Una Storia, Tante Storie
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
Tito Tito Delton “Storie così... Delton non le avete mai lette” Una nuova serie di storie del calcio delle nostre contrade, Una Storia, sviluppatesi dal secondo dopoguerra all’inizio del nuovo millennio: storie che tante storie hanno come denominatore comune le gioie, le angosce, l’esaltazione anche solo momentanea e, sovente, Volume 2° cadute pericolose che hanno rischiato, ma non ci sono quasi mai riuscite, di compromettere la tanta, tanta passione che ha avvolto centinaia di dirigenti sportivi. In mezzo a tutto ciò, Una Storia, tante storie le vicende della vita di ognuno di noi che la Sessant’anni della nostra vita cronaca delle varie e del calcio giovanile e dilettantistico epoche ha evidenziato e ne ha lasciato segni a Torino e dintorni indelebili. Prefazioni di Luciano Borghesan e di Alfredo Trentalange € 20,00 2 edizioni libreria cortina torino Tito Delton Una Storia, tante storie Sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico a Torino e dintorni Volume 2° Prefazioni di Luciano Borghesan e di Alfredo Trentalange edizioni libreria cortina torino Tito Delton “Una Storia, tante storie” Vol. II [email protected] www.notiziesulcalcio.it Impaginazione e grafica Tipografia Saviglianese [email protected] Stampato da Tipografia Saviglianese Via Torre de Cavalli, 9 12038 Savigliano (CN) tel. 0172 712287 fax 0171 711691 [email protected] Edito nel 2012 da Edizioni Libreria CORTINA Torino C.so Marconi, 34/a - 10123 Torino tel. 011 6507074 - 011 6508665 - fax 011 6502900 E-mail: [email protected] www.cortinalibri.it Tutti i scudier, che vanno oggi per via, un Alessandro in corpo aver si tene e non si faddi al bene, che dir non doveria, ma farli oltraggio. Zasano è tratto a la mercenaria puttane e dadi, lor vita mantiene senza veruna speme senza color d’alcun gentil lignaggio e quel di lor che si chiama ‘l più sagio colui s’atende el volto a colorare a polire e ornare la trezza e petinarsi il corpo biondo; e così va l’umanitude in fondo. Francesco di Vannozzo - Petrarca Una comunità protagonista di Luciano Borghesan L’aveva nel sangue istriano la vocazione del capitano, del condottiero, ma Delton l’ha dimostrata soprattutto nella sua vita a Torino, dove - bimbo - ri- mediò con mamma e sorella in fuga dai “titini”. Ironia della sorte, anche il maresciallo-dittatore della Jugoslavia, Josip Broz, si era appiccicato il nome di battaglia, “Tito”, che all’Italia sconfitta ha strappato una terra bellissima e forte. “Ma mio padre pensava all’imperatore romano quando mi diede quel nome”, precisa il “figlio” di Dignano d’Istria. Una Storia sempre in salita, sofferta, dolorosa, a volte anche economica- mente, però ricca di avventure e, con particolare sua soddisfazione, di caldi rapporti, di vittorie umane. Tito ha corso i gradini con un pallone al piede, al fianco, nel cuore e nella testa. Deve al calcio, quanto il foot-ball deve a lui, e cioè moltissimo. Con loro due, si sono intrecciati bambini, ragazzi, giocatori, giovani, uomini, donne, allenatori, fidanzate, mamme, dirigenti, figli, nipoti, nonni, arbitri.. Una comunità protagonista nello sviluppo della città industriale nei ruoli di operai, impiegati, capi, esercenti, artigiani, abitanti... Gli isolati sono diventati rioni, quartieri, il mosaico della metropoli. Delton è un esempio di quella crescita. Lo è stato sui prati, all’oratorio, sui campi, nelle società (Fiumana e Spartanova su tutte), nell’organizzare tornei (indimenticabile quello “delle Borgate”), nelle iniziative, come l’ultima “per formare dirigenti”. E, infine, da giornalista e scrittore, tramanda la lezione del calcio, che nel secolo scorso ha contribuito a formare l’Italia, a migliorare i suoi Comuni e i suoi cittadini. “Una Storia, tante Storie”: solo uomini come Delton che hanno conosciuto i protagonisti sulla scena, vivendola, possono sapere tanto di tutto e di tutti. E con questo libro ogni sportivo può ripercorrere e arricchire i propri ricordi. V Tito ricostruisce le origini di un nome (Pertusa), di un campo (Cenisia), di grandi dirigenti scomparsi (come Borgogno, Pampione, Raviola...). Ogni edizione, storie in più. Delton, in questo secondo volume, aggiunge ca- pitoli per altre gloriose società che fioriscono nella “primavera dell’auto” con Victoria Ivest, Barracuda, CBS, Orione Vallette, Cit Turin, Mirafiori, Rapid, San Giorgio, Paradiso Collegno... Le hanno inventate i ragazzi - spesso figli di immigrati - su prati incolti, calcati fino a farli diventare terra battuta, solo da un decennio è tornata l’erba (sintetica) grazie allo sforzo della Città e degli appassionati. Anche la Grande Torino si è affermata, ed ecco il La Chivasso, il Brandizzo, il il SusaBruzolo, il Canavese: Tito allarga l’orizzonte delle conoscenze, ag- giunge posti alla tavola del calcio e della collettività. E noi insaziabili gli siamo grati. VI Un punto accessibile al bene di Alfredo Trentalange Dopo infinite partite nell’oratorio di Gesù Buon Pastore