QUADRI DI UNA COLLEZIONE

Bellandi, Bergolli, Cassinari, Chighine, Francese, Morlotti, Mosconi

Mostra promossa da

Consiglio di Amministrazione Francesco Scaravaggi (presidente) Beniamino Anselmi Renzo De Candia Franco Marenghi Stefano Pareti Giovanni Rebecchi Carlo Tagliaferri

Commissione Cultura Stefano Pareti Fabrizio Garilli Giorgio Milani Milena Tibaldi Montenz Renato Zurla

Mostra e catalogo a cura di Eugenio Gazzola

Coordinamento generale Tiziana Libè

Progetto espositivo e allestimento Pentagono Allestimento Musei, Bologna

Si ringraziano tutti coloro che, con il loro contributo, hanno reso Immagine di copertina possibile l’organizzazione di questa mostra Alfredo Chighine, Azzurro e grigio, 1971 QUADRI DI UNA COLLEZIONE

Bellandi, Bergolli, Cassinari, Chighine, Francese, Morlotti, Mosconi

Dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano

11 Aprile 2014 - 30 Maggio 2014 Sala Espositiva di Palazzo Rota Pisaroni, Piacenza

La collezione d’arte della Fondazione di Piacenza e Vigevano comprende un nucleo di opere risalenti a un fertile momento della recente storia artistica di questo Paese e che, in quanto tali, costituiscono una ricca testimonianza sto- rica sui destini dell’arte italiana, oltre che, naturalmente, una parte impor- tante del nostro patrimonio d’arte. La decisione di esporre al pubblico queste opere risponde alla possibilità di offrire, sempre nel quadro dei programmi attuati dall’ente in ambito culturale ed educativo, un ulteriore momento di dibattito e confronto per il pubblico degli studiosi e degli appassionati. In particolare, però, ci pare che i primi destinatari dell’iniziativa debbano essere senz’altro gli studenti, come dimostra un allestimento espositivo particolarmente ricco di suggestioni e di rimandi anche acustici, oltre che visivi, letterari e musicali; e come dimostra, inoltre, questa stessa pubblicazione che inquadra le biografie degli artisti e le loro opere in un contesto storico-geografico che fu essenziale - e in parte lo è tuttora - per il Paese e per la nostra città.

Questa Fondazione non lascerà nulla di intentato per conservare la continuità dell’offerta culturale verso la comunità piacentina, sebbene le dinamiche finanziarie di questi anni siano apparse sovente ostili alle nostre speranze. Siamo infatti consapevoli che spetti anche a noi il compito di contribuire al consolidamento dei valori fondanti della nostra civiltà e a crescere una generazione consapevole e responsabile di quegli stessi valori.

Una mostra come questa è infine utile alla nostra Fondazione, al fine di considerare nuovamente il ruolo del patrimonio artistico sotto i profili dell’opportunità economica e della divulgazione storico critica.

Francesco Scaravaggi Presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano

In corso d’opera di Eugenio Gazzola

Abbiamo davanti un gruppo coerente di opere la cui origine ide- ale e l’intima qualità sono inscritte nel periodo più fragile dell’ar- te italiana, quando indirizzi formali e politici diversi si offriro- no alla luce così velocemente da risultare, nel tempo, indistinti. Tra il 1945 e, grosso modo, il 1959 una costellzione di correnti, di gruppi e di sigle nascono, si intrecciano, si distinguono e si fon- dono: astrattismo, nuovo realismo, l’espressionismo leggero di «Corrente» e poi l’intricata foresta dell’Informale italiano, nella quale confluiranno i manifesti teorici precedenti, divenuti im- provvisamente vecchi già a metà degli anni Cinquanta. La svolta dell’arte è nelle forme e nei contenuti, coincide con il tempo della ricostruzione civile e morale dell’Italia e del primo sviluppo economico dopo la guerra. La nazione è nuovamente industrializzata e compresa in un disegno mondiale favorevole allo scambio, mentre le tendenze dell’arte nascono e scompaio- no a seconda delle evenienze politiche, delle occasioni rappre- sentate dal ritorno alle grandi mostre, dai nuovi manifesti ispira- ti alla modernità tecnologica; dal confronto con le avanguardie mondiali che ora si affacciano a New York e non più a Parigi.

Autori e opere in corso sono anche accomunati da una netta ap- partenenza di origine all’area milanese e lombarda. Sono espres- sione di una linea dell’arte (e della letteratura) che ha radici addi- rittura negli anni di Caravaggio, ma che ora, nell’Italia moderna e infine liberata, si rinnova rovesciando il paradigma naturalista - di arte della realtà, che l’aveva distinta e consolidata per secoli - in visione razionalista e progettuale: è la mentalità politecnica

7 lombarda che sa esprimersi mescolando i linguaggi cosiddetti alti e bassi della cultura.

Sono sette pittori, i protagonisti di questa mostra - Bruno Cassinari, Ennio Morlotti, Alfredo Chighine, Franco Francese, Rinaldo Bergol- li, Giorgio Bellandi e Ludovico Mosconi - i primi cinque dei quali, più maturi, li troviamo fin dall’estate del 1945 dentro un dibattito che oggi potremmo ridefinire un’interrogazione sulle «conseguenze del cubismo», in quanto fondato sulla coscienza del ritardo italia- no rispetto alle correnti dell’avanguardia europea. Dei vigorosi inizi del tempo di ricostruzione, trascorso cercando una formulazione dell’immagine tra astrattismo e informale, gli artisti conserveranno un’impronta netta e riconoscibile anche nei decenni successivi e all’interno di orizzonti profondamente mutati.

Quadri di una collezione, infine, allude a una collezione interrot- ta di cui il gruppo di opere che presentiamo doveva costituire le prime pagine, e che ora può riprendere in più direzioni.

8 I. storia e geografia del contesto

Senza ragionare sul contesto, senza avere nozione del mondo in cui gli artisti operarono, non capiremmo il significato della loro opera, nata in prima battuta dall’ansia di rinnovamento e dal de- siderio di storia. Prendendola molto larga diremo che fin dal Cinquecento l’arte lombarda (alla quale ha teso da sempre la nostra provincia) era caratterizzata da uno spiccato istinto per la realtà, un sano vigo- re realistico che ha fatto dei lombardi, costantemente, i primi e quasi i soli artisti ad assumere nel proprio lavoro l’insieme delle circostanze, ad accorgersi che il mondo è fatto di oggetti e di sto- ria, di uomini e di condizioni umane nel medesimo tempo. Que- sto il tratto, l’evidenza fino al Novecento inoltrato e a Novecento, come vedremo subito.

Proprio nel cuore degli anni che ci interessano, nel 1953, si apriva a Palazzo Reale di Milano una mostra che avrebbe aperto gli oc- chi: si intitolava I pittori della realtà in Lombardia, era curata da Roberto Longhi, che due anni prima aveva inaugurato un dossier su Caravaggio e i Caravaggeschi ponendo una prima volta la que- stione del naturalismo lombardo in pittura. La rassegna offriva un ventaglio di vedute - da Moroni a Ceruti, diceva il sottotitolo, che vuole dire passare su nomi quali il Savoldo e il Moretto, Ce- resa, Morazzone, Nuvolone, Magnasco, Baschenis, Fra’ Galgario eccetera - intorno a una maniera di leggere il mondo che una volta scoperta e assegnata è divenuta col tempo un punto fisso, una costante dello spirito lombardo in arte e in letteratura; un modello borghese e imprenditoriale del vivere.

9 In ogni caso, secondo le efficaci parole di Longhi, siamo a fron- te di una «certa calma fiducia di poter esprimere direttamente, senza mediazioni stilizzanti, la “realtà” che sta intorno».� Il rife- rimento ci serve appunto per sottolineare questo particolare ca- rattere dell’arte lombarda attraverso i secoli, che in primo luogo significa l’affrancamento definitivo delle scene di genere, popo- lari e quotidiane, dalla sottomissione ai modelli alti, religiosi ed eroici: i lombardi sono maestri della rappresentazione di umile vita quotidiana e della ritrattistica di movimento, con individui colti nel loro operare consueto da una sorta di fermo-immagine fotografico. È lo spirito che tra Sette e Ottocento diventa caratteristico della Milano napoleonica e poi austriaca, popolare e vera anche per grazia del Giovannin Bongee e della Ninetta del Verzee - lei, che sarà pure stata guardata dal Magnasco mentre questi dipingeva il suo mercato -; e che tale resta (Manzoni approvando) fin giù agli Scapigliati Praga e Rovani, alle macchie di Carlo Dossi! (ma inscì era già, indietro nei secoli, il Bonvicino della Ripa). Lo spirito che di qui prende quell’impennata, dialettale verbosa e neobaroc- ca, ricercata ma fluente e acida, che farà memorabile il Gadda. Nemmeno un romantico come il Piccio (Giovanni Carnovali, al secolo, 1804-1873) vi rinuncerà del tutto tra una visione e l’altra: scenette d’umanità varia, figurine e macchie; alla maniera fran- cese di nuovo in voga, ritratti sfrangiati e sfumati, con volti che affiorano da nuvole di cipria luminosa e antica, stile privato e da camera, un po’ signorine Confidenza. E non sarà, ancora una volta, amore della realtà, che adesso chia- meremmo “modernità”, lo scoppio futurista d’anteguerra? Che altro, se non la vendetta della vita di tutti i giorni sulla scoper- ta mistica dell’arte libera dalla tradizione? E pure Novecento: il gruppo della Sarfatti non rimette nel suo teatro metafisico fatto di silenzi e fissità i ritratti, le caricature, le macchiette e i paesag- gini urbani della prosopopea cittadina e domestica? Se il Littorio sarà l’ultimo ordine neoclassico della storia moderna, i residui di Novecento e di Valori plastici, vale a dire delle idee frontali che

10 avevano rimesso l’arte su basi metafisiche avranno invece un re- spiro più lungo, sebbene in forme mutate: da una parte rinvigo- rendo la comunione con la tradizione pittorica italiana più anti- ca, quella nata tra Tre e Quattrocento; dall’altra inventando un classicismo nuovo di tipo urbano, anzi metropolitano, con la ca- lata dei modelli antichi nella modernità delle città settentrionali. Parliamo di prosa, a conti fatti, ma di prosa in dialetto. È l’arte del racconto aneddotico che trionfa nella città dell’illuminismo italiano, dello spirito politecnico e razionalista che fa e non disfa, semmai trasforma. Perché questa è la città che fa parlare Radi- ce, Soldati, Reggiani, con Terragni e Libera - parlare nel senso di mettere insieme le cose. Così l’astrattismo lombardo, che è quasi tutto quello italiano, costruisce e inventa, calcola e modella se- condo l’ordine dell’utilizzo e dell’armonia.

Poca roba riesce a passare, di quella storia così ricca, per le ma- glie storte della guerra che frantuma, macina, trasfigura le imma- gini e i racconti. Se da un satellite nello spazio potessimo guar- dare nel tempo dell’arte in terra tra il 1945 e il 1959 vedremmo una costellazione di sigle, gruppi e tendenze che si riproducono uno dall’altro per scissione, come le cellule degli organismi vi- venti. Una dispersione di aggregati e rapidi addensati teorici in costante fioritura e, in mezzo, alcune figure di grandi solitari che si stagliano contro la corrente: Fontana, Burri, Vedova, Colla, Ca- pogrossi... Pochi altri. Ed è la corrente senza requie dello stesso fiume che bagna ogni angolo del mondo, dal Giappone dei Gu- taj alla Francia di Dubuffet e Fautrier, passando per l’America di Pollock, De Kooning e Rothko, ché dopotutto, tramontate le speranze di redenzione animatesi alla caduta delle dittature, in ogni luogo si sperimenta la stessa difficoltà di adattamento dei modelli di vita ai modelli della politica. Se proviamo a leggere con ordine le spirali della costellazione, a partire dal ’44 a Roma – città già liberata – e dal ’45 a Milano, Dall’alto: Ladri di Biciclette, L’opera da tre soldi, allora vedremmo il campo visivo occupato da tre grandi aree, cia- Umberto D. scuna già in atto di sentirsi tradizione: vi era un’area moderata-

