seia

15 de strada commerciale che controllava, e allo stato attuale, sarebbe l’unica grande struttura doganale romana rintracciabile con certezza, perché fu co- struita in un punto geografico, al di fuori di un ambito urbano. Fu identificata e scavata da padre Bacco e poi dal Fabbretti, segretario del- la Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, ed i risultati di questa ricer- ca che restituì i resti di un edificio di 77 metri per 40, tracce di strada, epigrafi e monete in un arco di tempo che va dalla metà del I secolo alla seconda metà del IV sec. d.C., inaugurarono nel 1875 le pubblicazioni della neonata associa- zione. Purtroppo gli scavi furono ricoperti e se ne perdettero le tracce, nono- stante la miniera di informazioni che avrebbero potuto dare su questo aspetto dello stato romano. Per cercare di rilanciare il sito archeologico e per salvarlo dal tracciato au- tostradale che lo minacciava, nel 1989, insieme ad Anna Fazio, compimmo una ricognizione storica delle proprietà dei terreni all’epoca dello scavo otto- centesco, ricercando nei catasti napoleonici e del Rabbini i nomi citati nei dia- ri di padre Bacco. Il risultato di queste ricerche permise, attraverso le esclusio- ni incrociate, di identificare le parcelle che erano state scavate, e di delimitare l’area archeologica. Oggi corrispondono a Malano, in comune di Avigliana, al- la porzione di terreno indicata nella Tav. di pag. 14, nota con il nome popolare di Ghetto. Lo studio comprendeva una analisi degli spostamenti storici dell’alveo della Dora per confutare l’ipotesi che i resti potessero essere stati asportati dal fiume (8), ma nonostante l’ottima accoglienza che ebbe anche all’estero

(8) M. CAVARGNA ed A. FAZIO, L’area archeologica di Malano presso Avigliana in Val di Su- sa, su ÇAntropologia Alpina Annual ReportÈ I, pp. 231-272. Per la identificazione dell’area ve- dere fig. 18; per le assonometrie ricostruttive delle strutture rinvenute nel 1859-1873 da P. Bac- co e quelle rinvenute nel 1874 negli scavi di A. Fabbretti (dai rilievi di Carlo Baudi di Vesme) vedere le figure 6 e 7 elaborate da A. Fazio. «Non è possibile al momento farsi una immagine spaziale della stazione di Ad Fines ma for- se dalle contraddizioni emerse dal confronto fra i catasti si possono individuare alcuni antichi elementi di aggregazione territoriale. Gli scavi di padre P. Bacco coinvolgono diversi proprieta- ri: Tabone, Gotty (Gosso è un adattamento del nome), Bruno. Se per gli altri esistono diverse lo- calizzazioni possibili, per quanto riguarda Bruno ciò è impossibile perché questi possiede un unico blocco di terreni che, per di più, rispetta nell’orientamento le altre coerenze. Ciò permette di identificare l’area di scavo ottocentesca con i terreni adiacenti al canale scolmatore e prossi- mi al limite dell’alveo. Altri elementi confermano questa individuazione: Ð i terreni non sono stati oggetto di movimento di terra almeno per tutto il primo decennio del secolo; – l’utilizzazione a culture cerealicole ha portato per anni al rinvenimento di frammenti e di materiali da costruzione (le “carra di embrici” vendute ad Avigliana), prima e dopo la scoperta ufficiale; – i successivi ritrovamenti sono localizzati in prossimità degli edifici non indicati nel cata- sto francese e lungo le perpendicolari al fiume, il canale di scolo e l’antico limite di alveo giu- 16 (9), non fu sufficiente a far partire una campagna specifica che sfruttasse la coincidenza con i lavori autostradali, anche se una prospezione geomagneti- ca, che qui presentava condizioni ottimali, avrebbe richiesto non più di due settimane per lo scandagliamento dei 2 ettari di maggiore interesse (10). (Si veda in appendice). Ma, ferma restando la identificazione di Ad Fines, dove era Ocelum che si meritò la citazione di Giulio Cesare nel ÇDe Bello GallicoÈ? (11) e quale aiuto possiamo avere dai reperti archeologici e dalle distanze in miglia, tramandate- ci dalle fonti antiche? stificano le infiltrazioni di acqua lamentate da A. Fabretti al momento della riapertura degli sca- vi del 1874È (Anna Fazio). Lo scarso interesse mostrato per Ad Fines dopo gli entusiami di 140 anni fa, è forse dovuto alla scarsa comprensione dell’importanza di questa struttura. Ad Fines controllava gran parte del commercio transalpino. In questo senso rappresenta un unicum ed una insostituibile possibilità di conoscenza sui traffici commerciali dell’impero. Oltre alle strutture annesse, alla modalità ed alla qualità di que- sti traffici, è tutta da esplorare l’ipotesi che a Malano Ad Fines le merci provenienti dalle Gallie e dirette verso le regioni dell’alto Adriatico, dell’Illyricum, del Noricum e della Pannonia, si im- barcassero su chiatte e preferissero discendere l’asta fluviale del anziché affrontare una lunga circumnavigazione dell’Italia od un oneroso percorso su carri lungo tutta la valle padana. Un trasporto via terra era dispendioso e lento: un carro pesante trainato da buoi viaggiava ad una andatura media di appena 3 chilometri all’ora. È stato calcolato che, per un trasporto di un centinaio di chilometri per via terrestre anziché per via d’acqua, l’incremento dei costi fosse di circa il 60 per cento (P. GIANFROTTA su La Storia di Roma, vol. IV, Einaudi 1989). Secondo Pli- nio (libro III) il Po era navigabile da Torino. Forse lo era saltuariamente la Dora da Ad Fines, quando il suo corso non era ancora impoverito dai prelievi per i canali di irrigazione. Anche ad Ivrea sono state identificate delle banchine lungo il fiume (G. CAVALIERI MANASSE - G. MASSIA- RI - M.P. ROSSIGNANI, Guida archeologica di Piemonte Valle d’Aosta Liguria Lombardia, Later- za 1982, p. 67). (9) Lo studio è stato acquisito dal Centre de Documentation UNESCO ICOMOS (International Council on Monuments and Sites) di Parigi e pubblicato in sintesi su ÇRevue ICOMOS Informa- tionÈ, n. 4, XII/1990. (10) La controversia con la Società autostradale è stata sulla identificazione dei luoghi di inte- resse archeologico e sopratutto sul livello archeologico che, dalle testimonianze di metà ottocen- to, parte da 1 metro e mezzo dal livello del suolo attuale, per le strutture in maggiore elevazione, e prosegue sotto i tre metri, quando si arriva alla falda della Dora sotto di cui non si poté andare. Questo contrasta con quanto affermato nel saggio di scavo della Società autostradale che sostene- va che il livello archeologico era ad 80 cm. Un saggio di scavo effettuato l’anno successivo sotto il controllo della Soprintendenza ha rinvenuto un insieme di resti ceramici incoerente e quasi su- perficiale, sino alla profondità di circa 80 cm, con un contorno netto del sito che faceva presume- re che fosse il riempimento di un fosso con materiale provenieme da scavi ottocenteschi. (11) G. CESARE, De Bello Gallico (1,10): ÇCompluribus his proeliis pulsis, ab Ocelo, quod est citerioris provinciae extremum, in fines Vocontiorum ulterioris provinciae die septimo per- venitÈ. Per una accurata analisi delle ipotesi relative alla localizzazione di Ocelum: FOGLIATO D., Il sito di Ocelum. Una vecchia questione mal posta ed una ipotesi verosimile, su ÇAd Quin- tumÈ 8, 1990, pp. 57-71 che ipotizza due diversi itinerari da Torino per spiegare le distanze di- verse date per Ocelum-Ad Fines che egli ritiene una unica località. 17 ANO X XII XII VIII VIII VIII XVI XVII XVII aurinis Ramae T (333 d.C.) Ad Fines Hebriduno Gaesdaone Secussione Ad Martem Ad Octavum ITINERARIO Ad Duodecim Brigantium inde ascendit matronam GEROSOLIMIT ONINO XVI XVII XVIII XXIII XVIII XVIII Fines aurinis Ramae T (198 d.C.) Ad Martis Segusione Eburoduno Brigantione ANT ITINERARIO aurinorum V VI VOLA VIII XXII XVII XVII XVIII XVIII sec. d.C.) Rama A Martis Finibus T Gadaone Alpe Cottia II Segusione ( Eburoduno Brigantione In DI PEUTINGER AugustaT yrio ¡ aurinorum V T VI 4 T XVII XVII XXIII XXIII XVIII Rama (*) Druentio Ad Fines Ad Martis Eburoduno Brigantione Augusta omani - Distanze in miglia Alpes ¡ V d.C.) VI 3 XX XX XVII XXIII XVIII aurinis Rama Ocelo T Brigantio Gaesaone Segusione sec. Eburoduno Sumas Itinerari r II - I che è interpretato come un itinerario alternativo. VICARELLO ( XXIV ¡ V VI 2 XX XX XVII XXIII XVIII aurinis ASI DI Rama Ocelo Goesao Segusio T V Gruentia Brigantio Eburoduno 34. Alpes Cottiam avola posta a pag. T ¡ XI 1 XX XVII XXIII XVIII XXVII aurinis Ramam Ocelum T Druentium Brigantium Segusionem Eburodunum Cfr la nota alla (*) In questo punto compare 18 Le tracce archeologiche sono scarsissime: 1) il ritrovamento di un tratto di strada e di edifici tardoantichi al Truc Pe- rosa (Rivoli) in occasione dei lavori autostradali (effettuati dalla società SITAF) del 1989; 2) un tronco di colonna di marmo con l’indicazione del X... miglio scoperto nel 1823 a Truc Perosa (la lettura attuale è incerta: Prieur lo identifica con quello nella chiesa di S. Bartolomeo a Rivoli dove è leggibile solo una cifra X: per la ÇCarta archeologica della valle di SusaÈ sarebbe la statio ad XI); 3) esigui i resti di strada della larghezza di 3 metri, con piazzole per l’in- crocio dei carri a Villar Dora, intagliata nella roccia, contro lo sperone di Torre del Colle; 4) il miliario di Treboniano Gallo e Volusiano (251-253 d.C.) scoperto a Novaretto (Caprie); 5) un tronco di colonna di pietra grigia con miliario di Massimino (236 d.C.), indicante il XIII miglio, scoperto presso la Dora a S. Giorio; 6) una colonna di pietra con zoccolo scoperta nel 1885 a Mompantero con un miliario di Costanzo e Galerio augusti e Severo e Massimino cesari indi- cante il XXI miglio; 7) un tronco di colonna in pietra grigia, scoperta in Susa con un miliario di Giuliano (360-363 d.C.); 8) un tronco di colonna in pietra grigia scoperta forse a Susa con un milia- rio di Valente Valentiniano e Graziano (375-378 d.C.).

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Le fonti documentarie, fortunatamente, sono numerose. Le più interessanti sono: – due citazioni di Strabone (seconda metà I sec. a.C. - 21 d.C.), che scrive a cavallo dell’era cristiana; – gli itinerari da Cadice a Roma incisi su quattro coppe d’argento del I e II sec. d.C., trovate nelle terme di Vicarello (Vicum Aurelii) presso la località di Bracciano (12); Ð la tavola Peutingeriana, tratta da un originale del II sec. d.C. (13);

(12) Vicarello era l’antica Vicus Aurelii, sulla sponda settentrionale del Lago di Bracciano. A poca distanza scaturiva una ricca sorgente termale nota nella antichità come Thermae Apollina- ris. Vi furono trovati 4 vasi di argento con inciso l’itinerario da Cadice (Gades) a Roma per la via del Monginevro, ora al Museo Nazionale Romano (un miglio romano corrisponde a 1481,75 metri). (13) La tavola Peutingeriana, medioevale, è la copia di una carta redatta presumibilmente al- la fine del II secolo d.C., di cui alla fine del XV secolo fu trovato un esemplare a Worms, donato nel 1508 a Conrad Peutinger D’Augsbourg. 19 – l’itinerario Antonino, risalente all’epoca di Caracalla (14) (198-217); – l’itinerario di Gerusalemme, del 333 d.C. (15). Queste fonti scritte, pur diverse per origine e per epoca, danno notevoli concordanze nelle sette citazioni dell’itinerario che riguarda la strada del Mon- ginevro (ÇPer Alpes CottiasÈ): 1) La distanza tra Torino e Susa è di 40 miglia (41 miglia nell’itinerario Antonino). Solo il 1¡ vaso di Vicarello aggiunge VIII miglia tra Ocelum e Susa, ma, essendo un caso unico, potrebbe trattarsi di un errore del copista. 2) La distanza tra Torino ed Ocelum è sempre XX miglia in tutte le fonti che la citano, e questo concorda con quanto scritto da Strabone che la colloca a 160 stadi da Torino. Ocelum quindi è fisicamente il punto di mezzo della stra- da tra Torino e Susa. 3) Nel I secolo Ocelum scompare ed al suo posto viene citato Ad Fines, che tutti gli itinerari concordano di collocare da 2 a 4 miglia più vicina a Torino e, di conseguenza, più lontana da Susa, restando invariata la distanza tra queste due città. C’è un problema solo con il 4¡ vaso di Vicarello che sembra avere invertito le cifre tra le due tappe, cosa che potrebbe spiegarsi con il fatto che questi vasi d’argento erano opere di artigiani, non di geografi.

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Ma la discussione sui reperti e sulle fonti documentarie, quando ci si trova di fronte ad incertezze e varianti, si trasforma in un groviglio di ipotesi. Per fa- re un passo in più occorre trovare altri tipi di riscontri e, trattandosi di distan- ze, il primo e più naturale è la loro verifica fisica. Questo però non è immedia- tamente possibile, perché le strade esistenti nel corridoio individuabile hanno un andamento differente da quelle antiche. Occorre quindi una rappresentazio- ne del territorio che sia precedente almeno alle grandi trasformazioni degli ul- timi due secoli. Per superare questa difficoltà si è utilizzata una splendida carta topografica della valle di Susa, dallo spartiacque sino a Rivoli, capolavoro della scuola di topografia sabauda del XVIII secolo (16). La scala di 500 trabucchi piemontesi

(14) I due itinerari di Antonino ÇItinerarium provinciarum Antonini AugustiÈ (Caracalla) ri- salgono agli anni successivi al 198 d.C. (assunzione del titolo di Augusto) e riportano gli itine- rari ÇA Mediolano Arelate per Alpes CottiasÈ e ÇA Mediolano per Alpes Cottias ViennamÈ. (15) L’itinerario Burdigalense o Hierosolymitanum descrive un pellegrinaggio da Bordeaux a Gerusalemme avvenuto nel 333 d.C. (16) La Çcarta in misura per A e B» della valle di Susa, dell’Archivio di Stato di Torino è co- stituita da 9 fogli alti 96 centimetri e lunghi da 190 a 495 centimetri. Dalla situazione dei confi- ni, posteriore alla definizione del 1760, la si attribuisce agli anni appena precedenti al 1770 (cf 20 per 16,1 centimetri, che corrisponde a poco meno di 1:10.000 nella scala me- trica, ha fornito una rappresentazione molto dettagliata dell’area interessata. I nuclei abitati che sono stati costruiti sulla antica rete viaria, oppure i tratti di strada che si sono conservati mentre altri venivano distrutti da eventi natu- rali, hanno contribuito a mantenere nei secoli una impostazione, che porta a credere che la viabilità settecentesca, ad esclusione dei nuovi tracciati stradali, sia ancora fortemente indicativa di quella antica. La carta non è direttamente misurabile perché nel 1700 le carte topografi- che venivano disegnate prevalentemente a vista, ma emergono dei particolari che permettono di riportare strade e mulattiere su una carta attuale perché l’80% delle rete di percorsi indicata nel 1770 compare ancora , 150 anni dopo, nelle carte topografiche militari del 1929, che sono state utilizzate per questo lavoro. A questo punto si dispone di una rappresentazione misurabile di strade e percorsi e si può cercare su di essa degli itinerari che si distendono sul territo- rio in modo abbastanza simile a quello della strada romana.

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Questa ipotesi di fondo ha dato dei buoni risultati: le distanze sono state misurate sul tracciato del 1770 ponendovi sopra un lucido e sovrapponendogli accuratamente, per mezzo di due bisturi, un filo di seta intinto in gomma ara- bica. Una volta ottenuta una perfetta corrispondenza, il filo è stato tolto e mi- surato. Le distanze ottenute sono state divise per la lunghezza di un miglio ro-

CARASSINI M., Carte Topografiche in Valle di Susa Arte e Storia, in ÇGalleria Civica di Arte ModernaÈ, Torino 1977, pp. 32-35). La disponibilità di una dettagliata rappresentazione del territorio della valle di Susa antece- dente alla grande trasformazione degli ultimi due secoli, mi suggerì lo spunto per uno studio campione delle trasformazioni del territorio che hanno prodotto il paesaggio attuale. Nel 1975 ne ricomposi una copia fotografica e ne trassi una cartografia della rete di strade e mulattiere nel XVIII secolo. Questo ed altro materiale venne proposto all’Istituto Botanico dell’Università di Torino per uno studio che fu inserito nei programmi finalizzati del CNR, e pubblicato nel 1980 sotto il titolo di ÇCarta della vegetazione della Valle di Susa ed evidenziazione dell’influsso an- tropicoÈ (CNR AQ/1/220). F. Montacchini redasse la parte botanica, e G. Forneris la cartografia, chi scrive si occupò della parte storica, pur figurando solo come collaboratore non essendo inse- rito nell’organigramma dell’Istituto Botanico. Si è potuto trasporre il reticolo della rete viaria del 1770 con un notevole grado di precisio- ne grazie al fatto che la rete di mulattiere che costituiva l’essenza della rete settecentesca (oltre 1500 chilometri di cui solo la strada reale da Torino a Susa sino a Novalesa era carrozzabile), si è conservata per almeno due terzi nella rete di mulattiere che compare ancora nelle carte topo- grafiche militari 1:100.000 rilevate nel 1929. L’utilizzo di carte 1:25.000 avrebbe dato un più alto livello di precisione, ma i tempi con cui è stato redatto questo lavoro sono stati piuttosto stretti e si è dovuto ripiegare su di una carta del- la valle di Susa disegnata in passato per lo studio delle modificazioni del territorio. 21 mano, calcolata in 1.481,75 metri. Il metodo si è rivelato più preciso dell’uso di un cursimetro ed ha permesso un rapido confronto tra le lunghezze di itine- rari diversi che collegavano due punti. I risultati della misurazione hanno dato una corrispondenza esatta per la di- stanza tra la Torino romana e Susa, che è effettivamente di 40 miglia ed ha il suo punto mediano in corrispondenza della dorsale di Torre del Colle. Questo concorda con la posizione di Ocelum indicata negli itinerari antichi e con il ri- trovamento di Ad Fines a Malano, nella piana sottostante, a poche miglia di di- stanza, poco lontano dal punto in cui doveva esserci il ponte che attraversava la Dora, ricordato da Strabone (17). Qualche indicazione topomastica: ÇTesta di ponte vecchioÈ nel 1811 in sinistra e Çregione della TestaÈ in destra, nel 1770 e qualche indizio dell’antico ponte furono ritrovati in occasione dello studio del 1989. Queste indicazioni non si possono confondere né con il ponte me- dioevale, che era a monte, presso la chiesa di Madonna del Ponte, né con la passerella di legno posta in opera dopo il 1820 (18). In questa misurazione si è supposto che la strada, partendo da Augusta Tau- rinorum in asse con le vie cittadine, piegasse rapidamente sulla strada che toc- cava S. Massimo di Collegno, dove sono state trovate tracce della stazione ÇAd QuintumÈ, quindi, arrivata al piede delle colline, le costeggiasse per te- nersi in piano con un itinerario non molto dissimile da quello che fu seguito nel 1860 dalla linea ferroviaria, per lo stesso motivo. Poi, stabilito che cono-

(17) Da PRIEUR, op. citata, p. 101 Strabone (V, 1,11): ÇQuanto alla strada che porta diretta- mente ad Ocelo essa segue dapprima il corso del Po e della Dora, poi, supera numerose rovine e diversi corsi d’acqua, tra cui anche la Dora, e misura in tutto circa centosessanta stadi. Ad Oce- lum cominciano le AlpiÈ; cf anche L. DEZZANI, La viabilità ed il sistema insediativo in bassa val di Susa, su ÇSegusiumÈ n. 24, 1987, pp. 91-96. (18) M. CAVARGNA ed A. FAZIO, cit., p. 258 in nota. ÇUn ex voto di S. Antonio di Ranverso del 1839 (cf F. PARI 1986 su ÇSegusiumÈ n. 27, pp. 86-90) rappresenta un ponte a passerella di fascine appoggiate ad una intelaiatura di legno, che non può essere confuso con il ponte a passe- rella di ben altra consistenza su cui passava la strada da Avigliana ad Almese, né può essere identificato con il pilone in muratura ricordato dalla tradizione orale, in linea con Marentino. In realtà le “teste” sono due, l’una all’ansa di Pra Bonino, obbliqua rispetto al cammino agricolo lungo il canale Bialè, l’altra sull’isola allineata alla strada dei Testa ed alla curva antica del ca- nale di scolo. Entrambe sono ben distinte dal ponte medioevale, localizzato vicino alla chiesa della Madonna del ponte e pertanto non coincidente con il ricercatissimo ponte romanoÈ. Incu- riosisce anche la origine del toponimo, ritenuto sinora presente solo sulla opposta sponda destra (Çregione della testaÈ nella carta del 1770 citata): il toponimo potrebbe derivare da resti delle spalle o dei piloni del ponte: dalla parola latina testamen Ð mattoni Ð forse poi finiti in quelle Çcarra di embriciÈ che padre Bacco racconta che furono scavati e venduti ad Avigliana. Gli abi- tanti della zona ci riferirono che verso il 1980, in uno scavo effettuato in sponda sinistra della Dora per prelevare sabbia, di cui oggi resta uno stagno a circa Ð4 metri dal livello originario del terreno, fu trovato a circa 25 metri dal bordo occidentale un muro perpendicolare alla Dora alla profondità di circa un metro, ancora conservato per una altezza di due metri. Per poter prelevare la sabbia questo muro fu asportato per una lunghezza di circa 20 metri. 22 sciamo il sito di Ad Fines, e che sia questo, che Almese, e la regione della Do- ra dove sono stati trovati sulle due sponde i toponimi che abbiamo legato al ri- cordo del ponte romano, sono su uno stesso asse, si è assunta tale direzione an- che se nel 1770 non pare più esistere questo percorso perché la viabilità è orientata su quello della Madonna del Ponte, posta un poco più ad Ovest. Questo itinerario confermerebbe la posizione di S. Massimo al quinto mi- glio, e del Truc Perosa all’XI miglio, in entrambi i casi entro il margine di erro- re di qualche centinaio di metri. Per il proseguimento della strada sino a Susa, è stato scelto un itinerario che segue il piede della montagna e che tocca tutti i centri maggiori del ver- sante sinistro. Questo tracciato è parso il più probabile visto che i reperti ar- cheologici coincidono con queste località e che la presenza di reperti in luoghi a ridosso di speroni rocciosi, come Villar Dora e Caprie, indica che, anche in questi casi, si preferiva costeggiare la montagna anziché abbreviare il percorso tagliando attraverso il fondovalle. Nel territorio di Bussoleno le testimonianze archeologiche si collocano più a monte dell’abitato attuale, che è a cavallo della Dora, pertanto si è assunto, per questo tratto, un percorso più coincidente con i ritrovamenti di epoca romana. Non è stato invece possibile trovare un itinerario che passasse anche sulla sponda destra della bassa valle e che rispettasse le distanze in miglia indicate dalle fonti antiche ed il passaggio ad Ad Fines; e questo concorda con tutti i re- perti archeologici, che tranne il miglio di S. Giorio, sono stati trovati sulla sponda sinistra. Nella stessa carta del 1770, sulla dorsale di Torre del Colle, compare il to- ponimo Castellar, oggi scomparso, ad indicare un sito appena soprastante il punto in cui cadrebbe il XX miglio se prendesse la strada che scavalca il crina- le di Torre del Colle per collegare Novaretto a Villar Dora. Al CasteIlar si tro- vano ancora in superficie embrici di età romana, insieme a molti cocci di va- sellame di più difficile datazione; e poiché nessun documento giustifica questo toponimo, è immediato il raffronto con quelli che nelle Alpi Giulie, in Liguria ed in Provenza, segnalano i cosidetti ÇcastellieriÈ, abitati fortificati che, nelle regioni più prossime a noi, risalgono alla I e II età del ferro. Con ogni probabilità quello era il sito di Ocelum, anche se non necessaria- mente l’unico agglomerato che portava questo nome. I celti non amavano co- struire in pianura e tantomeno in un luogo al confine con i liguri Taurini. Inol- tre Ocelum è sempre ricordato come un confine geografico. Un toponimo Ocolium è segnalato nel 1285. S. Petri de Azolio compare nel XV secolo ad indicare una cappella tra le borgate Piagnolo e Margaira di Nova- retto (19) sull’itinerario di scavalcamento della dorsale rocciosa che passa sotto

(19) L. PATRIA, Almese: una terra tra le Alpi e la pianura, 1993, pp. 14-17 e p. 35. 23 Una immagine della regione dove era localizzata Ad Fines tratta dalla ÇCarta topografica in misu- ra della Valle di SusaÈ disegnata intorno al 1770. Si possono notare Torre del Colle, il toponimo Castellar, più in alto, »Marantino» che corrisponde all’odierna Malano ed all’antica Ad Fines è ap- pena fuori della carta, in basso, presso la Dora. 24 il Castellar. Toponimi derivati da Ocelum sembrano essere tutti i nomi legati a questa località: Rocca Sella, Celle (La Cella nel 1770), la borgata Sala (La Salla nel 1770) presso Castellar, La Seia, con cui si indica il crinale, e Torre del Colle (Torre del Col nel 1770) che pare una corruzione del nome Torre d’Ocol.

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Ocelum era certamente un centro indigeno: forse più in basso vi era anche un nucleo romano, a Villar Dora oppure ad Almese, che vanno comprese nel- l’itinerario per giustificare le tracce di strada trovate e per far quadrare le lun- ghezze dei percorsi da Torino. Il rinvenimento delle ville romane di Caselette e di Almese ha confermato che questa zona era intensamente abitata (20). Quel che si può dire con certezza è che il punto equidistante XX miglia da Torino e da Susa cade sul crinale di Torre del Colle, tra la borgata Sala e la chiesetta di S. Pancrazio, se si suppone che la strada salisse sull’altura dove era costruito il borgo celtico che la controllava oppure, in alternativa, più in basso, un paio di centinaio di metri ad Ovest del luogo dove ora c’è la torre, se si suppone che la strada aggirasse lo sperone roccioso. Un maggiore livello di precisione non è possibile. Questo posto di confine, fu sostituito a metà del I secolo dal complesso più monumentale e più funzionale di Ad Fines. Resta da spiegare il fatto che, ferma restando la distanza complessiva tra Torino e Susa, due itinerari pongono Ad Fines a 2 miglia da Ocelum (quello Antonino e la ta- vola di Peutinger) mentre quello Gerosolimitano lo pone a 4 miglia. Ad Fines era una località molto importante e stupisce che si trovino delle discordanze proprio su questo punto. L’unica supposizione che si può fare è che esistessero due percorsi: l’uno, quello ufficiale, che aggirava lo sperone di Torre del Colle poi risaliva sino a Villar Dora ed Almese, ed allora Ad Fines si trovava ad essere a 4 miglia dal punto del XX miglio che abbiamo indicato, non lontano dalla attuale torre, e l’altro, semiufficiale, che tagliava attraverso la piana di Villar Dora giungendo direttamente ad Ad Fines in sole due miglia.

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(20) G.C. WATAGHIN, Scavo di una villa romana presso Caselette, su ÇSegusiumÈ, n. 13/14, 1978, p. 19-22. J. DEBERGH, Notarelle a proposito di Susa e del suo territorio, su ÇAd QuintumÈ, n. 8, 1990, pp. 47-56. G.C. WATAGHIN, La villa romana di Almese (Rivera), su ÇSegusiumÈ, n. 21, 1985, pp. 19-24. A. BERTONE, Gli scavi di S. Pancrazio a Villar Dora, su ÇSegusiumÈ, n. 21, 1985, pp. 3-18 per i reperti ceramici dell’IX-VI sec. a.C. 25 Moncenisio

Chiomonte

Exilles

Salbertrand Bardonecchia

Oulx

Cesana Monginevro

26 Novalesa

Susa

Bussoleno Bruzolo Condove ➨ Ocelum S. Giorio

Almese Borgone Caprie

S. Antonino S. Ambrogio ➨ Ad Fines

Avigliana

1770 circa Strade e mulattiere in Val di Susa

0 1 2 3 4 5 Km

27 Qualche autore, per superare il problema del miglio di S. Giorio, che sareb- be stato trovato in destra della Dora, ha supposto un doppio attraversamento della Dora tra S. Didero e Bussoleno, che però non trova conferma nelle di- stanze riportate negli antichi itinerari, tutti molto precisi sulla distanza tra To- rino e Susa, che, in questo caso, verrebbe aumentata di un paio di miglia. Altri, come il Prieur, hanno fidato nella incertezza del reale luogo di ritrovamento, supponendo che, in origine, si trovasse sull’altra riva. Una spiegazione può essere trovata nello spostamento altomedioevale di questa strada che potrebbe spiegare anche la apparente assurdità di ponte di pietra a Bussoleno a sole 6 miglia da quello di Susa mentre il resto della valle, dopo la perdita del ponte romano di Avigliana, ne era privo.

* * * Per quanto riguarda l’itinerario in alta valle si è supposto che toccasse la via più breve tra quelle che uniscono Gravere, Chiomonte, Exilles, Oulx e Ce- sana, tutte località per cui abbiamo ragionevolmente delle indicazioni antiche o, almeno, altomedioevali. Tra Susa e Gravere vi sono due itinerari possibili: l’uno, quello citato normalmente, poco differente dalla strada attuale, che per- corre la vecchia gorgia in cui scorreva il Gelassa prima della sua deviazione nel XVIII secolo, e l’altro che segue la mulattiera Susa Gravere, in asse con la porta romana presso l’arco di Susa, che ho indicato nello studio sullo sviluppo della forma urbana delle città di Susa. In entrami i casi la differenza è solo di poche centinaia di metri e quindi non rilevante. Secondo Strabone Excingomagus (Exilles) risulta distante da Ocelum XXVIII miglia cioè 41.500 metri contro i 39.400 metri misurati sulla carta, e questo confermerebbe la sua identificazione con l’altura del forte con Exil- les. Cesana (Gaesaone), risulta distante da Susa XXII o XXIII miglia, cioè 32.600 o 34.100 metri, a seconda degli itinerari scelti, ed anche questo concorda ab- bastanza con i 32.500 metri misurati sulla carta settecentesca. Oulx (Ad Mar- tis) VIII miglia da Cesana (Gaesaone): cioè 11.850 metri contro 11.500 misura- ti. Queste leggere divergenze nella parte in salita possono essere dovute alla scala metrica usata, che non permette di rilevare i piccoli tornanti. A questo proposito è interessante analizzare il percorso tra Cesana e Mon- ginevro, che tutte le fonti ci danno in 5 migila, che è formato da una prima par- te che si sviluppa in salita e poi da un lungo pianoro. Stabilito che il nucleo ro- mano Ad Matronas era nel sito dell’attuale Monginevro, dove son state trova- te alcune tracce, e che da esso al ciglio del valico ci sono 2 miglia, il tratto in salita, da Cesana alla sommità del monte, sviluppava 3 miglia su un dislivello di 400 metri, corrispondente ad una pendenza del 90-100 per mille. Questo in- dica che la pendenza massima della strada era vicina a quella della strada na- 28 poleonica del Monginevro e del Moncenisio (65 per mille), e quindi perfetta- mente compatibile al transito di carri di ogni tipo (21). Il confronto con la viabilità odierna dà distanze più corte in pianura dove sono stati tracciati dei grandi rettifili, e più lunghe in montagna dove i percor- si moderni sviluppano tornanti più ampi.

Le distanze

Distanze in miglia Distanze in chilometri Distanze in km secondo le fonti secondo le fonti sulla viabilità classiche classiche del 1700

Aug. Taurin-Ocelum XX 29,600 29,800 Ocelum-Segusio XX 29,600 29,400 Ocelum-Ad Fines II o IV 5,180 5,100 Segusio-Gaesaone XIII 34,080 32,500 (*) Ad Martis-Gaesaone VIII 11,850 11,500 (*) Ocelum-Excingomagus XXVIII 41,500 39,500 (*)

(*) Queste distanze sono misurate nella carta, in orizzontale, quindi si dovrebbe aggiungere anche il dislivello tra le due località; inoltre, in salita, i tornanti diventano più stretti e non più ri- levabili con la scala utilizzata.

Le distanze sono state prese: Ð dal punto sul Truc Perosa indicato come luogo di ritrovamento del XI miliario da Torino in ÇPer una carta archeologica della valle di SusaÈ; Ð dagli scavi di Ad Fines di padre Bacco; – dal centro della città di Susa (piazza Savoia); – dalla altura dove è edificato il forte di Exilles; Ð dalla Abbazia di Oulx dove son stati trovati muri romani; Ð dalla chiesa di Cesana.

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Come si è visto, in epoca romana tutte le tracce indicano che nella bassa valle di Susa la strada era sul versante sinistro, mentre, in epoca altomedioeva- le e medioevale, tutte le indicazioni danno come preminente l’itinerario sul versante destro. Questa apparente contraddizione non ha mai suscitato un par- ticolare interesse degli storici. Giuseppe Sergi, che ha affrontato con grande ri-

(21) Confrontare A. CROSETTO - C. DONZELLI - G. WATAGHIN, Per una carta archeologica della valle di Susa, su ÇBollettino Storico Bibliografico SubalpinoÈ, 198, pp. 355-411. Per le ipotesi sull’itinerario da Susa al Monginevro: F. CAPELLO, Antichi itinerari nell’Alta valle di Susa, ÇBoll. R. Soc. GeograficaÈ 1940, rispampa su ÇSegusiumÈ, n. 27, 1989. FERRERO, La strada romana tra Torino e Monginevro, Memorie della Reale Accademia del- le Scienze, 38 anno, 1888, p. 11 e seguenti. 29 gore scientifico la storia politica ed economica di questa regione nel periodo medioevale, ha parlato di una «area di strada», cioè di una rete di percorsi tra loro indifferenti. é invece probabile che si sia verificato un vero spostamento di strada visto che già nell’alto medioevo è alla Chiusa che si situa la unica Çporta clausaÈ che si apre nel limes longobardo e che successivamente S. Am- brogio ed Avigliana appaiono preminenti sulle corrispondenti località del ver- sante opposto.

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A partire dal 406 d.C. la valle di Susa conosce sicuramente le invasioni dei Vandali che la risalgono per dirigersi in Francia. Circa un secolo dopo è la vol- ta dei Goti che la occupano stabilmente, poi dei Bizantini e dei Longobardi. Susa, che l’agiografo di Costantino chiama «chiave Italia» e «porta della guer- raÈ si adatta a questo ruolo. Probabilmente a seguito di una alluvione che ha distrutto il ponte ed Ad Fi- nes ed ha ostruito con enormi macigni la strada che superava il cono di deie- zione del rio di Chianocco, viene deciso di far passare il tracciato sulla sponda destra e di attraversare la Dora a Bussoleno per evitare l’altro dei due più te- mibili rii della valle, quello di Mattie. Sulla carta in misura del 1770 questi due rii sono i soli che tagliano la valle raggiungendo la Dora con un ampio e deser- to cono alluvionale. Questi sbarramenti naturali, insieme all’accampamento fortificato di Bus- soleno ed al ricetto di S. Giorio, vengono a costituire un solido sistema difen- sivo orientato contro le invasioni provenienti dalla pianura a guardia delle ter- re migliori, poste sul versante sinistro della bassa valle. La costruzione di un ponte a Bussoleno, in mezzo a queste due barriere naturali, è il risultato di una precisa logica difensiva, che forse si identifica con le Çclusae francorumÈ cita- te dalle fonti storiche, in contrapposizione a quelle longobarde.

Le ipotesi sul trasferimento della strada possono variare dal V secolo, quan- do i Goti hanno fortificato Susa e, come ricorda lo storico Procopio (22) Çnelle Alpi, chiamate Cozie dai Romani, si trovano numerose fortificazioni presidia- te da molto tempo dai GotiÈ, sino agli anni appena successivi al 574 quando Gontranno, re dei Burgundi, ricaccia i Longobardi dalla valle con l’aiuto dei Bizantini, si annette la valle di Susa e si trova (forse) a difendere l’attraversa- mento della Dora, troppo vulnerabile ad Avigliana. Certamente vi fu anche un concorso di cause naturali, ma, a partire da que- sto periodo, la nuova situazione è già definita se al confine della valle c’è quel-

(22) PROCOPIO, Guerra Gotica. 30 lo sbarramento fortificato che, sotto il nome di Chiuse, segnerà il confine tra i Franchi, succeduti ai Burgundi, e i Longobardi (23). Le due linee difensive: i rii di Mattie e di Chianoc, con al centro Bussoleno a difesa del ponte, e più a valle, lo sbarramento delle Chiuse longobarde, si fronteggiano in una situazione di stallo che durerà quasi due secoli. Può essere indizio di un confine inizialmente incerto il fatto che ancora nel VII secolo Avi- gliana dipendesse dal vescovado di Susa e Moriana, creato da Gontranno stac- cando Susa dalla diocesi di Torino (24). La differente funzione strategica dei due versanti parrebbe riflettersi anche nel testamento di Abbone in cui pare di riconoscere una ampia donazione del- la media valle e del versante sinistro della bassa valle, mentre restano esclusi Susa ed il versante destro. Pur nella incertezza della identificazione di alcuni nomi e nella impossibilità di identificarne altri, è interessante notare che nes- suno tra quelli citati nel documento è identificabile sulla destra della bassa Do- ra mentre si delinea abbastanza chiaramente la ordinata cessione della val Ce- nischia, dei dintorni di Susa, della alta valle sino a Chiomonte e della parte si- nistra della bassa valle sino a Condove (25).

È indubbio che la nuova strada costituì un vantaggio sia per i Franchi che per i Longobardi. Per i primi diventò più facile difendere l’accesso a Susa, che ora aveva un punto avanzato in Bussoleno, per i secondi la rupe del Pirchiria- no rappresentava una vera e propria torre per appoggiarvi la loro opera difen- siva.

(23) Incmaro di Rheims ricorda delle chiuse dei Franchi al Moncenisio nella descrizione di una battaglia che vi era avvenuta (Archeologia In Piemonte e V. D’A., cit., p. 361). (24) Gontranno staccò la valle di Susa dalla diocesi di Torino e la unì a quella di Moriana. Sulle vicende della diocesi segusina in questo periodo cf N. BARTOLOMASI, Valsusa antica, pp. 470-471. (25) L’identificazione delle località citate nel testamento di Abbone 739 d.C. merita di essere tentata, sia pure in via indicativa, perché è un testo storico di eccezionale antichità che ci infor- ma della valle, dei suoi borghi e delle sue culture, anche se molti luoghi hanno talmente mutato nome da essere riconoscibili solo con riserve ed altri non sono identificabili: «...quello che vi è nella valle di Novalesa anche in Barro (i pascoli del rio Bar) o piuttosto in Albanato (di cui pro- babilmente deriva il nome del gruppo dell’Ambin) ed oltre Cenischia sotto Crevasca (?) ed in Faido (forse la regione del Fej, un vecchio borgo sopra Mompantero), in Balma (potrebbe esse- re una località sotto Marzano di Mompantero, ricca di vigne), Ladstadio (è stata identificata con la piana tra Venaus e Mompantero che mantiene il toponimo), Gallionis (una delle borgate di Giaglione), Grummo (altra borgata di Giaglione?), Camudis (Chiomonte?), Luxomonte (Essi- monte, borgata principale di Gravere), Corvallico (?), Petracava (?), Trebocis (i commentatori son concordi nell’identificarla con il vecchio nome di Traverse di Meana) o quantunque siamo considerati avere intorno alla città (di Susa). Poi Orbano (Urbiano), Ciminiano (borgata Cenaj di Mompantero?), Voroxio (?), Raudenovilliano (?), Velaucis (?), Cammite superiore e Cammite inferiore (forma ablativa di Camus, da cui Camusso, il più antico nome di Chianocco?, che, in antico, era edificato più in basso), Brusiolis (Bruzolo), Rogationis (corrisponderebbe alla regio- 31 La nuova sistemazione aveva motivi per avere successo ed era destinata ad improntare profondamente lo sviluppo della valle. Con ogni probabilità dob- biamo ad essa la nascita e lo sviluppo di Bussoleno, S. Giorio, S. Antonino (S. Agata), Chiusa e S. Ambrogio, ed Avigliana e, più in generale, di un assetto territoriale che non è più mutato fino al XIX secolo.

ne di S. Didero dove c’è una edicola romana scolpita nella roccia), Borgonis (Borgone), Crito- vis (Condove o Caprie?), Orbana (?), Bicorasco (identificabile con Basc, che era il più grosso borgo della regione di Mocchie)È. 32 Appendice

Riassunto/Resumé: «La costruzione della autostrada della valle di Susa porta alla ribalta il problema della tutela delle aree di interesse archeologico. A Malano, presso Avigliana, scavi ottocenteschi avevano evidenziato cospicue strutture ed importanti reperti di età romana riferibili alla celebre dogana e mansio di Ad Fines Alpis Cottiae. Della localizzazione precisa dei ritrovamenti non esiste memoria negli archivi della Soprintendenza Archeologica del Piemonte. Secondo le perizie ufficiali, dopo gli sca- vi ottocenteschi, la Dora Riparia avrebbe progressivamente asportato i sedimenti ar- cheologici, ma lo studio attento delle vecchie relazioni di scavo ed il loro raffronto con l’evolversi dell’uso del suolo e della distribuzione delle proprietà desumibile dai cata- sti sette ottocenteschi ed attuali, con le fonti iconografiche e con le notizie di ritrova- menti occasionali, dimostrano che a Malano la Dora Riparia è in fase di alluviona- mento e non di erosione. I resti di Ad Fines giaggiono perciò ad alcuni metri di profon- dità proprio sotto l’area dove si intende fare passare la autostrada e costruire uno svin- colo. Evidenziando le incongruenze tra i progetti attuativi della autostrada e gli stru- menti urbanistici e paesaggistici vigenti, viene proposta l’istituzione di un’area ar- cheologica a tutela di un ingente patrimonio di pubblico interesse che rischia altrimen- ti di essere irrimediabilmente compromessoÈ (A. Fazio). Da: M. CAVARGNA ed ANNETTA FAZIO, L’area archeologica di Malano presso Aviglia- na in Valle di Susa, ÇAntropologia Alpina Annual ReportÈ I, pp. 231-272, Torino 1989.

19.3.1987 Ð La Pro Natura Valsusa (M.C.) segnala alla Soprintendenza Archeolo- gica del Piemome che il Progetto Generale della Autostrada del Frejus prevede il pas- saggio sopra il sito archeologico di Ad Fines. 18.5.1987 Ð La Soprintendenza Archeologica risponde assicurando la massima at- tenzione. 19.3.1988 – Il pericolo che corre l’area archeologica viene denunciato con una in- tervista a ÇLa StampaÈ. Non si hanno reazioni. 4 giugno 1988 Ð Pro Natura, Italia Nostra e Segusium sottoscrivono un documento che riassume l’importanza del sito archeologico di Ad Fines. Il documento viene in- viato alla Soprintendenza insieme alla pubblicazione di L’area archeologica di Mala- no, op. cit.). Si chiedono indagini preventive e, se necessario, lo spostamento del trac- ciato. 7 giugno 1988 – La Soprintendenza ai B.A. dà ricevuta della lettera. 8 giugno 1988 Ð Incontro in Soprintendenza: il funzionario detta una lettera alla SITAF in cui ingiunge di sospendere i lavori. 18.10.1988 – Poiché, nel frattempo, i lavori sono proseguiti senza interruzioni, viene inviato alla Soprintendenza ai Beni Ambientali un telegramma in cui si chiede di conoscere le ragioni che hanno indotto a consentire il proseguimento. 14.11.1988 Ð La Soprintendenza risponde lodando la nostra documentazione e pro- ponendo un incontro. 29.11.1988 Ð Incontro in Soprintendenza. Ancora complimenti, ma nessuna rispo- sta. Si promette una prospezione, ma intanto sono passati 20 mesi l’autostrada su Ad Fines è stata fatta. 33 13.4.1989 Ð Presentazione di un esposto contro la Soprintendenza per conoscere le ragioni che hanno consentito il compimento dei lavori prima di una prospezione 15.4.1989 Ð La SITAF, che costruisce la autostrada del Frejus, opera una prospezio- ne nella zona in cui è stata costruita la autostrada: vengono scavate sette trincee con un escavatore. Nessuna di queste parte dai punti in cui era stata indicata la massima pro- babilità di strutture sepolte. Le trincee vengono immediatamente coperte dopo un so- praluogo di un geologo. Il lavoro dura 4 giorni e viene avvertita solo la Soprintenden- za Archeologica. Verrà poi comunicato che l’esito del saggio è stato negativo.

Nota alla Tavola di pag. 18

Tra Torino e Susa vi sono 40 miglia in cinque itinerari (il 2¡, 3¡ vaso di Vicarello, il 4¡ vaso che inverte le cifre, la tavola di Peutinger e l’itinerario gerosolimitano), e 41 miglia in quello di Antonino. Si discosta solo il 1¡ vaso di Vicarello che aggiunge 8 miglia in più tra Susa ed Ocelum). Tra Torino ed Ocelum ci sono 20 miglia in tutti e tre gli itinerari che riportano questa località, mentre tra Torino ed Ad Fines ce ne sono 18 in due dei quattro itinerari che la indicano, e 16 in quello gerosolimitano. Sarebbero 17 nel quarto vaso di Vicarello se si ammette la inversione delle cifre sopra ricordata. Tra Susa e Cesana vi sono 23 miglia in quattro itinerari, e 24 e 25 miglia in altri due (il 4¡ vaso di Vicarello non riporta Susa e vi compare una tappa in più «in Alpe Cottia» che è stata interpretata come una variante perché aggiunge la sua distanza alla distanza totale tra Torino ed Embrun che, per il resto, resta invariata). Nella tavola della pagina 18 si può notare la concordanza per il tratto da Cesana si- no ad Embrun, passando per il Monginevro, Briançon e Roche de Rame, dove le tappe restano costanti. La lunghezza totale del tratto rimane, per tutti e sette gli itinerari, tra le 44 e le 46 miglia, tenendo conto anche dell’itinerario di Antonino dove la località di riferimento non è Cesana ma Oulx (Ad Martis).

La tavola della pagina precedente: rielaborata da La Province Romaine des Alpes cottiennes, di JEAN PRIEUR, Gautier 1968 e da A. FABBRETTI, Scavi di Avigliana, Atti SPABA, Vol. I, 1875.

34 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 35-80

Giancarlo Chiarle I visconti di Baratonia e di Villar Focchiardo Sviluppo e crisi di una signoria medievale

Una documentazione relativamente copiosa consente di seguire la storia dei visconti di Baratonia, una delle famiglie dell’aristocrazia medievale pie- montese sulla quale più si è soffermata l’attenzione degli studiosi del nostro secolo (1), dalla metà dell’XI alla metà del XV secolo, quando l’ultima linea, delle quattro che si erano formate nel XIII secolo (Baratonia, Villar Focchiardo, Balangero, Viù), si estingue, trasmettendo feudi e titoli agli Arcour. I ruderi del castello eponimo, centro ideale della frastagliata e frammentata signoria, si trovano su una collina situata nella valle superiore del torrente Ce- ronda, in territorio di Varisella, ai piedi del contrafforte montuoso che separa la valle di Viù dalla pianura e collega l’imbocco della val di Susa a quello del- le valli di Lanzo. La vicinanza di alcuni dei principali assi di transito alpino e delle vie locali di passaggio tra la pianura e la montagna ha certamente avuto

(1) A partire da F. RONDOLINO, I Visconti di Torino, Pinerolo 1901, che contiene un utilissimo regesto. Le due monografie più ampie sono quelle di A. TARPINO, Tradizione pubblica e radica- mento signorile nello sviluppo familiare dei visconti di Baratonia (secoli X-XIII), in ÇBollettino Storico-Bibliografico Subalpino» (d’ora in poi «BSBS») LXXXIX, 1981, pp. 5-65, e A. BONCI, I Visconti di Baratonia. Signori nelle Valli della Stura della Ceronda e del Casternone, Varisel- la s.d. (ma 1982). é dedicato specificamente alla val di Susa il saggio di L. PATRIA, Comunità, famiglie eminenti e amministrazione in Val di Susa. Un documento del 1207, in ÇBSBSÈ LXXXII, 1984, pp. 175-191. Altri studi saranno citati nel corso dell’articolo. Per una sintesi sul- la storia complessiva della famiglia, mi permetto di rinviare a G. CHIARLE, Sulle tracce del me- dioevo. Dai Baratonia agli Arcour, Catalogo della mostra documentaria, Varisella 1999. Il sag- gio che pubblico qui rappresenta il risultato parziale di una ricerca in svolgimento, che si inseri- sce in un programma di riscoperta e valorizzazione del territorio e della storia locale avviato dalla Biblioteca Civica di Varisella fin dagli anni ’70. 35 una rilevanza, se non sulla fondazione, certamente sullo sviluppo ulteriore de- gli sparsi domini signorili. Senza ipotizzare nessuna deliberata collocazione ÇstrategicaÈ (2), questo saggio vuole proporre alcune riflessioni sulla storia dei visconti di Baratonia dall’angolo visuale particolare della localizzazione geografica della signoria tra le valli di Lanzo, della Ceronda e di Susa, per concentrarsi poi sulle loro presenze più dirette in quest’ultima valle, fino alla metà del XIV secolo, quan- do scompare dalla documentazione l’ultimo «visconte di Villar FocchiardoÈ.

Un territorio medievale: valli, signorie, miniere Val di Susa e valli di Lanzo, poli territoriali estremi della costruzione signo- rile e della rete di strade che circonda Baratonia, conoscono sviluppi storici molto diversi. Quella di Susa è una valle di transito, un «paesaggio di attraver- samentoÈ caratterizzato da un percorso stradale per lungo tratto pianeggiante che consente l’accesso a due dei più frequentati valichi alpini. Su questa valle si concentrano l’attenzione e i patrimoni delle famiglie funzionariali carolinge e poi dei nascenti principati territoriali (dagli Arduinici agli Umbertini). Assai diverse le caratteristiche delle valli di Lanzo: le tre valli (Cantoira, Ala, Viù) «costituiscono dei solchi cortissimi addossati alla catena nella sua parte più continua...», sono valli «nettamente rivolte verso la montagna» (3). Le acque dei tre rami della Stura si aprono uno stretto varco verso la pianu- ra all’altezza del monte Buriasco, su cui sorge Lanzo, che viene perciò a rap- presentare un passaggio sostanzialmente obbligato. Gli accessi dai versanti montuosi laterali (confinanti a sud con la val di Susa; a est con le valli minori della Ceronda e del Casternone; a nord, con la valle dell’Orco) richiedono il superamento di colli situati tra i 1200 e i 2600 metri. Impervie le valli si pre-

(2) Sulla problematica dei rapporti tra strade e castelli, A. A. SETTIA, Castelli e strade del nord Italia in età comunale: sicurezza, popolamento, ÇstrategiaÈ, in Luoghi di strada nel me- dioevo. Fra il Po, il mare e le Alpi occidentali, a cura di G. Sergi, Torino, Scriptorium, 1996, pp. 15-40. Vedi inoltre G. SERGI, Potere e territorio lungo la strada di Francia, Napoli 1981, pp. 250-251, e ID., Alpi e strade nel medioevo, in Gli uomini e le Alpi, a cura di D. Jalla, Torino 1991, pp. 43-51. (3) La definizione della val di Susa come «paesaggio di attraversamento» è dovuta a L. FOZ- ZATI - A. BERTONE, Il popolamento preistorico della valle di Susa. I. Problemi e prospettive, in ÇQuaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte», 3, 1984, p. 1. Per l’epoca romana e altomedievale, A. CROSETTO - C. DONZELLI - G. WATAGHIN, Per una carta archeologica della Valle di Susa, in «BSBS» LXIX (1981), pp. 355-412. Per l’epoca medievale, SERGI, Potere e territorio, cit., pp. 19-45. Le espressioni riferite alle valli di Lanzo sono di B. POCHE, Le Valli di Lanzo: uno sguardo transalpino. Analisi storico-sociologica, in Miscellanea di studi storici sul- le Valli di Lanzo in memoria di Giovanni Donna d’Oldenico, Lanzo 1996, p. 38, che, in rapida sintesi, propone per le valli di Lanzo la caratterizzazione di Çmondo a parteÈ, chiuso verso il Piemonte e la pianura. 36 sentano sul fronte alpino: i valichi per la Savoia (Bessans e Bonneval nella valle dell’Arc) sono tutti collocati sopra i 3000 metri; i percorsi vallivi interni sono caratterizzati da costanti dislivelli. Fino a XIII secolo inoltrato, le valli di Lanzo dipendono dai grandi enti ec- clesiastici di Torino. Al vescovo appartiene la signoria di Lanzo, come dichia- ra esplicitamente l’atto con cui nel 1219 il vescovo torinese Giacomo di Cari- sio, Çsignore e conteÈ (tamquam dominus et comes terre illius), concede in be- neficium sive feudum ai signori di Lanzo il diritto di tenere un mercato setti- manale, con una parte dei relativi proventi fiscali. Diversificata la presenza dei monasteri, che dal vescovo ricevono o a lui ri- conoscono (è il caso soprattutto di S. Mauro) i loro ampi possessi fondiari e si- gnorili. Nei primi anni dell’XI secolo, dai vescovi il monastero cittadino di S. Solutore riceve i resti dell’antico monastero di S. Martiniano nella valle del torrente Casternone (oggi in territorio di Val della Torre), con le sue dipenden- ze, che sono situate all’interno e ai confini delle valli di Lanzo: la chiesa di S. Martino di Viù, quella di Col S. Giovanni (con le ville di Bertesseno, Niquidet- to e Richiaglio) e quella di S. Maria di Monasterolo sita in valle Mattegaria, antico nome delle valli della Stura, che solo a partire dall’inizio del XIV secolo, con l’istituzione della castellania sabauda, si chiameranno valli di Lanzo. La conca alpina di Col S. Giovanni, all’estremo limite sud-orientale della valle di Viù, viene delimitata con riferimento a due valichi, il col del Lys (Colum Lido- nis) e il colle Portia (Portella), comunicanti rispettivamente con la val di Susa e con Val della Torre. Nella seconda metà del XII secolo, S. Giacomo di Stura, fondazione mona- stica recente che eredita da S. Solutore i favori dell’élite cittadina, riceve la donazione di numerosi beni localizzati nell’alta valle di Viù, sopra Usseglio: l’Alpe di Pietrafica, da Elena, moglie di Pietro Podisio, nel 1168; la chiesa di S. Desiderio in loco Oxelli, dal vescovo Milone, qualche anno dopo; due man- si in Usseglio e in Lemie, da Bongiovanni di Varisella e dalla moglie Giorda- na, nel 1183; l’Alpe della Rocchetta, da Enrico visconte di Baratonia, nel 1196; infine, l’Alpe della Balmetta di Arnas, da Guglielmo e Ulrico signori di Reano, nel 1224 (4). La valle di Viù, alle sue estremità, è quindi l’obiettivo privilegiato dell’e- spansione fondiaria di S. Solutore e di S. Giacomo. E le altre valli? Nel 1159 l’imperatore Federico I conferma a Carlo, vescovo di Torino, le corti di Lanzo e

(4) Vescovo di Torino: 1219 (Le carte dell’Archivio Arcivescovile di Torino fino al 1310, a cura di F. Gabotto e G. B. Barberis, Pinerolo 1906, doc. 170 p. 179). S. Solutore: 1011 (Cartario della Abazia di S. Solutore, a cura di F. Cognasso, Pinerolo 1908, doc. 3 p. 7). S. Giacomo di Stura: 27 o 28 agosto 1168 (Le carte dell’Archivio Arcivescovile di Torino, cit., doc. 34 p. 42); fra 1170 e 1187 (ibid., doc. 41 p. 50); 19 agosto 1183 (ibid., doc. 73 p. 76); 19 marzo 1196 (ibid., doc. 110 p. 108); 19 maggio 1224 (ibid., doc. 186 p. 195). 37 di Mathi cum tota valle Mategasca. Il riferimento generico a tutta la Çvalle di Mathi» viene chiarito da un documento di più di cento anni successivo, nel qua- le si dice espressamente che il monastero di S. Mauro possiede quasi integral- mente i territori delle tre valli di Ala, Cantoira e Viù. Metà della signoria delle prime due è concessa in feudo ai signori di Lanzo e ai visconti di Baratonia; tut- ta la signoria di Viù (che, come risulta chiaro da altri documenti, non compren- de la parte superiore della valle, e cioè Lemie e Usseglio) è infeudata ai «signo- ri di Viù» (come si vedrà in seguito, un ramo dei Visconti di Baratonia). È proprio l’estesissimo patrimonio fondiario di S. Mauro, insieme con il castello vescovile di Lanzo (documentato intorno alla metà del secolo), ad at- tirare sulle valli l’interesse dei grandi principati laici in formazione. Nel 1266 Guglielmo VII di Monferrato entra in possesso del castello di Lanzo, nonostan- te l’opposizione del vescovo, e nel 1286 si fa assegnare in enfiteusi ventino- vennale dal monastero di S. Mauro, ancora una volta nonostante l’esplicito di- vieto del vescovo, le sue estese signorie sulle valli. Saranno però i Savoia, alla fine del secolo, a impadronirsi definitivamente del castello di Lanzo e del distretto di valle collegato (castellata Lancei et con- trata) grazie al matrimonio di Margherita, figlia di Amedeo V, con Giovanni di Monferrato, e alle successive vicende del marchesato. Nel 1341 S. Mauro ce- derà ad Aimone di Savoia tutta la sua signoria sulle valli contro nove giornate di terra in Castiglione. I monasteri torinesi utilizzano le valli come una pertinenza alpina, per la transumanza delle greggi (come è documentato per S. Giacomo di Stura) o per lo sfruttamento signorile (è il caso di S. Mauro e di S. Solutore), ma non fondano priorati o dipendenze, se non quello, probabilmente già antico, di S. Mauro di Mathi, nella pianura tra Lanzo e Ciriè. Neppure sorgono, nelle valli, monasteri autoctoni, ed è significativa, a questo proposito, la cristal- lizzazione di toponimi generici come Monastero (sopra Lanzo, nella valle del Tesso) e Monasterolo (oggi frazione di Cafasse), fondazioni probabil- mente tanto antiche, isolate o così poco significative da non aver conserva- to traccia delle dedicazioni. L’interesse di Savoia e Monferrato per le valli di Lanzo corrisponde crono- logicamente allo sviluppo dell’economia locale nel settore minerario. Alla metà del XIII secolo, infatti, risalgono le prime citazioni dei ÇforniÈ in cui si fonde il minerale per ricavarne il metallo, tanto importanti e consistenti da ri- chiedere l’intervento dei poteri superiori per disciplinare la fondazione di nuo- vi villaggi (Forno di Lemie e Forno di Richiaglio, nella valle di Viù; Pertusio e Chiabertetto, nella valle di Ala; Forno di Chialamberto e Forno di Groscavallo nella valle di Cantoira; Pessinetto, alla confluenza delle ultime due), e tanto numerosi da far pensare a un’attività già consolidata. Anche se sono ben docu- mentate altre produzioni (formaggi di alpe, carbone di legna, mole da mulino), la protoindustria delle valli resterà prevalentemente legata all’estrazione e alla 38 trasformazione del ferro: alla fine del XIV secolo, in una supplica al duca di Sa- voia, gli uomini di Lanzo sostengono che, nelle loro valli Çanguste e povereÈ, non vi è «alcun passaggio, fuorché per causa delle miniere di ferro», metallo che viene da loro avviato a Çlontani paesiÈ (5).

Il condizionamento del paesaggio naturale e l’azione dei poteri egemoni favoriscono, nelle valli della Stura e della Dora, lo sviluppo di due diverse «vocazioni» storiche: da una parte, il paesaggio aperto della val di Susa e l’a- zione stabile di poteri sovraregionali strutturano il territorio intorno a una strada di grande comunicazione, con il suo ricco indotto (monasteri con col- legamenti a largo raggio, mansioni ospitaliere, sviluppo precoce di ÇborghiÈ sedi di mercato e di autonomie comunali); dall’altra, le valli di Lanzo si pre- sentano come un’enclave relativamente chiusa agli scambi, dove più radicate sono le minori signorie bannali laiche ed ecclesiastiche e più lenta è la cresci- ta dei borghi. Incardinata nella piccola valle della Ceronda, compresa e compressa tra gli sbocchi dei due sistemi vallivi maggiori, la signoria dei Baratonia, limitata sul versante segusino prima dall’amplissima presenza patrimoniale arduinica e poi dalla rapida avanzata degli Umbertini, tenta di espandersi sull’altro ver- sante, dove gli enti ecclesiastici possono opporre minori resistenze.

(5) S. Mauro: 26 gennaio 1159 (MGH, Diplomata, X, 2, doc. 252, p. 50); 2 agosto 1286 (Cartario della Abazia di San Solutore. Appendice di carte varie relative a chiese e monasteri di Torino, a cura di F. Cognasso, Pinerolo 1908, doc. 26 p. 312). Marchese di Monferrato (Gugliel- mo VII): 5 marzo 1266 (Le carte dell’Archivio Arcivescovile di Torino, cit., doc. 275 p. 292). Aimone di Savoia: 22 gennaio 1341 (AST, Corte, Paesi, Provincia di Torino, m. 16, Lanzo e Valli, n. 3). Sul matrimonio tra Margherita, figlia di Amedeo V, con Giovanni di Monferrato e sul passaggio della castellania di Lanzo ai Savoia (la castellata Lancei compare in un atto del 1298: Cartario della Abazia di San Solutore. Appendice, cit., doc. 28 p. 317), vedi L. USSEGLIO, Lanzo. Studio storico, Torino 1887, pp. 81 e segg. (ancora oggi la migliore sintesi sulla storia medievale e moderna delle valli), e E. SOPETTO, Margherita di Savoia marchesana di Monferra- to, in ÇMiscellanea di storia italianaÈ, 3a serie, t. XII, 1907, pp. 235-315. Un regesto dei più im- portanti documenti medievali delle valli si trova in E. OLIVERO, Architettura religiosa preroma- nica e romanica nell’archidiocesi di Torino, Torino 1940, pp. 228-236. Sui monasteri e sui ve- scovi di Torino rimando, per brevità, a G. SERGI, L’aristocrazia della preghiera, Roma 1994, e ai relativi articoli in Storia di Torino, I, Torino 1997. Sul priorato di Mathi, F. ASSALTO, Cenni storici sulla chiesa prepositurale di Mathi Canavese antica commenda benedettina, Ciriè 1904; P. CANTONE, Storia della gente di Mathi fino all’anno 1600, I, Torino 1977, pp. 229-256 (alle pp. 65-66 riferimenti all’espressione medievale «valli di Mathi»). Sulle miniere, E. SESIA, Atti- vità mineraria e insediamenti industriali delle valli di Lanzo nel secolo XIV, Tesi di laurea in Lettere, Università di Torino, a. a. 1978-79. Vedi inoltre più avanti alla nota 20 e testo corri- spondente. Ho sintetizzato la supplica degli uomini di Lanzo della fine del XIV secolo con le pa- role di L. CIBRARIO, Della qualità e dell’uso degli schioppi nell’anno 1347 con alcune notizie sulle condizioni statistiche ed economiche delle Valli di Lanzo, d’Ala, di Lemie e d’Usseglio nel secolo XIV, Torino 1844 (rist. anast. 1982), p. 32. 39 Qui sopra: L’albero genealogico dei visconti di Baratonia fra i secoli XI e XIII. Non si possono stabi- lire collegamenti certi fra tutti i personaggi, ma tre nuclei familiari risultano evidenti: quello del ca- postipite Vitelmo Bruno; dei fratelli Enrico e Ottone (metà secolo XII); della famiglia di Enrico (inizio sec. XIII). A destra: Ruderi del «Castlàs», il castello dei Baratonia nel territorio del comune di Varisella, ri- dotto a pochi resti immersi nella vegetazione. 40 La migliore alternativa a una situazione di pericoloso arroccamento è rap- presentata dalla più meridionale delle valli di Lanzo, la valle di Viù, che dise- gna un’insenatura alpina parallela a quella della val di Susa con la quale confi- na. La valle è facilmente accessibile attraverso i sentieri e le mulattiere che ri- salgono il versante montuoso alle spalle di Baratonia e di Varisella e rappre- senta una sorta di ÇponteÈ naturale tra il cuore della signoria e le sue propaggi- ni valsusine, un percorso alternativo rispetto alle strade di pianura e fondoval- le. Inoltre, allo sbocco superiore della valle di Viù si trovano gli unici valichi delle valli di Lanzo per i quali sia stata ipotizzata una funzione di transito già in epoca antica: l’Autaret e l’Arnàs. Reperti preistorici, lapidi romane, documenti medievali, elementi della cul- tura popolare concordemente testimoniano per la valle di Viù una storia diver- sa rispetto a quella delle altre valli e un immediato coinvolgimento, attraverso i colli laterali (il Lys, il Colombardo Ð o Collombardo Ð), nel sistema di traffi- ci e scambi innervato sulla val Susa. In epoca medievale (la documentazione diventa più esplicita a partire dalla seconda metà del XIII secolo), la valle di Viù è divisa in due: la parte inferiore (per la quale non viene mai usato il ter- mine ÇvalleÈ) costituisce una signoria autonoma con il suo centro nel castello di Viù, che S. Mauro infeuda ai domini locali e che si conserverà anche dopo l’istituzione della castellania sabauda di Lanzo. I signori di Viù, di cui parla il citato documento del 1286, non sono altro che un ramo dei visconti di Barato- nia, che proprio intorno a quest’epoca si separa dal ramo di Balangero. La par- 41 te superiore della valle, la «valle di Lemie e Usseglio», è in buona parte in ma- no ai vescovi di Torino, dai quali gli stessi Baratonia riconoscono feudi (6). Pur costretti a vendere la parte maggiore della signoria nella prima metà del secolo successivo, i visconti manterranno un quarto del castello e della si- gnoria di Viù fino alla loro estinzione alla metà del ’400. È questo, probabil- mente non a caso, l’unico ramo dei Baratonia che, pur con grandi difficoltà, riesce a superare la crisi finanziaria e politica che investe le minori signorie nel corso del ’300. Risalendo questa valle, relativamente ricca quanto a risorse minerarie, la signoria dei Baratonia si collegava direttamente alla val di Susa e correva parallela al principato degli Umbertini, provando forse a esprimere, almeno in qualche epoca, una concorrenza anche di tipo stradale.

Aree di strada tra Avigliana, il Canavese e la montagna Le direzioni di espansione della signoria dei Baratonia sono condizionate anche dalla presenza e dall’importanza relativa delle strade (7). Una strata Lancei et Aviglanie (8), attestata all’inizio del XIV secolo, colle- ga i centri di mercato e di castellania posti all’imbocco delle due valli e corre non distante dal castello di Baratonia. Pedaggi si percepiscono a Fiano (sul- l’altra sponda della Ceronda, di fronte a Baratonia) e Caselette. Tra il 1314 e il 1315, il castellano di Fiano, funzionario degli Acaia, e gli uomini di Lanzo di- sputano tra loro occaxione pedagii Fiani (9). Da Lanzo (provenendo probabil-

(6) Il documento del 1286 è citato alla nota precedente. Jacobus de Belengerio vicecomes, qui dicitur de Viu, è documentato per la prima volta nel 1285 (Cartario della Abazia di San So- lutore. Appendice, cit., doc. 24 p. 310), quando è costretto a riconoscere come suo signore feu- dale, per Viù, l’abate di S. Mauro; ma già nel 1266 lo stesso personaggio, d. Jacobum vescun- tum de Belengerio, riceve l’investitura del vescovo di Torino per beni in Lemie e Usseglio, a fluvio Nate [sic] superius, stando nella villa di Viù (Il ÇLibro delle InvestitureÈ di Goffredo di Montanaro vescovo di Torino (1264-1294), a cura di F. Guasco di Bisio, Pinerolo 1913, doc. 59 p. 192). Il rio Nanta, che scorre a valle di Forno di Lemie, separa le due parti della valle: al di sotto, si estende la signoria di Viù, dipendente da S. Mauro; al di sopra, è la «valle di Lemie e UsseglioÈ (con questa o con espressioni analoghe viene citata nei documenti), nella quale, oltre ai Baratonia, ampi possedimenti ha S. Giacomo di Stura. TARPINO, Tradizione pubblica, cit., p. 65, sottolinea il Çcostante anello di raccordo tra i due poli principaliÈ della signoria dei visconti (Baratonia e Villar Focchiardo) costituito dai possedimenti di pianura localizzati nell’area tra Rivoli e Collegno. Ritengo che una funzione analoga, almeno altrettanto importante, abbia svol- to il costante controllo della valle di Viù. (7) Per la definizione di Çarea di stradaÈ, SERGI, Potere e territorio, cit., pp. 33-35, e ID., Al- pi e strade nel medioevo, cit., p. 45: Çfascia di territorio che, su tempi lunghi, appare permanen- temente interessata da un transito significativoÈ. (8) AST, Corte, Protocolli ducali, reg. 37, c. 58r: nel 1335, la Çstratata [sic] Lancei et Avigla- nie» è segnalata nel territorio di Monasterolo, poco sotto Lanzo, sulla sponda destra della Stura. (9) F. GABOTTO, Estratti dai conti dell’archivio camerale di Torino relativi a Ivrea, in C. NIGRA - G. DE JORDANIS - F. GABOTTO - S. CORDERO DI PAMPARATO, Eporediensia, Pinerolo 1900, p. 272. 42 mente dalle valli di Ala e Cantoira, che non utilizzano il col del Lys) arrivano a Caselette, all’imbocco della val di Susa, carichi di ferro, forse minerale diretto ad alimentare le fucine di Avigliana, forse prodotti finiti destinati (come diran- no gli uomini di Lanzo nella citata supplica della fine del secolo) a Çlontani paesiÈ, e arriva anche la lana (panno albo et nigro) di consumo locale, indizio di un’industria rurale diffusa nelle valli (10). La strada ha un’importante funzione di coordinamento politico per l’ammi- nistrazione sabauda, indispensabile fin dall’epoca in cui Margherita di Savoia acquista il castello di Lanzo, esposto alle insidie degli Acaia, e tanto più quan- do la castellania di Lanzo viene unita al balivato della Val di Susa (11). Consen- te, d’altra parte, il collegamento di Pinerolo, centro dei domini degli Acaia, con le castellanie (Fiano, Balangero) e con le signorie (Baratonia) dipendenti o alleate. Ai mercanti e ai pellegrini che vengono da Lanzo, dal medio-alto Ca- navese, dalle valli Ceronda e Casternone, essa apre l’accesso alla via francige- na di val di Susa: in questa prospettiva merita considerazione l’isolata attesta- zione di una località «Pellerina» nella zona di Brione (oggi in territorio di Val della Torre, tra Givoletto e Caselette), localizzata accanto al monastero cister- cense di S. Maria, alla chiesa (e ai ruderi: maceriam) dell’antico monastero di S. Martiniano e alla nostra strata[m] publica[m] (12). La costruzione trecentesca del ponte del Roc a Lanzo (1378), già messa in relazione con esigenze fortificatorie o con l’attivazione di una strada da Lanzo a Torino sulla destra della Stura, poco plausibile fino all’epoca moderna, è in realtà diretta al potenziamento dell’importante strada di Avigliana (13).

(10) L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ, uomini di Caselette. Origine e affermazione di una comunità, in P. CARRARO - L. PATRIA - R. SAVARINO - D. VOTA, Caselette. Uomini e ambienti ai piedi del Musiné dalle origini all’Ottocento, Borgone di Susa 1999, pp. 160-163. Sull’industria rurale, vedi R. COMBA, Il retroterra economico-sociale dell’emigrazione montana, in ID., Con- tadini, signori e mercanti nel Piemonte medievale, Roma-Bari 1988, pp. 85-99. (11) Sulla dipendenza di Lanzo dal balivato di Susa, B. DEMOTZ, La géographie administra- tive médiévale: l’exemple du conmté de Savoie, in ÇLe Moyen AgeÈ, 1974 (80), p. 283. (12) Cartario del Monastero di S. Maria di Brione fino all’anno 1300, a cura di G. Sella, Pi- nerolo 1913, doc. 44 p. 36: Çex una parte inferius usque ad stratam plubicam [sic] subter eccle- siam sancti Martini [sic] desuper usque ad maceriam prati PellerineÈ. Anche in Cartario della Abazia di San Solutore. Appendice, cit., doc. 18 p. 292. Per l’attestazione di «Pellerina» come via dei pellegrini, SERGI, Potere e territorio, cit., p. 29. Negli anni ’20 o ’30 del XIII secolo, Pon- cetus de Costa Pelata, disponendosi a partire per Santiago di Compostella (Sanctum Iacobum de Galicia), affida la moglie Matelda e il magro patrimonio (la vigna, la terra, un sedime) alle monache di Brione, in caso gli tocchi morire in via predicte peregrinationis (Cartario del Mo- nastero di S. Maria di Brione, cit., doc. 36 p. 28). (13) La prima spiegazione si deve a A. CAVALLARI-MURAT, Analisi del monumento, in Analisi ambientale-culturale di un monumento. Il ponte del Roc o del Diavolo a Lanzo Torinese, a cura di A. Audisio e B. Guglielmotto-Ravet, Lanzo 1978, p. 51. La seconda a USSEGLIO, Lanzo, cit., p. 232. Tra il 1306 e il 1307 alcune macchine da guerra (ingenia), trasportate dal castello di Ri- voli a quello di Lanzo, non possono attraversare la Stura e sono anzi portate via e distrutte da una piena del torrente: E. SOPETTO, Margherita di Savoia, cit., p. 256 n. 4. 43 Collegandosi ad essa, e ad altre vie che tagliano orizzontalmente la pianura torinese probabilmente all’altezza di Caselle e Ciriè, una via Vercellensis, atte- stata alla fine del XIII secolo alla sinistra della Dora all’imbocco della val di Susa (Villar Almese), consente il collegamento tra la val di Susa e Chivasso evitando i pedaggi di Rivoli e Torino. Nel tardo medioevo documenti di Cuor- gnè parlano di merci provenienti da Ivrea e dirette ad Avigliana; nella direzio- ne opposta, i conti trecenteschi della castellania di Caselette ricordano il pas- saggio delle greggi transeuntes versus Canapicium (14). Un coinvolgimento diretto dei visconti nel controllo di questo tragitto è forse implicito nei precetti loro rivolti dai Savoia per l’esenzione dai pedaggi delle greggi transumanti del monastero di Lucedio. Su quest’area di strada, due percorsi sono tangenziali a Baratonia. Il primo, attraversando un’area di boschi, si dirige in direzione del Canavese passando per il luogo di Robasso- mero (secondo il Serra derivato di roba, ÇderubaÈ, somiero, ÇsomiereÈ), gua- da la Stura all’altezza di Vastalla (probabilmente toponimo di origine germani- ca indicante un «posto di guardia») e prosegue il suo tragitto verso Ciriè toc- cando la località, onomasticamente gemella, di Robaronzino. Sono ipotesi da verificare ulteriormente sui documenti. Più a nord, una strata[m] que dicitur strata Rippayrolii versus Canapicium è usata dagli uomini di Lanzo per il commercio del carbone di legna. La funzione commerciale di questo collega- mento interessa anche le mole da macina: per il loro acquisto, alla fine del XIV secolo, al mercato di Lanzo si rivolgono soprattutto mugnai canavesani. D’altra parte, i castelli e le signorie di Lanzo e di Balangero sono luogo di confronto e di scambio tra i signori locali e le famiglie comitali del Canavese: limitandoci al secondo caso, appare molto significativo l’interesse dimostrato dai Baratonia per il castello di Balangero (di cui, nel 1151, acquistano una par- te da Guido conte del Canavese), e la co-signoria che viene così a instaurarsi tra loro e i canavesani conti di Castellamonte. Da Rivarolo e dal Canavese si diramano poi i collegamenti con Vercelli: lo stesso conte Guido, che dieci anni dopo venderà Balangero ai Baratonia, nel 1141 concede ai consoli del comune di Vercelli la curadia dei due mercati di Rivarolo e di Mazzé e nel 1156 vende a un consorzio il ponte di Mazzé sulla Dora (15).

(14) Per la via Vercellensis: E. PATRIA, Almese. Una terra tra le Alpi e la pianura, Almese 1993, p. 20 n. 53. Sui collegamenti con il Vercellese e il Canavese, L. PATRIA, ÇHomines Casel- letarumÈ, cit., pp. 105, 163, 165 e n. 20, con rimando anche a M. BERTOTTI, Documenti di storia canavesana, Ivrea 1982, pp. 312-313. (15) Sulle esenzioni a Lucedio, vedi, per esempio, Documenti inediti e sparsi sulla storia di Torino, a cura di F. Cognasso, Pinerolo 1914, doc. 11 p. 10 (30 luglio 1137). Per Robassomero: G. D. SERRA, Contributo toponomastico alla descrizione delle vie romane e romee del Canave- se, p. 248. Secondo M. C. DAVISO di CHARVENSOD, I pedaggi delle Alpi Occidentali nel Medioe- vo, Torino 1961, p. 364, il toponimo Robassomero Çconfermerebbe il passaggio per questa loca- lità di una certa corrente di traffico». La località di Robasomerium, confinante con 300 giornate 44 Con questo documento, rogato nel 1090 nel castello di Baratonia, il visconte Vitelmo Bruno e i suoi figli donarono alla prevostura di Oulx alcuni beni e diritti loro competenti nel territorio di Villar Focchiardo (Çin loco qui dicitur Vilar FolcardiÈ). Siamo alla vigilia della morte della contessa Ade- laide Çdi SusaÈ e del crollo della marca di Torino.