come calciatore ed al “Valentino Nuovo” in Via Lancia dove le panchine facevano da porta, ho giocato nel settore giovanile della “Rangers Matteotti” di Grugliasco e dopo un provino al Toro ed una gara disputata ho deciso di fare l’arbitro nella sta- gione sportiva 1973/74. Fischiare correttamente un fallo evita vendetta e violenza e sul campo si può continuare a giocare in pace. Ho imparato che attraverso la giustizia, che l’ar- bitro impersona, si raggiunge la pace così che, egli stesso, diventa uno stru- mento di pace ed un educatore. La prima partita ai campi di Via Artom, il mio primo organo tecnico alle Vallette, i campi sterrati del settore giovanile sono rimasti nel mio cuore anche quando mi sono ritrovato in serie A ed a li- vello internazionale. Tecnica ed etica, organizzazione ed umanizzazione mi hanno educato alla vita e allo sport. Grazie alle persone che, gratuitamente, mi hanno formato, sui campi di calcio ho sperimentato che è assolutamente vero che in ogni giovane, anche il più disperato, c’è un punto accessibile al bene. Con l’associazione di Volontariato che frequento, ho la prova che at- traverso il giuoco del calcio é possibile aprire canali di comunicazione positivi ed è possibile trasformare i problemi in risorse. Grazie a queste persone ho imparato che la provvidenza non si serve di continui miracoli quanto piuttosto di mezzi e strumenti umani. Grazie Tito, perché di tutto questo tu sei instancabile testimone. VII Introduzione Foglie secche, nebbie, un verde rigoglioso, cespugli di more, neve a strati, a mucchi, freddo, gelo e, ancora, il profumo dolciastro dei tigli, il sole abba- gliante di luglio, il lago d’inverno, insomma, sono tante le stagioni a scorrere nella memoria di un cronista che ha visto, goduto, scritto di calcio da oltre cinquant’anni e ancora non vuole mettersi da parte perché, dice, c’è sempre una vastissima scelta di varia umanità che ha percorso con lui queste stagioni e gli pare giusto, anzi giustificato che vengano risaltate le caratteristiche di ognuno o, per lo meno, di coloro, e sono centinaia, che hanno vissuto i mi- gliori anni della loro gioventù su un campo spelacchiato, prima, su una pe- louse formidabile, poi, ed ora stanno raccogliendo frutti o miserie su terreni in erba sintetica che se non fosse per quei maledetti pallini neri di gomma… sarebbero perfino accettabili. E questo è appena un cenno sui motivi che mi hanno convinto a continuare la saga delle società di calcio torinesi, in quanto dietro alle storie di sport, di passione, di socialità c’è sempre la persona, l’individuo che ha condizionato queste storie, che le ha disegnate, che le ha indirizzate. Molti sono amici, con altri c’è un buon rapporto, qualcuno lo conosco da distante, per altri ancora sono in dubbio se appartengono all’uno o all’altro dei miei vari parentadi, tutti, comunque, fanno parte di quella vasta schiera che viene denominata “gente di sport”. E se qualcuno fa sport o, meglio, lo fa fare è sempre da con- siderare un benemerito. Poi, nella vita di tutti i giorni, potrà essere un boia fauss, un furbastro, un contaballe o ignorante come una talpa (e la talpa mi perdoni!), ma se permette a cinquanta o duecento giovanotti di menare sberle ad un bel pallone, per me sarà sempre meritevole. Meritevole di un abbraccio, di una sonora pacca sulle spalle e, perché no, di essere appiccicato dentro ad una suntuosa cornice e IX appeso alla parete del salone delle feste o del bar della sede sociale quando avrà compiuto i suoi passi, quando avrà lasciato la vita terrena. Sì, proprio così, si potrà essere la persona più antipatica del borgo, ma quando si opera nel calcio dilettantistico, per il calcio dilettantistico, un calcio che solo in qualche rarissima occasione porta a casa pane e companatico da mettere in saccoccia, è doveroso riconoscere il buon lavoro svolto a favore della nostra gioventù. Retorica? Venite a leggere. Ho frequentato le tante associazioni del contado torinese guardandole da di- verse sponde. Ci ho giocato con quella palla, l’ho organizzata per un bel muc- chietto d’anni, ne ho scritto chilometri di articoli e qualche libro, ho persino fatto discorsi di presentazione ma, vi prego di credermi, da qualsiasi lato la guardassi mi è sempre piaciuta. La palla, il pallone, la squadra, le maglie, le scarpette bullonate sono state il mio companatico (il pane è un’altra cosa) per l’intera vita. Credo di aver co- nosciuto questo sport dal di dentro, di averlo sondato, anche di averlo capito quando è stato fatto da attori scalcinati e per tutti questi motivi mi vanto di essere un “esperto”. Lo so, eccome lo so che a questo punto mi darete del presuntuoso, potreste anche … mandarmi a stendere, ma gli amici sanno che sono nel vero, che riconosco da distante una bella giocata, una corsa elegante, che quel tizio non piega le ginocchia a sufficienza e non potrà mai avere lo “stacco” che serve, che quella ragazza ha il bacino troppo largo e, mica è colpa sua, per quanto si sforzi non potrà competere nello scatto.