11 In alto, da sinistra: mente espressionista, che intendeva rimettersi in sintonia con Jackson Pollock, Autumn Rhythm (Number 30), le avanguardie europee ed era composta da artisti in gran parte 1950, acrilico su tela, 266x525 cm, Metropolitan provenienti dall’esperienza di «Corrente»; una seconda area ten- Museum of Art, New York; deva a una forma di nuovo «realismo» che si rifaceva al Picasso di Willelm De Kooning, Attic, 1949, olio e smalto su Guernica e aveva in il suo principale interprete, carta su tela, 157,2 x 205,7 cm, Metropolitan Mu- seum of Art, New York. artistico e politico. Era questa la manifestazione di una volontà di intervento che da una parte rigettava l’accademia di «Nove- Nell’altra pagina, da sinistra: cento» e, dall’altra, rifiutava gli esiti formali cui erano giunte le Renato Guttuso, Le cucitrici, 1947, olio su tela, avanguardie tra le due guerre, decretando, all’opposto, un valore 100x81, collezione privata; formativo dell’arte in quanto testimonianza del tempo. La terza Renato Guttuso, La battaglia di Ponte dell’Am- area occupava il vasto mare dell’astrattismo italiano: da dirsi «ita- miraglio, 1951/1952, olio su tela, Galleria degli liano» per lasciarne in evidenzia le differenze con quello europeo, Uffizi, Firenze. che il nostro sposava solo in parte. Vi era infatti un astrattismo pro- priamente nazionale che fondeva suggestioni naturalistiche con forme cubiste; così come ce n’era un altro, di ispirazione concreti- sta, che discendeva da Kandinskij e dal nord Europa attestandosi subito su basi rigorosamente geometriche, e incrociando l’archi- tettura razionalista e il mondo del design industriale. A partire dai primi anni Cinquanta, una parte degli artisti che ave- vano lavorato all’interno di queste aree confluirono verso l’Arte In- 12 Le cose notevoli del periodo compreso formale, una tendenza composita che riunì in un solo tempo arti- all’incirca tra il 1945 e il 1960 con qualche sti di tutto il mondo, applicati a vari modelli di un linguaggio che il influenza sugli eventi che abbiamo descritto critico francese Michel Tapié battezzò, nel 1952, informel. Pratiche - con l’accordo che le stagioni dell’arte non come il segno, la materia, il gesto avevano già alcuni centri di irra- iniziano e non finiscono con una data, ma diazione mondiale sulle due sponde dell’Atlantico: in America era trascorrono sempre l’una nell’altra con la «Scuola di New York» con Pollock, Kline, De Kooning e Rothko; effetti persistenti. Occorrerà pertanto in Europa era invece la Francia a interpretare al meglio il nuovo tenere a mente che il passato va inteso stile con autori come Jean Dubuffet, Jean Fautrier, Wols e Georges sempre come un passato prossimo. Mathieu. Il primo, Dubuffet, distinguendosi per la difficile opera Nel 1945, nei mesi successivi alla di regressione verso l’azzeramento estetico, verso una definizione Liberazione di Milano, Paolo Grassi e elementare e istintiva dell’arte il cui risultato fu nominato art brut, Giorgio Strelher decisero di fondare (con e che egli identificava con disegni dei bambini in età prescolastica Nina Vinchi) un nuovo teatro nella sala o degli alienati mentali. dell’ex cinema Broletto di via Rovello: fu la prima sede del Piccolo teatro della Città Il tratto distintivo della modernità, per ognuna delle forme compo- di Milano, poi inaugurato il 14 maggio di nenti la galassia, aveva comunque sede nella riflessione sugli statuti due anni dopo con L’albergo dei poveri di dell’arte, sul ruolo dell’artista e sui processi di realizzazione dell’o- Gorkij. L’idea dei fondatori era dare vita a un pera che avevano già impegnato le prime avanguardie europee. Ha teatro come pubblico servizio necessario al scritto Filiberto Menna a questo proposito, nell’introduzione del benessere dei cittadini. suo più celebre saggio: «l’arte’ moderna nasce dall’acquisizione teo- 13 rica e operativa della natura convenzionale e astratta del linguaggio artistico; tale acquisizione opera una vera e propria rottura episte- mologica nella problematica dell’arte’ nei confronti di una conce- zione naturalistica del linguaggio attraverso una messa in questione del presupposto di una corrispondenza immediata tra linguaggio e realtà. La prima conseguenza (...) è che si deve considerar moderna solo l’arte che ha attraversato il varco stretto di questa acquisizio- ne teorica: larte’ che non si è accorta di questo passaggio, di questo punto di non ritorno, (...) non è arte moderna ma solo cronologica- mente contemporanea». (F. Menna, La linea analitica dell’arte mo- derna, Einaudi, Torino, 1975 e 1983).

Il percorso fu grosso modo questo: nel 1946, sul primo numero della rivista milanese «Il 45» (direttore De Grada) comparve un testo di Mario De Micheli intitolato Realismo e poesia (in realtà Emilio Vedova, Crocifissione contemporanea - circolante già in precedenza come dattiloscritto) che si è soliti Ciclo della protesta n. 4, 1953, acrilico su tela, 1 130 x 166 cm, Galleria Nazionale d’Arte Moder- considerare il manifesto del nuovo «realismo» in opposizione na, Roma. politica a quanto era indicato come «formalista», ovvero contro l’arte influenzata dalle avanguardie europee; contro gli astrat- tismi vecchi e nuovi (avversati dal Partito comunista); infine, contro l’accademismo di «Novecento» e i dialetti espressionisti- Nel 1953 il Piccolo ospitò la prima italiana di ci balenati in alcuni autori di «Corrente». Il riferimento europeo Guernica Aspettando Godot di Samuel Beckett con la del nuovo realismo era a Picasso e a , capolavoro del ’36 regia di Roger Blin. Nel 1956 Strehler mise che, com’è noto, traeva origine da un episodio della guerra civile in scena la prima di L’opera da tre soldi di spagnola: il massacro della popolazione di una cittadina basca Bertolt Brecht, cui faranno seguito Galileo per opera dei bombardieri tedeschi inviati da Hitler in soccorso e Santa Giovanna dei Macelli e altri titoli del ai miliziani franchisti. drammaturgo berlinese. Ma già pochi giorni dopo la pubblicazione del testo di De Micheli Uomini e topi da Steinbeck con la regia il capolavoro di Picasso diventa termine di un primo superamen- Manifesto del rea- di Luigi Squarzina (1922-2010) è il primo to: fu infatti pubblicato, sempre a Milano, un spettacolo teatrale ad andare in scena a Roma, nel 1944 quando la città è stata 1 I primi a riunirsi nel nome di un nuovo realismo sono artisti e critici liberata da pochi mesi. Squarzina si insieme: Mario De Micheli, Raffaele De Grada, Emilio Morosini, Ennio confermerà negli anni successivi tra i registi Morlotti, Emilio Vedova, . Nel ’45 esce “Il 45”, una rivista più innovatori del teatro italiano. diretta da De Grada che diventa un po’ l’organo ufficiale del neorealismo. 14 lismo sottotitolato Oltre Guernica, al quale aderì un folto grup- po di artisti tra i quali Morlotti, Vedova, Ajmone, Bergolli, Dova, Peverelli, Testori: nomi che oggi collocheremmo lontano da una tendenza «realistica», ma la cui urgenza in quei primi mesi di libertà e di futuro – giacché quello era, doveva essere il futuro immaginato negli anni della dittatura e della guerra – era pre- cisamente di conciliare il realismo politico con il superamento di un’arte didascalica e asservita al potere. Un «nuovo realismo», quindi, che si alimentava parimenti di storia e di esempi dell’a- vanguardia storica e tra questi, in evidenza, l’esempio cubista e quello picassiano. A Milano, in verità, mentre si parla di «realismo» si pensa soprat- tutto a come ricollegare l’arte italiana alle esperienze europee che le dittature avevano congelato: cancellate provvisoriamen- te in Germania e Spagna; e invece solo rallentate in Italia dove, come ricordava Montanelli, era sufficiente scrivere le cose più pericolose in terza pagina anziché in prima. A Roma invece, dove il Partito comunista aveva avuto più tempo per riorganizzarsi (la capitale era libera dal ’44) si vide l’indicazione politica già tradot- ta in prassi e alcuni artisti come Guttuso, Giulio Turcato o Pericle Fazzini o Antonio Corpora entrare nei programmi politici; un cri- tico come Antonello Trombadori armare una decisa divisione tra Pietro Consagra, Figure, 1956. espressioni diverse, e il Partito stesso farsi promotore e organiz- zatore di mostre tematiche. Nel medesimo tempo, sempre nella Roberto Rossellini firma il primo tentativo di capitale, apriva una sede dell’Art Club, organismo internazionale raccontare la storia con gli occhi degli umili senza fini politici diretto in Italia da Enrico Prampolini (fino a poco e dei miserabili, in questo senso va intesa la prima alfiere del tardo futurismo fascista). Attraverso la sua attivi- poetica neorealista, con il film Roma città tà espositiva e il suo bollettino l’ambiente artistico romano poté aperta (1945) sui mesi dell’occupazione seguire il lavoro dei giovani artisti in bilico tra le definizione che nazista della capitale. Tra il 1946 e il 1952 abbiamo incontrato: realismo nuovo, neocubismo e astrattismo. Vittorio De Sica firma quattro capolavori Sappiamo come in realtà sia poi stato il cinema a compiere la della storia cinematografica, oltre che film missione che la politica auspicava attraverso il realismo. E non eponimi del Neorealismo: Sciuscià, 1946; poteva andare che così, perché nel ’45 l’arte si attardava a parlare Ladri di biciclette, 1948; Miracolo a Milano, di modernità mentre la guerra, gli stermini di massa e la distru- 1951; Umberto D., 1952. zione delle nazioni, dimostravano che proprio la modernità in- 15 tesa come progresso sociale, scientifico e tecnologico era finita. Il mondo che si apriva con le macerie dell’Occidente e l’atomica negli arsenali era il mondo che aveva provocato il cortocircuito tra progresso e barbarie – così come avevano spiegato gli europei Adorno e Horkheimer al momento di mettere mano, già riparati negli Stati Uniti, alla loro critica dell’Illuminismo e dell’idea di progresso. Il cinema non si pose il problema di un linguaggio della modernità perché intrinsecamente moderno egli stesso; manifestazione evidente dell’idea di tecnica e di progresso tec- nico. Agli autori del cinema andava il compito di testimoniare, nel medesimo gesto, la propria visione del mondo e la realtà cir- costante, raccogliendo brano a brano reperti e parole della storia Il grido di Michelangelo Antonioni. affinché nulla andasse perso. Il mezzo tecnico lo consentiva age- volmente senza rinunciare a poesia e emozioni.

Nel 1948, Luchino Visconti gira La terra L’intonazione politica del nome «Nuovo Fronte delle Arti», per un trema ad Aci Trezza, il villaggio di pescatori gruppo di artisti formatosi tra Milano, Venezia e Roma nell’au- in cui Giovanni Verga aveva ambientato I tunno del 1946, mostra come ogni ragionamento sull’arte nel do- Malavoglia, impiegando abitanti del luogo, poguerra, ogni valutazione sulla funzione e sulla natura dell’in- donne e pescatori. Si stabilisce così un ponte tervento artistico dovesse confrontarsi con la storia politica e so- ideale tra il verismo di fine Ottocento e il ciale del Paese in quel particolare momento storico. Impegnati o neorealismo della nuova Italia. Su tutto, le meno che fossero sul piano ideologico, gli artisti non avrebbero vicende umane, le aspirazioni piccole e grandi potuto agire come esuli dal tempo ignorando la realtà che li cir- di personaggi minimi sullo sfondo del travaglio condava. La stessa eterogeneità del gruppo, che riuniva linguaggi storico che non riesce a riscattarne le sorti. anche molto diversi tra loro per origine e finalità, testimoniava della stessa pulsione al superamento - soprattutto culturale - del- Il 30 gennaio del ‘45 va in scena all’Eliseo I la stagione chiusa con la fine della guerra. Le differenze interne parenti terribili di Jean Cocteau con la regia - tra astrattisti e realisti, tra naturalisti e espressionisti e concre- di Luchino Visconti (1906-1976). tisti -, che inizialmente ne costituirono la ricchezza e la forza, in seguito ne avrebbe provocato la naturale dissoluzione: non è mai Le letteratura sulla Resistenza suscita stato dato di vedere artisti riuniti a lungo da un solo obiettivo dibattiti accesi in campo letterario e politico, foss’anche di natura politica. contemplando visioni molteplici delle vicende Il raggruppamento ebbe un precedente alla fine del ‘45 a Mila- che hanno portato alla Liberazione dell’Italia no, con la costituzione di un sodalizio tra Renato Guttuso (1911- dal nazifascismo. 1987), Ennio Morlotti, Bruno Cassinari, (1905-

16 Tra i titoli usciti nel periodo: Uomini e no (1945) di E. Vittorini; Il sentiero dei nidi di ragno, di I. Calvino (1947); L’Agnese va a morire (1949) di R. Viganò; La casa sulla collina (1949) di C. Pavese; Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 - 25 aprile 1945) (1952); I ventitré giorni della città di Alba (1952) e Primavera di bellezza (1959) di Beppe Fenoglio che precede Il partigiano Johnny (1968). Dal lato degli ex-giovani repubblichini esce nel 1953 Tiro al piccione di Giose Rimanelli. Nel 1946 esce Il cielo è rosso di Giuseppe Giulio Turcato, Comizio, 1950, olio su tela, GAM Roma. Berto, epopea di alcuni ragazzini nel disordine morale e civile degli ultimi anni di guerra. 1959), Armando Pizzinato (1910-2004) e i più giovani Franco Nel 1950 Edgar Varèse (1883-1965) Francese, Alfredo Chighine, Gianni Dova (1925-1991) e Rinaldo compone Desert, in cui l’anziano (Aldo) Bergolli. Ne dà notizia il primo numero della rivista «Argi- compositore franco-americano sperimenta ne Numero», che all’uscita seguente riportava anche la dichiara- l’utilizzo dell’elettronica. zione d’intenti dei firmatari del Manifesto del realismo di pittori e scultori: Giuseppe Ajmone (1923-2005), Bergolli, Egidio Bonfante Nel 1946 si svolge il primo Corso di (1922-2004), Dova, Morlotti, Giovanni Paganin (1913-1997), Cesa- Composizione per la Nuova Musica a re Peverelli (1922-2000), Vittorio Tavernari (1919-1987), Giovanni Darmstadt, cui parteciperanno nel tempo Testori (1923-1993), Emilio Vedova (1919-2006). Con poche ecce- i più influenti compositori italiani del zioni (Cassinari, per esempio), ritroveremo questi nomi nel primo dopoguerra: Luciano Berio, Luigi Nono, manifesto del «Fronte nuovo delle arti»: Vedova, Birolli, Morlotti, Bruno Maderna, Iannis Xenakis. Pizzinato, Santomaso, Alberto Viani (1906-1989), Antonio Corpora (1909-2004), Pericle Fazzini (1913-1987), Nino Franchina (1912- Nel 1948 alla Biennale di Venezia è allestita 1987), Leoncillo (Leonardi, 1915-1968), Giulio Turcato (1912-1995) la mostra La collezione Peggy Guggenheim e il critico Giuseppe Marchiori (1901-1982). presentata da G.C. Argan, con opere di Le loro ragioni avevano origine nell’esigenza di rimettere in gio- 73 artisti tra i quali Picasso, Schwitters, co un’arte terza tra il neoastrattismo e le anime della figurazione Rothko, Pollock, Picabia, Moore, Mondrian, che si erano susseguite fino a lì, ma non dava alcuna indicazione Mirò, Malevich, Klee, Ernst, Giacometti, originale sulla natura e gli scopi di questa terza via, se non quel-

17 lo di portare in Italia le esperienze europee. Era un obiettivo in sé vago, che aveva grosso modo in Picasso e nei surrealisti del secondo e terzo momento gli esempi da seguire anche in Italia. D’altra parte, il gruppo poté restare unito solo nell’assenza di una definizione precisa dei propri scopi; appena questa definizione di scopo fu tentata con le ragioni del «Realismo» (1948) da parte dei critici e degli artisti più vicini al Partito comunista, il Fronte si frantumò e una componente di autori orientati all’astrattismo andò a costituire il «Gruppo degli Otto» con l’aggiunta di Afro Ba- saldella (1912-1976) e Mattia Moreni (1920-1999). Analogo evento accadde a Roma nel ‘47 con la costituzione del gruppo di «Forma1»: Carla Accardi (1924-2014), Ugo Attardi (1923-2006), Consagra, Piero Dorazio (1927-2005), Mino Guerri- ni (1927-1990), Achille Perilli (1927), Antonio Sanfilippo (1923- 1980) e Turcato, astrattisti che rifiutarono la schematizzazione politica definendosi nel loro manifesto «formalisti e marxisti, convinti che i termini marxismo e formalismo non siano incon- ciliabili».