Grande importanza hanno quindi gli itinerari che collegano Canavese e val di Susa, attraverso la valle inferiore della Stura di Lanzo, in stridente antitesi con la rete stradale odierna che invece si apre a raggiera intorno a Torino. La

di bosco e 80 giornate di goreto lungo la Stura, compare nelle franchigie concesse a Ciriè da Ai- mone di Savoia nel 1337 (Archivio Storico del Comune di Ciriè, Liber Franchixiarum et Statu- torum Ciriaci). Sul pedaggio di Ciriè, SOPETTO, Margherita di Savoia, cit., pp. 260-261. Il rife- rimento alla strata Rippayrolii si trova nelle franchigie concesse da Amedeo VI a Lanzo nel 1351: vedi R. FRESIA, Gli Statuti di Lanzo e di Forno di Lemie, in Miscellanea di studi storici sulle Valli di Lanzo, cit., p. 81. Sul commercio delle mole, USSEGLIO, Lanzo, cit., pp. 194-195, e P. GRILLO, Il commercio delle mole nel Piemonte del basso medioevo (inizi XIV - inizi XV secolo), in Mulini da grano nel Piemonte medievale, a cura di R. COMBA, Cuneo 1993, pp. 220-229. Do- cumenti citati: 14 maggio 1151 (RONDOLINO, I Visconti di Torino, cit., doc. XIIIq p. 44); 21 gen- naio 1141 (G. COLOMBO, Documenti dell’Archivio Comunale di Vercelli relativi ad Ivrea, Pine- rolo 1901, doc. 1 p. 11); 6 novembre 1156 (F. GABOTTO, Le carte dell’Archivio Vescovile d’Ivrea fino al 1313, I, Pinerolo 1900, doc. 7 p. 17). 45 strada tra Lanzo e Torino, di epoca romana, corre lontano da Baratonia, sulla sponda sinistra della Stura. Su di essa, forse all’altezza di Caselle, si immetto- no le greggi del monastero di S. Giacomo di Stura quando, attraverso Balange- ro, Lanzo e Viù, salgono ai monti di Usseglio: «quando ascendunt alpes per viam illam que vadit per castrum Belengerii, que est in valle MatiiÈ (16). Per scendere da Baratonia a Torino si segue il corso della Ceronda, che toc- ca Druento e Altessano (l’attuale Venaria), dove confluisce nella Stura. A Druento, nel 1201, è documentata una via Taurensia. Limitrofa è la località prediale di Buazano, nella quale hanno ampi possessi, insieme ai Baratonia, monasteri e famiglie eminenti torinesi. Nella stessa zona è segnalata, nel 1356, una Çstracta MontagninaÈ, via di transumanza diretta verso la valle superiore della Ceronda e i pascoli della valle di Viù (17). Questo percorso (Çvia TaurensiaÈ o ÇMontagninaÈ), attraverso la valle del torrente Casternone (nei documenti medievali, Çvalle di BrioneÈ o ÇVal della Torre», toponimo che è passato a designare il comune attuale) e il colle Portia, sale alla valle di Viù, collegando tra l’altro i possessi di S. Solutore situati a Buazano (Druento) con quelli di Col S. Giovanni. Non a caso il vadum Portel- le compare come segno confinario dei possessi di questo monastero in un do- cumento dell’inizio dell’XI secolo e poi di nuovo nel 1255, quando l’abate con- cede in appalto una miniera situata nella zona di Col S. Giovanni a una società di imprenditori. Altri valichi minori, aperti sul crinale retrostante Baratonia e Varisella a un’altezza non superiore ai 1500 m., consentono il passaggio diret- to dalla valle della Ceronda alla valle di Viù (18).

(16) Sulla strada romana Lanzo-Torino, vedi P. BAROCELLI, La via romana transalpina degli alti valichi dell’Autaret e di Arnas, Torino 1968, pp. 110-138; T. CERRATO PONTRANDOLFO, Lo sviluppo della rete viaria, in Per pagos vicosque. Torino romana fra Orco e Stura, a cura di G. Cresci Marrone e E. Culasso Gastaldi, Padova 1988, pp. 189-191. Sulla viabilità romana del Canavese è ora disponibile anche G. CAVAGLIË, Contributi sulla romanità nel territorio di Epo- redia, Chivasso 1998. Per le greggi di S. Giacomo di Stura, Le carte dell’Archivio Arcivescovile di Torino, cit., doc. 148 p. 160 (2 ottobre 1210). (17) 1201: Le carte dell’Archivio Arcivescovile di Torino, cit., doc. 121 p. 126. Sulla via ÇMontagninaÈ, P. L. CASTAGNO - G. P. SPALIVIERO - C. MAROCCO, Tra Dora Riparia e Ceronda. Ricerche sul popolamento di un territorio, Supplemento di ÇAd QuintumÈ n. 4 (1998), p. 116. Devo queste segnalazioni all’amico Pier Luigi Castagno, che ringrazio. Sulle strade che attra- versavano Torino, A. A. SETTIA, Fisionomia urbanistica e inserimento nel territorio (secoli XI- XIII), in Storia di Torino, I, cit., pp. 815 e segg. (18) Per il documento del 1011, vedi sopra n. 4. Quello del 1255 si trova in Cartario della Abazia di S. Solutore, cit., doc. 130 p. 168. Secondo DAVISO di CHARVENSOD, I pedaggi delle Al- pi Occidentali, cit., p. 363: ÇLa valle di Viù, che fu a lungo sotto il dominio dei Visconti di Ba- ratonia, comunicava anche, e forse più, col piano per mulattiere che valicavano il Mombasso e scendevano a Baratonia e Varisella, centro dei visconti di TorinoÈ. 46 La Certosa di Montebenedetto (a m. 1170 di altitudine, nel comune di Villar Focchiardo) venne fondata verso la fine del secolo XII sotto la protezione di Tommaso di Savoia. Il monastero ebbe il visconte Enrico di Baratonia tra i primi donatori. 47 Tra quest’ultima e la val di Susa il passo certamente più frequentato è il col del Lys (m. 1310), anch’esso già citato, come si è visto, insieme con il Portia, nel documento di S. Solutore del 1011. La sua importanza risale all’epoca ro- mana, quando convergeva sulla statio di ad fines, e trova conferma nel medioe- vo nella protezione che all’iter ... versus collem de Licio o camino collis Licii viene accordata, tra il XIII e il XIV secolo, dal conte di Savoia e dai suoi funzio- nari (il castellano di Avigliana). La fortuna di questo itinerario, che collega Viù con Avigliana, si incrementa alla metà del XIII secolo grazie alla costruzione del ponte sulla Dora e dell’annessa chiesa di S. Maria de Porcairano (19). Alla stessa epoca (1255), risale il già citato appalto di una miniera di ferro nel territorio di Col S. Giovanni. Dieci anni dopo il castellano di Avigliana ac- cusa ricevuta del versamento del tributo di cento ferri da cavallo annualmente dovuto dagli uomini di Forno di Lemie, in val di Viù, per l’antiqua garda (la protezione) loro accordata dal conte. Il potenziamento della strada del col del Lys e l’interessamento del potere pubblico sono quindi contemporanei allo sviluppo dell’attività estrattiva nella valle di Viù (e più in generale in quelle di Lanzo: di uno o due anni successiva è la concessione di Guglielmo VII di Mon- ferrato per lo sfruttamento delle miniere della valle di Ala): è questa la strada sulla quale il metallo raggiunge Avigliana. Il pagamento della garda in prodot- ti finiti documenta inoltre l’attività di fucine locali. Il passaggio di carichi di ferri da cavallo è documentata in quegli anni al pedaggio di Rivoli. Nel 1318, alcune partite di ferro lavorato vengono acquistate per i lavori di ampliamento del castello di Porta Fibellona a Torino, avviati da Filippo d’Acaia: quelle ac- quistate a Forno di Lemie arrivano a Torino attraverso il pedaggio di Aviglia- na, e quindi passando per il col del Lys; quelle provenienti dal mercato di Lan- zo percorrono la strada consueta tra Lanzo e Torino, attraverso Ciriè. L’antica mulattiera per il col del Lys partiva dalla borgata Fucine di Viù, si- tuata alla confluenza del rio Viana con la Stura, in luogo quindi particolarmen- te adatto all’insediamento delle fucine (tredici nel XVIII secolo) da cui il villag- gio prese nome (20).

(19) E. PATRIA, Almese, cit., p. 20 n. 52, per tracce di romanità lungo il versante valsusino del percorso, e p. 63 n. 79, per un’attestazione del 1285; BAROCELLI, La via romana transalpina, cit., pp. 86-95, per l’«insediamento romano di Viù»; CROSETTO - DONZELLI - WATAGHIN, Per una carta archeologica, cit., p. 367 (collegamento con ad fines) e CERRATO PONTRANDOLFO, Lo svi- luppo della rete viaria, cit., p. 190, per l’uso in epoca romana. Sul ponte e la chiesa di S. Maria de Porcairano, L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ, cit., pp. 106-107. (20) Per il documento del 1255, vedi nota 18. Per la garda di Avigliana, vedi M. CHIAUDANO, La Finanza Sabauda nel sec. XIII, I, I rendiconti del Dominio dal 1257 al 1285, Torino 1933, p. 95; ibid., p. 104, per il passaggio di carichi di ferrorum ad equos et clavorum al pedaggio di Ri- voli nel 1265-66. La concessione del 1266 (o 1267) di Guglielmo VII di Monferrato è sintetiz- zata e tradotta da G. e P. MILONE, Notizie delle Valli di Lanzo, Torino 1911, pp. 271-272. Delle partite di ferro acquistate nelle valli pro balconis del castello di Porta Fibellona si parla in F. MONETTI - F. RESSA, La costruzione del castello di Torino oggi Palazzo Madama (inizio secolo 48 La Certosa di Banda nel territorio di Villar Focchiardo. Nel 1205 Enrico visconte di Baratonia con- cesse alla Certosa di Montebenedetto tutti i suoi diritti sul territorio di Banda e i monaci vi fondaro- no subito una ÇgrangiaÈ, ossia una loro dipendenza agricola. 49 Un altro colle sicuramente frequentato tra valle di Viù e val di Susa era il Colombardo (m. 1888) al culmine della valle Orsiera, che collega Forno di Le- mie e la vicina Villa (che con il nome medievale di ÇPorcileÈ figura tra i pos- sessi dei visconti di Baratonia) con Mocchie, Condove e Caprie sull’altro ver- sante, poco sotto Villar Focchiardo. Il collum Lumbardum è citato da un testi- mone particolarmente attendibile, Broco notaio di Avigliana, come punto di confine del territorio controllato in val di Susa dal conte di Savoia, in occasio- ne di una escussione di testi che depongono sui diritti giurisdizionali del conte di Savoia e dei signori locali in Villar Almese nel 1287. Il fatto che sia citato con il col del Lys, Col S. Giovanni e il Moncenisio attesta implicitamente la sua frequentazione. La corrispondenza dello sbocco in val di Susa con la loca- lizzazione delle altomedievali ÇchiuseÈ longobarde ha fatto nascere ipotesi e leggende sulla derivazione del nome del colle da Çun feroce combattimentoÈ che lassù sarebbe avvenuto in epoca, appunto, longobarda (21). All’estremità occidentale della valle di Viù, in direzione della Savoia, sopra i 3000 m., poco a nord del Moncenisio, si trovano i valichi di Autaret e di Arnàs, più agevole il primo («le plus facile et le moins dangereux» di tutti i colli che dalle valli di Lanzo conducono in Savoia, dice il Francesetti), luogo di rinveni-

XIV), Torino 1982, pp. 17 e 94-96. Su Fucine di Viù, vedi SESIA, Attività mineraria, cit., p. 91. Su questo villaggio di fabbri («li fré»), vedi anche: M. SAVJ-LOPEZ, Le valli di Lanzo. Bozzetti e leggende, Torino 1886, pp. 51-56; A. FERRARI, Nel bacino di Viù, in Le Valli di Lanzo (Alpi Graie), Torino 1904, p. 193; D. CANE (in collaborazione con C. Santacroce), C’era una volta a Viù. Feste, lavori e credenze nel corso dell’anno e della vita, Alessandria 19972, p. 211 e l’illu- strazione fuori testo tra le pp. 140-141, dove, in una cartolina d’epoca, si può vedere l’antico ponte in pietra che attraversava la Stura in direzione del col del Lys, distrutto nel 1943 durante la guerra partigiana. DAVISO di CHARVENSOD, I pedaggi, cit., pp. 135-136, segnala per alcuni an- ni una Çdifferenza notevoleÈ nel passaggio del ferro tra i pedaggi di Rivoli e di Susa, a favore di quest’ultimo: «fatto che può spiegarsi perché, venendo da Lanzo, la strada del Cenisio viene raggiunta ad Avigliana e non a RivoliÈ. (21) 1287: Carte varie a supplemento e complemento dei volumi II, III, XI, XII, XIII, XIV, XV, XXII, XXXVI, XLIV, LXV, LXVII, LXVIII della Biblioteca della Società Storica Subalpina, a cura di F. Gabotto - F. Guasco Di Bisio - G. Peyrani - G. B. Rossano - M. Vanzetti, Pinerolo 1916, doc. 187 p. 217. Sul notaio Broco, vedi U. GHERNER, Un professionista-funzionario del Duecento: Broco, noatio di Avigliana, in ÇBSBSÈ LXXXV (1987), pp. 387-444. Sul Colombardo, vedi L. CIBRARIO, La Valle di Viù, in Le Valli di Lanzo, cit., p. 107, dove si ricorda Çil grande concorso di pellegriniÈ dei due versanti per la festa della Madonna degli Angeli il 2 agosto. Sull’asserita tradizione longo- barda (ÇDicesi che sul Colombardo si trovano avanzi di antiche trincee fatte dai Longobardi...È), vedi M. SAVJ-LOPEZ, Le valli di Lanzo, cit., p. 166. Sulla localizzazione delle chiuse, E. MOLLO, Le Chiuse: realtà e rappresentazioni mentali del confine alpino nel medioevo, in Luoghi di strada nel medioevo, cit., pp. 52-54 e cartina di p. 77. Nell’area di Caprie anticamente sorgeva l’oppidum cel- tico di Ocelum: CROSETTO - DONZELLI - WATAGHIN, Per una carta archeologica, cit., p. 374. Forse è degno di considerazione il fatto che il Colombardo collega questa zona con quella di Usseglio in val di Viù. Inoltre sarebbe da approfondire la questione se non siano proprio i due colli principali che si aprono sulla val di Susa (uno all’altezza di Viù, l’altro poco sotto Lemie e Usseglio) a determinare lo sdoppiamento della valle in due tronconi, rilevabile nelle carte medievali (sopra, n. 6). 50 mento di un’ara romana dedicata ad Ercole Graio il secondo. La tesi sostenuta nel secolo scorso da Luigi Cibrario e da altri eruditi locali, di una strada romana che avrebbe collegato Torino alla Gallia attraverso questi colli, è stata ripresa e confermata in anni recenti da Piero Barocelli. Scarse, invece, le testimonianze per l’epoca medievale e moderna, anche relativamente al servizio di posta a ca- vallo di cui parlano, senza fornire riferimenti, i medesimi autori (22). Verso la metà dell’XI secolo, l’Autaret è citato in un documento della con- tessa Adelaide e del marchese Enrico, insieme con il Monginevro e il Monce- nisio, come punto di confine della val di Susa e del regno italico: Çsicuti deti- nent montes qui nuncupantur Genevus et Ciniso seu mons ille in quo Altareto dicitur et sicuti detinent Alpes inter Regnum Burgundie et Italicum RegnumÈ. L’Altaretum ritorna poi come termine confinario degli alpeggi di Pietrafica e della Rocchetta in due documenti dei primi anni del XIV secolo. L’Arnàs è cita- to, nel XIII e poi di nuovo nel XIV secolo, in riferimento alla localizzazione di un alpeggio: la Balmeta de Arnasio (Arnaxio, Arnacio) (23). Dall’Autaret, at- traverso il vallone della Lombarda (ÇComba LombardaÈ in una citazione di fi- ne ’800) e la valle dell’Averole, si scende a Bessans nella valle dell’Arc. La radice semantica che accomuna il vallone che sale all’Autaret dal versante francese con il Collombardo potrebbe contenere un riferimento alla (ÇstrataÈ) ÇLombardaÈ (24). Comunicazioni dirette tra la valle di Viù e la Savoia sono testimoniate da molti indizi. Stretti rapporti sono documentati, tra l’altro, dall’affinità del pa- tois dei due versanti, dalla presenza di individui de Bezano o de Bezanesio nel- le carte trecentesche delle valli e dai numerosi parroci di Usseglio e di Lemie originari della Moriana. Alla metà del XIV secolo troviamo inoltre un labile in- dizio del possibile passaggio attraverso la valle di Viù di un traffico di interes- se sovraregionale: due giovani astesi, di note famiglie di mercanti, Roero e

(22) Una disamina sintetica ma esauriente della questione è offerta da POCHE, Le Valli di Lan- zo, cit., pp. 38-44. Vedi anche L. FRANCESETTI, Lettres sur les Vallées de Lanzo, Torino 1823, p. 100 (dove si parla anche della «route de poste à cheval»); L. CIBRARIO, Lettre sur la route qui conduisait anciennement par la vallée d’Usseil, de Piémont das la Haute Maurienne, Lanzo 1982 (e.o. 1830); BAROCELLI, La via romana transalpina, cit., pp. 21-62; CERRATO PONTRAN- DOLFO, Lo sviluppo della rete viaria, cit., pp. 190-191. (23) Per l’Autaret: Le carte della Prevostura d’Oulx raccolte e riordinate cronologicamente fino al 1300, a cura di G. Collino, Pinerolo 1908, doc. 1 p. 1 (29 gennaio 1042); I protocolli di Tedisio vescovo di Torino, a cura di B. Fissore, Torino 1969, doc. 24 p. 34 (18 aprile 1307). Ve- di anche G. CASIRAGHI, La diocesi di Torino nel Medioevo, Torino 1979, p. 47. Per l’Arnàs: Le carte dell’Archivio Arcivescovile, cit., docc. 187-188 pp. 196-197 (14 e 15 agosto 1224); I pro- tocolli di Tedisio, cit., doc. 52 p. 73 (7 maggio 1309: dove si cita di nuovo, nello stesso contesto, l’Autaret). (24) Per ÇComba LombardaÈ, SAVJ-LOPEZ, Le valli di Lanzo, cit., p. 166. Attestazioni di Çstrata LombardaÈ in SERGI, Potere e territorio, cit., p. 29 e n. 46, e A. A. SETTIA, Fisionomia urbanistica, cit., p. 816. 51 Scarampi, vengono imprigionati nel castello di Viù, per rappresaglia, dai si- gnori locali (in quel momento i Giusti) (25).

(25) Sulla concessione del 1357 della Credenza di Lanzo, USSEGLIO, Lanzo, cit., p. 138. Sul- l’affinità dei patois, POCHE, Le Valli di Lanzo, cit., p. 54. Su alcuni de Bezano, S. SOLERO, Storia onomastica delle Valli di Lanzo, I, Ceres e la Valle d’Ala di Stura, Torino 1955, p. 275. Sui col- 52 Autaret, Arnàs e altri colli situati allo sbocco delle valli di Ala e Cantoira do- vettero però verosimilmente servire per un traffico esclusivamente o prevalente- mente locale, fungendo da alternativa, soltanto in particolari circostanze, ai per- corsi più frequentati, nell’ambito di un «sistema di valichi» che aveva il suo cen- tro nel Moncenisio. Illuminante una vicenda del XV secolo. Intorno al 1420 Gia- como Termignon di Bessans, detto il Grop, uccide Vincenzo Balma di Usseglio. Mentre il giudice di Val di Susa e Canavese procede contro di lui, il Grop viene imprigionato per altro reato nel castello di La Chambre in Savoia. I parenti del-

«Per spontanea generosità» l’11 febbraio 1205, a Villar Focchiardo, nella sua casa, con questo documento il visconte cedeva alla Certosa di Montebenedetto i suoi diritti sul Çluogo di BandaÈ.

legamenti tra Usseglio e la Savoia e sui sacerdoti di origine savoiarda, N. DRAPPERO, Usseglio, II, Parrocchia e Comune, Ciriè 1968, pp. 327-330. Sull’imprigionamento dei due astesi, GA- BOTTO, Estratti, cit., p. 481. 53 l’ucciso si rivolgono al duca, il quale comanda al castellano di Moriana di conse- gnare il Grop al castellano di Lanzo perché faccia giustizia. La consegna avviene «nella pianura di S. Nicolò alla scala del Moncenisio». Condotto a valle con tre cavalli e diciassette fanti e recuperato un boia a Rivoli, il Grop sarà prima rin- chiuso e poi decapitato nel castello di Lanzo. Quindi, se tra Bessans e Usseglio i rapporti (in questo caso conflittuali) erano consueti, per i funzionari sabaudi la strada più normale e diretta tra la Moriana e Lanzo restava il Moncenisio (26). In conclusione, le aree di strada che abbiamo delineato erano complessiva- mente complementari, e parzialmente alternative, rispetto al grande asse viario della via francigena nel tratto compreso tra le due estremità della val di Susa: a quella inferiore, per i percorsi verso il Canavese e Vercelli che escludevano l’attraversamento di Torino; a quella superiore, per il sistema di valichi paral- leli al Moncenisio. Un importante collegamento laterale era quello che dalla valle di Viù, attraverso il Col del Lys, scendeva ad Avigliana (27).

I Baratonia in val di Susa: le origini Caposaldo della presenza dei visconti di Baratonia in val di Susa è la consi- gnoria di Villar Focchiardo. La sua prima attestazione risale agli ultimi anni dell’XI secolo e al capostipite della famiglia, il visconte Vitelmo Bruno, perso- naggio ben inserito nelle gerarchie del potere locale nella valle, se si muove anche lui, al seguito dei marchesi, in una geografia di potere organizzata intor- no ai Çdue poliÈ di Torino e di Susa e se per ben due volte compare, insieme con i vertici della famiglia marchionale arduinica (la contessa Adelaide con i due figli Pietro e Amedeo), nel castrum di quest’ultima città. I due documenti, del 1073 e del 1078 (gli unici, come è stato rilevato, che attestino la presenza della contessa a Susa), sono entrambi dei falsi diplomati- stici. L’alterazione formale non implica però l’esigenza di respingerne in toto i contenuti: in particolare, è da considerarsi attendibile la datazione topica che in entrambi i casi rimanda al ÇcastelloÈ o ÇpalazzoÈ di Susa (28). Nel 1073 Ade-

(26) Sul ÇsistemaÈ di valichi, SERGI, Potere e territorio, cit., p. 35. L’episodio del Grop di Bessans è raccontato da L. CIBRARIO, Della qualità e dell’uso degli schioppi, cit., pp. 35-37. (27) Per l’area di strada tra l’imbocco della val di Susa e Torino, vedi SERGI, Potere e territo- rio, pp. 44-45, cartina p. 43. (28) 21 maggio 1073: Le carte della Prevostura d’Oulx raccolte e riordinate cronologica- mente fino al 1300, a cura di G. Collino, Pinerolo 1908, doc. 25 p. 31. 16 luglio 1078: Monu- menta Novaliciensa Vetustiora, a cura di C. Cipolla, I, Roma 1898. Su questi documenti, vedi A. OLIVIERI, Geografia dei documenti e mobilità notarile nel Piemonte centro-occidentale (sec. XI), in ÇBSBSÈ XCIV (1996), pp. 142-143. Sui due ÇpoliÈ del potere arduinico, G. SERGI, I poli del potere pubblico e dell’orientamento signorile degli Arduinici: Torino e Susa, in La contessa Adelaide e la società del secolo XI, Atti del Convegno di Susa (14-16 novembre 1991), ÇSegu- siumÈ 32, 1992, pp. 61-76. 54 laide fa una donazione a S. Pietro di Novalesa, nel 1078 alla canonica di S. Lorenzo di Oulx. In entrambi i casi, accanto a lei sono i due figli e l’elenco dei testi laici si apre con Vitelmo Bruno. La presenza costante di Vitelmo nella cerchia ristretta dei fedeli dei mar- chesi, in una posizione che i notai sottolineano come privilegiata, l’assiduità con cui compare nei centri del potere marchionale, i castelli di Torino (quello di Porta Segusina, da cui esce la strada di Francia) e di Susa, sono una confer- ma della qualità del potere che gestisce, della rilevanza della funzione viceco- mitale. Proprio a Susa è possibile scorgere, attraverso le sottoscrizioni dei do- cumenti citati, le articolazioni inferiori dell’embrionale apparato funzionariale che opera al servizio dei marchesi: gastaldi (Costantino), villici (Borello, Gu- glielmo), clusarii (Bruno) (29). Accanto a loro sono altri personaggi (nel 1073 Ismido di Susa e suo fratel- lo Borello de Visternio, forse identificabile con l’omonimo villico del docu- mento del 1078, e Drodo di Avigliana), che non hanno qualifica funzionariale e che sono quindi probabilmente rappresentanti di famiglie eminenti della val- le. I rapporti che Vitelmo Bruno intrattiene con questi personaggi, che hanno come lui il privilegio di frequentare i centri del potere e di godere della vici- nanza dei marchesi, costituiscono certo per lui motivo di saldo radicamento nella società segusina dell’epoca.

Come è stato autorevolmente chiarito, se Torino rappresenta per i marchesi ar- duinici il centro del potere pubblico, la valle di Susa è il polo più importante in- torno al quale si organizza l’ampio patrimonio familiare. Da questa base fondiaria deriva forse anche la presenza signorile dei visconti di Baratonia a Villar Foc- chiardo, segnalata fin dalla fine dell’XI secolo. Nel 1090, dal castello di Barato- nia, Bruno visconte, con i figli Enrico (Marchio) e Ottone (Ato), dona alla canoni- ca di S. Lorenzo di Oulx, nelle mani del prevosto Lantelmo, l’honore del prete Adalardo, e cioè vigne, campi, prati con i loro censi, e la rectam spettante al vi- sconte nel luogo detto Vilar Folcardi. Inoltre, il visconte autorizza i canonici a ri- cevere eventuali altre donazioni nello stesso luogo, fatti salvi i suoi censi e diritti. L’azione della famiglia vicecomitale, che ha come contropartita le preghie- re e le opere di carità promesse dai canonici, ha carattere prettamente signori- le, rilevabile anche nel titolo di dominus esplicitamente attribuito al visconte. Se la forma sintetica del breve recordationis non aiuta certo a fare luce sui det- tagli della donazione, altrettanto nebulosa è l’origine della presenza signorile dei Baratonia a Villar Focchiardo. Mentre per il castello di Baratonia sembra più probabile un’origine allodiale, che nessun documento pone in dubbio, i possessi di Villar Focchiardo, invece, vengono definiti in un documento del

(29) Sulle funzioni di questi Çagenti del potereÈ vedi L. PROVERO, L’Italia dei poteri locali. Se- coli X-XII, Carocci, Roma 1998, pp. 146-147. Sui ÇclusariiÈ, MOLLO, Le Chiuse, cit., p. 53 n. 48. 55 1219 come «feudo paterno e avito» della famiglia: se quest’attribuzione non è puramente strumentale al successo dell’azione giuridica nella quale viene pro- dotta dagli stessi Baratonia, si potrebbe ipotizzare che la signoria di Villar Foc- chiardo sia, nella sua lontana origine, un beneficio concesso dalla famiglia marchionale ai visconti in compenso della fedeltà e del servizio (30). Negli ultimi anni dell’XI secolo, nel momento di trapasso tra il potere ar- duinico e quello degli Umbertini (i conti di Moriana o Savoia), la fascia di ter- ritorio prealpina posta allo sbocco delle valli, in particolare di quella di Susa, è particolarmente favorevole all’affermazione delle dinastie signorili, fenomeno al quale non sono certamente estranee le potenzialità offerte dalla valorizza- zione della via francigena e delle connesse aree di strada. Tra le famiglie dei vari domini loci che proprio a quest’epoca diventano visibili grazie all’acqui- sizione più o meno sistematica di un predicato territoriale, i documenti con- sentono di ipotizzare contiguità e alleanze. Certamente collegati ai Baratonia sono i signori di Caselette, località che si trova sul versante sinistro dello sbocco della valle, sulla strada che unisce Lan- zo e Avigliana. Nel 1075 e nel 1077 Ottone de Casellis è presente, con i Barato- nia, a due atti della contessa Adelaide e della sorella Immilla. Nel 1090 si trova nel castello di Baratonia, in qualità di teste (ed è l’unico signore, con predicato territoriale, accanto a un miles), alla donazione dei visconti a favore di Oulx. La sua presenza sottintende un legame di parentela, anche se non è configurabile con certezza nella forma della laudatio parentum. Legami tra le due famiglie sono segnalati dai documenti fino ai primi decenni del XIII secolo (31).

(30) Luglio 1090: Le carte della Prevostura d’Oulx raccolte e riordinate cronologicamente fino al 1300, a cura di G. Collino, Pinerolo 1908, doc. 42 p. 54. Honor ha probabilmente qui il significato di «fief presbytéral, l’ensemble de bienfonds affecté à la subsistance du prêtre qui desserte une èglise» (J. F. NIERMEYER, Mediae latinitatis lexicon minus, Leiden 1976, p. 497). Fin dal 1065 il vescovo Cuniberto donava ai canonici di Oulx la chiesa di Villar Focchiardo (Le carte della Prevostura d’Oulx, cit., doc. 21 p. 21), un possesso nel secolo successivo minaccia- to dalle interferenze di S. Giusto di Susa (L. PATRIA, Prima del Laietto: chiese, oratori e cappel- le cimiteriali su terra monastica di S. Giusto di Susa [secc. XI-XV], in F. CAVINATO - A. GUERRINI - G. MARGAIRA - G. A. MASSA - P. NESTA - L. PATRIA, San Bernardo a Laietto. Chiese, cappelle e oratori frescati nella Valle di Susa tardogotica, Susa 1992, pp. 11-12). La donazione di Vitel- mo rientrerebbe quindi nel programma messo in atto dai canonici di Oulx per il recupero di Çnon poche chiese privatizzateÈ segnalato dallo stesso L. PATRIA, La canonica regolare di S. Lo- renzo d’Oulx e i Delfini: poteri locali e regionali a confronto (sec. XI-XIII), in Esperienze mona- stiche nella val di Susa medievale, a cura di L. Patria e P. Tamburrino, Susa 1989, p. 95. Il docu- mento dell’8 febbraio 1219 si trova in Cartario della Certosa di Losa e Montebenedetto dal 1189 al 1252, a cura di M. Bosco, Torino 1974, d. 89 p. 115; vedi avanti n. 47 e testo corrispon- dente. Sull’uso dei sovrani di concedere benefici ai funzionari pubblici, F. L. GANSHOF, Che co- s’è il feudalesimo?, Torino 1989, pp. 58-62. Su Vitelmo Bruno, TARPINO, Tradizione pubblica, cit., pp. 10-17. (31) Su queste famiglie signorili, SERGI, Potere e territorio, cit., pp. 122-128 e passim, che sottolinea anche l’esigenza di individuare in Caselette il «Caselle» di molti documenti (p. 123 n. 56 Un’altra famiglia con forti legami con i Baratonia è quella dei signori di Reano (altra località allo sbocco della val di Susa, sul versante destro della Dora). Fin dal 1109 Oberto, figlio di Bosone di Reano, esercita diritti signorili in Villar Focchiardo (cede alla prevostura di Oulx una giornata annua di pre- stazione d’opera in manu alia [sic] qui fuit Burno [sic]: anche in questo caso l’espressione del cartario di Oulx non è perspicua). Che fin da quest’epoca quella di Villar Focchiardo sia una consignoria di famiglie diverse (forse in conseguenza di divisioni patrimoniali determinate da matrimoni e successioni) lo fa pensare anche un’espressione del già ripetu- tamente citato documento di Baratonia del 1090, là dove si fa riferimento agli omnibus aliis (sottinteso probabilmente dominis, ÇsignoriÈ) ai quali, oltre al visconte, può competere la rectam (32). La consignoria di visconti di Baratonia e signori di Reano a Villar Focchiardo sarà chiaramente documentata a cavallo tra XII e XIII secolo.

L’XI secolo si chiude per i visconti di Baratonia con una duplice sconfitta. Tra il 1079 e il 1080, Vitelmo Bruno viene rimosso dalla carica e sostituito dal giudice Erenzone (33). Alla fine del secolo, il crollo della marca arduinica e lo scompaginamento dell’apparato pubblico ha come effetto più immediato, per la nostra famiglia, un ripiegamento sulla campagna: secondo uno schema ri- corrente, una famiglia di origine funzionariale e quindi cittadina, costretta a la- sciare il centro urbano dove è sopravanzata da nuovi poteri, si presenterà d’ora in poi come una tipica famiglia ÇfeudaleÈ. Al titolo vicecomitale di origine pubblica viene ÇagganciatoÈ un predicato territoriale desunto dal centro inca- stellato della signoria rurale (34).

50). Sui signori di Caselette, vedi ora L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ, cit., in particolare al- le pp. 126-132. Maggio 1075: Le carte della Prevostura d’Oulx, cit., doc. 27 p. 32. In questo documento ritengo che si possa decrittare come «Otto de Casellis» l’altrimenti incomprensibile ÇOt-ocaÈ che precede immediatamente la sottoscrizione dei Baratonia. Su questo documento vedi anche L. PROVERO, Revello 1075: il diploma adelaidino per la canonica di Santa Maria e la sua interpolazione, in ÇBSBSÈ XCIII (1995), pagg. 265-293. 1077, luglio 25: Pinerolo 2, doc. 8 p. 185. Per il doc. 1090, vedi la nota precedente. In quest’ultimo documento Ottone di Caselette apre la breve lista dei tre Çtestes sive laudatoresÈ: laudator è sicuramente Adamo, che viene esplicitamente chiamato a confermare la donazione del prete Adalardo, suo fratello. Nel 1220 Costantino di Caselette è teste a un atto dei Baratonia in Villar Focchiardo (Cartario della Certosa di Losa, cit., doc. 95 p. 124). (32) 1109, aprile 2: Le carte della Prevostura d’Oulx, cit., doc. 91 p. 93. Per il doc. 1090, ve- di n. 30. La recta è certamente un «diritto» di esazione signorile diverso dai censi (nominati a parte): probabilmente la taglia. (33) Si tratta del caso più esplicito, nel Piemonte dell’XI secolo, della perdurante Çsostituibi- lità di un funzionario», come è stato sottolineato da TARPINO, Tradizione pubblica, cit., p. 16. (34) G. SERGI, I confini del potere. Marche e signorie fra due regni medievali, Torino 1995, pp. 330-331. Il predicato territoriale Çdi BaratoniaÈ compare, con sicurezza, solo nel XII secolo; 57 Lo scatenamento della concorrenza militare tra i vari poteri di livello regio- nale che ambiscono a sostituirsi agli arduinici determina, tra l’altro, il venir meno di quella stretta solidarietà tra Torino e la val di Susa, che era stata così funzionale all’esercizio del potere arduinico. La via francigena viene «spezza- ta in due da dominazioni diverseÈ (35): mentre nella città si consolidano il pote- re del vescovo e in subordine quello dei cittadini, dal Moncenisio avanzano i conti di Moriana. Il gioco di alleanze cui, a questo punto, sono costretti i Bara- tonia è simile a quello messo in atto dalle altre famiglie signorili. Da una par- te, si moltiplicano le «invasioni» del patrimonio ecclesiastico; dall’altra, si cerca il coordinamento con i poteri superiori, i soli in grado di garantire stabi- lità alle minori signorie. Anche per i potenti conti di Moriana l’alleanza con i domini loci prealpini presenta precisi vantaggi: oltre a garantire il controllo del territorio, assume un carattere legittimante del principato in rapida espansione, soprattutto quando, come nel caso dei ÇviscontiÈ, consente di ricollegare direttamente il nuovo ap- parato di governo a quello già operante nella marca arduinica, sottolineando precisi elementi di continuità tra i due poteri (36). I Baratonia non compaiono tra le famiglie che, già alla fine dell’XI secolo, tra Susa e S. Ambrogio, presenziano agli atti di Umberto II. Soltanto a partire dagli anni ’30 del XII secolo, nell’entourage di Amedeo III è segnalato, in posi- zione di eminenza, un Enrico visconte. A comprovare, forse, non sopite brame della famiglia sulla città, Enrico entra in Torino nel 1131 con Amedeo III quan- do quest’ultimo si impadronisce della città intitolandosi comes taurinensis. Proporsi come coordinatore di un potere frammentato, legittimarsi per il go- verno del territorio vuol anche dire, trascorso il momento dell’espansione vio- lenta, garantire agli enti territoriali e ai grandi proprietari (in particolare alle chiese e ai monasteri) il godimento dei loro diritti sanando le usurpazioni. Per questo Amedeo III nel 1131 conferma le donazioni già fatte dagli avi al mona- stero cittadino di S. Solutore in Coazze, Giaveno, Conzano e Col S. Giovanni e reprime le «invasioni» operate in queste località da suoi uomini (visconte, gastaldo o qualunque ÇministroÈ) ai danni del monastero. L’esplicito accenno al visconte e il riferimento a Col S. Giovanni (località, come si è visto, contermine a quella valle di Viù che in futuro sarà ampiamente

l’isolata attestazione precedente (1075), infatti, è pervenuta soltanto in una copia del XIII secolo. La parabola dei Baratonia alla scomparsa della marca arduinica può essere confrontata con quella di altre famiglie eminenti cittadine, di cui parla R. BORDONE, Ex-funzionari, chiese riona- li, pluralità di centri aggregativi, in Storia di Torino, I, Dalla preistoria al comune medievale, a cura di G. Sergi, Einaudi, Torino 1997, pp. 482-498. (35) G. SERGI, Il secolo XI: Torino in una circoscrizione-principato, in Storia di Torino, I, cit., p. 461. (36) Riferimento d’obbligo è ovviamente SERGI, Potere e territorio, cit., in particolare alle pp. 122-128. 58 documentata come area di particolare interesse per la signoria della famiglia) inducono a pensare che in queste usurpazioni fosse implicato lo stesso visconte Enrico, il quale, in ogni caso, viene chiamato non a sottoscrivere ma a Çfirma- re» l’atto torinese in posizione di particolare rilievo rispetto a tutti gli altri testi presenti, immediatamente dopo il conte sabaudo: posizione che evidenzia come il nuovo potere riconosca nel titolo che Enrico ripete dagli avi una speciale fun- zione legittimante e in questo senso lo confermi e lo utilizzi (37). Se Torino sfuggirà ancora a lungo ai Savoia, le loro posizioni nella valle della Dora sono ben attestate e cercano legittimazione non solo nell’incipiente costruzione di un apparato pubblico e di una clientela signorile, ma anche nel- la codificazione del rapporto con le più vivaci comunità cittadine, attraverso la concessione di carte di franchigia dirette ai ÇborghiÈ, centri di mercato che sorgono lungo la strada di Francia, ora in piena ripresa commerciale: Susa, S. Ambrogio, Avigliana (38). Probabilmente intorno al 1147, nel refettorio di S. Maria, alla presenza del vescovo di Moriana, Amedeo III concede franchigie ai cittadini di Susa. Il giu- ramento dei tre rappresentanti segusini (Amedeo Mauri, Armano de Porta, Un- gario de Ruata) è ricevuto, a nome del conte, dal «suo» visconte Enrico (Hen- rice [sic] vicecomite tuo recipiente) (39). L’asciutta titolazione qualifica Enrico come funzionario pubblico. D’altra parte, l’uso del possessivo (che trova ri- scontro in un documento del 1072 di Vitelmo Bruno) fa pensare che al conte egli sia legato anche da un rapporto di tipo più diretto e personale, forse for- malizzato in un legame vassallatico. Anche se la documentazione di cui dispo- niamo è molto povera, non paiono esserci dubbi: solo Enrico, anche lui come

(37) 23 agosto 1131: Cartario della Abazia di San Solutore, cit., doc. 29 p. 50. Riferimenti in SERGI, Potere e territorio, cit., pp. 103-104, 168 (a p. 260 si sottolinea la qualità «signorile» e non funzionariale del rapporto tra i Baratonia e Amedeo III), e R. BORDONE, Il primo diploma di Enrico V ai Torinesi e il fallimento cittadino nel controllo dei pedaggi, in Storia di Torino, I, cit., pp. 479-480. (38) L’«incontro fra principato e comuni» è analizzato da SERGI, I confini del potere, cit., pp. 344-356, anche con riferimento a Susa. Per la definizione di ÇborgoÈ, A. A. SETTIA, Castelli e vil- laggi nell’Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli 1984, pp. 315 e segg.; L. CHIAPPA MAURI, Terra e uomini nella Lombardia medievale, Roma-Bari 1997, pp. 3-26. Sulla Çcrescita degli insediamenti medievaliÈ in val di Susa e le carte di franchigia citate, L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ, cit., pp. 103 e segg., con gli attenti rimandi bibliografici. (39) Come noto, non essendo pervenuto l’atto originale, il riferimento si trova nelle due suc- cessive redazioni degli statuti di Susa, dovute la prima a Tommaso I (1198: Historiae Patriae Monumenta, Leges municipales, IV, Torino 1838, coll. 5-8), la seconda ad Amedeo IV (1233: ibid., coll. 9-12). Per la datazione, tra il 1131 e il 1148, vedi SERGI, Potere e territorio, cit., p. 189 n. 145. Ho riportato nel testo la formula che compare nella prima redazione. Nella seconda la formula cambia: Henrico tunc vicecomite recipiente. La discordanza è rilevata già da RONDO- LINO (I Visconti di Torino, cit., pp. 43-4) e da TARPINO (Tradizione pubblica, cit., p. 19 n. 31), dalla quale ho attinto alcune delle osservazioni sul ruolo pubblico di Enrico. 59 già Vitelmo attestato tra Torino e Susa, questa volta al seguito degli Umbertini, è chiamato a esercitare, nel quadro di un’amministrazione pubblica ancora in fieri, il ruolo di visconte in val di Susa (40).

A cavallo tra XII e XIII secolo, numerose si fanno le attestazioni di possessi fondiari dei Baratonia sparsi tra la pianura torinese e l’imbocco della val di Su- sa: tra Avigliana e Rivoli, lungo la via di Francia (in un documento citata come via Fura) e a Ranverso (nel 1189, 1200, 1202, 1217 e 1235); tra Rivoli e Rival- ta, a Govone (1151), Marconada (1196), Doirone (1206), Rivoli (1232) e Rival- ta (1230); a Collegno (1156, 1175) e a Pianezza (1175-1200, 1246); nella bassa valle della Ceronda, a Buazano (1196), Buazanello (1212, 1246), e Druento (1196, 1201) (41). L’interesse storico di queste attestazioni è duplice: da una parte, esse sono un segno, cristallizzato nel territorio, dei legami parentali che uniscono le varie famiglie signorili; dall’altra, sono utili per disegnare la frastagliata linea del fronte del grande confronto politico e militare che, proprio in quest’area, separa i due schieramenti contrapposti del vescovo di Torino e dei conti di Savoia. Per il primo aspetto, degne di nota sono le coerenze segnalate nel 1189 con la terra di Bosone di Reano lungo la via fura, la Çvia dei ladri e dei predoniÈ, nome significativo che, nel tratto di Ranverso, assume la strada di Francia, e nel 1196 con le proprietà di Ainardo Umberto in Buazano, località dell’attuale territorio di Druento. Se il primo dato porta un’ulteriore conferma alla già no- tata contiguità dei Baratonia con i signori di Reano, il secondo è di grande in- teresse perché rivela il rapporto dei visconti con una delle famiglie emergenti

(40) Sul ÇMerlo visconte di AviglianaÈ, citato in un documento del 1134, vedi SERGI, Potere e territorio, cit., p. 124. L. PATRIA, Comunità, famiglie eminenti e amministrazione in Val di Su- sa, cit., giudica «nella bassa valle della Dora Riparia... la presenza dei Baratonia in qualità di vi- sconti... “naturale”, quasi certamente esclusiva e non equivoca» (pp. 182-183). (41) Nell’ordine: 1189 (I. RUFFINO, Le prime fondazioni ospedaliere antoniane in Alta Italia, in Monasteri in Alta Italia dopo le invasioni saracene e magiare (sec. X-XII), Torino 1966, doc. 6 p. 561); 1200 (ibid., doc. 11 p. 563); 1202 (ibid., doc. 14 p. 566); 1217 (Archivio dell’Ordine Mauriziano, Fondo Antoniani, Cat. Avigliana, I, 13); 1235 (A.O.M., Fondo Antoniani, ÇRostaÈ, m. 1, doc. 5); 1151 (Documenti inediti e sparsi sulla storia di Torino, a cura di F. Cognasso, Pi- nerolo 1914, doc. 20 p. 19); 1196 (Cartario della prevostura di Rivalta in Piemonte, a cura di G. B. Rossano, Pinerolo 1912 , doc. 39 p. 32); 1206 (ibid., doc. 64 pag. 56); 1232 (Cartario del Monastero di S. Maria di Brione, cit., doc. 42 p. 34); 1230 (Cartario della prevostura di Rival- ta, cit., doc. 106 pag. 99); 1156 (Documenti inediti e sparsi, cit., doc. 27 p. 25); 1175 (ibid., doc. 39 p. 35); 1175-1200 (Carte inedite e sparse dei signori e luoghi del Pinerolese fino al 1300, a cura di B. Baudi di Vesme - E. Durando - F. Gabotto - A. Tallone, Pinerolo 1909, doc. 39 p. 215); 1246 (G. SERGI, Un documento inedito sui rapporti fra marchesi di Monferrato e visconti di Baratonia, in ÇBSBSÈ LXXXI, 1983, pp. 759-762); 1196 (Le carte dell’Archivio Arcivesco- vile, cit., doc. 110 p. 108); 1212 (ibid., doc. 155 p. 166); 1246 (SERGI, Un documento inedito, cit.); 1196 (Le carte dell’Archivio Arcivescovile, cit.,); 1201 (ibid., doc. 120 p. 125). 60 Con questo documento, a Sant’Ambrogio, il 4 novembre 1213, Oddone primogenito del defunto Enrico di Baratonia vendeva alla Certosa di Montebenedetto la tenuta di Cunio sopra Villar Foc- chiardo. 61 dell’élite cittadina, quella degli Ainardi, noti, tra l’altro, come prestatori di de- naro (42). Ranverso e Buazano sono entrambi luoghi di strada che attirano gli interes- si delle famiglie potenti. A Ranverso, gli Antoniani fondano la loro precetto- ria-ospedale. Una via Taurensia arriva a Buazano e Druento: non è casuale, al- lora, che in questo territorio si concentrino, dall’inizio del XII secolo, le pro- prietà di grandi famiglie (a partire dagli Zucca) e abbazie urbane (S. Solutore, S. Giacomo di Stura) (43). Nel 1191, in Avigliana, Manfredo visconte, Bosone di Reano, Ugo de Clu- sa, Guigo Regnone e Pino de Villario sono testi di un’investitura operata dal castellano Pietro di Touvet. Sono tutti personaggi chiaramente legati al conte- sto della signoria di Villar Focchiardo e si trovano ad Avigliana, davanti al ca- stellano sabaudo, probabilmente per rogare qualche atto importante, che non

In questa pagina: Uno splendido, gigantesco castagno plurisecolare nelle terre della ÇgrangiaÈ della Certosa di Banda. Nella pagina a destra: Nel 1325 i Baratonia, oberati dai debiti, vende- vano la loro casaforte e la signoria di Villar Focchiardo. Ecco com’è oggi a Villar Focchiardo la parte su- periore del ÇPalaisÈ, dimora di que- sta antica casata medievale.

(42) Per i documenti, vedi nota precedente. Sulla questione, vedi R. BORDONE, Vita economi- ca del Duecento, in Storia di Torino, I, cit., p. 774 e n. Nel 1263, nell’atto di rifondazione della villa di Druento, gli Ainardi si intitolano domini loci Duruenti (A. A. SETTIA, Fortificazioni col- lettive nei villaggi medievali dell’alta Italia: ricetti, vile forti, recinti, in ÇBSBSÈ LXXIV, 1981, p. 536 n. 32). (43) Su Buazano (probabilmente individuabile nella località «cascina S. Solutore» di Druen- to), vedi CASTAGNO - SPALIVIERO - MAROCCO, Tra Dora Riparia e Ceronda, cit., pp. 72-76 e so- pra n. 17. 62 ci è pervenuto. È questa l’unica esile traccia indiretta che la signoria di Villar Focchiardo lascia nella documentazione di questo secolo, preludio a una docu- mentazione ben più consistente, grazie al cartario di Monte Benedetto, nel se- colo successivo (44).

Enrico visconte e i suoi figli: la consignoria di Villar Focchiardo nel XIII secolo Il 2 giugno dell’anno 1200 Enrico visconte di Baratonia, Palmerio di Rea- no e Bosone Carbonello, consignori di Villar Focchiardo, donano ai monaci dell’ordine della Certosa la montagna sopra il villaggio e sessanta giornate di terra nella località Fello Reposatori, con i diritti di vicinìa per l’uso dei beni comuni. La cessione (gratuita, tranne che per 15 soldi annui di censo per l’Al- pe Moschiglione) consente ai certosini, giunti una decina di anni prima in val di Susa e da poco trasferitisi da Losa a Monte Benedetto alla ricerca di isola- mento e di pace, di avviare la nuova fondazione.

(44) 4 aprile 1191: RUFFINO, Le prime fondazioni ospedaliere, cit., doc. 8 p. 561. 63 A rimarcare la solennità del momento, davanti alla parrocchiale dei santi Cosma e Damiano si trovano priori e conversi di altre importanti certose pie- montesi e savoiarde (Pesio, Pomier, Reposoir) e personaggi di spicco dell’élite valsusina (Pietro di Touvet, Enrico di Caselette). A ricevere nelle sue mani la donazione, per conto della nuova casa, è frate Terricius (Thierry) di Selva Be- nedetta, stretto parente (forse un figlio naturale) dell’imperatore Federico Bar- barossa, che un anno prima aveva già ricevuto la donazione della Valle Orsiera e di Monte Benedetto dal conte di Savoia Tommaso I. Pochi giorni dopo, da S. Ambrogio, lo stesso Tommaso I confermerà la donazione della «montagna so- pra Villar FocchiardoÈ, ponendosi come personale garante (defensor et fideius- sor) del visconte di Baratonia e di Palmerio di Reano (nelle conferme non com- pare più il nome di Bosone Carbonello). Intanto, il 2 giugno, nella piazza di Villar Focchiardo, altri personaggi, di cui non conosciamo i nomi, partecipava- no alla cerimonia: un po’ ai margini del consesso più solenne, i boni homines di Villar Focchiardo (i maggiorenti del villaggio) confermavano anche loro, per ordine dei signori (pro iussu dominorum), l’avvenuta donazione (45).

Pietà e generosità erano virtù prettamente nobiliari, ed Enrico (III) visconte, uno dei Baratonia meglio documentati, presenta, più di ogni altro personaggio della famiglia, le caratteristiche del signore medievale. Anche la coscienza di- nastica emerge esplicitamente nella motivazione del dono: «per l’anima del visconte suo padre e di sua madre e dei suoi avi». Come già suo padre (forse il Manfredo che abbiamo incontrato in Avigliana nel 1191), Enrico è l’unico in famiglia a portare il titolo vicecomitale. La cancelleria sabauda lo designa semplicemente come il Çvisconte di Barato- niaÈ o, in alternativa, come ÇEnrico visconteÈ. Possiede terre e diritti a Usseglio (per la prima volta la valle di Viù entra esplicitamente nei documenti della fami- glia), a Buazano e Ranverso, nella «valle di Mathi» tra Lanzo e Ciriè. Si muove e agisce in uno spazio relativamente ampio, tra il castello di Baratonia e Villar Foc- chiardo, tra Avigliana e Saluzzo. Ha rapporti con numerosi enti ecclesiastici (Monte Benedetto, Oulx, S. Giacomo di Stura, la canonica di Liramo) ed è l’uni- co personaggio della famiglia per il quale siano documentate ripetute donazioni. A Villar Focchiardo riscuote entrate tipicamente signorili (come la taglia, le decime o la Çtassa di maritaggioÈ: il tributo che il signore esige quando deve pagare la dote di una figlia che si sposa) e dispone, col consenso dei boni ho-

(45) 2 giugno 1200 (Cartario della Certosa di Losa, cit., doc. 17 p. 42); 18 giugno 1200 (ibid., doc. 19 p. 44). Su Thierry di Sylve-Bénite, U. GHERNER, La comunità certosina del XIII secolo, in Guida alla Certosa di Monte Benedetto e al Parco dell’Orsiera-Rocciavré, Torino 1195, p. 21. La caratterizzazione religiosa della fondazione di Monte Benedetto è sottolineata da G. SERGI, Una valle alpina, una strada, gli insedialemti monastici, in Guida alla Certosa di Monte Benedetto, cit., pp. 13-16. 64 mines, dei diritti vicinali del villaggio. Al suo servizio operano alcuni agenti: conosciamo il nome di uno scudiero, Guido, e del gastaldo, Ugo. Possiede una domus, collocata al centro del villaggio accanto alla chiesa, nel luogo dove gli uomini si riuniscono e i notai (sotto il portico della chiesa, sotto un olmo, da- vanti alla casa del prete) rogano gli atti. In questa casa (in domo vicecomitis), dove sono convenuti al gran completo i vertici amministrativi della piccola co- munità monastica (il priore, il procuratore e due conversi), nel 1205 Enrico ce- de a Monte Benedetto, per 37 lire di Susa (e «per spontanea generosità», ag- giunge il notaio), tutti i suoi diritti sul luogo di Banda, là dove sorgerà, l’anno dopo, la graia heremitarum, la Çgrangia dei certosiniÈ (46).

In questi anni, la famiglia dei visconti, toccato il culmine della potenza, co- mincia la parabola declinante. La crisi è prima di tutto finanziaria: fin dal 1201 Enrico prende a prestito 6 lire di Susa dai canonici di Oulx; nel 1206, con il fi- glio Oddone, riceve 15 lire dagli stessi ÇeremitiÈ di Monte Benedetto, che si assicurano in tal modo una serie di terre e diritti relativi al luogo di Comboira, dove stabiliscono, nello stesso anno, una seconda grangia. Anche la citata cessione di Banda, avvenuta l’anno precedente, per la quale il visconte riceve una somma (37 lire) all’incirca equivalente al totale pagato dai certosini per tutti gli altri beni che acquisiscono nella stessa località, è pro- babile indizio di bisogno di denaro. A prestare denaro non sono solo gli enti ecclesiastici: nel novembre del 1213, subito dopo la morte del padre, il primogenito Oddone, anche a nome dei fratelli, vende a Monte Benedetto la tenuta del Cunio, sopra Banda, per 20 lire, con le quali intende riscattare la guageria di Villar Focchiardo (probabil- mente i diritti fiscali sul controllo di pesi e misure) ceduta in pegno, forse già dal padre, a Riccardo di La Chambre. Come dimostra il caso dei La Chambre, giunti in val di Susa al seguito dei Savoia, solo abbinando esercizio della signoria e carriera funzionariale è pos- sibile godere di risorse finanziarie adeguate a sostenere un rango nobiliare. I

(46) 11 febbraio 1205 (Cartario della Certosa di Losa, cit., doc. 43 p. 66). Sugli insediamen- ti monastici e sul sistema di conduzione agricola attuato dai certosini, vedi M. BOSCO, La Certo- sa di Monte Benedetto dalle origini al declino, in Guida alla Certosa di Monte Benedetto, cit., pp. 27-47, e L. PATRIA, Le grange, ibid., pp. 30-35. Inoltre, L. GATTO MONTICONE, Formazione e gestione diretta di una proprietà monastica nel basso medioevo. Le grange della certosa di Lo- sa e Monte Benedetto, in Economia, società e cultura nel Piemonte bassomedievale. Studi per Anna Maria Patrone, Torino 1996, pp. 59-82. Sulla figura di Enrico, vedi, per esempio, il docu- mento del 19 marzo 1196: nel castello di Baratonia, il visconte dona a S. Giacomo di Stura, che riceve come conversa la nipote Agnese, l’alpeggio della Rocchetta nella valle di Usseglio e un castagneto con prato a Buazano (Le carte dell’Archivio Arcivescovile, cit., doc. 110 p. 108). Per i diritti signorili in Villar Focchiardo, gli agenti del visconte e l’olmo di fronte alla chiesa, vedi i due documenti per Oulx del 3 settembre 1201 (Le carte della Prevostura d’Oulx, cit., doc. 215 p. 224, doc. 216 p. 225). 65 signori all’antica sono alle strette: se i padri avevano fatto generose elargizio- ni, ora i figli tentano di recuperarle o almeno di ottenere qualche indennizzo per i beni ceduti. Finita l’epoca del buon vicinato, tra la nobiltà impoverita e i monasteri comincia quella delle controversie e delle liti giudiziarie. Nel 1219 i figli di Enrico, Manfredo, Valfredo, Ardizzone e Guglielmo (il primogenito Oddone si è già separato dalla famiglia), chiedono a Monte Bene- detto la restituzione di tutti i beni ceduti dal padre, dichiarandoli inalienabili in quanto «feudo paterno ed avito». Si arriverà a una transazione, e i Baratonia otterranno dal priore Clarerio 18 lire di Susa. A scanso di ulteriori richieste, l’accordo sarà ratificato qualche mese dopo in Avigliana nella sala di Pietro di Touvet, alla presenza di Tommaso I di Savoia e dei suoi figli Amedeo e Um- berto, alti protettori del monastero (47). Viene anche meno il peso ÇpoliticoÈ della piccola aristocrazia, presa in mezzo tra il dispiegarsi dell’apparato di governo del principato sabaudo e la crescente autoconsapevolezza delle comunità cittadine e rurali. Esemplare la causa che con- trappone Enrico e gli uomini di Susa nel 1207: oggetto del contendere, la leida (tassa sul mercato) di Avigliana, che il visconte pretende di riscuotere (e che effe- tivamente riscuote, con la violenza) sostendendo di tenerla in feudo dal conte di Savoia, mentre i mercanti segusini rivendicano, in base alle franchigie concesse dagli stessi Savoia, la totale esenzione, tranne che per il mercato del giovedì. Chiamati a giudicare, i castellani sabaudi della valle danno ragione agli uo- mini di Susa: il nuovo potere pubblico si schiera a favore degli interessi delle comunità d’affari, contro la «rapacità» dello sfruttamento signorile. Nel con- fronto con i funzionari che operano su delega del conte, la valenza pubblica del titolo vicecomitale che Enrico continua a portare è ormai vanificata sul piano giuridico, anche se conserva un certo prestigio. Con i figli lo svuotamento integrale del titolo sarà un fatto compiuto. Enri- co visconte, che con le sue ÇdonazioniÈ a Monte Benedetto non ha fatto altro che corroborare un’iniziativa sabauda, è l’ultimo personaggio della famiglia a cui sia riconosciuta una posizione di rilievo quando, in particolari occasioni, è chiamato a partecipare alla curia comitale, come signore e fedele del conte: è quanto accade nel 1209, a S. Ambrogio, per la conferma di Giaveno all’abba- zia della Chiusa, e nel 1213 nel castello di Saluzzo, per le trattative matrimo- niali tra i Savoia e i locali marchesi, poco tempo prima della sua morte (48).

(47) 3 settembre 1201 (ibid., doc. 216 p. 225); 22 agosto 1206 (Cartario della Certosa di Losa, cit., doc. 49 p. 73); 4 novembre 1213 (ibid., doc. 81 p. 106); 8 febbraio 1219 (ibid., doc. 89 p. 215); 16 giugno 1219 (ibid., doc. 91 p. 118). Sui La Chambre, SERGI, Potere e territorio, cit., p. 130, 263-267. Sul diritto di guageria, TARPINO, Tradizione pubblica, cit., p. 55 n. 151, da confron- tare con R. BORDONE, I visconti cittadini in età comunale, in Formazione e strutture dei ceti domi- nanti nel medioevo: marchesi, conti e visconti nel Regno Italico (secc. IX-XII), Roma 1996, p. 383. (48) Su tutta la questione della leida di Avigliana, vedi L. PATRIA, Comunità, famiglie eminenti e amministrazione in Val di Susa, cit., a cui si deve la pubblicazione del documento (pp. 190-191). 66 A Varisella, sotto la collina del vecchio castello dei Baratonia, sorge la chiesa dedicata a San Bia- gio – di probabile origine romanica – parrocchiale almeno fino al ’300. Un grossolano intervento all’inizio del nostro secolo ha prolungato l’edificio distruggendo l’abside. 67 Ulteriore fattore di indebolimento sono le divisioni familiari. Dopo la mor- te del padre, il primogenito Oddone lascia madre e fratelli. Tre anni dopo ri- compare a Rivalta: per quanto sappiamo, non tornerà più né a Villar Focchiar- do né a Baratonia. Il secondogenito, Manfredo, dopo aver guidato la rivendicazione dei fratelli contro Monte Benedetto nel 1219, scompare anche lui dal contesto familiare (nel 1224, da solo, è indicato come debitore dell’usuraio torinese Giovanni Cane). Nella casa di Villar Focchiardo, gli altri tre fratelli si stringono intorno alla madre, e la forza dell’unione è corroborata dalla formazione di un albergo (con- sortile), duplicazione giuridica della parentela naturale, volta a scongiurare ul- teriori divisioni e a salvaguardare, facendo unità intorno a un capo, quanto resta delle gracili finanze e degli allentati vincoli parentali. Alla testa del consortile, la madre, l’energica Eufemia, la vicecomitissa (così la qualifica un notaio), go- verna in prima persona la proprietà, assistita, oltre che dai figli ancora giovani, da un Bertolotto de Curte (probabilmente in altri documenti indicato come Ber- tolotto Villicus o come Bertolotto de Baratonia), mentre non è da escludere che lo stesso Pietro Michala, gastaldo dei signori di Reano, svolga lo stesso incari- co anche per i Baratonia, alle cui investiture è costantemente presente (49). All’interno, il consortile ridefinisce i membri della famiglia, escludendone (come si è visto) alcuni, e rafforza la solidarietà, imponendo severi limiti alla libera disponibilità dei possessi; all’esterno, recluta membri di altre famiglie cointeressate a quote di patrimonio. Non mancano, nel nostro caso, indizi di rinnovati e importanti legami con altre famiglie di domini loci.

Sullo svuotamento della valenza pubblica del titolo, vedi TARPINO, Tradizione pubblica, cit., p. 39; SERGI, Potere e territorio, cit., p. 260. Per gli ultimi documenti: 5 febbraio 1209 (Le carte clusine dell’Archivio di Stato di Torino (1160-1370), a cura di P. Cancian, in P. CANCIAN, G. CASIRAGHI, Vicende, dipendenze e documenti dell’abbazia di S. Michele della Chiusa, Torino 1993, doc. 6 p. 160); 28 aprile 1213 (Historiae Patriae Monumenta, Chartae, II, doc. 1949 col. 1277). (49) I documenti del 1213 e del 1219 sono citati alla nota 47. Oddone è a Rivalta, nel portico della casa dei signori del castello, il 6 settembre 1216 (Cartario di Pinerolo fino all’anno 1300, a cura di F. Gabotto, Pinerolo 1899, doc. 80 p. 102). é ancora a Rivalta, dove come proprietario dispone di una terra a beneficio della locale canonica, alla presenza di Guglielmo di Rivalta, il 7 maggio 1230 (Cartario della prevostura di Rivalta, cit., doc. 41 p. 84). Due anni dopo sarà an- cora ricordato in un documento delle monache di Brione per delle controversie in Torino, Rivo- li o altri luoghi (Cartario del Monastero di S. Maria di Brione, cit., doc. 42 p. 34). Non cono- scendo queste carte, S. PROVANA DI COLLEGNO, Notizie e documenti di alcune Certose del Pie- monte, I, in ÇMiscellanea di Storia ItalianaÈ, 3a serie, t. I (XXXII), 1895, p. 102, ritiene Oddone morto poco dopo il padre. Il documento di Manfredo del 28 marzo 1224 si trova in Cartario del Monastero di S. Maria di Brione, cit., doc. 31 p. 23. Dell’albergo de Baratonia parla il docu- mento del 3 ottobre 1220 (Cartario della Certosa di Losa, cit., doc. 95 p. 124). La rilevanza del- l’organizzazione consortile dei Baratonia è sottolineata da TARPINO, Tradizione pubblica, cit., p. 45 n. 121. Eufemia è detta vicecomitissa in un documento del 1228 (Cartario della Certosa di Losa, cit., doc. 125 p. 155). Nello stesso documento opera al suo servizio Bertolotto de Curte e compare come teste Pietro Michalla. 68 Sembra molto probabile che la nuora di Palmerio di Reano, Richelda, sia una figlia di Enrico di Baratonia. Nel 1224 questa Richelda conferma la dona- zione a S. Giacomo di Stura dell’Alpe della Balmetta di Arnas, in valle di Us- seglio, fatta dal marito Guglielmo di Reano; molti anni dopo (nel 1288) un Ba- ratonia avanzerà rivendicazioni sullo stesso alpeggio. Legami familiari ormai consuetudinari vengono quindi periodicamente rin- novati da alleanze matrimoniali. La consignoria a Villar Focchiardo (anche i Reano hanno una domus vicino alla chiesa), la coerenza delle proprietà (per esempio, a Ranverso), la comune frequentazione di Avigliana (dove i Reano hanno un’altra casa) sono motivi validi per ipotizzare l’esistenza, in qualche tempo, di un unico consortile. Ma la crisi della piccola aristocrazia, se accen- tua le difficoltà dei Baratonia, è distruttiva per i Reano, costretti a cedere, tra il 1230 e il 1233, la loro parte di signoria di Villar Focchiardo ai de Clusa, e la stessa signoria di Reano, compreso il castello, ai Rivalta. Il destino di questa famiglia è almeno in parte analogo a quello dei Baratonia: in entrambi i casi, la morte di un capofamiglia autorevole anche sul piano pubblico (Enrico, Pal- merio) fa precipitare la crisi verso una tendenziale disgregazione. Nel con- fronto risalta una indubbia maggiore capacità di tenuta della famiglia dei vi- sconti. Più deboli anche sul piano patrimoniale, i Reano cedono feudi e proprietà e sostanzialmente si dissolvono in due famiglie già collegate a loro per parente- la: i de Clusa, in ascesa grazie a una ricchezza messa a frutto col prestito di de- naro, e i Rivalta, in origine custodi di castello. Famiglie, entrambe, che rivela- no, negli stessi anni, una notevole contiguità con i visconti: nel 1205 Ugo de Clusa si trova nella casa del visconte Enrico in occasione della cessione di Banda; forse imparentato con i signori di quel castello, Oddone, primogenito di Enrico, alla morte del padre si trasferisce a Rivalta, dove sarà ricordato an- cora nel 1230 come vesconto de Baratonia (50).

Nel 1233, per la prima volta, un precetto della cancelleria sabauda viene in- dirizzato «ai visconti» (e non «al visconte») di Baratonia: da una parte, l’uso del plurale conferma lo svuotamento ormai totale della connotazione pubblica del titolo; dall’altra, è il sintomo di una divisione progrediente e della probabi- le mancanza di una leadership unitaria.

(50) SERGI, Potere e territorio, cit., pp. 272-273, per l’albergo de Baratonia e per i legami Baratonia-Reano, Reano-de Clusa (vendita del 1230), Reano-Rivalta (vendita del 1233). RON- DOLINO, I Visconti di Torino, cit., parla del matrimonio tra Guglielmo e Richelda, correggendo in proposito Provana di Collegno (p. 27 n.), e suggerisce, sulla base della localizzazione dei possessi fondiari, il legame di parentela tra i Baratonia e i Rivalta (p. 38). Sui consortili medie- vali, vedi PROVERO, L’Italia dei poteri locali, cit., pp. 165-170. Documenti relativi ai Baratonia: 15 agosto 1224 (Le carte dell’Archivio Arcivescovile, cit., doc. 188 p. 197); 17 luglio 1288 (ibid., doc. 312 p. 341). Quello del 1205 è citato alla n. 46; quello del 1230 alla n. 49. 69 Sopra: Chiesa di San Biagio (Baratonia-Varisella). Nell’interno dell’antica chiesa pochi anni fa l’in- tonaco, cadendo, ha restituito alla vista alcuni tratti di due affreschi. Particolarmente dolce e bella questa Madonna con Bambino.

Nello stesso anno, per la prima volta un documento menziona un Çvisconte di Villar FocchiardoÈ (vicecomes de Vilario), dato che rimane sostanzialmente iso- lato e che quindi non va enfatizzato, ma ulteriore indizio di una divisione in fieri. Di un Çvisconte di BalangeroÈ (Guglielmo) si ha notizia fin dal 1201. Del primo Çvisconte di Viù», un Giacomo che si stacca dal ramo di Balangero, sappiamo nel 1285. Soltanto a partire dagli anni ’90, con Oddone figlio di Pie- tro, in modo più convinto, ma non assoluto e definitivo, alcuni visconti usano il predicato di Villar Focchiardo: probabilmente solo in quegli anni, tra i di- scendenti di Enrico (III), si separano un ramo di Baratonia e un ramo di Villar Focchiardo. L’uso del nuovo predicato non implica ovviamente nessuna effet- tiva funzione pubblica su un distretto di villaggio, ma solo l’«aggancio» del ti- tolo con il centro della nuova signoria che, attraverso la divisione, si è forma- ta. Inoltre, una parte dei beni resta generalmente comune, indivisa in quote ideali a godimento di tutto il gruppo parentale, eventualmente riordinato in consortile, a memoria, tra l’altro, della discendenza comune (51).

(51) Precetto dei Savoia: 27 novembre 1233 (Documenti inediti, cit., doc. 124 p. 122). Predi- cati territoriali: di Balangero, 18 marzo 1201 (Le carte dell’Archivio Arcivescovile, cit., doc. 70 Dopo la morte di Enrico il rapporto con i Savoia è decisamente meno con- tinuo ed esclusivo. Fin dal 1223 Guglielmo, forse il figlio minore, è testimone in Oulx di una conferma del conte di Albon alla canonica di S. Lorenzo. Nel 1246, a Ciriè, due Baratonia, Guglielmo e Giacomino, cedono in feudo oblato al marchese di Monferrato, Bonifacio, i loro beni situati tra Baratonia e Pia- nezza. Degli anni ’60 sono le prime investiture del vescovo di Torino per beni nelle valli della Ceronda e di Viù. Del 1286 è il documento che illustra la di- pendenza feudale dei Baratonia dal monastero di S. Mauro per ampi possessi nelle valli di Lanzo. Assai più rarefatti e indiretti sono invece i rapporti coi Savoia. Il potere dei visconti non travalica ormai l’ambito localistico del villaggio e si esercita in relazione dialettica con la comunità e con gli altri grandi proprietari, sotto l’at- tento controllo della rete funzionariale sabauda. In questo quadro vanno inse- rite le controversie che, negli ultimi vent’anni del secolo, oppongono i consi- gnori (Baratonia, Giaglione, Grassi della Chiusa) e gli uomini (organizzati in comune) di Villar Focchiardo alla Certosa di Monte Benedetto, in relazione al- la disponibilità e all’uso delle terre (la montagna sopra il paese, la tenuta del Cunio, l’alpe di Moschiglione o Mustione) donate nel 1200 alla Certosa da Enrico visconte e Palmerio di Reano. Beghe comuni, a quei tempi: negli stessi anni controversie analoghe, sul controllo dei pascoli, oppongono Guido di Baratonia e i suoi uomini di Usse- glio al monastero di S. Giacomo di Stura. Tra il 1281 e il 1291, il castellano, il giudice e infine il balivo della val Su- sa intervengono ripetutamente, minacciando e imponendo multe, a sostegno delle buone ragioni di Monte Benedetto. In modo significativo il priore di Monte Benedetto, nell’ottobre del 1290, ricusa il giudizio del podestà di Villar Focchiardo, emanazione dei signori locali, e propone appello, con toni indi- gnati, alla curia domini comitis Sabaudie (52).

120 p. 125); di Viù, 2 agosto 1285 (Cartario della Abazia di San Solutore. Appendice, cit., doc. 24 p. 310); di Villar Focchiardo, 1 dicembre 1233 (Cartario della Certosa di Losa, cit., doc. 158 p. 192) e 4 gennaio 1293 (PROVANA DI COLLEGNO, Notizie e documenti di alcune Certose del Piemonte, I, cit., p. 107). Nel 1306 è documentata la gestione pro indiviso di due parti di Bara- tonia tra Franceschino di Viù e Vioto di Baratonia (sottolineata già da TARPINO, Tradizione pub- blica, cit., p. 146 n. 121). Un invito a non affrontare la questione della divisione in rami in ter- mini troppo «schematici» è avanzato dalla stessa TARPINO, ibid., p. 29. (52) 6 luglio 1223 (Le carte della Prevostura d’Oulx, cit., doc. 247 p. 255). Per i documenti del 1246, del 1266 (investitura del vescovo) e del 1286, vedi sopra rispettivamente alle note 41, 6 e 5. Questa «pluralità di omaggi» è sottolineata da TARPINO, Tradizione pubblica, cit., p. 44. Le controversie tra Monte Benedetto e i consignori e gli uomini di Villar Focchiardo sono am- piamente trattate in PROVANA DI COLLEGNO, Notizie e documenti di alcune Certose del Piemon- te, I, cit., pp. 105-115. Per l’appello del priore del monastero alla curia del conte di Savoia, ibid., doc. 89 p. 244. 71 La vendita della signoria e la nascita del ÇviscontadoÈ Signori locali come tanti altri, sui quali i funzionari sabaudi possono eser- citare misure coercitive, nel XIV secolo i visconti toccano il punto più basso della loro storia: tre dei quattro rami vendono allodi e feudi e perdono lo status nobiliare per scomparire nell’anonimato del popolo delle città. AVillar Focchiardo, la situazione precipita prima che altrove. La morte preco- ce del capofamiglia in due generazioni successive (quella di Oddone nei primi anni del secolo; quella del figlio Tommaso a cavallo degli anni 1323-24), il ripe- tuto intervento di tutori, sono probabilmente all’origine del definitivo tracollo delle finanze familiari e della necessità di vendere le proprietà per saldare i debiti. Continuano, intanto, le liti con Monte Benedetto, testimoniate da un curioso atto del gennaio 1307, rogato nella casa dei giovani visconti Giovanni e Tomma- so rappresentati dal tutore Tommaso Barrali. Si disputa tra i consignori e il mona- stero sulla definizione dei diritti di caccia e di giurisdizione criminale nel territo- rio della montagna sopra il paese (ancora una volta, quindi, fonte di controversia, la donazione del visconte Enrico). In materia di caccia, gli arbitri eletti (il frate Guglielmo Grassi di Ivrea, per il monastero, e il giurisperito Francesco Alavardo di Susa, podestà di Villar Focchiardo) stabiliscono che ai signori debbano toccare i quarti degli animali di grossa taglia (orsi, caprioli, camosci, cinghiali), a Monte Benedetto i piccoli animali (scoiattoli, lepri). é una distinzione tra caccia nobile (la prima) e caccia vile (l’altra, che si serve di trappole), ed è probabilmente l’oc- casione, per i signori, di compensare, con un successo di prestigio, la débâcle sul piano economico. La sentenza viene pronunciata nella casa dei visconti, segno di una preminenza ancora intatta almeno nella ristretta cerchia del potere locale (53).

Fin dal 1313 Tommaso visconte di Villar Focchiardo è costretto a vendere a Giovanni Atenulfo di Bardonecchia, abitante a Chianocco, la sua parte del feu- do di Givoletto, castello della val Ceronda poco distante da Baratonia e par- zialmente in possesso della famiglia già nel 1246 (54).