Da questo sviluppo ulteriore avrebbe tratto forza la nascente «arte informale» italiana, formatasi alla confluenza di esperienze realmente diverse, tanto che i testi di storia vi comprendono an- che figure di forte autonomia come Burri, Vedova e persino Fon- tana, ovvero artisti la cui unicità di metodo e di indirizzo consi- glierebbe di tenere al di fuori di ogni raggruppamento. Diciamo che la «via italiana» all’arte informale inizia a distinguersi con chiarezza nel 1954 in occasione di una mostra alla galleria Il Mi- lione di Milano (fin lì sede dell’astrattismo italiano) e dell’uscita di un saggio di Francesco Arcangeli (1915-1974) su «Paragone» intitolato Gli ultimi naturalisti. Il testo rivelava come dall’antico naturalismo pittorico, identificato con l’arte lombarda (la linea Dall’alto: Carla Accardi, Scomposizione, 1947, Civico che Roberto Longhi aveva appena riproposto in mostra a Mila- Museo d’Arte Contemporanea, Milano; no), stesse nascendo un interesse a leggere la realtà naturale e Renato Birolli, Storia di mare, 1953, Galleria Ci- fisica, il mondo dato, come una evidenza organica, come mate- vica d’Arte Moderna, Torino ria in divenire, un rotolamento incessante di fenomeni in cerca

18 Leoncillo (Leonardi), Minatori, 1951, terracotta policroma, 46 x 46 cm, collezioni privata.

Duchamp, De Chirico, Chagall, Braque. Due anni dopo, alla Biennale sarà allestita una mostra retrospettiva sul Cubismo con Braque, Leger, Gris, Picasso. Fino alle edizioni degli anni Sessanta, la Biennale organizza con continuità rassegne retrospettive sulle avanguardie storiche del Novecento. Tra le presenze notevoli ai fini del dibattito in corso possiamo ricordare, nel 1950, opere di Pollock, De Koonig e Gorkij; nel 1952 di Edward Hopper.

Lo Studio di Fonologia Musicale apre nel dicembre 1954 presso la RAI di Milano per opera di Bruno Maderna, Luciano Berio e del tecnico Marino Zuccheri. Il laboratorio sperimenta nuove interazioni di una forma nuovamente leggibile. Tra gli artisti che Arcangeli tra strumenti acustici e suoni prodotti citava vi erano Morlotti, Vasco Bendini (1922), Leoncillo, Sergio elettronicamente da sintetizzatori musicali. Vacchi (1925), Moreni, tutti presenti alla mostra con Sergio Ro- miti (1928-2000), Pompilio Mandelli (1912-2006), Peverelli, Dario Karlheinz Stockhausen (1928-2007) è Paolucci (1926), Bergolli, Piero Giunni (1912-2000). stato tra i compositori più influenti del L’iniziale visione di Arcangeli, ampiamente confermata negli dopoguerra soprattutto per quanto riguarda anni seguenti, si arricchì di contributi nuovi grazie soprattutto la sperimentazione elettronica e l’incontro agli esempi provenienti dalla Francia di Fautrier (in Italia Dubuf- tra musica e suoni della vita quotidiana. Tra fet ebbe molto meno seguito) e dall’America della Scuola di New le sue composizioni del periodo: Kreuzspiel, York, con Pollock, Kline, De Kooning, Rothko, cosicché già alla 1951, (per oboe, clarinetto basso, pianoforte, metà degli anni Cinquanta l’Informale aveva occupato del tutto la tre percussioni; Klavierstücke I-IV, 1952, per scena artistica italiana coinvolgendo - più o meno coerentemente pianoforte; Kontra-Punkte, 1953; Gesang - espressioni di vario tipo. Si andava da pitture grevi di materia a der Junglinge im Feurofen, 1956, musica pitture basate su segni e tracce leggere e ripetute come germina- elettronica; Gruppen, 1957, per 3 orchestre; zioni vegetali; da gesti pittorici istintivi e violenti a calligrafie esili Ziklus, 1959, per un percussionista. come scritture. E in più, una posizione realmente originale come

19 quella del piemontese Pinot Gallizio (1902-1964), inventore della pittura industriale consistente in rotoli di tela dipinta da vendersi a metro. La figura di Gallizio è notevole non solo per la qualità del suo lavoro, quanto per la figura di innovatore del pensiero artisti- co: già in contatto con il pittore informale danese Asger Jorn e il gruppo nordico co.br.a., Gallizio inaugurò ad Alba il Primo Labo- ratorio sperimentale per una Bauhaus Immaginista, che riunen- dosi con il Movimento Lettrista (di origine francese) diede vita nel 1957 alla Internazionale Situazionista di cui erano membri archi- tetti, artisti e filosofi come il teorico della Società dello spettacolo, il francese Guy Debord. Fu un tentativo di conciliare arte e politica in un disegno utopico fondato sullo spontaneismo, sulla necessità di riportare il progetto politico alle dimensioni umane originarie, e fece di Alba uno dei centri europei della cultura. L’arte informale diventò un fenomeno totalizzante in cui si ritro- varono, a seconda delle occasioni (e delle Biennali) anche artisti dell’astrattismo postcubista e altri autonominatisi spaziali o nu- cleari. L’arte informale fu la nuova grande area di sviluppo dell’arte contemporanea, determinando una netta separazione tra il passa- to e il presente, così come tra una dimensione nazionale dell’arte e una internazionale. Essa rappresentò infatti il primo esempio di mondializzazione dei linguaggi artistici. Per qualcuno, come per gli irriducibili guardiani dell’impegno politico, una moda impor- tata all’America (ovvero dai vincitori della guerra).

Pinot Gallizio, Rotolo di pittura industriale, 1958, tecnica mista, collezione privata. 20 II. milano astratta e concreta

A Milano l’astrattismo era già tradizione. E fin dall’inizio fu so- stanziale a una tale tradizione il rapporto con l’architettura, con la grafica e il design industriale che si formarono in completa au- tonomia, in area lombarda, negli Trenta. Centro di proposta della poetica astrattista era stato, lungo quel decennio, la galleria Il Mi- lione, dove era stato possibile vedere per la prima volta in Italia Kandinskij, Klee, Gris, Arp, Albers, Vordenberge-Gildewart, ai quali si alternavano gli italiani Soldati, Radice, Reggiani, Veronesi, Me- lotti, Rho, Galli. I «Bollettini della Galleria del Milione» che usci- rono dal ‘34 al ‘38 furono parimenti importanti per la diffusione di uno stile che a lungo fu considerato «moderno» per eccellenza. Jean Fautrier, Tête d’otage, 1945, olio su carta In realtà, si stava affermando una visione «funzionalista» che met- su tela, 35 x 27 cm, Centre Pompidou, Parigi. teva in trasmissione l’arte visiva con pratiche di maggior impatto sociale, come appunto l’architettura, la grafica, il design. Sul rap- porto dell’arte astratta con l’architettura, per esempio, insistette Carlo Belli, autore di un testo base della non-figurazione italiana come Kn; e di riflesso, i modelli architettonici furono assunti da- 2 Nel 1955 si svolge a Kassel, nella regione gli astrattisti come dato di base per il lavoro pittorico. E fu Argan dell’Assia, in Germania, la prima edizione di il primo a porre l’accento sulla vicinanza tra un architetto come documenta, la maggior rassegna d’arte del Terragni e i pittori milanesi e lombardi rivolti all’astrattismo e in mondo. Il progetto si deve a un industriale aperto contrasto con la tradizione di «Novecento». Insieme c’era- e collezionista del posto, Arnold Brode, che no Soldati, che collaborò con Terragni a Como, e poi Lucio Fon- volle in tal modo concorrere alla rinascita tana (in una breve stagione astratta molto prima dei «buchi»), e civile del suo paese. La direzione era dello poi Radice, Reggiani, Veronesi, Fausto Melotti. Erano gli stessi stesso Brode e di Werner Haftmann, che diressero anche le successive edizioni nel 1959 e 1964. 2 In Pittura italiana e cultura europea, pubblicato nel ’46. 21 Nel 1954 esce Il dio di Roserio di Giovanni che compresero l’esistenza di un «ritardo italiano» rispetto alla Testori, primo romanzo dedicato alla vita cultura europea. La questione era già stata posta anche dal cri- milanese delle periferie raccontata attraverso tico e progettista Edoardo Persico nel ’34, che in un testo sul le esistenze di personaggi popolari alle romanticismo europeo evidenziava che l’espressionismo, il cu- prese con le proprie aspirazioni e la propria bismo, il suprematismo e l’astrattismo milanese visti al Milione: quotidiana realtà. Composti con una lingua «sono le prove evidenti di un’aspirazione a mettere il problema viva definita sul parlato dei protagonisti i dell’arte su un piano assolutamente internazionale, universale libri di Testori si collocano sulla linea del se volete»�. Persico aveva individuato una connessione tra l’arte naturalismo lombardo più antico. Stesse recente e il Romanticismo ottocentesco e questa connessione, ambientazione per altri romanzi e racconto scrisse: «non solo propone una decisa alternativa pittorica, ma quali Il ponte della Ghisolfa (1958) e La Gilda costringe a fare i conti con un sistema di valori capace di riallac- del Mac Mahon (1959). ciarsi, al di là di ogni limite formale o ideologico, alla tradizione europea»�. Al centro di quel dibattito furono naturalmente le fi- La prima esecuzione pubblica di una gure di Terragni e Libera i maggiori interpreti del Razionalismo composizione di Luciano Berio (1925-2003) italiano. E fu Libera3 a portare il Razionalismo sul piano dell’e- avviene nel 1947 e si tratta di un suite per spressione lirica sottraendolo al rischio del formalismo geome- Pianoforte. Nei primi anni si impone tra le trico, ma fu Terragni4 a sentire l’esigenza di dar vita a un razio- nuove voci della musica contemporanea con nalismo nazionale che puntasse a diventare il modello estetico alcune partiture come Cinque Variazioni, del secolo. 1952-53, El mar la mar, per soprano e cinque A guerra finita iniziò la discussione intorno a che cosa dovesse voci, 1950, Nones, 1954, Allelujah I, 1956, intendersi per «arte astratta» oppure «concreta». I primi due in- Serenata, 1957 e, contestualmente alla terventi comparvero su «Domus» nel 1946, uno di Lionello Ven- pratica nello Studio di Fonologia di Milano, turi (da poco rientrato in Italia dagli Stati Uniti, dov’era fuggito Momenti, 1957; Différences, 1958-59; dopo essersi rifiutato, unico storico dell’arte, di prestare giura- Omaggio a Joyce, 1958. mento al Partito Fascista) e l’altro di Max Bill: il primo assegnò la definizione «astratto-concreto» a un ambito di appartenenza Nel 1956 Luciano Anceschi, professore di per alcuni artisti non figurativi, più che a un sistema di indagine Estetica all’Università di Bologna, fonda a Milano la rivista «il Verri», nella cui redazione lavorano tra gli altri Nanni Balestrini, 3 Tra le realizzazioni più celebri di Libera vanno ricordate: Casa Malaparte a Antonio Porta e Renato Barilli. La rivista Capri, Palazzo delle Esposizioni all’Eur, le Unità di Abitazione Orizzontali al diventa luogo di analisi e promozione delle Tuscolano (Roma) e il Villaggio Olimpico, sempre a Roma. neoavanguardie letterarie e artistiche. In 4 Tra le opere principali di Terragni, vanno ricordate, a Como, l’edificio per particolare, sempre nel 1956, esce il numero appartamenti Novocomum (1928); la Casa del Fascio (1932); l’Asilo Sant’Elia monografico dedicato all’arte informale. (1936).

22 Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1959, colle- zione privata.

Bruno Maderna (1920-1973), assume la direzione del Conservatorio musicale di Venezia nel 1947; conosce Luigi Nono, che gli sarà allievo privato e che indirizza ai corsi estivi di Darmstadt. Maderna fu instancabile ricercatore musicale; tra le principali composizioni degli anni Quaranta e Cinquanta ricordiamo: Liriche per Verlaine, 1948; le Composizioni per orchestra, 1948- 50; Musica su due dimensioni per flauto, percussioni e nastro magnetico, 1952; Sequenze e strutture, musica elettronica, 954; Syntaxys, 1957; Concerto per pianoforte e orchestra, 1959; Le rire, per nastro magnetico, 1962. e a un modello formale; il secondo parlando invece di astratti- smo - ma soprattutto di «concretismo» - come di una tendenza Nel 1958 l’editore Einaudi pubblica Se autonoma vera a propria, ovvero scientificamente sostenuta da questo è un uomo di Primo Levi (1919-1987). un pensiero e da un metodo. Bill riprendeva in quel modo la precedentemente pubblicato dall’editore lezione già svolta da Moholy-Nagy e da Josef Albers nell’ambito De Silva nel ‘47 ma rimasto fin qui della Bauhaus - di cui anch’egli fu direttore dopo la guerra nella sostanzialmente sconosciuto. L’Italia voleva sede di Ulm -, vale a dire il principio di un’arte che si fa scienza, lasciarsi alle spalle gli orrori del passato, e che si organizza, che lascia il contenuto simbolico ed espressivo solo un ritorno di interesse verso il tema in favore dell’assoluta fisicità e concretezza delle forme. della deportazine ebraica verso la fine degli Max Bill fu l’ispiratore, nel 1946, della prima mostra pubblica anni Cinquanta convinse Einaudi a rieditare milanese sulla ricerca astratta e concreta in Europa. Nel grup- il libro che Levi gli aveva più volte proposto. po di artisti italiani invitati erano compresi i milanesi Bruno In poco tempo il libro divenne un classico Munari (1907-1998), Ettore Sottsass (1917-2007) e Gillo Dorfles della letteratura mondiale e un riferimento (1910), tre dei fondatori del gruppo concretista mac che si costi- per la memorialistica della Shoah. tuirà formalmente di lì a poco.

23 In alto, da sinistra: Tra il 1947 e il 1960 Milano fu sede di eventi significativi per il Wols (Alfred Otto Wolfgang Schulze), Bild, 1945, futuro dell’arte. Pochi mesi dopo la mostra organizzata da Bill, olio su tela, 81 x 81 cm, Museum of Modern Art, nel maggio ‘47, Lucio Fontana (1899-1968), Beniamino Joppolo New York; (19906-1963), Giorgio Kaisserlian e Milena Milani (1917-2013) Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1957, inchio- stro e penna su carta intelata, 139,7 x 200,4 cm, pubblicarono il Primo Manifesto dello Spazialismo. Museum of Modern Art, New York. Nel ‘48 uscì un secondo manifesto «spazialista», con l’aggiun- ta delle firme di Gianni Dova e Antonio Tullier. In pochi anni i manifesti diventarono cinque, mentre il gruppo si arricchiva di nuove partecipazioni: Roperto Crippa (1921-1972), Mario De- luigi (1901-1978), Virgilio Guidi (1892-1984), Peverelli, Tancredi (Parmeggiani, 1927-1974). L’ultimo manifesto, nel ‘52, fu quello del Movimento Spaziale per la Televisione ed era il tentativo di affrontare le questioni più antiche dell’arte con gli strumenti della modernità scientifica: «Noi pensiamo di svincolare l’arte dalla materia, di svincolare il senso dell’eterno dalla preoccu- pazione dell’immortale», scrivevano gli «spazialisti» nel primo manifesto. E per indicare la conseguenza necessaria tra gesto

24 Alberto Moravia (1907-1990) pubblica nel creativo e gesto empirico vi sottolineavano che sempre «gli 1957 La Ciociara, che diventerà un fortunato artisti anticipano gesti scientifici, i gesti scientifici provocano film diretto da Vittorio De Sica; altre opere sempre gesti artistici». Nel secondo manifesto lo stesso dettato dello scrittore romano pubblicate in questo diventava esplicito anche in termini pratici, con una prosa che periodo: La romana (1947), La disubbidienza richiamava le antiche dichiarazioni futuriste: «[...] con le risorse (1949), Il conformista (1951), Il disprezzo (1954). della tecnica moderna, faremo apparire nel cielo forme artifi- Racconti di vita comune e di ipocrisie borghesi ciali, arcobaleni di meraviglia, scritte luminose. Trasmetteremo in una prosa piana di sfumato realismo. per radiotelevisione espressioni artistiche di nuovo modello». E difatti Fontana aveva già utilizzato materiali capaci di produrre Luciano Anceschi fa uscire l’antologia Linea un linguaggio immateriale: tubi al neon e luci di Wood per cre- lombarda. Sei poeti con poesie di Vittorio are con essi «ambienti spaziali» la cui percezione di luogo era Sereni (1913-1983), Giorgio Orelli (1921- affidata unicamente alla luce. 2013), Luciano Erba (1922–2010), Nelo Risi L’accenno a nuovi e immateriali strumenti di lavoro per l’arti- (1920), Roberto Rebora, Renzo Modesti. La sta introduce all’incipit del manifesto «per la televisione» del premessa del curatore indica nel rapporto tra 1952, in cui il nuovo apparecchio domestico - che precedeva di la poesia e la realtà il fattore centrale della due anni la prima trasmissione rai del gennaio 1954, prodotta a poetica lombarda: poesia degli oggetti e delle Milano in corso Sempione - era dato come lo strumento per at- giornate improntata a un forte senso civile e traversare lo spazio e conseguire l’infinito: «Noi trasmettiamo, razionale. L’ultimo capitolo della tradizione per la prima volta nel mondo, attraverso la televisione, le nostre naturalista lombarda. nuove forme d’arte, basate sui concetti dello spazio [...] una vol- ta considerato misterioso e ormai noto e sondato, e quindi da John Cage (1912-1992) è stato il più influente noi usato come materia plastica». Era l’utopia di una tecnica compositore americano del dopoguerra e al servizio dell’arte. Sembrò inoltre concretizzarsi, in una città caposcuola del minimalismo. Fondamentali le «in divenire» qual’era la Milano del boom economico, l’estetica sue ricerche sul rumore; sui suoni meccanici e della città moderna vagheggiata dai futuristi. elettronici; sulla performatività del suono. Nel Tra il ‘51 e il ‘52 Lucio Fontana presentò i primi concetti spaziali 1947 compone Music for Marcel Duchamp; ottenuti bucando le tele che aveva preparato con poca pittu- nel 1952 uno dei suoi pezzi più celebri: 4’ 33’’, ra. Sebbene accolto senza clamori, quello era il segno di una indicante la durata di un silenzio musicale; svolta radicale: violando la superficie dell’opera (bucando e, in altre composizioni del periodo: Quartetto seguito, con maggiore efficacia, tagliando la tela) Fontana su- d’archi in quattro parti, 1948; Music of perava in un istante i limiti fisici di pittura e scultura, e assume- changes, 1951; Radio music, 1956, per alcune va spazialità e vuoto come elementi di composizione. I buchi radio sintonizzate diversamente; Fontana erano praticati in una superficie spessa, ottenuta sovrapponen- mix, 1958; Concerto per pianoforte e orchestra, do più strati di tela poi ricoperta di colore; e il varco vi opera- 1958; Cartridge music, 1960. va come estensione del gesto artistico al di là della dimensione

25 In alto, da sinistra: fisica dell’opera. Il gesto di Fontana era quindi l’espressione di Alberto Burri, Sacco e rosso, 1954, tela di sacco, una volontà determinata a riequilibrare gli elementi strutturali olio, colla, Tate Gallery, New York; dell’opera - superficie, volume, spazio, luce, segno - aggiungen- Alberto Burri, Sacco 5P, 1953, 149 x 130 cm, tec- do a questi il Vuoto, l’infinito. Fu un atto concreto, il suo, perché nica mista, sacco, vinavil, stoffa su tela, Fonda- zione Palazzo Albizzini, Città di Castello. rendeva concreto, misurabile, il vuoto, cioè l’immateriale per ec- cellenza. Questa aggiunta di un elemento archetipo tra gli altri («invariante» lo avrebbe chiamato Menna), risolse il passaggio che mancava all’arte astratta fornendo un’immagine sensibile a Nel 1959 esce Donnarumma all’assalto, un concetto che permeava già di sé tutto l’astrattismo europeo. romanzo «industriale» di Ottiero Ottieri. Erano gli anni di maggior attività dei concretisti. Ambientato negli uffici del personale di una Il mac, Movimento per l’Arte Concreta, aveva infatti debuttato grande industria. nel 1947 con una mostra alla libreria milanese Salto, specializza- L’industria di Ottieri era la Olivetti di ta in libri di architettura e design, per iniziativa dei già ricordati Adriano Olivetti, già al centro di un Sottsass, Munari, Dorfles, insieme a Atanasio Soldati (1896-1953) esperimento di interazione tra industria e a Guido Monnet (1912-1958). e comunità civile. Per l’industria Olivetti In seguito entrarono a farne parte Dorazio e lo stesso Fontana, lavorarono architetti, disegnatori, artisti e A. Garau, Guerrini, Mazzon, Perilli, Veronesi (e successivamen- scrittori del tempo, tra i quali Franco Fortini te anche Nigro, Passoni, Regina, Di Salvatore). e Paolo Volponi. La premessa di Gillo Dorfles descriveva l’obiettivo del gruppo:

26 Nel 1961 esce l’antologia I Novissimi, «ricerca di forme pure, primordiali, da porre alla base del di- introdotta da Alfredo Giuliani (1924-2004), pinto senza che la loro possibile analogia con alcunché di na- che raccoglie poesie dello stesso Giuliani e di turalistico avesse la minima importanza»5. Quindi un’arte che Nanni Balestrini (1935), Edoardo Sanguineti non astrae forme dalla realtà, bensì crea veri e propri «oggetti (1930-2010), Elio Pagliarani (1927-2012), pittorici»6. Il mac sembrò ribadire la pretensione dell’arte verso Antonio Porta (Leo Paolazzi, 1935-1989). un’estetica applicabile all’esistenza che trasmettesse valori di La premessa che riunisce i poeti è l’esigenza funzionalità e bellezza alla sfera quotidiana. Era il primo gruppo di un linguaggio nuovo per la letteratura costituito in cui coesistevano organicamente artisti, architetti, dell’Italia industriale e di un mutato rapporto grafici e designer. Anche in quel caso vi era memoria del Futu- tra ideologia e linguaggio. Tra le opere più rismo. L’ottimismo sembrò lo stesso di allora («L’arte astratta sta rappresentative del nuovo corso, pubblicate oggi diventando un’arte popolare»7) così come la sicurezza di aver nel periodo in questione: La ragazza Carla trovato la forma d’arte più adatta a esprimere il proprio tempo e di Pagliarani (1960), Laborintus (1956) di la dimensione dinamica della ricostruzione civile e industriale. Sanguineti (poi musicato da Berio), Il cuore «Che cosa farebbe oggi Leonardo: - chiesero provocatoriamente zoppo (1955) di Giuliani. i concretisti - il Padiglione della Montecatini o il ritratto di Miss Europa a olio su tela?»8 Nel 1955 Luigi Nono (1924-1990) presenta Il canto sospeso, ispirato alle Lettere dei Mentre quindi, nel resto dell’Italia e del Mondo, si affermava condannati a morte della resistenza europea. un’arte materica, gestuale e magmatica, che aveva negli Infor- Per questo autore il riferimento letterario mali i suoi interpreti e in Alberto Burri un maestro della nuova e artistico fu sempre presente, e a tal classicità, Milano rimaneva un solido baluardo razionalista. Em- proposito ricordiamo le opere ispirate, tra blematica, in questo caso, fu la figura di Bruno Munari. Un ope- gli altri, a Emilio Vedova, Garcìa Lorca, Paul ratore definito alternativamente artista e designer (esattamente Eluard, Giuseppe Ungaretti. Su indicazione come il titolo di uno dei suoi libri più celebri), a rimarcare con del suo maestro, Bruno Maderna, Nono ostinazione l’annullamento tra creazione pura e artigianato. frequenta per la prima volta nel ‘50 i corsi All’interno del mac, Munari lavorò sul principio di creatività ap- estivi di Darmstadt, ed esordisce con una Variazione sull’opera n. 41 di Schoenberg; tra le principali opere del periodo: Composizione 5 Gillo Dorfles, Gli artisti del MAC, catalogo della mostra alla Galleria per orchestra 1, 1951; Due espressioni per Bompiani, Milano, 1951. orchestra, 1953; La victoire de Guernica per 6 Ibidem. coro e orchestra, 1954; Liebeslied per coro e 7 strumenti, 1954; Varianti, per violino archi Da un intervento a firma “Il MAC”, in Arte Concreta n° 10, Milano, 15 dicembre 1952. e fiati, 1957; “Ha venido”. Canciones para Silvia per soprano e sei voci, 1960. 8 Ibidem.

27 Nel 1957 esce Dieci inverni, Contributi a un plicata al design industriale. Attraverso il suo lavoro l’arte prese discorso socialista, raccolta di saggi Franco a interagire con il progetto, la grafica pubblicitaria, l’arcipelago Fortini (1917-1994), già autore di Foglio di via delle cosiddette «arti applicate» orientando l’indagine sugli og- e altri versi (1946). getti quotidiani e sulle origini della loro forma. Munari farà di questi riavvicinamenti dei generi il punto di forza Nel 1957 esce Le piccole vacanze di Alberto del movimento che nel ‘53 sostituì il mac sotto la sua presidenza, Arbasino (1930), che sarà tra i protagonisti ovvero Sintesi delle arti, corrente e, soprattutto, ambito del suo del rinnovamento letterario italiano e del insegnamento dentro e fuori Brera. In questi anni furono poste Gruppo 63. le basi di Milano capitale del design industriale9.