(53) Oddone, documentato l’ultima volta nel 1293 (PROVANA DI COLLEGNO, Notizie e docu- menti di alcune Certose del Piemonte, I, cit., p. 107), è già defunto nel 1306 (ibid.). Il figlio Tommaso muore tra il 27 novembre 1323 e il 1¡ febbraio successivo (S. PROVANA DI COLLEGNO, Notizie e documenti di alcune Certose del Piemonte, II, ÇMiscellanea di Storia ItalianaÈ, 3a se- rie, t. VI (XXXVII), 1901, p. 154). Sull’arbitrato per i diritti di caccia, ibid., pp. 108-109 e doc. 86 p. 240. Sulla distinzione tra caccia vile e caccia nobile, P. GALLONI, Il cervo e il lupo. Caccia e cultura nobiliare nel Medioevo, Roma-Bari 1993, p. 81. Sulla rilevante figura di Guglielmo Grassi, vedi U. GHERNER, Un percorso di perfezione: Guglielmo di Ivrea (sec. XIII-XIV) dai Pre- dicatori ai Certosini, in Spiritualità, cultura e ambiente nelle Alpi Occidentali, cit., pp. 53-69 (riferimento a questo arbitrato a p. 61). (54) 20 luglio 1313: RONDOLINO, I visconti di Torino, cit., doc. 74 p. 58. L’acquirente, «Gio- vanni di Bardonneche, abitante in Chianoc», è probabilmente lo stesso Johannes de Bardonisca qui dicitur Athenulfo de Chanusco domicello che acquista una lunga serie di beni e diritti in 72 La politica di indebitamento, avviata fin dai primi anni del ’200, è andata progressivamente intensificandosi. Questo, almeno, è quanto si può pensare scorrendo il dettagliato elenco dei creditori di Tommaso, inserito nell’atto di vendita della casaforte e della signoria di Villar Focchiardo del 1325. Due so- no i referenti principali, ed entrambi rimandano (il primo certamente, il secon- do con buone probabilità) alla necessità di rivolgersi a prestatori di denaro. Ventidue mutui sono stati accesi, nel breve volgere di otto anni (1315-23), alla casana dei Provana in Susa, per un totale di ventun lire tornesi. I Provana, particolarmente abili a coordinarsi con Acaia e Savoia, nella prima metà del XIV secolo gestiscono in valle le casane di Avigliana, Bussoleno e Susa, collocate sull’itinerario dei mercanti lungo la strada di Francia. Con la casana, vera agen- zia di credito, l’attività feneratizia assume veste ufficiale, debitamente ricono- sciuta e anzi sostenuta (a proprio vantaggio) dall’autorità pubblica. Diverso il caso dei fratelli Antonio e Francesco Giusti di Susa, al secondo posto, per importanza, nell’elenco. Appartenenti a una famiglia di notabili loca- li, ben conosciuta in valle già nel secolo precedente, si segnalano per l’autore- volezza pubblica (Francesco) e per un vorace affarismo che emerge da varie carte. Anche i Giusti tentano di inserirsi in uno spazio sovralocale: i loro affari, nei quali è probabile trovi posto anche l’attività di prestito di denaro, li portano ad Asti, a Chambery e in Tarantasia. Con loro Tommaso ha contratto una cospi- cua serie di obblighi: 420 lire viennesi; 240 sestari (il sestario corriposponde a circa 40 litri) di segala; un censo annuo di 80 sestari di castagne bianche secche (indennizzabile in 500 lire comuni); 22 sestari di castagne bianche. La dimensione più comunitaria o familiare delle relazioni del visconte si manifesta nei debiti contratti con gli eredi di Vincenzo e Giovanni di Giaglio- ne o con i Chiaberto, signori e maggiorenti di Villar Focchiardo, e nei lasciti disposti per la moglie Margherita e per Peretto e Ottina, figli illegittimi. Infine, e pare l’unico elemento residuo dell’ethos aristocratico, Tommaso lascia un’annualità di 8 lire a favore della Certosa di Monte Benedetto (55).

Bussoleno da Giovanni Bertrandi signore di Bruzolo (1335, XI.21: AST, Prot. Ducali, Prot. 14, c. 11), cugino, quest’ultimo, del personaggio omonimo che acquisterà nel 1325 Villar Focchiar- do dai visconti (vedi anche L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ, cit., p. 195 n.). Secondo Ron- dolino, Tommaso avrebbe in precedenza acquistato Givoletto da ÇBosone di Villar AlmeseÈ. Nel 1246 due Baratonia, Guglielmo e Giacobino, erano in possesso della terza parte del castello di Givoletto (SERGI, Un documento inedito, cit., pp. 759-762). (55) L’elenco dei creditori e delle cifre è riportato da PROVANA DI COLLEGNO, Notizie e docu- menti di alcune Certose del Piemonte, II, cit., p. 154 e n. 3. Sui Provana, A. SISTO, Banchieri- feudatari subalpini nei secoli XII-XIV, Torino, Giappichelli, 1962, pp. 67-94. Sui Giusti, F. CHIA- PUSSO, Saggio genealogico d’alcune famiglie segusine, III, Susa 1907, pp. 115-123, che li quali- fica per il loro Çcarattere di commercianti o di trafficantiÈ, definizione alla quale perviene, per altre strade, anche USSEGLIO, Lanzo, cit., p. 110. 73 Nel 1325, oberati dai debiti, pressati da esosi interessi (sub gravibus et in- crementibus usuris), i figli del visconte appena defunto, Antonietto e Benedet- to, rappresentati dal tutore Benedetto Barrali in quanto minori, vendono al mi- les Giovanni Bertrandi signore di S. Giorio, per 2700 lire di Vienne, la ca- saforte e la signoria di Villar Focchiardo. L’atto finale si svolge il 5 novembre a Susa, alla presenza dei vertici del potere locale (il balivo e il procuratore del- la valle, il castellano di Susa). Il 1¡ febbraio successivo, dal castello di Cham- bery, lo stesso conte Edoardo confermerà il contratto. Oggetto della vendita è la casaforte con torre (domum unam fortem cum turre de dicto V. Fulchardo), sita nella località detta Piazza (in platea) tra la via pubblica e la chiesa, con le pertinenze agricole e con i diritti di signoria e di giurisdizione che ne dipendo- no. Inoltre, la decima, che il visconte percepiva nei territori di Villar Focchiar- do e di S. Antonino; le sue parti dei diritti di ripaggio sui torrenti Gravio e Ar- baril e del forno del paese; una pezza di prato in località Pipperata. Il patrimonio familiare è notevolmente ridotto, ma la famiglia conserva di- ritti signorili, direttamente collegati dal notaio al possesso della casaforte, edi- ficio simbolo del potere locale. Le proprietà esterne a Villar Focchiardo formano l’oggetto della seconda parte del contratto: Antonietto e Benedetto cedono a Giovanni Bertrandi i beni e i diritti che possiedono (tra l’altro, segnoriam) in valle sopra S. Ambrogio, verso Susa, e tengono per sé una parte della leida di Avigliana e i possessi lo- calizzati a S. Ambrogio e nella valle inferiore. In cambio, Giovanni Bertrandi cede loro una grande casa (domum suam magnam) già posseduta da Giorgio de Sala, situata in Avigliana, sulla via per Foloniam. Nonostante la decadenza economica, i visconti mantengono, in val di Susa, prestigio e relazioni con le famiglie che contano, come dimostrano i cognomi del tutore, Barrali, e dei parentes et affines Giorgio di S. Giorio e Pietro di Fo- resto, che intervengono come loro consiglieri. Presenti all’atto sono ovvia- mente anche altri consignori del villaggio. Tanto più si fa notare, per contro, la totale assenza di rappresentanti degli altri rami dei visconti di Baratonia, che non compaiono né in funzione di tutela, né per la rituale (anche se un po’ deca- duta: ma nel caso di un’altra vendita, quella di Balangero, si verificherà anco- ra cinquant’anni dopo) laudatio parentum: segno evidente di una distanza or- mai radicata tra questa e le altre linee (56).

(56) 5 novembre 1325: PROVANA DI COLLEGNO, Notizie e documenti di alcune Certose del Piemonte, II, cit., pp. 154-6 e doc. 47 p. 356. Il documento, in trascrizione di epoca moderna, è conservato in AST, Corte, Paesi: Provincia di Susa (inv. 27), m. 8, f. 83 (Villar Focchiardo), n. 1/2. La casa di Avigliana ceduta dal Bertrandi potrebbe essere parte di quella domo de Sala, di proprietà dei discendenti di Pietro di Touvet, di cui si parla in Carte varie, cit., doc. 187 p. 211. Due figli di un defunto Giorgio de Sala vendono in quegli anni la loro parte della signoria di Villar Almese (SISTO, Banchieri-feudatari subalpini, cit., p. 87). L’importante strata publica Vo- lonie collegava Avigliana con S. Ambrogio: L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ, cit., pp. 103- 74 La cessione della signoria comporta ovvie conseguenze per il rango sociale della famiglia. Gli ultimi discendenti dei Çvisconti di Villar FocchiardoÈ si tra- sferiscono (è da presumere) ad Avigliana, con l’obiettivo di valorizzare la quo- ta restante del loro patrimonio localizzata, insieme agli importanti diritti di lei- da, tra la bassa valle e gli immediati dintorni di Torino. Confinanti con la loro nuova casa di Avigliana sono le proprietà e le case di Antonio de Sala e di Giovanni de Monte Varnerio, famiglie dell’aristocrazia minore di valle anch’esse con qualche collegamento con Villar Focchiardo: si ha l’impressione che questa piccola élite locale si riproduca nello spazio sem- pre identica a se stessa, ricreando ogni volta, a pochi chilometri di distanza, il circolo chiuso delle relazioni privilegiate (57). Da questo circolo, sempre più ristretto e sempre più locale, malsicuro limi- te tra Çborghesia» e piccola nobiltà, ora vengono assorbiti Antonietto e Bene- detto, che, con la signoria, hanno perduto la base materiale dello status aristo- cratico. Dall’altra parte, Giovanni Bertrandi, già signore di S. Giorio e miles, ora può intitolarsi vicecomes Vilarii Fulchardi. La famiglia discende da un Bertraminus o Bertrandus di Montmelian, castellano di Susa negli anni ’20 del XIII secolo. A conferma della collaudata esperienza familiare nel funziona- riato sabaudo, lo stesso Giovanni, giurisperito oltre che miles, è chiamato nei primi anni del XIV secolo in Savoia a far parte del Consiglio cum domino resi- dens. L’acquisto di Villar Focchiardo è di poco successivo al suo ritorno in val Susa. Con il figlio, che porta lo stesso nome e che eredita in età pupillare, si pro- fila, anche per i Bertrandi, un certo disagio economico. Forse anche per que- sto, nel 1343 Giovanni (II) vende la casaforte (domum fortem muream) e metà della sua signoria su Villar Focchiardo a Bartolomeo Canalis di Cumiana, di una famiglia di domini loci in ascesa. Sarà un Bertrando Bertrandi (di Giovan- ni II si perdono le tracce) a vendere dieci anni dopo ai figli di Bartolomeo Ca- nalis la restante metà. L’impressione è che, al di là delle possibili difficoltà economiche, nei pochi anni in cui hanno tenuto Villar Focchiardo i Bertrandi abbiano puntato alla ricomposizione e alla rivalutazione della signoria: com- plessivamente intascheranno dai Canalis quasi 5000 fiorini. Assai più ampia e dettagliata è, nei loro documenti, la descrizione dei beni: la casaforte è stata restaurata o addirittura riedificata; al forno si aggiungono altri edifici Çbanna-

104 e n. 7; E. PATRIA, Almese, cit., p. 18. TARPINO, Tradizione pubblica, cit., p. 57, rileva Çle al- larmanti proporzioni del dissesto economico della famigliaÈ. (57) I de Monte Varnerio ebbero, almeno per qualche tempo, parte della signoria di Villar Focchiardo (1344-45: omaggio e consegnamento di Beatrice, figlia del defunto Aimone de Mon- te Varnerio: AST, Corte, Protocolli ducali, reg. 24, c. 103). Con i de Sala, tengono, alla fine del XIII secolo, la signoria di Villar Almese (Carte varie, cit., doc. 187 p. 220). Vedi anche L. MAR- TOIA, Storia di Villar Focchiardo, I, Borgone di Susa 1994, pp. 150-151. Sui de Sala, L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ, cit., pp. 131-132. 75 liÈ, come il mulino e il battitotio; nel 1352 si citano inoltre le fucine Çche il suddetto Bertrando venditore aveva in Villar FocchiardoÈ. La signoria su Villar Focchiardo (la parte già degli antichi visconti) viene ora formalmente definita vicecomitatus, e così l’antico titolo funzionariale vie- ne infine applicato alla ridefinizione del territorio. Oltre a conferire prestigio, la nuova ed equivoca titolazione consente di semplificare e di ricomporre in unità, territoriale e concettuale, la sparsa e disordinata congerie di terre e dirit- ti che costituivano la medievale «signoria». Proiettando all’indietro questa abusiva e tarda semplificazione di un fenomeno complesso, storici ed eruditi di epoca moderna faranno risalire all’XI secolo, ai tempi della contessa Adelai- de e di Vitelmo Bruno, la fondazione del Çviscontado di BaratoniaÈ. Il senso del processo storico verrà addirittura rovesciato: nella Corona Reale, - sco Agostino Della Chiesa scriverà che Villar Focchiardo Çcome membro del Viscontado di Baratonia communicò à suoi Signori quel titolo» (58).

Antonio (già Antonietto) di Villar Focchiardo viene probabilmente a stabi- lirsi a Susa nel 1343, quando acquista una casa in città da Giovanni di Giaglio- ne (anche i de Iaillono erano consignori del Villar) e successivamente ne paga il laudemio al priore di Novalesa. L’anno dopo, si reca a Chambery, come, in tempi diversi, i vari consignori di Villar Focchiardo, a prestare omaggio e fe- deltà al giovane Amedeo VI. Ancora una volta accanto a lui, nel castello comi- tale, è Giovanni di Giaglione. Grazie ai consegnamenti dell’anno successivo sappiamo che l’unico feudo che Antonio teneva ancora dal conte era costituito dalla terza parte della leida di Avigliana. I consegnamenti dei signori di Villar Focchiardo si svolgono a Susa, tra il 28 e il 31 maggio 1345, e vengono rice- vuti dal notaio ducale Giovanni Reynaudi. Tra i signori non figurano Giovanni Bertrandi e Bartolomeo Canalis, per i quali, evidentemente, vale l’investitura accordata all’atto della vendita nel settembre 1343, e compare invece inaspet- tatamente Antonio, che, pur non disponendo più di beni nel villaggio, fa il suo consegnamento (per la leida di Avigliana) insieme con gli altri consignori di Villar Focchiardo. Consegna anzi tra i primi, il giorno 28. La sua presenza, ol- tre a provare le salde relazioni che ancora lo uniscono agli altri consignori, rappresenta un chiaro riconoscimento, da parte dell’autorità sabauda, di una dignità signorile almeno per qualche verso intatta, anche sul piano stettamente

(58) Molte notizie sui Bertrandi e sulla prestigiosa carriera pubblica di Giovanni Bertrandi padre fornisce PROVANA DI COLLEGNO, Notizie e documenti di alcune Certose del Piemonte, II, cit., pp. 125-173, che pubblica anche i due documenti di vendita del 1343 (doc. 64 p. 373) e del 1352 (doc. 65 p. 376). Per altre notizie sui Bertrandi di S. Giorio, L. PATRIA, Prima del Laietto, cit., pp. 24-25 e p. 40 n. Sulla ÇterritorializzazioneÈ del titolo vicecomitale in relazione al vice- comitatus di Villar Focchiardo si sofferma, con interessanti riflessioni, TARPINO, Tradizione pubblica, cit., p. 48. La citazione nel testo è tratta da F. A. DELLA CHIESA, Corona Reale di Sa- voia, II, Torino 1777 (e.o. 1657), p. 197. 76 locale. Proprio al nostro Antonio, infatti, insieme con Lorenzetto figlio di Co- stantino di Giaglione, è affidato l’incarico di presenziare come teste ai conse- gnamenti di tutti gli altri consignori, che si svolgono nei giorni successivi. A vent’anni dalla vendita della casaforte, il prestigio dell’antica famiglia non sembra molto affievolito, e la burocrazia sabauda continua a classificare questo nobile decaduto tra i signori del Villar. Ma il suo status aristocratrico, in un momento in cui la nobiltà sta serrando i ranghi e assumendo contorni più precisi, denuncia un certo offuscamento. Infatti, l’attributo di «domicello», che indica il nobile non ÇaddobbatoÈ, non divenuto cavaliere (miles), mentre è costantemente usato per il co-testimone Lorenzetto di Giaglione, soltanto quattro volte viene esteso anche ad Antonio: segno di qualche incertezza, e forse di un certo imbarazzo, da parte del pur autorevole notaio ducale. D’altra parte, tra i signori del Villar del XIV secolo soltanto Giovanni Bertrandi padre può esibire il titolo di miles, mascheratura ideologica delle distinzioni econo- miche progredienti nel ceto aristocratico (59). Nel 1349 Antonio è documentato per l’ultima volta a Susa. Nel 1364 è or- mai defunto: in quell’anno, infatti, Rosa, la vedova, dà in enfiteusi al fabbro Giovanni Cardoni una tenuta situata in località Stadio. Probabilmente non ha figli. In ogni caso, con lui si è esaurita la linea dei visconti di Baratonia di Vil- lar Focchiardo. Il titolo, che nella signoria si è territorializzato, per Antonio è divenuto un semplice patronimico, un cognome: nei documenti egli compare infatti come Antonio vicecomitis (Çdel visconteÈ). Il vicecomitatus, in origine carica pubblica, ha così portato a termine le sue metamorfosi, producendo un duplice esito, territoriale (il viscontado di Villar Focchiardo) e familiare (una famiglia ÇViscontiÈ a Susa) (60).

Cambia la geografia del potere locale: il Castello e il ÇPalaisÈ Nella prima metà del XIV secolo, nel territorio compreso tra Lanzo e Susa, molte signorie passano di mano, alcune più volte. Ad acquisirle sono famiglie

(59) Transazioni commerciali in Susa: 17 novembre 1343 (Susa, Archivio capitolare di S. Giusto, mazzo 9), 14 aprile 1344 (RONDOLINO, I Visconti di Torino, cit., doc. 100 p. 62). Omag- gi e consegnamenti dei signori di Villar Focchiardo (1344-45): AST, Corte, Protocolli ducali, reg. 24, cc. 67, 98, 100-103, 105-107. Su aristocrazia e nobiltà nel medioevo, R. BORDONE, L’a- ristocrazia: ricambi e convergenze ai vertici della scala sociale, in La storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età Contemporanea, I, Il Medioevo, 1, I quadri generali, Milano 1993, pp. 145-175. Sulla diffusione, a partire dalla metà del XIII secolo, del titolo domicellus (nobile non addobbato): M. KEEN, La cavalleria, Napoli 1986, pp. 233-234; J. FLORI, Chevaliers et chevale- rie au Moyen Age, Paris 1998, pp. 83-84. (60) 1349: RONDOLINO, I Visconti di Torino, cit., doc. 110 p. 63; 23 ottobre 1364: Susa, Ar- chivio capitolare di S. Giusto, mazzo 10. Per la trasformazione del titolo in patronimico, vedi, per esempio, il citato consegnamento del 28 maggio 1345: Anthonius Vicecomitis. 77 in ascesa, in qualche caso alla ricerca di un investimento speculativo, altre vol- te con l’obiettivo di trasformare la ricchezza mobile in signoria, di impiantare un lignaggio nobiliare. Alcune le abbiamo incontrate. I Canalis di Cumiana estendono il loro dominio da Givoletto a Val della Torre a Caselette. Antonio e Francesco Giusti di Susa acquistano tre quarti di Viù da un ramo dei Barato- nia, per poi venderle a Giacomo Provana. I Provana, molto ramificati, svilup- pano localmente la loro straordinaria forza propulsiva tra Leinì, Druento, Pia- nezza, La Cassa, Villar Almese e, appunto, Viù. Queste signorie pre- e peri-alpine si dispongono geograficamente secondo un profilo non molto dissimile da quello che aveva caratterizzato la signoria dei Baratonia. Indeboliti sul piano economico, inconsistenti ormai su quello politico, quelli tra gli antichi signori che non hanno saputo inserirsi nel nuovo mondo dei traffici e degli uffici sono alla fine costretti a vendere e a trasferirsi in città, compiendo un percorso inverso a quello che dalla città aveva condot- to, secoli prima, i loro avi a impiantare in campagna signorie castrensi. Questo accade a tre dei quattro rami dei visconti di Baratonia, che vendono ed emigra- no in città (tra Avigliana e Susa, quelli di Villar Focchiardo; a Torino, gli altri due). Divenuto insostenibile il peso della signoria, sembra che aspirino al ruo- lo di cives o burgenses. Di loro si perderanno presto le tracce (61). Secondo quanto ci dicono i consegnamenti trecenteschi di Villar Focchiar- do, le abitazioni dei vari signori del luogo si affollavano sulla piazza, intorno alla chiesa e alla casaforte dei Baratonia, in un intreccio progressivamente più stretto di locali e di parentele. Forse anche per questo motivo, nella seconda metà del secolo, pare di cogliere una tendenza allo sviluppo in altezza delle abi- tazioni (domum altam, turrem [sic] fortem). Nel 1385 la casaforte, passata alla fine ai Canalis, viene per la prima volta chiamata ÇpalatiumÈ (in palatio illo- rum de Canalibus), nome che l’edificio conserva ancora oggi, nella forma dia- lettale ÇPalaisÈ (62). Collocato sulla piazza e sulla via pubblica, accanto al cimi- tero e alla chiesa, esso costringeva quotidianamente i signori agli scambi e ai confronti della vita comunitaria. Esposto alla furia delle acque del Gravio, dopo

(61) Sull’alienazione delle terre signorili, vedi, tra l’altro, G. DUBY, L’economia rurale nel- l’Europa medievale, II, Roma-Bari 19763, pp. 481 e segg., e J. HEERS, L’Occidente nel XIV e nel XV secolo. Aspetti economici e sociali, Milano 1983, p. 117. Sui Provana, vedi sopra n. 55 e te- sto corrispondente. A. M. PATRONE, Le casane astigiane in Savoia, in ÇMiscellanea di Storia Ita- lianaÈ, s. IV, IV (1959), p. 62, sottolinea come, a partire dalla metà del secolo, tendono a tra- sformarsi in Çnobili feudatariÈ. La strategia di radicamento dei Canalis tra Canavese e val di Su- sa è evidenziata da L. PATRIA, ÇHomines CaselletarumÈ, cit., p. 195. (62) Per i documenti di vendita del 1325 e del 1343, vedi rispettivamente le note 56 e 58. Per i consegnamenti del 1345, vedi n. 59. I consegnamenti dei signori di Villar Focchiardo nella se- conda metà del secolo si trovano in AST, S.R., art. 737, par. I, vol. VI, cc. 48 v. e segg. Notizie in C. ROTELLI, Una campagna medievale. Storia agraria del Piemonte fra il 1250 e il 1450, To- rino 1973, pp. 132-135. 78 un’ennesima alluvione (probabilmente quella documentata nel 1473), fu sosti- tuito nella sua funzione di dimora signorile da un nuovo edificio, il ÇCastelloÈ, costruito in posizione assai più elevata e lontano dalle minacce del torrente. Anche l’antica parrocchiale era ovviamente soggetta alle periodiche deva- stazioni: definitivamente rovinata da un’esondazione del 1709, fu anch’essa ri- costruita più a monte, tra il 1721 e il 1731, «in luogo e sito... meno esposti alla rovina de’ rivi... alla borgata del CastagnerettoÈ, poco distante dal Castello, se- condo quanto stabiliva nel 1704 l’abate Ignazio Carroccio destinando un im- portante lascito testamentario per la nuova impresa. Con la chiesa si spostò an- che il cimitero. Veniva così ridisegnata la geografia delle relazioni comunitarie: il centro del potere locale, laico e religioso, risaliva a monte, in luoghi elevati, simbolicamente pregnanti, dove trovare riparo, garantirsi separazione, ribadire la superiorità. Preservata da rifacimenti e restauri di epoca moderna, la casafor- te della villa conserva perciò ancor oggi l’aspetto medievale e una localizzazio- ne centrale che testimonia di una concezione meno esclusiva del potere (63).

Ultimi feudatari del paese furono i Carroccio, giunti a Villar Focchiardo nel 1602 grazie al matrimonio di Tommaso, capitano delle milizie ducali delle valli di Lanzo, con Anna Maria Felisio, discendente di una famiglia di consi- gnori (un Riccardo Felisio di Rivoli è investito della metà di un dodicesimo del feudo di Villar Focchiardo nel 1428). Il figlio Pietro, dopo una brillante carriera pubblica (ambasciatore a Parigi per Maria Cristina, senatore di Pie- monte nel 1637), acquistò la maggior parte del feudo e ingrandì e restaurò il Castello: nel 1653 fu creato conte di Villar Focchiardo. Una dinastia Çborghese» coronava così la sua ascesa sociale con i sacri cri- smi della terra e della nobiltà: anticamente documentati a Lanzo e a Rivarolo, proprietari di numerose fucine, i Carroccio avevano basato la loro affermazio- ne, a partire dal ’300, sull’attività imprenditoriale nel settore della metallurgia del ferro. Pare quasi di assistere a una ripetizione, in forme ovviamente ade- guate ai tempi nuovi, di quanto più confusamente lasciano intravvedere i do- cumenti medievali dei Baratonia: una famiglia ricca e potente che si muove nella fascia di territorio prealpina, tra il Canavese e le valli di Lanzo; che fa carriera a Torino nelle file del funzionariato sabaudo; che investe i profitti di fucine e miniere nell’acquisto di un «feudo» e di un «Castello» in val di Susa. Ma c’è di più: i percorsi delle due famiglie, oltre a somigliarsi, forse si in- crociano. Secondo una notizia da verificare documentariamente, nella seconda metà del ’300 il capostipite, Giovanni Carroccio, avrebbe sposato una Barato- nia: Beatrice, figlia di Facio visconte di Balangero. Se così fosse, ci troverem- mo di fronte a una coincidenza davvero curiosa: nelle vene del primo Çconte di

(63) Sui trasferimenti del palazzo signorile e della chiesa, vedi MARTOIA, Storia di Villar Focchiardo, cit., I, p. 114 ter; II, pp. 337-348. 79 Villar Focchiardo» scorreva un po’ del sangue (!) degli antichi ÇviscontiÈ del luogo? Lo avesse saputo, chissà come si sarebbe sentito fiero, Pietro Carroccio, di poter guardare dall’alto le merlature medievali del «Palais», che i suoi «ante- nati», gravati dai debiti, avevano venduto più di trecento anni prima (64).

(64) Sui Carroccio di Villar Focchiardo, vedi MARTOIA, Storia di Villar Focchiardo, cit., II, pp. 293-319, con le relative tavole genealogiche. Su Pietro Carroccio, C. ROSSO, Una burocrazia di antico regime: i segretari di Stato dei duchi di Savoia, I, Torino 1992, p. 281. Al restauro del Ca- stello accenna DELLA CHIESA, Corona Reale di Savoia, cit., p. 197: «... essendo stato à giorni no- stri questo luogo del Villare per la maggior parte acquistato da Pietro Caroccio senatore in Torino de’ primi soggietti di quell’eccellentissimo Senato, hà il suo Castello di nuova fabrica abbelito». Sulla famiglia Carroccio, vedi A. MANNO, Patriziato subalpino, dattiloscritto in AST, s.v., che propende per un’origine canavesana (Rivarolo). Gli storici delle valli di Lanzo danno per sconta- ta l’origine lanzese: USSEGLIO, Lanzo, cit., p. 231 n. 1; SOLERO, Storia onomastica delle Valli di Lanzo, cit., p. 51. La notizia del matrimonio di Giovanni Carroccio con Beatrice figlia di Facio di Balangero, riportata da Manno senza citare la fonte, è da verificare ma sembra attendibile, tra l’altro non avendo lo scopo di fornire argomenti a nessuna costruzione genealogica.

BIBLIOGRAFIA

Studi sui visconti di Baratonia

LUIGI CESARE BOLLEA, I Bollea signori di Losa, Alteretto, Meana e Gravere e consignori di Pia- nezza e Carignano, Benevagienna 1923 (edito in ÇBollettino Storico Bibliografico Subalpi- no» [d’ora in poi: «BSBS»] XXV, 1923, con il titolo: Manfredingi, signori di Pianezza e Vi- sconti di Baratonia). ATTILIO BONCI, I Visconti di Baratonia. Signori nelle Valli della Stura della Ceronda e del Ca- sternone, Varisella 1982. FERDINANDO GABOTTO, Sui Visconti di Torino. Nota, Asti 1909 (estratto da ÇBSBSÈ XIII). PIER LUCA PATRIA, Comunità, famiglie eminenti e amministrazione in Val di Susa. Un documen- to del 1207, in ÇBSBSÈ LXXXII, 1984, pp. 175-191. FERDINANDO RONDOLINO, I Visconti di Torino, Pinerolo 1901 (estratto da ÇBSBSÈ VI). GIUSEPPE SERGI, Un documento inedito sui rapporti fra Marchesi di Monferrato e Visconti di Baratonia, in ÇBSBSÈ LXXXI (Aleramica), 1983, pp. 751-762. ANTONELLA TARPINO, Tradizione pubblica e radicamento signorile nello sviluppo familiare dei visconti di Baratonia (secoli X-XIII), in ÇBSBSÈ LXXXIX, 1981, pp. 5-65. I Visconti di Baratonia in Val Ceronda e Casternone. Mostra archeologica con note storiche, a cura di A. Bonci, Varisella 1978. Dai Baratonia agli Arcour, a cura di Giancarlo Chiarle, Catalogo della Mostra documentaria iti- nerante, luglio 1998-settembre 1999, Ed. Biblioteca Civica di Varisella, 1999, pp. 96, ill. (Pubblicazione alla quale ha contribuito anche ÇSegusiumÈ). GIANCARLO CHIARLE, I visconti di Baratonia e di Villar Focchiardo (Sviluppo e crisi di una si- gnoria medioevale), ÇSegusiumÈ n. 38, Susa, settembre 1999. 80 I visconti di Baratonia e di Villar Focchiardo

Qui sopra: questa veduta parziale della merlata casaforte dei visconti di Baratonia a Villar Foc- chiardo rende l’idea di come doveva essere un edificio costruito da signori medioevali, abitazione e fortilizio al tempo stesso. Nella pagina seguente: una carta del territorio interessato dalla signoria dei visconti di Baratonia, liberamente ispirata alle caratteristiche della cartografia medioevale (disegno di Benito Fiorucci). 81 82 La Grande Reliquia dipinta in Valle di Susa

Qui sopra: Fra tutti i numerosi affreschi sindonici quello che riproduciamo in questa pagina è pro- babilmente il più recente. Si trova ad Avigliana, nella via del Santo Sudario, dove ci si imbatte nel- la cappella omonima sulla cui facciata nell’estate del 1996 è stato dipinto questo rutilante affresco della Sindone, ornato di vistose volute. Nella pagina seguente: A San Giuliano, frazione di Susa, in una edicola incavata sulla facciata di una casa, c’è questa immagine ormai sbiadita nella quale sono ancora leggibili elementi pittorici di spicco che sarebbe interessante restaurare adeguatamente. 83 84 Qui sopra: A Villarbasse, sulla facciata di una casa, sotto un tettuccio, fra due paraste, ecco un af- fresco sindonico da restaurare. La Sindone è presentata alla vista dei fedeli da una Madonna con Bambino, entrambi coronati, mentre due personaggi in abbigliamento vescovile sorreggono il Santo Sudario. 85 Qui sopra: L’affresco sindonico nella frazione Mestrale di Venaus del quale è ancora abbastanza ben leggibile l’iconografia. In basso: Una bella prospettiva degli antichi portici di via Palazzo di Città a Susa con l’affresco della Sindone (restaurato recentemente) inserito in una cornice rilevata.

86 Eldradus, abate di Novalesa e santo

In ordine cronologico vediamo Sant’Eldrado che coltiva la terra ad Ambellis, suo paese natale, rice- ve le insegne del pellegrino, giunge poi a Novalesa, riceve l’abito monastico dalle mani dell’abate. 87 88 La devozione sulla montagna di Condove Il «Pilon ’d ClettaÈø nella borgata Borlera sul- la mulattiera verso Mocchie. é parzialmen- te inglobato in un muro di recinzione e la costruzione originaria risale alla prima metà del Settecento. Nella nicchia rivolta a sud c’è questa Madonna con Bambino, di buo- na fattura, ma in precarie condizioni.

Con il magnifico sfondo delle Alpi il ÇPilon ’d Gratasole» a quota 1188 metri sulla stra- da dall’Airassa a Vinaudo. Non si conosce l’anno di costruzione; è stato restaurato da Felice Nurisso in memoria della figlia Batti- stina deceduta nel bombardamento aereo di Borgone (19/8/1944). Ha base quadrata (m. 1,10 di lato) e la copertura di lose ha forma inconsueta.

89 In alto: La Madonna incoronata dagli angeli è un pregevole affresco (1750 circa) del Pilone di Pra- lesio Superiore (m. 737) in prossimità della fontana di questa borgata. é comunemente detto ÇPi- lon ’d Minuèl» perché edificato nel 1740 da Emanuele Perotto. A base quadrata ha lato di m. 1,20 ed è alto m. 2,70. In basso: Il «Pilon del Gran Bosc» sopra la località Salto del Bue a m. 1218 lungo la mulattiera da Pratoborile al Collombardo. A pianta rettangolare (m. 3,30x2,40) può offrire riparo ai viandanti. Sulla parete di fondo è dipinta una Madonna col Bambino; sulla parete di destra San Giulio.

90 San Grato, invocato protettore contro i fulmini e le intemperie dannose ai raccolti dell’agricoltura, e la Madonna con Gesù Bambino sono affreschi settecenteschi dipinti in una nicchia su una casa vicino alla cappella della frazione Maffiotto di Condove. 91 Borgata Pratoborile (m. 1021) sulla mulattiera che sale verso i Gran Boschi. L’affresco su questa vecchia casa raffigura l’incoronazione della Madonna e venne dipinto nel 1849-50 per interessa- mento di Giuseppe Vinassa. Non si conosce il pittore, al quale è da attribuire anche la meridiana sullo stesso muro (un po’ più in alto sulla sinistra). 92 Maria e la sua montagna: da 100 anni sul Rocciamelone

93 Due belle fotografie realizzate da don Giuseppe Capra. Nella pagina precedente: un eccezionale primo piano del volto della Madonna, la statua in vetta al Rocciamelone a 3538 metri di altitudine. In questa pagina: La ÇCroce di ferroÈ, poco sotto la vetta (a m. 3312) del Rocciamelone. Sotto un cielo di un azzurro cristallino lo sguardo spazia su un ampio tratto delle Alpi Occidentali, sia del versante francese che italiano. Uno spettacolo di rara bellezza indimenticabile. 94 Il centro storico di Susa restaurato

Qui sopra: Piazza San Giusto a Susa come appare oggi, dominata da parecchi secoli dall’impo- nente campanile della Cattedrale. Nella pagina seguente: pavimentazione e colori in Via Palazzo di Città. (Foto di Renzo Turco). 95 96 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 97-105

Maria Luisa Moncassoli Tibone Un messaggio per le genti: la Gran Reliquia dipinta in Val di Susa

«Al mirare nella Sindone lo stato in cui si ridusse Gesù Cristo per nostra salvezza, benché fossimo indegni de’ suoi favori anzi meritevoli d’ogni più grave castigo per le commesse colpe, chi non perdonerà tosto a qualunque suo offensore? Chi non avrà compassione dei miseri? Chi non li aiuterà a tutto suo potere?... Gesù Cristo ha sofferto per noi, lasciando a voi l’esempio, affinché seguitate le di lui vestigiaÈ. Meditare sulla Sindone porta ad esercitare la carità: questo è il messaggio che il Beato Sebastiano Valfrè trasmesse e che un importante esegeta, Padre Lazzaro Piano (Comentari critico-archeologici sopra la SS. Sindone di N.S. Gesù Cristo venerata in Torino, Torino 1833) raccolse, diffondendo tra le gen- ti il significato della contemplazione della Gran Reliquia sabauda. Da tempo una vasta iconografia dipinta era stata diffusa nel Piemonte, nel- la Savoia, nella Valle d’Aosta, nel Nizzardo... La sua distribuzione appariva caratterizzata, come ben ha chiarito un importante esegeta, don Giuseppe Ter- zuolo (La sacralizzazione del territorio. I luoghi della Sindone, in Sindone, Immagini di Cristo e devozione popolare, Editrice Omega, Torino 1998) da Çuna logica sociologica che presenta due aspetti: il primo teologico, nel senso che la Sindone appartiene al contenuto teologico del Cristianesimo poiché è presente nel Vangelo e come tale predicata, in modo analogo al simbolo della Croce e al ruolo di Maria nella Redenzione; il secondo storico sociologico in quanto nella dottrina cristiana non ogni elemento ha la stessa importanza e dif- fusione: altro è il valore del numero delle Croci, altro quello delle immagini mariane, altro quello delle cappelle di san Rocco... San Rocco è invocato solo contro la peste, solo a partire dal secolo XIII e solo nell’Europa meridionale. 97 In alto: L’affresco con la Sindone sul muro della Ca’ Bianca nell’area del Castello di Villardora. In questo caso l’immagine sindonica appare vivace e interessante. Nella pagina a destra: Venaus, frazione Vayr, quel poco che resta di un antico, bell’affresco sindo- nico.

Egli è uno dei cosiddetti santi ausiliatori, che vengono invocati in aiuto dei Cristiani in una determinata calamità... La devozione della Sindone rientra be- ne in questo tipo di discorso. Innanzitutto è una devozione recente, non legata ai primitivi misteri liturgici fondamentali cristiani; in secondo luogo è locale, cioè non esiste in Irlanda o in Sud America, se non allo stesso modo di come in Brasile si può venerare san Gennaro; infine ha una dimensione sociologica per un doppio motivo; era un antidoto alla peste ed era imposta dalla Casa Sa- voia, che ne caldeggiava la festa liturgica annuale del 4 maggio fino a renderla di precetto e multare chi andava a lavorare nei campi!... Si potrebbe dire che la devozione alla Sindone si è infiltrata tanto quanto si è inoltrata la peste ed an- che i Saraceni, fermo restando che si diffuse in modo diverso ad esempio per la valle di Susa, aperta su Chambéry ed esposta alla peste degli eserciti, e per la valle Maira che è senza valichi transalpini. Quando poi si trovò un affresco sindonico a Bessans ed un nastro della statura di Gesù più oltre ad Avérolles, fu inevitabile che si supponesse subito una devozione alla Sindone, dovuta al 98 suo passaggio nel 1535. Passaggio che tra l’altro, giustificava anche le pitture sindoniche di Balme, Voragno, Mezzenile e LanzoÈ. Ma altri recenti studi permettono di ripercorrere, in modo coinvolgente, il viaggio della Sindone in Valle di Susa. L’«ineludibile fascino» della grande Reliquia ne appare fortemente potenziato dal momento in cui testi letterari e ricordi storici giungono a suffragare le immagini dipinte. Nessuno studioso può rimanere indifferente di fronte al gran mistero della Sindone; ricercatori di infinite specialistiche discipline si destreggiano, da se- coli ormai, a rilevarne il profondo valore documentario, il segreto della realiz- zazione e il mistero simbolico che l’avvolge. Da cento anni si sa che la Sindone presenta un’immagine negativa e fu Se- condo Pia a dimostrarlo con una scoperta avvenuta tra il 28 e il 29 maggio 1898: ÇProvai una forte emozione quando, durante lo sviluppo, vidi per la pri- ma volta il Sacro Volto apparire sulla lastraÈ.

Retta dalla Madonna dei sette dolori, da due angeli, da sant’Andrea, san Biagio, san Giuseppe e san Francesco d’Assisi la Sindone appare nel 1669 su

99 una casa privata di Venaus, frazione Mestrale, in Val Cenischia. La rappresen- tazione di questa «immagine impossibile» qui prende le sembianze più reali- stiche; è presentata con forte chiaroscuro, velata da un perizoma bianco e cir- condata dalla catena delle macchie dell’incendio di Chambéry. Alle spalle del- le figure degli Ostensori, nell’affresco di Venaus si articolano tre grandi arcate scandite da pilastri con capitelli quadrati, ben leggibili nelle loro decorazioni, quasi una memoria leonardesca della famosa Cena milanese. La pittura è ope- ra di una buona mano d’artista, capace di accostare i colori, modulare il chia- roscuro, variare atteggiamenti e volti dei personaggi. Appare vivacemente so- stenuta dalla drammaturgia popolare poiché la vicenda sindonica è stata anche nelle valli di Susa, protagonista di un teatro religioso, allorché misteri e dram- mi sacri animarono, nel periodo pasquale, le pratiche devozionali delle genti. Importante in valle di Susa è, nel secolo XVIII, il manoscritto che ricorda la Passione di Giaglione. Nella ricorrenza di san Biagio gli spadonari eseguono una danza delle spade proprio di fronte alla raffigurazione del Sacro Lino, co- me ha ricordato Pier Carlo Grimaldi (nell’Introduzione a Sindone e devozione popolare, op. cit.) esaminando in modo concreto e per la prima volta con una pubblicazione estesa ed approfondita «la religiosità popolare che sembra oggi rinascere ed imporsi, al di là dei vasti, interminabili dibattiti dal taglio più o meno scientifico, riproponendo una dimensione spirituale che trae fondamen- to dal nucleo più profondo di un’autentica ricerca del sacro».

Bisogna risalire ai Vangeli per individuare la figura di Giuseppe d’Arima- tea: ÇriccoÈ (san Matteo), Çnobile decurioneÈ (san Marco), Çgiusto e uomo per bene, discepolo segreto di Gesù» (san Giovanni). Chiese ed ottenne da Pilato l’autorizzazione a seppellire nella sua tomba nuova, scavata nella roccia in un giardino presso il Golgota, il corpo del Crocifisso. Ci informa André Carénini (in G. D’Arimatea e il Sacro Lenzuolo dai Van- geli alle leggende, in AA.VV., Sindone e devozione popolare, op. cit.) che l’a- pocrifo Vangelo di Pietro afferma che ÇPilato avrebbe accordato a Giuseppe le spoglie di Gesù, già prima della Crocifissione e ciò in accordo con Erode... Forte dell’autorizzazione di Pilato sul cammino del Golgota, Giuseppe com- pra un pezzo di stoffa destinato alla sepoltura di Gesù». Nei tre Vangeli sinot- tici questa è detta sindon, nome che può derivare da Sidone, città famosa per la tessitura del lino. Nicodemo aveva procurato le fasce e gli aromi: mirra e aloe.

Nella Cappella di san Sebastiano a Lanslevillard, appena al di là del Mon- cenisio, l’affresco del sec. XVI che mostra la Deposizione dalla Croce dà ben chiara la presenza dei due personaggi: uno, intento a schiodare i piedi di Cristo e l’altro, su una scala appoggiata alla croce in atto di far scivolare giù il corpo del Crocifisso. In una immagine successiva sono ancora presenti i due perso- 100 Venaus (Val Cenischia), frazione Mestrale. Sul muro di una casa nel centro della borgata si trova uno dei più completi affreschi sindonici delle Valli di Susa. naggi in atto di comporre il Corpo nel sepolcro, ungendolo di aromi e copren- dolo con le bende di lino. Nel volume citato Sindone e devozione popolare, è ancora André Carénini a darci memoria di un testo importante: «Le mystère de la Passion de notre Seigneur Jesus Christ selon MathieuÈ. Si tratta di una pièce religiosa recitata in tre giornate. Si sa che essa fu rap- presentata ancora all’inizio dell’Ottocento a Jaillon. Sulla strada del Monceni- sio, essa è rappresentazione antichissima. Così la Scena VIII: Dopo avere domandato a Pilato il corpo di Gesù, Giuseppe ritorna e incon- tra Nicodemo che, vedendolo arrivare, avanza sulla scena teatrale e dice: 101 Nicodème - Sire que faut-il faire Dites-le moi au plus tôt. Joseph - Je viens de trouver le Prevot lequel m’a permis de dépendre le corps de Jesus et le prendre et puis en faire à mon plaisir. Nicodème - Voilà justement mon désir car il y a longtems que je suis son or si je puis lui rendre quelque bon office je vous fais offre de service si vous le trouvez agréable mais a-t-on un lieu convenable à pouvoir reposer son corps dedans la ville ou bien dehors pour quand nous l’ensevelirons. Joseph - Voici comment nous en ferons: j’ai un beau petit jardinet tout près d’un lieu où il est ou je fis faire un monument dans le marbre dernièrement où l’on n’a encore mis personne je le consacre et je le donne pou y ensevelir Je- sus. Nicodème - Je ne vous fais aucun refus de vous aider a l’y porter. Joseph - Je m’en vais vitement acheter un beau suaire de toile fine chez Ju- lie notre voisine pour son saint corps envelopper. Nicodème - Je pourrai aussi m’occuper d’aller acheter en certain lieu des parfums les plus prétieux d’une excellente qualité (1).

L’acquisto del lino e l’offerta del sepolcro connotano dunque la generosa presenza della figura di Giuseppe d’Arimatea, operoso per la sepoltura di Gesù.

* * *

Fin dal passaggio della Sindone nel 1535, la Valle di Susa cominciò ad ani- marsi di immagini sindoniche; nel 1604 alcune famiglie di valdesi di Meana, decisi ad abiurare, si recarono in pellegrinaggio a piedi a Torino per venerare la Sindone, proseguendo poi fino al Santuario di Crea. Racconta questo episo- dio ancora don Giuseppe Terzuolo che (ne La sacralizzazione del territorio, op. cit.) cerca di dare un senso alla diffusione geografica delle pitture sindoni- che, diffusione che appare in Piemonte discontinua, anche se variamente do- cumentata. Egli pone giustamente in risalto la triplice problematica che si esprime so- prattutto negli affreschi: lo stato di conservazione, l’attribuzione e la datazione. Nell’indagine pittorica la parte preponderante appartiene alle province di Cuneo e di Torino con più di duecento immagini ciascuna. Tutte le altre pro-

(1) Riassumiamo questo colloquio. Poiché Giuseppe d’Arimatea ha ottenuto dalle autorità il corpo di Gesù morto sulla croce, Nicodemo si mette a disposizione onorato di rendere un servi- zio al maestro del quale è discepolo da parecchio tempo. Giuseppe dice di possedere un terreno nel quale ha fatto scavare un monumento funebre di pietra non ancora utilizzato: lo offre per la sepoltura di Gesù. Non solo, ma va ad acquistare un Çbel sudario di tela fineÈ per avvolgere il santo corpo. Nicodemo si offre di andare ad acquistare «aromi preziosi e di eccellente qualità». 102 vince piemontesi ne mostrano un numero assai minore, sempre inferiore ai cinquanta esemplari.

Proviamo ora a percorrere insieme un tratto della via Francigena, in valle di Susa, localizzandovi le immagini sindoniche più significative. A COLLEGNO via Venaria è ai margini dell’abitato, la si raggiunge dopo aver traversato la Dora. Sul muro di una casa un affresco raffigurante la Sindone retta da Santi è quasi completamente perduto per il distacco di tutto l’intonaco. Solo sulla destra si scorge la figura di una santa che regge un lembo del Lino. Altre piccole tracce pittoriche rivelano un angioletto e un lembo del manto az- zurro della Vergine. A RIVOLI, nella volta dell’altare della chiesa della Confraternita della Santa Croce, uno spettacolare volo di angeli regge una Sindone riccamente drappeg- giata. È un dipinto del 1730, ricco di spettacolarità e di suggestione, ascritto al Rebaudengo. A GRUGLIASCO in piazza Papa Giovanni è la cappelletta di san Giacomo. In facciata mostra un riquadro con la Sindone, anche qui quasi cancellata. A reg- gerla erano, forse, la Vergine e san Giovanni Battista. Un sollecito intervento di restauro potrebbe ricuperarla. VILLARBASSE presenta nella Via Principale, oggi via Cravotti, un riquadro con la Sindone presentata da una Madonna con Bambino ambedue coronati. Due vescovi, ai lati, sostengono il Lenzuolo in cui si indovina l’immagine del Corpo. L’affresco è protetto, come talora accade, da un tettuccio e reca ai lati due paraste che lo incorniciano. Ad AVIGLIANA un importante messaggio sindonico è nel santuario della Madonna dei Laghi, sito in una posizione molto panoramica. é sulla parete si- nistra, attribuito a Giovanni Battista Della Rovere: rappresenta la Crocifissio- ne e il Cristo deposto nella Sindone. Un’altra opera è un quadro a tempera do- nato come ex voto dalla Reale Confraternita del Santo Sudario di Torino qui giunta in processione nel 1628. Sopra i confratelli incappucciati con orifiam- ma, la Sindone retta da tre angioletti, la Vergine con il Bambino, il panorama di Avigliana e un cartiglio che testimonia l’evento. Sempre ad AVIGLIANA, nella Via del Santo Sudario si può scoprire l’omoni- ma cappella sulla facciata della quale, il 30 luglio 1996 è stato dipinto un ruti- lante affresco sindonico moderno, delimitato da grandi volute. Nella abbazia della SACRA DI SAN MICHELE sulla parete del Coro vecchio un grande affresco di Secondo Del Bosco da Poirino, del 1505, mostra Gesù posato sul lenzuolo su di un ricco sepolcro. Le Marie, la Maddalena, Giovan- ni, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea sono intenti al pietoso rito, mentre tre fi- gure di soldati armati, in proporzione più piccola, dormono sullo scalino del sarcofago. Il corpo di Cristo rivela, drammatiche, tutte le sue ferite. Sulla Ca’ Bianca, edificio annesso al Castello di VILLARDORA sopra il vi- 103 Susa: sotto gli antichi portici (recentemente restaurati) di Via Palazzo di Città, nel centro storico, si può ammirare questo affresco (riportato recentemente in bella evidenza) con una ostensione so- lenne della Sindone. stoso stemma gentilizio un affresco sindonico appare, sobriamente incornciato a rilievo. Cinque personaggi tra i quali sembra si possa ravvisare, al centro, un pontefice, curano l’ostensione di un lino dalla calligrafica immagine. A SAN GIULIANO DI SUSA, in via Montello 71 una edicola incavata presenta una immagine sbiadita che doveva essere molto interessante. In basso due san- ti, sopra sei angioletti di cui due reggono il Lino. Al centro la Vergine con le sette spade; poi sant’Andrea (?), e un paesaggetto. La data che sembra possa leggersi è il 1669. La Sindone mostra il perizoma e le macchie dell’incendio a catena. In basso a sinistra compare un donatore. Sotto i portici di SUSA, in via palazzo di Città, nei pressi della Casa dei Bar- tolomei, ecco un riquadro affrescato entro una cornice ben rilevata. Alla ma- niera di Chambéry due vescovi reggono il Lenzuolo; li affiancano due santi e la Vergine. A VENAUS, oltre il citato affresco della frazione Mestrale, in frazione Vayr si scopre un dipinto murale molto rovinato. Un intervento di restauro potrebbe permettere di leggere ancora le figure quasi sparite: una Vergine con le sette spade, alcuni personaggi di cui si scorgono solo le gambe. Sul lenzuolo, la fi- gura del Cristo è nerastra, ma vi appare ancora ben visibile la fodera rossa. 104 Come le molte altre sparse in tutto il Piemonte, le immagini della Sindone in Valle di Susa sottolineano l’importante ruolo svolto dalla Reliquia sabauda nell’immaginario popolare, un ruolo che deve essere approfondito nel suo si- gnificato rituale, sociale, ambientale, identificando con certezza le componen- ti di una storica operazione d’immagine singolare ed affascinante.

L’ultima ostensione della Sindone si è avuta a Torino dal 18 aprile al 14 giugno dell’anno 1998, in occasione del 500¡ anniversario dell’apertura al culto del Duomo (San Giovanni). La prossima ostensione, sempre a Torino in Duomo, avverrà dal 29 aprile all’11 giugno del 2000, nell’anno del Giubileo.

(Altre illustrazioni nell’inserto a colori dopo la pag. 80). 105

SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 107-126

Pier Giorgio Gagnor La devozione sulla montagna di Condove

Pitture murali, nicchie, piloni Camminando per le viuzze del centro storico o lungo le vecchie mulattiere, un tempo uniche vie di collegamento tra il piano e la montagna è facile imbat- tersi in tipiche manifestazioni della religiosità popolare come pitture murali di immagini sacre, nicchie ricavate in cappelle votive dette piloni (1). La documentazione fotografica di questo patrimonio è il risultato di una ri- cerca pluriennale condotta sul territorio del comune di Condove, che, correda- ta da didascalie, è stata raccolta in una ventina di grandi tabelloni (per interes- samento della Pro Loco) messi in mostra per tutto il periodo natalizio del 1998, prima nelle scuole elementari e poi nella chiesa di S. Rocco. Dai dati emersi da analoghi studi compiuti in varie località della nostra val- le, si giunge a tre conclusioni: 1. Nella Valle di Susa e particolarmente sul territorio di Condove si trova un numero considerevole di questi segnacoli. 2. I piloni oltre al ruolo assunto nell’espressione della religiosità popolare, sono importanti sia come documenti storici della civiltà contadina, sia per il loro valore artistico. 3. Sarebbe auspicabile che, dopo questo lavoro, si facessero ricerche più approfondite in tutta la valle, al fine di recuperare e tramandare questo patri- monio di notevole importanza.

(1) ÇLa sacralizzazione dello spazio rurale copre le campagne italiane di una messe stermi- nata di edicole, di crocifissi, di tabernacoli ai bordi dei campi, di cappelle, mentre nelle profon- dità del mondo contadino nascono e mettono radici devozioni dall’enorme spessore emotivo e simbolicoÈ. Da ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA, L’identità italiana, Ed. Il Mulino, Bologna 1998. 107 é pur vero che si tratta di espressioni architettoniche e artistiche definite minori, ma esse costituiscono comunque un patrimonio culturale considerevo- le. Studiarlo comporta tuttavia una serie di problemi di ordine architettonico, estetico, storico e religioso; né risulterebbero facili datazione, stile, stato di conservazione e catalogazione. Tra pittura murale, pilunot e pilone, il più significativo è senz’altro il pilo- ne, che risulta ovunque il segnacolo più diffuso e caratteristico del paesaggio rurale e in particolare dell’ambiente alpino. Sul territorio comunale di Condo- ve ne esistono ancora 95 così suddivisi: 8 pitture murali, 4 pilunot e 83 piloni ai quali è dedicato questo studio.

Caratteristiche architettonico-costruttive I dati raccolti durante innumerevoli contatti con preziosi informatori per lo più anziani (che gentilmente con la loro testimonianza orale hanno collaborato in questa ricerca estesa sul territorio del comune di Condove), raffrontati con le conclusioni di ricercatori che hanno svolto indagini in altre località del Pie- monte (2), consentono di affermare quanto segue:

1. Il Pilone, salvo rarissimi casi, era frutto dell’iniziativa privata per adem- piere ad un voto. Veniva edificato ai bordi delle strade o ad un incrocio, ma sempre su terreno del committente. 2. Per la costruzione si impiegava manodopera locale, mentre le decorazio- ni venivano affidate a pittori che si trovavano nella zona per affrescare cappel- le o a decoratori dei paesi vicini (il pilone del Tugno venne affrescato da Bo- rello Vincenzo abitante alla Chiusa di S. Michele). 3. Osservando l’inventario fotografico, risulta evidente come i committenti di questi segni della religiosità popolare, oltre ad adempiere un voto e ad espri- mere il ringraziamento per grazia ricevuta, volevano sottolineare il loro fermo proposito di non dimenticare, nemmeno nei periodi felici, ciò che avevano chiesto nel tempo della carestia, della difficoltà o del pericolo.

Per quanto riguarda l’aspetto architettonico, risulta evidente (come riscon- trato in altre realtà territoriali), l’intenzionalità di realizzare opere l’una diver- sa dall’altra, quasi a voler personalizzare l’espressione votiva del committen- te. Sul territorio del Lajetto sono individuabili due piloni pressoché uguali: il primo è quello comunemente detto dei morti di Pratobotrile; il secondo è detto pilun ’d Pin-Gaspa. A conferma di quanto riferito in precedenza, vennero en-

(2) A. DE ANGELIS, La sacralizzazione del territorio: croci, piloni, cappelle. Gli esempi del- la Val Varaita, in AA.VV., Segni della religiosità popolare sulle Alpi occidentali, Club Alpino Italiano. Atti dell’incontro di Susa, 13-14 Sett. 1997. 108 A quota m. 1170, sulla mulattiera che da Bigliasco sale alla borgata Campo dell’Alpe, c’è il «Pilon ’d Brntà», con tetto di lose a due spioventi. Davanti al pilone Ð parecchi anni fa Ð sono state foto- grafate queste tre generazioni della famiglia Pacifico Davì. Nel 1995 il pilone è stato restaurato. (Foto dall’archivio Davì). 109 trambi edificati negli anni 1860 da Giuseppe Vinassa. Gli altri differiscono fra loro per forma, stile e tipo di immagini affrescate.

* * *

I piloni, pur presentandosi in una gran varietà di forme, sono caratterizzati da una compatta struttura a pilastro nella quale si trovano nicchie più o meno profonde. Inoltre, il numero delle nicchie e dei riquadri risulta proporzionale alle possibilità di accesso al sacello stesso da parte del fedele a seconda che es- so sia conglobato in altra costruzione o posto a un incrocio. In genere i piloni sono a struttura di parallelepipedo allungato, con pianta quadrata o rettangola- re. La struttura può essere a uno, due o tre livelli, a seconda che verticalmente il frontone sia continuo, o interrotto da una o due modanature. Il tetto è a due o quattro falde con copertura in lastre di pietra (louze). Solo in quattro casi (Pilone della Grangetta, pilone del Trucet sopra Gandoglio, pi- lone delle Combe e pilone ’d Grata-sola vicino alla cantina dell’Airassa), i committenti adottarono delle coperture più elaborate in cemento. Spesso il tet- to a quattro falde termina con una pietra arrotondata; comunque sulla sommità c’è sempre una croce in ferro battuto. Il frontone o facciata principale, in molti casi si eleva ad un’altezza mag- giore rispetto alla volumetria dell’edicola allo scopo di conferire maggior slan- cio alla costruzione. Nella facciata (che in origine è sempre rivolta verso la strada) si apre la nicchia principale dove sulla parete di fondo di solito è raffi- gurata la Madonna. Sulle pareti laterali trovano posto altre figure di santi in- tercessori. Sulla volta della nicchia è quasi sempre dipinta una colomba che si libra contro il cielo azzurro e rappresenta lo Spirito Santo. Di solito la nicchia si apre a circa un metro da terra e presenta una mensa in pietra (utilizzabile co- me altare in caso della celebrazione di funzioni sacre), sulla quale vengono si- stemati vasetti con fiori di campo, lumini, immagini sacre e, a volte, quadri votivi. Nei piloni ristrutturati recentemente, gli affreschi distrutti spesso sono stati sostituiti da statuette in gesso o formelle in ceramica, più facilmente repe- ribili sul mercato. A protezione della nicchia principale il vano viene solita- mente chiuso da un cancelletto. Nel caso di tetto a quattro spioventi, normalmente la fronte termina con una cornice che corre orizzontalmente attorno al pilone. Se invece il tetto è a due falde allora il frontone assume una forma triangolare contornata da una cornice (timpano). La porzione centrale del timpano a volte è occupata dalla figura di Dio Pa- dre in atteggiamento benedicente (pilone delle sette strade). Nelle facce late- rali sono spesso ricavate delle edicole (meno profonde della nicchia principa- le) ma raramente sono occupate da figure di santi. La facciata posteriore non presenta quasi mai affreschi e quando è intonacata solitamente reca il dipinto 110 di una grande croce. Le iscrizioni tracciate sui piloni riportano spesso il nome o i nomi dei committenti, l’anno di esecuzione (a volte l’anno del restauro), talvolta la motivazione: per grazia ricevuta. Questi dati solitamente si trovano scritti al di sotto della cornice o sui lati. Le figure dei santi sono spesso con- traddistinte dal nome tracciato sotto ad esse. La firma del pittore compare ra- ramente e non ha una collocazione fissa. Nella zona dei Gran Boschi, dopo aver superato il pilone ’d Cian-furè, la vecchia mulattiera sale al Salto del bue e dopo un ultimo tornante, quasi im- provvisamente, si vede un notevole fabbricato simile ad una baita con tetto a due falde. È questo l’unico Oratorio esistente sul territorio del comune di Con- dove. Gli Oratori sono anch’essi dei Piloni, ma differiscono dagli altri perché la nicchia si presenta come una cavità fino a terra. In tal modo è possibile l’ac- cesso diretto all’interno ove ripararsi dal cattivo tempo. Nel nostro caso il va- no della nicchia ha le seguenti dimensioni: larghezza m. 2,50, lunghezza m. 3, altezza m. 3,20. Durante la costruzione, specialmente nella zona montana, venne privilegia- to l’impiego del materiale reperibile in loco, pertanto la struttura è quasi sem- pre costituita da materiali lapidei, annegati in letto di malta di calce. Il pietra- me, da quanto si può osservare attraverso le crepe esistenti in molti piloni, è grossolanamente sbozzato e lavorato, ad eccezione delle testate d’angolo. I pi- loni edificati oltre i 1400 m. s.l.m. sono tutti completamente costruiti in pietra con abbozzo di intonacatura o in pietra asciutta. I piloni del Chiet, 1998 m. s.l.m., costituiscono un’eccezione perché sono stati costruiti pochi anni fa as- sieme all’alpeggio omonimo che è raggiungibile con la strada carrozzabile. Sommando le scarse notizie attinte direttamente dagli attuali proprietari delle strutture a quelle raccolte qua e là tra gli anziani che ricordano fatti atti- nenti all’edificazione, siamo riusciti con una certa approssimazione a stabilire che molti di questi piloni furono costruiti a cavallo tra il XIX e XX secolo. Tut- tavia, nella maggioranza dei casi si conosce solo la datazione relativa a lavori di restauro eseguiti su vecchie strutture, sovente di epoca seicentesca, e a volte anche precedente. La datazione quasi sempre risulta difficoltosa perché man- cano spesso oggettivi riscontri, quali le date apposte sul manufatto stesso o eventuali documenti inerenti alla costruzione. Anche i rilievi eseguiti sulle carte al 25.000 dell’Istituto Geografico Militare, non costituiscono sempre da- to probante; infatti alcuni dei segnacoli esistenti sul territorio non sono segna- ti, e questo non perché posteriori alle date di rilevamento o di aggiornamento. Si ricorda, ad esempio, che il pilone della borgata Oliva e quello del Tugno non sono indicati sulla carta con aggiornamento del 1964, mentre dai dati rile- vati sui manufatti risulta che il primo venne ristrutturato nel 1932 ed il secon- do nel 1904. Alcune annotazioni che rivestono un certo interesse sono rintracciabili sul- la ÇCarta Topografica della Valle di Susa divisa in nove parti (seconda metà 111 XVIII secolo) in A.S.T.È, dove sono indicati alcuni manufatti ora scomparsi co- me: il pilone delle Praie (sotto le borgate Ghi e Bar), del Creu (vicino alle Vil- le di Frassinere), di Benitet ( vicino a Bellafugera per il quale esiste anche la documentazione fotografica), ecc.

Cause del degrado e come conservare Eretti in modo precario, spesso i piloni hanno anche la cattiva sorte di esse- re costruiti su terreni cedevoli, umidi e particolarmente esposti agli agenti at- mosferici; i frequenti dilavamenti, il gelo e il vento lentamente li sgretolano fi- no a farli crollare. Così per alcuni è rimasto solo il ricordo, e per gli altri urge un sollecito intervento di restauro. La causa principale del deperimento è l’umidità, non solo per la sua azione meccanica di indebolimento della struttura (che all’interno del muro crea zone di distacco tra le varie parti: arriccio, intonaco e anche tra intonaco e colore), ma anche perché trasportati in superficie per effetto dell’evaporazione i sali solubili si cristallizzano e depositano sulla superficie cromatica formando pa- tine biancastre che deturpano le pitture. Quando poi, per fattori climatici, c’è molto vapore acqueo nell’atmosfera, sulla superficie fredda del dipinto si verifica il fenomeno della condensazione, con la formazione di un velo d’acqua, che per capillarità viene aspirata all’in- terno della muratura. Possiamo pertanto affermare che a seconda delle condi- zioni ambientali l’acqua entra o esce dalle pareti provocando notevoli altera- zioni fino alla modificazione della struttura fisica dell’intonaco e della pittura. Quest’ultima infatti essendo per natura strettamente collegata, come parte in- tegrante al muro, ne condivide la sorte. Sul degrado delle pitture murali si ricorda quanto scriveva Cavalcaselle nel 1863: Ç...vi ha delle pitture offese dall’umidità della muraglia... bisogna vede- re se ciò dipenda da cause esterne, da difetto di fabbrica o dei materiali stessi coi quali il muro è costruito...» (3). In questi ultimi anni si è verificato un rapido e consistente progresso nel- l’applicazione al restauro di una avanzata metodologia scientifica, sia durante i rilievi conoscitivi per la scelta delle strategie d’intervento, sia nell’esecuzio- ne dei lavori con l’utilizzo di prodotti e apparecchiature sofisticate. Oggi il re- stauratore non è più un semplice artigiano, e lo sarà sempre meno; nel lavoro non agirà da solo, ma sarà affiancato da un chimico e da uno storico. Attualmente sono disponibili vari sistemi per limitare l’umidità nella strut- tura e pur diversificandosi nella procedura e nei materiali impiegati, tutti ten- dono a creare una barriera che impedisca all’acqua di salire dalle fondamenta

(3) G.B. CAVALCASELLE, Sulla conservazione dei monumenti, ecc., in ÇRivista dei Comuni italianiÈ, 1863. 112 per capillarità o di scendere dal tetto per difettosa tenuta alle infiltrazioni del- l’acqua piovana. Normalmente le difficoltà che si incontrano nel restaurare il manto di co- pertura si superano abbastanza facilmente sostituendo le lose ammalorate o mancanti con altre buone per poi legarle con malta specifica. Il compito si fa più arduo quando si passa al basamento, ove non basta eliminare le eventuali crepe e sostituire gli elementi lapidei mancanti o ammalorati, perché in questo caso l’umidità oltre a penetrare per dilavamento attraverso i muri, sale verti- calmente dal terreno per capillarità. Tra i vari metodi usati c’è l’inserimento attraverso fori praticati alla base del pilone, di sostanze che agiscono come idrofobizzanti (metodo applicato in occasione del restauro al pilone della Grangetta dall’architetto Cristina Carel- lo). Ciò che conta, in casi analoghi, è che il lavoro venga eseguito con profes- sionalità in tutte le fasi: è decisivo persino il posizionamento dei fori che va fatto tenendo presente il tipo di componenti che costituiscono il muro. I composti chimici, secondo la loro natura, possono agire in due modi: pos- sono saturare i pori capillari del muro impedendo la risalita dell’umidità o ren-

Il pilone «’d Giulianera» sulla strada da Prato del Rio a Pian Vinassa, una vigile sentinella sulle mandrie al pascolo. L’immagine ci ricorda che il pilone era «pendente». Ormai privo di decorazio- ni, venne restaurato e raddrizzato nel 1984. Purtroppo il prof. Arrigoni, che lo stava affrescando, è deceduto prima di portare a compimento la sua opera. (Foto Archivio Rapelli). 113 Mappa del territorio comunale di Condove con ubicazione dei piloni indicati nel testo

GRATASOLE

114 Il Çpilone dei mortiÈ di Pratoborile a 940 m. di altitudine misura m. 1,20 di lato, altezza m. 2,50, copertura in lose, a due spioventi. Fatto edifica- re da Giuseppe Vinassa nel 1868, è stato restaurato, ma gli affreschi originari sono andati perduti.

A sinistra: La montagna di Condove con le principali località dove si tro- vano i piloni e le nicchie citati in questa ricerca.

dono i pori imbagnabili con un velo superficiale che lascia però traspirare la muratura. Un altro metodo, tra l’altro poco costoso e di facile attuazione, è quello di applicare inserti ÇdeumidificatoriÈ nel basamento a circa 40 cm. dal piano di calpestio nella ragione di 4 per ogni metro lineare. Questi inserti cera- mici hanno un diametro di circa 35 mm. e creano una circolazione d’aria di 1 mc./h per metro lineare (ricordiamo che il più efficace nemico dell’umidità ca- piliare e del salnitro è l’ossigeno atmosferico). Il risanamento della struttura va poi esteso ripristinando le parti di intonaco mancanti relativamente a prospetti, nicchie, vacui e parti aggettanti (corona- menti o profili) con utilizzo di malte specifiche. L’architetto Gabriella Margaira esponendo alcune considerazioni sui mate- riali impiegati nel restauro della Cappella di San Bernardo di Laietto, scrive: «La porzione interna di intonaco (l’arco trionfale) è stata realizzata con gras- sello di calce a spegnimento naturale steso in tre riprese differenti, rispettando tempi di asciugamento dei singoli strati. Le riprese decorative interne, traspi- 115 ranti, sono al 50% a base di quarzo e di grassello di calce a spegnimento natu- rale, per prevenire ulteriori problemi di umidità» (4).

* * *

La causa della perdita parziale o totale di numerosi affreschi non può attri- buirsi unicamente al degrado della struttura, altri fattori hanno contribuito a creare l’attuale situazione; basta pensare agli interventi condotti con criteri e metodi empirici, senza accertare la causa e la natura delle alterazioni. Signifi- cativo era una volta l’uso di uova miscelate con aceto nel tentativo di consoli- dare le pitture decoesionate o rese pulverulente dall’attacco dei sali, con con- seguente formazione di muffe e ulteriore peggioramento del danno. In passato la mancanza di un metodo scientifico ha spesso indotto i restau- ratori a commettere errori grossolani, tanto che sino agli anni ’50 si credeva che le macchie presenti sui dipinti fossero dovute alla polvere o all’umidità. Solo ultimamente venne scoperto che molte sono di origine biologica, provo- cate da alghe, licheni o da funghi microscopici. Accertata l’origine di questi attacchi, oggi si può intervenire (a seconda dei casi) con spazzole rigide, bistu- ri, raggi ultravioletti o prodotti chimici come biocidi e antibiotici per ottenere un buon risultato, purché ciò avvenga tempestivamente. Lo stesso concetto di restauro è cambiato, infatti non si tende più a ridipin- gere le parti cromatiche mancanti, bensì si cerca di conservare e valorizzare quanto rimane dell’opera originaria. La complessità delle operazioni prospetta- te nell’eseguire un restauro non deve scoraggiare i futuri committenti, perché tecnici e pittori in grado di eseguire questi lavori sono facilmente reperibili (5). L’analisi condotta sulle cause del degrado e sul recupero conservativo di queste opere avrebbe bisogno di ulteriori approfondimenti, ma non vogliamo sostituirci agli specialisti del settore. Speriamo di aver evidenziato che il re- stauro, non deve cancellare quanto rimane dell’opera, ma consolidarla e con- servarla nel miglior modo possibile per lungo tempo.

(4) AA.VV., San Bernardo a Laietto: itinerario di restauro. Il progetto di S. Bernardo a Laiet- to, G. Margaira. (5) Anche sul territorio comunale di Condove molti privati hanno già affrontato e risolto il problema. Rivolgiamo un ringraziamento a chi ha abbellito, conservato o restaurato, nel corso degli anni, i piloni, e riteniamo anche doveroso riportare i nomi di alcuni restauratori e la loca- lizzazione dei piloni da loro restaurati. Pittore Sergio Albano: pilone Favet e Pilone Brntà (Bi- gliasco). Prof. Peppino Arrigoni (* 3 marzo 1924, † 27 giugno 1995): pilone della Giulianera. Arch. Massimo Bracco: pilone dei ÇFoÈ (Audani). Arch. Cristina Carello: pilone della Granget- ta e pilone Madonna delle Grazie (Sinati). Pittore Giovanni Cugno: pilone del Ceretto e pilone di Camporossetto. Pittore Francesco Tabusso: Vieirej d’mes e Alpeggio del Chiet. Si coglie l’occasione per ringraziare la Signora Erica Forneris (diplomata presso l’Accademia di belle ar- ti Albertina di Torino, collaboratrice presso un laboratorio di restauri ed incisore) per la consu- lenza gentilmente offerta nella stesura di questo capitolo. 116 A quota m. 1008, presso la borgata Colombatti, si incontra questo pilone, tra i più antichi e del quale si ignora sia il committente che la data di costruzione. A base rettangolare (m. 1,40x0,80), alto m. 2,40, ha due livelli. La nicchia è arrotondata e sul fondo vi è raffigurata la Madonna col Bambino. Nel basamento sotto la nicchia è stato murato un crocifisso di pietra che si presume proveniente dalla chiesa di Frassinere, o, forse, da una chiesa ancora più antica appartenuta al- l’Ordine monastico dei Templari. 117 Pertanto concordiamo col concetto Çrestauro dei piloniÈ di Aldo Frezza: ÇValorizzazione, restauro e conservazione di un importante patrimonio cultu- rale: qui il discorso si fa ben più complicato. È un problema di sensibilizzazio- ne, di competenze territoriali, di capacità tecniche e, naturalmente, di fondi, problemi tanto più dolorosi in valli che da troppi anni soffrono i mali dell’ab- bandono. D’altro canto, esperienze analoghe insegnano che il recupero e la va- lorizzazione delle tradizioni locali possono, alla lunga, rivelarsi vincenti ed es- sere veicolo di investimenti e rilancio turistico della zona. È più che mai im- portante, quindi, tener vivi l’interesse e la conoscenza verso queste forme di espressione, solo a prima vista “minori”» (6).

Da privato a pubblico, da pilone a cappella Dai dati demografici risulta che verso la fine del 1800 sul territorio dei co- muni di Mocchie e di Frassinere, abitavano circa 4500 persone che vivevano poveramente, ma in modo dignitoso, timorate di Dio e devote alla Madonna. Lo dimostra il fatto che in tutti i piloni è affrescata l’immagine della Vergine Santissima. Talvolta la devozione dei parrocchiani sfociava in manifestazioni di massa. Si ricordano in proposito le «rogazioni», ove tutta la comunità veni- va coinvolta in faticosi pellegrinaggi lungo erte mulattiere, recitando preghie- re e intonando litanie ai santi; poi, giunti in prossimità dei piloni si sostava a recitare brani del rosario. Al piano e in montagna vari erano i percorsi interessati da queste funzioni e con il tempo era giocoforza che i piloni assumessero un carattere ÇpubblicoÈ. Anche quelli detti di posa, o Çdei mortiÈ, dove i cortei si fermavano in atte- sa che il parroco venisse ad accogliere la salma per il funerale (al Laietto ce ne sono due, che per interessamento di don Roberto Bertolo sono in fase di re- stauro), inizialmente erano privati, ma con la funzione assunta diventarono ÇpubbliciÈ. Per quanto riguarda l’evoluzione da pilone a cappella, in Condove si anno- verano tre casi: il pilone della Madonna delle Grazie alle Sinette, il pilone di S. Rocco sull’antica piazza del mercato di Condove e il pilone del Collombardo. La storia di questi tre piloni ha avuto dei risvolti diversi; forse l’unico ele- mento che li ha accomunati è l’idea iniziale, ossia quella di edificarli per adempiere ad un voto per grazia ricevuta. Quello della Madonna delle Grazie venne edificato dalla comunità di Mocchie, quello di San Rocco e San Seba- stiano dalla comunità di Condove, mentre quello del Collombardo venne eret- to per voto alla Madonna degli Angeli da Giovanni Battista Giorgis, nativo del Forno di Lemie.

(6) ALDO FREZZA, Piloni e pitture murali nelle vallate alpine piemontesi, in ÇLa Rivista del Club Aplini ItalianoÈ 12, p. 69, 1966. 118 A destra: In regione Ceretto, all’incro- cio fra due mulattiere dirette a Moc- chie, sorge il «Pilone di Sant’Anna», costruito nel 1894 da Emanuele Cor- dola, per grazia ricevuta, e restaurato nel 1990. Sulla parete ovest (qui ripre- sa) un affresco con la figura del beato Edoardo Rosaz, vescovo di Susa.

In basso: A circa 500 m. di altitudine, all’incrocio dell’antica mulattiera fra Condove e Caprie, verso la fine del- l’Ottocento Michele Pettigiani, per grazia ricevuta, fece erigere questo pilone detto di San Michele, come si desume da una invocazione al Santo scritta su una parete. All’interno, una formella riproducente la Madonna e due quadri.

119 Il «Pilon di Fò» in zona Audani, all’incrocio della mulattiera che dai Magotti e dai Moni sale verso il Collombardo, è assai antico. Ignoti il committente e il costruttore, nel 1989-1990 i signori Taddia e Giuglard lo fecero restaurare e affrescare dall’architetto Massimo Bracco. All’interno una Madon- na con Bambino, Santa Rita e Sant’Antonio da Padova. All’esterno, San Giovanni Bosco (visibile nella foto) e l’Ausiliatrice con Gesù Bambino.

Il pilone della Madonna delle Grazie Don Mercandini, parroco di Mocchie dal 1791 al 1806, narrando nel suo manoscritto la storia della cappella dedicata a Maria SS. della Neve detta Çdel- le GrazieÈ scriveva: ÇA pochi passi da questa cappella v’è un pilone antichis- simo nella sua origine. Non sarebbe sragionato farlo risalire al 1300, perché presenta la figura di essere stato rinforzato forse anche replicatamente in tem- pi molto remotiÈ (7). Proseguendo, don Mercandini racconta che molto tempo dopo la forma ori- ginale venne modificata fino a diventare una cappelletta con altare e con l’en- trata chiusa da un cancelletto di legno. Doveva trovarsi in questa condizione quando, durante la visita pastorale del 7 giugno 1643, don Antonio Broverio, vicario generale abbaziale, dopo aver visto il pilone scrisse: ÇNel giorno setti- mo per tempismo celebrò... visitò la cappella sotto il titolo della Visitazione della Beata Maria detta volgarmente della Pietà oltre il rivo Grave dipinta sul muro e ritenuta miracolosa, avente a destra e a sinistra S. Giovanni Battista e

(7) DON MERCANDINI, Mocchie, disquisizioni in merito al paese e memorie interessanti la parrocchia e cappelle, Archivio Parrocchiale di Condove. 120 Qui sopra: Il Pilone del Castellazzo (Castlàs), dal nome della vicina omonima borgata, fu co- struito da Emanuele Alpe nella prima metà del secolo XVIII. Vi è affrescata una Madonna con Bambino, Sant’Agostino e un’altra figura non identificabile. Sia la struttura muraria che le pit- ture sono in cattivo stato.

Sopra, a destra: Alla quota di 1070 m., lungo la mulattiera che conduce agli Audani si incontra il ÇPilone dei ListelliÈ che, in mancanza di do- cumenti, dovrebbe risalire alla metà dell’Otto- cento. Alcuni volonterosi turisti lo hanno recen- temente restaurato.

A destra: Il ÇPilone del TugnoÈ (960 m.) sulla mulattiera che dal Tugno sale alle borgate Re- no e Rosseno. Costruito nella prima metà del- l’Ottocento, all’interno ha dipinti una Madonna con Bambino, San Michele Arcangelo e San- t’Antonio Abate. In due nicchie esterne figura- no San Giuliano e San Giovanni Battista. Nel 1904 fu restaurato per iniziativa di Michele Croce. 121 S. Valeriano. Nei due lati S. Bernardo e Santa Lucia, Sant’Antonio e S. Miche- le; e fuori sull’architrave il mistero dell’Annunciazione (8). A quei tempi la cappelletta era dedicata alla Visitazione della Beata Maria, ma gli abitanti di Mocchie la citavano come la cappella della Pietà per i tanti miracoli che attribuivano alla Madonna dipinta sul muro. A seguito di invoca- zioni sempre più frequenti e dell’aumentata devozione dei parrocchiani si fece strada l’idea di edificare una vera e propria cappella. Sempre don Mercandini ci riferisce: ÇLo zelantissimo Prevosto Giovanni Costa ammirando tanta devozione dei suoi parrocchiani verso la Madonna del Pilone onde assecondarne il fervore gli venne di costruire sul luogo una Cap- pella di importanza. Fabbricarne una che nel mezzo inchiudesse il pilone non era finanziariamente possibile. Si accontentò quindi di innalzarla a breve di- stanza, quasi per eternarne la memoria. Pare che questo lavoro sostenuto in gran parte dal predetto prevosto... sia cominciato nel 1705, perché la cappella era terminata e veniva benedetta l’anno dopo, il 29 settembre». Nel frattempo la stretta cappelletta era alquanto degradata, tanto che andò in rovina e in piedi rimase solamente il pilone. Successivamente i vecchi di- pinti che avevano subito notevoli danni dalle calamità, vennero cancellati e poi affrescate immagini di altri santi. Così don Mercandini ai suoi tempi non trovò più la bella immagine della Madonna, bensì un S. Vincenzo Ferreri che recava un libro aperto sul quale c’era scritto: Çvenit hora iudicii ejus 1742È. Sui lati interni della nicchia apparivano S. Giuseppe e S. Michele; esternamen- te S. Saturnino e S. Rocco mentre sulla parete posteriore c’era l’immagine di S. Carlo Borromeo. A distanza di molti anni, nel 1991, il pilone delle Grazie è stato nuovamente restaurato (9).

Il pilone di san Rocco e di san Sebastiano I romani dicevano Çverba volant scripta manentÈ: l’esempio di visibile concretezza è il pilone che i condovesi a compimento di un voto, tre secoli or sono fecero costruire sulla piazza del mercato. Questa notizia, curata da Gio- vanni Falco, è apparsa su un tabellone della mostra fotografica ÇPiloni: un percorso nella religiosità popolareÈ dove le fotografie di alcune carte topogra- fiche antiche di Condove indicavano l’ubicazione e la forma della costruzione situata in prossimità della piazza detta «della fiera». Venivano poi citate alcu-

(8) Ivi, pp. 42-43. (9) I lavori di muratura sono stati eseguiti da Silvio Cavezzale. Gli affreschi e le decorazioni sono stati restaurati dall’architetto Cristina Carello, la quale con un sapiente lavoro ha saputo ri- dare nuovo splendore ai preesistenti affreschi. Tutto questo è dovuto alla generosità della signo- ra Olga Senor e dei coniugi Olga e Pierino Alotto, che per adempiere al voto fatto per grazia ri- cevuta, hanno commissionato i lavori all’architetto Carello. 122 ne ordinanze della Comunità di Condove, riguardanti i lavori di ultimazione (1845-1850) della cappella dei santi Rocco e Sebastiano che riportiamo di se- guito: «Ordinamento della comunità di Condove per l’appalto delle opere per l’ultimazione e civilizzazione della cappella costruttasi in rustico in prossimità della pubblica piazza del mercato. L’anno del Signore mille ottocento quaran- taquattro addì dodici giugno in Condove e nella solita sala [...] il signor Sinda- co presenta la perizia di stima delle opere da eseguirsi pel’ultimazione civiliz- zazione della Cappella dedicata ai santi Rocco e Sebastiano costruttasi in ru- stico nell’anno 1833 con pie oblazioni di questi abitanti [...]. E detti sopra con- gregati [...] osservano, che correndo gli anni 1832 e 1833 epoca in cui infuria- va il Colera Morbus che desolava le vicine contrade del Piemonte; e febbri in- termittenti travagliavano specialmente gli abitanti di questo luogo stabilirono questi di erigere a vece di un cippo ossia Pilone e dai loro padri eretto in occa- sione di simili circostanze calamitose in onore dei santi Rocco e Sebastiano una Capella come infatti mediante per oblazioni e lavori spontanei pella pre- parazione dei materiali si è eretta in rustico, da cui si dovette desistere per mancanza di fondiÈ (10). A conferma di quanto sopra, ad altro verbale del 2 novembre 1869 era alle- gato il seguente stralcio: «Ricorda pure l’erezione fattasi trent’anni circa sono per oblazione ed opere di questa popolazione dell’attuale Cappella sulla piaz- za del mercato in surrogazione di un semplice pilone diroccato costruttosi an- ticamente per ricordare sifatto voto alla posterità» (11). L’esistenza e l’anno della costruzione di questo pilone erano già indicati nell’Inventario dè Beni Parrocchiali del luogo di Condove (9 febbraio 1728) ove si legge: Çin adempimento al voto seguito sotto il 16 agosto 1630 della co- munità per timor dell’imminente contagio resta in obbligo al Parroco cantar la messa nel giorno di san Rocco confessore 16 agosto, come il giorno della festa de santi Martiri Fabiano e Sebastiano li 20 Genaro...È. Dopo ulteriori ricerche ho ancora trovato una lettera indirizzata al Sig. Sin- daco di Condove dalla R. Soprintendenza ai monumenti del Piemonte dell’8 Luglio 1924 in cui si legge: Çé a notizia di questa Soprintendenza che si avreb- be intenzione di demolire la cappelletta votiva, che sorge nel centro dell’abita- to e che venne eretta da codesto Comune dopo il 1630 in occasione di una pe- ste...È (12).

(10) Verbale del Consiglio comunale di Condove, ÇAppalto delle opere per l’ultimazione di una cappellaÈ. Data 12 giugno 1844. (11) Verbale del Consilio comunale di Condove, ÇDestinazione delle collette che si fanno in occasione delle feste dè Santi Rocco e Sebastiano ed arretratiÈ. A.C.C. Cat. VII, Clas. 6, Fald. 285, Fasc. 28. (12) Lettera della R. Soprintendenza ai monumenti del Piemonte, 8 luglio 1924, in A.C.C., Cat. VII, Classe VI, Fald. 285, Fasc. 33. 123 Il «Pilone dell’Ala» (m. 830) a ricordo della borgata di Con- dove scomparsa anticamente a causa di una frana. Non si hanno notizie circa l’epoca delle costruzione, ma di certo è un pilone tra i più vecchi di queste montagne. Restaurato nel 1943, è affrescato con una Madonna, San Giuseppe con Gesù Bambino e San Michele Arcangelo.

Quindi il pilone votivo costruito nel 1630, venne demolito nel 1833 e al suo posto la comunità fece costruire una cappella che per mancanza di fondi rimase incompiuta per diversi anni e solo verso il 1849-1850 venne ultimata. Purtroppo anche questo edificio non era destinato a durare. Infatti il 17 no- vembre 1928 dopo alcune trattative, l’allora autorità comunale ottenne il per- messo di demolirla alla condizione di restaurare l’antica chiesa parrocchiale detta ÇMaria dei PratiÈ. 124 Il pilone detto di ÇVieirej ’d Funs» si trova presso il terz’ultimo alpeggio salendo verso il Collombar- do. Non esistono indicazioni sull’età, sul committente, sul costruttore; non ha decorazioni, né im- magini come gli altri piloni di questo territorio montano condovese. Come si vede, la struttura è to- talmente in pietra asciutta. (Salvo diversa indicazione, le fotografie sono di Pier Giorgio Gagnor).

La Madonna degli Angeli al Collombardo In seguito ad alcuni episodi storicamente accertati, Giovanni Battista Gior- gis, che nel 1680 avrebbe fatto costruire il pilone del Collombardo, venne consi- derato uomo di grande fede profondamente riconoscente verso Dio e la Madon- na per le grazie ricevute, ma anche aperto alle necessità dei fratelli. Ha scritto il Can. Luigi Pautasso: «E le grazie dovettero continuare perché circa 25 anni più tardi egli decideva di erigere, al posto del Pilone, una Cappella in onore della Madonna degli Angeli, ed a tal scopo rivolgeva all’arcivescovo di Torino da cui dipendeva la Valle di Susa, una supplica...È (13). Tramite questa supplica, oggi sappiamo come fosse affrescata la nicchia del pilone, infatti egli scrive: «è un pi- lone rappresentante detta Vergine Maria Gesù. Santi Gio. Batta. et Grate» (14).

(13) Can. LUIGI PAUTASSO, Il Santuario del Collombardo in Laietto di Condove. A cura del- l’Amministrazione del Santuario. Ed. Tipolito Melli, Borgone di Susa 1983. (14) Ivi, p. 31. 125 A 2302 metri di altitudine, sulla Punta Imperatoria del monte Civrari, questo pilone è il più vicino al cielo tra quelli costruiti nel territorio comunale di Condove. È detto «Pilon di Frà» per- ché costruito nel 1882 dagli studenti delle Missioni della Consolata. La fo- tografia è di circa cinquant’anni fa. Il pilone è crollato nel 1996, è stato rico- struito. (Foto dell’archivio Carlino Maurizio).

I lavori per la costruzione della Cappella cominciarono nell’autunno del 1705 e si conclusero nella primavera seguente in modo che tutto fosse pronto per la festa del 2 agosto. Inizialmente la Cappella era molto piccola: un rettan- golo lungo 3 m. e alto altrettanto fino all’impostazione della volta. Central- mente nella parete di fondo si trovava il vecchio pilone con addossato un alta- re in muratura. Questa costruzione ha subìto negli anni numerosi rimaneggia- menti fino ad assumere le dimensioni attuali. Purtroppo l’aumentata capienza del Santuario, che costò grandi sacrifici non ha avuto un’eguale riscontro di affluenza dei fedeli. Ciononostante la Cappella del Collombardo rimane più che mai una viva testimonianza di fede e di amore verso la Madonna, una spe- ranza che non delude. Il Vescovo, Vittorio Bernardetto, nella presentazione del libro ÇIl Santuario del CollombardoÈ scriveva: ÇVarcare la soglia del Santua- rio deve costituire per chi crede e per chi crede di non credere, un’invito ad aprire, come sovente ripete Giovanni Paolo II, le porte del cuore a Cristo, a spalancarle, a non avere paura di LuiÈ (15).

(15) Ivi, p. 7. 126 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 127-130

Piero Del Vecchio Simboli e significati della devozione popolare

Stiamo assistendo, anche in Valle di Susa, ad un rinnovato interesse per la religiosità popolare, ne sono prova alcune pubblicazioni di storia locale, gli studi e i progetti di restauro delle edicole votive realizzati a Condove e S. Gio- rio (1). Schiacciata dal pregiudizio secondo il quale la religiosità popolare rappre- sentò per lo più un fenomeno culturale delle classi subalterne, una sorta di compensazione primitiva dell’incapacità di elaborazione alta della fede cri- stiana, o più ancora un’appropriazione alternativa al potere egemone dell’au- torità cattolica, finalmente gli studiosi oggi gli riconoscono una fitta rete di connessioni antropologiche, sociali e religiose assai più profonde di quanto un tempo appariva. Anzitutto il rapporto tra manufatto e committenza. Non di rado è il capofa- miglia, in ottemperanza ad una grazia ricevuta (la guarigione da una malattia, un incidente senza conseguenze, la conversione alla fede), che fa erigere, o erige egli stesso, il pilone votivo e chiede ad un artista locale o ad uno specia- lista di affrescarlo, ma può essere la comunità locale a chiederne l’edificazione quale segno evidente della propria devozione ad un santo o, assai sovente, alla Vergine Maria (2). Frequenti sono pure le committente propiziatorie, volte a cacciare un male o a scongiurarne di nuovi, come la peste o le alluvioni (3). Vi sono i piloni eret-

(1) , di cui alla ricerca di Pier Giorgio Gagnor – qui pubblicata – è testimonianza eloquente. (2) Si veda al riguardo quanto indicato dallo studio di P.G. Gagnor a proposito del pilone della Madonna delle Grazie a Mocchie e della cappella degli Angeli al Collombardo. (3) é il caso del pilone di san Rocco e san Sebastiano a Condove. 127 ti per funzioni religiose collettive in relazione al ciclo della natura, posti lungo un itinerario di fede, in prossimità di un santuario. Qui la sociologia religiosa sottolineerebbe il sospetto di una devozione pro- tesa più alla ricerca di una sicurezza, la grazia, piuttosto che favorevole ad ac- cettare il volere di Dio: lo stesso si potrebbe dire della solennità di certe cele- brazioni religiose esteriori, che pare avessero più peso e valore della liturgia domenicale (4).

In secondo luogo va tenuto presente il legame tra religiosità indotta, in qualche modo guidata dal clero più avveduto, e la devozione popolare. A partire dal XVI secolo, infatti, in risposta alla dirompente diffusione della dottrina protestante e alla presenza di una massa popolare sempre meno atten- ta e consapevole dei contenuti irrinunciabili della fede cattolica, alcuni Vesco- vi scrissero i Catechismi. È il caso, per il Piemonte, dell’arcivescovo di Torino Gerolamo Della Ro- vere nel 1575 e del beato Sebastiano Valfrè a metà del ’700. Essi, accanto alla costituzione in ogni parrocchia delle Scuole della Dottrina Cristiana, ebbero il merito di contribuire alla formazione di una più consapevole esperienza reli- giosa e, al tempo stesso, di ingenerare uno slancio devozionale nuovo e dina- mico cui la religiosità popolare non fu certo estranea.

Un terzo elemento di analisi è il nesso tra movimenti culturali ed autorità religiosa. Se è vero che una certa consapevolezza, unita magari al ritrovato or- goglio dell’appartenenza ecclesiale, fu suscitato dalla riforma avvenuta dopo il Concilio di Trento (1545-1563), è altresì vero che l’autorità ecclesiastica im- pose un controllo capillare delle espressioni di fede, in particolare nei momen- ti di maggior crisi quali l’affermarsi dell’illuminismo o delle ideologie liberali e marxista. Basti citare le frequenti visite pastorali, le formulazioni di norme sinodali, le lettere pastorali (che andavano lette e commentate in luogo dell’o- melia domenicale), la nascita delle confraternite religiose. Tutte espressioni, da un lato del controllo dell’autorità ecclesiastica e, dal- l’altro lato, della premura di orientare positivamente il nuovo fermento reli- gioso purificandolo degli estermismi pure presenti.

Un discorso a parte andrebbe fatto, soprattutto per il periodo tra ’800 e ’900 (epoca attraversata da numerosi eventi bellici e profonde trasformazioni socia- li), per gli ex voto, anch’essi espressione della religiosità popolare, spesso in stretta relazione con i santuari e i piloni votivi.

(4) Non per nulla, nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1676, è suggerito un «necessa- rio discernimento pastorale per sostenere e favorire la religiosità pastorale e, all’occorrenza, per purificare e rettificare il senso religioso che sta alla base di tali devozioniÈ. 128 Del pilone detto delle ÇSette stradeÈ, sulla mulattiera che dalla borgata Magnoletto sale a Frassi- nere, non conosciamo l’anno di costruzione, ma i committenti furono gli antenati di don Stefano Alotto. Nella parte centrale della nicchia l’effigie della Madonna col Bambino; a sinistra S. Pietro, a destra un santo non identificabile. All’esterno i santi Stefano e Giovanni; nel timpano il Padreter- no. I piloni delle nostre montagne sono spesso situati ai crocicchi di strade e sentieri che collega- no le borgate e immettono a campi, vigne, pascoli, boschi. Segnano, in sostanza, gli itinerari di una mobilità quotidiana a breve raggio nella stabilità tipica della vita rurale, «condizione di mora- lità e di salvezza», contrapposta nel Medioevo ai pericoli, materiali e morali, della strada per l’uo- mo Çsempre in viaggio su questa terra e nella sua vita che sono gli spazi/tempo effimeri del suo destino dove egli cammina, secondo le sue scelte, verso la vita, o verso la morte - per l’eternità» (Jacques Le Goff nell’introduzione a «L’uomo medievale», con saggi di F. Cardini, E. Castelnuo- vo, G. Cherubini, M. Fumagalli Benio-Brocchieri, B. Geremek, A. Ja. Gurevic, Ch. Klapisch-Zuber, J. Le Goff, G. Miccoli, J. Rossiaud, A. Vauchez - Ed. Laterza, Bari 1987). 129 C’è poi tutta una letteratura, ora un po’ in secondo piano, che interpreta co- me elemento di continuità religiosa (e/o di luogo) le arcaiche espressioni paga- ne e i piloni votivi. Come a dire che se il pilone è eretto accanto ad una fonta- na, su una roccia a picco sulla valle, o all’incrocio di due sentieri è perché in quel luogo, anticamente, vi era un culto delle sorgenti o di tipo megalitico di derivazione celtico o druidica. Posto che questo possa essere vero, è piuttosto difficile cogliere questa con- tinuità nelle edicole votive del territorio condovese, perché non vi sono fonti storiche che ve lo attestino, e perché molti elementi farebbero pensare ad una loro edificazione solo a partire dal XVII secolo.

Infine, richiamerei l’attenzione sui alcuni dati della teologia circa la reli- giosità popolare. La liturgia ci insegna che la celebrazione degli eventi salvifi- ci, per i cristiani, è elemento essenziale dell’esperienza di fede, a condizione che sia ben chiara la distinzione tra ciò che il rito esteriore in qualche modo rappresenta e l’oggetto della fede che è pur sempre non rappresentabile. In al- tre parole, il culto popolare, in particolare della Madonna e dei santi, è una va- lorizzazione e un’estensione del culto liturgico e non viceversa. Viene da pensare, che con una certa frequenza la devozione popolare abbia inteso ÇrappresentareÈ in forma semplice, comprensibile, alcuni dati della pro- pria consapevolezza di fede, per rendere ÇvisibileÈ e in qualche modo reale quel mondo spirituale cui facevano riferimento (5).

(5) «Questa saggezza è un umanesimo cristiano che afferma radicalmente la dignità di ogni essere in quesnto figlio di Dio, instaura una fraternità fondamentale, insegna a porsi in armonia con la natura e anche a comprendere il lavoro, e offre delle motivazioni per vivere nella gioia e nella serenità, pur in mezzo alle traversie dell’esistenza» (Documento di Puebla [n. 448], citato anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica). 130 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 131-158

Tullio Forno ÇIl RocciameloneÈ pugnace antesignano cattolico della stampa valsusina

Da quando l’articolo 28 dello Statuto (1) di re Carlo Alberto concesse nel 1848 una già apprezzabile libertà di stampa nel Regno di Sardegna, soprattut- to in terra piemontese si ebbe una larga, improvvisa fioritura di giornali locali (2), parecchi dei quali dimensionati, per interessi e diffusione, sull’area dei col- legi elettorali uninominali per la Camera dei Deputati. Nelle prime elezioni dell’aprile 1848 gli onorevoli erano 204 per altrettanti collegi e la Camera dei Deputati del Regno di Sardegna aveva la sede in Pa- lazzo Carignano a Torino. In ogni collegio veniva eletto un solo deputato; le regole stabilite dalla legge elettorale erano semplici e pratiche. Non esistendo i partiti attuali, i candidati si rivolgevano alle poche centinaia di elettori del col- legio direttamente o per mezzo dei giornali sulle cui pagine illustravano idee e programmi; furono proprio i giornali a ospitare la maggior parte del dibattito

(1) L’articolo 28 dello Statuto del Regno di Sardegna recita: «La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non po- tranno essere stampati senza il preventivo permesso del VescovoÈ. L’articolo 1 dello Statuto di- ce: ÇLa Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esitenti sono tollerati conformemente alle leggiÈ. (2) Giovanni Spadolini nella sua opera Firenze capitale (Ed. Le Monnier, Firenze 1971): ÇGiornalismo e Risorgimento: due termini che non si potrebbero scindere senza difficoltà. Nati in Italia negli stessi anni... Dal 1830 nasce un vero e proprio giornalismo liberale... che si nutre ai fermenti della cultura per sfuggire ai rigori della polizia, che alimenterà i congressi scientifici e gli studi per l’ammodernamento economico della penisola e i contatti con le correnti liberali, e libero-scambiste, dell’Occidente... Dal 1830 nasce anche un giornalismo cattolico che non sarà soltanto di voci oltremontane e reazionarie, che comincerà presto a venarsi di motivi giobertia- ni, a sentire le suggestioni neoguelfe...È (pp. 333-335). 131 politico sui problemi dell’Italia nei primi decenni della vita parlamentare ini- ziata nel 1848. In tempi precedenti ÇLa stampa periodica piemontese del Settecento era dominata dalla presenza di lunari, almanacchi, calendari, strenne: pubblicazio- ni annuali recanti notizie agricole, religiose, di storia e interessi locali, nonché anniversari di corte, informazioni meteorologiche, proverbi. Nell’arco del XVIII secolo comparve in Piemonte poco meno di un centinaio di titoli di que- sto genere ed ebbe, pare, larga diffusione... Mancava invece un giornalismo d’opinione, e lo stesso panorama delle gazzette era piuttosto limitato...» (3). A cavallo fra Settecento e Ottocento anche in casa nostra Ð per gli influssi della Rivoluzione francese Ð ebbe origine una non piccola generazione di te- state, funestate però da una elevata mortalità e perciò con esistenze medie no- tevolmente brevi (4). Dopo gli anni napoleonici la restaurazione dell’ancien régime durante il quale Çun vero e proprio giornalismo non esisteva nello stato sabaudoÈ. ÇUnico organo ufficiale in Piemonte era la “Gazzetta Piemontese”. Natu- ralmente era necessario professare principi assolutisti, e non era permesso il resoconto degli avvenimenti esteri. La sorveglianza era affidata al Ministero degli Esteri ed il permesso di pubblicazione dei giornali interni doveva venire concesso dalla duplice revisione: politica ed ecclesiastica che non escludeva l’intervento energico e draconiano della polizia. Una stampa povera, imbava- gliata, necessariamente conformistaÈ. «La difesa dell’altare e del trono esigeva pertanto che i vari periodici fosse- ro il più possibile apolitici, soprattutto succubi ed incondizionatamente osse- quiosi all’autorità religiosa» (ADRIANA VENTURINO, Il deputato Lorenzo Vale- rio - pag. 21, tesi di laurea, Università di Torino, giugno 1951; relatore prof. Piero Pieri). Poi la fioritura rigogliosa del dopo Statuto, con la pubblicazione, nel solo 1848, di circa 50 nuovi giornali in maggior parte di opinione, di informazione varia e di politica: un fenomeno unico in Italia, perché fuori dal Regno di Sar- degna la censura bloccava dovunque la libertà di espressione. La maggior parte di questi giornali vide la luce nella capitale Torino; ma ben presto anche la ÇprovinciaÈ prese parte attiva allo sviluppo delle pubblica- zioni periodiche di libera espressione, creando un fenomeno che in qualche misura caratterizza ancora oggi il panorama del giornalismo piemontese ri- spetto al resto d’Italia.

(3) Da Atlante della stampa periodica del Piemonte e della Valle d’Aosta (1789-1989), a cu- ra di Renata Allìo (in collaborazione con il Centro Studi sull’Arco Alpino Occidentale), Ed. Centro Studi Piemontesi, Torino 1996. (4) Ancora Renata Allìo nell’opera citata ha scritto: «...di 59 periodici nati... di cui conoscia- mo con certezza la durata, 34 vissero un solo anno e anche menoÈ. 132 Due pubblicazioni agli albori della stampa periodica nel Regno di Sardegna verso la fine del Set- tecento: il ÇGiornale per le DameÈ del 1788 e ÇIl Contadino istruito - Almanacco agronomico per l’anno 1787», entrambi stampati e pubblicati a Torino.

Tra questi vecchi giornali locali possiamo citare ÇIl Vessillo vercelleseÈ del 1848, ÇLa VedettaÈ (1850) di Novara, ÇIl CittadinoÈ (1851) di Asti, ÇLa Gaz- zetta delle AlpiÈ (1851) di Cuneo.

Una seconda, fortunata stagione di nascite per i giornali locali piemontesi (e non solo) si ebbe tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX. In quegli anni il Piemonte si arricchì di una robusta schiera di giornali nuo- vi la cui produzione era agevolata anche dalle macchine tipografiche sempre più moderne e veloci, in sostituzione dell’antico «glorioso» torchio a mano che permetteva, al massimo, di tirare» 250 fogli all’ora, a forza di braccia (5).

(5) Fu lo stampatore-editore Giuseppe Pomba, torinese (che sarà poi la Casa editrice UTET) a importare per primo nel 1830 in Italia, dall’Inghilterra, una macchina a cilindri in grado di stam- pare «più di 4.000 fogli all’ora». Quella macchina era l’ultimo ritrovato della tecnica ed era co- stata 1.000 sterline, pari alla grossa somma di L. 25.000. L’acquisto del moderno mezzo tipografico non sarebbe servito per stampare giornali, ma era giunto a Torino per produrre i cento volumetti destinati a formare la Biblioteca Popolare, ossia raccolta di opere classiche italiane, non che latine e greche in italiano tradotte, tutte per uni- versale consenso stimate utili agli studiosi di buone lettere. Le vendite della collana editoriale furono così lusinghiere che il Pomba, dall’iniziale tiratura di 4.000 copie per ciascuno dei primi 4 volumetti, dovette fare una ristampa di altre 10.000 copie. Fu un successo veramente impreve- 133 Stagione fortunata. Infatti, ai già esistenti giornali in maggioranza moderati e conservatori della Çdestra storicaÈ, dal 1880 circa si affiancarono i fogli del- l’opposizione, della sinistra radicaleggiante, poi dei socialisti e dei cattolici. In maggioranza tutta quella stampa locale Ð o di provincia Ð era formata da settimanali. Più rari i bi-trisettimanali, mentre i quotidiani erano quasi esclusi- vamente prerogativa delle maggiori città dove più numerosi erano gli acqui- renti e più vivace il clima delle contese politiche, amministrative e, in genere, il confronto delle differenti opinioni. Teniamo presente che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento l’I- talia attraversò un periodo di notevoli, anche dolorose incertezze; non ultime quelle conseguenti alle mortificanti sconfitte militari nelle iniziative coloniali in Africa (Adua è del marzo 1896). Nel paese, accanto alle varie componenti liberali, talune ascendenti ad ini- zio Ottocento, si andava facendo strada un movimento cattolico complessiva- mente più attivo che non in passato, in sintonia con le più aggiornate posizioni della gerarchia della Chiesa; più aperto al confronto e disposto alla lotta. Analogamente si facevano già sentire le spinte e la presenza delle organiz- zazioni socialiste: è del 1882 l’elezione alla Camera dei Deputati di Andrea Costa, primo deputato socialista nel Parlamento italiano. Dalle turbolenze provocate dalla presenza contemporanea di queste contra- stanti forze, sulla scena politica e culturale nacque la ricerca di nuovi equilibri, tentativi di aperture in più direzioni, sia in politica interna che estera. Non so- lo, ma gli anni 1890 Ð quelli caratterizzati dalla enciclica papale Rerum Nova- rum Ð (6) videro purtroppo anche scontri di eccessiva durezza, segnatamente fra il 1895 e il 1898 durante i governi Crispi e Di Rudinì.

dibile nel Piemonte del 1828-1830. I volumi della Biblioteca Popolare Pomba costavano 50 centesimi se acquistati in negozio, 60 se spediti per posta. Se dai libri passiamo ai giornali, fu il Times, autorevole quotidiano di Londra, ad adottare per primo una rotativa per la stampa nel 1848. Questa nuova macchina, che utilizzava carta in bobina e non in fogli, era stata messa a punto l’anno prima dall’americano Richard Hoe (New York 1812-Firenze 1886). (6) Rerum Novarum è l’enciclica resa pubblica da papa Leone XIII il 15 luglio 1891 e costi- tuisce uno dei documenti fondamentali della dottrina sociale della Chiesa cattolica. Ha scritto Sergio Zoppi (Dalla Rerum Novarum alla Democrazia cristiana di Murri, ed. Il Mulino, Bolo- gna 1991): «La stesura dell’enciclica, affidata a più mani, non fu semplice. Leone XIII voleva ammonire, insegnare e tracciare nuove vie d’impegno religioso e sociale, cercando di scuotere ma non di dividere un mondo cattolico in larga misura su posizioni moderate se non conserva- triciÈ (p. 23). Un secolo dopo (1991) l’enciclica Centesimus annus di papa Giovanni Paolo II ha aggiorna- to il pensiero della Chiesa cattolica su questa medesima materia. 134 «Il Rocciamelone» anno I, numero 1, datato Susa, 3 aprile 1897; più di centodue anni fa. Il nuovo giornale «Periodico settimanale del Circondario di Susa» apriva con la benedizione e l’incoraggia- mento di monsignor Edoardo Rosaz, vescovo della diocesi di Susa. Come altri periodici locali consimili, ÇIl RocciameloneÈ aveva formato piccolo, quattro sole pagine e costava 5 centesimi. 135 Il rinnovato impegno dei cattolici Proprio in quell’ultimo decennio dell’Ottocento l’Opera dei Congressi (7) si impegnò con decisione nella società italiana e il Papa si pose alla guida del- la battaglia contro la Massoneria ritenuta responsabile dell’acceso clima anti- clericale in Italia. Oltre 200 sono stati i documenti di papa Leone XIII sul tema della Massone- ria e parecchi indicavano con chiarezza la strada da percorrere: i cattolici si dovevano impegnare attivamente Çopponendo stampa a stampa, scuola a scuo- la, associazione ad associazione... azione ad azioneÈ. E non soltanto contro i massoni, perché la Chiesa doveva contemporanea- mente fare argine contro il socialismo del quale metteva in evidenza l’antitesi netta con il cattolicesimo. Prontamente le esortazioni papali vennero accolte e tradotte in pratica sia dal- la gerarchia ecclesiastica, sia dalle associazioni cattoliche formate dai laici (8). Nel settembre 1894 il Congresso cattolico si tenne a Pavia dove apertamen- te il movimento si candidò ad un impegno pubblico che procurò ai cattolici numerosi, immediati successi, a partire dalle elezioni amministrative del 1895, e altri in tempi immediatamente successivi; nonostante inevitabili, molteplici travagli, situazioni disagevoli, sviluppi contrastanti e diseguali da provincia a provincia. Sono questi gli anni in cui anche in Valle di Susa il vescovo monsignor Edoardo Rosaz si impegnò nella «fondazione di numerose associazioni laicali – fra cui l’Azione Cattolica e la Conferenza di San Vincenzo – ... Fondò il no- stro settimanale diocesano, curò l’editoria cattolica, favorì l’integrazione della sua piccola diocesi in un contesto ecclesiale più ampio». Così ha scritto recen- temente il vescovo di Susa monsignor Vittorio Bernardetto nella pubblicazio- ne ÇDio ricompensiÈ a celebrazione e ricordo del quinto anniversario della vi-

(7) L’Opera dei Congressi – deliberata nell’ottobre 1870 e istituita nel settembre 1875 a Fie- sole al 2¡ Congresso dei Cattolici italiani – rappresentò il punto d’incontro e l’organismo pro- motore per l’attività dei cattolici italiani, con il principale compito di «riunire i cattolici e le as- sociazioni cattoliche in Italia in una comune e concreta azione di difesa dei diritti della Santa Sede e degli interessi religiosi e sociali degli Italiani, conforme ai desideri e agli incitamenti del Sommo Pontefice e sotto la scorta dell’Episcopato e del Clero». All’Opera dei Congressi aderirono varie associazioni di carattere religioso e sociale, tra le quali la FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana, fondata nel 1896), Società di mutuo soccorso, Casse rurali, Società per l’insegnamento religioso e altre consimili. Lo statuto per l’Opera dei Congressi fu approvato a Modena nel 1878. Nel luglio 1904 papa Pio X sciolse l’Opera lasciando in funzione solamente il Gruppo di Azione Popolare e Sociale. (8) Come riferimento alcune opere note: ARTURO CARLO JEMOLO, Chiesa e Stato negli ultimi cento anni; GABRIELE DE ROSA, L’Azione Cattolica, storia politica dal 1874 al 1904; GIOVANNI SPADOLINI, Le due : Chiesa e Stato fra ’800 e ’900; SERGIO ZOPPI, Dalla Rerum Novarum alla Democrazia cristiana di Murri. 136 sita di papa Giovanni Paolo II a Susa (domenica 14 luglio 1991), quando beati- ficò solennemente monsignor Rosaz. Prosegue monsignor Bernardetto nel citato libro sul beato Rosaz: ÇIl suo ministero episcopale si svolge parallelamente con il pontificato di Leone XIII; muore il 3 maggio 1903, pochi mesi prima del Pontefice; era stato fatto vesco- vo quando mancava poco all’elezione del Papa della Rerum NovarumÈ. Vale a dire che la nomina episcopale di monsignor Edoardo Rosaz era stata opera di Pio IX, il 23 dicembre 1877. Sul terreno delle iniziative socio-economiche, per quanto riguarda la dioce- si di mons. Rosaz, una panoramica la si trova in Luciano Vindrola: ÇI movi- menti sociali cristiani e le organizzazioni cattoliche rurali in Valle di SusaÈ (Torino, 1976). Don Vindrola premette un’osservazione importante: «La Valle di Susa, co- me in genere tutte le vallate alpine, trovandosi un po’ appartata dai grandi cen- tri – sede dei primi fermenti sociali – arrivò relativamente tardi alla fondazio- ne di organizzazioni politiche rurali cattolicheÈ. La prima in assoluto fu la Cooperativa di consumo fondata a Giaveno da Bartolomeo Rolla, un imprenditore fattosi prete. Trascorsero vari anni e per iniziativa sacerdotale, sempre in Giaveno, sorse la Cassa Rurale (rogito del notaio Severino Gerardi, 24 marzo 1895). Il 25 giugno 1901, promotore l’alpignanese don Giovanni Bosio (1866- 1943), venne costituita l’Unione Rurale Cattolica a Chiusa San Michele. Il 22 gennaio 1903 fu la volta di Vayes (poi Vaie) con una Unione rurale; Novaretto e Chiavrie (poi Caprie) seguirono dopo circa un anno. Nel 1907 sorse ad Almese la Società mutua incendi e subito dopo una So- cietà rurale. Nel 1908 fu Milanere (allora nel comune di Rivera) a darsi una Società Agricola. Fiorirono poi in alcune località della bassa Valle di Susa e del Sangone: mutue per il bestiame, mutue incendi, casse rurali. Nel 1910 ha avuto origine una Unione Rurale a Bussoleno. Queste organizzazioni di matrice cattolica nel settore agricolo Ð citate a ti- tolo di esempio – ebbero vita tutt’altro che facile, sia per le condizioni am- bientali, sia per la concorrenza, sovente aspra, di analoghe iniziative guidate dai socialisti. Fu in questa temperie che ÇIl RocciameloneÈ venne subito messo alla prova.

Il nuovo giornale valsusino Sesto in ordine di tempo fra i periodici locali in Valle di Susa (9), ÇIl Roccia- meloneÈ fu il primo dei fogli dichiaratamente cattolici pubblicato in questa zona.

(9) I periodici valsusini pubblicati prima de ÇIl RicciameloneÈ furono: L’Eco Susina dall’8/5/1868 al 27/11/1869; Gazzetta di Susa e del Circondario dal 2/10/1881 al 6/9/1883; La 137 Un breve, sempre molto citato, saggio del segusino dottor C. Gustavo Cou- vert (10) ci offre le seguenti notizie storiche: «Con “Il Rocciamelone”, periodi- co settimanale del circondario di Susa, sorge finalmente il primo giornale di- retto a svolgere la sua azione non di nomi e persone, ma di idee e di principî, e informato a una rigida linea di condotta. Il suo programma fu schiettamente cattolico sotto l’usbergo della massima qui non est mecum, contra me est; curò essenzialmente gl’interessi religiosi generali e quelli della diocesi di Susa in particolare, pubblicandone tutti gli avvisi sacri e portando a conoscenza del pubblico i progressi dell’Azione cattolica, allora in risveglio nella ValleÈ. ÇMa diede pur anche ai suoi lettori le notizie politiche e amministrative ge- nerali e locali, la cronaca del circondario; favorì la fondazione in Susa di una Cassa rurale di prestiti, di un’Agenzia del Credito popolare agricolo-commer- ciale di Torino, appoggiò l’erezione di una colossale statua in bronzo della Madonna, e nei periodi elettorali intervenne attivamente in favore dei candida- ti del suo partitoÈ. «Sorto il 3 aprile 1897 sotto gli auspici dell’autorità ecclesiastica e sorretto da questa e dal clero valsusino, visse fino al 12 novembre 1904, quando dopo una vita stentata, cadde sotto l’indifferenza del pubblico pel poco interesse ch’esso ormai presentava. Ne fu direttore l’avv. Cesare Napoli coadiuvato da alcuni ecclesiastici del clero segusinoÈ. Susanna Vair nella documentata tesi di laurea ÇStoria di un periodico cen- tenarioÈ ha annotato i nomi dei principali redattori del settimanale. ÇLa dire- zione era stata affidata all’avvocato Cesare Napoli che restò in carica fino alla cessazione delle pubblicazioni... Il gerente, ovvero il responsabile dal punto di vista legale di quanto veniva stampato nel periodico, era Ettore Rocci... Restò in carica fino al 26 giugno 1897 e fu sostituito dal signor Giuseppe ParisioÈ. «Nonostante gli articoli non fossero firmati, o comparisse tuttalpiù qualche pseudonimo, ci sono noti i nomi di alcuni redattori del periodico. Uno di que- sti era Giuseppe Calabrese (1867-1932), canonico teologo della Cattedrale di S. Giusto di Susa... Non accettò mai la carica di direttore... e, in pratica, svol- geva le funzioni di caporedattore...È. ÇDel corpo redazionale faceva parte anche il canonico e vicario generale Egidio Bruno (1853-1918). Questi insieme al canonico Michele Rivetti (1844- 1899) rivestiva pure il ruolo di censore del periodicoÈ. ÇFacevano inoltre parte della redazione il canonico Giovanni Battista Pu- gno (1859-1942) e il sacerdote Giuseppe Borello (1881-1959)... Apparteneva- no alla redazione pure i sacerdoti Giuseppe Francou (1883-1948)... e Spirito

Dora Riparia dal 7/1/1883 al 27/1/1884; L’Indipendente dal 2/1/1887 al 1934; Corriere delle Alpi dal 7/3/1889 al 29/12/1895. (10) C. GUSTAVO COUVERT, Il giornalismo italiano - Giornali e giornalisti nella Valle di Susa, in Rivista d’Italia, aprile 1915. 138 Susa di tanti anni fa. In alto: un soleggiato giorno d’inverno davanti alla stazione ferroviaria (inau- gurata nel 1854). Non ci sono ancora le invadenti automobili parcheggiate dappertutto (e nel giar- dino alberato non c’è ancora il monumento ai caduti). In basso: Corso Trieste, il campanile della Chiesa del Ponte e la Dora gonfia di acque. Gli alberi erano assai più grossi di quelli attuali, la strada lungo il fiume aveva ancora le guide di pietra e l’acciottolato.

139 Rocci (1872-1953). Inoltre il signor Ettore Chiapussi, che curava la parte ine- rente l’osservatorio meteorologico, e gli avvocati Rocci e Fabiano». Un aspetto interessante del settimanale di Susa sono i «racconti d’appendi- ceÈ Ð di moda in quegli anni Ð che monsignor Rosaz Çredigeva... con il sup- porto di documenti storici, servendosi anche della consulenza di esperti o del- le indicazioni fornitegli da religiosi...È. Oltre al Çcorpo redazionaleÈ vero e proprio vi erano poi i ÇcorrispondentiÈ dalle varie località della diocesi e del circondario. Dovevano attenersi a segna- lazioni concise, senza preoccupazioni letterarie perché alla stesura dei testi, a rimpolpare le notizie avrebbe provveduto la dotta redazione. Di questi colla- boratori, senza firma, de «Il Rocciamelone» si ignorano i nomi, ma è probabi- le che parecchi fossero i parroci.

La stampa cattolica fra ’800 e ’900 L’apparizione dei giornali dichiaratamente cattolici fu un cambiamento si- gnificativo nel panorama della stampa italiana e piemontese, che pure già nel 1848 aveva avuto, con ÇL’Armonia», l’antesignano autorevole dei fogli catto- lici. In realtà il giornale torinese aveva un titolo più lungo: ÇL’Armonia della Religione con la Civiltà». Per comodità lo si citava soltanto con la prima paro- la (11). Giornale di impostazione ÇintransigenteÈ, tra i promotori ebbe il vescovo di Ivrea, monsignor Moreno, il marchese Birago di Vische e alcuni notabili. Direttore il teologo Guglielmo Audisio e fra i collaboratori noti personaggi quali Gustavo di Cavour (il conservatore fratello maggiore di Camillo), Anto- nio Rosmini, Gaetano Alimonda futuro cardinale e arcivescovo di Torino. Nel 1855 ÇL’Armonia» diventò quotidiano. Nei suoi primi anni di vita com- batté con decisione vivaci battaglie: contro i governi Gioberti, D’Azeglio, Ca- vour; contro la laicizzazione dello Stato, in particolare contro le leggi Siccardi sui beni ecclesiastici e sulle Congregazioni religiose; a favore dei Gesuiti. Quando al direttore Audisio subentrò don Giacomo Margotti (nato a Sanre- mo nel 1823) il giornale moltiplicò i suoi interventi con accresciuta irruenza, non risparmiando neppure re Vittorio Emenuele II. A ÇL’Armonia» – sequestrato varie volte dalle autorità di polizia negli anni 1859/60 – viene riconosciuta l’invenzione della formula «né eletti, né elettori»

(11) Poco dopo la nascita de ÇL’Armonia», l’esercito francese di Napoleone III aveva posto fine nel giugno 1849 alla Repubblica Romana. Nell’aprile 1850 papa Pio IX, che si era rifugiato presso la corte di Napoli di Ferdinando II, tornò a Roma. Negli stessi giorni del ritorno del Papa, a Napoli i Gesuiti fondarono ÇLa Civiltà Cattolica», l’autorevole, rivista tuttora esistente. La diffusione di questo periodico cattolico fu così rapida che già nel 1853 contava lo straordinario – per quei tempi – numero di 13.000 abbonati. 140 sul comportamento politico dei cattolici nel Risorgimento. Don Margotti la enunciò in un articolo dell’8 gennaio 1861, poche settimane prima che venisse proclamata ufficialmente l’unità d’Italia. Quella formula, che è uno slogan di efficace sinteticità, fu «destinato a diventare – come ha scritto Francesco Mal- geri – il manifesto dell’astensionismo elettorale dei cattolici prima ancora del- la sanzione ufficiale della Santa SedeÈ. Nel 1863 il pugnace don Margotti lasciò la direzione de ÇL’Armonia» che durò fino al 1870 e avrà numeroso seguito. Infatti, una statistica del 1893 ci di- ce che le testate cattoliche in tutta Italia erano arrivate a 297. Dieci anni dopo, nel 1903, i giornali cattolici venivano calcolati in 474 così classificati: quotidia- ni 25, periodici Ça carattere politico-religiosoÈ 145, a carattere Çquasi esclusi- vamente religiosoÈ 177, culturali 39, ÇeducativiÈ 59, dedicati al clero 26. La ripartizione geografica per regioni – sempre nell’anno 1903 – vedeva al primo posto il Piemonte con 77 testate seguito dal Lazio (76), Lombardia (66), Campania (50), Liguria (37), Sicilia (34), Veneto (29), Toscana (24), Emilia (23), Marche (17), Romagna (16), Puglia (10), Umbria (8), Calabria (6), Sar- degna (4), Lucania (3), Abruzzo (2). In questa rilevante presenza del giornalismo cattolico agli albori del nostro secolo, da alcuni anni c’era anche il giornale settimanale di Susa e della sua diocesi.

Gli obiettivi de ÇIl RocciameloneÈ ÇIl RocciameloneÈ venne fondato soprattutto per iniziativa di monsignor Rosaz e della Curia vescovile di Susa che desiderava attuare Ç...una politica del “Padre nostro”, lontano dalle effervescenze dei partiti, vicino alla gente bi- sognosa di pane e istruzione. Sapeva che la carità ha una portata tridimensio- nale, è corporale (dare da mangiare), è spirituale (consolare e pregare), ma è anche intellettuale (istruire e formare)È (12). Che fosse proprio distaccato dalla gara politica dei partiti non si direbbe leggendo certi articoli; ma è altrettanto evidente che l’ispirazione cattolica e la fedeltà ai princìpi e al rigore morale della religione sono altrettanto forti. D’al- tra parte era difficile rimanere neutrali e neppure crediamo che a fine Ottocen- to fosse possibile in Italia. Fondando ÇIl RocciameloneÈ la Chiesa di Susa si poneva in linea con gli orientamenti del Papato alla fine dell’Ottocento, attuando al tempo stesso ben più antichi suggerimenti e seguendo l’esempio del santo Don Giovanni Bosco Ð morto da quasi un decennio, nel 1888 Ð influente consigliere e amico del ve- scovo Rosaz.

(12) A pagina 3 di Un pulpito di carta - Cento anni de La Valsusa, 1897-1997 di Mons. Vitto- rio Bernardetto, vescovo di Susa. (Supplemento di La Valsusa, marzo 1997). 141 In automobile a visitare il famoso Arco romano negli anni in cui si pubblicava a Susa ÇIl RocciameloneÈ. Lo ÇchaffeurÈ con il tipico berrettone da viaggio ha porta- to all’antico monumento alcune sorridenti signore.

Don Bosco, infatti, fra le attività artigianali (calzoleria, sartoria, falegna- meria, meccanica, legatoria di libri e altre ancora) che intraprendeva per i gio- vani negli istituti da lui fondati, dedicava una particolare attenzione alla tipo- grafia, per mettersi nella condizione di produrre con mezzi propri, e quando volesse, una serie di pubblicazioni varie adatte alla gioventù, alle famiglie e alla popolazione cattolica in genere (13).

(13) Di questa passione per la stampa l’esempio più probante è Il Bollettino salesiano, mensi- le di informazione e cultura religiosa edito dalla Congregazione Salesiana. Il Bollettino ha già compiuto 125 anni di vita e attualmente esce nel mondo in 45 edizioni nazionali, 19 lingue e in tutti i continenti. 142 Il santo sacerdote dei giovani riponeva una grande, quasi illimitata fiducia in un mezzo di comunicazione quale la carta stampata. A suo giudizio era l’arma nuova, la più efficace in una battaglia ritenuta ineludibile, necessaria. Con ragio- ne, anche valutando con i criteri di oggi, ad un secolo di distanza, «perché i gior- nali diocesani sono una potenza. Arrivano là dove non c’è edicola, dove parlano solo loro e nessun altro. Il che vuol dire che... quel che dicono rimane l’unica in- contrastata verità» (Ferdinando Camon su ÇLa StampaÈ del 16 maggio 1997). Meno di un mese prima dell’uscita del nuovo giornale, monsignor Rosaz indirizzò ai sacerdoti della sua diocesi una lettera: «A voi è noto come la stam- pa sia divenuta ai giorni nostri un’arma potentissima ai nemici della nostra santa fede col combattere quanto di più sacro ha la religione, impedirne la co- noscenza, col privare la gioventù dell’istruzione religiosa, e per essere certi della diabolica vittoria, col promuovere l’immoralità con scritti osceni».

Fine Ottocento in Valle di Susa La Diocesi di Susa combaciava in buona parte con le dimensioni geografi- che del Circondario (ossia con la ex-provincia declassata nel 1859). Al censi- mento della popolazione nel 1881 il Circondario di Susa aveva 91.183 abitan- ti e comprendeva 57 Comuni su 1.478 Kmq. di territorio. La città di Susa, capoluogo di circondario e sottoprefettura, contava 4.106 anime (14). Gli analfabeti erano il 18,74% della popolazione Çdai 6 anni in suÈ, percentuale che era la più bassa fra i capoluoghi dei circondari classificati co- me ÇmontuosiÈ in Piemonte (15). Le condizioni generali di vita erano però dure nelle vallate alpine: ne danno anche una cruda fotografia gli Atti della Giunta per la ÇInchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricolaÈ (16) relativa agli anni ’880. In quell’im- portante documento si legge nel capitolo sul Çgrado di costumatezza della po- polazione ruraleÈ che degli 8 mandamenti del circondario di Susa Ç...solo 4 sono in buone condizioni, mentre negli altri la moralità della popolazione la- scia molto a desiderareÈ.

(14) Comuni del Circondario di Susa sopra i duemila abitanti erano, al censimento 1881: Mattie (abitanti 2.394), Rubiana (3.207), Avigliana (3.642), Trana (2.103), Bussoleno (3.740), San Giorio (2.260), Villar Focchiardo (2.682), Chiavrie (2.171), Mocchie (2.811), Coazze (4.206), Giaveno (10.735). (15) Nella percentuale degli analfabeti nei circondari di montagna in Piemonte seguivano Su- sa i capoluoghi: Ivrea 23,61%, Pinerolo 26,20%, Aosta 27,72%, Acqui 34,47%. (16) A partire dal 1877 il senatore, e ministro, conte Stefano Jacini, cremonese (1827-1891), aveva promosso e diretto l’Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola i cui ÇAttiÈ sono raccolti in 15 volumi. Il volume VIII - tomo I - contiene la relazione del commissario avv. Francesco Meardi, deputato al Parlamento, comprendente le province di Cuneo, Torino, Ales- sandria, Novara, Piacenza e circondari di Bobbio e di Voghera. 143 Le informazioni per l’inchiesta provenivano soprattutto dalle Preture (una per ciascun mandamento): i 4 mandamenti che lasciavano a desiderare erano Bussoleno, Cesana, Oulx e Susa. Per fortuna su 74 mandamenti della provincia di Torino Ç61 non hanno ac- cattoni o questi sono in quantità limitata». Tranquillizzante la situazione in Valle di Susa. Il sentimento religioso «da quanto viene riferito..è abbastanza forte in tutta la popolazione rurale, più che nei giovani nei vecchi, più nelle donne che negli uomini. Generalmente poi esso, salvo poche eccezioni, non è consigliero di at- ti di fanatismo, né intollerante, perché, ad esempio, nelle valli di Pinerolo vi- vono accanto valdesi e cattolici senza mai darsi reciprocamente molestia come usavano una volta, in tempi non molto lontaniÈ (17).

Programma di un giornale cattolico Con le premesse e nella situazione brevemente più sopra delineata, «Il Roc- ciameloneÈ comparve in pubblico sabato 3 aprile 1897. Era allora presidente del Consiglio dei ministri, a Roma, il marchese siciliano Antonio Starabba di Rudinì. Chiaro, in apertura di quel numero 1, ÇIl nostro programmaÈ. «La stampa, questa potentissima leva del pensiero umano, subisce oggidì una specie di evoluzione: essa tende a decentrarsi, tende ad assumere sempre più un carattere regionale...». Senza dubbio ciò favoriva la nascita di un «nu- mero sterminato di periodici», tra i quali però «il nostro troverà ancora un po- sto ed una ragione di essereÈ. Prosegue l’articolo di presentazione: «Il Rocciamelone viene alla luce nel- la speranza di colmare una lacuna. Era antico ed ardente desiderio di molti dei nostri valligiani, che conservano intatto il sacro tesoro della Fede avita, di en- trare pur essi nel gran concerto della stampa, di creare un organo che fosse l’e- co fedele dei sentimenti della grande maggioranza della popolazione Valsusi- na, sentimenti ai quali le tante volte per opera di pochi impunemente s’insul- taÈ. Perciò «Il Rocciamelone, altero di portare in fronte la benedizione del Ve- nerato Pastore della Diocesi di Susa, si presenta al pubblico con un program- ma schiettamente cattolicoÈ. Il programma del nuovo giornale non constava di un lungo elenco di pro-

(17) Al paragrafo «Intensità del sentimento religioso» nella Relazione si legge la seguente puntualizzazione: Çé difficile precisare l’intensità del sentimento religioso nelle campagne per- ché non basta leggere nelle relazioni dei pretori che esso è debole o forte o esagerato, ma occor- rerebbe conoscere altresì il numero delle chiese, dei sacerdoti, la frequenza delle popolazioni al- le funzioni religiose, la scarsezza o l’abbondanza dei doni dei devoti, ecc.». 144 positi: «...esso è invece semplicissimo. Le parole del Divin Salvatore che ab- biamo posto sul frontespizio: “Chi non è con me è contro di me”...». Il giorna- le si impegnava in primo luogo a «...rivendicare quelle libertà, che i massoni e i liberaleggianti... hanno tolte (ai cattolici) e confiscate a loro vantaggioÈ. Non era soltanto una difesa dei valori religiosi, ma un invito alla coerenza, al rigore dei cattolici. Le convinzioni di un credente dovevano escludere qual- siasi compromesso con altre dottrine, senza cedimenti morali. Infine, apertura incondizionata ai lettori e completezza di informazione (per quanto consentito dai mezzi e dalle comunicazioni di quei tempi).

I periodici culturali e divulgativi dell’editore Fratelli Treves di Milano per l’anno 1885. Il prof. Valerio Castronovo in «La stampa italiana dall’unità al fascismo» (Ed. Laterza, 1973): ÇNa- sceva in Italia, con il conforto delle vecchie garanzie costituzionali subalpine... la prima stampa politica e di informazione su base nazionale. Larghe quote di analfabetismo (74,7 analfabeti su 100 abitanti nel 1861; 68,8 dieci anni dopo, con punte minime di 42-45 in Piemonte e Lombar- dia)..., ma anche eredità storiche di scarsa partecipazione, quando non di esclusione dalla vita pubblica, bassi redditi e difficoltà di comunicazioni erano diaframmi pressoché insuperabili nel rapporto fra stampa e opinione pubblica e determinavano un mercato di lettori assai modesto. La tiratura complessiva dei vari fogli (esclusi i periodici culturali e di divulgazione) non supererà di re- gola durante il decennio post-unitario, su una popolazione salita a 25-26 milioni, il mezzo milione di copie... al di sotto dello stesso numero degli elettoriÈ. 145 Un programma pugnace cui il settimanale resterà sostanzialmente fedele ne- gli anni della sua esistenza. I cattolici che scendevano in campo nella società, assai più raramente per le cariche politico-amministrative, erano consapevoli che dovevano essere pronti allo scontro per trovare un loro spazio. Verrà, un po’ più tardi e non dovunque, il momento delle intese ufficiali, dei patti che pre- vedevano anche il successo elettorale di un certo numero di cattolici. Per ora, intorno alla fine del secolo XIX, bisognava soprattutto entrare deci- samente in lizza e contrastare la presenza nella società di altre forze: il vecchio ceto liberal-conservatore, i radicali, i socialisti, la variegata schiera dei notabi- li locali talvolta collegati a consolidate correnti di pensiero, oppure soltanto a ÇconsorterieÈ, a interessi concreti, limitati ad una zona. Se i proponimenti di dialogo e di scambio di opinioni, se le intenzioni di ra- dicarsi meglio sul territorio vennero manifestati, riguardavano prima di tutto le popolazioni valligiane, in collaborazione stretta con il clero della diocesi e con le associazioni cattoliche in attività e in formazione nella valle. Le avvisaglie di una graduale discesa dei cattolici nell’agone politico si erano avute quasi subito dopo la morte, nel 1878, di papa Pio IX (cui succe- dette Leone XIII) e già meno di un anno dopo, il 1¡ gernnaio 1879 il giornale liberal-conservatore ÇL’Opinione» scriveva: ÇLa resistenza passiva, la intran- sigenza assoluta di Pio IX hanno ceduto il campo ad una politica di sottili ac- corgimenti. Rispetto all’Italia nessuna concessione sostanziale, ma una mino- re violenza nella forma e sovrattutto una tendenza palese a far sì che i cattoli- ci partecipino poco per volta alla vita pubblica, a difesa degli interessi reli- giosiÈ (18). In campo cattolico si andavano formando due correnti: i ÇtransigentiÈ (os- sia i propensi a uscire dall’isolamento) e gli «intransigenti» e poco alla volta Çla tendenza, affiorante qua e là fra i moderati, a cercare l’alleanza coi clerica- li transigenti nelle elezioni amministrative, stava diventando tendenza a cerca- re quell’alleanza sul piano delle elezioni politiche» (19).

* * * Il programma del giornale veniva esposto nello stesso n. 1 anche in versi endecasillabi a rime alternate, con un sonetto di caloroso saluto:

(18) Ne è un esempio la vittoria nel 1883 a Roma nelle elezioni comunali di una lista presen- tata insieme dall’Associazione Costituzionale e dai cattolici. Altrettanto accadde a Modena, in provincia di Brescia e altrove, mentre il terreno stava diventando favorevole anche a Milano, Torino e Venezia. Un decennio abbondante dopo questi fatti «Il Rocciamelone» era però ancora su posizioni, se non del tutto rigide, ancora abbastanza intransigenti. (19) GIAMPIERO CAROCCI, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887 (pag. 317), Ed. Einaudi, Torino 1956. 146 Salve, novello messagger di fede, Che un raggio adduci di serena pace Dove sovrano lo sconforto siede, E la speranza lacrimando tace. ... Sii maestro a queste alpine genti Di quella vera religion di Cristo Cui tutti i guardi sono in oggi intenti...

Consideriamo che il numero 1 di ogni giornale è sempre un po’ particolare, anomalo, ed è perciò soltanto a partire dal n. 2 del 10 aprile 1897 che si deli- nearono i contenuti e la struttura delle quattro pagine del settimanale cattolico di Susa.

Il volto del nuovo giornale Questo numero 2 aprì vistosamente la prima pagina con la notizia eccezio- nale della benedizione del Santo Padre a ÇIl RocciameloneÈ. Vi si legge: Çé colla gioia nell’anima che diamo ai nostri lettori una lieta novella. Il Supremo Gerarca della Chiesa Cattolica, l’Augusto Vicario di G.C., il Grande Pontefice Leone XIII si è degnato, nella sua paterna bontà, di inviare a noi e al nostro pe- riodico la sua benedizioneÈ. Ecco il testo del telegramma spedito al nostro Amatissimo Vescovo: Roma, 3 aprile 1897, ore 17,05 S. Padre, accogliendo la domanda da Lei direttagli, ha benedetto di cuore redazione periodico Cattolico Rocciamelone. Il Card. Rampolla

«Dall’intimo dell’anima noi mandiamo al Sommo Pontefice i nostri più vi- vi ringraziamenti, certi che l’Apostolica Benedizione ci renderà forti, perseve- ranti, imperterriti nel combattere le sante battaglie per la causa di DioÈ. Nella prima pagina, oltre alla citata benedizione papale, un articolo firmato Nino, titolo ÇSul RocciameloneÈ; in taglio basso ÇRacconti di storia patriaÈ (appendice). In seconda pagina un trafiletto religioso dal difficile titolo latino Ne sutor ultra crepidam (20); la ÇRassegna politica settimanaleÈ divisa in Italia-Estero; poi ÇLa settimana santaÈ.

(20) Ne sutor ultra crepidam, deriva certamente dal sutor, ne supra crepidam di Plinio il Vec- chio (Storia naturale, 35), ossia Çcalzolaio non andare oltre la scarpaÈ, ripreso da Dante: ÇOr tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta d’una spanna?È (Paradiso XIX, 79-81). 147 In terza pagina: ÇVoto plurimoÈ, sulla legge elettorale amministrativa; ÇCronaca del CircondarioÈ: Avigliana - atto di coraggio; Oulx - ferimento; Bussoleno - un individuo si costituisce; Chiusa San Michele - grave disgrazia. In ÇCronaca cittadinaÈ: ÇScavi archeologiciÈ (21), ÇGita istruttivaÈ (effettuata da «37 allievi ingegneri dell’Università di TorinoÈ e pranzo dei giovanotti al- l’Albergo del Sole); ÇRiceviamoÈ (una lettera da Giaveno). Nella quarta e ultima pagina un’altra «appendice» dal titolo «Vita eccentri- ca - scene di fin di secoloÈ; poi ÇOsservatorio meteorologico di SusaÈ; ÇMer- curiale di SusaÈ, ossia i prezzi sul mercato cittadino (22). Queste rubriche ver- ranno pubblicate con regolarità settimanale e accresciute di numero, per esem- pio, con gli orari ferroviari e di altri trasporti, con notizie sui servizi pubblici, con avvisi delle autorità (23).

Questa la struttura semplice, lineare, tradizionale Ð con poche variazioni ogni tanto Ð del settimanale valsusino. Per quanto riguarda contenuti e toni il giornale si ispirerà sempre con rigo- rosa fedeltà al suo motto «Chi non è con me è contro di me», affrontando con decisione problemi e situazioni. Un secolo fa, e anche prima – libertà permet- tendo Ð il linguaggio dei giornali era di solito schietto; commenti, critiche ed elogi andavano a segno senza eccessiva diplomazia, evitando le perifrasi fu- mose che parecchi organi di stampa adottano ai giorni nostri. Non di rado, così facendo, si poteva cadere nell’animosità; ma teniamo conto che quelli erano tempi di scontri ai quali le parti in contesa difficilmente si sottraevano. Né faceva eccezione «Il Rocciamelone».

(21) Si dà notizia di lavori «presso l’antica porta di Susa, detta del Paradiso» e «...Il Munici- pio presta gentile concorso per i lavori di scavoÈ. (22) I prezzi al mercato di Susa in quell’inizio aprile 1897 erano i seguenti: uova L. 0,60 la dozzina, pollame da L. 1,50 e L. 2,25 per capo; sanati per mg. L. 8 a 9, vitelli L. 6 a 7, buoi L. 4,50 e 5,50, capretti al Kg. L. 0,70 a 0,80, agnelli L. 0,80 a 0,90, patate al mg. L. 0,35 a 0,50 (poi le granaglie e altri prodotti). (23) E lo sport? Nel secolo scorso le attività sportive non avevano la diffusione, l’importanza, la diversificazione che hanno oggigiorno. I giornali poi non ne davano quasi notizia, anche se ben oltre un secolo fa era nato il primo periodico sportivo degli esercizi ginnastici e militare- schi, nel clima risorgimentale dell’epoca. Coerentemente i giornali cattolici non parteciparono a quegli ottocenteschi entusiasmi: ÇPossiamo quindi affermare che tutte le testate giornalistiche, se escludiamo quelle di più spiccata tendenza cattolico-clericale, presero una netta posizione a favore della ginnasticaÈ (LILIANA BOVO - FRANCO QUACCIA, La stampa sportiva in Piemonte fra la seconda metà del XIX e l’apertura del XX secolo, Studi piemontesi, Torino, settembre 1997). Un antesignano del giornalismo sportivo apparve nel 1864 a Torino: il bimensile La Pale- stra - Gazzetta dei Tiratori, delle Guardie Nazionali e dei Ginnastici Italiani, Foglio Ufficiale della Direzione Generale della Società del Tiro a Segno Nazionale Italiano. Vent’anni prima – 1844 – sempre a Torino, era sorta la lungamente famosa «Società Ginna- sticaÈ. 148 Nei periodici locali piemontesi di Ottocento e di inizio Novecento avevano parte notevole anche i temi educativi, le cronache, i commenti coinvolgenti il Çsenso civicoÈ, le regole della convivenza, e quando accadevano fatti che tali valori offendevano, a tutela dei cittadini perbene i giornali reclamavano con vigore e insistenza il severo intervento delle autorità e la rapida erogazione di pene esemplari da parte dei giudici.

* * *

Altrettanto attenti quei piccoli giornali erano agli aspetti positivi della so- cietà, perciò volentieri attribuivano elogi e riconoscimenti. Per esempio, agli scolari che si distinguevano a scuola per atti meritevoli e buon profitto negli studi; alle ditte premiate nelle esposizioni e nelle fiere; alle gaie esibizioni della banda municipale, alle recite della filodrammatica. Alla pubblica ammirazione venivano segnalati i benefattori dell’asilo, dell’ospeda- le, della biblioteca civica, i protagonisti di atti di civico coraggio. Molte lapidi sui muri delle vecchie case delle nostre città testimoniano que- sto costume diffuso di riconoscere i cittadini che si distinguevano in vari modi additandoli alla perenne ammirazione e gratitudine.

ÇBiancaÈ, ÇneraÈ, battaglie e polemiche Con il trascorrere delle settimane il giornale non soltanto precisava con vi- gore la sua ÇlineaÈ, ma si arricchiva di notizie, specialmente di cronaca del Circondario e della città capoluogo. La cronaca nera condensava le notizie in poche righe, senza fronzoli di compiacimento: materia per carabinieri e pretori più che di pubbliche chiac- chiere. In quella bianca ci si diffondeva un po’ di più a lungo: i dati e i risulta- ti delle elezioni, notizie sulle utenze della Biblioteca Civica, i concerti della Banda Musicale, la lista dei promossi nella Scuola Tecnica, nel Regio Ginna- sio, e così via. Non di rado gli avvisi delle autorità, comunicazioni utili al pub- blico, i dati meteorologici, i prezzi dei mercati, i programmi delle feste pubbli- che, di recite e ÇsaggiÈ scolastici, gli orari ferroviari. Insomma, la vita della Valle, nel bene e nel meno piacevole di ogni giorno. Il numero del 4 febbraio 1899 nelle note politiche nazionali prese posizione sul bilancio dello Stato, sotto il titolo ÇQuanto costano al governo italiano i suoi pensionatiÈ. ÇApprendiamo che al 1¡ gennaio 1899 Ð si legge Ð il totale delle pensioni a carico dello Stato saliva all’ingente cifra di lire ottantun milio- ni quarantotto mila trecento e quindici. I pensionati erano centomila cento e diciannoveÈ. «Nel solo 1898 l’ammontare delle pensioni fu accresciuto di L. 598.500. Se la va di questo passo fra qualche anno avremo più pensionati che soldati. 149 Povero erario italiano!...È. Ossia, e prima di tutto, le preoccupazioni per il bi- lancio dello Stato. Tra le notizie, la condanna da parte del tribunale di Susa di due giovani, uno di Vayes e l’altro di Millaures, per renitenza alla leva: «41 giorni di deten- zione cadunoÈ, senza attenuanti.

Nel n. 30, anno II, del 23 luglio 1898, nell’articolo di fondo «Lotte frater- neÈ la direzione del giornale prendeva di petto socialisti e liberali, partendo dal commento alla elezione alla Camera dei Deputati dello scrittore Edmondo De Amicis (che da alcuni anni aveva aderito al movimento socialista). Leggiamo nel «Il Rocciamelone» dell’estate ’98: «L’idra socialista rialza un’altra volta la testa: un suo nuovo campione, levato sugli scudi da un pugno di illusi, si accinge a combattere in suo nome in Parlamento: Edmondo De Amicis, il neo-deputato di Torino,va ad accrescere quel gruppo di Estrema Si- nistra, contro il quale venne giorni or sono lanciata da un liberale la stessa ac- cusa che con tanta insipienza fu diretta un tempo contro i cattolici: Ecco il ne- mico!È.

Coerentemente ÇIl RocciameloneÈ dava pieno appoggio ai cattolici e agli «amici della Chiesa». Così nel n. 41, anno II, dell’8 ottobre 1898 leggiamo che il cav. Colano aveva dato le dimissioni da Consigliere provinciale. Si doveva rimpiazzare il dimissionario con una elezione supplettiva nel collegio di Bus- soleno e «Il Rocciamelone» ospitò in buona evidenza un lungo comunicato del Comitato elettorale mobilitatosi a favore di un candidato già ben noto: il cava- lier Michele Buffa che aveva già «coperto con plauso universale le più alte ca- riche di Susa, sua città nativa» (24).

L’11 febbraio ÇIl RocciameloneÈ con ÇOulx - Ospite illustreÈ descriveva in una lunga, fervida cronaca la visita di qualche giorno di don Michele Rua Ð di- retto in Francia e Spagna Ð ÇSuperiore dei SalesianiÈ al Collegio di Oulx. Dal- l’accoglienza delle autorità alla stazione, alle cerimonie religiose, alla cena uf- ficiale, il soggiorno dell’«ospite illustre» era seguito interamente (25). Si leggeva inoltre che il Veglione del 28 gennaio aveva portato nelle casse delle «Cucine di Beneficenza» la bella somma di L. 400 perché tale era stato l’utile della festa (costata L. 263,25).

(24) Michele Buffa è anche noto per aver scritto un libro denso di notizie, che si legge con in- teresse anche oggi: Susa nei tempi antichi e moderni, Tipografia Guido Gatti, Susa 1904. (25) Don Michele Rua, torinese, Rettor Maggiore della Congregazione Salesiana, fu il primo successore di Don Giovanni Bosco (morto nel 1888). Don Rua (1837-1910) era uno dei Çragaz- zi dell’oratorio», poi braccio destro di Don Bosco; durante il suo rettorato le case salesiane crebbero da 64 a 341. Papa Paolo VI lo beatificò nell’ottobre 1972. 150 Intanto preseguiva la sottoscrizione caldeggiata dal giornale di Susa per la statua della Beata Vergine della Neve da collocare sulla vetta del Rocciamelo- ne: ai primi di febbraio 1899 si era già a L. 602,55.

Sul giornale di quell’11 febbraio 1899 comparve il primo necrologio: Ca- milla Chiapusso ved. Cler, deceduta a Torino il 9 febbraio, sepolta a Susa dove la salma era giunta per ferrovia. Il 25 febbraio fu la volta del secondo necrologio e riguardava una persona meritevole di un largo compianto: Suor Luigia (al secolo Giacomina Ferraris di 72 anni, originaria di Robbio Vercellese) da 27 anni superiora delle suore Çaddette al servizio nel nostro Civico OspedaleÈ. 151 A giugno 1899 elezioni amministrative nei Comuni del Circondario. Su ÇIl RocciameloneÈ con i risultati, apparvero anche i ringraziamenti agli elettori che a Susa, nelle liste comunali, erano 718 dei quali 512 votanti. Ringraziava- no: il cav. Michele Buffa rieletto al Comune di Susa e i neo-consiglieri provin- ciali avv. Domenico Napoli, avv. G. Richard, avv. Alfredo Bouvier. La prima pagina di quel numero era però dedicata alla funzione di inaugu- razione della statua della Madonna del Rocciamelone. A Torino, nella chiesa del Sacro Cuore, convennero il cardinale Richelmy, principesse e principi di Casa reale, numerose autorità per la solenne cerimonia.

E anche un po’ di «réclame» Il fenomeno pubblicità – o meglio, la «réclame» (26) Ð non era certamente nuovo alla fine dell’Ottocento, ma rispetto ad oggi attraversava ancora la fase pionieristica, fantasiosa, delle trovate geniali o ingenue, oppure sfacciate fin quasi all’imbroglio. Era comunque – e come lo sarà sempre più in età successive – uno degli elementi dei quali incominciare a tenere conto per valutare il complesso dei problemi economici e sociali. Per queste ragioni appare non inutile soffermar- ci per alcune semplici considerazioni. Il «viaggiatore di commercio» (il miglior cliente delle ferrovie) era, ed è sta- to per parecchi decenni, un personaggio centrale delle attività mercantili. Tutta- via la sua opera preziosa aveva un limite: si rivolgeva soltanto ai Çcommercian- ti al dettaglioÈ (come si diceva molti anni fa) o ai Çpunti di venditaÈ (come si dice oggi). Il pubblico, la massa dei potenziali acquirenti dei prodotti restava disinformata. A colmare questo vuoto di informazione provvide la «réclame», come tutti chiamavano la pubblicità fino quasi alla metà del nostro secolo (27).

(26) Tutti i libri che trattano la storia della pubblicità partono dalla parola francese «réclame» e citano la polemica innescata da Francesco Pastonchi sul Corriere della Sera nel settembre 1901, con un articolo dal battagliero titolo Fuori il barbaro. Ad opinione del letterato Pastonchi, «réclame» era «il più terribile vocabolo» mai udito e proponeva – citando anche Dante – di sostituirlo con l’italiano «grida» (es. «gridare un prodot- toÈ). Parecchio più tardi si è arrivati alla parola oggi di uso generale, pubblicità (utile vedere un buon libro di MARIO MEDICI, La parola pubblicitaria, ed. Marsilio, 1986). Contro la pubblicità accusata di «spirito ciarlatanesco» prese posizione, fra vari altri, anche Edmondo De Amicis. Poi in parte mutò parere. Sui pubblicitari fino a non molti anni fa si raccontavano storielle e barzellette salaci. (27) Mentre era d’uso comune la parola «réclame», e anche un po’ dopo, per i giuristi la pub- blicità era legata al concetto del dolus bonus, ossia un bonario inganno, un ÇtruccoÈ attenuato dalla probabile consapevolezza dei destinatari (non diciamo vittime, come taluni pensavano). Con difficoltà si è fatta strada l’opinione della pubblicità come uno degli strumenti dell’econo- mia moderna, elemento non proprio secondario del mercato basato sulla concorrenza. 152 Questo in poche parole. E con altrettanta semplicità anche i giornali locali di fine Ottocento ospitavano i loro bravi avvisi commerciali; in primo luogo perché la carta stampata era allora il miglior mezzo di comunicazione di mas- sa (mancavano cinema, radio, televisione...); poi perché la pubblicità dava una mano a tenere in vita quei fogli di provincia, nel migliore dei casi venduti in poche centinaia di copie. Ad una attenta osservazione si colgono due aspetti, o categorie, della pub- blicità su «Il Rocciamelone» a cavallo fra Otto e Novecento. Il settimanale era un mezzo di comunicazione di massa a carattere e dimensioni locali, con limi- ti territoriali precisi, ma nonostante ciò la pubblicità che vi compariva – so- prattutto collocata in 4a, ossia ultima, pagina Ð offriva prodotti di ditte Çfore- stiereÈ, che puntavano ad ampliare il proprio mercato rivolgendosi anche ad aree di montagna con un reddito tutt’altro che elevato. Accanto ai prodotti delle ditte che apparivano già importanti per dimensio- ni e tradizione, con evidente sforzo per vincere indefiniti pudori, comparve an- che l’informazione commerciale «di casa». Si informava che si voleva vende- re una vigna, un’abitazione, affittare una fucina (dopo la morte dell’artigiano proprietario), cercare una serva, informare che riapriva la tal panetteria, offrire persino tre pavoni (segno di esotica opulenza). E via discorrendo, fino alle condizioni economiche per usufruire della reputata scuola di un convitto di re- ligiose per una buona educazione delle ragazze della Valle di Susa e farne del- le future maestre di scuola. Insomma, di tutto un po’, allargando con prudenza l’orizzonte degli affari e aumentando il numero delle categorie merceologiche.