Italo Calvino (1923-1985) interpreta la Nel frattempo, l’evoluzione dell’arte Concreta portò alla forma- letteratura delle ricostruzione e della ripresa zione di un arcipelago di movimenti operanti tra spazialismo, economica con opere quali: I figli poltroni, astrattismo e arte cinetica. Il Gruppo T ne fu il principale inter- 1948; Ultimo viene il corvo, 1949; Taccuini di prete, con Giovanni Anceschi (1939), Gianni Colombo (1937- viaggio in URSS, 1951; Il visconte dimezzato, 1993), Gabriele Devecchi (1938) e Davide Boriani (1936), cui si 1952, seguito da Il barone rampante nel 1957 e deve l’esordio dell’arte Cinetica in Italia, vale a dire un’arte dagli da Il cavaliere inesistente nel 1959; e collaziona esiti programmabili con opere dotate di movimento fisico intrin- in due volumi una selezione di Fiabe italiane seco al materiale impiegato, oppure visivamente indotto da un raccolte dalla tradizione popolare, 1957. particolare assemblaggio. La ricerca cinevisuale italiana partì da Milano sulla spinta delle esperienze di Fontana e del mac, e una Nel 1958, alla Biennale Teatro di Venezia, volta inserita nel panorama europeo del genere riuscì a conser- prima italiana di Le sedie di Jonesco e Finale vare un tratto specifico grazie al suo impianto scientifico che ne- di partita, di Beckett. gava qualsiasi inclinazione al fantastico. Sempre a Milano, con il titolo «Arte programmata», Munari e Giorgio Soavi presentaro- Pier Paolo Pasolini (1922-1975) rappresenta no una mostra di opere cinetiche nel negozio Olivetti progetta- in due romanzi la vita marginale del to dall’ingegnere e poeta Leonardo Sinisgalli (1908-1981, autore sottoproletariato nelle periferie romane: di Furor mathematicus, 1944) allora dipendente di Ivrea con re- Ragazzi di vita nel 1955 e Una vita violenta sponsabilità sull’allestimento dei punti vendita. nel 1959. Nel 1957 pubblica la raccolta di poesie Le ceneri di Gramsci, tra gli esempi più 9 celebrati di poesia civile in Italia. Da sottolineare il ruolo svolto in questo senso dall’ente Triennale di Milano, presso cui si tiene, nel 1954, una grande mostra sull’industrial design, la prima che ha l’ambizione di verificare lo stato della teoria e della pratica del design Nel 1955 esce Le marteau sans Maitre di mondiale; sempre alla Triennale, si svolge anche il I Congresso Internazionale Pierre Boulez, capofila dell’avanguardia di Industrial Design, cui parteciparono, tra gli altri, anche Max Bill, Argan, post-weberiana francese. Dorfles, Rogers Teague e il filosofo Enzo Paci che lo coordinava.

28 Piero Manzoni, Socle du Mond, bronzo, 1961, Copenhagen, parco di Hering.

Elio Vittorini (1908-1966), scrittore, traduttore, organizzatore editoriale, già autore di Conversazione in Sicilia (1941), pubblica in questo periodo, tra l’altro, Il Nei paraggi di spazialismo e concretismo troviamo anche un Sempione strizza l’occhio al Frejus (1946), Il autore come Enrico Castellani (1930), proveniente da studi di garofano rosso (1948), Le donne di Messina architettura, che inventò un genere di opera ambientale realiz- (1949), Sardegna come infanzia (1952), zata mediante ripetute estroflessioni della superficie (che erano Diario in pubblico (1957). Fu intellettuale ottenute con l’inserimento di distanzieri al di sotto della tela); di confronto per la sinistra comunista e questa acquistava così un volume ambientale grazie a una suc- fondatore di una rivista sempre ricordata cessione di modulazioni luminose. Castellani fu a lungo compa- per il confronto tra intellettuali e potere nel gno di strada di Piero Manzoni e con lui fondò, nel ‘59, la rivista dopoguerra: «Il Politecnico», uscito tra il ‘45 «Azimuth», che divenne poi galleria d’arte e luogo d’incontro tra e il ‘47. Nel 1959 fondò insieme a Calvino «Il autori italiani e europei. menabò», che uscì fino al ‘66: ancora rivista di argomento letterario e politico. Piero Manzoni (1933-1963) è la soglia di un nuovo mondo, nel senso che il suo lavoro vive all’incontro tra due momenti conse- Nel 1955 muore Charlie Parker. cutivi dell’arte: dietro di lui le esperienze materiche, informali e concretiste; davanti a lui l’arte concettuale, ambientale, azioni- Nel 1960 esce il film Rocco e i suoi fratelli sta, e le derivazioni genericamente intese con il termine - inven- di Luchino Visconti, tratto dal romanzo Il tato da Francesco Arcangeli - di «comportamento». ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori. Un Il lavoro di Manzoni portò all’innesto di una linea esistenzialista quadro crudo sull’immigrazione meridionale sul terreno del concretismo, dal quale aveva comunque preso le a Milano negli anni ‘50. mosse. C’era infatti l’esperienza dell’arte concreta dietro la ridu-

29 zione a oggetto di un’intuizione o di un concetto, così come c’era la lezione di Fontana dietro all’assoluto del bianco immobile de- gli achromes, in cui annegava ogni referente oggettuale. Ma nello stesso tempo, operando con decisione contro i valori di arte e artisticità fino ad allora riconosciuti, l’artista milanese portava in scena la realtà delle cose insieme alla realtà delle parole; faceva opera d’arte del proprio corpo e del mondo, cioè degli elementi di riferimento indispensabili alla comprensione di ogni vicenda umana anche «al di là del presente e dell’inutile esprimere».� Il percorso di Manzoni ebbe inizio con una dichiarazione di li- bertà che sarà compresa, nei suoi termini effettivi, solo qualche anno dopo, quando l’artista avrà attuato una sistematica «ridu- zione a zero» delle infrastrutture estetiche e referenziali dell’ope- ra d’arte: «Il quadro è la nostra idea di libertà; è in questo spazio che noi andiamo alla scoperta, all’invenzione delle immagini»,� Jean Dubuffet, Grand Jazz Band (New Orle- diceva un manifesto di quegli anni. Nel ‘57 Manzoni fu tra i pit- ans), 1944, Tempera e olio su tela, 114,6 x 146,7 tori nucleari10, firmatario di una dichiarazione in cui si affermava cm, Museum of Modern Art, New York. che l’arte deve porsi come «presenza modificante in un mondo che non necessita più di rappresentazioni celebrative, ma di pre- senze».� Vi troviamo il rimando a quella specie di nominazione prima dell’opera, alla sua autoreferenzialità, che contrassegna il percorso successivo di Manzoni. Egli comprese presto che la pittura e la rappresentazione in sé Nel 1950 esce La luna e i falò di Cesare e per sé non esistevano più, e che il risultato finale del lavoro Pavese (1908-1950), traduttore, redattore dell’artista doveva portare all’oggettivazione dell’arte stessa. Il della Einaudi e autore anche di Dialoghi con percorso non fu lungo: nel ‘57, arrivarono gli achromes, opere in- Leucò e Il Compagno (entrambi 1947), Feria colori, bianche (solitamente composte da materiali minimi fissa- d’agosto (1947) e La bella estate (1949). ti sulla tela e poi ricoperti da caolino) in cui ogni cosa era ridotta alla superficie. Ha scritto Germano Celant: «L’achrome si pone Nel 1957 Michelangelo Antonioni gira Il grido: al centro del film, un paesaggio padano già contaminato dall’industria e un operaio 10 Altro movimento milanese, quello dell’Arte Nucleare si proponeva di abbandonato dalla moglie. Seguiranno i liberarsi dai rigori formali dell’arte astratta per dar voce alle pulsioni interiori e alle forme spontanee. Ne furono fondatori Enrico Baj e Sergio Dangelo nel film della trilogia sull’incomunicabilità: 1952. Cinque anni dopo il gruppo comprendeva anche Manzoni, Armand, L’avventura del ‘59, La notte del ‘60, L’eclissi Bemporad, Bertini, de Micheli, D’Haese, Hoeber, Klein, A. Pomodoro, G. del ‘62. Pomodoro, Restany, Saura, Sordini, Verga. 30 come segno autosignificante, elimina ogni autobiografia e an- nulla la mistica personale dell’artista. Riconosce, nel suo esserci, l’individualità della tela e del materiale che la ricopre»11. Manzoni si oppose alla rappresentazione in favore del fatto con- creto perché le cose, qualsiasi cosa e qualsiasi fenomeno, esiste- vano solo come eventi concreti, fatti del mondo, e di essi non era possibile dare una rappresentazione: questo il principio che fu tradotto in alcune evidenze ontologiche: le Linee (1959), per esempio, ovvero una traccia riportata su una striscia di carta (di lunghezza sempre diversa) che poi veniva arrotolata e chiusa in un cilindro che ne riporta la lunghezza: la Linea è la linea e niente altro. Il culmine di questo processo può essere identificato nel celebre Socle du monde (1961) collocato nel parco di Herning, a Copenaghen. Una base del mondo che consiste in un parallele- pipedo su cui la scritta del titolo compare capovolta in quanto la base sostiene il mondo appoggiandosi all’atmosfera. Ogni cosa compresa nel mondo era così dichiarata opera d’arte, non nel senso duchampiano del ready-made, ma perché l’arte è, sempli- cemente ma fermamente, ciò che esiste: è un fatto. L’artista, il suo corpo, sono un fatto. Atanasio Soldati, Ambiguità, 1951, Galleria Ci- vica d’Arte Moderna, Gallarate.

Alla fine degli anni Cinquanta sorge Brasilia, futuribile capitale brasiliana progettata da Oscar Niemeyer e Lucio Costa su basi razionaliste e destinata a rappresentare l’idea platonica del potere: ne rappresenterà invece la lontananza estrema attraverso l’esasperazione del formalismo.

Nel 1957 Max Bill inaugura la Hochschule für Gestaltung a Ulm, Germania ovest, che avrebbe dovuto prendere il posto della Bauhaus. 11 Germano Celant, Piero Manzoni, in Senza Titolo, Bulzoni, Roma 1974. 31 Alfredo Chighine, Composizione con palme, 1960, olio su tela, Tate Gallery, Londra

32 Che cosa c’è in mostra

Cassinari, Morlotti, Chighine, Francese, Bergolli, Bellandi, Mosconi

I protagonisti della mostra sono sette pittori d’area lombarda giunti alla maturità artistica tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Noi li raccogliamo per analogia e omogeneità di lettura in due divisioni, la prima delle quali, la maggiore, comprende Aldo Ber- golli, Bruno Cassinari, Alfredo Chighine, Franco Francese, Ennio Morlotti; la seconda, Giorgio Bellandi, e Ludovico Mosconi. A ri- unirli vi è la comune area geografica e culturale di appartenenza, Milano e la Lombardia, ma mentre i primi sono stati tra gli attori della rinascita artistica del secondo dopoguerra e del dibattito tra le varie aree espressive, i secondi, per ragioni anagrafiche, giun- gono all’affermazione quando il ritardo italiano nei confronti delle avanguardie è già stato risolto e l’arte italiana (e mondiale) si indirizza verso le proiezioni dell’arte concettuale.

Bruno Cassinari Bruno Cassinari (Piacenza 1912 - Milano 1992) Nasce a Gropparello, in provincia di Nove opere datate tra il 1948 e il 1991 danno conto, sebbene in Piacenza, nel 1912. Dal 1934 frequenta modo molto sommario, delle ricorrenze più frequenti nel lavoro l’Accademia di Brera dove si diploma di questo artista dalla cifra stilistica originale e riconoscibilissi- con . Nel 1939 aderisce a ma, caratterizzato da rigorosa dedizione al mestiere. La persona- Corrente con Guttuso, Vedova, Birolli, lità di Cassinari prese forma negli anni Trenta con la partecipa- Morlotti, Treccani, Migneco. Nel ‘41 vince zione a «Corrente» e il sodalizio con Guttuso, Treccani, Morlotti, il Premio Bergamo e allestisce la sua prima Birolli e altri; e successivamente all’interno del confronto sorto, personale con un testo di presentazione di negli anni della ricostruzione nazionale, tra forme della figura- Elio Vittorini. zione neorealista e forme dell’avanguardia. Aderì quindi, nel do- Nel dopoguerra partecipa, seppur per poguerra, al «Fronte Nuovo delle Arti» ma ne prese da subito le poco tempo, al Fronte nuovo delle Arti. distanze non riconoscendosi in nessuna delle posizioni presenti Nel 1949 si trasferisce per periodi sempre al suo interno; alla fine degli anni Quaranta si trasferì a Parigi e