* * *

Gli anni di nascita de «Il Rocciamelone» sono ancora l’epoca della pubbli- cità agli oggetti-novità strabiglianti e ai rimedi portentosi: dal piegabaffi alle lozioni d’ogni tipo per i capelli, dallo sciroppo garantito contro tosse e asma al rimedio infallibile contro il vizio dell’ubriachezza, dal produttore casalingo di ghiaccio al ventilatore a mano, dal fonografo alle macchine fotografiche, ai ri- costituenti fra i quali efficace, ma temibile per il palato, l’olio di fegato di mer- luzzo da somministrare ai ragazzini. Sul settimanale di Susa, oltre alla scarsa «réclame» locale, tra gli altri pro- dotti compaiono il sapone nero insetticida e anticrittogamico, raccolte di fran- cobolli, fichi secchi di Calabria (cestino da Kg. 3 L. 1,75), Chronos Çil mi- glior almanacco cromolitografico profumato disinfettante per portafogliÈ, la Grande Lotteria Nazionale (1¡ premio L. 200.000), pomata di ÇOlio di Ricini per i capelli che si rinforzano nei bulbiÈ, la ÇChina Pacelli Ð granulare effer- vescente – guarigione dall’acidità, dai dolori o bruciori di stomaco, dalla cat- tiva digestioneÈ. Un elenco di trovate che ci possono far sorridere, insieme ad 153 A sinistra: Le Çorecchie staccateÈ erano consi- derate un difetto da eliminare con una inven- zione di sicuro effetto, proclama questa pubbli- cità. Qui sopra: In mancanza degli odierni elettrodo- mestici, per farsi un po’ di fresco sui giornali di un secolo fa si reclamizzava il Çventilatore a manoÈ (L. 12). 154 invenzioni pubblicitarie appartenenti ad un’epoca lontana e ben diversa dalla nostra. Il discorso reclamistico veniva allora presentato senza fretta, con varie ar- gomentazioni, quasi fossimo, per svago, davanti agli imbonitori Ð personaggi bravi e simpatici – su una piazza nel giorno della fiera. La pubblicità dello slo- gan fulminante, delle poche parole in un’intera pagina di giornale, dei 5 secon- di in televisione appartengono allo stile – e all’ossessione per il tempo – di fi- ne secolo XX e non al XIX (28). In tema di linguaggio dei comunicati, sovente si sconfinava nell’enfasi, con uso facile di iperboli e di imperativi che non ammettevano dubbi. Per categorie, fra i messaggi di circa un secolo fa nei giornali locali preva- levano medicinali e ricostituenti; presenti in buon numero i depurativi (pur- ganti o no). Comparivano già i prodotti per l’igiene e le cure di bellezza, pillo- le contro la magrezza perché l’avvenenza muliebre doveva essere florida. Poi, a poco a poco, altre categorie merceologiche sono venute avanti. Ma, al contrario di oggi, erano quasi assenti gli alimenti e l’abbigliamento, per la semplice ragione che numerosi cibi erano prodotti direttamente in famiglia e in zona; i vestiti si confezionavano talvolta in casa, comunque da sarti e sarte del luogo. Presenti già i primi avvisi pubblicitari di prodotti per l’agricoltura – anticrittogamici, concimi, qualche attrezzo Ð; le assicurazioni e le banche. So- prattutto nei giornali cattolici si reclamizzavano le sartorie ecclesiastiche, la- boratori di paramenti e di preziosi oggetti per il culto. Dalla primavera del 1899 la pubblicità su «Il Rocciamelone» ebbe un pic- colo aumento, compresa quella di interesse locale. Non sappiamo quale bene- ficio ne abbiano ricevuto le finanze del giornale. Le tariffe erano le seguenti: per tutta la 4a pagina L. 30, per 1/2 pagina L. 15, per un quarto di pagina L. 7,50. Per ogni linea, o spazio di linea (29) in 4a pagina cent. 10 - 3a cent. 25, in 2a cent. 50, in 1a lire 1È. Il settimanale ÇIl RocciameloneÈ era in vendita a 5 centesimi, ossia 1 sol- do, ventesima parte della lira. Per l’abbonamento annuale L. 3. Del giornale

(28) La più famosa, e prima, rubrica televisiva di pubblicità in Italia fu «Carosello» in onda dal 3 febbraio 1957. Ogni cortometraggio durava 2’ e 15’’ dei quali soltanto 30’’, o codino, era- no pubblicità del prodotto, mentre il resto consisteva in una storiella con personaggi che diven- nero famosi. «Carosello» andò in onda per l’ultima volta il 10 gennaio 1977: lo soppresse la ne- cessità di messaggi brevi, con meno divagazioni. Nell’età di «Carosello» alla pubblicità fu dedicata un’opera lirica andata in scena al teatro La Fenice di Venezia in occasione di un Festival del film pubblicitario (17 giugno 1970). Il tito- lo: Pubblicità, ninfa gentile, musica e parole di Gino Negri; i protagonisti Ð soprano e baritono Ð si chiamano Gingle e Slogan. (29) La linea, o riga tipografica, formata da 12 punti, ha un’altezza di 4,512 millimetri, men- tre la larghezza (o giustezza) della colonna poteva essere diversa da giornale a giornale, o nel- l’interno del medesimo numero. 155 venivano stampate all’inizio 500 copie; forse meno quando incominciò a pro- filarsi la possibilità della chiusura. In realtà era un settimanale di piccole di- mensioni e, peggio, con assai modeste prospettive di crescita.

L’addio dignitoso e un «arrivederciÈ Il 12 novembre 1904 uscì l’ultimo numero de «Il Rocciamelone». Appa- rentemente era come tutti i precedenti: in prima pagina l’articolo di fondo, uno «stelloncino» di polemica, in «taglio basso» il racconto d’appendice. Nelle pa- gine seguenti altre notizie, un po’ di cronaca della Valle, la pubblicità, ecc. In seconda pagina, sotto un titolo di modesta evidenza Ð ÇAi lettoriÈ Ð la malinconica notizia firmata «La Direzione»: «Il Rocciamelone da sette anni è sulla breccia e combatté non poche, non infeconde battaglie in difesa della Re- ligione, della morale e della giustizia... Non badammo a sacrifici... quanti po- tevano stare nel limite del tollerabile. Ora questi limiti sono sorpassati...È. ÇIl Rocciamelone sospende da questo numero le sue pubblicazioni. Esso deve risorgere. E la sua risurrezione dipenderà dal buon volere di tanti, che fi- nora non hanno saputo addimostrare...È. ÇA voi, lettori amatissimi, il saluto, i ringraziamenti nostri... Non un addio, ma un arrivederciÈ. Un’uscita di scena composta, dignitosa, che nascondeva non del tutto qual- che inevitabile, amaro disappunto. E davvero non fu un addio definitivo. Nella primavera del 1907 comparve ÇLa ValsusaÈ che ha proseguito la stra- da e l’impegno de «Il Rocciamelone» (30). Con i suoi novantadue anni di vita ha garantito in parte preponderante la presenza della stampa diocesana nelle Valli del Circondario, nelle parrocchie della Diocesi di Susa (31). A conti fatti, complessivamente in un ampio arco di tempo, è stato ed è il giornale valligiano di maggior peso. Oggi è un organo di informazione di no- tevoli aperture, fatto con professionalità da una redazione organizzata. Considerando la facile mortalità dei periodici locali – regola alla quale non sono sfuggiti quelli valsusini Ð, soprattutto nel secolo scorso, siamo di fronte a un primato invidiabile, non soltanto qui in Valle di Susa. Questa longevità è un

(30) Nel già citato Un pulpito di carta, mons. Bernardetto ha scritto: Ç...un giornale come “La Valsusa” è nato e non ha altro scopo se non quello di essere presenza radicata dei cattoli- ci...È. (31) Dal n. 5 del 1979 ha assunto la direzione de ÇLa ValsusaÈ don Ettore De Faveri, allora trentaduenne. In vent’anni il canonico e parroco della Cattedrale di Susa ha trasformato il «pic- colo, ma già significativo foglio diocesano» in un vero giornale locale, alla pari con altri del Piemonte, regione in cui settimanali e bisettimanali hanno posizioni di rilievo nel campo del- l’informazione, mai intaccate neppure dalle iniziative (le «pagine provinciali») dei quotidiani torinesi di ieri e di oggi. A don Ettore De Faveri, direttore di ÇLa ValsusaÈ, rallegramenti e au- guri per la ventennale, entusiasmante, faticosa maratona giornalistica tuttora in pieno fervore. 156 alto merito per tutti coloro che hanno realizzato il settimanale diocesano catto- lico in questo secolare arco di tempo: con fatica, perseveranza, bravura. Un secolo per due settimanali della stessa matrice, sotto la medesima ban- diera. Qui abbiamo tratteggiato il profilo dell’iniziatore, del pioniere, del pu- gnace antesignano di nome ÇIl RocciameloneÈ.

La pubblicità locale de «Il Rocciamelone» Questa la lista, non certo lunga, degli avvisi di pubblicità «locale» (parecchi dei quali ripetuti più volte) nei venti mesi iniziali de «Il Rocciamelone».

«Rubiana paese ameno all’altezza di m. canti, casa Chiapussi Ettore, ceraio, e spera di 600 sul livello del mare. Alloggi in affitto per essere onorata della fiducia delle famiglie a la stagione estiva (4, 6, 8, 10 camere ammobi- cui occorresse la sua opera professionaleÈ - liate e non)È - 10 aprile 1897. 17 settembre 1898.

ÇServizio di corrispondenza per viaggia- ÇGiuseppe Rolle, orologiere - Susa, via toriÈ da Torino P.N. ad Almese, in vettura fino Palazzo di Città (Piazza San Carlo). Il suddet- ad Avigliana, poi in treno. (Seguono varie no- to organista della Cattedrale accorda pia- tizie sul servizio) - 17 aprile 1897. noforti e dà lezioni anche a domicilio» - 17 settembre 1898. ÇServizio viaggiatori in carrozza da Rivo- li a Sant’Ambrogio». (Seguono notizie sul ÇSusa. Sei camere, cantina, piccolo giar- servizio) - 1 maggio 1897. dino, con acqua potabile, disponibili pel pri- mo novembre prossimo. Via Argentera, casa «Cercasi serva oltre ai 50 anni di età pur- Tricerri-Corino. Dirigersi al M.R. Don Giu- ché seria e robusta, con buone referenze. Ri- seppe ViglioneÈ - 8 ottobre 1898. volgersi alla Tipografia del GiornaleÈ - 26 marzo 1898. ÇEducandato delle Suore di San Giuseppe ÇDa vendere tre bellissimi pavoni, due per allieve interne ed esterne. Per le esterne: 1a; 2a; 3a elementare L. 2 di quota mensile; 4a e maschi ed una femmina, prezzo onesto. Ri- a volgersi al signor Pellerin Giulio proprietario 5 L. 5; Corso Complementare L. 6; Corso di Castel-Borello di BussolenoÈ - 2 aprile Normale L. 7È - 8 ottobre 1898. 1898. ÇSusa. Panetteria Montegrandi da rimet- ÇSusa: vigna sulla Brunetta, divisibile an- tereÈ - 22 ottobre 1898. che in tre lotti, da vendere. Rivolgersi alla Ti- pografia RamondettiÈ - 2 luglio 1898. ÇChiomonte, molino, con torchio da olio, da affittare o da vendere; Fornier Baldassar- ÇFucina da affittare in Villar Focchiardo. reÈ - 29 ottobre 1898. Per le trattative rivolgersi ivi alla vedova di Dogliano MaurizioÈ - 16 luglio 1898. ÇDa vendere. Varii stabili situati in terri- torio di Mattie nelle regioni Menolzio, Mori- ÇLevatrice M. Gianetto-Carra approvata na, Rivetti, Bosco Rivetti e Bollé. Rivolgersi dalla R. Università di Torino annuncia di aver al not. G.B. Napoli di SusaÈ - 3 dicembre stabilito la propria dimora in Susa, via Mer- 1898. 157 «Lunedì 9 corrente avrà luogo la riapertu- provvisto di bagni semplici, medicinali e doc- ra dell’Antico Pastificio Bolla in Susa, via cie, spera di essere onorata di numerosa clien- Mercanti casa Pasquale. I proprietari avverto- telaÈ - 20 maggio 1899. no il pubblico che provvederanno pane otti- mo, igienico ed a prezzi ridotti, e sperano di ÇPer sgombro vendesi al disotto del costo essere onorati di numerosa clientelaÈ - 7 gen- tutto il mobiglio esistente nei magazzini di naio 1899. Edoardo Cozzi in Susa e Bussoleno...È - 10 giugno 1899. ÇIn Bussoleno casa civile da vendere con buonissima panetteria e con tutte le comodità. «D’affittare palazzina prospiciente la Sta- Rivolgersi al sig. Gillo Luigi, negoziante in zione di Meana-Susa. Proprietario Perottino granaglieÈ - 11 marzo 1899. GiacomoÈ - 10 giugno 1899.

ÇImpiombatura definitiva dei denti caria- ÇTenivella Michele parrucchiere, Susa, ti. In una sola seduta, medicazioni senza dolo- via Mercanti, Casa Court. Servizio moderno. ri... Bussoleno, dott. Bertone G. BattistaÈ - 13 Macchine americane. Provare per credere. maggio 1899. Presso il medesimo: turaccioli con catenella, d’ultima novità per Alberghi, Trattorie, ecc., ÇApertura dello Stabilimento Bagni di Su- come per privati. Catenelle per lavare botti- sa - Vicolo dei Fossali - La proprietaria Ange- glie, damigiane e botti di vetroÈ - 10 giugno lina Genoulaz, essendo il suo stabilimento 1899.

La Lega Industriale Italiana mise in vendita (L. 10) lo Çsfolla genteÈ, un bastone da passeggio, al- l’occorrenza anche adatto a mettere in fuga manigoldi e malintenzionati.

158 Comunicazioni

SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 161-174

Laura Grisa Maria e la sua montagna Da cent’anni sul Rocciamelone

ÇRiguardo al Rocciamelone, a quanto riferisce il Can. Pugno, i Celti, popoli anti- chissimi, venuti dall’Oriente a stabilirsi nell’Occidente e nel Settentrione d’Europa, vollero seguire l’esempio dei loro maggiori, collo stabilire il culto religioso su quei monti, ai quali avevano imposto il nome generico di Alpi, dal vocabolo celtico Alp, che significa bianco, per ragione delle nevi di cui sono coperti. Avvicinandosi i mede- simi all’Italia, incontrarono sul primo limitare di essa, il Rocciamelone, monte altissi- mo e tuttavia accessibile, cui imposero il nome celtico di Maol, che significa sommità (...). I Romani conservarono al Rocciamelone il nome celtico di Roc-Maol, dedicando- lo, come i monti di S. Bernardo a Giove tonanteÈ (da: ÇCenni sulla Madonna di Roc- ciameloneÈ di Mons. Edoardo Rosaz Vescovo di Susa, tip. Subalpina, Torino 1901).

Un monte tra miti e leggende Il Rocciamelone: un Çmonte altissimoÈ inviolato per molti secoli, fonte di miti che lo stesso Vescovo riporta nel sopraccitato libretto, traendoli dal Chronicon Novalicien- se, scritto nella seconda metà dell’XI secolo da un monaco Ð rimasto anonimo Ð del- l’Abbazia della Val Cenischia. ÇDicono poi che in questo monte Romuleo quel Romolo (un certo re Romolo coper- to di lebbra) abbia radunato una grande quantità di denaro, quando in esso dimorava». Raggiungere la vetta per verificare e/o impossessarsene, è comunque sempre stata un’impresa fallimentare, perché chi l’ha tentata, è dovuto ridiscendere sconfitto, in quanto improvvisi lampi, tuoni, oscurità e caduta di pietre scagliate dall’alto, impone- vano un precipitoso dietro-front, come accadde anche ad un certo vecchio che raccon- ta al monaco la sua esperienza e quella di Ardoino, cui neppure l’acqua benedetta sortì alcun effetto positivo. Infatti Ð traiamo sempre dal testo sopraccitato Ð Çun certo marchese molto cupido di denaro, per nome Ardoino, il quale udendo spesso tali cose da quei villani, cioè del 161 tesoro ivi radunato, accesosi di voglia, ordinò tosto ai chierici di dover prontamente con lui lassù presto ascendere. Ed essi presa la croce, l’acqua benedetta e le insegne regali, al canto delle litanie andarono per lungo tratto; ma prima che giungessero al colmo della montagna, ugualmente che i primi se ne tornarono con ignominiaÈ. Un monte, quindi, con un lontano passato di luogo sacro a divinità pagane che affonda le sue origini nel buio dei millenni e di cupe leggende, ma che dal 1¡ settembre 1358, as- sume una fisionomia netta, un volto preciso, inizia una storia nuova. Infatti, quel giorno, il marchese Bonifacio Rotario di Asti raggiunge per primo la vetta del Rocciamelone e vi depone il suo ex-voto: un trittico bronzeo, di pregevole fattura, con una scritta latina, nella parte inferiore, che recita: «Qui mi portò Bonifacio Rotario, cittadino di Asti, in onore del Signore Nostro Gesù Cristo e della beata Maria Vergine, nell’anno del Signore 1358, il giorno 1¡ di settembreÈ. Una promessa fatta alla Vergine Maria, durante la sua prigionia in Oriente, se per la Sua intercessione avesse potuto ottenere la grazia della libertà. «Un istoriato trittico, a mercede / d’infrante sue catene, ei reca al monte, / meta agognata di gagliarda fede». Così sigla l’impegnativa impresa «Il Mago del Musinè» nella sua lirica ÇLa Madonna della frontieraÈ, pubblicata su ÇLa ValsusaÈ (n. 82, 9/8/1930). Un altro poeta, Luigi Vitali, rievoca l’evento con i seguenti versi: «E tu fedel ro- meo, / fosti primo a venir – scampato appena / di Palestina a l’orrido periglio – / sul culmine del monte a sciorre il voto. / Rorido il tuo ciglio / di pianto d’allegrezza, e scalzo il piede, / tutto compreso da pensier devoto, / sacravi a quelle rupi il raro dono / d’un trittico prezioso / de la divina Verginella ebreaÈ (da: ÇAlla Madonna del Roccia- meloneÈ, pubblicata su ÇIl RocciameloneÈ, n. 12, 24/3/1900). La citazione, sopra riportata, attesta inequivocabilmente la data dell’ascesa e il no- me del committente dell’ex-voto che ha adempiuto alla sua promessa. Il tutto a completamento dell’immagine che propone, intuitivamente, con i suoi elementi, quanto conferma la parola. (Per la lettura dell’icona, rimandiamo alle pagine con la riproduzione del Trittico). Da allora, sulla montagna tenebrosa, «là dove sorse un dì (...) il delubro a nume menzognero» – così definì il Rocciamelone Pius nella sua lirica «Nel duomo di San GiustoÈ (ÇLa Valsusa», n. 26, 16/6/1909) – si è accesa una luce, un faro di speranza e di fede che non si è più spento. Un faro che ha raggiunto regge e tuguri, paesi e città vicine e lontane.

Pellegrini illustri e non Diamo uno sguardo al percorso di questa luce. Amedeo III nel 1419, a distanza di sessant’anni dall’ascesa di Bonifacio Rotario, fece ricostruire il rifugio Ca’ D’Asti, dandone l’incarico al Rettore dell’Ospedale «S. Nicolò» del Moncenisio, fra Giovanni di Malabaila. Nel 1659, il 3 agosto, il duca Carlo Emanuele II di Savoia espresse la sua devozio- ne alla Vergine, raggiungendo la vetta del Rocciamelone. Nel 1796 – sempre nella località dove sorgeva il rifugio Ca’ D’Asti, scomparso nel tempo – il Comune di Mompantero edificò una cappella rotonda, denominata cappella dei Rotari. 162 Trittico del Rocciamelone (altezza 51 cm, larghezza 58 cm - Susa, San Giusto). Bronzo inciso e dorato. L’anta sinistra rotta circa a metà del San Giorgio, è stata rappezzata in epoca imprecisabile; al termine del Settecento sono stati cancellati gli stemmi dello scudo e dell’armatura del committente; resta un solo elemento del bordo a foglie di vite che co- ronava la cuspide centrale (nella copia antica, esposta in sede di mostra del 1972, ne compaiono ancora sei). Danni minori su quasi tutti gli spigoli. In basso si legge la scritta seguente: Çhic me aportavit Bonifacius Rotarius civis astensis in honore D.ni n.ti Jesu X et beate Marie Virginis a.no D.ni MCCCLVIII die p.mo SeptembriÈ. Vuole la leggenda, raccolta dal Pugno (1867), che sia stato collocato per voto in cima al Rocciamelone da cui venne ritirato solo nel 1673 e depositato presso il Duomo di Susa. Le corone di brillanti at- tualmente sul capo della Vergine e del Bambino sono state applicate nel 1930 (da ÇIl Roc- ciamelone ieri e oggiÈ - Pirografia di Giovanni Allasio).

163 Il trittico di Bonifacio Rotario, primo ex-voto sulla Vetta

«Il trittico è un lavoro molto pregiato per la perfezione dell’opera e per la sua forma; egli dà alla Madonna un aspetto di dolce maestà che inspira divo- zione e confidenza in chi la mira. é composto di tre parti, di cui la maggiore posta in mezzo tiene unite a sé, con cerniere, le due parti laterali minori. Nella tavola di mezzo è scolpita la Vergine con corona in capo, tenendo tra le braccia il Bambino Gesù, che colla mano destra affettuosamente l’accarezza, colla si- nistra tiene il mondo. Nella tavola a destra si vede S. Giorgio a cavallo che, ar- mato di lancia, ferisce un dragone: nella sinistra è scolpito un vecchio ed ai suoi piedi un guerriero genuflesso che tiene le mani in alto in atto supplichevo- le. Alcuni vogliono riconoscere in quel vecchio S. Giuseppe, ed il guerriero, senza dubbio, è il Rotario come lo dichiara la seguente iscrizione scolpita a basso del Trittico: Hic me aportavit Bonifacius Rotarius civis astensis in hono- re D.ni n.ti Jesu X et beate Marie Virginis a.no D.ni MCCCLVIII die p.mo Sep- tembri (qui mi ha portato Bonifacio Rotario, cittadino di Asti, in onore del Si- gnor Nostro Gesù Cristo e della Beata Vergine Maria, l’anno del Signore mille- trecentocinquantotto, il giornoi primo di settembre)È.

Il sacro Trittico rappresenta il Bambino Gesù che tiene il mondo nella sini- stra come padrone di lui, e colla destra accarezza la cara sua Madre, quasi le dica: ÇCome mia Madre ti ho fatta regina del cielo e della terra, nelle tue mani ho depositati i tesori delle mie grazie, non è conveniente che ti neghi alcuna cosa, domanda e tutto otterraiÈ. E che domanda Maria al divin suo Figlio? Quanto domanda lo esprime nel fatto del guerriero, che a sua destra con una lancia ferisce nel capo il dragone, e guarda con occhio materno quel suo divoto che a Lei è presentato dal vecchio venerando che le sta a sinistra. Maria, cioè, domanda al suo Divin Figliuolo di poter liberare dalla schiavitù del demonio i suoi divoti, e liberarli dalle catene del peccato.

Il sacro Trittico ci anima a mettere in Maria tutta la nostra confidenza pei bisogni spirituali e temporali, perché Maria, come Madre di Gesù, colla sua in- tercessione ha pieno potere sopra il suo Divin Cuore (Mons. EDOARDO ROSAZ, Cenni sulla Madonna di Rocciamelone, Tip. Subalpina, Torino 1901).

164 165 Carlo Emanuele II: uno dei tanti seguaci delle orme di Rotario. In Valle i pellegrini furono sempre molto numerosi, soprattutto nel giorno della fe- sta, fissato il 5 agosto. Nel 1673 accadde un fatto singolare. Leggiamo nella vita del Beato Sebastiano Valfré scritta da Paolo Capello che «un povero contadino (di Novaretto), scemo di menteÈ, di nome Giacomo Gagnor, nell’estate di quell’anno, recatosi in cima al Roc- ciamelone, riuscì ad impossessarsi del Trittico e, nascostolo in un sacco, lo portò fino al castello di Rivoli, che ospitava il duca Emanuele II e la duchessa Giovanna Battista Nemours, perché venisse esposto alla venerazione dei fedeli. Il duca si rivolse subito al Beato che propose un triduo di preghiere. Il concorso della gente fu oltre ogni aspettativa, tant’è che «era mirabile cosa il ve- dere le devotissime processioni e i pellegrini a torme venire da tutti i cantoni, e altresì da Torino. Ma quel che più valse, si fu il vivo commovimento degli animi, altresì di molti ostinati peccatori, che ne seguì» (Mons. EDOARDO ROSAZ, op. cit.). Per quanto riguarda la cappella della vetta, scavata nella roccia al tempo dell’ascesa di Bonifacio Rotario, divenuta inservibile col tempo, nel XVIII secolo, fu sostituita con una costru- zione in legno. I pellegrinaggi al Rocciamelone subirono un’interruzione per un periodo che parte dal 1787, quando s’iniziò a celebrare la festa nella cattedrale di S. Giusto e non più in vetta. Il 3 agosto 1772 venne eretta la Diocesi di Susa. Il suo primo Vescovo, Mons. Giu- seppe Francesco Maria Ferraris di Genola Ð nel 1798 Ð diede il consenso per la costru- zione di una cappella a Ca’ d’Asti. Da allora la festa si celebrò qui ed ebbe un grande incremento, anche perché al pel- legrino era stata concessa – alle dovute condizioni – l’indulgenza plenaria, richiesta dal parroco della Cattedrale, Giuseppe Abbate, al pontefice Pio VI, quando, condotto prigioniero in Francia, si era fermato a Susa. Una lapide in marmo, fatta murare sul monte dal Comune di Susa il 27 luglio 1838, attesta la salita al Rocciamelone dei due figli del re Carlo Alberto: Vittorio Emanuele II e Ferdinando Maria, duca di Genova, accompagnati dal principe Eugenio di Cari- gnano. Le grazie e i favori concessi dalla Vergine ai suoi devoti, l’interesse e la devo- zione dimostrati anche da personaggi illustri, nonché dai reali, contribuirono a far espandere la conoscenza del Rocciamelone Ð come luogo di fede Ð in sempre maggior misura. Lo dimostra il numero imponente dei fedeli al pellegrinaggio annuale, il giorno della festa. Alla fine dell’Ottocento si contano duemila presenze. La celebrazione si svolge con solennità, riti, processioni, all’insegna della tradizione e della fede, con predicazioni, preghiere, preparazione, tramite un triduo e con numerose confessioni e celebrazioni eucaristiche.

Stupenda impresa dei «Bimbi d’Italia» Il 28 agosto 1895, il can. Antonio Tonda, parroco della Cattedrale di Susa, si trova in vetta per istituire la compagnia ÇNostra Signora del RocciameloneÈ. Dopo la cele- brazione della Santa Messa, officiata nella nuova cappella, sempre in legno, inaugura- ta proprio quell’anno e da lui voluta, egli esterna ai presenti un suo vivo desiderio: 166 Sopra: In vetta al Rocciamelone (m. 3538) la cappella e il rifugio ÇSanta MariaÈ. Qui sotto: La «Cappella dei Rotari», presso Ca’ d’Asti, in anni recenti ricostruita quasi completa- mente. (Le fotografie di questo articolo sono di don Giuseppe Capra).

167 quello di erigere un monumento alla Vergine, su quella cima, già per tanti secoli meta di devozione mariana. Fa partecipe del suo progetto anche il prof. Giovanni Battista Ghirardi, collabora- tore del periodico per bambini ÇL’Innocenza», il quale, sensibile al mondo dell’infan- zia, suggerisce l’idea di affidare la realizzazione dell’opera addirittura a tutti «i bimbi d’Italia», lanciando, dal giornalino suddetto, una sottoscrizione che richiede l’offerta individuale di almeno dieci centesimi. L’adesione all’iniziativa fu più che entusiasta. Circa centotrentamila bambini da tutte le parti d’Italia e anche dall’estero, infatti, risposero all’appello. Se per alcuni l’obolo non comportò alcuna rinuncia, nessun sacrificio, per molti al- tri, invece Ð teniamo presente le condizioni economico-sociali del nostro Paese al tem- po Ð fu il frutto di abnegazioni, di ingegnosi espedienti per racimolare la piccola som- ma. L’incentivo, oltre all’amore filiale alla Mamma celeste, era legato anche alla sod- disfazione e all’orgoglio di avere il proprio nome scritto lassù ai piedi della statua. Per altri, inoltre, era un’occasione per un grazie alla Vergine a seguito di una particolare assistenza, protezione. Molte offerte sono accompagnate da uno scritto che ne evidenzia la motivazione. Il prof. Ghirardi nel suo discorso tenuto al Congresso Nazionale Mariano di Torino, il 6 settembre 1898, presenta una rapida carrellata di questo arcobaleno di letterine, rac- colte in un volume. Una preziosa corrispondenza che Çcontiene pagine di finissima poesia, di educa- zione squisita» – così la definisce – e poi ne riporta alcune tra le più significative. Sen- tiamo. Un bimbo di sette/otto anni, scrive: «Babbo è tornato dall’Africa, dopo dieci mesi di prigionia, egli ha una ferita sulla fronte, ma è salvo: oggi ho ricevuto il suo bacio. Grazie, o cara Madonna, che hai esaudito la mia preghiera!È. Una bambina di nove anni, sconvolta dalla gravità della malattia della mamma, si esprime così: «Mamma sta male, dicono che è moribonda, ed io sono la maggiore di cinque fratellini e sorelline: o Madonna, ridateci la mamma!È. Una richiesta di aiuto, una dimostrazione di fiducia in Colei che tutto può. A queste poche righe, a distanza di quindici giorni, segue un secondo messaggio, accompagnato dall’obolo per la statua. «Mamma è salva; grazie, o bella Madonna del Rocciamelone!È. L’assenso al progetto del nuovo monumento offre anche l’opportunità per atti di autodominio, di prova di volontà, di superamento dei propri difetti. Eccone un esem- pio: «Io ho l’abitudine di dire spesso delle bugie, e la mamma per correggermi mi ha promesso una moneta ogni volta che o confesso la bugia o non mi lascio tentare a dir- la. Ti mando venti soldi, che rappresentano venti miei atti di sincerità». E chi vuole aderire, ma non ha i mezzi, sfrutta tutte le occasioni che ha a portata di mano. é il caso di quindici bambine di Mason Vicentino: ÇSiamo povere, non abbia- mo denari e i nostri parenti non ce ne possono dareÈ, scrivono Ð la prima volta Ð al prof. Ghirardi. Poi, a distanza di poco tempo, giunge una richiesta che accompagna l’offerta. «Accetterai i nostri quindici nomi ancorché non siano accompagnati che da nove soldi?». Il misero gruzzolo è il risultato della vendita della cicoria dei prati rac- colta da queste bambine, tutti i giorni dopo la scuola, e portata a vendere in un vicino borgo. 168 Anche i più piccoli sono coinvolti in questa iniziativa. La loro partecipazione, a volte, è il risultato di rinunce ammirevoli, data l’età. Il professore ne riporta un caso. é quello dei bimbi di un asilo infantile del Pie- monte che hanno offerto alla Madonna una merenda di solo pane. La somma per la spesa dell’acquisto della frutta che ne doveva essere il companatico, si è tramutata in oblazione. Anche il dolore, la morte, spingono tra le braccia della Vergine. Una bambina di sette anni, colpita dal decesso della genitrice, scrive: «Mamma è morta: o Maria pren- dimi sotto la tua protezione e fammi buona come colei che non ho più». Apriamo ora il «Numero Unico Illustrato», pubblicato per l’inaugurazione del mo- numento alla Madonna del Rocciamelone, intitolato «I Bimbi d’Italia a Maria»; uscito il 31 maggio 1899. Un fascicolo cui collaborarono, o in prosa o in versi, molte autore- voli firme, tra cui, monsignori, cardinali, senatori, e cogliamo ancora la fisionomia di alcuni di quei centotrentamila bambini. Il pezzo intitolato ÇCuore di bimbiÈ a firma di C. Comino, propone ai lettori due casi emblematici, per sottolinare i contesti da cui provenivano le offerte e che già il prof. Ghirardi aveva evidenziato nel suo discorso Ð da cui abbiamo tratto gli esempi riportati sopra Ð con queste espressioni: Çi bimbi ricchi donano per i bimbi poveri, e le mani vellutate e rosee dei Principini stringono quelle brune e ruvide dei bimbi cresciu- ti tra i campi, su le falde dei monti, presso il mare, sotto la sferza del sole eritreo (...)È. Il primo caso riguarda una bambina di nome Guglielmina, di cinque anni, che, alle prese col suo «sillabario figurato» si impegna nell’apprendimento della lettura per ot- tenere «la bella lira d’argentoÈ da inviare per la statua e, dopo molta fatica, vi riesce con l’aiuto della Madonna. La bambina studia su «uno sgabello di velluto rosso», poi la mamma Çinterrompe, compiacente, lo studio del suo pezzo (al pianoforte) e fa leg- gere la richiedenteÈ. La bambina supera bene il suo ÇesameÈ. Una famiglia borghese a rappresentare le tante. Il secondo caso rientra nella schiera dei bimbi poveri dalle mani Çbrune e ruvideÈ ed ha per protagonista Tistino, sette anni, Çmagro e seccoÈ (...) che Çpareva una statuet- ta di rame politoÈ. Un pastorello, orfano di madre, di un Çpovero villaggioÈ di monta- gna, che si guadagna la vita conducendo al pascolo Çdue capreÈ. Ma, ecco che quel- l’anno, la sua «giovane maestrina» fa ai suoi scolari una proposta entusiasmante: «quel- la di raggranellare l’enorme somma di dieci lire per il monumento del Rocciamelone». Una somma ÇenormeÈ per le povere tasche di quegli scolaretti. Ma lo scopo si rag- giunge con lavori extra-scolastici, quali: Çtrasportar sassi, terra o fieno per sentieri erti e dirupati, affine di ottenere dal babbo la sospirata monetaÈ, fatiche intraprese dai ra- gazzi, mentre le bimbe si erano Çspinte sui gioghi elevati a cercare gli edelweis da of- frire in vendita a qualche raro touriste, altre più deboli e piccine erano andate in cerca di ciclamini, di cardi, di fragoleÈ. Altri ancora avevano portato parecchi secchi d’ac- qua, prelevati da una Çfontana abbastanza lontanaÈ ad una Çvicina indispostaÈ. E Tistino? Dopo aver racimolato la sua somma, si industriò per «provvedere secre- tamente i due soldi a questo e a quellaÈ. Ma il suo atto eroico fu quello di rinunciare, per due giorni, alla polenta che costituiva il suo pasto di mezzogiorno, Çcolle more e altri frutici che andò cercando per la montagna» un sacrificio per poter aiutare la sua compagna Geltrudina, Çuna gobbetta di sei anni, debole, patita, contorta tanto da pare- re una scimmietta smorfiosaÈ. 169 Un atto di altruismo che gli costò però le busse del padre, perché quella polenta a cui rinunciò, fu a scapito della sua vicina, a cui il padre dava una ricompensa. Il man- cato guadagno, spinse infatti la donna a denunciare Tistino al babbo Çcome un vaga- bondoÈ. Uno spaccato sulla condizione di vita dei meno abbienti, ma anche sulle loro in- ventive e risorse, sulla loro solidarietà, nonché sulle loro fatiche, rinunce, legate, ov- viamente all’impegno e allo sforzo fisico, in contrapposizione a quello intellettuale di Guglielmina e del fratello Augusto. Una pagina che propone anche un altro elemento: la conferma che la fede, la devo- zione non conoscono barriere sociali; nessuno deve sentirsi inferiore di fronte a Dio, alla Vergine, semmai, anzi, un prediletto, sull’insegnamento evangelico. Su questa scia, un’altra pagina, sempre di questo «Numero Unico Illustrato», dal titolo ÇLa Prima Comunione di AntoniettaÈ, con sottotitolo Çed una piccola offerta per la statua della Madonna del RocciameloneÈ, a firma di A. Capello. é il racconto di un Çfatto rigorosamente storico, avvenuto nelle Carceri cellulari di Torino il giorno 20 aprile 1899È, come si legge nella nota in calce. Il pezzo descrive, all’inizio, l’atmosfera dell’evento – la cerimonia della Prima Comunione della bambi- na Ð che si svolge nella cappella della prigione, alla presenza, tra gli altri, anche di una ÇDonna AugustaÈ, Çun fiore gentile (...) venuto dalla Francia, che non teme macchiare i gigli degli Orléans, scendendo fra quelle infelici, reiette della società»: la marchesa Giulia di Barolo nata Colbert de Maulevrier. Un’atmosfera di luce, in contrasto con «i singhiozzi repressiÈ delle imputate in attesa di giudizio e di tutto lo squallore del con- testo. Il prosieguo dello scritto evidenzia il ravvedimento totale della ragazzina undicen- ne che si coglie, non solo dal suo «divoto contegno» e dalla sua «ardente pietà», ma altresì è confermato dall’attenzione di Antonietta nei confronti della sorellina. Chiamata, infatti, dalla Marchesa a scegliere il ÇricordoÈ di questo indimenticabile giorno – fra tre bambole, un libro, un crocifisso – sceglie gli ultimi due, perché sa di dover ancora stare lontana da casa per parecchi anni (prima in carcere e poi, spera, in Istituto) per cui rinuncia al giocattolo che avrebbe voluto regalare alla sorellina di quattro anni, se avesse avuto la possibilità di ritornare a casa subito. Con l’espressio- ne: «Ora ho anch’io l’anima candida, come le morette, che stanno a’ piedi di Maria!È e l’interrogativo «Potrò mettere il mio nome vicino a quello dei bimbi buoni?», Anto- nietta esterna il suo vivo desiderio di poter essere anche lei una dei centotrentamila «bimbi d’Italia». La ragazzina era rimasta colpita alla vista di una Çpovera incisioneÈ posta come ar- redo nella camera in cui veniva preparata, da Suor Crocifissa, alla sua Prima Comu- nione, che rappresentava Çla statua della Madonna del Rocciamelone, circondata da tutti gl’indigeni che erano all’Esposizione... egiziani, chinesi, bimbe indiane ed abissi- ne» e desiderava anch’essa, con tutto il cuore, essere ai piedi di Maria, lassù sulla sua vetta. Un desiderio che una «patrona» le diede la possibilità di realizzare. Con l’obolo di questi bambini ricordati e di una schiera innumerevole di altri, si è potuto realizzare Çun grandioso simulacro, che, affacciandosi alle porte della penisola in segno di protezione divina, avrà per natural corona le prime stelle che sorridono al patrio cieloÈ (dal ÇNumero Unico IllustratoÈ). 170 Il monumento grande e bello L’incarico di modellare la statua venne affidato al noto scultore torinese, G. A. Stuardi. Era previsto un monumento in bronzo, diviso in otto pezzi, tenendo conto del- le difficoltà del trasporto in vetta. La statua, fusa nello stabilimento Strada di Milano, alta tre metri, peserà seicentocinquanta chilogrammi; l’armatura in ferro raggiungerà l’altezza di quattro metri con un peso di ottocento chilogrammi. Risultò un’opera bellissima, che rappresenta Maria in atteggiamento di protezione, di accoglienza, di abbraccio, da cui traspaiono dolcezza, umanità, comprensione, con- divisione. Un atteggiamento materno concreto. La Vergine ora non è più una madre «ascosa» ma è scesa veramente sul «segno» che Çi bamboliÈ le offrirono, come invocava il Fogazzaro nel suo ÇInno a MariaÈ, composto per l’occasione. Una madre che, chi vede da vicino sulla vetta, non può non contemplare con viva emozione, adesso come allora. La statua venne inaugurata a Torino nella chiesa del Sacro Cuore di Maria il 3 giu- gno 1899, dall’arcivescovo della città, Agostino Richelmy, alla presenza di numerosi fedeli e delle principesse Letizia di Savoia-Napoleone e di Elena d’Orléans, duchesse d’Aosta, e del Duca di Genova. A questa prima inaugurazione, seguì una seconda, a Susa, che ebbe luogo il 15 del- lo stesso mese. La cerimonia iniziò con la processione dalla Cattedrale a Piazza d’Ar- mi, con la presenza del vescovo, mons. Edoardo Rosaz con i chierici, i sacerdoti della Diocesi, il Capitolo. Nella piazza prescelta, antistante l’ospedale, autorità civili e mili- tari, gli Istituti religiosi, le due principesse, già ricordate, e una marea di persone – tra cui ottocento bambini Ð si erano radunati per il singolare evento. Dopo la benedizione della statua, il Vescovo, nel suo discorso, evidenziò il signifi- cato dell’iniziativa di porre la statua della Vergine Çsulle candide nevi delle AlpiÈ: un ulteriore richiamo alla «Madre Celeste che Iddio ci diede e ci lasciò quale modello di virtù, nella quale tutti devono riporre la loro fiducia» (1). Il prof. Ghirardi rimarcò la fi- sionimia emblematica del simulacro e i valori del popolo segusino con le seguenti espressioni: ÇFede, Patria, Poesia, Arte e Innocenza innalzano il più sublime monu- mento che mai videro genti civili e lo affidano alla custodia vostra, o cospicui rappre- sentanti del popolo susino, che ha così nobili tradizioni di religione, di valore e di lealtà» (da: «Il Rocciamelone», n. 24, 17 giugno 1899). Dopo l’intervento del sindaco, Federico Genin, e gli altri significativi momenti in Municipio, previsti dal programma, la cerimonia si concluse con una solenne benedi- zione eucaristica in San Giusto, col canto di ringraziamento del Te Deum. Seguì la visita al Tesoro della Cattedrale da parte delle due principesse che poi si recarono alla stazione ferroviaria per far ritorno a Torino Çfra il tonare dei cannoni e il suono della Marcia Reale e fra le acclamazioni delle autorità del comitato» (2). Si trattava ora di trasportare in vetta la statua. L’incarico venne assunto da sessanta alpini del Battaglione ÇSusaÈ, al comando del tenente Parravicini, coadiuvati da alcu- ni volontari di Mompantero.

(1) MICHELE BUFFA, Susa nei tempi antichi e moderni, Tipografia G. Gatti, Susa 1904. (2) MICHELE BUFFA, op. cit. 171 Il 28 agosto, circa duemila persone salgono le pendici del Rocciamelone con l’in- tenzione di assistere alla cerimonia che prevede una Messa celebrata in vetta alle ore quattro – per i «bimbi d’Italia» –, l’inaugurazione della statua, la posa, entro la base del monumento, della cassetta in ferro con l’elenco dei centotrentamila nomi degli of- ferenti, la benedizione col S. Sacramento. Dal verbale della cerimonia leggiamo, tra l’altro: «Diede lustro all’opera la santità di Papa Leone XIII che dettò l’epigrafe dedicatoria». L’epigrafe che fu incisa sulla base del monumento, recita: Alma Dei Mater / nive candidior / Maria / lumine benigno Se- gusium respice tuam / Ausoniae tuere fines / Coelestis Patrona. Da allora, la nive candidior, portata «sulle braccia de’ forti in armi vigili / alla dife- sa alpina» – come scrisse il poeta Giuseppe Manni – è diventata «l’augusta Protettrice» della Valle, come anche l’ha ricordata Giovanni Paolo II, all’Angelus del 14 luglio 1991, in piazza Savoia a Susa, dopo la beatificazione di Mons. Edoardo Giuseppe Rosaz: «Nel momento in cui ci raccogliamo per la preghiera dell’Angelus, il mio pensiero va alla Madonna del Rocciamelone, augusta Protettrice della vostra Valle. La invoco insie- me a voi, carissimi Fratelli e Sorelle, con le parole stesse del mio illustre Predecessore, il papa Leone XIII: O Maria, Gran Madre di Dio, candida più della neve, guarda con oc- chio benigno la tua Susa e proteggi, o Celeste Patrona, i confini d’Italia». «Così con animo trepidante, mi unisco anch’io alla schiera innumerevole dei pelle- grini che ormai da cinque secoli salgono incessantemente verso la “santa montagna”. Salgono recando nel cuore le angustie e le speranze della vita. Le depongono con fiducia ai piedi della Vergine. Maria ascolta silenziosa ed esaudisce la loro fidente invocazioneÈ. Il re Umberto I e la Regina Margherita, non avendo potuto presenziare alla cerimo- nia in vetta, si fecero partecipi dell’avvenimento con il conio di una medaglia in bronzo con i loro ritratti e la scritta ÇUmberto I Re d’Italia e Margherita di Savoia ReginaÈ, sul diritto, mentre sull’altra facciata si legge: «I Bimbi d’Italia - Medaglia fatta coniare dal- le loro Maestà per il monumento alla Vergine di Rocciamelone - 28 agosto 1899È.

I ÇRokÈ ricostruiscono rifugio e cappella Susa, 5 giugno 1977. Le vie della cittadina risuonano di un’insolita animazione. Centinaia e centinaia di ragazzi – circa mille – si stanno dirigendo, con l’allegria e la gioia negli occhi, all’Arena Romana dove li attende la Festalprint. Una festa a conclu- sione del primo anno di vita dei Rok. Un’iniziativa lanciata per la ricostruzione del rifugio Ca’ d’Asti e per il restauro della Cappella della vetta del Rocciamelone. Una sottoscrizione rivolta a tutti i ragaz- zi, da zero a quindici anni, che potevano aderirvi con l’offerta di duemila-tremila lire e che non si esauriva, però, nella raccolta di fondi, ma che era stata presentata anche con un programma triennale altamente formativo incentrato su tre temi di grande attualità e molto coinvolgenti, riassunti negli slogan: ÇI Rok sono amici di tuttiÈ, ÇI Rok ama- no la natura», «I Rok costruiscono la comunità». Temi proposti a tutti gli educatori interessati ad aderire all’iniziativa e da sviluppa- re – uno per anno – con la più ampia creatività interpretativa. Il promotore: l’entusia- sta e infaticabile don Piero Laterza, coadiuvato dal viceparroco di San Giusto di Susa, don Remigio Borello. Per questi lavori era prevista anche una mostra. L’iniziativa, sin dal primo anno, ri- 172 scosse un ampio consenso in tutta la Valle e raggiunse, alla fine del triennio, oltre sei- mila iscrizioni, sparse in varie regioni d’Italia e anche all’estero. Ma che significato aveva esattamente la parola Rok? Il termine è «la radice autentica della parola “roccia” (in piemontese significa “pie- tra”) e sono praticamente le prime tre lettere di Rocciamelone. Nel linguaggio comune è una sigla: R = ragazzi; OK = okay (in gamba)». Così venne esplicato dagli ideatori: un Çgruppetto di affezionati alla vetta del RocciameloneÈ, come vollero presentarsi. Rok: una sigla, dunque, come invito a diventare ragazzi Çin gambaÈ, riscoprendo i valori della fede, dell’impegno, di cui la montagna – il Rocciamelone in particolare – è un suggestivo emblema. Si era Ð in questo modo Ð riallacciando quel filo che voleva accomunare i ragazzi di oggi a quelli che, ottanta anni prima, erano stati anche loro i protagonisti del Roc- ciamelone, quei «bimbi d’Italia» il cui nome è scritto lassù e il cui elenco i Rok veni- vano, in qualche modo a completare, con lo stesso slancio, con lo stesso amore alla Madonna, anche se in un contesto familiare, sociale, culturale, religioso, ovviamente cambiato nel corso di tanti decenni. Nel cielo di cristallo dell’Arena Romana di quel 5 giugno 1977, a conclusione del- la Festasprint, uno stormo policromo di palloncini prende il volo, ognuno con un bre- ve messaggio di amicizia, appeso a un cartellino, da portare, da diffondere nella Valle e oltre, in tutta l’Italia. Ne atterrarono a Taranto, Firenze, Bari, Alessandria... ÇL’ami- cizia è come una spiga aristata, sa difendersi dai suoi nemici». «L’amicizia è come un boomerang, ridà ciò che dài». «L’amicizia è come un fiore che cresce a tutte le latitu- diniÈ. ÇL’amicizia è...». Una nuvola di speranza che parla, che illumina sguardi vividi, cuori palpitanti.

Oggi celebrando il centenario Bussoleno, sabato 15 maggio 1999. Alle ore 20,30 si inaugura, al Centro Culturale Nicodemo la mostra ÇAlla scoperta del RocciameloneÈ, organizzata nella ricorrenza del 1¡ Centenario dell’erezione della statua della Madonna sulla vetta del Rocciamelone. Un’iniziativa rivolta a grandi e piccini, «per commemorare l’avvenimento e per raccogliere le testimonianze della tradizione religioso-popolareÈ. Una rassegna a largo raggio, con interpretazioni che vanno dalla pagina letteraria e religiosa, alla leggenda, dal dipinto, al disegno, dalla fotografia e dal ricordo personale, al testo scenico. Fra la produzione poetica dei ragazzi, due versi dedicati alla Vergine si stagliano per la pregnanza, testimoniano consapevolezza storica, focalizzano tradizione, devo- zione, speranza: «Giovane di cent’anni appena / vorremmo che lassù rimanesse / per un’infinita età» (Francesca e Jessica, Scuola Elementare di Villarfocchiardo). Un auspicio, un anelito che – proveniente dalle nuove generazioni – è una conferma che le orme di Rotario sono quanto mai presenti, che il monte di Maria è quanto mai vi- vo e che questo 1¡ Centenario non sarà sicuramente la rievocazione di una pagina in- giallita e rispolverata Ð quasi per obbligo, come richiede un anniversario importante Ð, ma la palpitante presenza della Valle che si ritrova in uno dei suoi più emblematici sim- boli religiosi, in uno dei suoi più marcati luoghi del sacro, fin dall’epoca pagana.

(Altre illustrazioni nell’inserto a colori dopo la pag. 80). 173 174 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 175-178

Daniele Mazzucco Eldradus: abate di Novalesa e santo

La devozione a S. Eldrado accomuna molti paesi della Valle di Susa e della vicina Savoia, tanto che nell’agosto dello scorso anno (29 agosto - 30 settembre 1998) i Co- muni di Novalesa e di Le Monêtiér-les-Bain si sono stretti in gemellaggio con il pro- ponimento di intensificare la collaborazione e gli studi sulla storia di questo importan- te santo. Si tratta di un impegno in qualche modo già onorato anche dal programma annuale di studi internazionali posto in essere dall’abbazia, d’intesa con i Comuni di Novalesa, Le Monêtiér-les-Bain, Monestier D’Ambel, Corps, Lambesc e Ambel. La mostra iconografica su S. Eldrado allestita nei locali dell’abbazia di Novalesa, rappresenta una prima ricognizione e catalogazione delle opere pittoriche e degli af- freschi presenti in cappelle votive e chiese parrocchiali. Nata dalla collaborazione con i Comuni sopra citati e dalle segnalazioni di molti volontari, ha esposto una cinquanti- na di fotografie degli affreschi studiati di cui qui si dà breve notizia. Hanno fatto da cornice alla mostra una piccola esposizione di abiti attribuiti dall’ico- nografia a S. Eldrado, realizzati dalle allieve dell’Istituto d’arte e moda Passoni di Tori- no, alcune opere pittoriche di artisti quali Lia Laterza, Branciari ed altri e oggetti sacri. Ha scritto Guido Ferrero nel Catalogo della mostra: Ç...dire Novalesa significa dire S. Eldrado; tutta la storia di questa terra ruota intorno alla luminosa figura di S. Eldra- do, fondatore, trasformatore, legislatore, padre di una comunità dalla lunga vita. Figu- ra contesa dalla storia e dalla leggenda... Tutta di S. Eldrado rivive oggi negli affreschi della cappella dedicata a Lui, e che sorge su un poggio solitario nel complesso mona- stico novalicenseÈ. Padre Giovanni Lunardi (priore dell’abbazia di Novalesa), nella presentazione del Catalogo precisa che S. Eldrado «...è conosciuto quasi esclusivamente in Val di Susa, in Provenza e nelle Alte Alpi attraverso leggende, tramandate talvolta a viva voce. Ep- pure, i pochi documenti superstiti fanno sospettare che egli sia stato ai suoi tempi una personalità eccezionale con una attività e un influsso a largo raggio Ð almeno sino a Torino e a Lione Ð sia sul campo culturale che in quello religiosoÈ. 175 Sant’Eldrado in atteggiamento solenne, con piviale e pastorale: polittico sull’altare di destra (ope- ra databile verso la fine del secolo XV). 176 La vita di S. Eldrado

Eldrado visse tra la fine del secolo VIII e la prima metà del IX secolo. La sua famiglia era del paese di Lambesc, in Provenza, e faceva parte della nobiltà guerriera franca. Egli nacque nell’alta Valle De-Drac, nel dipartimento d’Isere, dove i suoi genitori, essendo divenuti proprietari terrieri, si erano stabiliti nella città d’Ambel. Eldrado fu orfano di entrambi i genitori e una volta divenuto adulto, si dedicò ad un’intensa vita cristiana: donò i suoi beni alla Chiesa e ai poveri, fece costruire un ospizio per gli indigenti e i pellegrini assolvendo egli stesso al compito di custode. Non soddisfatto di quanto andava facendo, gli sembrava di non fare abbastanza, donò quel poco che gli rimaneva e si fece pellegrino. Dopo un lungo viaggio arrivò al- l’abbazia di Novalesa e rimase ammirato della pietà dei monaci. L’abbazia, fondata nel 726 da Abbone, governatore di Susa e di S. Jean de Mau- rienne, a quel tempo era molto prospera sia nel campo spirituale sia nel campo mate- riale e si trovava ad una delle estremità del Regno Franco, al confine con i Longobar- di, fu perciò protetta dai Re Franchi che la utilizzavano come luogo di sosta in occa- sione dei viaggi in Italia. In questo luogo Eldrado divenne monaco e si espresse nelle virtù cristiane e mona- stiche in modo tale che la comunità, ammirata da tanto zelo, lo elesse abate. Sotto il suo governo l’abbazia prese nuovo impulso. La Cronaca dell’abbazia di Novalesa, scritta prima del 1060, così lo definisce: «Eldrado rifulse per santità, fu pie- no di saggezza, fu illustre per miracoli e fu restauratore del monasteroÈ. Notizie storiche del culto di S. Eldrado si hanno nei testi liturgici dell’abbazia, an- cora conservati, dalla fine del X secolo ad oggi. Tra i primi studiosi citiamo il Gesuita padre Turrinetti, di Torino, che nel 1600 scrisse la vita e i miracoli del santo, edita dai P.P. Bollandisti nel 1668, traendo informazioni da fonti ora andate perdute.

L’iconografia in Piemonte e in Provenza Le immagini più antiche di S. Eldrado si trovano nella cappella a lui dedicata pres- so l’abbazia di Novalesa, risalgono alla fine del IX secolo. Gli affreschi raffigurano in modo essenziale la sua vita: nel primo quadro del ciclo pittorico della volta a crociera a lui dedicata, Eldrado è presentato intento a lavorare la terra per sfamare i poveri e i pellegrini; nel secondo intraprende la vita del pellegrino e riceve la benedizione del sacerdote; nel terzo è colto all’ingresso dell’abbazia di No- valesa, dopo lungo peregrinare; nella quarta ed ultima immagine, Eldrado veste l’abi- to del monaco. Nell’affresco posto sulla parete a sud della cappella, Eldrado è rappresentato nel- l’intento di liberare dai serpenti il monastero-ospizio di Le Monêtiér-les-Bain; sul lato opposto è colto nel momento della morte serena accanto ai confratelli che pregano e piangono per la perdita prematura del loro padre spirituale. Ancora due immagini ci descrivono la vita del santo: quella posta nell’abside sotto il Cristo Pantocratore, dove Eldrado elargisce la sua paterna benedizione, e quella po- sta nel portico dlela cappella dove è intento a pregare in un luogo solitario come era abitudine dei monaci del tempo. Poche immagini per raccontare in modo emblematico anche la vita del monaco che 177 è povero, alla ricerca assoluta di Dio, soggetto ad una disciplina spirituale e alla vita comunitaria, intento nella pratica del silenzio e della regola monastica. La vita di Eldrado fu dunque esemplare, da imitare. Vi sono altre opere iconografiche su S. Eldrado: nella casa di riposo a Novalesa e nella chiesa parrocchiale di Venaus il santo è rappresentato mentre guarisce i bambini; nella cattedrale di Susa guarisce un malato, a Le Monêtiér-les-Bain agisce contro le insidie dei serpenti. Più frequentemente Eldrado è rappresentato in forma ieratica, vestito da monaco con le insegne dell’abate: la mitria e il pastorale.

Si può ben dire che per un santo, tutto sommato poco noto al popolo, vi sia una co- spicua produzione iconografica sia in Provenza sia in Piemonte, finora sono state stu- diate 40 opere tra antiche e moderne. (Il catalogo della mostra di Novalesa ha pubbli- cato quelle più significative).

(Altre illustrazioni nell’inserto a colori dopo la pag. 80).

In questo affresco nel chiostro di S. Eldrado (figura a destra), il santo, in abiti monastici presenta a Cristo ÇpantocratorÈ (onnipotente) una benefattrice di nome Clara. 178 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 179-186

La Susa antica restaurata e da conservare bella

Dopo vari mesi di lavoro Ð e qualche inevitabile disagio ormai dimenticato Ð le principali strade del centro storico di Susa hanno riacquistato l’aspetto di una volta, ben più intonato all’insieme del paesaggio urbano segusino circostante. Per prima piazza Santa Maria Maggiore, rimessa interamente all’onor del mondo all’ombra dell’antico, pregevole campanile romanico, non più pericolante e malanda- to. Poi è stata la volta dell’anello formato dalle principali strade: via Palazzo di Città - via Martiri della Libertà (ex via Marchesa Adelaide) - via Francesco Rolando (ex via dei Mercanti), con l’aggiunta del Vicolo delle Carceri (che dà lateralmente accesso a Piazza Santa Maria e, più oltre, sale all’ingresso secondario del Castello). Marciapiedi ben livellati, guide di pietra, acciottolato, scarichi dell’acqua piovana ritornati, pur nuovi di zecca, com’erano all’epoca dei carri a trazione animale (e il ge- nerale Gatti ne ha scritto sul settimanale valsusino con un florilegio di ricordi e di no- tizie interessanti). Inoltre, fioriere in pietra con lo stemma della città, belle fontane, panchine, per riposare e conversare. La buona impressione è largamente condivisa. L’insieme appare gradevole, pulito. Di sicuro il centro cittadino ne ha guadagnato in tutti i sensi. L’impegno dell’amministrazione civica, dei cittadini, degli utenti, dei passanti sarà Ð ce lo auguriamo Ð di conservare con accuratezza, nel futuro, il cospicuo investimen- to in queste realizzazioni; impedire cioè un regresso nella «qualità della vita», vanifi- cando, inoltre, le risorse impiegate in questo complesso restauro. Contemporaneamente ai lavori in superficie si è anche operato per la rete delle opere igieniche (condotte idriche e fognature); oltre all’interramento dei cavi elettrici e telefonici che deturpavano i caratteri architettonici di vari edifici. Al rifacimento della pavimentazione stradale e all’arredo nel centro storico biso- gna aggiungere il Lungo Dora di Corso Trieste, rimesso a nuovo con pilastrini e balau- stra metallica.

È innegabile – e lo si percepisce agevolmente al primo colpo d’occhio – che con queste iniziative e questi lavori di rilevante onere finanziario, la città di Susa abbia mi- 179 gliorato il proprio aspetto, in armonia con la presenza dei monumenti storici di grande e riconosciuta importanza, ora in più adeguata cornice. Ci sarà ancora da fare, ma un bel passo avanti è compiuto. Oltre alle vie del centro storico l’amministrazione comunale ha restaurato la Torre civica o «dell’Orologio») innestata, intorno alla metà del Settecento, nell’antica torre a base circolare della porta della cinta muraria urbica di epoca romana, la Porta Pie- monte o Taurinensis. Già compiuto il recupero funzionale, per uffici pubblici, di Pa- lazzo Couvert (via Palazzo di Città). é cosa fatta il consolidamento della porta di accesso alla Cittadella Gotica, al mar- gine occidentale del Castello della Marchesa. In corso il restauro, con lavori di manutenzione straordinaria, la facciata del Palaz- zo giudiziario, con particolari cure riservate agli affreschi raffiguranti stemmi gentilizi (sec. XV), sotto la sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte. In precedenza si era provveduto alla pulizia degli antichi portici di via Pa- lazzo di Città e al restauro del prezioso affresco sindonico. Dall’appena scorsa prima- vera è in funzione l’illuminazione artistica del grandioso complesso monumentale di Piazza San Giusto (Porta Savoia-Cattedrale-Campanile). Si provvederà al restauro dell’Anfiteatro romano; al recupero del «Palazzo della ProvinciaÈ in via Marchesa Adelaide (ex-Ospedale dei pellegrini); al recupero del Teatro civico; al restauro dell’antico Portico del Grano (Piazza San Giusto) testimo- nianza della Susa medievale; al piano del colore e dell’arredo urbano. Dunque un’azione a largo raggio e in prospettiva che, tra l’altro, prevede nel Ca- stello della Marchesa Adelaide la creazione di un polo culturale di interesse e di attra- zione sovracomunale, con spazio espositivo per mostre temporanee e per conferenze, una pinacoteca, un archivio storico, nuovi adeguati locali di servizio per i visitatori.

180 Da una «Guida» di Susa del 1978 riproduciamo questo bel disegno dell’architetto Valerio Tonini: è la Torre del Parlamento che si può far risalire al secolo XIV. Massiccia, imponente, coronata di merli guelfi, emerge dalle abitazioni circostanti nel centro storico. Sulla carta del Theatrum Sabau- diae (1680) la torre compare nel complesso edilizio detto ÇPalazzo del ParlamentoÈ. A sinistra: oggi è una strada asfaltata e si chiama via Mazzini. Questa fotografia la ricorda quan- do, fra Ottocento e Novecento, era via Umberto I, con l’acciottolato e le guide di pietra per le ruote cerchiate dei carri a trazione animale. 181 Qui sopra: La restaurata porta di accesso alla Cittadella Gotica nell’area del Castello. A destra: La Torre Civica (o dell’«Orologio») è una elegante costruzione di circa metà Settecento, inserita dentro la base di una delle torri della Porta Piemonte, o ÇTaurinensisÈ, che si apriva nella cita muraria di Susa. Il restauro ha conservato la parte romana (e medioevale) mettendo in risalto le differenze fra le strutture murarie di epoche diverse.

All’archivio storico, che ci piacerebbe esteso all’intera Valle, va una speciale approva- zione e l’attesa di «Segusium», Società di Ricerche e Studi Valsusini. Per iniziativa del Lion’s Club Susa-Rocciamelone, infine, è stata riportata all’ori- ginaria bellezza e funzionalità la Meridiana (ossia «orologio solare») sul muro del campanile della Cattedrale di San Giusto.

Da queste sintetiche annunciazioni di fonte ufficiale si ricava la convinzione che siamo di fronte a una visione positiva, e soprattutto globale, dei miglioramenti da ap- portare a Susa per farne una città gradevole e fruibile. Il risultato complessivo finale dovrebbe essere non soltanto un miglioramento in termini di valori materiali, ma una non meno importante riappropriazione dell’identità storica cittadina, di città «capita- leÈ della Valle. Come considerazione finale a questa breve comunicazione su un complesso di fatti importanti per Susa (e non solo), vien voglia di citare il professor Francesco Al- beroni dal ÇCorriere della SeraÈ del 22 marzo 1999: ÇCome sembrano brutte le no- stre città tornando dall’estero». Dopo questo titolo di chiarezza inequivocabile, il fa- moso sociologo ha scritto: Ç...mi sono reso conto che siamo riusciti a degradare in modo incredibile il centro delle nostre città storiche» e cita come esempi Palermo, 182 183 Genova, Napoli. Incamminate su una brutta strada, secondo l’illustre studioso, anche Milano e Firenze. «Siamo l’unico paese d’Europa – scrive ancora Alberoni Ð che ha rinunciato a ogni programmazione dignitosa, che si è lasciato travolgere dal disordine, dalla prepotenza del brutto e del facileÈ. Non solo, ma ÇUn paese come il nostro, se perde la sua tradizione artistica, il sen- so della bellezza, del gusto, lo stile, perde la sua identità. Perde addirittura la sua mo- ralità, perché l’unica moralità del nostro patrimonio storico è l’armonia estetica e spi- ritualeÈ. Infine, lo scrittore Mario Tobino, dei suoi concittadini lucchesi disse che avevano fatto un’impresa grandiosa e unica nel nostro paese: conservare la loro città – Lucca – com’era da molto tempo.

(Altre illustrazioni nell’inserto a colori dopo la pag. 80).

184 Qui sopra: Via Francesco Rolando (ex Via dei Mercanti) con pavimentazione, fontana, panchine nuove. Nello sfondo l’imponente campanile della Cattedrale di San Giusto. Nella pagina a sinistra: Rinnovata e come una volta, Via Palazzo di Città con il Palazzo Comuna- le che dall’inizio del Settecento è sede di uffici della pubblica amministrazione. Accanto al Munici- pio la chiesa dedicata a San Carlo, con la facciata rifatta in stile tardo barocco. 185 A sinistra: Piazza Santa Maria, recuperata e abbellita. é un suggestivo angolo tranquillo della vecchia Susa all’ombra del campanile ro- manico della più antica chiesa segusina (seco- lo X). In basso: La facciata della Pretura di Susa (in Via Palazzo di Città) con gli stemmi gentilizi del secolo XV venuti allo scoperto recentemente.

186 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 187-190

Gianluca Popolla Il Museo d’Arte Sacra della Diocesi di Susa

Sul volume 36 di ÇSegusiumÈ ho avuto modo di presentare le linee fondamentali della Convenzione tra Diocesi di Susa e Regione Piemonte per il restauro di due im- portanti monumenti segusini: la Cattedrale di San Giusto e la Chiesa della Madonna del Ponte. A distanza di un anno, grazie a questo importante accordo, i lavori di ristruttura- zione per entrambi gli edifici sono in avanzata fase di esecuzione. Sotto la direzione dell’architetto Michele Ruffino, la Cattedrale, dopo il totale rifacimento del manto di copertura in lose, si sta vestendo di nuovo con il recupero e il restauro delle sue fac- ciate e la Chiesa della Madonna del Ponte si prepara ad ospitare il Museo di Arte Sacra della Diocesi di Susa. Il Museo verrà infatti ospitato in alcuni locali del complesso ec- clesiastico del Ponte, accanto all’aula adibita al culto, e nel suo nucleo iniziale occu- perà una superficie di circa seicento metri quadri, distribuiti in due piani. Il percorso museale prevede due ambiti espositivi: al primo si intende dare un ca- rattere permanente, in quanto proporrà gli oggetti d’arte più preziosi e significativi della Diocesi di Susa; al secondo si pensa di conferire un profilo dinamico, essendo destinato ad accogliere mostre annuali a tema, come quelle già realizzate negli anni precedenti. Ricordiamo a questo proposito ÇForme e colori per il servizio divinoÈ sui paramenti sacri dal XVII al XX secolo e ÇIl Tesoro della CattedraleÈ, entrambe realizza- te dalla Diocesi segusina insieme all’Associazione «Il Ponte». La nostra Chiesa locale è consapevole che l’uomo di oggi ha necessità di essere nuovamente nutrito di fede e di arte, di riscoprire che lo spirito del Vangelo è la sor- gente di tutto ciò che di bello l’uomo può produrre. I Vescovi toscani nella loro Nota pastorale pubblicata nel 1997 intitolata La comu- nicazione della fede attraverso l’arte, partono dal dato teologico che Dio, rendendosi visibile nell’incarnazione di Cristo, ha dato un nuovo ruolo alla visibilità, una nuova dignità all’esperienza visiva degli uomini. Le opere d’arte sono, come già sosteneva papa Gregorio Magno, una vera Biblia 187 Il logo vincitore del concorso. Sarà il simbo- lo-marchio del Museo d’Arte Sacra della Dio- cesi di Susa in fase di allestimento e che si conta di inaugurare nell’estate del 2000.

pauperum e riescono a toccare nel profondo le persone che le contemplano. Questa «Bibbia dei poveri» con il tempo è divenuta per molti versi incomprensibile alla no- stra gente e allora la Chiesa, madre e maestra, desidera guidare gli uomini e le donne di oggi alla comprensione dei tesori di fede e di cultura custoditi negli oggetti di arte sacra. Per tale motivo la nostra Diocesi affronta con determinazione la fase delicata di adeguamento interno dei locali della Chiesa del Ponte e di allestimento espositivo, operazioni che porteranno nell’Anno Santo del 2000 all’inaugurazione del Museo, si- gnificativo contenitore di fede e di cultura, dove il credente e il non credente saranno insieme pellegrini lungo i sentieri della creatività artistica, rispettosi interlocutori del passato, curiosi indagatori della misteriosa forza ispiratrice umana o/e divina che ori- gina ogni manifestazione d’arte. Nell’attuale fase di progettazione museologica e museografica è indispensabile ri- cercare e stimolare la collaborazione di quanti, in virtù delle loro specifiche competen- ze, possono illuminare e guidare il nostro passo verso la traduzione in atto del disegno museale. A questo riguardo la Diocesi di Susa ha fatto propria una mia proposta e nell’apri- le del 1998 ha lanciato un concorso di idee per giungere alla creazione di un Logo tipo per il nuovo Museo di Arte Sacra. Più di cinquanta sono stati i concorrenti che hanno aderito all’iniziativa da diverse zone d’Italia e la giuria presieduta dal Vescovo di Susa, mons. Vittorio Bernardetto, dopo aver attentamente valutato le proposte pervenute, ha deciso di premiare la realiz- zazione contrassegnata con la sigla 333. Il logo vincitore ha origine dalla composizio- ne di due elementi ritenuti fondamentali: la statua lignea della Madonna del Ponte e il ponte stesso che sorge a fianco della chiesa sede del Museo. 188 La luminosa architettura della Chiesa della Madonna del Ponte a Susa, dopo il recente restau- ro. Con alcuni ampi locali annessi è destinata a diventare sede del Museo Diocesano di Arte Sacra. 189 L’intento del realizzatore è stato quello di creare un logo compatto e di facile ge- stione in tutte le sue applicazioni. Nella composizione si è posta particolare attenzione alla leggibilità del marchio. La figura della Madonna e il disegno del ponte sono stati semplificati per non creare un conflitto grafico tra le due immagini. Per la scritta, il ti- po di carattere scelto intende evocare una scrittura di tipo amanuense. La Madonna e il Ponte, l’immagine sacra e profana, si fondono a sottolineare l’im- pegno assunto per la valorizzazione del patrimonio segusino dalla Diocesi di Susa e dalla Regione Piemonte. * * *

Valorizzare non è semplicemente sinonimo di conservare. Il nostro Museo, è bene dirlo, non intende diventare un deposito, sia pur efficiente e pulito, di anticaglie: così verranno chiamati gli oggetti che lo costituiscono se non riusciranno a parlare, se non diventeranno, al di là della loro bellezza artistica, «esca» per qualcosa d’altro, per un confronto, per proporci seriamente al mondo di oggi con la nostra cultura cristiana, con il modo di vivere e di pensare della Comunità credente. Per realizzare tutto questo il Museo è chiamato a diventare un laboratorio vivo do- ve si crea, si progetta, si cresce, si guarda al passato per costruire il futuro. Penso ad un luogo dove sacerdoti e laici avranno la possibilità di confrontarsi e dove la nostra gen- te potrà crescere, con un chiaro e semplice progetto-guida, nell’apprezzamento del- l’arte nelle sue molteplici espressioni e, attraverso la produzione artistica, giungere al- la conoscenza della nostra Tradizione cristiana, della Parola di Dio e del Deposito del- la nostra fede. Non possiamo permettere che le persone a noi affidate da Dio cerchino da sole, a volte male, a volte altrove, quel cibo di cui sentono la necessità e che abbia- mo il dovere di offrire loro. In questa prospettiva, il progetto museale di cui tratto vede necessaria la realizza- zione di un circuito culturale, animato da un Centro teologico, luogo di collegamento tra le diverse attività teologiche, culturali, catechistico-pastorali della Diocesi. Il Mu- seo, la Biblioteca del Seminario, l’Archivio capitolare e i tanti altri luoghi dove si con- serva la nostra memoria ecclesiale, potranno essere finalmente coordinati e valorizza- ti, resi pienamente fruibili da un moderno Centro di documentazione. Il continuare ad esistere di questi «Depositi della memoria» avrà dunque un senso: svolgeranno un preziosissimo servizio per la nostra Chiesa, saranno capaci di aiutare l’uomo di oggi a conoscere il passato, ad intendere il presente e a guardare senza paura il futuro. L’esperienza di tante piccole diocesi italiane dimostra che la riflessione che stiamo portando avanti non è inopportuna e priva di senso, ma è la logica conseguenza della seria analisi della società che ci circonda. In questo tempo che ci separa al grande Giubileo, si intensifica il lavoro per poter inaugurare il Museo nell’estate dell’anno 2000; ai muratori è affidato il duro e impor- tante impegno materiale, a tutti noi, sacerdoti e laici, comunità diocesana di Susa, il duro e altrettanto importante impegno progettuale, per costruire con coscienza e co- raggio il futuro cristiano della nostra Valle.

190 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 191-196

Maria Grisa Da 10 anni ÇAmici del PresepioÈ con impegno e bravura

Il presepio: passione, creatività, testimonianza di fede, riflessione, preghiera. Di quali «miracoli» è capace questa semplice ricostruzione della narrazione evangelica della nascita di Cristo! Contemplare un presepio è davvero percepire una muta e mi- steriosa predicazione che parla all’anima degli adulti e dei piccoli. (Il fantasmagorico e allegro albero di Natale non riuscirà mai a soppiantarlo, anche se oggi sembra avere il sopravvento). La suggestione del presepio ha sempre affascinato molti cuori: da quelli innocenti e puri di molte migliaia di bambini a quelli umili e ardenti dei santi; ha offerto ispirazione, fervore creativo a miriadi di artisti nel corso di molti secoli. Indimenticabili i favolosi presepi del ’700 napoletano, esposti nel Museo di Capodimonte, o i capolavori di tanti famosi pittori e scultori, o semplicemente di appassionati e provetti artigiani che hanno ideato e realizzato i più svariati presepi, da quelli grandiosi e imponenti allestiti nelle cattedrali a quelli in miniatura contenuti in un guscio di noce, come si possono ammira- re, per esempio, nel Museo Permanente del Presepio a Brembo Dalmine (Bergamo). E come contare i numerosi collezionisti che si interessano di filatelia del presepio, o si dedicano alla raccolta di cartoline aventi per tema la Natività, nonché di presepi veri e propri? Tra questi merita una particolare menzione un nostro stimato valligiano, Don Ettore Ghiano, pievano di Almese, che vanta la straordinaria collezione di oltre centocinquanta presepi Ð tra piccoli e grandi Ð provenienti da tutto il mondo.

Nella città di Susa, l’arte presepistica ha toccato, in modo tutto speciale, la sensibi- lità e l’entusiasmo di alcune persone che, una decina d’anni fa, hanno scoperto di ave- re la stessa passione fin dall’infanzia. Agli inizi il gruppo era composto da pochi mem- bri, oggi sono diventati numerosi e assai noti, anche fuori Valle. Sono appunto gli or- mai conosciuti ÇAmici del PresepioÈ. Tutto è iniziato verso la metà degli anni ’80, quando una persona geniale ed estro- sa, Giovanni Traversa, si trasferì da Torino a Susa per trascorrervi gli anni della pen- sione, accanto alla sorella. Nino (così veniva chiamato familiarmente) aveva sempre 191 La scena centrale del presepio allestito dall’associazione degli «Amici» nella Cattedrale di San Giusto a Susa. Fra le povere abitazioni, che si ispirano a quelle dei vecchi borghi di montagna, angeli e pastori sono stati i primi ad accorrere a Betlemme. Nella pagina a destra: Il presepio del Natale 1998 allestito dagli ÇAmiciÈ a Novalesa. posseduto doti di bravo prestigiatore, ma ora le sue capacità inventive si rivolgevano unicamente al presepio. Tutte le sue ore libere le dedicava a questo speciale, nuovo in- teresse; nascevano così tra le sue abili e instancabili mani, dei veri, piccoli capolavori artigianali, apprezzati e ammirati da molti. Tra le persone che lo stimavano ed erano attratte dai suoi originali e pregevoli la- vori, capitò un giorno un giovane che provava le sue stesse inclinazioni per questo ge- nere di hobby. Anche lui, Basilio Pusceddu, aveva una singolare e spiccata predilezio- ne, fin da ragazzo, per il presepio. Era inevitabile che nascesse fra i due un sodalizio artistico, ma prima ancora li ten- ne legati una sincera e profonda amicizia. La loro stima reciproca doveva durare nel tempo, finché non fu spezzata dalla «partenza» del vecchio maestro, avvenuta l’anno scorso, con tanto rimpianto dei molti che lo apprezzavano.

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Il 1988 fu l’anno del loro debutto. Per la prima volta si cimentarono nell’allesti- mento di un presepio, già in parte meccanico, presso la parrocchia di Sant’Evasio di 192 Susa. A loro si affiancò un terzo amico, Adriano Grassato, per curare la parte elettrica. Prepararono un presepio in stile rustico, francescano, alla maniera di Greccio, di bel- l’effetto, con grandiosi paesaggi in gesso e cartapesta, suddividendo la natività in due fasi: il giorno e la notte. Non vennero trascurati gli effetti sonori affidati a Gianfranco Olla. Fu un successo di giudizi e di pubblico; il primo di una fortunata, lunga serie. In- fatti, il consenso generale si ripeté puntualmente l’anno seguente, nella stessa sede, ar- ricchito però di varianti sceniche, musicali e plastiche. Il 1990 segnò una svolta importante per il presepio meccanico di Susa: venne tra- sferito nella Cattedrale di San Giusto per poter godere di maggiore spazio. Il tema ispiratore fu ancora quello tradizionale, legato a San Francesco e alla sua ingenua, in- cantevole interpretazione della natività. Preparato con cura ed esperienza consolidata, il presepio 1990 ebbe un’ottima riu- scita e richiamò molti visitatori anche dalla Valle e oltre. Con il Natale 1991 il presepio della Cattedrale di Susa diventa una vera attesa per tutti. La compagnia degli «Amici», che si industria di renderlo ancor più bello e ricco soprattutto di spunti spirituali, si allarga sempre più. Si aggiungono il pittore torinese Carlo Braccio per la parte iconografica, Mario Robotta ideatore di un’audiocassetta

193 con sottofondo musicale per la narrazione evangelica della nascita; la maestra Adriana Pesando (la cui prematura scomparsa ha lasciato un vuoto enorme in tanti cuori) inter- preta il presepio nel suo significato profondo, con afflato poetico e stupore quasi in- fantile nei suoi articoli su ÇLa Valsusa»; don Oreste Cantore (anch’egli purtroppo de- funto) amorevolmente, con umiltà e bravura offre le sue fraterne, preziose indicazioni agli ÇAmiciÈ. Sale sempre più l’afflusso dei visitatori, mentre la dedizione e la valentia dei nostri presepisti vengono ampiamente riconosciute e premiate con larghi apprezzamenti.

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Il presepio degli ÇAmiciÈ di Susa, pur nella tradizionale ispirazione di fondo, ogni anno si caratterizza per la scelta di un tema particolare. Nel 1992 è stata la volta – sempre nella Cattedrale di San Giusto Ð dei vecchi mestieri, ossia la vita semplice, agreste e pastorale, della Palestina di duemila anni fa. E la semplicità della vita come dote fondamentale di una società per molti secoli anche fra tante montagne. Poi è stata la volta dei pastori, gli umili per eccellenza, onorati come primi destina- tari dell’annuncio «della grande gioia»; per primi giunti alla grotta di Betlemme.