33 più lunghi ad Antibes dove conosce poi sulla Costa Azzurra. Qui conobbe la terza e decisiva fase di Picasso. Nel ‘50 è invitato alla Biennale sviluppo del suo lavoro attraverso l’incontro ravvicinato con le di Venezia e l’anno successivo realizza correnti già storiche dell’arte francese, e personalità forti come un pannello murale per il salone d’onore Picasso e Chagall - oltre a Marguerite e Aimé Maeght in procinto della IX Triennale di Milano. Ritorna alla di aprire la loro fondazione a Vence. In Costa Azzurra maturò la Biennale veneziana nel ‘52, nel ‘54, nel sua stagione migliore. ‘56, nel ‘60 e nel ‘64. Riceve inviti da Fin dal primissimo dopoguerra il suo profilo apparve sì quel- gallerie estere e negli anni successivi è lo di un innovatore, ma ben piantato nel solco della tradizione impegnato in numerose personali in Italia e moderna: definito più volte un «neocubista» e identificato il suo nel mondo. Partecipa anche alla II Biennale debito verso Braque, e insieme verso il Picasso classicista degli di San Paolo del Brasile. anni Trenta, Cassinari si pose l’obiettivo di spostare la spazialità Scrivono di lui i maggiori critici italiani: prismatica dei cubisti verso un ritmo narrativo piano e sviluppa- Venturi, Russoli, De Micheli, Prampolini. to a incastri come un mosaico. Il ricordo di questa pratica antica Nel 1955 partecipa alla prima edizione dell’arte, così intrecciata alla storia del Mediterraneo, gli suggerì di documenta, a Kassel, dove tornerà nel di sviluppare le composizioni per accostamento di tessere vivis- 1959, anno in cui partecipa anche alla sime e luminose, ottenute con impasti minerali densi. Quadriennale di Roma. E così, bizantini come mosaici furono anche i volti e le altere po- Negli anni Sessanta sarà riconosciuto sizioni delle figure che formano il ciclo di ritratti eseguiti tra gli ovunque come uno dei maggiori artisti anni Cinquanta e Sessanta, che passano senza indugi da riferi- italiani del dopoguerra mentre nel mondo menti lontani come la statuaria romanica a volumi armonici e l’arte del tempo muta radicalmente sensuali come quelli di Modigliani, fino alle tensioni oscure che indirizzo e intraprende il viaggio nelle proprio in quegli anni agitavano i ritratti seduti di Francis Bacon. pratiche concettuali e comportamentali. Per farla breve, in Cassinari si muoveva tutta l’arte europea che Alle innumerevoli personali che lo non voleva cedere agli Stati Uniti il primato della ricerca contem- occupano iniziano ad alternarsi le grandi poranea. Ma sarà una battaglia perduta, come sappiamo, e che esposizioni a carattere storico che lo farà correre a molta della miglior pittura italiana (Cassinari vi è vedono riproporre l’arte dei tempi di compreso) il rischio di apparire attardata su modelli d’anteguer- Corrente e del dopoguerra. ra ormai esangui e ripetitivi. La morte lo coglierà improvvisamente, Tra le ricorrenze di cui si diceva, considerato l’intero arco della ancora in piena attività, a ottanta anni, nel sua vita, il ritratto è un altro dei più evidenti. E qui, in primo luo- suo studio di via San Tomaso a Milano, il go, abbiamo Il priore (Il priore di Graveglia) del 1948, un perso- 26 marzo del 1992. naggio corpulento con gli occhi strabici che convergono al cen- tro, che indossa una mantellina porpora come un cardinale e una berretta la cui proiezione solida si inscrive perfettamente nell’in- crocio di linee che disegna la vetrata di sfondo. Il personaggio

34 era evidentemente non secondario nei ritrovamenti personali dell’artista, se questi ha sentito il bisogno di dipingerlo due volte nel medesimo anno. Di quest’opera esiste infatti a Milano, in una collezione privata, una seconda versione con qualche differenza e un iter espositivo maggiore. Graveglia è località dell’Appennino genovese, un tempo sede di un’abbazia benedettina fondata dai monaci di San Colombano di Bobbio. Un secondo ritratto, La madre del 1961, rientra in una serie de- dicata a questo soggetto lunga quanto la vita dell’artista. Nei mi- gliori esempi, Cassinari fa della madre il trono dell’esistenza, in- stallandola come una divinità archetipa al centro di architetture solo cromatiche che non sono mai risolte come sfondi, ma sem- mai in quanto elementi che abbracciano e sostengono la figura - a sua volta interpretata come casa, edificio. È appunto questo dialogo tra la figura e l’ambiente in cui appare imprigionata, a ricordare le contemporanee inquietudini baconiane. Atelier (o Sera nell’atelier) è un dipinto del 1960 che mostra il pittore e la modella sovrastati da una intensa retinatura cromatica sovrap- posta a un fondo cupo, come se lo studio fosse un antro miste- rioso, percorso da fasci di energia convergenti sul riquadro della tela, a cui il pittore lavora come per officiare un rito. Diciamo che quest aria oscura aleggia un po’ ovunque negli interni e fa da per- fetto contraltare alla luminosa trasparenza degli esterni - marini o terrestri che siano. Altro soggetto frequente dell’artista è la natura morta, che an- che in questo caso è sviluppato a tessere, livelli, concatenazioni e sbalzi che integrano gli oggetti secondo una regola ferreamente cubista. La Natura morta del ‘54 ne è un buon esempio. Il Fondo marino di tre anni dopo, 1957, è invece un esempio straordinario del piacere per la pittura che gli fu suscitato sempre dai soggiorni ad Antibes. C’è da dire che anche più in generale questo periodo, intorno alla metà degli anni Cinquanta, fu per Cassinari il perio- do di maggior grazia ed efficacia. Nel caso dei dipinti a soggetto «marino» le parti sono rese mobili e indefinite con allungamenti e travasi di colore, di modo che il risultato sia più leggero e il se-

35 gno grafico vi prenda forza, visibilità. Tale è anche l’esempio dei Riflessi marini del 1991. La freschezza di questo Cassinari, per così dire, si ritrova sovente pure nei grassi paesaggi padani dati con stesure di colore intenso come superfici smaltate. E i paesaggi preferiti sono quelli ammi- rati da una finestra, di modo che il dipinto ne tragga uno statuto nuovo: il taglio della visuale, lo scorcio - ma anche la finestra in sé come oggetto - sono in Cassinari il luogo stesso del paesag- gio come pratica antica della tradizione italiana. E il tutto è reso secondo un principio di ribaltamento che movimenta la scena: semplicemente, mentre il punto di vista del pittore si fissa all’e- sterno, il mondo di fuori entra dentro. Ne sono esempi tanto la Finestra verde del ‘77 quanto la Finestra di Gropparello (la località di origine del pittore nella provincia piacentina) del ‘91. Di altro genere La nobiltà dei cavalli del 1967, composto dalla ripresa di studi e abbozzi sul tema equestre che l’artista ha trat- tato solo sporadicamente (e una volta in bronzo nella scultura di piazzetta Tempio a Piacenza, del 1985) in questo caso citando di sfuggita anche uno dei capolavori più amati dalla sua generazio- ne, vale a dire Guernica.

Ennio Morlotti Ennio Morlotti (Lecco 1910 - Milano 1992) Nasce a Lecco nel 1910. La sua Spesso il percorso di Ennio Morlotti è stato avvicinato a quello di formazione avviene tra Lecco, Milano e Bruno Cassinari, sebbene le posizioni dei due - rimasti in stretto Firenze, dove si iscrive all’Accademia. sodalizio a Milano, talvolta nei ritiri di Gropparello fin verso la fine Nel 1937 soggiorna a Parigi e incontra il degli anni Quaranta - siano in realtà divergenti e gli esiti risultino lavoro dei grandi maestri contemporanei. persino opposti: tanto appare calda la natura del primo: di terre, Dal ‘39 al ‘42 è a Milano, dove frequenta di rive assolate, di carne; tanto sembra fredda quella del secondo: l’Accademia di Brera; nel ‘40, entra a far di vetro, di minerale, di icona bizantina. Si è parlato di frequente, parte del gruppo di «Corrente». Partecipa a proposito di Morlotti, di «neocubismo» per la sua prima fase a per due anni successivi al Premio Bergamo. cavallo tra la guerra e la ricostruzione, e di «ultimo naturalismo» Dopo la guerra, mentre acquistano una nella seconda fase, quella che introduce anche l’Italia all’innova- fisionomia precisa i suoi dipinti a partire dal zione dell’arte informale ormai affermatasi in tutto il mondo. E modello del paesaggio, conosce Lionello in tale disposizione fu Francesco Arcangeli su «Paragone», com’è

36 Venturi che gli procura una borsa di studio noto, a inventare la definizione «ultimi naturalisti» per un grup- per Parigi. Nel frattempo ha aderito po di artisti italiani di cui Morlotti faceva parte, e nel suo caso la anche al «Fronte Nuovo delle Arti» e, definizione è senza dubbio calzante. successivamente, al «Gruppo degli Otto», Il percorso dell’artista lecchese è lineare. Anche lui era cresciuto la componente astrattista del Fronte. in «Corrente» e negli anni di guerra si era dibattuto tra gli esempi Si trasferisce a Imbersago, in Brianza, maggiori dell’arte allora possibile in Italia, tra nature morte de- dove, a contatto con una natura per lui dicate idealmente a Morandi, figurine espressioniste che ricor- stimolante e accogliente, matura il lavoro dano la scuola romana, e paesaggi che invece mostravano già che lo affermerà nel tempo. Nel 1950 e la direzione che avrebbe preso dopo la guerra. Erano appunto nel ‘52 è invitato alla Biennale di Venezia; i paesaggi a fornirgli la parola che gli sarebbe divenuta consue- in questo periodo si avvicina all’arte ta, la materia da cui tutte le forme successive prenderanno vita. informale e realizza alcuni tra gli esempi E difatti, dal 1945, attraverso i paesaggi iniziò a cercare nella le- maggiori del movimento in Italia. Torna alla zione cubista - e cezanniana prima ancora - una via per l’arte Biennale nel 1954 con una sala presentata italiana in ritardo con l’Europa. Erano dipinti originali per quegli da Giovanni Testori; nel 1962, vincendo il anni (ricordiamo la serie dei Dossi), che gli erano suggeriti dal premio (ex equo con Capogrossi) riservato paesaggio lombardo più famigliare, tra Mondonico prima e poi, ad un artista italiano; nel 1964, nel 1972 negli anni Cinquanta, Imbersago. E qui riuscì a sviluppare la sua con una sala personale, e nel 1988 con personale visione di un’arte informale che trascinava con sé, ma un’altra personale nel padiglione dedicato senza molte inquietudini esistenziali, rive e colline, vegetazioni all’Italia. Nel contempo viene chiamato e bagnanti sotto il sole: erano queste le forme che la materia di a partecipare alle mostre storiche sui Morlotti stava trovando. Ma dalla metà del decennio la pittura movimenti artistici del dopoguerra. si raggruma e ispessisce e abbandona ogni riferimento figurale. A partire dagli anni Sessanta rivolge Diventa una stratificazione, una trama materica giocata sui toni l’attenzione sulle forme del paesaggio stagionali della natura. ligure del Ponente. Negli anni Settanta Con la medesima tranquillità con cui vi era entrato, Morlotti usciva realizza un ciclo di grandi quadri di figura, dall’arte informale per ritrovare, nei primi anni Sessanta, il piacere la serie dei «teschi» e, soprattutto, il tema del volume. Lo inseguì nelle rocce, nelle alture o nei corpi umani, e delle «rocce» che configura una fase del intanto il paesaggio era cambiato e alla campagna lombarda si era tutto nuova del suo lavoro. sostituito il Ponente ligure: fu un paesaggio dato come la materia Muore a Milano nel 1992. viva, fosse roccia, vegetale o corpo umano, divenne l’elemento da cui Morlotti derivò il senso di pienezza della sua pittura. In collezione vi sono sette opere realizzate tra il 1959 e il 1989. Il primo è una Vegetazione del ‘59, data con una materia scura di verde e ombra, in cui i contorni di foglie antiche sono scavati a forza. È un esempio di uscita graduale dall’informale puntan-

37 do alle origini e quindi non al cubismo evoluto di Picasso, bensì a Cézanne, quello delle bagnanti, con il risultato di una costru- zione per volumi gettati come calce e rotondità. Morlotti appare insomma un artista che crede nella durata, e si nota bene come il ricordo di un luogo sia per lui il volume di una cosa e il suo impa- sto di colore; e come ogni soggetto punti a mostrare una essenza di materia e di fisicità per ogni cosa al mondo, senza distinzione tra paesaggio e corpo umano. Diventeranno anzi una sola cosa a partire dagli anni Settanta e dalle rocce. Tant è che i Cactus del ‘70 e le due Rocce del ‘83 e ‘84, sono riporti di materia strato su strato, zona dopo zona, sovrapponendo grasso colore fino al raggiungi- mento del peso necessario a corrispondere con il mondo di fuori. Non cambia se nella scena è inserita una figura umana, come Fi- gura sulla riva del 1989 o come i due nudi del 1970 che guardano alle bagnanti di Cezanne: i corpi sono comunque sviluppati per volumi concatenati, anche questi debitori di Modigliani e dell’ar- te negra in pari modo, ma sempre rifusi nella solare luminosità della scena mediterranea. Non manca mai l’aura della materia naturale, come se in Morlot- ti vivesse tenacemente l’ultimo pittore-pittore della storia e non altro vedessimo che un guardiano della tradizione camminare sulle orme del passato - le quali, in quanto orme, sono scavi e incisioni sulla carne viva. Alla fine, Morlotti è un pittore dell’allucinazione, della visione, e proprio questo lo rende singolare: un gesto ripetuto e scandito sopra i corpi densi della materia produce immagini sempre equi- valenti come un’orazione, in cui corpo umano o roccia sono due facce del medesimo fenomeno naturale che accade ogni volta. Le rocce sono la volontà di rappresentare la luce abbagliante della riviera ligure riflessa sulle superfici dure e vetrose; e i corpi delle bagnanti sono gli spiriti del luogo che prendono forma dalla ma- teria del suolo.

38 Alfredo Chighine, Composizione rosa e grigio, 1956, olio su tela, collezione privata.

Alfredo Chighine Alfredo Chighine (Milano 1914 - Pisa 1974) Nasce a Milano nel 1914 e giovanissimo Di Alfredo Chighine è presente un’opera del 1971 intitolata Az- inizia a lavorare in fabbrica come operaio. zurro e grigio, una formella ottenuta dall’accostamento di due Si iscrive alla scuola professionale della passaggi tonali percorsi da filamenti scavati in una superficie Società Umanitaria e frequenta corsi opaca e compatta. L’utilizzo del colore come apposizione di di incisione, seguiti, più tardi a Monza, materia deriva da una modalità che si trova diffusamente nelle da corsi sulla lavorazione dei metalli. avanguardie olandesi prima e dopo la seconda guerra mondiale. Esordisce come scultore nei primi anni Il percorso di Chighine è il più spirituale tra i suoi contemporanei Quaranta e alla fine della guerra si iscrive e, nel medesimo tempo, è il più frantumato. Interessato come al- al corso di scultura tenuto da Manzù a tri a superare le questioni del realismo e del «neocubismo», dopo Brera. Nel frattempo il suo interesse si una adesione temporanea e leggera alle nuove figurazioni, mosse rivolge alla pittura, anche se nel 1948 il suo interesse verso il campo astratto che gli era più congeniale: partecipa alla sua prima Biennale di interiorizzare le immagini del mondo per farne pura apparen- Venezia ancora come scultore, esponendo za, fenomeno. Anche lui, come molti altri con i quali intrecciò le due opere in legno. esperienze del periodo, partiva da un dato naturalistico, cioè da Dopo aver aderito al «Fronte Nuovo immagini naturali un tempo pensate come paesaggio, ma non li delle Arti» si schiera con la componente scompose né li frantumò in punti di vista, ne trasse invece uno 39 indirizzata all’astrattismo. La sua prima personale come pittore è alla Galleria San Fedele di Milano nel 1951. Partecipa alla IX e alla X Triennale di Milano; nel ‘55 inizia la collaborazione con la Galleria Il Milione di Milano divenendone uno degli artisti di punta; tra il ‘55 e il ‘58 partecipa a diverse mostre americane organizzate da Lionello Venturi sull’arte italiana del tempo; allestisce personali anche a Parigi. Nel 1958 e 1960 partecipa di nuovo alla Biennale di Venezia; nel ‘61 alla Biennale di San Paolo del Brasile. Si susseguono le mostre in Italia e all’estero accompagnate dai testi dei maggiori critici del tempo, da Russoli a Tassi a Guido Ballo che lo cita ampiamente nel suo La linea dell’arte italiana dal simbolismo alle opere moltiplicate, del 1964. Muore improvvisamente nel 1974 in seguito a trombosi cerebrale poco dopo una sua mostra antologica a Palazzo Reale di Milano.

Alfredo Chighine, Mare biancoblu, 1959, olio su tela, 81 x 100 cm.

spazio d’ombra, una scansione dell’anima: il fatto stesso di chia- mare il dipinto con i soli nomi dei colori utilizzati, oppure con titoli neutri come «composizione», è da intendersi nella volontà di ridurre all’essenza la portata dei significati: l’opera è un moto dell’anima e null’altro. Sembra l’ultimo sviluppo di un’arte metafisica in Italia. Forse è ancora un paesaggio o una figura a costituirne il centro ideale, ma date nell’essenza che consente loro di stare al mondo, ovvero

40 in quanto fenomeno puro. Quel che eccede dalla forma imme- diata dell’espressione interiore è un racconto che esula dal poe- ma personale dell’artista e diventa qualcosa d’altro e di pubblico. Il processo è pertanto limitato a una distillazione, secondo un procedimento analogo a quello della poesia. Con una tale premessa d’ordine Chighine governa il proprio lavoro anche nell’epoca dell’arte informale che comunque lo coinvolge e di cui per altro rappresenta uno degli esempi migliori. Anche qui va precisato come: è tra i migliori non negli esperimenti filiformi o nei graffiti che a metà degli anni Cinquanta han come un’ansia di apparire, bensì nel tranquillo e deciso processo delle materie che si accostano, si fondono e si scindono nuovamente in campi oppo- sti. È nel valore del tempo, che il suo apporto informale è realmen- te originale rispetto al contesto. Egli è contrario alla dispersione continua, alla dissoluzione totale della forma in miriadi di punti o atomi incontrollabili, e di contro privilegerà sempre il controllo della composizione attraverso azioni pratiche di accostamento e contrasto. La sua è un’opera di coppie concettuali: caldo e freddo; leggero e pesante; movimento e stabilità; in ogni caso adottate per salvaguardare un’armonia tra le parti. È un maestro di autocontrollo quasi religioso, Chighine, e lo si vede quando lascia andare la pittura come per un incidente e quando la richiama al tema e, appunto, al tempo.

Franco Francese Franco Francese (Milano 1920 - Milano 1996) Nasce a Milano nel 1920 e inizia a Francese ha seguito una traiettoria strana e insolita, dentro la dipingere molto presto senza maestri. scena dell’arte italiana tra la fine degli anni Quaranta e il decen- Adolescente, frequenta corsi di incisione nio successivo. Vi era in lui, nella trasposizione figurata delle sue alle scuole professionali e nel ‘36 si iscrive ossessioni, persino una nota maledetta che riuscirà a tenere a all’Accademia di Brera. La sua prima freno per anni, lasciandola emergere solo molto tardi, o meglio: personale è del 1954 alla galleria La troppo tardi perché costituisse un’ipotesi a sé dentro l’intrico di Colonna di Milano con presentazione di sentieri dell’arte italiana. De Micheli. Francese prende l’avvio da pittore espressionista, anch’egli se- Nel 1955 soggiorna lungamente a Parigi; condo il modello leggero di «Corrente», rappresentando scene

41 nel 1960 partecipa alla Biennale di Venezia. A partire da questo periodo prende il sopravvento in lui l’umore malinconico che lo porta ad allontanarsi dalla scena pubblica, a isolarsi gradualmente e a rinunciare talvolta al lavoro, sebbene il successo e i riconoscimenti non gli manchino. Dalla metà del decennio in poi è difficile trovare una linea che identifichi il suo lavoro: i temi si annunciano ma spesso restano esempi unici, intuizioni del momento. Continua tuttavia l’attività espositiva, allestisce numerose mostre personali e partecipa alle grandi esposizioni storiche dedicate all’arte italiana del suo tempo. Gode della stima di grandi critici e poeti, non gli manca neppure il riconoscimento degli artisti più giovani che apprezzano il valore culturale e l’impegno della sua arte sui grandi temi dell’esistenza. Muore nel 1996. Franco Francese, Finestra di sera, 1959, tempera carta intelata, 149 x 145 cm.

desolate e, dentro, figure dolenti ferme lì per la paura e l’atte- sa. E questi fantasmi non lo lasciano nemmeno nel dopoguerra, quando la speranza dovrebbe prendere anche lui e invece, se si eccettua una breve escursione «neocubista» alla fine del decen- nio, Francese rimane in loro compagnia fino alla metà degli anni Cinquanta. Perché lui, rispetto agli altri che abbiamo visto fin qui, era intimamente convinto della necessità del realismo, cioè che la rappresentazione di un disagio effettivo dell’uomo davan- ti alla storia e alla sua forza terribile andasse testimoniato con semplicità; che dovesse essere raccontato in una lingua piana. E sembrò estraneo ai fervori con cui si discuteva di impegno so-

42 ciale degli artisti, e di realismo o astrattismo, perché il linguaggio del suo realismo gli era connaturato, non avrebbe potuto farne a meno. E difatti non ne farà a meno mai, le figure cambieranno solo aspetto, ma saranno sempre lì a ricordargli i danni della vita. Verso la fine degli anni Cinquanta ha solcato come tutti l’onda informale e lo ha fatto con eleganza, lasciandosene prendere senza lacerazioni con una pittura di stati d’animo posati, fatta di semplici campiture sovrapposte per ottenere una nota cromatica dominante, che è la luce del quadro. Poi, con gli anni Sessanta, l’ha arricchita di graffiti e vaghe presenze appena accennate, ma che era presenza di morti, e ha chiamato queste scene Convale- scenze perché hanno corrisposto a un periodo di intenso male del vivere. Non ne sarebbe più uscito, in realtà: Francese ha percorso l’arco della sua vita accompagnato dalle immagini degli assenti. L’opera in collezione sembra contraddire questo profilo, perché la stagione da cui proviene fu comunque brevissima. Il quadro è del 1949 ed è intitolata la Natura morta con drappo rosso: ha il proprio centro intorno a una tovaglia rossa che cade da un tavolo su cui troneggia un insieme di oggetti che cita sia le nature morte del periodo cubista quanto i gruppi metafisici di Morandi. In sé è un dipinto formalmente ineccepibile, sebbene un po’ ma- nierato, come se fosse stato realizzato per omaggio al tempo in cui si convergeva sulla centralità del lessico neocubista. Ma, appunto, durò poco e presto ricomparvero le figure straniate e surreali che hanno ricordato talvolta i graffiti brut e altre volte le scene del do- lore statuario a lungo protagonista del neorealismo al cinema.

Aldo Bergolli Rinaldo (Aldo) Bergolli (Legnano 1916 - Milano 1972) Nasce a Legnano nel 1916; dopo gli studi A un certo punto della sua storia, cioè dalla fine degli anni Ses- liceali si iscrive all’accademia di Brera dove santa, Bergolli ha iniziato a produrre una serie numerosissima di frequenta i corsi di Aldo Carpi e Achille «scenari urbani» composti da architetture riprese dietro a un ve- Funi. Nel 1943 fu fatto prigioniero di lario scuro, contro il quale si sviluppa una specie di inflorescenza guerra e deportato in Germania fino alla malatticcia, una germinazione di filamenti che prende appena fine del conflitto. appena la forma di un aggroppo umano, di una piccola folla che

43 Nel 1946 comincia a dedicarsi soprattutto guarda, aspetta, asseconda i ritmi architettonici degli antri ur- all’incisione, ma nel frattempo firma il bani più scuri: fughe prospettiche senza riconoscibilità, strade Manifesto per il Realismo “Oltre Guernica” strette e deserte tra palazzi alti, ma soprattutto i punti diversi con Ajmone, Bonfante, Dova, Morlotti, incontrati nei tunnel della metropolitana: la gola profonda che Paganin, Tavernari, Testori e Vedova. Nel inghiotte i binari, le scale, le banchine deserte. 1948 tiene la sua prima personale a Milano, Fu la sua via personale a un’arte esistenziale, in armonia con la Galleria Pittura. Nel 1950 è invitato temperie culturale in cui avevano lavorato anche Francese e Chi- alla XXV Biennale di Venezia e poco ghine. Ma in realtà i suoi esordi, nel clima acceso del dopoguerra dopo allestisce una personale al Centro e degli anni Cinquanta, furono diversi. Inizialmente adottò il mo- San Fedele di Milano seguito dal critico dello picassiano di rappresentazione diffuso dal maestro spagnolo Kaisserlian. negli anni Trenta, concretizzandolo in opere chiamate solo com- Negli anni successivi numerose personali posizione dipinte con pochi gesti sicuri: campi chiusi assemblati soprattutto nel nord Italia e, nel 1962, come una coperta patchwork; poi modificò le costruzioni a riqua- nuovo invito alla Biennale di Venezia, dri trasformandole in pupazzi e sgorbi infantili ispirati a Dubuffet. presentato da Emilio Tadini. L’anno dopo Alla metà degli anni Cinquanta il primo mutamento di peso ha partecipa alla Biennale di San Paolo del coinciso con l’affermazione dell’arte informale. Bergolli compo- Brasile. Nel 1965 prima personale a Londra ne dipinti spessi di materia cromatica raggrumata al centro della e successive personali in Italia. tavola e irradiante verso i margini: una pittura di segno e bassa Muore nel 1972 a cinquantasei anni di età intensità tonale i cui riferimenti prossimi sono ancora in natu- per malattia. ra: sono applicazioni su applicazioni di terra indurita, grumi di polvere rappresa, pietra e cielo riflesso nella materia colorata. Nella collezione della Fondazione si trovano appunto due dipin- ti di questo periodo, Fruscio nel bosco e Nostalgia, entrambi del 1954, realizzati a olio intorno a un centro orizzontale secondo un andamento deflagrante. Le due tele fanno parte di una nutri- ta serie di opere informali che occuparono l’artista fino a poco prima della fine del decennio, quando appunto si dedicherà agli «scenari urbani».

Di una generazione culturalmente successiva, sebbene di po- chissimi anni più giovane, sono gli altri due artisti di area lom- barda presenti in Fondazione: Ludovico Mosconi, che diciamo lombardo perché a Milano visse e lavorò negli anni della piena maturità, anche se nato a Piacenza e legatissimo alla sua città;

44 e Giorgio Bellandi. Molto affini tra loro, sono stati entrambi ma- estri di un sensuale lirismo concepito nella ripetizione di una grafìa leggera e nervosa che passa tra citazioni dell’arte antica, echi letterari e cromatismi particolarmente ricercati. Due artisti che non hanno memoria del dibattito che abbiamo seguito fin qui e che caratterizzò la ripresa artistica in Italia dopo la guerra. Sono bastati pochi anni, non più di cinque o sei, e un esordio di poco più in là, per ritrovarci al di fuori delle ricerche cubo-astrat- tiste o delle questioni politiche. L’atmosfera sembra più distac- cata e serena, sembra guardare al presente e al futuro con meno tensione e maggiore concentrazione sulla possibilità di scoprire nuove strade per un’arte autonoma.