Nel 1994 il tema è stato la famiglia: una edizione piuttosto inconsueta, imperniata sulla figura di San Giuseppe, custode fedele del Bambin Gesù. In primo piano l’inti- mità della casa di Nazareth e l’assiduo lavoro quotidiano del capofamiglia. Un allesti- mento ricco di significato e di fascino anche per l’armoniosa policromia delle statue. Anno dopo anno, il presepio degli «Amici», le loro capacità tecniche, la suggestio- ne degli Çeffetti speciali», insomma la loro meritata notorietà si espande in Valle di Susa con un itinerario che lo porta anche a Novalesa e ad Avigliana. é un itinerario che verrà ripetuto costantemente negli anni successivi con nuove tappe anche a Rubia- na e Chianocco (per ora). Abbiamo avuto poi, nel 1995, anno dedicato alla donna, l’immagine di Maria (Çdonna ferialeÈ) collocata in primo piano. Quindi Çi Magi cercatori di luceÈ, con la loro sfarzosa carovana. È seguito poi il presepe sul tema di «Gesù salvatore del mon- doÈ (1997). Frattanto l’eccellente impegno degli «Amici del Presepio» ha recato dalla Sicilia due premi ufficiali del Concorso Presepistico Nazionale Praesepia Italiae e nel 1998, decennale dell’attività del Gruppo, anche la benedizione del Papa, insieme ai rallegra- menti del Presidente della Repubblica.

Gli ÇAmici del PresepioÈ, operosi quanto bravi e disinteressati nel loro impegno, non si sono limitati all’allestimento delle spettacolari, artistiche sacre rappresentazio- ni; hanno voluto e saputo costruire una cornice di attività, soprattutto a Susa, per inte- ressare, coinvolgere la popolazione, gli adulti, ma in special modo i piccoli. é stato organizzato, tra l’altro, il concorso «Il presepe nelle vetrine», sorprendente per numero di adesioni e per la creatività rivelata dei commercianti segusini. Ovviamente la festa della Befana ha interessato soprattutto bambini e ragazzi, mentre i concorsi su temi presepistici Ð anche nelle scuole Ð, insieme alle serate delle 194 Gli «Amici del Presepio» nel 1998 hanno creato numerose rappresentazioni della Natività di Gesù Cristo, ma hanno dedicato particolare cura a tre di esse, scelte come principali: Susa, Avigliana, Novalesa. In questa immagine il Presepio di Avigliana con la riproduzione dell’antico abitato e nel- lo sfondo, torreggiante, la Sacra di San Michele, straordinario monumento della Valle di Susa e simbolo della regione piemontese. varie premiazioni, sono state belle occasioni di autentiche feste allietate sovente dai ÇmaghiÈ, illusionisti e prestigiatori amici del compianto Nino Traversa. La musica, con i concerti corali e strumentali, rappresenta un altro ÇcontornoÈ di pregio nel mese in cui fa bella mostra l’annuale presepio meccanico ospite della Catte- drale, sposando felicemente tradizione religiosa e manifestazioni di cultura e di arte sempre gradite. Con soli dieci anni di attività e di presenza in Valle gli ÇAmici del PresepioÈ, asso- ciazione di Susa, sono stati capaci di diventare una presenza già solidamente tradizio- nale, una componente del panorama culturale valsusino fondato su un avvenimento che ritorna puntuale con le festività di dicembre e di gennaio, atteso e goduto da larghi strati della popolazione. Ossia, un successo, che è diventato un immancabile impegno da onorare per l’avvenire.

195 Sopra: gli ÇAmici del PresepioÈ organizzano anche manifestazioni per interessare soprattutto i più piccoli. Ad esempio, l’arrivo dei Re Magi a Susa: i costumi sono sfarzosi, il mezzo di trasporto improbabile per i tempi di Cristo, ma l’effetto riesce simatico e divertente. In basso: la Befana fra i suoi numerosi ammiratori segusini.

196 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 197-204

Franco Ghivarello La Valle di Susa nei sogni degli uomini del Nord

Le genti del Nord, allorché si sentono depresse dai cieli grigi, dalle brume, dalla pioggia o dalla neve, dagli sbuffi gelidi di tramontana, e pensano ad una evasione, so- gnano cieli azzurri, stormire di fronde nell’alito di blande aure, odori di essenze vege- tali forti, il gusto per le piccole soddisfazioni della vita quotidiana. Questa immagine stereotipata di Çcontrapposizione al NordÈ si compendia in una parola: Italia, là dove splende il sole (1). Come spiega sapientemente Wladimir Weidle nella mirabile esposizione Arti e Lettere in Europa: «...è molto interessante osservare come i legami assai antichi d’ordine economico che uniscono l’Italia agli altri Paesi mediterranei, come Grecia e Spagna, non sembra- no mai aver prodotto in questi Paesi, uno slancio interiore così irresistibile verso que- sta terra promessa, come quello che si è spesso manifestato presso i popoli transalpini. Anche se si guarda la sola Francia, si osserva la medesima differenza. Per la Provenza, l’Italia è una sorella, per la Languedoc, una cugina, ma per le province situate a Nord della Loira è piuttosto una fidanzata». «La Provenza ha vissuto per secoli in stretta comunità spirituale con l’Italia e se il Puget nel ’600, sta tanto bene a Genova quanto a Marsiglia, si trova spaesato a Versail- les. Se gli artisti meridionali hanno alcunché dell’Italia nel loro sangue e tanto possono impadronirsene quale musa ispiratrice come possono distogliersene, è Corot, figlio del Nord che la sogna e continua a sognarla quale ideale onirico anche dopo averla vistaÈ.

(1) Nonostante che l’Italia sia nella realtà un paese di «povertà naturale» per condizioni geo- grafiche e climatiche poco favorevoli all’agricoltura (fino a pochi decenni addietro principale attività), è per antonomasia «il bel paese», un giardino. Secondo Henry Longfellow (1807- 1882): Çé inutile che i viaggiatori ci raccontino di giornate, di settimane piovose, che Dante ci parli di neve e di gelate sull’Appennino; la nostra immaginazione non si raffredda, né il nostro entusiasmo si attenua. L’Italia sarà, come è sempre stata, la terra del sole e la terra del canto... la terra dei sogni e delle visioni delizioseÈ (ÇLezioni sulla letteratura italianaÈ). 197 «Se pensiamo ai Francesi che l’Italia ha più profondamente colpito i primi nomi che affiorano sono angioini (Du Bellay), normanni (Poussin), lorenesi (Claude), breto- ni (Chateaubriand, Renon), tutti del NordÈ. «Quanto a Stendhal, un vicino, era tuttavia separato dall’Italia tanto amata e affine, dalle altezze imperiose e nevose delle Alpi del Delfinato il che giustifica l’anomalia dell’essere uomo del Midi e del “cercare, con anima sognante”, come dice Goethe di Ifigenia esiliata che pensa alla “terra dei Greci”, l’Italia, attitudine propria degli uomi- ni del Nord in genere, non di chi, abitandovi vicino, se ne sente parenteÈ.

Quasi sempre questi artisti del Nord, di lingua tedesca, passano dalla Svizzera ita- liana o dall’Alto Adige-Trentino. Il paese rappresenta un luogo nel quale, subito oltre le Alpi, si manifesta l’anima del Sud nei suoi vari aspetti; la natura meridionale li affa- scina. Così Goethe, Arnt, Von Kleist, Von Scheffel, Hauptmann, Hesse, Rilke, ecc... si guardano intorno, con occhi sognanti colpiti da nuove sensazioni che vengono dalla natura meridionale, dal comportamento pittoresco dell’uomo del Sud (A. PEDROLI, I Maghi del Nord, Locarno). Ma meno note sono le impressioni di chi viene dal nord della Francia nella Çterra del Sole» attraverso il Moncenisio, ultimo dei valichi tra il Nord e il Midi dell’Europa, di quella serie di passaggi attraverso i monti che segnano la frontiera di Bonstetten tra l’uomo del Nord e l’uomo del Sud (L’homme du Nord et l’homme du Midi).

A. Dauzat per il quale la Val d’Aosta è una Savoia italiana sotto un cielo più meri- dionale, nota una differenziazione netta tra la rudezza montanara di questa e la grazia civettuola, tutta già italiana e meridionale della Valle di Susa. «Dopo il Moncenisio – ha scritto – ecco l’Italia, non più l’Italia rude e savoiarda della Val d’Aosta, ma l’Italia classica dalle case rosa, coi tetti rossi (a tegole medi- terranee) e cogli snelli campanili tipicamente italiani; l’Italia colle sue vigne, i suoi giardini, i suoi campi di granoturco, i suoi gelsi; l’Italia con l’aureola delle sue ric- chezze naturali, del suo passato e della sua gloria. La Valle di Susa ha parecchie ana- logie con l’attigua Moriana. Ma la fisionomia è completamente diversa: più ci si al- lontana dallo spartiacque, più le divergenze si accentuano, a misura che si precisano, avvicinandosi alla pianura, là i caratteri savoiardi, qui l’impronta meridionale italia- na. Il paesaggio presenta un curioso miscuglio di siccità e frescura. Rocciosi, bru- ciati l’estate sotto un cielo già meridionale, i versanti volti a sud temono soprattutto la siccità». ÇLa razza offre una contrapposizione sorprendente a monte e a valle di Susa. Nell’alta valle, il puro tipo montanaro, celto-ligure – figure severe, tratti forti, zigo- mi un po’ pronunciati Ð uomini tozzi, donne voluminose e compassate, gravemente vestite. Più in basso i tratti s’affinano, la taglia è più minuta, l’insieme più agile; il sorriso spesso provocante, rischiara il viso: è l’Italia che ha poco a poco risalito e colonizzato il fondovalle. Il Moncenisio è la grande attrattiva. Significa valicare le Alpi rapidamente per una facile strada e passare in qualche ora Ð meno di una con l’auto – dalla selvaggia Maurienne alle ridenti vallate del Piemonte di aspetto così meridionale!È.

* * * 198 Seconda metà del Settecento: un viaggiatore valica il passo del Moncenisio su «...una barella... fissata su due bastoni: è la vettura usata da tutti i grandi di questo mondo... Il prezzo, assai modi- co, un tanto a portatore, è stabilito dai regolamenti del Re di Sardegna» (disegno di George Kea- te, 1755). Era una traversata alpina emozionante che in improvvise situazioni sfavorevoli poteva diventare assai pericolosa.

E continuando l’analisi intrinseca della progressiva influenza della latitudine, Dau- zat riprende, il confronto tra Aosta dall’aspetto greve, montanaro, senza alcunché an- cora d’italiano, né lo stile, né la grazia, né il colore e Susa; il contrasto è completo e strabiliante. «Susa è l’avanguardia dell’Italia ai piedi delle Alpi, corridoio d’italianità alla so- glia della montagna savoiarda, attraverso cui passa la romanizzazione seducendola col suo fascino. Italiana, Susa lo è per il suo aspetto grazioso, per le sue strade percorse da due file di lastre di pietra, per i suoi campanili rosa e le sue chiese classicheggianti, per i villini del circondario, le vigne, la dolcezza del suo cielo, dei suoi orizzonti chiari che esaltano così profondamente la gioia di vivere. Non appena si abbandona la città in direzione della montagna, via via che si sale per una delle strade che attraverso i tornanti da dove ci si affaccia su un mare di tetti ammucchiati, – losa dell’Alpe poco a poco ricacciata e rimpiazzata dalla tegola d’Italia (quella che i francesi chiamano toit méridional o tuile méditerranéenne) – dominati dagli snelli campanili, – è già la Sa- voia che ha inizio, coi suoi villaggi cupi, il tipo umano, celtico, il suo patois, le cuffie e i costumi delle donne più apparentati a quelli d’Alvernia chè a quelli d’Italia o di ProvenzaÈ. 199 «Più a valle invece, i villaggi sono italianizzati, più aggraziati, con le case dipinte nascoste nei giardini tra vigne e fichi, con le finestre adorne di fiori. Lo scialle rim- piazza la cuffia sul capo delle donne; il piemontese, a mezza via tra italiano e proven- zale si sostituisce al patois savoiardo; la razza stessa, visibilmente più latinizzata, racchiude nel suo seno qualche tipo germanizzato, biondo, con occhi azzurri, che permette di ricostruire l’itinerario un tempo seguito nelle loro scorrerie da Franchi e LombardiÈ. «In settembre, quando l’ombra delle grandi montagne cade presto sulle valli già fredde o quando un’annata piovosa scaccia i turisti dalle stazioni d’altitudine savoiar- de o delle rive dei laghi, è generalmente sufficiente scavalcare il Moncenisio – così come il Gottardo in Svizzera – per ritrovare sull’altro versante il tepore, la luce meri- dionale, il cielo azzurro, il sole e le case rosa dell’Italia, che addolciscono la severità del decoro alpestre circostanteÈ.

Così lo scienziato Giuseppe Girolamo Lalande (1732-1807) scrive allo stesso pro- posito: ÇLa gran barriera delle Alpi che separa le due province di Savoia e Piemonte, e che rende i climi così, differenti, sembra porre quasi una barriera tra i cuori degli abi- tanti. Discendendo dal Moncenisio, si entra nella vasta piana lombarda che s’estende sino al mare Adriatico. Vi si riscontra pure un subitaneo cambiamento di clima, di lin- gua, di carattere, di costumi, di produzioni naturali e di specie animali: il giorno in cui si valica il Moncenisio, sembra di approdare ad un mondo nuovo. Il primo segno di questo cambiamento mi fu annunciato da specie di mosche luminose chiamate Luc- ciole o luccioli; era il 15 giugno 1765, una bellissima nottata; l’aria era punteggiata da questi piccoli animaletti fosforescenti sconosciuti al di là delle AlpiÈ.

* * *

Un altro segno caratteristico che a questa latitudine inizia un nuovo mondo è l’ap- parizione della lavanda, il fiore del Mezzogiorno che, abbondante sulle rive della Du- rance, deborda sul bacino dell’Isère per l’alto Oisans oltre il Col del Lautaret e per la valle del Drac, oltre il Col Bayard e il Col la Croix Haute sino all’altezza di Vif, oltre che sull’attiguo versante piemontese a sud della Dora Riparia. Insomma, si tratta, qui come altrove lungo i valichi alpini, dell’Alpe italiana che Dauzat dice: «combina dei possenti effetti di luce, colori e contorni, con l’opposizione dei suoi contrafforti nevo- si e del suo cielo meridionale ed a misura che poco a poco si discendono le valli la na- tura s’addolcisce con l’esuberanza di una vegetazione ibrida e disorientata sotto un so- le del Midi ed in vicinanza delle nevi eterneÈ. Toepffer, svizzero, definiva «incredibile la diversità di uomini e paesi offerti dai due versanti delle Alpi, e mentre in Moriana le montagne, senza ancora avere nessuno dei caratteri italiani o meridionali, hanno già perso quelli propri alle Alpi della Svizze- ra o della Savoia, non appena si supera il Moncenisio tutto è diverso da quanto visto dall’altra parte delle Alpi. Paesi, abitanti, cultura, senza contare dei fichi ovunque e l’uva data per niente, anche la vendemmia è permanente». Scendendo dal colle della Seigne, presso il Bianco, nota il graduale apparire di no- ci, frassini, fichi, pesche, vigne che segnano la transizione al clima meridionale (Viag- gi a zig-zag in Valle d’Aosta e Piemonte) e, giunto a Ivrea scrive su di essa: 200 Dalle ultime curve della strada discendente dal passo del Moncenisio quasi improvvisamente la vallata si apre con la veduta di Susa, dei suoi campanili e torri, del dominante Castello. Per i viag- giatori provenienti dal Nord Europa incominciava qui la desiderata Çterra dove splende il soleÈ. (Disegno di scuola francese di inizio secolo XVII).

«Ciò che colpisce, soprattutto dei Ginevrini, in tutte le città d’Italia, è la prodigiosa quantità di persone che si guadagnano da vivere passeggiando in piazza, o che lavora- no coricati sulle soglie delle loro botteghe. In certe ore, quasi tutto il giorno, è un far niente generale, abbastanza gaio e animato. E se in qualche posto si lavora sul serio, è con chiasso, con movimento, come accade da noi attorno ad un incendio che si tenta di spegnere o a un annegato estratto dalle acqueÈ.

Il Bonstetten, anche lui svizzero, nel suo ÇHomme du Nord et homme du MidiÈ scri- ve su un’importante definizione della linea di separazione di due umanità differenti: ÇIl primo effetto dell’influenza del clima sugli uomini si fa sentire attraverso un sentirsi un’altra persona, che ogni viaggiatore prova valicando le Alpi per andare al Sud. Ci si sente sbalorditi da questo influsso e, ogni osservatore delle sue intime sen- sazioni si ritrova diverso a seconda che si trovi di qua o di là di queste grandi barriere. Se è in Italia che arrivate, siete colpiti dallo splendore del cielo, dalla vegetazione lus- sureggiante, dalle vigne inghirlandanti da un albero all’altro. Tutte le tinte del paesag- gio sono cambiate, l’aspetto delle montagne non è più lo stesso; le valli profonde del- l’opposto versante delle Alpi non ci sono più; delle rocce nude, dentellate in vetta, paiono separare il cielo d’Italia da quello della Svizzera». 201 «Si è colpiti dal suono di una lingua musicale e sonora le cui espressioni esagerate sono accompagnate da una perpetua pantomima e d’un movimento nei muscoli del vi- so che stupisce gli abitanti del Nord. Giunti in Italia, il culto pubblico, la maestosità delle chiese, un tempo il costume dei religiosi, le processioni, la musica, le statue, le rappresentazioni, i canti sacri, gli abiti variopinti, il gesticolare animato degli abitanti, tutto, in breve, trasforma in sensazioni i sogni dorati del Nord e porta l’anima dalla ri- flessione interiore agli organi sensoriali esteriori. Noi vediamo quindi le Alpi separare dei popoli che non si rassomigliano affatto. Se poi valicate gli Appennini, tutti questi tratti del Mezzogiorno si rinforzanoÈ.

* * *

Vorrei concludere con una riflessione del Malvezzi sui commenti di Viaggiatori Inglesi in Valle d’Aosta del primo Ottocento: «Le impressioni che più ricorrono sono dovute al clima e all’atmosfera, ricono- sciute già di paese meridionale, che il comportamento della popolazione, seduta sulla soglia di casa piuttosto che radunata a chiacchierare in gruppo sulla piazza principale del villaggio, maggiormente accentua. Le coltivazioni varie, i vigneti disposti a filari e degradanti dai fianchi della montagna; i bianchi campanili disseminati lungo il percor- so del fondovalle a indicare un centro abitato, l’argenteo corso della Dora, i castelli o i loro ruderi appollaiati su punti dominanti, le trattorie con i pergolati per una comoda “siesta” all’ombra, le mulattiere polverose e sassose o i sentieri troppo esposti al sole, l’abbondanza di frutta, il chiassoso parlare degli abitanti anche nelle ore notturne al punto di ritenere che ad ogni momento possa nascere una rissa...È. ÇGiunti ad Aosta si prova la sensazione d’essere ormai giunti in una città meridio- naleÈ, scriveva il Trench scendendo il fondovalle da Courmayeur ad Aosta.

Si conclude così il colpo d’occhio su questo versante piemontese «sur lequel l’Ita- lie jètte déjà le sourire de son ciel et de ses artsÈ, e mi auguro ch’esso contribuisca a far nascere o crescere nel cuore del lettore, così come accade a me, ogni volta che una folata di vento tepido e profumato spesso di aromi antichi scende dalla Valle di Susa portandovi sentori di Provenza, il desiderio di correre incontro alla primavera sempre giovane lungo i sentieri di questo meraviglioso varco alpino e mediterraneo che affra- tella il Piemonte al Midi francese occitano con tutto il suo patrimonio di bellezza, leg- genda, storia e arte.

202 L’Ospizio del Moncenisio (ora sotto le acque del grande lago creato dalla diga) fu per molti anni il provvidenziale rifugio per i viaggiatori che qui trovavano non solo ristoro e riposo, ma spesso la salvezza, quando venivano sorpresi dalle tormente agli oltre 2000 metri del valico. (Disegno di Clemente Rovere del 1842). In basso: l’Abbazia di Novalesa, fondata nel secolo VIII, in Valle Cenischia, accesso a Susa per l’antica strada del Moncenisio (Rovere, 1853).

203 BIBLIOGRAFIA

PIETRO MALVEZZI, Viaggiatori inglesi in Valle d’Aosta (1800-1860), Edizioni di Comunità. A. DAUZAT, Un mois dans les Alpes, Hachette, Paris 1922. A. DAUZAT, Les Alpes du Piemont, Charpentier, Paris 1911. LALANDE, Voyage en Italie, 1765. BONSTETTEN, L’homme du Midi et l’homme du Nord, Ginevra 1824. LEONARDO CARANDINI, Il grande valico (Memorie sul Moncenisio), Segusium, Susa 1994 (ri- stampa). E. BIGNAMI, Cenisio e Frejus, Firenze 1875. M. BLANCHARD, Les routes des Alpes Occidentales à l’époque napoléonienne, Grenoble 1920. N. BARTOLOMASI, Valsusa antica (vol. II), Alzani, Pinerolo 1985. J. DERRIEN, Notice historique et descriptive sur la route du Mont Cenis, Anger 1816.

204 SEGUSIUM - RICERCHE E STUDI VALSUSINI A. XXXVI - VOL. 38 (1999) pagg. 205-207

Andrea Lomagno I segni della guerra

Tempo addietro, percorrendo la strada carreggiabile sterrata che conduce dall’abi- tato di Villar Focchiardo alla Certosa di Banda, ho potuto osservare un’incisione rupe- stre recente (datata 1944) che, per l’accuratezza dell’esecuzione e per l’originalità del testo, merita, a parer mio, una breve segnalazione. L’incisione è situata su di una liscia parete rocciosa di colore grigio, posta circa dieci metri a sinistra di un rudere che sorge all’inizio del primo tornante della strada sopracitata, subito al di là del ponte in cemento che valica il torrente Gravio. Essa con- sta di due scritte e di due stemmi, profondamente impressi nella roccia e recanti consi- stenti tracce dell’originale colorazione. Dei due stemmi, entrambi con dimensioni di cm. 60x40 circa, quello di sinistra non ha trovato sinora esatta interpretazione; quello di destra invece è risultato essere l’emblema della R.O.A. (in caratteri cirillici), la ben nota Armata di Liberazione Russa agli ordini del generale Vlasov (1). Da numerose fonti risulta che un piccolo contingente di questa formazione operò in Valle di Susa negli anni 1944-45. I suoi uomini erano utilizzati dai tedeschi essen- zialmente per attività di controllo e sorveglianza lungo la linea ferroviaria Torino-Mo- dane e della strada statale. Nelle immediate vicinanze dell’incisione rupestre esisteva una polveriera ricavata in una galleria appositamente scavata nel contrafforte roccioso. È più che probabile che l’autore del graffito, Leontjev, fosse uno dei militari posti a guardia di questo de- posito di armi e munizioni e che nei momenti di lunga attesa e di libertà dal servizio di guardia si dedicasse all’esecuzione dell’opera, che, visto il notevole grado di perfezio- ne, richiese certamente molti giorni di assiduo e abile lavoro per essere realizzata.

(1) L’Armata di Liberazione Russa fu costituita e comandata dal generale Andrei A. Vlasov. Essa rappresentò la forza militare del Libero Governo Russo, governo fantoccio creato dai tede- schi nelle zone russe occupate. L’armata era formata da due divisioni di fanteria, da una piccola forza aerea e disponeva anche di un’Accademia per la formazione dei propri ufficiali. I tedeschi utilizzarono la R.O.A. anche fuori dal territorio russo, in genere soltanto per compiti di scarso rilievo militare. 205 206 Prima della fine della guerra un gruppo abbastanza numeroso (30 circa) di soldati della R.O.A. operanti in Valle disertò e si unì ai partigiani che combattevano nella val- le del Sangone. Con una rapida ricerca condotta presso gli archivi dell’Istituto Storico della Resi- stenza di Torino ho potuto rintracciare il nome di questi soldati, e tra essi non figura quello di Leontjev, così come non compare negli elenchi dei caduti russi in valle di Susa. Probabilmente il soldato russo Leontjev rimase al fianco dei tedeschi sino alla con- clusione della guerra nell’aprile del 1945 e li seguì poi quando abbandonarono l’Italia per ritirarsi in Germania. Di quel soldato russo resta il graffito, testimone muto di quegli anni difficili: un modesto, ma significativo documento di storia contemporanea che la guerra ha lascia- to dietro di sé, inciso nella pietra in un angolo della Valle di Susa.

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Libri

La Valle di Susa e le vallate limitrofe sono argomento di una rag- guardevole attività editoriale. Sono pubblicazioni ispirate a molteplici temi; di livello, toni, ve- ste tipografica differenti: dall’opuscolo divulgativo alla ricerca sto- rica specialistica, ma tante, a nostro parere, meritevoli di segnala- zione. In questa rubrica non ospiteremo recensioni accademicamente raffinate, né esegesi approfondite. Ci limiteremo a chiare segnala- zioni, informando brevemente sui contenuti. In termini semplici, ma precisi, questa rubrica si propone perciò come un servizio ai nostri Soci e a tutti i Lettori di Segusium. Al tem- po stesso vuole rappresentare un riconoscimento dell’impegno, dei meriti di autori ed editori, che invitiamo a mandarci le loro opere. A partire da questo numero di Segusium la rubrica «Libri» è coordinata da Laura Grisa. (N.B. - Le segnalazioni non firmate, né siglate sono della Dire- zione-Redazione).

GIOVANNI LUNARDI - NATALINO BARTOLO- varie riunioni...È (MICHELA FIORE, Ç35 MASI - GIANLUCA POPOLLA: L’Abbazia di anni di impegno e cultura nelle Valli di Novalesa (726-1996), Comunità Bene- SusaÈ, Susa 1998, ÇSegusiumÈ n. 37). dettina della Novalesa - Alzani Editore, Completata l’informazione su questa Pinerolo, 1998, pagg. 248, ill., L. 25.000. fase preliminare della recente rinascita della Novalesa, diciamo subito che i tre La collana ÇStudi NovalicensiÈ dedi- ferrati coautori di quest’opera ci hanno ca il volume n. 2 alla Çmemoria del sena- dato di sicuro, e finalmente, una storia tore Giuseppe M. Sibille (1992) entusia- completa della celebre abbazia della Val sta promotore della rinascita della Abba- Cenischia, utilizzando al meglio i docu- zia NovalicenseÈ; insieme Ð aggiungia- menti scoperti in vari archivi (e non sem- mo noi doverosamente Ð e con lo stru- pre di agevole interpretazione). mento di ÇSegusiumÈ da pochi anni in vi- Quella dell’Abbazia della Navolesa è ta e che «...si è attivamente prodigata... e un percorso storico ricco, ma spesso in- uno fra i maggiori risultati da essa otte- tricato, con zone d’ombra che avvolgono nuti è stato il salvataggio dal completo la comunità religiosa, tra rovine, abban- abbandono del complesso abbaziale della doni, ritorni, ricostruzioni, rinascite: dal- Novalesa... Artefici principali furono al- la fondazione nel 726 quando Ð scrive cuni soci di “Segusium”: il prof. Gazze- Bartolomasi – «nasce all’interno d’un ra, primo presidente della “Pro Novale- movimento monastico-politico-culturale sa”, il suo successore prof. Ferrero e il di dimensioni europeeÈ. Il primo docu- sen. Sibille, che fin dal 1965 promossero mento, scrive ancora Bartolomasi, Ç...che 211 attesti un insediamento monastico in Val- TOLOMASI sui Monasteri in Val di Susa susa è, come si sa, l’atto del 30 gennaio (pp. 171-186), con particolare attenzione 726, in cui Abbone, governatore di Susa all’abbazia di Novalesa e alle fondazioni e di Moriana, fonda un monastero ma- di Santa Maria e di San Giusto a Susa, ac- schile in una località chiamata ÇNovalicis canto ad altri esempi minori. in ipso pago SegucinuÈ. Questi gli altri interventi al convegno: Poi la catastrofe con l’incursione dei G. COSSARD, Luoghi di culto megalitici Saraceni (e di altri probabilmente) nel (pagg. 11-14); M. FRASCHIA, ÇSignore 906; la fuga dei monaci, la dispersione delle cime...È. Croci, madonne e altro della preziosa, già notevole biblioteca, sulle montagne delle Valli Valdesi (pagg. per cui Ç...essendo stati dispersi per il 15-52); F. MATTIOLI, I Santuari del ritor- mondo i detti libri, è per noi un danno ir- no alla vita, segni di sacralizzazione al- reparabileÈ. pina con particolare riferimenlo alle dio- Seguì a non breve intervallo la rina- cesi di Novara, Aosta e del Vallese (pagg. scita (detta ÇprimaÈ, per distinguerla dal- 53-100); A. DE ANGELIS, La sacralizza- la ÇsecondaÈ di inizio Ottocento, sette- zione del territorio: croci, piloni, cappel- otto secoli più tardi). In mezzo, e poi fino le. Gli esempi della Val Varaita (pagg. ai nostri giorni, l’abbazia ha vissuto una 101-132); M. PICCAT, Da Marmora a storia importante, con bei capitoli, non Celle Macra, da Monterosso Grana a soltanto come comunità religiosa, ma an- Valgrana. Un cammino per la riscoperta che luogo di studi e di cultura che questo (pagg. 133-142); A. SCAVINI, Un percor- libro mette in evidenza con rigorosa, so medievale lungo la Serra d’Ivrea chiara completezza. (pagg. 143-168). Marco Fratini

Segni della religiosità popolare sulle Al- I trinceramenti dell’Assietta - A cura di pi Occidentali, atti del convegno (Susa, Guido Amoretti, Mario Federico Rogge- 13-14 settembre 1997) - Vercelli, Comi- ro, Micaela Viglino - Regione Piemonte, tato Scientifico Ligure-Piemontese-Val- Centro Studi e Ricerche sull’atchitettura dostano del Club Alpino Italiano, 1998, militare del Piemonte - Omega Edizioni, pagg. 186, ill. Torino, pagg. 266, ill., L. 45.000.

Nel volume, decimo della collana, fra Nel 250¡ anniversario della battaglia gli altri studi (in parte già editi) che han- dell’Assietta (19 luglio 1747) – impor- no lo scopo di porre in evidenza il lega- tante fatto d’arme verso la fine della me (spesso contrastato) fra montagna e Guerra di Successione austriaca Ð la Re- sacro, attraverso alcuni casi esemplifica- gione ha favorito la pubblicazione di que- tivi, compaiono anche due interessanti sto documentato volume cui hanno colla- casi relativi alla Valle di Susa e alla Valle borato, oltre al Comitato di redazione, Sangone: si tratta degli interventi di SIL- anche studiosi quali: Pier Giorgio Cori- VIO MONTIFERRARI su I piloni di Coazze. no, Gabriella Angela Massa, Andrea Bru- Un patrimonio storico e artistico da sal- no jr., Roberto Sconfienza, Fabrizio Zan- vare (pagg. 169-170) e di NATALINO BAR- noni. 212 sa quanto ricca, in un sito alpino dove ogni anno si celebra La festa dël Piemont, in luglio, e a ricordo della celebre batta- glia vinta da piemontesi, austriaci, volon- tari valdesi. Di quei trinceramenti vediamo oggi soltanto resti e tracce che le schede di Ga- briella Angela Massa e le antiche mappe ci rendono con bella evidenza, a dare l’i- dea di quanto notevole fosse quell’opera militare estesa per alcuni chilometri, de- gno teatro di una importante battaglia in uno splendido scenario delle montagne piemontesi. (t.f.)

Con il medesimo obiettivo di celebra- re il bicentenario della battaglia di Cosse- ria (fatto d’armi della prima campagna napoleonica in Italia), il Centro Studi sul- l’Architettura Militare del Piemonte e l’I- stituto Internazionale di Studi Liguri (se- Nel 1744 era iniziata l’invasione del zione Valbormida), a cura di Guido Amo- Piemonte da parte delle truppe franco- retti, hanno dato alle stampe nel 1996: spagnole con l’attacco alle valli della Do- Cosseria 1796 - Guerra, popolazione, ra e del Chisone. Nel 1745 fallì l’attacco territorio (Edizioni Omega, Torino). al forte di Exilles, non solo, ma l’esercito sabaudo di re Carlo Emanuele III, rinfor- zato da corpi volontari valdesi, ricacciò gli invasori fino al Sestrières. Quella ritirata aveva dimostrato Çla possibilità di percorrere abbastanza age- PIERLUIGI TOZZI - RENATO STOPANI - FA- volmente la dorsale alpina dal Sestrières BRIZIO VANNI - GIORGINA PEZZA TORNAMÉ all’Assietta», ossia la cresta fra Val Chi- - PAOLA CASTELLINI BIANCOSPINO - GIAN- sone e Valle di Susa (o della Dora). CARLO BARUFFI: La via francigena in Di questa possibilità strategica si era Lombardia - Storia e cultura di una ben reso conto lo stato maggiore del re di strada medioevale. A cura del Centro Sardegna e il capitano del genio Giusep- Studi Romei (Firenze) - Editoriale Gli pe Vedani provvide a far eseguire gran- Arcipressi, Firenze 1998, pagg. 80, L. diosi lavori difensivi in alta quota: trin- 30.000. cee, parapetti, ridotte e altre opere difen- sive sorsero così con lo scopo di sbarrare La città di Mortara, la Provincia di il passo ai franco-spagnoli e impedire lo- Pavia e il Centro Studi Romei hanno pro- ro la calata su Exilles e in Val di Susa. mosso, insieme ad altri enti (fra i quali la Sono appunto quelle fortificazioni ol- Regione Lombardia, Il Comitato Episco- tre i 2000 metri di quota che il volume il- pale delle Diocesi Lombarde per il Giu- lustra con una documentazione scrupolo- bileo) la pubblicazione di questo volume 213 di grande formato, inteso a illustrare il Nella primavera del 1995 l’Editrice Il percorso in terra lombarda, ma soprattut- Punto - Piemonte in Bancarella di Torino to ÇpaveseÈ, della Via francigena. pubblicò Erano onorevoli e galantuomini Dopo aver attraversato ÇVallem Se- di Tullio Forno, una ricerca su un terreno gusinamÈ (Moncenisio-Valle di Susa) e quasi inesplorato; ossia la storia dei col- ÇVallem AugustanamÈ (Gran San Ber- legi elettorali di Susa, Condove, Aviglia- nardo-Valle d’Aosta), a ovest di Pavia nel na in Valle di Susa e in Val Sangone, con suo pianeggiante percorso principale il brevi biografie dei deputati valsusini ne- famoso itinerario toccava Mortara, Tro- gli anni cruciali che portarono all’unità mello, Garlasco, Gropello, S. Spirito; a d’Italia. est Belgioioso e Corteolona. Poi entrava Ora, a tre anni di distanza, il Centro nel Piacentino piegando decisamente in Studi Piemontesi pubblica una nuova edi- direzione sud, verso Roma. zione del bel saggio di Carlo Pischedda: Il volume, in brevi, chiari capitoli ben 1848. Il vecchio Piemonte liberale alle illustrati e con buon corredo cartografico urne. ci illustra: ÇLa genesi di una stradaÈ; ÇIl Lo Statuto promulgato il 4 marzo sistema viario romano in LomellinaÈ; Lo- 1848 da re Carlo Alberto prevedeva al- mello haut lieu dell’arte romanica lombar- l’articolo 3: «Il potere legislativo sarà daÈ; ÇL’itinerario della via francigena dal collettivamente esercitato dal Re e da due Po a VercelliÈ; ÇOpicino De Canistris: vita Camere: il Senato e quella dei DeputatiÈ. e opereÈ; ÇMortara nella letteraturaÈ; ÇLe Tredici giorni dopo, 17 marzo 1848, ap- Strutture ricettive e assistenziali lungo il parve il regio editto n. 680 Çche stabiliva, percorso»; «La singolarità del messaggio a completamento dello Statuto albertino, mortarienseÈ; ÇI segni del pellegrinaggio: le norme dell’ordinamento elettorale del messaggi e simboli, reliquie e culto dei regno di Sardegna...È per la Camera dei santi»; «La moltiplicazione delle “vie Deputati. Come scriverà poi nel 1967 francesche”», «La viabilità in Lombardia Giuseppe Maranini, quella legge creava all’epoca dei primi Giubilei»; «I Cister- l’ossatura del nuovo regime rappresenta- censi in LombardiaÈ; ÇL’evoluzione della tivo Çstabilendo le basi del diritto eletto- viabilità pellegrinale nel Pavese dall’alba rale italiano fino all’introduzione della del millennio al primo GiubileoÈ. proporzionale nel 1919È. Un sommario tanto dettagliato spiega Dunque, per oltre 70 anni, le regole a sufficienza il contenuto del bel volume elettorali stabilite nel 1848 funzionarono (regalo dell’amico medico Francesco Pa- complessivamente bene, garantendo mol- petti di Mortara) che ha nella semplicità te volte il regolare rinnovo della Camera descrittiva un altro pregio non da poco. dei Deputati. (t.f.) Il professor Carlo Pischedda, con la consueta competenza e chiarezza esposi- tiva, illustra l’avvio del regime parlamen- tare costituzionale, di basilare importan- za per la vita dell’Italia contemporanea. Quella del marzo 1848 era una legge, che CARLO PISCHEDDA: 1848. Il vecchio Pie- con qualche aggiustamento suggerito dal- monte liberale alle urne - Centro Studi l’evolversi dei tempi, onora la saggezza Piemontese/Ca dë Studi Piemontèis, To- senza orpelli e inutili complicazioni dei rino 1998, pagg. 184, con cartine. nostri padri risorgimentali. 214 CARLO PISCHEDDA: Esercito e società in grande storico militare del Risorgimento Piemonte (1848-1859) - Società per gli il quale affermò che «...l’esercito pie- Studi Storici di Cuneo, Società Storica montese, come l’aveva costituito Carlo Vercellese, Cuneo-Vercelli 1998, pagg. Alberto, non era per nulla in grado di ri- 128, ill. spondere alle esigenze d’una grande guerra nazionale...È. Vero, ma con un paio di precisazioni: pochissimi Ð tra questi non il re di Sardenga Ð pensavano nel 1848 a Çuna guerra nazionaleÈ contro l’impero austro-ungarico; in secondo luo- go l’esercito piemontese del 1848 era so- prattutto concepito e armato per la guerra difensiva. Inoltre, per un esercito Çnazio- naleÈ sarebbero occorsi mezzi economici e uomini che il Regno di Sardegna non aveva in misura adeguata. Con simili premesse, limiti e caratte- ristiche la I Guerra d’Indipendenza aveva un esito quasi scontato, anche se i tempi richiesero al Regno di Sardegna di farla ugualmente (almeno la campagna del 1848).

AUTORI VARI: Mario, Marta, Audiface e Nel n. 36 di Segusium un pezzo nella Abaco martiri venerati nel Santuario di sezione ÇRicerche e StudiÈ ha illustrato Caselette - Caselette (To), Parrocchia di le vicende di ÇUna leva militare a Susa San Giorgio 1993, pagg. 230, ill. negli anni del RisorgimentoÈ. Soccorre adeguatamente in materia il Non è un libro di recente edizione, noto saggio del professor Carlo Pisched- non è neppure in commercio e per averlo da per tratteggiare l’ordinamento milita- bisogna rivolgersi alla parrocchia di Ca- re piemontese fra la prima (1848-1849) e selette. Lo segnaliamo perché (pervenu- la seconda (1859) Guerra d’Indipenden- toci in gradito omaggio) a nostro avviso, za. Soprattutto viene studiato il tipo di oltreché iniziativa interessante, è una me- reclutamento, i criteri per l’arruolamen- ritoria opera di storia locale, costruita con to, le esenzioni, le sostituzioni, alla luce una ricerca a largo raggio, per scoprire della «cultura militare» dell’epoca e del- connessioni significative geograficamen- l’organizzazione dei due modelli allora te lontane, sulle tracce delle Çragioni del- più in auge, quello francese e quello le loro venerazioni, del loro ricordo al- prussiano. l’imbocco della Val di Susa, a Caselette, Com’è ovvio, l’autore fa spesso rife- ma anche in altre località italiane, in rimento alle opere del prof. Piero Pieri, Francia, in Belgio, in GermaniaÈ di que- 215 sti santi dei quali Ð Audiface e Abaco (fi- Padre Luigi Arioli, rivierasco della gli di Marta e Mario) Ð Çquasi sconosciu- sponda lombarda del Lago Maggiore, tiÈ. nacque a Laveno nel 1916. é morto sulla Si incomincia da ÇIl Cristianesimo Ð sponda piemontese, a Stresa, nel 1998. La Chiesa di Roma - Le persecuzioni - Il Il confratello rosminiano Umberto martirio di Abaco e sociÈ per arrivare fi- Muratore ne ha curato, postumo, questo no ai giorni nostri al santuario ed è un’o- corposo volume sulla ÇVita della Sacra di pera a più mani: Paolo Vota, Dario Vota, San MicheleÈ fino al secolo XIV. La pre- Carlo Alberto Gazzelli di Rossana, Giu- fazione annuncia un prossimo secondo seppe Regaldi, Pietro Bossù, Giuseppe volume; un terzo Çfino ai ai tempi attua- Vota, Silvio Tallia, Pietro Morabito, Fir- liÈ sarebbe ÇinteressanteÈ. mino Bunino; oltre a uno stuolo di altri Nella dedica padre Arioli ha espresso collaboratori doverosamente citati nelle le sue intenzioni, ha riassunto l’interesse, ultime pagine. gli stimoli che lo hanno sollecitato e si ri- volge ÇAi visitatori della Sacra che non si accontentano di guardare ed esprimere meraviglia, ma osservano e desiderano conoscere le intime fibre di un monumen- to che non ha confronti e vogliono cono- LUIGI ARIOLI: Vita della Sacra di San scere la vita di un monastero, riferimento Michele della Chiusa - Dalle remote ori- significativo nella storia medioevaleÈ. gini al secolo XIV - Edizioni Rosminiane, Da questi propositi nasce una inter- Stresa 1998, pagg. 484 (formato grande), pretazione del complesso Çmonumento ill., L. 50.000. SacraÈ che non si limita a rilevare la spet- tacolare architettura sulla vetta di un monte, a circa 1000 m. di quota, ma vie- ne rivissuto – anche con un po’ di imma- ginazione – nell’evolversi quotidiano, nel cammino spirituale, nelle vicende stori- che lungo il difficile percorso dei secoli del Medioevo. Don Arioli era maestro, poi conseguì la maturità artistica, quindi l’abilitazione all’insegnamento del disegno, attività di- dattica che esplicò per un quarantennio negli istituti rosminiani di Domodossola e di Stresa. Questa sua abilità artistica e l’amore per la Sacra gli hanno permesso di visualizzare, con gran parte delle illu- strazioni del grosso volume, il monumen- to cha amava, a partire dal primo incon- tro nel 1946. L’autore, senza pretese né letterarie, né di specialista della storia (tale si di- chiara modestamente) racconta con toni accattivanti e persuasivi catturando l’in- 216 teresse del lettore, tanto più se appassio- V. CIAN, ÇIl Mistero di SalbertrandÈ; C. nato del monumento simbolo del Pie- BLANDINO, ÇL’histoire di Saint Jean monte. BaptisteÈ - CeRCA, 1998, pagg. 44. Ne nasce un felice connubio fra archi- tettura-arti figurative e storia-racconto, All’inizio del marzo 1998 si svolse a sviluppato lungo sei itinerari con lo svol- Bardonecchia e a Susa il convegno ÇMy- gersi dei secoli, dedicato alla Sacra, mo- stères»: la rappresentazione del sacro in numento che Ç...rappresenta un fatto sor- Italia e in FranciaÈ, organizzato dal CeR- prendente: è stata costruita attorno ad un CA, con l’intervento di vari studiosi di corno di roccia, sulla punta si stende questa materia che rappresenta molteplici l’ampio piano di una chiesa... Come è po- aspetti impegnativi, dalla teologia al tea- tuto sorgere un complesso tanto ardito e tro, dall’arte dell’affresco alla guerra grandioso? Come si viveva in questo ri- (ÇIntitolazioni santoriali nelle fortezze cetto immerso nello spazio?È. sabaude delle Alpi occidentaliÈ). A queste domande don Arioli rispose In occasione del convegno gli orga- organizzando il libro in sei parti: nizzatori hanno pubblicato in anastatica ÇI - Dai tempi remoti fino al compi- un volumetto di 44 pagine che si compo- mento del Santuario ad opera dell’eremi- ne di due brevi saggi: ÇIl mistero di Sal- ta Giovanni Vincenzo (la Sacra vera e bertrandÈ di Vittorio Cian, datato 1912, e propria). ÇL’histoire de Saint Jean BaptisteÈ di II - La costruzione del monastero, Clemente Blandino, apparso nel n. 6 di della foresteria, della chiesa abbaziale e ÇSegusiumÈ, agosto 1969. delle dipendenze promosse da Ugo di Clemente Blandino, cultore di sacre Montboissier. rappresentazioni, ricercatore e trascritto- III - Profilo della storia dell’abbazia re di testi antichi di tali opere in Valle di vista in sé e nelle sue relazioni con la sto- Susa, è stato per un decennio il primo di- ria del tempo. rettore di questa rivista. IV - Ordinamento e vita dei monaci all’interno del monastero e nelle funzioni signorili. V - Il monumentale ingrandimento del monastero e della nuova chiesa, du- rante i secoli XII e XIII. MAURO MINOLA: Assedi e battaglie in VI - Profilo storico delle sorti che ac- Valle di Susa e Val Sangone - Susa Libri, compagnarono gli abati eletti dai mona- Sant’Ambrogio 1998, pagg. 152, ill., L. ciÈ. 32.000. Tutta questa copiosa, multiforme ma- teria, viene sviluppata per descriverci un Mauro Minola, laborioso, attento ri- raro, grandioso monumento, perché «La cercatore-divulgatore di storia militare, Sacra non solo merita di essere visitata, dopo una vasta opera sulle fortezze, ha da- ma esige di essere conosciuta, per essere to alle stampe questa serie di fatti d’arme godutaÈ. delle Valli Susa e Sangone nel corso di va- In questo itinerario religioso, storico, ri secoli: dalla battaglia delle Chiuse (se- artistico don Luigi Arioli ci accompagna colo VIII) allo Chaberton (giugno 1940). In assai bene con le parole e con i disegni. tutto 19 episodi talvolta cruciali per il de- Con i modi e i toni di un amico. (t.f.) stino di queste due valli. Collegate a que- 217 gli episodi restano numerose fortificazioni di vario tipo e non pochi tracciati stradali. Con l’attenzione dello storico, Minola mette a punto i fatti, i nomi, le date, facen- do anche giustizia di alcuni luoghi comu- ni e di racconti approssimativi quanto fa- volosi. Questo, sia chiaro, senza nulla to- gliere alla scorrevolezza della narrazione e lontano da inutili, repulsive saccenterie. In conclusione, un libro utile, come alla fine risulta anche un glossario per dirci in pochi parole chiare che cos’è il ÇrivellinoÈ, un ÇbastioneÈ, la Çcaponie- raÈ, la ÇtenagliaÈ, il ÇdongioneÈ e via di- scorrendo. Tutto a beneficio di una buona informazione storica per molti.

FRANCIS TRACQ - GIORGIO INAUDI: Pasto- ri, contrabbandieri, e guide (Bergers, contrebandiers et guides) tra Valli di Lanzo e Savoia - Editrice Il Punto, Tori- episodio di una lunga storia vissuta da no 1998, pagg. 288, ill. cacciatori, contrabbandieri, mercanti, pellegrini, emigranti, soldati, personaggi Nella collana ÇIn sedicesimoÈ della noti, fuggiaschi, alpinisti. editrice ÇIl PuntoÈ questo libro racconta La seconda parte del libro è la descri- come la lunga barriera di roccia che quasi zione dei percorsi escursionistici da Bal- mai scende sotto i 3.000 m. fra le Valli di me a Bessan (e viceversa) in un tratto Lanzo e l’Haute Maurienne (Savoia) non dell’Arco alpino tra i più suggestivi. abbia impedito in ogni tempo regolari È un’opera a due voci, con testo in contatti fra i valligiani dei due versanti. italiano e in francese. Due gli autori: Non siamo in Val di Susa, ma la mon- Francis Tracq di Bessan, ma residente a tagna raccontata e rivissuta in queste pa- Parigi, collaboratore delle società stori- gine ha un gusto così autentico, così ap- che savoiarde (ÇAmis du Mont-CenisÈ propriate sono le illustrazioni che segna- compresa); Giorgio Inaudi, torinese, pas- liamo volentieri il libro ai nostri lettori. sa il tempo libero nella casa dei suoi an- Tra l’altro queste montagne – conti- tenati ai Cornetti di Balme e si dedica al- gue alla Valle di Susa – costituiscono l’i- la valorizzazione della cultura popolare tinerario che scelse anche il vescovo Lo- delle Valli di Lanzo e dell’Arco alpino. dovico di Gorrevod nel 1535 per portare Due studiosi, appassionati della mon- la Sindone da Chambéry a Torino, evitan- tagna come questi era naturale che scri- do di percorrere valichi ben più agevoli. vessero un libro in comune, in perfetto Il passaggio della Sindone non è che un accordo di sentimenti e di conoscenze. 218 DOMENICO MAVERO: Novalesa: ambiente Maurienne «...a connu évacuations, inva- storico e geografico - Edizioni Pentarco, sions, occupations, pillage, combats, in- Torino 1990, pagg. 132, ill. cendie...È. Ossia tutto il campionario di fattacci caratteristici delle guerre. Il novantenne professor Mavero, ex- Per non dimenticare quegli anni si è insegnante torinese innamorato della Val- stampato questo libro, che va dal 1938 al- le di Susa e in particolare di Novalesa, l’inizio della guerra (settembre 1939), fi- «dove si ritira in alcuni periodi dell’an- no all’entrata nel conflitto dell’Italia (10 no», ci ha regalato questo suo libro che è giugno 1940). Fu, purtroppo, tempo di una testimonianza di affetto per una pic- sfollamento dei civili, di operazioni mili- cola regione alpina ricca di bellezze natu- tari iniziate nel giugno 1940, cui seguì rali, di antiche memorie storiche, di sug- l’armistizio (24 giugno 1940), il ritorno gestioni artistiche, religiose (e anche fa- di gran parte della popolazione ai paesi di volistiche). residenza. Basta la sequenza dei capitoli per de- ÇQuattro giorni di operazioni militari finire il quadro degli interessi e dei senti- avevano permesso alle truppe italiane di menti dell’autore: «Gita a Novalesa»; occupare la Haute-Maurienne senza abi- «Sant’Eldrado e l’Abbazia di Novalesa»; tanti e priva di difese di prima linea...È. ÇIl mondo preistorico e fiabesco della Val Restò in piedi l’amministrazione civile CenischiaÈ; ÇPictur fuit Jo. Oldradus francese, ma tre commissari italiani sor- Perrinus de NavalicioÈ; ÇIl culto della vegliavano i Comuni e regolavano i rap- Madonna a NovalesaÈ. Svariati temi, con porti con le autorità militari dell’Italia. parecchie illustrazioni, per Çtracciare un L’autore attribuisce all’Italia l’inten- excursus agevole ed esauriente insieme zione di Ç...faire revenir la Savoie, qui sul monastero e su ciò che esso ha signifi- avait opté pour la France en 1860...», os- cato nell’arco dei secoli, fino ai giorni no- sia di recuperare la terra di origine della striÈ, come si legge nella presentazione. dinastia regnante italiana. Al di là di ec- cessi propagandistici e degli slogan bat- taglieri di quegli anni, si può avere più di un dubbio in proposito.

RENÉ MILLERET: La guerre 1939-1945 en Haute-Maurienne - Societé d’Histoire et d’Archeologie de Maurienne, Saint-Jean- de-Maurienne, volume XXXI, 1997, pagg. ANDRÉ DUPOUY: Ma ville à l’heure ita- 176, ill. lienne (Chronique du canton de Modane pendant l’occupation italienne) - Societé Nella celebrazione per il mezzo seco- d’Histoire et d’Archéologie de Mau- lo della conclusione dell’ultima Guerra rienne, volume XXXIII, Saint-Jean-de- mondiale (1939-1945), dopo la prefazio- Maurienne 1997, pagg. 192, ill. ne di Jean Prieur Ð buon amico di ÇSegu- sium» – la Società Storica della Maurien- Il racconto di questa parte della Se- ne ha dato alle stampe questa documenta- conda Guerra Mondiale, nella zona di ta testimonianza delle sofferenze in un’e- confine sulle montagne tra Italia e Fran- poca assai turbolenta nella quale l’Haute- cia, inizia l’11 novembre 1942, giorno in 219 i problemi dei rifornimenti alimentari e dei trafficanti (n.d.r. nella Çborsa neraÈ), le speranze e i guai..., i collaborazionisti e i residenti...È. Tuttavia l’autore – che si definisce historien amateur Ð ammette lealmente che «...l’occupazione italiana, fortunatamente, non ha nulla da spartire con l’occupazione tedesca...», ben più dura, spesso brutale. Fatti e personaggi di dieci mesi di sto- ria recente ci danno una documentata im- magine di questa regione della Francia che conosciamo bene. Bisogna però pre- cisare che si trattò di una occupazione un po’ speciale: da parte degli occupanti: per la posizione strategica di Modane all’im- bocco del tunnel ferroviario del Fréjus e per la presenza in città di una numerosa colonia di italiani che vi risiedevano e vi lavoravano. L’autore, un insegnante nato nel 1918 cui avvenne l’occupazione militare effet- e arrivato qui nel 1939, ci racconta con tiva della stazione e della città di Moda- documenti e testimonianze questa storia ne; soprattutto la prima, gestita, fino a di una occupazione militare sicuramente quel giorno, ancora secondo le regole atipica, della quale è bene avere un profi- delle stazioni internazionali, in accordo lo preciso. Come dev’essere per ogni pe- fra i due stati confinanti. riodo della storia. Quell’11 novembre, invece, un mer- coledì, fu soppressa la celebrazione del- l’armistizio della Prima Guerra Mondiale tradizionalmente organizzata dalla Lé- gion Française des Combattants; Moda- ne era deserta per ordine del Prefetto del- La Valle di Susa - Alla scoperta dei beni la Savoia e improvvisamente arrivò in culturali minori nei lavori dei ragazzi stazione un treno non previsto dagli ora- delle scuole - Edizioni Morra, Condove ri, armato di mitragliatrici e dal quale (TO) 1996. scese un reparto di alpini. I soldati Çpro- tetti dalle mitragliatrici entrano facilmen- Avigliana, Bussoleno, Caselette, Su- te nella stazione: ufficio di polizia, la do- sa, Torre del Colle, Vaie. Sei località del- gana, gli uffici della Società ferroviaria e la valle di Susa con una loro peculiare fi- della posta, nell’atrio, nel bar-ristoran- sionomia legata all’arte, alla storia, al fol- te...È. clore, alla leggenda, alla vita del passato Quell’occupazione militare durerà fi- nelle sue molteplici vicissitudini ed no al 9 settembre 1943, ossia dieci mesi, aspetti. Çcon tutte le conseguenze che questo si- Altrettanti gruppi di studenti della gnifica per la vita della popolazione, con Scuola dell’obbligo di queste città e paesi 220 in uno o due anni di attività didattica si fotografie, documenti e di altre tecniche sono cimentati nella scoperta dei beni di analisi. Un’indagine molto curata, illu- culturali (minori e non) di dove vivono. strata da splendide fotografie e da signifi- Il passato e il presente, quindi, in un in- cativi disegni, da cui sono emersi amore contro proficuo, costruttivo, come risulta ed attaccamento al proprio luogo da parte dai loro lavori raccolti nel libro, uscito tre di tutti, grandi e piccoli. I ragazzi se ne anni or sono. sono fatti portavoce. Lavori che li hanno portati a vedere, I numerosi gruppi e le varie associa- osservare, ascoltare, raccontare, costrui- zioni, nonché le attività sportive e ricrea- re, disegnare, ammirare, apprezzare, fare tive Ð in tutto, oltre una ventina Ð permet- memoria di quanto hanno visto molte tono di cogliere la fisionomia dinamica e volte o con indifferenza o distrattamente, poliedrica della città che offre molteplici limitandosi ad una memorizzazione em- possibilità di aggregazione e di espressio- pirica e superficiale. ne, tra cui, le feste ÇTutti in piazzaÈ, ini- La Scuola Media ÇDefendente Ferra- ziativa del Comune, allo scopo di far in- riÈ di Avigliana ha fatto oggetto dei suoi contrare la gente nelle serare estive. I ra- studi le incisioni rupestri, le meridiane e gazzi della II C della Scuola Media ÇBar- gli orologi solari, e anche la progettazio- tolomeo GiulianoÈ di Susa, sotto la guida ne di un pieghevole. Un itinerario partito dell’ins. di Educazione Artistica Paola dalla cultura vissuta, assorbita dal pro- Zani Delvò si sono interessati a Susa Ro- prio ambiente quotidiano, per una sco- mana di cui hanno preparato una guida. perta delle proprie capacità e risorse per L’iter didattico, dopo lo studio degli leggere, interpretare, far rivivere il passa- elementi architettonici e delle strutture to nel presente. murarie ha preso in esame Porta Savoia, Le classi elementari (V sezione A e B) l’Arco di Augusto (con un’analisi parti- del plesso scolastico ÇNostra Signora di colare del fregio), le Terme Graziane, LourdesÈ di Bussoleno, seguite dalle in- l’Arena. Il percorso consigliato al visita- segnanti Eurosia Buizza e Maria Carla tore è corredato di una pianta della città. Spina Allasio hanno programmato un in- Un lavoro utile, chiaro, lineare, ampia- teressante percorso didattico che le ha mente illustrato. Per quanto riguarda i te- portate a conoscere le borgate e le cappel- sti, i ragazzi sono stati seguiti dall’ins. di le di Bussoleno. Quindici tappe raggiunte Lettere Rosa Stolfi Lo Monaco. con una metodologia che ha incluso pure Susa Medievale è stata oggetto della la costruzione di tabelle, istogramni, ricerca della classe II A Ð sempre della schede esplicative e riassuntive da parte stessa Scuola Media – guidata dall’ins. di degli alunni, dopo le uscite a gruppi sul Lettere, Rosita Ciotti e ancora dalla stes- territorio. sa insegnante di Educazione Artistica. Un lavoro completo, perché non si è Nella presentazione, la professoressa limitato agli aspetti geografici od archi- Ciotti scrive, tra l’altro, che il lavoro «do- tettonici, ma ha interessato anche aree veva servire solo ad obiettivi didattici: matematiche, sociali, linguistiche e reli- osservare, analizzare, descrivere. Poi il giose. risultato è sembrato gradevole, i ragazzi I ragazzi della IV e della V delle hanno ricercato notizie e, ritenuto che al- Scuole elementari di Caselette hanno cuni scorci meritassero un’illustrazione, proposto uno studio relativo al loro pae- l’hanno fatta con i disegni; a questo pun- se, frutto di interviste, ricerche, notizie, to era un peccato non conservare il tuttoÈ. 221 La pianta della città medievale, le vie sto, evidenziano partecipazione, collabo- strette e i portici concludono un’attività razione, inventiva, assimilazione, acqui- didattica curata anche sotto l’aspetto ico- sizione di terminologia specifica e padro- nografico. nanza dei concetti chiave della disciplina Nell’anno scolastico 1992-93, la presa in esame. prof.ssa Corigliano (Lettere) e il prof. Ta- Per i più piccoli, si coglie un’efferve- basso (Scienze matematiche) della classe scenza nel costruire e nel modellare, un II D (Tempo Prolungato) della Scuola uso della manualità come propellente e ba- Media ÇRiva RocciÈ di Almese aderisco- se per esperienze importanti e piacevoli. no alla proposta della Comunità Montana Un libro, questo, che è la dimostrazio- di attivare un progetto di rivalutazione dei ne di come la scuola possa essere vera- beni culturali minori della Valle di Susa. mente il luogo privilegiato per un’armo- Il campo d’indagine della classe è sta- niosa crescita culturale dei nostri ragazzi, ta la ÇtorreÈ di Torre del Colle situata nel una fucina per un’oculata interazione del- comune di Villardora. la formazione dell’homo faber e dell’ho- Un’attività biennale che si svolse in mo sapiens, quando l’insegnamento non quattro direzioni, comprendenti: la strut- è volto a riempire dei sacchi, ma ad ac- tura archittettonica dell’edificio, il suo cendere fiamme, sull’ammonimento, stile, la sua funzionalità, e la leggenda re- sempre attuale, di Plutarco. Laura Grisa lativa alla costruzione stessa. Il tutto, tra- mite lo studio su testi e verifiche in loco dove si è proceduto alla produzione di utile materiale fotografico. Una perla dei beni culturali minori che caratterizza, da secoli, un angolo del- Piemonte in favola - Favole e leggende la nostra Valle Ð i primi documenti in cui piemontesi scelte da C. Brero, tradotte da è citata la torre risalgono al 1285 – ripor- M. Crema Giacomasso - Ed. Il Punto - tata all’attenzione da questi ragazzi. Piemonte in Bancarella, Torino 1998, pp. ÇVayes Ð Storie... Storia... Preisto- 160 - L. 8.000. ria... ÐÈ. Una ricerca degli alunni della Scuola Elementare e di quella Materna Ð ÇPiemonte in favolaÈ, con sottotitolo anni scol. 1992-93 e 1993-94 Ð relativa al ÇFavole e leggende piemontesiÈ è un libro loro paese, rappresenta l’ultima parte del di una trentina di storie che affondano le libro. ÇUn ricco intreccio di esperienze radici nel mondo tipico delle nostre valli e che hanno avvicinato i bambini alle cose, dei nostri monti, nella sua realtà e fantasia. al territorio e all’indagine sperimentale, Vi troviamo il bene e il male impersonato contribuendo a formare i primi elementi in varie forme, segni, presenze. Streghe, dell’idea di storia e di cultura materia- diavoli, santi sono il volto comune di que- leÈ, così si esprimono gli insegnanti nel sti aspetti che fanno da filo conduttore a presentare l’attività svolta. quasi tutti i racconti. E poi troviamo anche Per quanto riguarda la ricostruzione l’ingenuità, la furbizia, la cattiveria, la della storia dei primi abitatori di Vaie, gli bontà... Vizi e virtù che si incarnano in alunni si sono avvalsi anche dell’aiuto di persone o animali che sono parte essenzia- alcuni esperti del Centro di Archeologia le del patrimonio favolistico. Sperimentale di Villarbasse. Camillo Brero afferma che Çquesta I numerosi disegni, unitamente al te- raccolta (...) vuole essere un invito ad av- 222 vicinarsi ed a scoprire finalmente i valori Il libro presenta quaranta antiche ri- di una cultura che, se è eccellente (...) cette del vallone di Rochemolles e della nella sua espressione di poeti e di Poesia, zona del Moncenisio. Piatti col profumo è altrettanto notevole attraverso le sue di montagna e di genuinità che affondano complesse e varie manifestazioni cultu- le loro radici in una tradizione secolare. rali (letterarie e di costume)È. Per la raccolta di questi «sapori d’an- Tra gli autori è annoverata anche tan compilati da rugose mani e cervelli fi- Gemma Cattero Bertato, brava pittrice e ni», così li sigla Edoardo Ballone nella scrittrice valsusina con tematiche del presentazione, l’Autrice – storico dell’ar- mondo contadino. é presente con due te e giornalista, nonché scrittrice con al spassose storie: ÇLa confessioneÈ e suo attivo una trentina di libri editi – si è ÇL’uomo che era più furbo del diavolo». avvalsa del contributo di Luciano Ferra- Laura Grisa rio e di Nuccia Fazio Goria. Il primo, con la collaborazione degli alunni delle Scuole Elementari del paese, aveva raccolto del materiale prezioso, fornito dalle interviste agli anziani che i ragazzi, sensibilizzati dai loro insegnanti, MARIA LUISA MONCASSOLI TIBONE: Cuci- avevano effettuato a largo raggio, dove na e tradizioni in Valle di Susa - Omega anche la cucina aveva avuto un suo note- Edizioni, Torino 1997, pagg. 70, L. vole spazio. 18.000, ill. Nuccia Fazio Goria aveva fornito una gamma di ricette della Val Cenischia e di Giaglione che si gustavano, da genera- zioni, nelle baite degli alpeggi e negli al- berghi situati sulla strada che porta al Moncenisio. È nato così un libro che ci propone un aspetto di «una civiltà semplice e piena d’amore per tutti gli istanti della vita, compresi quelli trascorsi davanti ai for- nelli», come sottolinea l’intervento – nel- la pubblicazione Ð di Giampiero Leo, as- sessore alla Cultura della Regione Pie- monte. Un libro arricchito delle illustra- zioni a colori di sette qualificati pittori (Tino Aime, Eugenio Bolley, Romano Campagnoli, Francesco Casorati, Ettore Fico, Giangiacomo Soffiantino, France- sco Tabusso) – di cui è offerta anche una breve scheda Ð che hanno interpretato al- cune delle ricette presentate. Tra queste, la soupe grasse, menu ri- servato alle feste solenni o agli ammalati, perché richiedeva il brodo di carne e, si sa, l’economia montanara non permette- 223 va sicuramente di mettere in tavola tutti i tivati nei campi del paese. Un ventaglio giorni questa vivanda. che comprende i sapori della cucina po- Un piatto particolare è la tupinà o vera, vedi la «supà dë ghërsëign» (zuppa brus che si avvale di avanzi di diverse to- di grissini) o la ÇpanadaÈ (zuppa di pa- me grasse fatte ÇmaturareÈ nella grappa. ne), ma anche quelli più sostanziosi, in Cucina rustica, cucina povera, in cui cui polenta, patate, salsicce e la cotenna le patate, le uova, il latte sono sovrani. E di maiale apportano calorie e difese con- se vogliamo scendere un po’ più a valle, tro le insidie dei lunghi, rigidi mesi inver- potremo gustare il tipico spezzatino di nali. Venaus con polenta o lo stufato di fagioli Troviamo infatti la puläinta a là gra- alla giaglionese, due invitanti pietanze di la (polenta alla terrina), puläinta antarti- questi luoghi. Il libro è anche un incenti- flà (polenta con patate), li frà (i frati), vo per sperimentare o verificare la pro- suntisà dë ciol (salsiccia di cavoli). Non pria abilità e inventiva, perché molte ri- mancano dolci, tra i quali, la fujasa (la cette sono prive di dosi precise Çin quan- focaccia per le feste importanti), la torta to non sono piatti dettati da grandi cuo- d’pumës (torta di mele) e le varie bi- chi, ma ricavati da descrizioni date da an- gnëtës (frittelle). ziani che eseguivano queste pietanze per Peculiare, poi, il vëign quaet (vino pratica o le creavano al momento con le cotto) ottenuto schiacciando in un ma- poche cose messe loro a disposizione dal- stello di legno, mele o pere locali o anche la montagna, certamente non troppo ge- quelle cotogne. Si consiglia di consumar- nerosaÈ, come ci dice Mario Viarengo lo con la polenta, dopo averlo fatto cuo- che da tempo sperimenta le ricette del- cere lentamente finché non abbia rag- l’Alta valle di Susa nel suo locale «La giunto una Çconsistenza mielosaÈ. Otti- ciaburnaÈ di Melezet. Laura Grisa mo anche come dissetante, diluito nel- l’acqua, durante le afose giornate estive. Il libretto è corredato di alcune signi- ficative fotografie in bianco e nero di Claudio Rovere che ritraggono angoli ca- ratteristici di questa località ricca di tra- COMUNE E PRO LOCO DI MATTIE: Le ricet- dizioni. Laura Grisa te dei nostri vecchi... - Tipolitografia Delta Print, Bussoleno (TO) 1998, pagg. 24.

A cura dell’Amministrazione Comu- nale e della Pro Loco di Mattie, un pre- MARIA GIROTTO CORAGLIOTTO: Alè Ma- zioso libretto dal titolo ÇLe ricette dei no- gistra, alën! (Dài, Maestra, andiamo!). I stri vecchi...È. Una ventina di ricette (in Quaderni dell’Intersezionale Val Susa - dialetto, con traduzione) che, come recita Val Sangone del Club Alpino Italiano, il titolo, sono una proposta di piatti dal 1997, pagg. 132, ill., L. 15.000. sapore di tempi passati, che affondano le radici nella tradizione locale. Il titolo in dialetto è l’espressione Cibi che si avvalgono di prodotti tipi- d’incitamento che i bambini della frazio- ci, quali la castagna e il latte con i suoi ne Bigiardi (m. 1086) sulla montagna di derivati, nonché di verdure e cereali col- Bruzolo rivolgevano alla loro maestrina 224 di prima nomina arrivata da Torino; co- LUCIANO GIBELLI: Dnans ch’a fàssa me a dire che la giovane ÇcittadinaÈ do- neuit (Prima che scenda il buio) - Ed. veva mettersi al passo con la loro tempra Priuli & Verlucca, Ivrea 1999, pagg. 680, di piccoli montanari, in una borgata di un ill., L. 68.000. centinaio di abitanti, senza energia elet- trica, senza negozi, senza strada (solo mulattiera e sentieri).

Luciano Gibelli nato a Canelli (Asti) nel 1925 (Çquando ancora usava conclu- dere i contratti con una stretta di mano e le case di campagna non avevano serratu- Questo gustoso libro Ð con bei dise- re...È), giovane trapiantato a Torino, non gni – è il diario 1939-1941 della maestri- ha mai dimenticato il mondo nel quale è na che scopre un mondo per lei nuovo, cresciuto. Si è poi invaghito della monta- che colpisce sentimenti e immaginazione gna, ha recitato da filodrammatico, ha gi- in misura tale da richiedere di essere fis- rato un documentario (premiato) sulla vi- sati sulla carta, perché restino come do- ta del baco da seta – antica risorsa dell’e- cumento di vita, in tempi che ci sembra- conomia contadina Ð. Poi ha prodotto al- no ormai tanto lontani. Compresi gli anni tre pellicole, tra le quali una di soggetto successivi in cui, tornata in Valle di Susa, ecologico premiata nel 1971 al Festival, la maestra Girotto Coragliotto andò a du Film Amateur di Cannes, ecc. é anche reggere la direzione didattica di Oulx, autore di circa 400 disegni di attrezzi del prima di tornare definitivamente nella mondo contadino di una volta (premio sua Torino. 1989 di letteratura alpina a Trento). L’intersezionale del C.A.I. ha fatto Gibelli è dunque uno che il «vecchio bene a pubblicare questo diario. A noi fa PiemonteÈ lo conosce, quindi ha molte ra- bene leggerlo. gioni di rammarico nel vederne la memo- 225 ria culturale e storica affievolirsi, som- del Collegio delle Provincie per ottenere mersa da mode effimere e discutibili. Dal il Diploma di Ingegnere LaureatoÈ. Le 1974 ha perciò deciso di mettere sulla car- suddette Çdissertazioni e tesiÈ erano state ta il ÇsuoÈ Piemonte, a cominciare da una Çpresentate alla Commissione esamina- escursione nella lingua e con tavole di di- trice della Regia Scuola d’Applicazione segni degli oggetti della civiltà dei nonni. per gli Ingegneri di TorinoÈ. Il libro è costruito tipograficamente Il neo-ingegnere dedica questo volu- su colonne di testo parallele piemontese- me Çalla cara e venerata memoriaÈ della italiano; quelle traduzioni Ça fronteÈ che madre Ç...in attestato di filiale affetto e ri- i vecchi professori scomunicavano senza conoscenzaÈ; la mamma era deceduta po- pietà. Sfilano in questo modo nel grosso co prima che il figlio si laureasse. libro di Gibelli centinaia di termini signi- Si tratta di uno studio tecnico e tale è ficativi in piemontese, assurto a dignità il principale interesse che può suscitare di «lingua madre», e ogni parola è una ri- ancora oggi a proposito della singolare sposta Ð con tanto di spiegazioni Ð a do- ferrovia di 79 Km. che collegava Susa a mande sulla nostra cultura di ieri: dalla St. Michel in Savoia valicando i 2084 bagna caoda alla cimbarlèra, dalla doa metri del Moncenisio. La ferrovia Fell all’èrca, dal garocc al trabàt, al balòn a (dal nome dell’inventore di questo «treno pugn e via discorrendo. da alta montagna») entrò in servizio il 15 C’è qualche assenza, ma nel comples- giugno 1868 e funzionò per circa quattro so Gibelli evita proprio che Çscenda il anni; poiché doveva cessare all’entrata in buioÈ su gran parte del mondo piemonte- funzione della ferrovia per Bardonecchia se del tempo in cui per capirsi bastava il e il tunnel del Fréjus. ricco, espressivo linguaggio regionale, con la sua gamma di varianti e inflessioni locali in paesi anche a breve distanza fra di loro. Salvo errore, era anche il tempo in cui quei pochi che parlavano italiano lo facevano assai meglio di quando non DARIO VOTA: I tempi di Cozio. La Valle accada di sentire oggi. (t.f.) di Susa e il mondo romano dall’incon- tro alla prima integrazione - Ed. Morra, Condove 1999, pagg. 120, L. 25.000.

Introdotto da una presentazione di Sergio Roda (Università di Torino), il li- ALBERTO BURZIO: Sulle ferrovie in mon- bro si offre come sintesi aggiornata, a li- tagna e specialmente sul nuovo sistema vello di alta divulgazione, sulla prima età Fell di locomozione a guida centrale pel romana in Valle di Susa, raccogliendo in Valico del Moncenisio - Tipografia G. un agile quadro d’insieme quanto è rico- Favale e Comp., Torino 1866, pagg. 80. struibile sulla prima romanizzazione val- susina, da ciò che l’indagine storiografi- Un amico torinese di ÇSegusiumÈ, il ca più accreditata ha in questi ultimi anni signor Giovanni Delfino, ci ha regalato presentato come consolidata acquisizione un plico di fotocopie: è una tesi di laurea o come ipotesi ben fondata. data alle stampe 133 anni fa, opera di Al- Chiaro e lineare nell’esposizione, il berto Burzio Çda Chieri (Torino) allievo volume si presenta con un saldo impianto 226 zionali e nella realtà socioeconomica e culturale della romanità protoimperiale, attraverso alcuni percorsi nei resti monu- mentali e nelle emergenze archeologiche ed epigrafiche che di quell’integrazione sono testimonianza: le forme del potere, con la celebrazione dell’accordo (quale ostentata dall’Arco di Susa) e con le vi- cende e il ruolo della dinastia coziana (il cui spegnersi, verso la metà degli anni Sessanta del I sec. d.C., è preso dall’auto- re come termine cronologico convenzio- nale di una prima fase di inserimento nel- la romanità); l’assetto socioeconomico e insediativo, con la funzione propulsiva esercitata dalla via delle Gallie (qui riper- corsa nel significato più ancora che nel tracciato) e con un quadro dello sviluppo abitativo del territorio nel I sec. d.C. (at- traverso una rassegna delle principali emergenze insediative segnalate finora argomentativo che aiuta il lettore a co- dall’archeologia, compreso un tentativo gliere facilmente l’obiettivo tematico sin- di sintesi sull’ancora problematica defini- tetizzato nel sottotitolo: inquadrare le li- zione urbanistica di Segusio protoimpe- nee essenziali del processo storico che riale); e la dinamica sociale, nei tratti ri- portò l’area valsusina ad incontrare le costruibili attraverso l’epigrafia valsusina istituzioni di Roma e le dinamiche del dei primi tempi della romanizzazione. suo primo integrarsi nella romanità. Un corposo apparato di note correda La prima parte, dopo un profilo sulla il testo di spunti di discussione critica e situazione insediativa in Valle in età im- di numerosi rimandi bibliografici. mediatamente preromana e una rilettura critica di vicende un tempo forse troppo enfatizzate circa i primi incontri con Ro- ma (ad esempio, il momento cesariano, con i transiti del Triumviro in Valle e la sfuggente figura di Donno), focalizza l’a- AA.VV.: Caselette. Uomini e ambienti ai nalisi sul foedus del 13 a.C. tra Cozio I e i piedi del Musiné dalle origini all’Otto- Romani, sottolineandone la complemen- cento - Ed. Melli, Borgone 1999, pagg. tarietà, nella strategia alpina di Augusto, 400, L. 80.000. con la deduzione coloniaria di Augusta Taurinorum e la valorizzazione dell’asse Voluto e patrocinato dall’Ammini- viario valsusino nel contesto di una più strazione Comunale di Caselette come precisa attenzione ai valichi alpini. opera mirata a fare per la prima volta il La seconda parte inquadra gli aspetti punto in modo organico e scientificamen- più significativi della prima integrazione te fondato sulla storia di questo paese, il della Valle di Susa nelle strutture istitu- libro offre un’informazione ampia e rigo- 227 rosa su vicende e problemi di una comu- settore delle Alpi occidentali che una nità e di un territorio che hanno alle spal- grande strada internazionale ha sempre le uno sviluppo lungo e interessante ma arricchito di molteplici contatti. solo in parte conosciuto. L’opera rientra a buon diritto tra quei testi di Çstoria municipaleÈ capaci di porsi come riferimento per gli appassionati del genere; lavori di questo tipo infatti, se non si sottraggono alle complicazioni della ri- CLELIA BACCON BOUVET: Salbertrand - cerca seria e documentata, rispondono a Storia di una Comunità alpina e della una domanda locale con prodotti editoriali sua Valle - Ed. Melli, Borgone di Susa di buona qualità, con risultati non troppo 1999, pagg. 326, L. 50.000, ill. diversi da quelli raggiunti dai libri Çgene- ralistiÈ della storiografia professionale. Con le sue 400 pagine, accompagnate da più di 150 illustrazioni, il libro, strut- turato come opera a saggi, si articola in cinque contributi di autori diversi che, pur possedendo ciascuno una fisionomia autonoma, costituiscono parti comple- mentari di un progetto unitario. Taglio dei contenuti, organizzazione della mate- ria e tono espositivo sono in funzione di un lavoro che si offre a un pubblico vasto ma culturalmente interessato, capace di accettare la sfida di una lettura a tratti an- che impegnativa ma stimolante. Nel pri- mo saggio Francesco Carraro procede a una ricostruzione della storia geologica del territorio di Caselette; Dario Vota de- dica la seconda parte a ÇCaselette antica tra preistoria ed età romana»; segue l’am- pio saggio di Luca Patria su ÇOrigine e affermazione della comunità caselettese» lungo i secoli dall’alto medioevo al Set- Senza infingimenti un’opera di cuore tecento; Renzo Savarino tratteggia la Ð sentimenti, affetti, memorie – più che «Storia religiosa dall’inizio della cristia- un rigoroso libro di storia. Caratteristiche nizzazione alla rivoluzione franceseÈ e niente affatto riduttive e che collocano ancora Dario Vota illustra «La comunità degnamente il volume di Clelia Baccon civica nell’Ottocento». (da molti anni socio di ÇSegusiumÈ) nel- Se questa è senz’altro una storia di la già numerosa, preziosa biblioteca for- Caselette e dei caselettesi, di Çuomini e mata da titoli riguardanti pressoché tutti i ambienti ai piedi del Musiné», nondime- Comuni della Valle di Susa. no il libro offre una fitta orditura di even- Nell’introduzione Luca Patria confer- ti e problematiche storiche relativi al- ma questa nostra immediata valutazione l’ambito della Valle di Susa e a questo scrivendo che l’Autrice «vuole offrire il 228 suo percorso della memoria...È, libera di valle di Susa e in tutta la Regione sono «...selezionare ciò che ritiene più rappre- sorte, e continuano a sorgere, pubblica- sentativo della cultura localeÈ. zioni varie, intese a ricordare l’evento. Ecco. Soprattutto un plurisecolare Fino ad oggi il primato in classifica lo percorso attraverso una esemplare Çcul- detiene il volume di D. Gian Piero Piardi tura localeÈ, protagonista Ç...una gente ÇIl Rocciamelone ieri ed oggiÈ pubblica- aggregata fin da un lontano passato in to a Borgone dall’Editrice Melli. È un vo- salde istituzioni, una gente per sua natura lume di 300 pagine, arricchito di molte portata a reagire in positivo, capace di ri- foto a colori, che rielabora e Çirrobusti- sollevarsi dalle sventure dando spazio a sceÈ un volume dello stesso autore ed intensi e compartecipanti momenti di vita editore, pubblicato in formato minore spirituale e di festaÈ. vent’anni or sono, con l’intenzione che i Clelia Baccon, per tanti anni inse- lavori, allora in atto, per la ricostruzione gnante nella sua Valle di Susa, è anche au- dei rifugi Ca’ d’Asti e della Vetta dessero trice di poesie in lingua occitana (El tinti- a tutti gli uomini la possibilità di incon- poni - La trottola) e di un vocabolario ita- trarsi per «raccontare la vicenda “una sto- liano occitano-salbertrandese (A l’umbra ria vecchia e nuova”, la storia favolosa du chuchì - All’ombra del campanile). della solidarietà umana». Con questo Salbertrand, bel volume illu- Il volume che l’autore e l’editore pre- strato, ricco di tante notizie, di storia e di sentano oggi è notevolmente cresciuto ÇstorieÈ, completa un suo percorso cultu- perché questa «favola bella» è diventata rale che è un viaggio affettuoso nella sua realtà e chi questa favola ha condotto e terra e fra la sua gente: vale a dire una ve- concretizzato vuole ora raccontarne il fa- ra «comunità» nel senso pieno che questa voloso e coraggioso cammino. Questo parola è andata acquistando negli ultimi volume si presenta ora sotto il nome di un cinquant’anni. Una comunità che com- unico autore, ma è però frutto di numero- prende anche numerosi emigranti. si collaboratori: risulta così un po’ come Giustamente Clelia Baccon è stata fe- il canto corale di tutta una vallata, canto steggiata il 7 agosto di quest’anno alla che elenca poeti, giornalisti, tecnici, sa- presentazione Ð in Salbertrand Ð del libro cerdoti, pellegrini, fotografi, artisti: c’è, nuovo di zecca. Complimenti meritati e, insomma il cuore di tutta una valle. infatti, l’opera li vale proprio tutti. (t.f.) L’opera risulta divisa in cinque parti: I) La storia di ieri e di oggi (dal 1858 al 1974). II) La storia di oggi (dal 1974 al 1998). III) La fede popolare (negli ex voto e nelle impressioni di alcuni cappellani GIAN PIERO PIARDI: Il Rocciamelone ieri della vetta). e oggi - Ed. Melli, Borgone 1999, pagg. IV) ÇIl Rocciamelone ispiraÈ. 302, L. 40.000, ill. V) Pellegrini e pellegrinaggi. La prima parte presenta gli anni epici Il centenario dell’erezione del monu- della devozione alla Madonna del Roc- mento alla Vergine sul monte Rocciame- ciamelone, dall’ascesa di Bonifacio Ro- lone non poteva non interessare la stam- tario, alle varie interpretazioni della sua pa, non soltanto locale, ma anche a più prigionia; da una analisi e descrizione del largo raggio: ed è così che, qua e là nella Trittico e sua presunta origine artigianale 229 nella interpretazione dei vari critici d’arte che hanno avuto modo di studiarlo. Si esaminano poi le varie vicende del trittico (furto, pellegrini illustri) nel pe- riodo 1419-1888) e, infine, eccoci alla grande crociata dei «bimbi d’Italia a Ma- riaÈ. Un monumento che sorge lassù a 3538 m. a furore di... bimbi e dei loro sol- dini è indubbiamente un fatto che fa epo- ca e muove papi e sovrani. Una realtà che continua nel tempo. Nella seconda parte si conclude quel- la che potrebbe essere la storia del Roc- ciamelone (dal ’74 ad oggi) e inizia quel- la che è la sua vita fra noi. È diventato realtà nostra. È l’epopea odierna degli amici del Rocciamelone. é la storia del Rocciamelone di oggi, quella che si sta ancora scrivendo, giorno dopo giorno. é il periodo della ricostruzione dei ri- fugi della Vetta e di Ca’ d’Asti: un’opera poderosa che richiese iniziativa, denaro, mano d’opera, materiali. Nel volume la E la seconda parte costituisce un accu- descrizione di questi lavori, così come rato esame della Çfede popolareÈ: sono qui l’hanno vista, vissuta e sofferta alcuni de- di scena gli Çex votoÈ e le impressioni di gli autori, acquista una descrizione accu- alcuni cappellani della vetta. Tra gli Çex rata, minuziosa e precisa. Il lettore può voto», riservato un posto d’onore al Tritti- avere così un diario accurato di quelle co di Rotario, ne vengono presentati una giornate. Così come le ha viste, vissute e sessantina (uno è datato nientemeno 1892): interpretate chi scrive un documento che qui l’arte popolare si sbizzarrisce nelle sue potrà servire per il futuro; e che testimo- più varie e tipiche espressioni: un’autenti- nia anche tutte le attività parallele lanciate ca sagra della devozione popolare dove an- in diocesi a sostegno dell’iniziativa, dalle che la tecnica della pittura viene accanto- ÇFeste Sprint dei RokÈ a tutte le altre ma- nata per poter esprimere il ÇgrazieÈ che il nifestazioni aperte un po’ a tutti i livelli. cuore sussurra: grazie per guarigioni avve- C’è posto ancora in questa parte per nute, disgrazie evitate, pericoli di guerra presentare quelli che furono gli artefici del- scongiurati, ritratti e ringraziamenti generi- la ricostruzione: dalla meravigliosa storia ci, foto-ricordo Çin memoriamÈ, implora- dei «ragazzi Rok» all’opera degli Alpini, zioni. La raccolta è opera di Laura Grisa. di ieri e di oggi, all’opera generosa e corag- Ricordano poi la loro esperienza di cap- giosa della ÇGiovane MontagnaÈ, ai consi- pellani della Vetta: Don Piero Laterza, Don derevoli interventi del ÇLion Club Susa- Giuseppe Barella, Don Giuseppe Capra, RocciameloneÈ e di alcuni generosi anoni- Don Vincenzo Caccia, Don Livio Recluta. mi. Un dossier di vibranti testimonianze di Infine la IV parte, che potremmo defi- chi quell’opera la sentì e la «visse», fa poi nire ÇletterariaÈ e che la curatrice Laura da cerniera fra le due anime del volume. Grisa intitola ÇIl Rocciamelone ispiraÈ. La 230 selezionatrice prende le mosse da un nu- Don Piardi – il Rocciamelone è tutto que- mero unico illustrato, pubblicato il 31 sto, e molte cose ancora. Può essere con- maggio 1899 per l’inaugurazione del mo- siderato dallo storico, dal poeta, dal lette- numento sul Rocciamelone e intitolato ÇI rato, dall’alpinista, dall’uomo di fede, e bimbi d’Italia a Maria», una pubblicazio- soprattutto da chi ha ancora voglia di ne che costituisce una colorita e variegata mettersi sui suoi sentieri per scarpinare in tavolozza che esalta liricamente tutti gli riflessione ed in libertà». Una documen- aggettivi della Madre di Dio. Una tavoloz- tazione che ti tocca il cuore e ti convince: za sulla quale brillano anche nomi illustri. e ci aiuta a sentire il Rocciamelone più Laura Grisa estende, però, la ricerca che mai nostro! dallo ieri all’oggi e colleziona circa 70 ti- Guido Ferrero toli di liriche. C’è qui un po’ tutto quanto la lirica italiana ha prodotto sull’argomen- to ÇRocciameloneÈ: e va dalle grandi fir- me all’ingenua poesia popolare, dalla to- gata lirica latina, all’ingenua filastrocca dei nostri avi: un mazzo quanto mai vario La Sacra di San Michele e colorito di tutti i modi con cui la nostra nei libri gente ha pregato la Madonna. Interessan- te, come spunto di cronaca viva la parte Si potrebbe credere che a proposito dedicata ai pellegrinaggi; parte che si apre della Sacra di San Michele ormai sia già con un cronista di eccezione, nientemeno stato scritto tutto il possibile. E invece le che il beato Mons. Edoardo Rosaz, il qua- pubblicazioni che la riguardano continua- le ci ragguaglia circa un pellegrinaggio no a moltiplicarsi e ottengono sempre un dei suoi tempi, cronaca che, in certo qual grande successo di pubblico, riuscendo a modo, considerata l’autorità del cronista, svelare ancora qualcosa sulla Sacra, che, codifica la prassi di un Çpellegrinaggio-ti- anche in questo fiorire attorno ad essa di poÈ da Susa alla Vetta. C’è poi una gusto- tante iniziative editoriali, mostra, se ce ne sa cronaca, a firma Maria Grisa, di un pel- fosse bisogno, di quante sfaccettature sia legrinaggio della comunità di Foresto; e ricca, quanti segreti ancora nasconda, non poteva poi mancare il resoconto di un quanti misteri che fanno sognare e che, pellegrinaggio degli Alpini, di cui ci rela- da vero simbolo delle nostre valli e del ziona in chiave alpinistica Silvio Bertolo. Piemonte intero, riescano a catalizzare Don Piero Laterza, che per tanti anni l’attenzione del pellegrino come della ha dato orientamento e vitalità al Comita- narratrice fantasy, del medievalista come to per la ricostruzione dei rifugi di Ca’ del semplice viaggiatore. d’Asti e della Vetta, spolvera liricamente i suoi ricordi di quei mesi di impegno e di Vediamo alcune pubblicazioni di mag- passione. Laura Grisa, documenta poi, in giore interesse edite negli ultimi tempi. chiusura un pellegrinaggio dei Centri del ÇMovimento per la VitaÈ. ÇLa vita della Sacra di San Michele Giulio Berutto esamina con competen- della ChiusaÈ di padre Arioli (Edizioni za e precisione ÇIl Rocciamelone alpini- Rosminiane - Stresa) è certamente l’even- stico»: un buon aiuto per chi l’alpinismo to editoriale che ha caratterizzato il 1998: lo pratica come impegno e come sport. un libro pubblicato postumo a pochi mesi ÇE infine Ð conclude il coordinatore dalla morte dell’insigne professore, risul- 231 tato degli appunti e degli schizzi raccolti ressanti approfondimenti (come quello in quasi 50 anni di prolungati soggiorni in sul prezioso breviario medioevale con- abbazia e poi riordinati con pazienza e ri- servato in Parrocchia a S. Ambrogio) e gore storico quando sopraggiunse la pen- raccolte iconografiche e bibliografiche. sione dall’incarico dell’insegnamento. Lo si recensice a parte, ampiamente. ÇNel segno del DragoÈ di Mariangela Cerrino (Ed. Longanesi) è un testo di nar- ÇLa Sacra di San Michele: natura, rativa fantasy ambientato in buona parte arte e storiaÈ di Alessandro Mallandra, in nella nostra Valle e poi precisamente alla edizione anastatica, è stato ripubblicato sia Sacra: una Sacra ancora in costruzione, dall’Associazione Volontari della Sacra luogo di magie e di segreti in cui l’autrice, che dagli Amici della Sacra, praticamente originaria della zona, ha saputo tessere nello stesso periodo sul finire del 1998. una trama fitta e affascinante in cui si af- L’opera del Mallandra, pubblicata al- facciano eremiti, druidi, vescovi crudeli, l’inizio del secolo, era ormai del tutto in- mercenari e principesse. Sullo sfondo una trovabile, ma il suo contenuto prezioso Sacra diversa da quella a cui siamo abitua- per la storia della Sacra la rende ancora ti e una valle al centro di eventi misteriosi oggi un libro di grande utilità. Grazie alle che si perdono nella nebbia dei tempi. Il li- ristampe è oggi a disposizione di un più bro è inoltre assai curioso per le rielabora- vasto pubblico. zioni e le ÇspiegazioniÈ inedite di alcune Si tratta di un’opera ricca di illustra- delle più note leggende nostrane. zioni e disegni, di notevole impianto di- vulgativo, scritto da un sacerdote rosmi- Infine non si possono dimenticare al- niano, autore, a cavallo del ’900, di nume- tre iniziative editoriali, che pur uscendo rose pubblicazioni a carattere storico e un po’ dagli schemi comuni, riguardano scientifico. Un volumetto che, senza van- la Sacra. tare pretese di originalità, né di particolare Ð Il CD ÇLa Sacra di San MicheleÈ rigore storico, riesce però ad accompagna- edito da Ormae di Buttigliera Alta: un sug- re in modo semplice e chiaro il turista che gestivo percorso multimediale e interatti- si avvicina per la prima volta alla Sacra. vo attraverso il complesso monumentale Molte notizie, dati, suggestive descrizioni clusino, alla scoperta della storia e dell’ar- fanno dell’opera del Mallandra anche un te per cui la Sacra è famosa nel mondo. prezioso testo narrativo, in cui emergono Ð Gli atti dei ÇConvegni SacrensiÈ, a le doti di scienziato e quelle di poeta. cura delle Edizioni Rosminiane, con inte- ressanti approfondimenti su tematiche ÇIl Millennio Composito di San Mi- quali la spiritualità, la cultura e l’arte re- chele della ChiusaÈ Ð Vol. II Ð di Italo ligiosa, il monachesimo, ecc. Ruffino e Maria Luisa Reviglio (Ed. Mel- Ð Il catalogo della mostra organizzata li) propone documenti e studi interdisci- dagli Amici della Sacra «En hommage à plinari sulla vita monastica clusina. Il vo- Hugon de MontboisserÈ in cui sono ri- lume, di oltre 200 pagine, è frutto del la- portate le più belle opere di alcuni artisti voro di ricerca portato avanti dall’Asso- contemporanei con soggetto la Sacra di ciazione Amici della Sacra, e raccoglie San Michele. La mostra, itinerante, è sta- sette saggi inediti su aspetti particolari e ta esposta anche a Strasburgo nella sede poco noti della storia dell’abbazia e dei del Parlamento europeo, da cui ha avuto sui antichi abitanti, oltre ad alcuni inte- l’alto patrocinio. Enrico Dolza 232 Bollettini * Riviste * Quaderni

Questa rubrica raccoglie le segnalazioni di alcuni bollettini, rivi- ste, quaderni, ossia delle pubblicazioni periodiche di società cultu- rali simili alla nostra; oppure di enti pubblici preposti alla tutela dei beni archeologici, architettonici, artistici, storici, ambientali: il be- nemerito mondo degli operatori culturali che quasi ogni giorno de- vono vincere notevoli difficoltà. Con queste segnalazioni speriamo di fare cosa gradita ai nostri Soci e a tutti i lettori: è certamente un contributo alla conoscenza di ciò che altri fanno. Inoltre ci ripromettiamo di seguire anche in futu- ro e, se possibile ampliarlo, questo settore di pubblicazioni culturali in notevole parte edite da associazioni, da società di ricerche e studi senza fini di lucro, come Segusium.

Bollettino della Società Piemontese di Abbiamo poi ALDO ACTIS CAPORALE: Architettura e Belle Arti - XLVIII, Torino La chiesa e l’oratorio di San Michele Ar- 1996, pagg. 510, ill. cangelo di Casale Monferrato - Contri- buto per uno studio sulla committenza Come tradizione il bollettino della nobiliare casalese; WALTER CANAVESIO: SPABA, diretto dall’arch. Bruno Signo- Inediti vittoniani; CASIMIRO DEBIAGGI: relli, ci offre una vasta gamma di temi e Appunti sull’incisore Francesco Antonio ricerche interessanti varie zone del Pie- Gilodi; CRISTIANO BERTI: Antiche cave di monte. marmo del Piemonte - Roccacorba in Val Il volume apre con Materiali proto- Germanasca; SILVIO CURTO: Carlo Vi- storici nel Museo Archeologico di Asti di dua. Ritrovamento di un suo manoscritto; LORETTA TOSELLO; seguito da Per un’a- FLAVIANA SANTILLO: Il collegio e la chie- nagrafe dell’elemento indigeno nella To- sa di Castelnuovo Scrivia. Problemi ar- rino romana di GIOVANNELLA CRESCI chitettonici e urbanistici dopo la soppres- MARRONE (collaboratrice di Segusium). sione dei Gesuiti del 1773; LUISA SASSI: ANDREA LONGHI ha dedicato uno studio La casa Giacone di Riccardo Brayda; alla cripta e alla chiesa di S. Anastasio, ANNALISA DAMERI: La chiesa di Sant’Eli- ossia La maturazione del romanico ad sabetta a Leumann. Un’opera di Pietro Asti tra XI e XII secolo; alla medesima Fenoglio tra Art Nouveau ed eclettismo città fa riferimento Nuove acquisizioni di ritorno. per il gotico di Asti di GIOVANNI DONATO. Nel complesso del volume si distin- Due temi israeliani: Iconografia e gue un ÇbloccoÈ interessante di argomen- ruolo dei Giudei nella Passione del Batti- to sabaudo ottocentesco, a testimonianza stero di Chieri di CARLO ROBOTTI; CRISTI- di un rinnovato interesse per le vicende NA BARBESINO GAMBACORTI: Il sacro ora- della dinastia e del Piemonte soprattutto torio dell’Università Israelitica di Casale nella prima metà dell’Ottocento. ELENA - Vicende di trasformazione e restauri. DELLAPIANA affronta il poco conosciuto 235 Un monumento a Dio, dedicato a Carlo La Revue Savoisienne - Académie Flori- Alberto; ANNA MARIA LOGGIA: Giuseppe montane, Annecy, 1997 - Anno 137, Antonio Melchioni (1803-1859). L’inge- pagg. 212, ill. gnere nel Corpo Reale delle Miniere e l’attività professionale durante il sog- giorno canavesano; SILVIA RAPETTI: La nascita dei penitenziari nel Regno Sardo - La riforma carloalbertina e le carceri di Alessandria e di Oneglia; PAOLO COR- NAGLIA: Eclettismo di corte. L’apparta- mento di Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide a Moncalieri fra neobarocco e secondo impero. Il saggio che per ovvie ragioni ci toc- ca più da vicino è quello di CARLO TOSCO (storico dell’architettura medievale al Po- litecnico di Torino): Dalla chiesa al ca- stello di San Mauro. Itinerari di un culto e di una fortificazione. In una trentina di pagine si parte dai romanici resti della chiesa di San Mauro Torinese (le cui pri- me notizie sono in una pergamena del 991), in un intreccio di Ç...culto di San Mauro e la diocesi torinese, il conflitto di poeti militari e dinastici che coinvolge Dal 1960 viene pubblicata questa ri- l’abbazia, le fasi d’incastellamento» che vista annuale che ha raccolto l’eredità del Ç...fanno del monastero un luogo privile- ben più antico «Bollettino», mensile pub- giato per l’analisi dei rapporti tra l’archi- blicato fin dal 1851 dall’Académie Flori- tettura, le forme del culto e le forme del montane che ha sede ad Annecy. potereÈ. Di fondazione aleramica, il mo- Come consuetudine, anche nel volu- nastero intorno al 1040 risulta già domi- me del 1997 si dà ampio spazio alle atti- nio dei marchesi di Torino e sotto il con- vità della «Florimontane», compreso il trollo di San Giusto di Susa. lungo elenco dei soci che, al primo posto, Da quel monastero presso Torino si fra gli autorevoli Çmembres d’honneur», snoda un itinerario che segue Çun nuovo annovera la regina Marie-José di Savoia, controllo sul complesso abbaziale, ora le- seguita dal vescovo di Annecy e dal ge- gato non più agli interessi dei marchesi nerale Guido Amoretti, conservatore del aleramici, ma a quello degli Arduinici di Museo Pietro Micca di Torino. Torino» e arriviamo «all’imbocco della Questo numero della ÇRevueÈ ha il Valle di SusaÈ, precisamente alla chiesa e suo pezzo forte in un lungo, dettagliato al castello di Almese. resoconto dal titolo Chronique des dé- Un notevole corredo iconografico ri- couvertes archéologiques dans le dépar- ferito ai saggi e alle comunicazioni con- tement de la Haute-Savoie en 1997 di clude il Bollettino (che ha in copertina la Joël Serralongue. ÇSanta coronata o reginaÈ, da Vascaglia- Seguono vari temi e notizie della Sa- na di San Damiano d’Asti). voia, tra i quali: Montrottier et Pontverre, 236 gardiens du Fier (GILBERT VIVIANT); Eu- Seguono numerose, brevi comunica- gene Sue et Marie de Solms en Savoie zioni su altre località in provincia di Tori- (PAUL GUICHONNET); Le calice de saint no, Cuneo, Genova. E arriviamo anche in François de Sales, conservato nel castel- Valle di Susa: 3 figure antropomorfe in lo di Thorens (JEAN-FRANÇOIS DE ROUSSY frazione Braide-Nicoletto (Mompantero) DE SALES). «200 m. circa dopo l’inizio della mulat- In chiusura l’elenco delle pubblica- tiera che da Braide sale a Chiamberlan- zioni scambiate, tra le quali ÇSegusiumÈ, do...È. e una ÇBibliographie SavoisienneÈ ricca Molteplici e varie notizie, resoconti di di titoli. congressi e convegni, recensioni comple- tano il contenuto di questo Survey. Ð ❍ Ð Ð ❍ Ð Survey - Bollettino del Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica - Pinerolo, an- Mont-Cenis Magazine - n. 1, luglio 1998, no VII-VIII-IX-X, n. 9-10-11-12, 1993; Chambéry. 1994; 1995; 1996, pagg. 368, ill.

Comprendente quattro anni è uscito l’ultimo volume di Survey, per uno sguar- do d’insieme sull’arte preistorica, ossia il rendiconto di quattro anni di intensa atti- vità del CeSMAP (Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica) di Pinerolo, presente a meeting e congressi in vari paesi del mondo (India, Arizona-USA, Namibia, Bolivia, ecc.). La prima sezione del volume com- prende Çcontributi scientificiÈ da Spa- gna, Cina, Argentina, Irlanda, Gran Bre- tagna, Libia, Sahara, Macedonia, ecc. Dall’Italia: «Pitture rupestri nel ripa- ro di Balmalunga, ossia una accurata ri- cognizione sul monte Bracco in provin- cia di Cuneo per visitare due gruppi di fi- gure in questa grande cavità naturale. Poi, Incisioni rupestri localizzate pres- so il Santuario di Sant’Anna di Vinadio I nostri amici dell’Associazione «Les (Valle Stura - Cuneo); Un rebus ai piedi del Amis du Mont-CenisÈ ci hanno cortese- Monviso (Riferimenti astrononici emersi mente mandato il primo numero del loro da alcune incisioni rupestri delle Alpi sud- bollettino sociale, diretto da François occidentali); Segnalazioni arte rupestre: Forray che ne è il benemerito presidente. roccia con cerchi a rilievo in località Fon- In una dozzina di pagine abbiamo in tana Guiton nel Comune di Angrogna - To; mano una pubblicazione svelta e simpati- Val Germanasca (To), una cappella ai pie- ca, con argomenti che si riallacciano a di della cascata del Pis di Massello. momenti di vita di circa un secolo fa: 237 D’Aix-les-Bains è Lanslebourg (Album Massimo D’Azeglio pittore; Pittura no- du soldat); Les sentinelles des Alpes; varese del Settecento; Laureati alpino- L’armée au coeur des villages; La chan- piemontesi all’Università di Pavia nella son des filles de Lanslebourg; Le thèatre prima metà del Quattrocento; Il tiro a se- à la frontière des Alpes; Vive les mariés! gno a Torino e in Piemonte nell’Ottocen- Tutti questi temi, corredati da fotogra- to e la ÇNazione ArmataÈ; La storia del fie d’epoca (dall’album di Louis Duver- Reggimento di Carignano e altro ancora. ney) ci vengono presentati da Gilbert Pil- Nell’ampio notiziario bibliografico loude di Lanslebourg che il presidente una lusinghiera recensione del nostro n. Forray definisce «passionné d’histoire. Il 35 ÇCultura e tradizioni in Val di Susa e connait la vallée dans ses moindres re- nell’Arco Alpino OccidentaleÈ. coins et il s’interesse à l’étude de la vie Nel libro ÇBeni culturali in ambiente militaireÈ. medico chirurgicoÈ, supplemento del Una piacevole iniziativa cui auguria- «Giornale dell’Accademia di Medicina mo buona fortuna, in attesa di ricevere diTorinoÈ (presieduta dal prof. Adriano presto il n. 2. Vitelli), vien ricordato anche l’Ospedale Civile Generale di Susa. Ð ❍ Ð Ð ❍ Ð Studi Piemontesi - Torino, marzo 1998, vol. XXVII, fascicolo 1, pagg. 304. Studi Piemontesi - Centro Studi Piemon- tesi/Ca dë Studi Piemonteis, Torino, no- Questo volume del Centro Studi Pie- vembre 1998, vol. XXVII, fasc. 2, pagg. montesi apre con un sostanzioso contri- 302-560, ill. buto del prof. GASCA QUEIRAZZA: ÇDevo- zione alla Santa Sindone. Una cantica in piemontese della metà dell’Ottocento», ossia in occasione dell’ostensione per il matrimonio (12 aprile 1842) del principe ereditario Vittorio Emanuele con Maria Adelaide di Lorena. Prima di darci il testo della Cantica del 1842, l’autore traccia una chiara pa- noramica delle Çproduzioni letterarie, per lo più di poesia», compresa questa ÇSul San Sudari ch’a ’s mostra ai 4 ’d magg dël 1842...» riportata integralmente. Poi, di ALDA ROSSEBASTIANO la curio- sa ricerca delle persone che in Italia han- no nome Sindone: 19 in tutto (13 femmi- ne e 6 maschi). Nel ricco sommario temi quali: La ÇtramelogediaÈ in Vittorio Alfieri; Il pit- tore Giovenale Boetto; La spedizione sarda in Crimea (1855-1856) secondo la Puntuale ci arriva questa ampia rasse- marchesa Giovanna Incisa di Camerana; gna diretta dal professor Luciano Tambu- 238 rini, compendio di cultura della nostra re- sempre degnamente per l’accuratezza, la gione: dalla storia alla letteratura, dall’ar- cospicua materia piemontese di questa ri- te all’architettura militare, dall’archeolo- vista semestrale. gia alla scienza, alla numismatica e via discorrendo. Ð ❍ Ð In questo volume, a cominciare dalla sezione «Saggi e Studi» l’apertura spetta Coumboscuro - periodico della minoran- a GIAN SAVINO PENE VIDARI: ÇLo Statuto za provenzale in Italia - Settembre-otto- albertino dalla vita costituzionale subal- bre 1998 - Sancto Lucio de Coumboscu- pina a quella italianaÈ, un tema di attua- ro (Cuneo). lità anche a 151 anni dalla emanazione di questa importante carta costituzionale, la L’editoriale Contro i nazionalismi di sola che restò in vigore – durando un se- ROBERTO SALETTA; Musica e tradizione colo Ð fra tutte quelle di brevissima esi- di PIERCARLO ALLASIA; Auro de libertà, stenza concesse dai regnanti italiani con- ossia la cronaca del Roumiage de Setem- temporanei di Carlo Alberto. E fu la co- bre, giornate di entusiasmo, fratellanza stituzione dell’unità d’Italia. alpina, danza, musica, teatro del popolo PIER MASSIMO PROSIO compie una provenzale. dotta escursione nell’Impegno civile e so- Il paginone centrale di MICHELANGE- cietà nella letteratura in piemontese del LO BRUNO con tema la geografia antropi- Settecento - Dall’Arpa discordata al Cal- ca: E l’ome es aruba sus la mountanho vo. (con breve premessa del prof. Sergio Ro- GIANCARLO BERGAMI: Noventa e Go- da). betti. Dialettica e contraddizioni di un SERGIO ARNEODO, direttore, in Asterix rapporto; MARCO PICCAT: Riflessi quat- giacobino assume la difesa della lingua trocenteschi nella tradizione sindonica, dei propri vecchi, considerando che in Piemonte nella pittura ad affresco. «...uno dei mestieri intellettuali più facili Nelle ÇNoteÈ, fra vari interventi inte- e più idioti a questo mondo è sparare ma- ressanti di ANDREA RUFFINO, ALBERTO ledizioni sulle lingue che non sono la STEFANO MASSAIA, SERAFINA PENNESTRÌ, tuaÈ. Una presa di posizione schietta PAOLO PITOTTO, FRANCESCO DE CARIA, Çcontro i pullulanti neo-colonialismi in- VALERIA GARUZZO, ricordiamo di PIER tellettuali...È. GIORGIO ISELLA la recente Riscoperta della bastita perduta, ossia il Çrinveni- Ð ❍ Ð mento d’articolazioni murarie estranee alla struttura dell’edificio, e conseguen- Coumboscuro - periodico della minoran- temente, alla riscoperta tra quanto poteva za proenzale in Italia - Anno XXXVII, rimanere della fortificazione sveva e l’at- novembre/dicembre 1998. tuale chiesa di Santa Maria del MonteÈ. Per la precisione siamo al Monte dei Sotto il titolo La doppia aggressione Cappuccini a Torino, dove è stata scoper- il direttore SERGIO ARNEODO afferma: ÇIl ta l’antica fortezza. nostro mondo provenzale subisce una ÇRitratti e ricordiÈ, ÇDocumenti ine- doppia aggressione Ð interna ed esterna Ð diti», l’ampio Notiziario bibliografico di tipo vetero intellettuale. Maestri popu- delle recensioni e segnalazioni (tra le listi e media da passerella sono entrambi quali ÇSegusiumÈ) completano, come artifici che ignorano la nostra storia e 239 mettono a tacere la nostra esperienza vis- volgarmente ChiabraÈ; tante notizie, ras- suta...». E più avanti: «...ciò che scotta segna di pubblicazioni in lingua proven- noi, montanari provenzali... il gran mon- zale, teatro, musica. do, con il suo universo cartellonistico di media, di slogan da manifesto, con i suoi Ð ❍ Ð vangeli gastronomici o pornoestetici, con le passerelle dei suoi eroi e delle sue regi- Pianura - Scienza e storia dell’ambiente nette senza futuro, con le sue noiosissime padano - Provincia di Cremona, n. mediocrità... E dai tempi di Adamo appa- 9/1997, pagg. 152, ill. renza, e artificio mettono a tacere i pro- blemi veri e le persone autentiche... Pur- Sempre con temi interessanti ci arriva troppo oggi l’apparenza la fa da padrona, la rivista dell’Amministrazione provin- ti sbarra la via a tutte le latitudini; c’est la ciale di Cremona. In questo numero 9 del fumée qui t’aveugle, è fumo che ti acce- 1997: FABRIZIO BONALI: Interessanti se- ca, ammonirebbe MaritainÈ. gnalazioni floristiche nel Cremonese; Ancora in prima pagina Etnia: una FRANCO ZAVAGNO, SAMANTHA GAIARA: funzione storica di ROBERTO SALETTA. Boschi relittti tra Milano e il Ticino; VA- Nel paginone centrale PIERO BALESTRO, LERIO FERRARI: Sulla presenza del faggio GIOVANNI BERNARD, GIOVANNI ROMOLO (Fagus silvatica L.) nella pianura lom- BIGAMI, ALDO PONSO ricordano la bella barda in epoca storica; RICCARDO GROP- figura di don Bartolomeo Ruffa, di Pon- PALI: Coltivazioni erbacee e avifauna ne- techianale, per tutta la vita parroco di gli agroecosistemi nella Valpadana cen- Bellino e con il sacerdote montanaro la trale; ROLANDO BENNATI: Indagine cono- vicenda delle Suore di montagna, Çunica scitiva sulla fauna erpetologica di alcune Congregazione religiosa delle AlpiÈ. aree di rilevanza ambientale della pro- Musica di tradizione (PIERCARLO AL- vincia di Cremona; DAVIDE MALVASI, LASIA), segnalazione di libri e riviste, no- SERGIO TRALONGO: Dati preliminari sulla tizie varie completano, come sempre an- comunità dei Coleotteri Carabidi presen- che questo numero. te nel Parco fluviale regionale dello Sti- rone; MARCELLO GIUNTA, CLAUDIO RIC- Ð ❍ Ð CARDI, RICCARDO GROPPALI: Odonati del- la Pianura Padana centrale, indagine Coumboscuro - periodico della minoran- presso il Po pavese e nel parco dell’Adda za provenzale in Italia - Anno XXXVIII, sud; GIULIA SACCHI VIALLI: Ripensando gennaio/febbraio 1999. alla vita di Maffo Vialli (nel centenario della nascita, 1897-1997). In questo numero: L’erbo roubiolo di SERGIO ARNEODO; Benvengù Euro di RO- Ð ❍ Ð BERTO SALETTA (che è anche il saggio consiglio di non accontentarsi dell’unità Pianura - Scienza e storia dell’ambiente d’Europa solamento «in senso economi- padano - Provincia di Cremona, n. coÈ); Festo que vas, festo que trobes (os- 10/1998, pagg. 148, ill. sia lo stare all’erta contro «il facile fol- clorismo, la difficile conservazione, l’in- Un altro numero vario e interessante differenza dei giovani...È); nel paginone di ÇPianuraÈ, con il seguente sommario: Ç...Strepiti, rumori e atti insolenti detti RITA MABEL SCHIAVO: Ciclo annuale di 240 Lacerta bilineata nella pianura padana é indubbio merito del lungo elenco di lombarda; ALBERT GIROD: Land snails of questi collaboratori, affettuosamente noti the Chalcolithic Cemetery of Spilamber- ai lettori di ÇRaccontavalsusaÈ, se ogni to; ALESSIO DI PIETRO, MARCO MASTO- anno si ripete il lieto evento: con le tinte RILLI, CLAUDIO PAVESI, MICOL SANGIO- naturali dei buoni sentimenti, i profumi VANNI: Analisi e considerazioni sui rapa- delle genuine cose di una volta; i temi di ci recuperati dal WWF di Crema negli una storia in apparenza piccola, comun- anni 1996 e 1997; RICCARDO GROPPALI, que mai banale, l’interesse per tutti, gran- MASSIMO BOIOCCHI, PAOLO LUCCHINI, di e piccini. CARLO PESARINI: Ritmo circadiano dei ragni in popolamenti erbacei della Valle Ð ❍ Ð Padana centrale; FRANCO GIORDANA: Ri- levamento floristico di un terreno ad un Aquesana, n. 5, Acqui Terme 1997, pagg. anno dal ritiro dalla produzione; FABRI- 72. ZIO BONALI: Le erborizzazioni di Filippo Parlatore nel Cremonese (1861-1871); FRANCESCO G. ALBERGONI, MARIA TERE- SA MARRé, ETTORE RIBALDI: Flora vasco- lare della rocca sforzesca e della cerchia muraria di Soncino (Cremona).

Ð ❍ Ð

Raccontavalsusa 1999 - Edizioni S.D.S, Susa 1999, pagg. 336, ill., L. 30.000.

L’annuario 1999 di varia umanità val- susina e valsangonese questa volta è arri- vato con alcuni mesi di ritardo, ma sempre atteso dal suo pubblico di fedeli lettori ai quali reca: i racconti del 1998, arte, musi- ca, poesie, leggende, storie di casa nostra, una rassegna di personaggi delle valli, i vecchi mestieri, i paesi, le avventure dello sport, gastronomia, usi e costumi, ecc. In- somma, tutto quanto fa la vita di una co- L’annuale pubblicazione dell’Asso- munità valligiana come la nostra. ciazione Culturale Aquesana (Çrivista di Con il direttore don Gian Piero Piardi studi e ricerche sui beni culturali e am- i collaudati coordinatori Franco Tamarin bientali dell’aquesano antico e moder- e Giorgio Brezzo. Va però reso il dovuto, noÈ), diretta da Mario Lombardo, si pre- non piccolo, merito agli autori dei nume- senta come un gradevole volume di gran- rosi contributi, firme affezionate a questa de formato (cm. 31x22), di stampa nitida, pubblicazione, scandagliatori assidui del- con impaginazione ariosa e sicuramente la realtà valsusina, interpreti di temi sto- estrosa rispetto alla tradizione di disador- rici locali che altrimenti resterebbero nel- na illeggibilità di parecchie consorelle. l’ombra. Il n. 5 ha in sommario: La pietà dei 241 laici in Acqui. La Confraternita di San Atti della Società per la preistoria e pro- Giuseppe e i suoi capitoli del 1729; CAR- tostoria della Regione Friuli-Venezia LO PROSPERI: Il vivaio dei buoni Repubbli- Giulia - 1996 - Edizioni Svevo, Trieste cani: il discorso del municipalista Carlo 1997, pagg. 272, ill. Gardini ai professori e ai maestri di scuo- la di Acqui (29 piovoso dell’anno VII); Il sommario di questo volume annuale EMILIO PODESTË: Le chiese di Casaleggio della Società per la preistoria e protostoria Boiro e di Rivalta Bormida in un testa- del Friuli-Venezia Giulia: EMANUELA mento del 1499; DONATO D’URSO: Partiti MONTAGNARI KORELJ e ANNA CRISMANI: sovversivi, ossia i repubblicani nell’Acqui La grotta del Mitreo nel Carso triestino di fine ’800; MARTINO DE LEONARDIS: (oltre 80 pagine); GABRIELLA PETRUCCI: L’archivio parrocchiale di Vesime; GIAN- Resti di fauna dei livelli neolitici e post- NI REBORA: Le fasi medievali dell’ex-par- neolitici della grotta del Mitreo nel Carso rocchiale di San Michele a Malvicino. di Trieste (scavi 1967); MICHELA COTTINI, Inoltre, recensioni, segnalazioni bi- ALESSSNDRO FERRARI, PAOLO PELLEGATTI, bliografiche, notizie brevi di attività cul- GABRIELLA PETRUCCI, MAURO ROTTOLI, turali acquesi. GIOVANNI TASCA, PAOLA VISENTINI: Ban- nia Palazzine di Sopra (Fiume Veneto, Ð ❍ Ð Pordenone, scavo 1995); SILVIA PETTARIN, GIOVANNI TASCA, PAOLA VISENTINI: Mate- Acquesana, n. 6 - Acqui Terme 1998, riali preistorici e protostorici da San Tomè pagg. 84. di Dardago (Budoia-Pordenone); PAOLO PELLEGATTI, PAOLA VISENTINI: Recenti rin- Sotto il titolo: ÇAcqui nel Duecento. venimenti preistorici nell’area occidentale Statuti, stemma, società» la rivista del- dei Colli Euganei (Padova); ALBERTO GI- l’Associazione Culturale Acquesana ci ROD: L’uso dei molluschi continentali co- offre alcuni saggi che compongono un me indicatori paleoambientali: problemi quadro, se non proprio completo, già di collegati all’ambiente «grottaÈ. rilevante interesse per la storia della città. Chiudono il volume: l’attività sociale VITO PIERGIOVANNI: Considerazioni 1996, gli indici, l’archivio di Benedetto storico-giuridiche sul testo degli Statuti di Lonza. Acqui; GIANNI REBOSA: Statuti e palazzo comunale di Acqui. Convergenze di origi- Ð ❍ Ð ni; GIANLUIGI RAPETTI e BOVIO DELLA TOR- RE: Lector Aquis dignum Communis respi- Rivista di Studi liguri - Istituto Interna- ce signum. Note storico-araldiche sull’ar- zionale di Studi liguri (Museo Bieknell), ma della città di Acqui; ANGELO ARATA: Bordighera, 1998, anno LXII (gennaio- Guerra vel discordia. Società e conflitti in dicembre 1996), pagg. 340, ill. Acqui comunale; SERENA LATELA e MA- RIANGELA CIBRARIO intervengono su diritto La Rivista di Studi liguri, diretta da e procedura penale negli Statuti di Acqui e Carlo Varaldo, si avvale dell’opera di un sul restauro dell’importante documento. triplice comitato scientifico: francese, Ricordando la consueta rubrica delle spagnolo, italiano; allo scopo di comuni- notizie ÇbreviÈ, aggiungiamo che ÇAque- care l’attività dell’Ente culturale che si sanaÈ viene pubblicata con il patrocinio occupa di scavi, ricerche, pubblicazioni, della città di Acqui Terme. convegni, gestione musei. 242 A queste attività concorrono anche le Dal capitalismo alla vita materiale?; varie sezioni dell’Istituto: Intemelia, San- GIULIANA GEMELLI: Fernand Braudel e remo, Imperia, Ingauna, Finalese, Saba- gli storici economici italiani; MASSIMO zia, Valbormida, Genova, Tigullia, Lu- QUAINI: Dalla Francia all’Italia. La geo- nense, Romana (procedendo da ovest a histoire di Braudel. Un’analisi parallela; est). ANTONIO-MIGUEL BERNAL: La asegura- Questo volume pubblicato nel 1998 ciòn maritima en la carrera de Indias: apre con un saggio di FEDERICO BORCA: seguros, crédito y actividad financiera Uomini e paludi nella Gallia Narbonen- (secc. XVI-XVII); ALBERTO TENENTI: Profit- sis - Insediamento, economia, mobilità; ti assicurativi mediterranei nella secon- seguito da Arbitrati romani in Cisalpina da metà del Cinquecento; PIERRE JEAN- (177-89 a.C.), problemi e status quaestio- NIN: Mer Baltique, economies du Nord et nis. Capitalisme européen dépuis la fin du Numerosi altri contributi riguardano: Moyen Age; UGO TUCCI: Commercio su un sito fortificato dell’età del ferro (La lunga distanza e Capitalismo a Venezia; Valette-Var), tomba di Rapallo, ceramica EDOARDO GRENDI: I Valdi e l’econo- iberica, ceramica a vernice nera di Lucca, mia/mondo. una coppa megarese, ceramica ellenistica Concludono questi atti del convegno dell’Italia centrale, ceramiche in Proven- le comunicazioni, interventi, una tavola za, suppellettile vitrea bassomedievale rotonda finale. nel Savonese. Note e discussioni, Bibliografia criti- Ð ❍ Ð ca (a cura di G. Mennella e D. Gandolfi), Vita dell’Istituto concludono questo inte- Bollettino della Società di Studi storici ressante volume della Rivista di Studi li- archeologici e artistici della Provincia di guri. Cuneo - n. 119, secondo semestre 1998, Cuneo, pagg. 248, ill. Ð ❍ Ð

Atti e memorie - Società Savonese di Sto- ria Patria, , 1996-1997 - Nuova serie, vol. XXXII/XXXIII, pagg. 272.

Dal 19 al 22 ottobre 1995 Savona ha ospitato ÇMediterraneo e CapitalismoÈ, VII Convegno storico internazionale or- ganizzato dalla Società Savonese di Sto- ria Patria, in collaborazione con la Mai- son des Sciences de l’Homme di Parigi e con la partecipazione dell’Istituto Italia- no per gli Studi Filosofici di Napoli, allo scopo di commemorare il decimo anni- versario della morte dello storico france- se Fernand Braudel. Le relazioni: MARCO CATTINI: L’eco- nomia padana della prima età moderna. 243 Questo numero, intitolato ÇFlorilegio naldo Comba, Maria Consiglia De Mat- cuneeseÈ vuol essere un omaggio alla teis, Grado G. Merlo. città di Cuneo nell’ottavo centenario del- A questa figura notevole di frate Çmi- la fondazione (1198-1998); una contenu- noreÈ, insigne canonista, giurista, teolo- ta antologia dedicata al capoluogo della go, nato a Chivasso probabilmente fra il Çprovincia grandaÈ. 1418 e il 1425 e della cui età giovanile Apre la serie dei contributi MARIA TE- non si conosce in pratica nulla, vari stu- RESA MUSSINO con Lettura geometrica diosi hanno dedicato ricerche accurate. della forma urbanistica di Cuneo; GIO- Della seconda parte della vita del Carletti VANNI COCCOLUTO: Momenti di storia sappiamo che svolse un’azione a vasto delle fortificazioni cuneesi; RINALDO raggio, non solo in Italia e che papa Be- COMBA: Le Clarisse a Cuneo e a Mon- nedetto XIV lo proclamò beato con bolla dovì - I contesti religiosi e sociali di due del 16 maggio 1753. fondazioni trecentesche; ANDREA MER- Il beato Angelo Carletti è autore di LOTTI: Nobiltà civile e nobiltà titolata nel un’opera di peso: quella ÇSumma Angeli- Piemonte amedeano. Il caso di Cuneo; caÈ Ð prima edizione a stampa a Venezia PATRIZIA CHIERICI: Dalla casa al Palazzo. nel 1476 Ð che, ha scritto Gian Savino La dimora della famiglia Ferraris a Cu- Pene Vidari, «aspira alla sinteticità e alla neo fra Sei e Settecento; ROBERTO ALBA- chiarezza concreta e che intende offrire NESE: Palazzo Lovera di Maria; CARLA ai quesiti emersi nell’attività di predica- BARTOLOZZI: L’insolito destino di una tore e confessore soluzioni precise e ope- chiesa. San Giovanni Decollato a Cuneo. rative, bilanciate fra loro da una prospet- Una quarantina di pagine del volume tiva giuridico-pratica, oltre che filosofi- sono riservate ad una sezione intitolata co-teologica», poiché soprattutto nel Me- Etnostorie: musei e ricerca etnografica dioevo era necessario stabilire Ç...una se- in provincia di Cuneo con i contributi di rie di certezze che la costruzione del giu- DANIELE JALLA, CATHERINE LLATY, DIEGO rista riesce ad offrire ai contemporaneiÈ. MONDO, ADRIANA MANCINELLI. Infine Su questo terreno il contributo di An- ÇNoteÈ, documenti, recensioni, letture e gelo Carletti acquista peso Çfondando rassegne. sulla dottrina non solo teologica, ma in specie giuridica del suo tempo tutta una Ð ❍ Ð graduazione di soluzioni e di sanzioni...È. Un giurista, il Carletti, che con la sua Società per gli Studi Storici, Archeologi- opera offrì materia preziosa ai posteri. ci e Artistici della Provincia di Cuneo - A sua volta il Carletti deve non poco Bollettino n. 118, settembre 1998: nume- ad altri canonisti, tra i quali, in special ro monografico dedicato a Frate Angelo modo, Enrico da Susa (Il Cardinale Carletti, osservante (atti di convegno), Ostiense), citato ben 204 volte. pagg. 268. Il Convegno di Cuneo e di Chivasso ha toccato i seguenti temi: Gli inizi del- Nel dicembre 1996 a Cuneo e a Chi- l’Osservanza minoritica nella regione su- vasso si tennero le due giornate di un balpina di GRADO GIOVANNI MERLO; Tra convegno dedicato a ÇFrate Angelo Car- Paleologi e Savoia: il giovane Angelo letti, osservante, nel V centenario della Carletti e la sua famiglia di ALBERTO LU- morte (1495-1995)È, e gli atti sono stati PANO; Una missione delicata nell’Europa pubblicati a cura di Ovidio Capitani, Ri- centro-orientale: la riorganizzazione del- 244 la provincia osservante in Austria di LUI- Nel suo settimo numero il Bollettino GI PELLEGRINI; Il Carletti a Milano (Gli del Gruppo Archeologico Aquileiese Ð Sforza e l’Osservanza minoritica) di SA- pubblicato con il contributo della Regio- RA FASOLI; Angelo Carletti e la crociata ne Autonoma Friuli Venezia Giulia Ð ci contro i Valdesi di MARINA BENEDETTI; offre: Pre Gilberto Presacco, alla ricerca Da Vincenzo Ferrer ad Angelo Carletti: delle radici del cristianesimo in Friuli di predicazione itinerante e dinamiche di di- RENATO IACUMIN; L’iscrizione greca del- sciplinamento nella Cuneo del XV secolo l’eroe Duino di GIOVANNI LETTICH; La di RINALDO COMBA; Il panorama storico ceramica grezza tardoantica e altomedie- del Quattrocento nell’opera del Carletti vale con marchi a rilievo sul fondo di di MARIA CONSIGLIA DE MATTEIS; Scienza MASSIMO DE PIERO; Abside de la Basili- economica francescana nella Summa di que d’Aquileia. Pavement de la base du Angelo da Chivasso di GIACOMO TODE- banc di YVETTE FLORENT-GOUDOUNEIX; SCHINI; Angelo da Chivasso e i Monti di Nuovi interrogativi riguardo ai pellegri- Pietà di MARIA GIUSEPPINA MUZZARELLI; naggi in Terrasanta di ELIANA MERLUZZI Angelo Carletti e la cultura giuridica del BARILE; I servi ministeriali dei patriarchi suo tempo di GIAN SAVINO PENE VIDARI; di Aquileia nel secolo XIII di FRANCESCA La fama e il culto di Angelo Carletti in età BOSCAROL; Il furto del «velo d’oroÈ di moderna di GIUSEPPE GRISERI. GIORGIO MILOCCO. Nell’ultima parte del volume: Recen- sioni, la vita della Società di Studi Storici Ð ❍ Ð di Cuneo; il nuovo Statuto, l’assemblea dei Soci e le attività. Rivista di Archeologia - Anno XX, 1996 - Ed. Giorgio Bretschneider, Roma 1996, Ð ❍ Ð pagg. 193, 40 tavole con 96 illustrazioni.

Bollettino del Gruppo Archeologico Editore romano, ma in realtà la Rivi- Aquileiese - Anno VII, n. 7, dicembre sta di Archeologia, diretta dal professor 1997, pagg. 48, ill. Gustavo Traversari, è voce del Diparti- mento di Scienze Storico-Archelogiche e Orientalistiche dell’Università di Vene- zia. In questo volume di grande formato scritti di Adriano Maggiani, Jiri Frel, An- tonio Corso, Serena Brusini, German Hafter, Gustavo Traversari, Monica Pu- gliara, Francesca Ghedini, Luigi Sperti, Sabatino Moscati (Un futuro per l’Ar- cheologia), Edoardo Proverbio, Giuliano Romano, Antony Aveni. Sotto il titolo Tecnologia nell’anti- chità GIOVANNI ALIPRANDI affronta il complesso problema della classificazione e terminologia dei prodotti ceramici, mentre LUCIANA DRAGO TROCCOLI, sullo stesso tema, A proposito della terminolo- 245 gia convenzionale dei manufatti ceramici Archeologia ed archeografia, archeo- in archelogia. metria, archeologia dell’architettura, noti- Concludono il volume le Çrecensioni zie ISCUM, relazioni di scavi e indagini e segnalazioni bibliograficheÈ e ÇTavo- effettuati alle Pieve di Santo Stefano di Fi- leÈ. lattiera-Sorano; al Monte Bardellone (Le- vanto - La Spezia); nell’ospedale di San Ð ❍ Ð Nicolao di Tea (Minucciano, Lucca); nel castello Aghinolfi di Montignoso (Massa); Rivista di Archeologia - Anno XXI, 1997 prima campagna di scavi in Val Gargassa - Ed. Giorgio Bretschneider - Roma, in località Veirera (Rossiglione - Genova). 1998, pagg. 240, ill. Importante la bibliografia ISCUM (1990-1997) con il sesto aggiornamento Anche questo numero della Rivista di del catalogo generale. Archeologia, diretta dal prof. Gustavo Traversari (Cà Foscari, Università di Ve- Ð ❍ Ð nezia) offre un buon panorama di contri- buti da parte di: Donatella Usai, Filippo Natura bresciana - Brescia, Museo Civi- Carinci, Orazio Paoletti, Simona Rafa- co di Scienze naturali, 1998 (31/1995), nelli, Adriano Maggiani, Gustavo Traver- pagg. 288, ill. sari, Giovanna Tosi, German Hafner, Lui- gi Sperti, Zsolt Kiss, Cesare Saletti, Il Museo Civico di Scienze naturali di Asher Ovadiah, Jerzy Kolendo. Brescia Ç...struttura di servizio pubblico, Per la sezione supplementare di ÇTec- già sentito tradizionalmente come trait nologia dell’antichità»: S. SANTORO d’union, tra l’Università e la gente...» BIANCHI: Il contributo delle analisi ar- pubblica questa consistente rivista di cheometriche allo studio delle antiche scienze i cui temi spaziano in più direzio- ceramiche grezze e comuni; il rapporto ni: lo studio delle deformazioni dei ver- forma/funzione/impasto; A. MAGGIANI, santi montani, gli ambienti vallici (anche G. TESTA, S. LUGLIO: Caratterizzazione della Valtellina), i vigneti (nella zona del geologica/petrografica dell’alabastro Franciacorta, gloria bresciana), l’inqui- gessoso delle urne cinerarie etrusche co- namento del lago Sebino, il rinvenimento me strumento di studio sulla loro prove- di una mandibola di mammut nei sedi- nienza. menti fluviali dell’Oglio, un’ascia di pie- In apertura del volume la commemo- tra verde sulla sponda occidentale del la- razione del compianto prof. Ottone d’As- go di Garda. sia. Inoltre, vari studi dedicati alla flora e In chiusura: recensioni, segnalazioni alla fauna (uccelli, pesci, insetti). Fuori, e bibliografiche e molte pagine di illustra- ben lontano dall’area bresciana, il ghiac- zioni. ciaio Changri Nap, nel massiccio dell’E- verest. Ð ❍ Ð Ð ❍ Ð Notiziario di Archeologia medievale - ISCUM (Istituto di storia della cultura AA.VV.: Arte alle Ramats (Il restauro de- materiale), 69-70, novembre 1997, Ge- gli affreschi di S. Andrea) - Editrice Mor- nova. ra, Condove 1998, pagg. 48, ill. 246 Le Università della Terza Età – Unitre Ð in Piemonte hanno trovato terreno ferti- le: sono già una sessantina, ossia più di un terzo sul totale dell’intera Italia. Dopo Torino, prima assoluta, la più anziana è l’Unitre delle Valli di Susa, al 18¡ anno di attività nella doppia sede di Susa-Bus- soleno. L’Unitre di Sant’Antonino di Susa, sezione di Almese, culturalmente coordi- nata dal prof. Piero Del Vecchio, è tra le più recenti, ma ha già dimostrato di saper realizzare una serie di attività capaci di Questo elegante quaderno, ricco di il- stimolare e di raccogliere una larga parte- lustrazioni, è stato pubblicato a più mani cipazione. Ð e con molteplici contributi Ð in occasio- Risultato tangibile di questo impegno ne del concluso restauto degli affreschi sono tre ÇquaderniÈ realizzati nel Çlabo- della cappella di Sant’Andrea alle Ra- ratorio della memoriaÈ e riguardanti vari mats (Chiomonte), solennemente presen- aspetti delle tradizioni e della storia della tati al pubblico nel novembre 1998. comunità di Sant’Antonino. Dopo la premessa del parroco don Dolino, una lunga serie di rituali saluti di autorità regionali, provinciali, comunita- rie montane, comunali. Poi Claudio Bertolotto della Soprin- tendenza ai Beni artistici del Piemonte traccia un breve profilo del ÇMaestro di RamatsÈ, pittore tardogotico della secon- da metà del secolo XV. Andreina Jason nei suoi cenni storici informa su varie vicende della Valle di Susa e sulle vicissitudini della cappella di Sant’Andrea la cui prima notizia docu- mentata risale al 1371. Gli ultimi interventi si riferiscono alla cronistoria dei restauri che, come ha scritto il parroco, dal 1878 al 1995 sono stati possibili grazie alla Çfattiva collabo- razione di SegusiumÈ, con un impegno di vari anni. Nei giorni dei festeggiamenti per il completato restauro, in Sant’Andrea ha Quaderno n. 1: ÇDon Arsenio Rosset esposto lo scultore Paolo Belgioioso di Casel (Sant’Antonino 1803 - Modena Sant’Antonino di Susa. 1876) - A cura di Giovanni Lunardi O.S.B. - Sant’Antonino, Ottobre 1997, Ð ❍ Ð pagg. 16. 247 Padre Lunardi, priore dell’Abbazia di La ricerca a vasto raggio, le interviste Novalesa, ha scritto per Sant’Antonino la agli anziani hanno consentito l’allesti- biografia di questo illustre concittadino mento di una mostra della quale il qua- che Ð dopo aver studiato nel seminario derno è una sorta di rendiconto godibile e diocesano di Susa Ð visse in vari conven- denso di sorprese, di curiosità che sono ti benedettini in Italia e fu abate a Nova- altrettante gradevoli scoperte del nostro lesa negli anni dal 1847 al 1850. passato recente quando per i loro giochi i Ha ragione Del Vecchio di scrivere bambini utilizzavano pochi, semplici gio- nella presentazione che l’Unitre ha volu- cattoli di lunga durata, di produzione ca- to Çonorare la memoria di fatti e persone salinga e locale. In quei giochi c’erano che anticiparono il nostro camminoÈ e però tanta fantasia, destrezza, vivacità, che questo quaderno n. 1 Çci consegna la intraprendenza. Soprattutto si giocava figura di un uomo profondamente religio- quasi sempre all’aria aperta, nel verde, so e coerente, poco incline ai compro- nei grandi spazi della campagna. messi, comprensivo ed equilibratoÈ. Un valsusino che sicuramente ha fatto onore alla terra natìa.

Quaderno n. 3: Affrancamento della Comunità di Sant’Antonino verso il si- gnor Conte Pullini feudatario della me- Quaderno n. 2: C’era una volta la sò- desima, in data 18 ottobre 1798 - tola - Giochi di una volta - Sant’Antoni- Sant’Antonino, Ottobre 1998, pagg. 56. no, Marzo 1998, pagg. 24. Nella ricorrenza del duecentesimo an- é la chiara sintesi di un impegno del niversario dell’affrancamento della Co- «Laboratorio della memoria» dell’Unitre, munità di Sant’Antonino, l’Unitre ha fat- grazie al meritorio lavoro di numerosi in- to con passo deciso l’ingresso sul terreno segnanti delle scuole elementari e medie della storia portando a conoscenza di un di Sant’Antonino. largo pubblico un lungo documento roga- 248 to negli uffici dell’Intendenza di Susa, al- agevole l’identicazione delle località e lora capoluogo di provincia. dei monumenti da visitare. Con l’alto avallo dell’avvocato Rena- Di Novalesa, a contorno della celebre to Gros, Regio Intendente di sua maestà abbazia, si ricordano in breve la storia, le sabauda Carlo Emanuele IV, Sant’Anto- tradizioni, il rifugio alpino ÇStellinaÈ, ri- nino si liberò – nero su bianco – da anti- storanti, associazioni locali, ecc. che servitù di matrice feudale. Negli ÇItinerari di fedeÈ, in primo Come quasi tutti i documenti del ge- piano la Valle di Susa con Novalesa, San nere, anche questo sarebbe largamente Giusto a Susa, la Sacra di San Michele; incomprensibile a molti se Piero Del Vec- numerosi, importanti gli edifici di culto chio e il prof. Sandro Lombardini dell’U- lungo Çla via di FranciaÈ. niversità di Torino non ne avessero fatto in un certo senso una traduzione e non lo Ð ❍ Ð avessero inquadrato nel contesto storico del suo tempo. 40 anni di Rotary in Val di Susa - Storia Ne risulta un buon contributo alla sto- del Rotary Club Susa e Valsusa (A cura ria della Valle di Susa e di un suo impor- di Paolo Tonarelli, Luigi Grimaldi, Piero tante comune. Zanon, Mizio de Grandi, Cesare Crescio) Resta da dire che queste interessanti, - Stampa Editrice Morra, Condove 1998, meritorie iniziative dell’Unitre di San- pagg. 108, ill. t’Antonino sono sorrette dalla collabora- zione delle scuole locali, del Comune e, in prima persona, dal sindaco Giampaolo Corciarino. (t.f.)

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Novalesa - Regione Piemonte, Torino 1998, pagg. 8, ill.

Itinerari della fede in provincia di Torino - Amministrazione Provinciale, Torino 1998, pagg. 24, ill. (italiano, francese, in- glese). Per celebrare i suoi quarant’anni di Come già nello scorso numero della vita e di attività il Rotary Club Susa e nostra rivista, segnaliamo in questa rubri- Valsusa ha pubblicato questo elegante ca anche due opuscoli promozionali, uno ÇquadernoÈ con la storia del sodalizio, a della Regione e uno della Provincia inte- partire dal ricordo dei 25 soci fondatori e ressanti le Valli di Susa. del primo presidente, senatore prof. Fe- Abbiamo fra le mani due pubblicazio- derico Marconcini nel 1958-1959. ni nel loro genere sicuramente utili, ap- Di pagina in pagina si svolge la croni- prezzabili graficamente, con belle illu- storia degli incontri, delle iniziative cul- strazioni. Inoltre si segnalano per le noti- turali, benefiche, ricreative, la successio- zie pratiche e la cartografia chiara, appo- ne dei soci che si sono alternati nelle ca- sitamente disegnata allo scopo di rendere riche direttive del Club. 249 Nell’insieme, anche una gradevole giosa sede patriarcale fino alla metà storia valsusina fatta di partecipazione di- dell’XI secolo, nessuno di essi è riuscito a screta, ma niente affatto trascurabile alla porsi tanto prepotentemente all’attenzio- vita della Valle. Un volume che è uno ne degli storici come PopponeÈ (1019- scrigno di ricordi, in bella veste tipogra- 1042), bavarese di nobile lignaggio, nella fica e con la copertina del pittore France- stima dell’imperatore Enrico II. sco Tabusso. Nel ÇquadernoÈ, ben documentato anche da utili disegni, troviamo: quadro Ð ❍ Ð cronologico; introduzione all’anno Mille; il patriarca Poppone (1019-1042); intro- Poppone: l’età d’oro del patriarcato di duzione alla vita quotidiana al tempo di Aquileia - Quaderno didattico a cura del Poppone; il cibo e il desco; l’abbiglia- Gruppo Archeologico Aquileiese - Aqui- mento; la vita monastica e il convento leia 1996-1997, pagg. 32, ill. femminile di S. Maria di Aquileia; mona- steri e medicine. Gli autori: Eliana Merluzzi Barile, Rossana Fasolo Visintin, Tullio Tentor. Resta da dire che Aquileia venne fon- data nell’anno 181 a.C. per iniziativa del Senato di Roma ed ha una storia tanto lunga quanto illustre.

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Medioevo (un passato da riscoprire) - Anno III, mensile, n. 2 febbraio 1999, Milano, L. 9.000, ill.

Il Çmensile culturaleÈ, copiosamente illustrato a colori, edito dalla De Agosti- ni-Rizzoli Periodici, nel sommario di va- ri temi offre in primo piano ÇI marchesi del MonferratoÈ (Le grandi famiglie) che ci interessano in modo particolare e da Il n. 6, anno VI, del Bollettino del vicino. Il testo è del prof. Renato Bordo- Gruppo Archeologico Aquileiese aveva ne, storico medievalista dell’Università dato notizia di una iniziativa per le scuole di Torino. friulane, alla quale nel n. 36 di Segusium Tra l’altro scrive l’autore: «Va anche avevamo augurato esito felice. detto che, a quel tempo (secolo XI, n.d.r.), La conferma che avevamo presagito gran parte del Piemonte centro-meridio- giustamente ci viene in concreto dal nale e della Liguria occidentale era domi- Çquaderno didatticoÈ che, in sole 32 pa- nata dalla potente famiglia degli Arduini- gine, illustra questo personaggio. ci, titolari della marca di Torino, i quali, ÇPer quanto importante possa essere poco prima della metà del secolo, finiro- stato l’operato dei patriarchi di Aquileia no per stipulare un Çpatto dinasticoÈ con che si alternarono nell’occupare la presti- gli Aleramici: Adelaide di Torino (ossia 250 la ÇnostraÈ marchesa di Susa, n.d.r.), de- noi segnalato con un buon rilievo nel n. tentrice di fatto della marca, prese come 36 di ÇSegusiumÈ). sposo Enrico, discendente dal figlio di Ma su questo problematico terreno da Aleramo, Oddone, e Berta, sorella di dove si può utilmente cominciare? Biso- Adelaide andò in moglie a Tete, disceso gnerebbe spiegarlo e per una questione dall’altro figlio di Aleramo, Anselmo. La tanto complessa basterà un certo numero doppia unione avrà un’importanza deter- di ÇPagineÈ? minante per definire anche gli assetti ter- ritoriali del Piemonte basso-medievale, Ð ❍ Ð in quanto, all’estinzione degli Arduinici, i loro beni passeranno agli Aleramici e Armanach ëd Valsusa 2000 - A cura di dal ramo a cui apparteneva Enrico di- Mario Paris; illustrazioni di Mauro Paris scenderanno i marchesi del Monferrato, - Stampato da Melli, Borgone 1999 - Edi- mentre da quelli di Tete avranno origine i to dalla Associazione Culturale ÇAmici cosiddetti marchesi del VastoÈ. dei vecchi mestieriÈ di Chianocco. Per un preciso riferimento temporale, fu nel 1111 che compare per la prima vol- ta un Çmarchese di MonferratoÈ, con po- tere su una zona collinare tra Casale e Moncalvo.

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Pagine del Piemonte - Periodico di arte, cultura, informazione, turismo - n. 7, aprile 1999 - Ed. Priuli & Verlucca, Ivrea, pagg. 144, L. 15.000.

Da due anni, con cadenza quadrime- strale, esce questa patinata, abbondante- mente illustrata a colori, rassegna di va- rietà regionale piemontese. Come ne ab- biamo già viste in passato. ÇPagine del PiemonteÈ annovera bel- le firme del giornalismo e della cultura Con la consueta, garbata tenacia, Ma- accademica di ceppo subalpino e il diret- rio Paris (collaboratore di Segusium) rea- tore Alberto Sinigaglia dichiara di voler lizza da alcuni anni l’Armanach, que- combattere «...l’immagine e i malumori st’anno per il 2000, calendario formato di un Piemonte rinunciatario e in difesa, da parecchi ingredienti gradevoli e signi- chiuso nei suoi confini, nei suoi ricordi e ficativi riguardanti la Valle di Susa. Dalla mugugni per le perdute glorie...È. poesia alla storia, dalle tradizioni popola- Insomma sarebbe indispensabile re- ri alle feste tipiche, dalle ricette di cucina stituire senza perdere tempo al Piemonte locale ai monumenti d’arte, dai «vecchi una sua forte identità regionale (tema ben mestieriÈ quasi tutti da museo Ð e altro svolto in un recente libro di Gustavo Mo- ancora Ð derivano alla pubblicazione una la di Nomaglio Il primato piemontese, da varietà di bell’interesse e anche una vi- 251 sione della nostra valle immediata, accat- del curatore e dei suoi collaboratori, ma tivante, senza prosopopea. Probabilmen- la funzionalità della ricca nostra «lingua te in ossequio al proverbio-ammonimen- regionaleÈ. to piemontese: «Aria d’importansa, di- Infine, è da rilevare positivamente ploma d’ignoransa!». l’uso di tanti buoni disegni di vari monu- Merito non ultimo dell’Armanach è la menti e ambienti valsusini; con l’avver- larga utilizzazione del piemontese nei te- tenza che la vendita dell’Armanach non sti, a sottolineare non solo le predilezioni ha scopi di lucro.

252 Notizie

In memoria ministero episcopale a Susa fino al 1978 all’insegna del motto «Servire Deo»; la di monsignor Garneri quiescenza operosa, il Vescovo emerito al Il 15 dicembre 1998, a Torino, all’età servizio delle persone che si rivolgevano di 99 anni, è mancato monsignor Giusep- a luiÈ. pe Garneri, originario di Cavallermag- Ha proseguito il vescovo di Susa: giore (1899) e vescovo di Susa dal 1954 Ç...direi che a Torino è stato il costruttore al 1978. Consacrato vescovo il 23 mag- nel campo dell’edilizia sacra e dell’edito- gio 1954 aveva fatto l’ingresso nella dio- ria; a Susa il costruttore di una chiesa lo- cesi di Susa il successivo 6 giugno. cale; da Vescovo emerito il costruttore di Il 18 dicembre 1998, in San Giusto a una Chiesa domesticaÈ. Susa, nella ÇsuaÈ cattedrale, si sono svol- Uomo di salda dottrina e di molteplici ti i solenni funerali di mons. Garneri. iniziative, incaricato di varie missioni de- Il vescovo di Susa, e suo successore, licate (e pericolose quelle in tempo di mons. Bernardetto ha tenuto l’omelia du- guerra), attento alle opere di cultura, eb- rante la cerimonia funebre, dicendo fra be particolare attenzione per le attività di l’altro: «Si intuiscono tre passaggi epoca- «Segusium - Società di Ricerche e Studi li che hanno marchiato la sua esistenza. Valsusini» della quale appoggiò varie ini- L’attività sacerdotale al servizio del car- ziative fino agli ultimi mesi del sua lun- dinal Fossati a Torino dal 1930 al 1954; il ga, operosa esistenza.

18 dicembre 1998. Nella Cattedrale di San Giusto a Susa, il vescovo mons. Bernardetto benedice il feretro di mons. Garneri. 255 Il ÇTesoroÈ della Cattedrale di San Giusto L’Associazione ÇIl PonteÈ prosegue nella propria attività, in particolare con una iniziativa di spicco: la mostra ÇIl Tesoro della Cattedrale di San GiustoÈ, allestita dall’Associazione ÇIl PonteÈ, in collaborazione con la Diocesi di Susa e la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici del Piemonte. È stata un’espe- rienza espositiva caratterizzata da una sequenza di valenze e di significati, ar- monicamente collegati tra loro, rara- mente rintracciabili in un unico evento culturale. Dal punto di vista storico e artistico la mostra ha scelto come tema oggetti di inestimabile valore, di proprietà della Diocesi di Susa, attinenti alle celebra- zioni liturgiche, collocabili in un arco In alto: reliquiario in legno intagliato e dorato, tempotale che va dal settimo secolo, opera di intagliatore piemontese della seconda cioè dal periodo longobardo, al dician- metà del secolo XVIII. novesimo. In basso: calice d’argento sbalzato, cesellato e Ai pezzi proposti in mostra è stato af- dorato di argentiere torinese (prima metà del fidato il compito d’essere testimoni silen- XVIII secolo). ziosi e attendibili di un percorso di fede ininterrotto, al cui servizio sono state im- piegate abilità manuali di alto livello. Le- gno, metallo, pietre preziose, materiali vari sono stati utilizzati dalle mani capaci di artigiani-artisti, vissuti in epoche di- verse, ma accomunati dalla volontà d’in- vestire le proprie capacità in espressioni tangibili della fede nel Divino. Gli oggetti in mostra sono stati sele- zionati in modo che fosse semplice e im- mediato per il visitatore cogliere nello stesso tempo la diversità delle opere e l’i- dentità di motivazione degli esecutori: esempio principe di quanto detto è certa- mente l’esposizione dei calici che, par- tendo dal 1300 e giungendo al 1800, ha messo in evidenza l’interessante evolver- si del gusto artistico. La serietà culturale dell’intervento ha 256 trovato conferma nella volontà dei cura- sedicimila unità di visitatori) che il mo- tori di dare un taglio didattico all’inizia- mento espositivo ha registrato. tiva, nel senso di permettere ad un pub- Gli spazi dedicati all’iniziativa dai blico vasto e non solo accademico di av- mezzi televisivi, radiofonici e dai giorna- vicinare e decodificare gli oggetti in mo- li sono stati una conferma che le energie stra, fornendo un panorama in relazione investite nell’attività rispondono ad un al tema scelto, ampio e articolato. Le interesse e ad una sensibilità culturale schede storiche, artistiche e religiose che che stanno sempre più consolidandosi. rimandavano al Catalogo, hanno affian- Gemma Amprino cato i pezzi esposti, fornendo degli stessi una lettura qualificata a chiunque visitas- se le sale interessate dalla Mostra, la Liceo classico di Susa quale ha trovato spazi espositivi ideali nei locali della Chiesa della Madonna del Le brutte notizie abbondano. Per il Ponte di Susa, destinati in un futuro secondo anno consecutivo il ginnasio di prossimo a far parte del costituendo Mu- Susa non è riuscito a formare la classe seo Diocesano. quarta (di una volta, che poi è diventata Il momento espositivo non era privo la prima da quando la più qualificata di una connotazione scientifica, se si tie- scuola italiana subì la brutale amputa- ne presente che tutti i pezzi sono stati zione dei tre anni iniziali, detto ÇGinna- sottoposti ad interventi di pulitura e di sio inferioreÈ, al posto dei quali vi sono restauro, seguiti costantemente dalla So- ora gli stessi anni di scuola media del- printendenza ai Beni Storici ed Artistici l’obbligo). del Piemonte. Tali operazioni sono state Noi, che nello statuto di ÇSegusiumÈ portate a termine da competenti labora- abbiamo per obiettivo primario la difesa tori, i quali hanno documentato le fasi e e la valorizzazione del patrimonio cultu- le modalità degli interventi, trasmetten- rale valsusino, sentiamo particolarmente do copia degli incartamenti all’Associa- viva e scottante questa crisi Ð non soltan- zione ÇIl PonteÈ, che si è fatta carico di to di un istituto scolastico Ð le cui conse- coordinare l’intera operazione, in modo guenze negative già si avvertono e si ma- che fosse possibile conoscere i passaggi nifesteranno sempre più pericolose in av- messi a punto per recuperare e/o conso- venire. lidare le parti o la totalità delle opere Si inaridirà in Valle di Susa l’humus esposte; al servizio di un patrimonio ar- culturale ÇclassicoÈ, quello di migliore tistico e storico che appartiene alla Dio- qualità, sul quale sono germogliati nei se- cesi di Susa, ma è ricchezza e dovere coli, non soltanto il sapere elevato, ma i dell’umanità intera salvaguardare e pro- valori di una solida civiltà e del vivere teggere. comune. é la rinuncia ad una componen- Essendo la Mostra ÇIl Tesoro della te importante per la buona «qualità della Cattedrale di San GiustoÈ una tappa im- vitaÈ. portante del cammino che si intende per- Con che cosa verranno sostituiti que- correre, al fine di recuperare, tutelare e sti già solidi valori? La risposta non può rendere fruibile le innumerevoli espres- essere né sommaria, né spicciativa. Di sioni artistiche e storiche della Valle di certo – è una previsione abbastanza facile Susa, è stato gradito il riscontro di pub- – già oggi siamo persuasi che il danno blico nazionale e straniero (superiore alle sarà grave e irreparabile. 257 I robusti giornali locali Il sociologo Carlo Marletti, commen- tando i dati della ricerca ha dichiarato cari ai piemontesi che, sulla base di esperienze di altri pae- La Regione Piemonte aveva affidato si, l’emittenza e la stampa locali hanno alla società di ricerche Datamedia (con la un avvenire positivo. é un rilievo che si consulenza dell’Università di Torino) una mantiene costante nel tempo, ricavato ricerca sulla base di un sondaggio e di in- anche da indagini di parecchi anni addie- terviste a 6.000 piemontesi. Oggetto del- tro. l’indagine: l’ascolto delle televisioni e ra- Un cenno, almeno, ai numeri di casa dio operanti in àmbito regionale; la lettu- nostra, ossia la stampa periodica valsusi- ra dei giornali (settimanall e bisettimana- na. Un dato significativo riguarda i due li) d’informazione pubblicati nei centri giornali di informazione delle valli di Su- minori durante l’anno 1998. sa e Sangone (anche se le aree di diffu- I risultati sono certamente importanti sione non sono esattamente coincidenti). per conoscere la società piemontese. Ad ÇLa ValsusaÈ, edito nel capoluogo del esempio, una buona percentuale di resi- circondario, ha 50.156 lettori la settima- denti in Piemonte non si accontenta delle na; ÇLa luna nuovaÈ, bisettimanale, ne tv e radio nazionali, né dei «grossi» quo- conta 67.230. Sono cifre di tutto rispetto. tidiani, sfuggendo così, almeno in parte, al livellamento dell’informazione-svago di massa per mantenere ben vivo il senti- mento della Çpiccola patriaÈ regionale e Saluto a un bravo direttore subregionale con i suoi antichi valori. Premesso che le televisioni regionali, Roberto Salvio, alessandrino di pro- ossia quelle operanti sul territorio del vate capacità e sagacia, dopo vent’anni Piemonte sono 28 e le radio 119, 62 pie- ha lasciato la direzione di ÇNotizie della montesi su 100 (ossia un milione e mez- Regione PiemonteÈ, pubblicazione che si zo) nella settimana-campione prescelta, può definire esemplare nel suo genere. hanno guardato la televisione e 51 hanno Gli succede Luciano Conterno: augu- ascoltato una radio della regione. ri al nuovo direttore. Ventisette piemontesi hanno dedicato Chi ha seguito «Notizie» fin dall’ini- un po’ del loro tempo ad un giornale lo- zio Ð conoscendone anche il direttore e cale. alcuni suoi collaboratori Ð condivide il La lettura continua, ad ogni latitudi- saluto di Salvio il quale si augura che la ne, a rappresentare un valore, un mezzo rivista edita dal Consiglio Regionale del insostituibile per informazione e cono- Piemonte possa proseguire Çsenza alcun scenza: gli abitanti del Piemonte sono trauma il suo compito informativo istitu- circa 4.300.000 dei quali 2,5 milioni leg- zionale nei confronti della comunità», gono almeno un quotidiano. inoltre continuando Ça seguire una linea I lettori di un giornale locale sono cir- editoriale già ampiamente verificata» du- ca un milione e mezzo, con punte più ele- rante un ventennio. vate in provincia di Vercelli (50%) e di A questa speranza sinceramente si as- Alessandria (48,3%). In coda è la provin- socia anche ÇSegusiumÈ che saluta con cia di Torino (19,7%) a causa della pre- stima Roberto Salvio e gli augura altri senza del quotidiano ÇLa StampaÈ, con la successi professionali nell’Amministra- sua cronaca e le notizie varie locali. zione della Regione Piemonte. 258 Bene la 6a Fiera del Libro nascita di Massimo D’Azeglio (1798- 1866), uomo di stato, romanziere, saggi- Sotto gli antichi portici di via Palazzo sta, pittore. di Città di Susa (pavimentazione riasse- Proprio come artista D’Azeglio ese- stata, affresco sindonico restaurato, illu- guì una serie di pregevoli disegni della minazione migliorata), è tornata a fine Sacra pubblicati con il titolo ÇLa Sacra di agosto 1998 la 6a Fiera del Libro. San Michele disegnata e descrittaÈ del L’organizzazione ormai collaudata è 1829, tuttora riprodotti largamente. quella di Roberto Marra e collaboratori, Martedì 15 dicembre 1998, nel salone titolare della casa editrice Il Punto-Pie- degli svizzeri in Palazzo reale a Torino si monte in Bancarella di Torino, presidente sono concluse le celebrazioni del 1848 dei librai, benemeriti, che vivono all’a- promosse dall’Associazione Torino Città perto con le loro ÇbancarelleÈ, a contatto Capitale Europea, con l’incontro sul te- con la gente che passa. ma: «Massimo D’Azeglio, un torinese Comune di Susa e Associazione degli per l’Italia e per l’Europa». Amici del Liceo classico ÇNorberto Ro- È stata l’occasione, di fronte ad auto- sa» promuovono e sostengono l’iniziati- rità e studiosi, per presentare il volume va. La 6a edizione della Fiera del Libro è IV dell’Epistolario azegliano nel periodo stata soddisfacente: per il pubblico e per fra il 1¡ gennaio 1848 e il 6 maggio 1849, gli organizzatori. Un po’ meno bene sono curato da Georges Virlogeux e pubblicato andati gli incontri con gli autori e forse ci dal Centro Studi Piemontesi, che così ag- sarà qualcosa da ritoccare in queste ma- giunge un’altra benemerenza alla sua at- nifestazioni per invogliare il pubblico a tività culturale. intervenire. Un cenno particolare merita l’editoria che ha per tema la Valle di Susa, la sua cultura, la sua storia, il patrimonio artisti- La Festa del Libro: co; ha ottenuto rilevante, spontanea at- per amarlo fin da piccoli tenzione, sia per il numero dei titoli che propone, sia per l’interesse che sa risve- La Festa del Libro, che ogni anno si gliare, pur non ricorrendo a costose cam- svolge a Susa nella prima settimana di di- pagne promozionali. é un terreno che cembre, coinvolge i bambini delle scuole merita attenzione da parte di tutti Ð pub- elementari del circolo, le insegnanti, i ge- blici poteri compresi Ð e qualche efficace nitori e i librai della città (Panassi, Milet- idea rivolta al futuro. to, Dieci e lode). é una manifestazione legata al progetto «Una Città Biblioteca» del Circolo Didattico di Susa. Quest’anno la manifestazione si è ar- L’epistolario ricchita della presenza degli studenti del di Massimo D’Azeglio Liceo Socio Psico Pedagogico che hanno collaborato dando vita a momenti di let- A cominciare dallo Statuto di re Carlo tura e animazione di racconti. La Direzio- Alberto, il 1998 è stato un anno di nume- ne Didattica ha, inoltre, organizzato un rose ricorrenze storiche significative, so- incontro con gli autori e una conferenza prattutto per il Piemonte, tra le quali an- dal titolo ÇPollicino: rapporto genitori fi- che il duecentesimo anniversario della gliÈ. 259 questi lavori sono il risultato di un per- corso didattico lungo e laborioso, volto all’esplorazione del territorio e della sua valorizzazione, attento a sviluppare la fantasia e la capacità critica, sia attraver- so l’invenziene di racconti, sia attraverso la manipolazione di storie già note. In francese il libro è, talvolta, la tra- sformazione visiva di una storia soltanto ascoltata in cassetta, è il passaggio dalla parola-suono alla parola-immagine: le due, combinate, aiutano la comprensione e, soprattutto, garantiscono la memoriz- zazione di significati. Le pareti del salone della Festa del Li- bro erano poi decorate con cartelloni pubblicitari inventati dai bambini. C’era poi il laboratorio di lettura che è uno spazio fisico, ma anche un luogo mentale. Attualmente quasi in ogni scuo- la del Circolo c’è un angolo riservato a questa attività: bastano un armadio o uno scaffale per esporre in bella vista i libri della biblioteca, sistemandoli a portata di mano, e alcuni cuscini per stare comodi e rilassarsi, ascoltando la maestra che leg- ge una storia. Questo è lo spazio fisico. Dopo di che ci si lascia andare al suo- Come nelle precedenti edizioni, nel no delle parole, che evocano situazioni e salone del Seminario in piazza Savoia fa- luoghi lontani. Così, come dice una pub- cevano bella mostra di sé libri per tutti i blicità molto pertinente, Çnous voya- gusti, dalle fiabe ai testi scientifici, espo- geons sans bouger de la maisonÈ: noi an- sti sulle bancarelle e sugli scaffali allesti- diamo dove la storia ci porta, noi alunni e ti dai librai di Susa. maestra insieme, coinvolti nelle stesse Non mancava, però, l’angolo dei libri emozioni; e il nostro magnifico aereo è il prodotti dai bambini delle scuole di Susa libro con la sua magia. e dei paesi vicini (Chiomonte, Giaglione, In seguito qualche alunno si farà com- Gravere, Meana, Novalesa, Venaus): libri prare dai genitori lo stesso libro per po- che narrano antiche leggende locali o che terlo leggere personalmente; qualche al- descrivono attività tipiche che stanno tro bambino, che di solito è refrattario ai scomparendo, come la lavorazione del libri in genere, si metterà a leggere con latte e l’allevamento delle pecore e dei interesse; qualcuno leggerà con la mam- bovini, e ancora testi che ci informano sui ma e tutti e due scopriranno che è una co- principi della nutrizione, libri in italiano, sa bellissima. ma anche in francese. Ecco, obiettivo centrato! Proprio così Nella loro apparente semplicità tutti e non è un obiettivo da poco educare i 260 bambini al piacere della lettura. Tale di esperienze, iniziative di associazioni, obiettivo viene anche indicato nei pro- enti, scuole, individui interessati alla tu- grammi della scuola elementare. tela delle culture alpine, oltre che porre le L’importanza del leggere è profonda- basi per far sì che un’iniziativa scolastica mente sentita nelle nostre scuole, tanto diventi risorsa per la collettività valoriz- che il Progetto «Una Città Biblioteca» è zando i centri di documentazione già esi- stato inserito, con altri interessanti pro- stenti a Oulx e a Giaglione. getti, all’interno del più ampio progetto per la sperimentazione dell’autonomia. Com’è avvenuto per gli altri, è stato mo- tivato dettagliatamente sotto il profilo di- Sempre di attualità dattico-educativo e la serietà delle richie- la Geografia ste ha fatto sì che il Circolo Didattico di Susa ha ottenuto l’approvazione e il fi- L’Università degli Studi di Torino e nanziamento dei diversi progetti. l’Associazione Insegnanti di Geografia, Elvira Lambert Sezione Piemonte, hanno organizzato a Bardonecchia (24-28 agosto 1998) il loro 41¡ convegno. Nella cornice della bella conca di Bar- Culture alpine: donecchia, le conferenze e le relazioni del dalla scuola al territorio convegno hanno toccato anche una serie di temi particolari di attualità per la Valle Nell’ambito del progetto di tutela del- di Susa, come il T.A.V., la progettata linea le culture alpine e delle lingue minorita- ferroviaria del Treno ad Alta Velocità, sul- rie il 27 maggio 1998 si è tenuto a Oulx il la quale si discute da parecchio tempo. convegno denominato ÇPrima che scenda Alle conferenze propriamente tecni- la notteÈ, giunto al terzo anno di vita e che si sono alternate anche occasioni di che ha visto impegnate le scuole elemen- incontri su temi folkloristici ed escursio- tari dell’Alta Valle di Susa, la scuola me- ni sia alla riscoperta del territorio alpino dia e il Liceo Des Ambrois di Oulx, con di Bardonecchia nei suoi vari aspetti, sia l’appoggio della Direzione didattica, del- alle verifiche relative alla presenza del- la Comunità Montana Alta Valle di Susa l’uomo nell’area montana di questa parte e il patrocinio della Commissione della delle Alpi Occidentali. Comunità Europea. Il convegno ha visto tra gli altri rela- tori il professor Tullio Telmon dell’Uni- versità di Torino, l’assessore provinciale Le tradizioni funerarie Walter Giuliano, il prof. Tuaillon dell’U- nelle Alpi Occidentali niversità di Grenoble. La professoressa Oyer dell’Università di Grenoble ha pre- Una giornata e mezza di convegno il sentato le esperienze del Centro di docu- 13-14 marzo 1999 nella Sala del Palio in mentazione Valle Stura di Demonte, della Palazzo di Città a Susa, sul tema «La scuola francese con il maestro Rodriguez morte e le tradizioni funerarie nelle Alpi e di quella italiana con la professoressa OccidentaliÈ, organizzato dal CeRCA, Rostagno, allo scopo di fornire un’oppor- con patrocinio di Regione, Provincia, tunità di conoscenza, incontro e scambio Città di Susa, Dipartimento di Storia del- 261 Nel Gran Bosco è tornato il lupo Nel dicembre 1997 una conferenza stampa ha presentato ufficialmente lo spontaneo ritorno del lupo sulle monta- gne dell’Alta Valle di Susa e del Chisone. Questo ingiustamente famigerato e bistrattato predatore nostrano era scom- parso dal territorio piemontese nel secolo scorso e sulle proprie zampe ha risalito cautamente la dorsale appenninica arri- vando nel 1985 sulle alture boscose fra Genova e Alessandria e nel 1990 nel Cu- neese. Da allora studi e segnalazioni si succedono anche nel nostro territorio fi- no all’attuale certezza: nel luglio 1997 Ruggero Casse di Salbertrand ha incon- l’Università di Torino, Soprintendenza trato il lupo nel Parco naturale del Gran Archeologica del Piemonte, Società di Bosco: un adulto con tre cuccioli. Studi Francescani (Assisi). Con questo ritorno il lupo ha premia- Dopo i saluti delle autorità, in pro- to il lavoro svolto nella salvaguardia del gramma: SERGIO RODA: ÇMessaggi di vita territorio ricomparendo nei boschi del- nelle pierre di morteÈ - La duplice funzio- l’Alta Valle di Susa. ne dell’epigrafia sepolcrale romanaÈ; ALBERTO CROSETTO: ÇRepertum fuit pavi- mentum devastatum - La chiesa diventa cimiteroÈ; LUCA PATRIA: ÇLa stola negra. Città a porte aperte Conflitti giurisdizionali e pratiche fune- in Alta Valle rarie in Val di Susa tra tardomedioevo e prima età moderna»; TULLIO TELMON: ÇIl Con il patrocinio della Provincia di lessico della morte nelle Alpi Occidenta- Torino nel 1998 e nel 1999, da aprile a ot- liÈ; ADRIANO PROSPERI: ÇIl conforto dei tobre, città e paesi hanno aperto le porte condannati a morte. Una pratica d’antico ad un pacifica invasione turistica di suc- regimeÈ; ELENA ROSSETTI BREZZI: ÇIm- cesso, incoraggiante per l’avvenire. magini del “memento mori” nel Piemon- In Alta Valle di Susa si è incomincia- te del basso medioevoÈ; CARLO TOSCO: to con Exilles e Salbertrand dove a farla ÇIl mausoleo del principe - Chiese fune- da padroni sono stati la chiesa parroc- rarie dinastiche nel gotico piemonteseÈ; chiale di San Giovanni, il Forte di Exilles SONIA DAMIANO: ÇFonti documentarie e il Parco del Gran Bosco, senza dimenti- per lo studio degli apparati funebri alla care l’Ecomuseo intitolato a «Colomba- corte sabaudaÈ; TOMMASO MANFREDI: no RomeanÈ. ÇGli apparati funerari di Filippo Juvarra Subito dopo è stata la volta di Bardo- per i Savoia a TorinoÈ; ELENA DELLAPIA- necchia a spalancare le porte dei propri NA: ÇSepolcri di principi di Savoia. Il ri- monumenti per soddisfare le richieste di cordo al servizio della RestaurazioneÈ. un turismo attento e curioso al patrimo- 262 nio artistico della nostra terra. Così le Infine, anche Oulx e Sauze d’Oulx chiese del capoluogo e delle frazioni, le hanno aperto cordialmente le loro porte e cappelle dai preziosi cicli pittorici, le fa- ancora una volta gli edifici sacri l’hanno mose sculture della scuola del Melézet fatta da padroni, insieme alle fontane e ad sono state a disposizione di tanta gente. altre costruzioni di valore storico.

Susa, città d’arte nella giornata «a porte aperte»: un tratto di Via Palazzo di Città animata dai visi- tatori più mattinieri. Nella pagina seguente: altri scorci della giornata Ça porte aperteÈ nel centro storico di Susa.

Città d’arte in Valsusa. ne degli aspetti artistici e monumentali di una città alla riscoperta delle tradizioni E anche altro gastronomiche del territorio circostan- te...È. Come a dire che anche il palato ha Nel 1999 la lista delle Città d’Arte in le sue attese e vuole la sua parte. Ed è be- Valle di Susa si è allungata: partendo dal- ne non trascurarlo. l’imbocco a Rivoli, incontriamo Butti- Leggiamo la pubblicazione della Pro- gliera Alta, Sant’Ambrogio, Avigliana, vincia. ÇDa sempre via di passaggi per Susa, Novalesa, Giaglione, Exilles, Sal- eserciti, commercianti e pellegrini, la val- bertrand, Oulx. Non solo per queste loca- le si propone al visitatore contemporaneo lità, ma per la Valle di Susa nel suo com- con gli ampi pendii che nei versanti espo- plesso l’Amministrazione Provinciale di sti a sud sono ancora ben coltivati. é da Torino ha diffuso un opuscolo intitolato questi terreni che provengono alcuni dei ÇItinerari del gustoÈ, ossia Çdalla fruizio- più tipici prodotti della montagna valsu- 263 sina. Il vino innanzitutto. Ultimo arrivato Da non dimenticare infine i prodotti tipi- nel gruppo dei vini a denominazione di ci dell’alpeggio. Nei numerosi caseifici e origine controllata della provincia di To- nelle aziende si produce la Toma piemon- rino, il Valsusa d.o.c. Rosso è prodotto in tese, una formaggio a pasta dura ottenuto un’area che comprende 19 comuni della con latte di vacca, o misto, non fermenta- media e bassa valle. In alcuni casi i vi- to, con stagionatura non inferiore ai tre gneti sono coltivati fino ad altezze ecce- mesiÈ. zionali che toccano i 1.100 metri di quo- Seguendo l’elenco di feste, agrituri- ta... Altra eccellenza della Valle sono i ca- smo, cantine, aziende agricole, caseifici, stagneti che danno i ricercati marroni del- alpeggi, artigianato, liquori, ce n’è quanto la Valle di Susa... per la quale è stata re- basta, insieme ai famosi monumenti e al centemente richiesta in ambito comunita- paesaggio per invogliare a una visita, o a rio la denominazione geografica protetta. un soggiorno di vacanze in questa Valle.

264 Medioevo: fra antica prendendo il territorio di Angrogna in Val Pellice e del Colle del Lys (Val di Lanzo). nobiltà e «genti nuove» Il progetto inoltre ha coinvolto e inte- Dal 4 al 13 giugno 1999 la Comunità ressa anche la Macedonia Occidentale Montana Val Ceronda e Casternone Ð (Grecia) e la Serrania de Ronda (Andalu- presieduta dal geom. Claudio Amateis Ð sia - Spagna). nella sua sede a Givoletto ha ospitato la Il Museo è sistemato su due piani, in mostra documentaria della Biblioteca Ci- coabitazione con la parte etnografica e vica di Varisella ÇSulle tracce del Me- con il laboratorio didattico del suolo. dioevo: dai Baratonia agli Arcour, antica Oltre alla parte espositiva delle sale, nobiltà e, genti nuove», a cura del profes- il museo di Coazze si propone un legame sor Giancarlo Chiarle. organico con il territorio e il coinvolgi- In una cinquantina di pergamene ri- mento della storia locale; quindi non solo prodotte a grandezza naturale e in altri una raccolta di oggetti, testimonianze, fo- documenti si snodano almeno quattro se- tografie, videointerviste, ma anche il ri- coli di storia, ossia le vicende della po- pristino di 32 Km. di sentieri alpini pro- tenza e della decadenza dei Visconti di posti in 4 itinerari. Baratonia, una famiglia, da tempo estin- A completare l’opera di inserimento ta, della più antica nobiltà piemontese, nel territorio, è stata anche ristrutturata che fondò il proprio potere fra le valli una Casa Alpina a Forno di Coazze, inti- della Ceronda, di Lanzo e di Susa. Il ca- tolata a Evelina Ostorero, prima vittima stello di Baratonia (con le recenti scoper- della violenza nazifascista in Val Sango- te di resti interessanti), la casaforte di Vil- ne. La Casa Alpina può ospitare fino a 25 lar Focchiardo, la Certosa di Montebene- persone e contemporaneamente servire detto e la Grangia di Banda sono altret- 80 pasti. tanti punti di riferimento in questa lunga vicenda storica. La mostra illustra anche la vita quoti- Quale religiosità diana del Medioevo nella signoria dei Baratonia: il lavoro dei campi e l’alleva- e insicurezze mento del bestiame, la caccia al cinghia- nel terzo millennio? le, la guerra, la bottega del mercante: una ricerca non facile e a largo raggio. Nel complesso delle manifestazioni del ÇValsusa filmfestÈ la sera del 29 mar- zo 1999, nel cinema comunale di Condo- ve è stata realizzata una conversazione a Ecomuseo in Val Sangone più voci di vivo interesse, per il tema e e memoria della Resistenza per la sua attualità, come ha dimostrato l’affluenza di un pubblico numeroso, par- Il 13 marzo 1999 è stato inaugurato a tecipe e le domande rivolte ai relatori in Coazze l’Ecomuseo della Resistenza in conclusione di serata. Alta Val Sangone. «Mille e sempre più mille» (in con- Questa realizzazione, promossa e fi- trapposiziene al «Mille e non più mille» nanziata dall’Unione Europea e dalla medievale), ossia Çi fantasmi del Me- provincia di Torino, non è che una parte dioevo e le paure di oggi, alla vigilia del del progetto che va oltre Coazze, com- terzo millennio» è stato il tema dell’in- 265 contro di Condove. Con il coordinamen- Arte alle Ramats to-presentazione del prof. Piero Del Vec- chio sono intervenuti due studiosi di fa- di Chiomonte ma: il prof. Giuseppe Sergi, ordinario di In un pomeriggio brumoso (14 set- storia medievale alla facoltà di Lettere e tembre 1998) nella cappella di Sant’An- Filosofia dell’Università di Torino e il drea delle Ramats sono stati presentati prof. Massimo Introvigne, sociologo con una conferenza i risultati dei restauri esperto delle nuove religioni. degli affreschi del XV secolo. Se, contrariamente a quanto comune- Fra gli interventi più apprezzati: la re- mente si crede, non vi fu un diffuso terro- lazione tecnica del restauratore M. Cri- re allo scadere del primo millennio del- stellotti e l’analisi dell’ispettore alla So- l’èra cristiana, oggi di certo quelle paure printendenza ai Beni Artistici dr. Claudio non ci sono più. Al posto di quegli oscuri Bertolotto. Ammirate le opere esposte presagi apocalittici vi sono però varie in- dell’artista valsusino Paolo Belgioioso il- certezze di altra natura: in primo luogo lustrate dal prof. Appiano dell’Università una religiosità tuttora assai diffusa, ma di Torino. spesso incerta, individualistica, meno im- L’Editrice Morra di Condove ha cura- pegnata dentro la liturgia delle chiese, to la pubblicazione di un quaderno cele- mentre si rafforza Ð secondo rilevazioni e brativo della giornata. indagini Ð il fondamentalismo di gruppi Come abbiamo già avuto modo di ri- non ancora numerosi, dediti ad una reli- cordare, e come correttamente registra la giosità più rigorosa, in certi casi addirit- pubblicazione appena citata, ÇSegusium tura severa. – Società di Ricerche e Studi valsusini» – Anche sul versante della ÇmagiaÈ (fe- ha avuto parte attiva e niente affatto se- nomeno difficile da definire) i numeri de- condaria nel restauro della cappella di gli adepti sono assai modesti nella società Sant’Andrea, premessa indispensabile al contemporanea. recupero e alla valorizzazione dei prege- Questo, secondo i due studiosi, il voli affreschi. quadro di base ipotizzabile in avvio di terzo millennio, mentre sètte, tendenze magiche, impegni e disimpegni vari sul terreno religioso riguarderebbero per- Tour del Gotico: affreschi centuali assai poco significative della del ’400 in Piemonte popolazione del mondo occidentale e la religiosità – pur non manifestata in mag- Con l’alto patronato della Presidenza gioranza nelle chiese Ð in complesso non della Repubblica ecco prendere forma e devierebbe verso altri itinerari. Gli ange- avvìo concreto il progetto dell’ANISA li, dunque, prevarrebbero nettamente sul (Associazione Nazionale Insegnanti di diavolo. Storia dell’Arte), insieme con la Centrale Un terzo millennio che può sembrare del Latte di Torino e gli Amici di Santa tutto sommato rassicurante, visto dalla Croce di Rocca Canavese, che ha come soglia d’ingresso. obiettivo di creare in Piemonte un itine- rario, fruibile facilmente da turisti e stu- diosi, sulle strade degli artisti del 1400. L’idea, caldeggiata pionieristicamen- te in particolare dalla prof. Maria Luisa 266 Moncassoli Tibone, è di creare un percor- Novalesa oltre, ovviamente, ad un certo so fra le oltre 160 opere sparse sul territo- numero di monaci, sacerdoti e laici culto- rio piemontese a ridosso del versante al- ri di storia ecclesiastica. Sullo sfondo, il pino italo-francese, senza perdere di vista gemellaggio tra il comune di Novalesa e l’esigenza di conoscere e salvaguardare quelli dei luoghi francesi, citati prima, do- un patrimonio, spesso opera di artisti iti- ve è radicata la devozione a S. Eldrado. neranti e ancora anonimi. Dunque un convegno di studi, diceva- Tenutosi a Bardonecchia il 4-5 dicem- mo, di buon livello scientifico con due re- bre 1998, il giorno successivo 6 il conve- lazioni, una di Gérard Carin primo vice gno si è spostato a Rocca Canavese. presidente del Consiglio Generale dell’I- Abbinato al Convegno di Bardonec- sére ed esperto medievista, l’altra di pa- chia-Rocca Canavese è previsto un con- dre Reginaldo Grégoire professore all’U- corso per gli studenti delle scuole di ogni niversita di Urbino e una comunicazione ordine e grado sul tema ÇGustiamo insie- di padre Lunardi. me gli affreschi del ’400 in Piemonte». L’approccio al tema è stato insieme teologico e storico. Partendo dalle fonti agiografiche e liturgiche, gli studiosi han- San Eldrado no cercato di mettere in luce la stretta re- lazione che il monaco novalicense ebbe tra storia e devozione con la scuola teologica di Lione, uno dei L’abbazia della Novalesa ha ospitato centri piu importanti ed influenti dell’e- il 29 agosto 1998 un convegno interna- poca carolingia, e per ciò stesso con i te- zionale voluto dalla comunità benedetti- mi preminenti della teologia del tempo: na e dai Comuni di Monetier Les Bains, difesa dell’ortodossia della fede, il rigore Monestier D’Ambel, Corps, Lambesc e della vita morale cristiana, la riforma mo- Ambel allo scopo di mettere a confronto nastica. Con uno sguardo alla devozione le recenti acquisizioni circa la storia e la popolare che ha dedicato al santo più at- devozione di S. Eldrado, monaco bene- tenzione di quanto fino a poco tempo fa dettino morto a Novalesa nell’875. Un si pensava, e ad una attenta rilettura delle convegno, è lo stesso priore a ricordarlo fonti storiche che lo riguardano. Eldrado nel saluto iniziale, voluto per Çvalorizza- fu dunque, ha detto Grégoire: «un model- re i dati certi della vita e della devozione lo di abate a cui guardare, degno di esse- di S. Eldrado, un santo Ð ha precisato Ð re ricordato per la sua vita ascetica, per il che ha lasciato un segno profondo nella suo impegno pastorale e di guida cristia- vita dell’abbazia, della valle Cenischia e na, per lo slancio riformatore così urgen- delle terre che ha visitatoÈ. te nella vita della chiesa del tempoÈ. Significativa la partecipazione di una Ora si attende la pubblicazione degli numerosa rappresentanza francese dei atti, previsti nella collana di Studi novali- paesi di Monetier Les Bains, Monestier censi, e un rinnovato interesse degli stu- D’Ambel, Corps, Lambesc e Ambel, della diosi anche in ragione del radicamento presenza del Presidente della Provincia devozionale così ben documentato dalla Mercedes Bresso e dell’assessore alla cul- mostra allestita in occasione del conve- tura Walter Giuliano, del Presidente della gno e dall’audiovisivo curato da Marco comunità montana bassa valle di Susa Lu- Rey e Pietro Commisso, entrambi visibili ciano Frigieri, del Vescovo di Susa mons. nei locali dell’abbazia. Vittorio Bernardetto, dei sindaci di Susa e Piero Del Vecchio 267 Tanti anni e bei successi di Teatro Insieme Un viaggio attraverso il mondo del teatro che dura da ormai quasi due decen- ni: nonostante la data di nascita ufficiale sia il 1982, come riportato dallo Statuto che eleggeva presidente Laura Neroni Ð recentemente scomparsa Ð il Gruppo Tea- tro Insieme di Susa ha iniziato infatti a muovere i primi passi sui palcoscenici valsusini già nei due anni precedenti. Dall’esordio con «Jesus Christ Super- starÈ e ÇSogno di una notte di mezza estateÈ, numerosi sono stati gli allesti- menti e le attività collaterali dell’associa- zione segusina che, oltre a portare i pro- pri attori di fronte al pubblico anche fuori dai confini valsusini e italiani, da sempre si propone di promuovere la cultura tea- trale e l’amore per il teatro interpretando anche famose opere di Molière, Plauto, Margherita Petrillo (attrice e regista) con Laura Neroni in una scena di ÇScompartimento per Cecov, Goldoni, Montanelli, Wilde, signore soleÈ. Shaw. Un posto non secondario hanno te- sti teatrali in piemontese. Non tutti hanno voluto affrontare di- tacolo per venire incontro al crescente rettamente il pubblico, molti hanno pre- entusiasmo, alla voglia di migliorare e di ferito un ruolo più discreto dietro le quin- affinare l’arte recitativa da parte degli as- te, ma di grande aiuto per chi preferisce sociati. Prendono così il via i corsi di re- recitare. citazione, dizione, ortofonia, improvvisa- In tanti hanno inoltre collaborato alle zione teatrale, storia del teatro con la di- numerose iniziative, organizzate da Co- rezione del regista torinese Giulio Gra- muni, enti e associazioni locali, a cui il glia, a cui si affiancano stage estivi dedi- Gruppo ha partecipato in questi anni, co- cati anche all’espressione corporea e alla me gli incontri con le scuole, le lezioni di danza con la guida della ballerina Anna teatro all’Università della Terza Età, l’a- Cuculo e corsi per aspiranti tecnici luce. nimazione dei carnevali e di varie mani- Ma il vero e proprio appuntamento festazioni segusine, la registrazione di che ormai da anni contraddistingue il audiocassette per varie associazioni, la Gruppo Teatro Insieme è «Recitare in collaborazione con radio locali per tra- valleÈ la rassegna teatrale, nata con lo smissioni culturali, le collaborazioni con scopo di avvicinare il pubblico all’affa- case di produzione per la registrazione di scinante mondo del teatro e di offrire video, la partecipazione a concorsi teatra- un’opportunità in più alle compagnie tea- li, trasmissioni radiofoniche e televisive. trali amatoriali di farsi conoscere, che Dal ’90 le porte del Gruppo si sono ogni autunno l’associazione segusina ri- inoltre aperte a professionisti dello spet- propone puntualmente e che quest’anno 268 chiuderà il secondo millennio festeggian- I progetti devono essere capaci di at- do la decima edizione. trarre l’attenzione e di risvegliare l’inte- E infine come intendono affrontare il resse per la cultura locale; devono, inol- 2000 gli attuali soci del Gruppo? Natural- tre, fare acquisire ai cittadini la consape- mente con la solita grinta e l’immancabi- volezza dell’inestimabile patrimonio di le verve di sempre e, naturalmente, una arte, storia e cultura che possiedono. Il nuova e divertente commedia. Sono in- compito non è facile, ma i riscontri posi- fatti iniziate le prove de ÇIl piccolo tivi dei primi quattro anni di attività han- caffè», frizzante vaudeville di Tristan no rafforzato le nostre convinzioni. Il Bernard che gli attori del Gruppo Teatro giudizio favorevole di non pochi amici Insieme porteranno sui palcoscenici della incita a proseguire. Valle e oltre proprio all’inizio del nuovo é in stampa una piccola Guida alle millennio. Stefania Bernard Chiese di Susa, la cui redazione è la ri- sposta a un’esigenza degli utenti delle vi- site guidate organizzate dagli Amici del Castello e dei segusini. ÇAmici del CastelloÈ: Da quest’anno il nostro impegno su- tante utili iniziative pera i confini nazionali poiché partecipia- mo al ÇProgetto D.A.L.: Roma e le sue Il desiderio di conoscere e Çricono- colonizzazioniÈ che prevede interventi scereÈ il grande patrimonio storico-arti- per il completo recupero di tre siti ar- stico e ambientale del nostro territorio è cheologici romani in paesi appartenenti stato, fin dall’inizio, una motivazione de- all’Unione Europea. Si tratta di una ini- terminante per la nascita ufficiale del- ziativa complessa e ambiziosa intesa a l’Associazione Amici del Castello della valorizzare tre località significative del- Contessa Adelaide di Susa, avvenuta nel l’epoca romana. settembre 1995 (via al Castello, 16 - L’Arena romana di Susa, insieme con 10059 Susa - tel. 0122-622694). la residenza cittadina romana britannica Da allora, ai Soci fondatori, che già di Dorchester e il castro romano spagno- da lungo tempo collaboravano proficua- lo di Chao San Martin - Grandas de Sali- mente con la Biblioteca e con il Museo ne, rientra nel programma d’azione e di Civico, si sono uniti con entusiasmo altri finanziamenti ÇRaffaello» dell’Unione iscritti; tutti hanno dato e danno il loro Europea per la conservazione fisica, la contributo affinché le attività culturali, le giusta interpretazione, l’esposizione e la mostre, i convegni, i monumenti stessi rivitalizzazione di beni storici, artistici e della nostra città siano accessibili indi- archeologici. stintamente a chi sceglie di avvicinarsi a Questo sarà un progetto che impe- Susa come chi, per caso, ci si imbatte. Le gnerà molto gli «Amici del Castello», ma visite guidate continuano, infatti, ad esse- non distoglierà i soci dall’attività al ser- re una importante, continuativa, regolare vizio di quanti desiderano sempre più co- attività. noscere la Città di Susa, visitandone i Inoltre l’Associazione ha lo scopo di prestigiosi monumenti e il centro storico promuovere e di favorire la ricerca didat- in fase di appropriato restauro. tico-educativa e scientifica, condotta an- che a livello universitario, e si propone la divulgazione di questi studi. 269 A Briançon e Oulx: daco di Oulx e presidente della Comunità Montana Alta Valle di Susa (nella foto due fiere nell’Escarton qui sopra). Escarton, antica, plurisecolare area Per ora, con quest’intesa, si parte da autonoma nelle Alpi a cavallo dell’attua- due antiche tradizionali ricorrenze: la fie- le frontiera italo-francese. Una frontiera ra di Briançon in luglio e quella di Oulx che un tempo nessuno aveva tracciato e, ai primi di ottobre. come già negli antichi anni di re Cozio Dopo di che le intenzioni puntano ad (quello dell’Arco di Susa), permetteva estrendere le iniziative comuni ai caratte- l’esistenza di una sola nazione sui due ristici settori economici locali, al turismo, versanti alpini, una Çvecchia patriaÈ alla ristorazione, ecc. Sarà un programma montanara che fu spezzata dai confini abbastanza complesso e impegnativo, da istituiti circa tre secoli fa. sviluppare per gradi, con il supporto e la Non si tratta, oggi, della creazione di partecipazione di altri elementi sociali: una inedita regione sovrafrontaliera nel- gruppi musicali e folcloristici, occitani e l’ambito dell’Europa del 2000; per ora è franco provenzali. semplicemente il ÇProgetto Interreg IIÈ. E per la buona riuscita, che auguria- Vale a dire un accordo di intesa interre- mo all’accordo, ci sarà anche da inqua- gionale firmato l’8 gennaio 1999 a Oulx drare parecchie di queste iniziative in fra il vicesindaco di Briançon, Monique una loro naturale, giusta dimensione cul- Ollagnier, e la professoressa Bertero, sin- turale valligiana. 270 Tanti modi per dire Cultura: un anno di eventi valsusini Non è facile redigere una sorta di sin- Sempre in gennaio, al Centro cultura- tesi degli eventi culturali che hanno ca- le Nicodemo di Bussoleno, la presenta- ratterizzato la Valle di Susa nel 1998. zione del Raccontavalsusa, l’annuario Innanzi tutto perché occorrerebbe valsusino diretto da don Gian Piero Piar- chiarire il significato non sempre univo- di, è occasione per riproporre all’atten- co che ciascuno di noi attribuisce alla pa- zione della Valle la figura di un ÇgrandeÈ rola ÇculturaÈ. Sono ÇculturaÈ solo il (fisicamente e metaforicamente) arcipre- Concerto di musica classica e il Conve- te scomparso: don Aldo Grisa. gno di filosofia, oppure sono ÇculturaÈ anche il concerto bandistico e la festa pa- E arriviamo così a febbraio. Ai primi tronale? In altre parole, vogliamo consi- del mese a Drubiaglio si scoprono tracce derare «cultura» solo l’espressione acca- di mura romane, in occasione di scavi per demica di un mondo che molti sentono la realizzazione di nuovi marciapiedi. é lontano, oppure vogliamo considerare l’ennesima conferma della forte presenza parte della cultura di un popolo tutto ciò di antichissimi agglomerati urbani nella che quel popolo ha saputo produrre, con- zona. servare ed arricchire nel tempo? é evi- dente che sposando questa seconda ipote- Nel frattempo a Venaus si Çaffilano le si (quella che mi è più congeniale e che spadeÈ: in occasione della festa patronale quindi arbitrariamente scelgo), la sintesi di Sant’Agata e di San Biagio e anche la di un anno di ÇculturaÈ in Valle di Susa RAI arriva per filmare la tradizionale diventa però lavoro lungo e rischioso, di danza degli Spadonari. cui occorre chieder scusa in anticipo, poi- ché, di certo, tutto non potrà essere detto I primi di marzo vedono nuovamente e i tagli proposti (anche questi assoluta- Bussoleno in primo piano: prima, al Cen- mente arbitrari) saranno al tempo stesso tro Nicodemo, con una riflessione di Pao- necessari e dolorosi. lo Molteni, si parla di pensiero debole e di postmodernità: al centro del dibattito Tentiamo dunque di avviarci in que- la figura di Erich Przywara, uno dei più sto cammino, nel quale per meglio orien- grandi filosofi e teologi di questo nostro tarci, useremo il sistema cronologico, secolo. Poi al Salone don Bunino per una partendo dunque dal gennaio del ‘98. Ai conferenza sul tema del giorno: l’Osten- primi del mese, con un intervento del cri- sione della Sindone a Torino. Relatori di tico d’arte Angelo Mistrangelo ed alla eccezione Bruno Barberis, professore di presenza di autorità locali, civili e religio- Meccanica Razionale all’Università di se, si celebra la conclusione del primo Torino e presidente del Centro Interna- lotto di lavori della Chiesa del Ponte, che zionale di Sindonologia e don Giuseppe a Susa ospiterà il Museo di Arte Sacra. é Ghiberti, docente di esegesi neotesta- il primo tassello di una impresa impor- mentaria a Torino ed alla Cattolica di Mi- tante, che vede Regione e Diocesi affian- lano. cate in un impegno che, prima di essere economico, deve essere culturale. Ma di A metà marzo arriva anche una pub- questo museo si parla in altra parte di blicazione non di Valle, ma sulla Valle: questa rivista. Tracce di Piemonte è infatti dedicato al 271 territorio valsusino, con un occhio alla Ancora in aprile troviamo, dissemina- Sindone ed uno alle possibili Olimpiadi te un po’ in tutta la Valle, le scene del del 2006. cammino di Cristo al Calvario. Partico- larmente apprezzata è la Via Crucis di D’arte si parla invece in aprile, prima Villar Focchiardo, ricca di una settantina con la «giornata dell’arte» che Oulx ed il di figuranti in costume, momento di fede Liceo Des Ambrois dedicano alla pittura e di una tradizione che affonda le sue ra- di Eugenio Bolley ed al teatro di Marco dici nel tempo. Peirolo, poi ancora con il teatro di Marco Alotto che il 18 aprile a Sant’Antonino Ed eccoci a maggio. Il 7 del mese, ad va in scena con Canto per la nostra Val- Oulx, con un concerto del gruppo congo- le, opera scritta dallo stesso regista ed lese degli Afro Sound, prendono il via i ispirata ad alcuni fatti realmente accaduti giovedì interculturali. Si proseguirà quin- a Sant’Antonino tra il ‘43 e il ‘45: storia di con le conferenze Il valore della fami- autentica di rappresaglie naziste e di par- glia nelle culture del mondo e La festa tigiani, di figure emblematiche come don nelle culture del mondo, a cura dell’As- Cantore ed Ilse Scholzel Manfrino, reci- sociazione Culturale Multietnica Haram- tata da attori rigorosamente non profes- be, con un altro concerto del gruppo se- sionisti. negalese Diolyba e infine con una vera e propria giornata multietnica, fatta di ga- Nel frattempo il Valsusa Filmfest, stronomia, artigianato e curiosità. giunto alla sua seconda edizione, è nel pieno delle iniziative che fanno da coro- Ma se Oulx parla di società multiraz- na a questo Festival di film e video dedi- ziale, Bussoleno negli stessi giorni ri- cati alla memoria storica ed alla difesa sponde con una conferenza dedicata alla dell’ambiente. Inaugurato a Condove con globalizzazione dell’economia, ai rischi la proiezione del film Le Bande di Ales- ed alle opportunità che tale strada riserva. sio, dedicato ad Alessio Maffiodo, cele- bre comandante partigiano, prosegue poi Dalla metà del mese, invece, sempre con innumerevoli iniziative culturali. In al Centro Nicodemo, è la donna al centro tutta la Valle fioriscono retrospettive ci- del dibattito, prima con una tavola roton- nematografiche, da Herzog a Kurosawa, da sul tema La donna all’alba del terzo da Poirier a Souleymane Cissè. A queste millennio, con la partecipazione di Giulia si affiancano mostre fotografiche (come De Marco, presidente del tribunale dei quella di Caprie, dal titolo La Provincia minori di Torino, poi con un incontro-di- di Torino nell’obiettivo di Attilio Boccaz- battito con le responsabili dello Sportello zi Varotto) e conferenze, fra le quali si se- ÇDonna e LavoroÈ della Regione Pie- gnalano quella di Giorgio Antonucci, a monte. Susa ed Oulx, sul pregiudizio psichiatri- co e quella di Bussoleno, dedicata al te- La Biblioteca Comunale di Bruzolo si ma dell’immigrazione e dell’integrazione occupa invece di Olocausto e Resistenza, fra popoli, che vede come relatori padre attraverso l’allestimento di due mostre. Gino Barsella, della rivista Nigrizia e La prima è stata donata alla Biblioteca Carlo Tagliacozzo, della Rete Nazionale dall’ANED, mentre la seconda deve il Antirazziale. proprio allestimento all’impegno degli stessi abitanti di Bruzolo, fra i quali spic- 272 ca Romolo Gontero, presidente dei com- Parliamo dell’iniziativa Città d’Arte battenti e reduci di Bruzolo ed ex depor- a Porte Aperte, che vede coinvolte Susa, tato. Giaglione, Novalesa, Avigliana, Butti- gliera e Sant’Ambrogio: un bel modo di Sempre in maggio, a Villar Focchiar- offrirsi ad un turismo minore, intelligen- do ci si immerge in una atmosfera me- te, da vivere con calma, passeggiando per dioevale, grazie alla rievocazione storica antichi borghi e vecchie contrade. in costume dell’investitura dei Conti Car- roccio. Parliamo infine della presentazione a Susa del libro di Piero Ferrero: Lettere ai A Vaie prende il via la prima Sagra Romani. Del libro, un carteggio tra due del Canestrello e, con l’occasione della uomini di chiesa, con Susa sullo sfondo, festa patronale, si rievoca la Sacra Rap- hanno parlato in termini lusinghieri Gior- presentazione del martirio di San Pancra- gio Bouchard e Gianni Vattimo. zio. Luglio, mese di vacanza, ma anche di Ad una tradizione altrettanto antica, e libri. Esce, per esempio, il volume dei di cui abbiamo già fatto menzione sopra, Quaderni di cultura alpina dedicato alle è dedicata invece la giornata di studi La fortificazioni nell’arco alpino. L’opera spada e la roccia tenutasi il 23 maggio, curata da Mauro Minola e Beppe Ronco, presso l’Abbazia della Novalesa. Curata ha largo spazio dedicato alla Valle di Su- da Andrea Arcà, presidente del Gruppo sa. Ricerche Cultura Montana, l’iniziativa presenta un completo inquadramento Mese di luglio. Mese di sole, ma an- scientifico, tanto archeologico, quanto et- che di musica. A Condove la quinta edi- nografico, sia delle incisioni rupestri sco- zione del Concorso bandistico nazionale, perte nel ‘94 in alta Valle Cenischia, sia indetta dall’Unione Musicale Condove- delle tradizionali danze delle spade, an- se, assegna alla Filarmonica di Avigliana cora vive a Giaglione, Venaus e San Gio- il premio per la miglior banda valsusina. rio. Il Trofeo Panzini va invece al Corpo Fi- larmonico di Laveno Mombello (VA). Arriva giugno. E con giugno arriva in Valle la trasmissione RAI Linea Verde di Sempre in luglio, un caldo Palio. é Sandro Vannucci, carica di aspettative, in quello di Susa, che rievoca i fasti della larga parte andate deluse. Da Villar Dora corte di Adelaide, in una gara tra i rioni alla Sacra, da Villar Focchiardo a Susa, dell’antica città. da Exilles al Lago Nero, la lunga caval- cata dovrebbe far conoscere i tesori d’ar- Con agosto, ritorna in Valle la terza te e di cultura, di tradizione e gastrono- edizione de Lo spettacolo della monta- mia della Valle di Susa. Le immagini e i gna. Organizzata da Regione, Provincia e commenti offerti dalla televisione rendo- Comunità Montana, la rassegna teatrale no però ben poca giustizia a tale ricco pa- vede come palcoscenico diversi angoli trimonio culturale. Meglio cambiare pa- valsusini, da Mocchie, dove l’iniziativa è gina, dunque, ed occuparci piuttosto di nata, alla Sacra di San Michele, scenario altre iniziative alle soglie dell’estate, me- ÇnaturaleÈ per raccontare la leggenda no appariscenti, ma ben più solide. della Bell’Alda. 273 Se il mese si apre con il teatro, si occupato da Chartusia, l’associazione chiude con un Santo. All’Abbazia della culturale che si cura della promozione e Novalesa, infatti, è allestita una mostra tutela delle Certose di Banda e Monte sull’iconografia di S. Eldrado, patrono Benedetto. del paese della Val Cenischia (ne diamo più ampia notizia). Infine, il mese si chiude, a Susa, con una mostra dedicata ai 30 anni di scouti- Il primo scorcio d’autunno vede nuo- smo segusino: fotografie, CD-Rom, un vamente protagonista la città di Susa. annullo postale, cartoline e diapositive Questa volta è per il 33¡ festival del Folk- per raccontare un trentennio in Çrosso- lore. La Castagna d’oro, come ogni anno, blù». richiama gruppi da tutto il mondo, dal Madagascar alla Slovenia, dalle Filippine Si va alla fine dell’anno, ma ancora in alla Bulgaria. Valle si parla di cultura della tavola: se il salone del gusto di Torino, infatti, è stato A Susa risponde Rivoli: quasi in con- per i prodotti valsusini un vero successo temporanea la città del castello sabaudo ed al Salone della Montagna la scuola al- propone C’era una volta un Re, giornata berghiera Formont di Oulx ha saputo da- in costume da vivere nel centro storico re il meglio di sé, a Susa il Parco Orsiera cittadino. Rocciavré indice un vero e proprio con- vegno sul tema della caseificazione in al- Con Ottobre si riparla di Filmfest. Da peggio, sui tanti intoppi burocratici che poco chiuso il sipario sulla seconda edi- essa incontra, sull’importanza della tute- zione, già ci si occupa della terza, dedica- la dei sapori tradizionali. ta alla memoria di Mario Celso, fondato- Ed è ancora al gusto che si rivolge il re dell’Irem di Sant’Antonino ed insigni- Çtreno di saporiÈ, il Pendolino che da Por- to nel ‘92 a Los Angeles dell’Oscar ta Nuova alle 13.05 parte, alla volta della dell’Academy of Motion Picture Arts and Valle di Susa e della Francia e che offre ai Sciences per la sua attività pionieristica passeggeri l’occasione di incontrare nel campo delle apparecchiature cinema- ÇquestaÈ faccia della cultura di Valle. tografiche. Ma la fine del ‘98 non è certo solo fat- Ma ottobre è anche toma e castagna ta di cucina. Il 26 novembre ad Avigliana valsusina. Certo, perché se davvero di si apre un Convegno sulla memoria storia cultura si vuol parlare, quella della tavola (Dalla storia contemporanea delle collet- e della tradizione non può essere ignora- tività locali all’Europa dei popoli) pro- ta. Condove ospita l’annuale appunta- mosso dal Liceo Des Ambrois di Oulx, in mento con il formaggio valsusino. E può collaborazione con il Galilei di Aviglia- anche accadere che attorno ad un tavolo na, il Pascal di Giaveno e il Comitato si possa discutere di gastronomia con Colle del Lys. Le tre giornate di lavori Bruno Lauzi... hanno visto la partecipazione anche di varie delegazioni straniere, provenienti Villar Focchiardo, invece, si occupa dall’Ungheria, dalla Francia, dalla Ger- dei marroni, ma senza dimenticare l’arte mania, dalla Spagna e dalla Grecia. Un e la storia nascoste tra le pieghe delle sue modo concreto per parlare di storia e di montagne: uno stand della sagra, infatti è Europa. 274 Negli stessi giorni ripartono anche gli Marcare il pane, appuntamenti del Centro Nicodemo di Bussoleno: si va da uno Çsguardo cristia- decorare il burro no sull’ecologia», alla «Palestina, terra di A Bardonecchia, dal 5 dicembre 1998 RivelazioneÈ, dal Çmetodo StirnerÈ nel- al 10 gennaio 1999 una mostra singolare, l’educazione dei bambini, ai cattolici nel- avvio delle attività culturali durante la la vita politica del mondo contempora- stagione turistica invernale 1998-1999. neo, per finire con un intero week-end L’allestimento, eseguito con cura presso dedicato al libro natalizio. il foyer del Palazzo delle Feste, è stato realizzato con il patrocinio del Comune e Per quanto già si respiri aria di Natale della Comunità Montana Alta Valle di e di spensieratezza vacanziera, c’è anco- Susa. ra spazio per qualche momento di rifles- La mostra, curata da Jacques Chate- sione e di studio. C’è, per esempio, una lain, ha presentato oltre 250 reperti di conferenza dedicata al problema droga, provenienza pubblica e privata attraverso che vede la partecipazione a Susa di Gui- i quali si possono scoprire Çgesti e stampi do Tallone del Gruppo Abele di Torino, della vita quotidiana, grafismi e simboli- c’è la giornata di studi alla Sacra di San smi nelle Alpi OccidentaliÈ: palette e for- Michele intitolata Çpellegrini di cartaÈ, me per il burro, marchi da pane del Pie- dedicata alla letteratura fiorita nei secoli monte, Valle d’Aosta, Svizzera e Francia. attorno all’Abbazia valsusina, c’è anche Di questi oggetti di uso domestico l’Antartide raccontata a Condove da Va- ÇSegusiumÈ 35 ha trattato ampiamente in lerio Jannon, che ha vissuto, con una mis- un saggio di Mario Cavargna: I mobili e sione dell’Enea, «laggiù» per sette mesi. gli utensili dal XVI al XIX secolo. Linea- menti dell’arte popolare in Valle di Susa. Ci sono infine due Çincontri con il La Mostra di Bardonecchia ha giusta- passatoÈ, il primo a Chiomonte, per la mente voluto il supporto di un catalogo presentazione del volume Storia della fotografico, nel quale trova spazio una Parrocchia di Chiomonte, curato da Luca sezione ÇlocaleÈ, ossia oggetti di prove- Patria, Paolo Nesta e Valerio Coletto; il nienza da 12 comuni della Valle di Susa. secondo ad Avigliana con un concerto di musica celtica in San Giovanni, del grup- po dei Tuàtha Dè Danann. Ma già i loro canti si mescolano alle note natalizie. L’anno si chiude e con esso si chiude questa lunga carrellata, ricca, eppure sommaria, di un anno di cultura in Valle di Susa. Barbara Debernardi

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Cronache di Segusium

Cronache di Segusium

L’Assemblea del 35¡ anniversario (28 novembre 1998) Nel salone del Seminario (Susa, Piazza Savoia), alle ore 15 del 28 novem- bre 1998, ha avuto inizio l’Assemblea ordinaria di «Segusium», presieduta dal socio dottor Sergio Ponzio e verbalizzata da Ferruccio Pari. Questa assemblea ha un antefatto che richiama ad una tradizione nostra, comunque tipica di una società con obiettivi esclusivamente culturali: il cano- nico don Natalino Bartolomasi, storico ben noto, consigliere di ÇSegusiumÈ, ha introdotto la riunione societaria con una interessante, applaudita conversa- zione, aperta ad un più vasto pubblico, sul tema: «La cappella di San Lorenzo, detta del Conte, in San Giorio di SusaÈ (dove il dotto sacerdote svolge funzio- ni di parroco). Con l’accompagnamento della proiezione di diapositive, l’oratore ha illu- strato l’antico monumento e i preziosi affreschi recuperati grazie ad un effica- ce intervento di restauro conservativo. La conversazione di don Bartolomasi è stata un successo e un modo appropriato per ricordare culturalmente il 35¡ an- niversario della fondazione della «Società di Ricerche e Studi ValsusiniÈ (7 di- cembre 1963). Il presidente Lino Perdoncin ha poi presentato il n. 37 della rivista dal tito- lo: Ç35 anni di impegno e di cultura nelle Valli di SusaÈ, tesi di laurea in Lette- re e Filosofia della dr.ssa Michela Fiore di Chianocco (relatore il prof. Sergio Roda, Università di Torino). Alla dr.ssa Fiore, laureata con 110, lode e dignità di stampa, presente alla nostra assemblea, sono andati ringraziamenti, applausi dei Soci e un grande mazzo di fiori (unico compenso per la sua fatica!). Per citare il presidente Perdoncin, questa tesi di laurea racconta Ç...una sto- ria che ci sta a cuore, che andava scritta» perché «...Segusium è sorta quando questa terra appariva sguarnita di iniziative finalizzate a farla conoscere, por- tarne alla luce le sue doti, premessa indispensabile per intraprenderne la valo- rizzazione in molteplici aspetti». Così ringraziando ancora la dr.ssa Fiore, ÇCon la pubblicazione della tesi di laurea celebriamo in modo degno i 35 anni di vita, di attività della Società di Ricerche e Studi ValsusiniÈ. Una sintesi che sta a pennello alla natura e alle attività di Segusium. Spentisi i calorosi applausi all’autrice della nostra storia societaria, è ini- ziata l’assemblea vera e propria, con la relazione del presidente Lino Perdon- cin (che pubblichiamo integralmente). Sulla relazione sono intervenuti, con utili puntualizzazioni e indicazioni 279 anche statutarie, i soci Pier Luigi Gagnor (Condove), Luigi Pognant Gros (San Giorio), Alberto Santacroce (Torino), il gen. Giorgio Blais (Susa), il prof. Ger- mano Bellicardi (Susa), in un’atmosfera di cordiale partecipazione. Il presidente dell’assemblea, Ponzio, ha dato successivamente la parola al tesoriere geom. Giorgio Maffiodo per la relazione sui bilanci: consuntivo per l’anno 1997, preventivo per l’anno 1998. La comunicazione ai Soci dei dati contabili e patrimoniali presenta una situazione al momento rassicurante, pur nella modestia dei numeri. La successiva relazione del Collegio dei Revisori dei Conti (Pier Luigi Ca- vargna, Sergio Ponzio, Leonardo Francomano) informa i Soci che la contabi- lità societaria è stata tenuta «in modo corretto e regolare». Quindi l’assemblea viene invitata ad esprimere il proprio voto sui bilanci. Con doppia votazione sono stati approvati all’unanimità sia il bilancio consun- tivo 1997, sia quello preventivo 1998. Seguendo una prassi, anche formale, di correttezza, il tesoriere Giorgio Maffiodo si è astenuto dal voto. Al punto 3 dell’ordine del giorno: «Illustrazione della proposta di nuovo Statuto della Società». Il consigliere Alberto Perino, che si è attivamente occu- pato dello spinoso problema, illustra le modifiche statutarie rese necessarie in base alla recente legge sugli enti e associazioni senza scopo di lucro. é questa una questione complessa a causa di una serie di incertezze e nebu- losità ingenerate dalla legge stessa e non ancora chiarite da successivi inter- venti. Perciò siamo ancora alla bozza dello Statuto che il consigliere Alberto Perino ha portato in assemblea (per darne copia anche ai Soci), con l’invito a tutti di fornire un loro contributo con indicazioni precise (e in seguito, parec- chi lo faranno). La bozza di Statuto perciò dovrà essere ancora esaminata dal Consiglio Di- rettivo e proposta nella versione definitiva a una assemblea straordinaria pos- sibilmente entro il 1999. Esaurita la discussione di tutti i punti all’ordine del giorno, il presidente Sergio Ponzio alle 18,45 dichiara conclusa l’assemblea ordinaria 1998 dei So- ci di Segusium - Società di Ricerche e Studi Valsusini. é stata una riunione nella quale sono state comunicate parecchie notizie ai Soci, per chiedere il loro giudizio sull’operato degli organi direttivi e il loro voto sui bilanci societari. Un comportamento di reciproca fiducia nella chia- rezza e con alto senso di responsabilità nella gestione; una caratteristica che non è solo adempimento legale, ma costume della nostra società culturale.

280 La relazione del Presidente

Cari Soci, signore e signori. Quest’anno celebriamo quella che per noi è un’importante ricorrenza: il 35¡ anniversario di fondazione della nostra «Società di Ricerche e Studi Val- susiniÈ nata ufficialmente il 7 dicembre 1963. Ne furono Soci fondatori 14 personalità di cultura i cui meriti vanno ricor- dati nella disattenta opinione pubblica della società odierna. E proprio perché meritano un ricordo non effimero desidero citarli tutti in questa sede, con particolare deferenza verso quelli che non sono più – e pur- troppo sono la stragrande maggioranza Ð: Angelo Barrera, Maria Ada Bene- detto, Clemente Blandino, Carlo Carducci, Ercole Checchi, Augusto Doro, Giulio Fabiano, Giuseppe Gazzera, Corrado Grassi, Severino Savi, Giuseppe Maria Sibille, Luigi Sibille, Giulio Tonolli, Cesare Vaona. Sono stati autentici pionieri, artefici di un sodalizio allora inedito e unico per la Valle di Susa; perciò degni di lode e di ricordo. Sono trentacinque anni di vita e di attività che la pubblicazione del numero 37 della nostra rivista mi dispensa dal ripercorrere nelle sue vicissitudini. La dottoressa Michela Fiore, valsusina di Chianocco, oggi qui con noi, ci ha consentito la pubblicazione della sua tesi di laurea: un lavoro di ricerca e riordino accurato, in una materia difficile quale la cronaca contemporanea alla quale dare veste e dignità di storia. Segusium compie dunque 35 anni e Ð come ha documentato correttamente Michela Fiore Ð ha preso sottobraccio i valori della cultura, della storia e il di- venire della Valle di Susa accompagnandola in un periodo di evoluzione e im- pedendo che un patrimonio di tutto rispetto, di monumenti, memorie, tradizio- ni millenarie venisse, non dico dimenticato, ma sottovalutato, abbandonato al proprio destino di inevitabile degrado. Se in Valle di Susa, in anni vicini a noi, sono nate altre associazioni, in- traprese varie iniziative di cultura; se gli enti locali talvolta si attivano, muo- vono e promuovono; se in tanti guardano con rispetto al patrimonio di cultu- ra della Valle di Susa, se parecchi libri illustrano la terra segusina, ebbene un non piccolo merito va a Segusium che diede l’esempio, fu stimolo e promo- trice primigenia. Come quando, ad esempio, all’inizio degli anni 1970, tanto ha premuto sul- l’Amministrazione Provinciale di Torino da indurla ad acquistare l’allora de- serta e cadente Abbazia di Novalesa e richiamarla in vita facendone quello che è oggi, ossia un centro di religione e di cultura, una testimonianza unica nel suo genere. E questo non è che un caso, poi seguito da molteplici iniziative che questa documentata storia di 35 anni offre alla nostra considerazione, memoria, sod- disfazione. Segusium ha compiuto parecchie azioni meritorie in vari campi, 281 non soltanto per la volontà, per la sensibilità di uomini di cultura capaci di rimboccarsi le maniche; ma anche perché quegli uomini di cultura avevano scritto uno Statuto ambizioso, con una molteplicità di obiettivi comprendenti tutta la vita della Valle di Susa, nel passato e nel presente. Forti delle regole di quello Statuto, i presidenti del passato Ð monsignor Se- verino Savi e l’architetto Giulio Fabiano – hanno pilotato con alacrità e sag- gezza la barca Segusium e diretto l’equipaggio ad imprese meritorie, non tan- to per soddisfazione personale, ma per la Valle di Susa, per una notorietà da ri- conquistare, per valorizzarla sul terreno dei numerosi tesori culturali e naturali che sono un patrimonio inestimabile. Fiore all’occhiello di Segusium è la rivista del medesimo nome – o bolletti- no che dir si voglia Ð giunta al n. 37. Sono altre 6.500 pagine che ormai rap- presentano un’antologia culturale sulla valle di Susa e sulle aree limitrofe. Lo constatiamo quotidianamente. Ormai da anni non c’è studioso – archeo- logo, storico, sociologo, naturalista Ð che si accinga a ricercare e a scrivere sulla nostra Valle che possa prescindere dalla consultazione e da ampie cita- zioni di Segusium. Nelle sue oltre 6.500 pagine compaiono le firme di 220 studiosi, docenti universitari, eruditi, appassionati di questa terra. E in conseguenza, non sono rare le persone e gli enti che si rivolgono a noi per avere la collezione comple- ta della rivista. Oltre alla rivista abbiamo pubblicato una dozzina di opere varie, tutte ap- prezzate da un notevole pubblico.

Nell’ottobre del 1997, in collaborazione con la biblioteca Civica di Rivoli, abbiamo pubblicato il n. 35, contenente gli atti di un convegno tenutosi appun- to a Rivoli, dal titolo ÇCulture e tradizioni popolari in Valsusa e nell’arco alpi- no occidentaleÈ. L’argomento trattato, l’impostazione grafica particolarmente curata e corredata di numerose fotografie a colori, ha fatto sì che il volume sia stato ben accolto dai soci e dall’opinione pubblica. Nelle scorse settimane abbiamo fatto pervenire ai soci ben due numeri di Segusium, il 36 e il 37. Queste pubblicazioni rappresentano uno sforzo rile- vante per chi le ha pensate e costruite, nonché per le nostre scarse finanze. Sicuramente avrete notato che in questi due volumi, specialmente nel n. 36, c’è un nuovo «disegno» della nostra pubblicazione. Le varie materie sono ri- partite in sezioni, con una più ricca informazione e segnalazioni varie che completano il volume. L’informazione sulla Valle può trovare così più spazio e una migliore ospitalità. Il merito di queste innovazioni va soprattutto al Direttore della rivista, al Comitato di Redazione ai quali il Consiglio Direttivo ha dato approvazione e fiducia operativa senza vincoli. Sulle primissime pagine della rivista abbiamo anche stampato a chiare let- 282 tere i nomi dei dirigenti di Segusium, quelli eletti circa due anni fa e in carica fino al 2001. In questo modo diventa chiaro a chi i soci possono rivolgersi per osservazioni, richieste, domande, proposte, collaborazioni. In Segusium 36 le ultime pagine sono riservate alla vita della nostra Società; ritorna in questo modo, dopo vari anni, una rubrica per la doverosa informazio- ne ai soci e all’opinione pubblica: Segusium non vuole essere soltanto viva nel chiuso dei suoi organismi dirigenti; deve essere viva e visibile per tutti.

Il Tesoriere Giorgio Maffiodo vi informerà sulle cifre del bilancio, che na- turalmente non comprende compensi personali perché in Segusium chi fa qualcosa lo fa gratis. Ringrazio il Tesoriere per il lavoro svolto. Interverrà di seguito il consigliere Alberto Perino che aveva ricevuto un preciso mandato dal Consiglio Direttivo. Vi riferirà ragioni e criteri per cui si deve modificare lo Statuto e sottoporrà al vostro giudizio il nuovo documento. Ringrazio Alberto Perino per quanto ha sin qui fatto. Informo i presenti che il Comuue di Susa, dopo averci concesso un nuovo e salubre locale per il nostro magazzino-libri, ha messo a nostra disposizione una stanza nella ÇCasa delle AssociazioniÈ sita nello stabile di Corso Unione Sovietica di proprietà Comunale. Oltre ad avere una nuova sede sociale è pos- sibile utilizzare una sala per riunioni o conferenze che può ospitare una qua- rantina di persone. Ho già avuto modo di ringraziare il sindaco prof. Germano Bellicardi, ma mi sembra doveroso farlo anche pubblicamente, qui, dove è presente come socio.

Il Consiglio Direttivo, che i soci hanno eletto nel dicembre del 1996, finora ha lavorato bene, riunendosi spesso, con buona partecipazione. In questo mese è mancato il consigliere Arrigo Barbero di Susa, lo ricordia- mo con affetto e stima e porgiamo alla moglie e al figlio le nostre condoglian- ze. Nelle nostre riunioni abbiamo esaminato, discusso varie questioni interro- gandoci sul meglio da fare a breve tempo e più in là, fino al 2001, anno di sca- denza del nostro incarico. Ogni associazione, in particolare una associazione di volontari come la nostra, senza fini di lucro, operante sul terreno della cul- tura, può incorrere in abbassamenti di tensione, in rallentamenti del proprio slancio operativo. Se per caso ciò fosse accaduto, questo Consiglio Direttivo farà in modo che ciò non si verifichi negli anni a cavallo del nuovo millennio. Non solo, ma con le modeste forze a disposizione vedremo di fare qualcosa di buono, di essere più presenti in Valle, di pubblicare puntualmente sostanziosi volumi di Segusium e altro ancora. Il numero dei soci registra nuove adesioni, ma abbiamo bisogno che ognu- no di voi si adoperi per raccoglierne altre e ben qualificate. Oltre ai soci è nostro obiettivo di primaria importanza sviluppare le colla- 283 borazioni a tutti i livelli, con quante più persone possibile; con enti, associa- zioni nella Valle. Si sappia che la porta di Segusium non è mai chiusa a chiave; quindi si può venire a suggerire, osservare, collaborare. In un’associazione con obietti- vi culturali come Segusium parecchio dipende dagli organismi direttivi, ma contemporaneamente non poco anche dai Soci e dal loro sostegno. Li invitia- mo tutti a cooperare, darci il loro sostegno ben oltre la quota annuale, pure in- dispensabile. Ciò detto, il presidente e il Consiglio Direttivo si dichiarano saggiamente fiduciosi per l’avvenire e con questo augurio concludo la relazione a questa assemblea sulla vita della Società di Ricerche e Studi valsusini nel 1998, sicu- ro che al prossimo incontro ci vedremo ancora più numerosi, armati di buoni propositi e di brillanti idee.

I lavori del Consiglio Direttivo Nel numero 36 di Segusium, in questa medesima rubrica, abbiamo dato conto ai Soci e ai Lettori della vita della «Società di Ricerche e Studi Valsusi- niÈ, fino alla riunione del Consiglio Direttivo, in data 8 novembre 1997. Dopo di allora il Consiglio Direttivo e la Presidenza di Segusium hanno proseguito la loro attività a termini di Statuto, con numerose riunioni e inter- venti nelle materie di competenza, trattando le questioni economiche, le pro- poste di attività, i modi della nostra presenza culturale, i rapporti con enti e persone. Il Consiglio Direttivo si è soprattutto dovuto occupare delle modifiche da apportare allo Statuto societario, per ottemperare alle nuove disposizioni di legge. é, purtroppo, una materia complessa, di ancora incerta definizione, con passaggi che non sembrano portare verso la desiderata semplificazione e fun- zionalità. Il consigliere Alberto Perino e il tesoriere Giorgio Maffiodo, che si sono occupati delle modifiche statutarie hanno svolto un encomiabile lavoro, e il Consiglio li ha molto ringraziati. Nonostante questo impegno, al momento attuale permangono le incertezze sulla reale efficacia di queste disposizioni a favore delle associazioni di natura culturale e senza fini di lucro (com’è Segu- sium). Non solo, ma numerose associazioni e fondazioni hanno dato notizia di vo- ler intraprendere un’azione per cambiare almeno in parte la nuova normativa, giudicata inadeguata a tutelare il benemerito volontariato culturale. Alberto Perino ha ripetutamente portato in Consiglio la bozza del nuovo Statuto, aggiornando sempre le versioni sulla base delle indicazioni dei Consi- glieri e dei Soci. Al presente, entro il corrente 1999, quella bozza, approvata 284 dal Consiglio Direttivo, verrà sottoposta all’Assemblea straordinaria dei Soci per la definitiva approvazione. Il Consiglio Direttivo è stato costantemente informato dal direttore della ri- vista sul programma editoriale, mentre in particolare il Presidente si occupa dei costi e dei problemi di diffusione. Inoltre, su invito del direttore Tullio For- no, il presidente Perdoncin ha sempre partecipato alle riunioni di lavoro del Comitato di Redazione; in questo modo la presidenza ha avuto notizie tempe- stive e di prima mano sul procedimento formativo della rivista: dalla formula- zione del programma editoriale fino alla stampa. C’è da considerare con soddisfazione che la nuova struttura e la veste grafi- ca rinnovate hanno consentito di stabilire nuovi contatti in varie località della Valle con persone desiderose di collaborare. Resta il problema per la Società di accogliere e coordinare questi nuovi eventuali apporti di stimoli e proposte.

* * *

7 marzo 1998 Ð Dopo queste considerazioni di ordine generale, proseguiamo le notizie che abbiamo già dato nel n. 36 della rivista. Il Consi- glio Direttivo si è riunito il 7 marzo 1998 e, oltre allo Statuto, ha dedicato la sua attenzione alla rivista, alla sua struttura, al pro- gramma messo per iscritto dal direttore Tullio Forno e illustrato a voce con un preciso intervento. Detto programma, approvato all’unanimità, è stato tangibilmente realizzato nel n. 36 di Segu- sium, stampato con buona resa dalla Grafica Chierese nel suc- cessivo settembre, secondo promesse e previsioni. é stata, inoltre, decisa la stampa, con il n. 37, della tesi di laurea della Dr.ssa Michela Fiore per il 35¡ anniversario di Segusium - Società di Ricerche e Studi Valsusini. Anche questo volume, di 112 pagine, è risultato gradevole, oltre che documento per noi importante.

13 giugno 1998 – La riunione del Consiglio Direttivo si è largamente occupa- ta dei bilanci: consuntivo 1997 e preventivo 1998 che dimostra- no, finora, l’autosufficienza della nostra Società culturale. Sono bilanci con cifre contenute, che soltanto una gestione oculata mantiene entro margini di sicurezza, almeno per svolgere la più onerosa delle attività: ossia la pubblicazione della rivista. Il presidente ha dato anche notizia della consistenza del nostro patrimonio in pubblicazioni: oltre 20.000 volumi dei 34 numeri della rivista finora pubblicati (tra i quali figurano alcuni volumi ÇdoppiÈ); circa 3.500 volumi di altre opere pubblicate saltua- riamente da Segusium. Tutti questi volumi sono conservati in 285 un idoneo locale che il Comune ci concede nel Castello di Ade- laide. Sono state discusse anche alcune proposte per celebrare degna- mente il 35¡ anniversario della Società, come poi avverrà nella Assemblea del novembre 1998, con la dotta conversazione del nostro consigliere, canonico Natalino Bartolomasi. Su proposta del direttore Forno del Comitato di Redazione fan- no parte due nuovi componenti: l’insegnante Laura Grisa e il prof. Piero Del Vecchio.

26 ottobre 1998 Ð In questa riunione il Consiglio Direttivo esprime la soddi- sfazione per i numeri 36 e 37 della rivista, nella rinnovata veste tipografica e nella struttura che ora appare più articolata, chiara, completata dalle rubriche, accolte con interesse, perché nuova fonte di informazioni sulla Valle. Le previsioni del bilancio 1999, ha affermato il Presidente, sono buone, mai dimenticando però che le nostre disponibilità finan- ziarie sono modeste e che eventuali contributi esterni sono sem- pre più difficili da ottenere, con la conseguenza che parecchie associazioni culturali finiscono per ridursi ad una esistenza con ben scarse prospettive. Finora Segusium ha scongiurato questo pericolo. Il consigliere Perino e il tesoriere Maffiodo informano sulla boz- za di Statuto per la quale verranno chiesti suggerimenti anche ai Soci nel corso dell’Assemblea ordinaria di imminente convoca- zione.

29 gennaio 1999 Ð La riunione del 29 gennaio 1999 si apre con la commemo- razione fatta dal Presidente del cosigliere Arrigo Barbero (di Su- sa) deceduto. Perdoncin ne ricorda la figura ed esprime le con- doglianze del Consiglio di Segusium ai familiari. Viene anche ricordato con rimpianto il socio Dante Letilloy di Chiusa San Michele. Il Presidente propone di cooptare in Consiglio il signor Luigi Pognant Gros di San Giorio, che era stato il primo dei non eletti nel dicembre 1996. Il Consiglio approva all’unanimità pregando il Presidente di darne comunicazione ufficiale all’interessato.

6 maggio 1999 – Breve riunione del Consiglio con l’inaugurazione della nuo- va sede di Segusium al n. 8 di Corso Unione Sovietica (ex via dei Fossali). Si tratta di una stanza concessa dal Comune di Susa in un edificio di ex-uffici municipali e destinato alle associazio- 286 ni cittadine. La stanza assegnata a Segusium è stata messa in or- dine e arredata dal presidente Perdoncin con la fattiva collabora- zione dell’architetto Fabiano.

22 maggio 1999 Ð A breve scadenza dall’ultima riunione, il 22 maggio 1999, nuova riunione imperniata sulla approvazione del bilancio con- suntivo dell’anno 1998 e di quello preventivo del 1999. La det- tagliata relazione del presidente Perdoncin è stata approvata al- l’unanimità. Per ragioni familiari era assente il tesoriere Giorgio Maffiodo che aveva predisposto tutta la documentazione (e il Consiglio lo ha ringraziato). Si decide poi di convocare nel prossimo autunno l’Assemblea straordinaria dei Soci per l’obbligatoria approvazione del nuovo Statuto, in ottemperanza alle recenti disposizioni di legge. Il direttore Tullio Forno informa i presenti sull’andamento della rivista n. 38, in preparazione, la cui uscita è prevista per settem- bre, come programmato. Anche se vi sono ancora alcune colla- borazioni da definire, le previsioni sono orientate in senso posi- tivo: perciò il n. 38 della rivista appare nel complesso interes- sante e vario. Il Presidente ringrazia il consigliere ing. Enea Carruccio che da varie riunioni del Consiglio Direttivo rimpiazza con serietà e di- ligenza il segretario nella redazione dei verbali delle sedute.

287 Istruzioni da stampare in corsivo. Altre indicazioni redazionali e tipografiche spettano alla per i Collaboratori Direzione. 1 - Segusium, bollettino-rivista della 8 - Ogni citazione in lingue straniere Società di Ricerche e Studi valsusini, o regionali, i titoli di libri, di articoli, le pubblica lavori concernenti tutti i campi testate di giornali, ecc., devono essere di di interesse archeologico, storico, artisti- seguito tradotte in italiano, tra parentesi co, sociologico, naturalistico, ecc., per la e tra virgolette. Valle di Susa e vallate adiacenti. 9 - Le note devono seguire una loro 2 - I testi delle ricerche e degli studi numerazione progressiva. (non inferiori alle 8-10 cartelle), di co- 10 - La bibliografia segue dopo il te- municazioni, recensioni, notizie completi sto. I nomi degli autori in maiuscoletto, di eventuali illustrazioni, tabelle statisti- titolo in corsivo; in tondo le altre indica- che, ecc., devono essere inviati a SEGU- zioni bibliografiche. SIUM - Casella Postale n. 43 - 10059 SUSA (TO). 11 - Le citazioni bibliografiche nel te- sto devono essere riportate tra parentesi 3 - I temi devono essere sviluppati e come per la bibliografia solita. con linguaggio preciso, appropriato, chiaro e lineare. 12 - Le illustrazioni (fotografie, stam- pe, disegni) fornite dall’Autore siano ac- 4 - I lavori dei Collaboratori devono compagnate da esaurienti didascalie. avere per tema ricerche e studi non prece- dentemente pubblicati nella stesura pro- 13 - Agli Autori verranno inviate per posta a Segusium. La lunghezza dei testi e la correzione le prime bozze della compo- altre caratteristiche della collaborazione sizione, che andranno restituite entro i vengono definite con la Direzione. termini indicati dalla Direzione. Le modi- fiche, e le eventuali aggiunte al testo, do- 5 - La Direzione Ð avvalendosi del vranno essere limitate al minimo indispen- parere del Comitato di Redazione Ð si ri- sabile, onde evitare costosi rifacimenti e serva di accettare, rifiutare, suggerire sconvolgimenti dell’impaginazione. modifiche ai lavori che le perverranno. 14 - Segusium non è in grado di com- 6 - I testi dei lavori devono essere pensare i collaboratori. Ad ogni Autore completi e definitivi, redatti in lingua ita- verranno inviate cinque copie dell’intera liana, battuti nitidamente a macchina su pubblicazione. Ogni Autore potrà ottene- fogli formato UNI, a doppia spaziatura, re a proprie spese un numero desiderato con ampi margini. é gradito anche il te- di estratti mediante accordo diretto con sto sopra supporto magnetico, con l’indi- lo stampatore della rivista. cazione del programma di scrittura. 7 - Gli Autori sono invitati a limitarsi La Direzione è disponibile ad ogni alla semplice sottolineatura delle parole collaborazione con gli Autori.

Finito di stampare dalla Grafica Chierese - Arignano (TO) nel mese di Settembre 1999 288