Giorgio Bellandi Giorgio Bellandi (Milano 1931 - Como 1976) Nasce a Milano nel 1931. Frequenta il Bellandi fu artista con un fortissimo senso del colore e dell’equi- liceo artistico di Brera e poi si iscrive librio tra colore e segno grafico - lo diciamo utilizzando una for- all’Accademia senza frequentarne i mula abusata, ripetuta a sbafo per decine di artisti, che avrebbe corsi. Nel ‘50 inizia a collaborare con in lui un ottimo esempio. I suoi inizi si trovano sulla metà degli gli scenografi del Teatro alla Scala. Nel anni Cinquanta e ancora sono variazioni sui soggetti tradizionali ‘52 conosce il critico Mario De Micheli come il paesaggio, come la natura morta, sebbene rifatti a partire che lo inviterà a partecipare alla Mostra da scorci insoliti della città moderna, con una trama fittissima di dell’Antifascismo nello stesso anno. pennellate in ogni direzione, una pittura incisoria e intricata che Nel 1956 tiene la sua prima personale riprende il mondo in chiave di fantasmagoria: infatti c’è ricchez- insieme a Rodolfo Aricò con una za di riferimenti e di trovate cromatiche, di ingegnosità formali. presentazione di De Grada. La mostra è Dopo alcuni anni il lavoro si affina e i quadri si organizzano in- ben recensita e il suo lavoro apprezzato, torno alle tonalità secondarie e soprattutto si affollano di grafi- tra gli altri, da De Micheli, Kaisserlian e smi, di vortici calligrafici alternati a piccole simbologie, richiami ancora De Grada. Frequenta l’ambiente di oggetti, decorazioni; c’è come una schiera di presenze che pas- artistico milanese più vicino al nuovo sa sopra a un’impaginazione orignaria del dipinto che pure era realismo, ma già l’anno successivo, 1958, d’ordine geometrico, ottenuta da diagonali e riquadri accostati, inizia a cambiare indirizzo dopo aver sulla quale è piacevole variare. Questo è il periodo in cui si ap- visto la mostra degli espressionisti astratti prezza maggiormente la presenza di Gastone Novelli, conosciuto americani alla Galleria d’Arte Moderna di nel ‘61, tra gli amici stretti del pittore. Milano. Lo impressionano soprattutto le È un modo personalissimo e originale di interpretare la necessità

45 opere di De Kooning e Gorky. Nei primi anni Sessanta la sua opera cambia ancora: si intensifica la presenza di segni grafici e scritte e rivolge più attenzione al paesaggio urbano che prende a interpretare come foresta di segni. Nel 1964 partecipa alla Biennale di Venezia e l’anno seguente alla IX Quadriennale di Roma. Nel 1969 dipinge su commissione un ambiente a tre pareti; nel 1970 inizia un ciclo di opere dedicate a grandi figure della cultura moderna, artisti, letterati, musicisti. Muore nel 1976 a Como per un’improvvisa malattia.

Giorgio Bellandi, Nudità, 1960, olio su tela, 285 x 285 cm.

informale dell’arte italiana attraverso una pittura di segno, una pittura-scrittura a tratti fin troppo piacevole. In allineamento con la Pop art, negli anni Sessanta il suo lavoro implementa senza fa- tica oggetti, citazioni, insegne, figurine, conservando un’estrema leggerezza e seguendo il principio di una presenza trasparente. Una pittura da libro, più che da parete. Ulteriore sviluppo in questo senso, ovvero nel senso dell’imma- ginario collettivo, è la citazione storica e letteraria, la serie dei ritratti a personaggi simbolo della modernità, da Joyce a Renoir, Kafka, Gadda, Stravinskij, ecc.

46 Di Bellandi sono presenti tre opere: una Composizione del ‘48 che rappresenta una variazione sul tema del paesaggio (una forma ve- getale che ricorda Graham Sutherland) e che risente di un’informa- zione surrealista che avrà poco seguito. Poi un dipinto Senza titolo del 1958 che si presenta come un ragionamento sulle analogie natu- ralistiche della meccanica, e infine La lampada spenta del 1969, una mappa calligrafica che va guardata in poca luce.

Ludovico Mosconi Ludovico Mosconi (Piacenza 1928 - Milano 1987) Nasce nel 1928 a Piacenza, dove si Quanto abbiamo detto in chiusura per Bellandi potremmo ridirlo forma all’Istituto d’arte Gazzola e nello per Mosconi. La sua Natura morta (la datazione non è nota ma è studio di un affrescatore e restauratore da fissarsi tra la fine degli anni Sesssanta e la prima metà degli anni piacentino. Inizia a esporre a Bologna e, Settanta), ora in Fondazione, è un’opera giocata sui toni del mar- dal 1951 al ’54, frequenta l’Accademia rone e del rosso sangue per rappresentare un interno piccolo bor- della Grand Chaumière a Parigi. Rientra ghese un po’ decadente che ha un tavolino al centro e alcuni cuori in Italia e apre studio a Milano dove sul piano. Il tratto è quello solito che si riconosce al pittore, nervoso conosce i protagonisti dell’arte informale e sintetico, ma la composizione è interamente affondata in un co- e dell’astrattismo italiano. Espone ai lore liquido che può fare da tende, tovaglia, parati... (non di rado maggiori concorsi nazionali sviluppando questo artista utilizzava inchiostri tipografici insieme a colori tra- una pittura suddivisa per cicli, che intitola dizionali). Il gioco tra soggetto e contesto, tra simbolo e referente a luoghi, emblemi di storia dell’arte, era quello che gli riusciva meglio e anche in questo caso è replica- sentimenti umani, letteratura: compie to: il pittore parla di un oggetto nominando il resto. Il suo percorso un raffinato lavoro di scrittura pittorica formativo e professionale è pure molto simile a quello di Bellandi, e di elegante cromìa che nonostante sebbene il piacentino sia stato meno indulgente nei confronti della il carattere appartato gli procura realtà effettuale: nella sua pittura non compaiono riferimenti ur- l’attenzione dei maggiori critici del tempo, bani oppure oggetti quotidiani - comunissimi negli anni Sessanta e tra questi Marchiori, Russoli, Arpino, sotto l’influenza della Pop art - se non sublimati e trasfigurati in de- Crispolti, De Micheli, Scheiwiller. corazione; e più avanti nel tempo apparirà del tutto refrattario alle Numerose le mostre personali di prestigio indagini di ordine concettuale. Sul piano stilistico, il suo percorso nel corso degli anni Sessanta e Settanta, potrebbe configurarsi come un lungo viaggio dentro la citazione tra Milano, Venezia, Torino, Colonia, (architettonica, letteraria, storica) e dentro una sorta di ripetizione Gottingen, Barcellona. continua che in maniera progressivamente più lieve cammina ver- Realizza nel 1975 l’Antimonumento per so la sparizione negli spazi della pagina e negli sfondi. la Galleria d’arte moderna di Milano. Nel I primi anni sono dedicati a una pittura costruita per segni mol-

47 1985 il Comune di Milano gli organizza to verticale che richiama la tecnica dell’incisione, composta di un’ampia mostra antologica dal titolo geometrie contro intrecci grafici spontanei e cenni di scrittura. Viaggio nel cuore della pittura al Castello Con il tempo, gli sfondi geometrici si aprono e si ribaltano come Sforzesco di Milano, con presentazione proiezioni, le scritture acquistano spazio e a metà degli anni Ses- di Renato Barilli. Nel 1986 partecipa santa il quadro è una concentrazione di grafismi e di citazioni alla Quadriennale di Roma. Muore barocche, di volute, nuvole, cuori, aperture sempre su uno sfon- tragicamente nel 1987, nel suo studio di do liquido e variabile. Uno dei moment più interessanti di questo via Solferino a Milano. artista è sulla metà degli anni Settanta, con una serie di dipinti minimi come il deserto, di un solo colore e di una sola nota, inti- tolati alla gaia morte.

Ludovico Mosconi, Dolce ordalia, 1967/68, olio su tela, 147 x 111 cm. 48 Negli anni della crisi economica che stiamo tuttora attraversando, e che per comodità consideriamo Che cosa potrebbe esserci in mostra esplosa nel 2008 con i fallimenti finanziari ame- ricani, il settore del commercio di opere d’arte, ovvero il futuro di una collezione dopo un iniziale rallentamento, ha sostanzialmente tenuto la posizione e di recente ha realizzato anche una discreta crescita. In particolare, pare essersi invertita la tendenza che stava portando la Cina, primo competitor globale di ogni settore, a leader mondiale del commercio d’arte. I dati per il 2012 Una collezione d’arte non è mai finita. Ogni oggetto, ogni opera, resi noti da Artprice parlano di un movimento pari rinvia sempre a un altro oggetto o a un’altra opera che lo rappre- a 12,269 miliardi di dollari divisi tra 5,068 miliardi senta o lo contiene. Terminare una collezione equivale, per il fatto in Cina e 7,2 miliardi nel resto del mondo. stesso di considerarla chiusa, a trasformarla in arredamento. La collezione non è temporanea come gli uomini che vi si avvicen- L’incremento complessivo rispetto all’anno prece- dano: non muore, non può nemmeno essere distrutta nei principi dente era del 6,1 per cento. Ma, per la prima volta che la informano, tutt al più cambia di posto. da cinque anni - quindi dall’evidenza della crisi in Occidente -, la Cina non aumenta il proprio giro Le pagine d’arte della Fondazione di Piacenza e Vigevano costitu- d’affari e anzi, chiude i conti con più della metà di iscono il nucleo iniziale di una collezione che fu avviata dal primo opere d’arte invendute. Per contro si è verificata presidente dell’ente, l’economista e docente universitario Gian- una piccola crescita del mercato d’Occidente (più 5 carlo Mazzocchi, in seguito sospesa dopo la fine del suo mandato. per cento circa) che rimette in gioco la lunga tradi- zione culturale europea e americana del collezioni- Un’eventuale ripresa del lavoro di collezione può avvenire in due smo d’arte. direzioni. La prima va nel senso della storia, ovvero precisando il cammino storico dell’arte italiana a partire dal punto in cui lo si Se ci spostiamo sui mercati nazionali, tra cui il no- era lasciato. La seconda va nel senso delle forze in atto, e presup- stro, vediamo che dal 2009 in poi la separazione tra pone l’allargamento dell’interesse per il tempo presente, ovvero grandi investitori e piccoli e medi collezionisti - di per i fatti dell’arte che avvengono tra oggi e domani. fatto sempre esistita e avvertita da ogni gallerista e Il primo caso, quello di una collezione storica, comporta due pos- artista professionista - ha subito un’accelerazione sibilità: la prima consiste nel completamento del panorama ita- vorticosa negli ultimi due anni, trasformandosi in liano tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in modo da ottenere una una divisione netta. In realtà tutti i compratori, collezione fortemente identitaria; la seconda possibilità è quella piccoli o grandi che siano, investono, ma diciamo di estendere il percorso alle fasi successive ma già acquisite dalla che la finalità dei primi è la realizzazione di un’utile storiografia: per esempio dall’Astrattismo all’Arte Povera; oppure attraverso il mercato di opere d’arte; la finalità ponendosi un limite temporale in corrispondenza del neoespres- dei secondi è la costruzione di un patrimonio di economico e insieme di prestigio culturale. Nel caso sionismo degli anni Ottanta. dei grandi investitori la collezione è temporanea e Il secondo caso di avanzamento contempla invece una collezio- 49 assomiglia più a un magazzino just in time, ovvero ne orientata sull’arte di oggi, sulle produzioni anche più avanzate si muove e deve muoversi sempre più in fretta per per quanto riguarda forme estetiche, materiali e, di conseguenza, realizzare gli obiettivi dati; nel secondo caso, ed è il tecniche di conservazione. Parliamo di opere d’arte ancora di là caso di molte Fondazioni non solo di origine banca- dall’essere valutate sul piano storico, ma che consentono di ri- ria, la collezione è virtualmente ferma, costituisce entrare in un circuito effettivamente dinamico in cui il rischio è un accumulo ragionato di beni che cresce progressi- senz’altro maggiore, sotto il profilo dell’investimento, ma altret- vamente nel senso impresso dal collezionista. I soli tanto alto sarebbe l’apporto culturale alla comunità di riferimento, trasferimenti eventualmente contemplati sono quelli in particolare sul piano dell’aggiornamento e della veicolazione di necessari ad acquisire nuovi beni e quindi a miglio- rare il patrimonio oltre che ad accrescerlo. argomenti. Considerare insieme entrambe le soluzioni potrebbe sembrare La situazione di crisi degli ultimi anni, in buona rassicurante, ma in realtà non funziona quasi mai. sostanza, e per usare una terminologia dei sociologi, In ogni caso è meglio tenere a mente che una collezione d’arte è la ha «allargato la forbice» tra ricchi e meno ricchi, e proiezione nel tempo di un’intelligenza. se non ha minimamente intaccato l’entusiasmo dei grandi investitori, ha però provocato un arretra- mento dei piccoli e medi compratori. In Italia questo fenomeno è più evidente che altrove: le grandi case d’asta hanno ridotto le sessioni ma ancora fanno buoni affari; le piccole sono in grave crisi o sono già chiuse. A Milano e in Lombardia, principale sede di affari legati al mondo dell’arte (circa 430 negozi, 40 case d’asta, 260 antiquari - e parliamo solo degli operatori ufficiali, cioè registrati alla camera di Commercio, tralasciando l’affolla- tissimo sottobosco dei piccoli speculatori) le attività sono diminuite del nove per cento, poco meno della diminuzione complessiva in Italia che è pari a poco più del dodici per cento. Insomma, noi arretriamo ancora mentre gli altri iniziano a riprendersi e la Cina si stabilizza. (Le ragioni del ritardo italiano sono molte e sono note: da un regime fiscale che, a differenza di tutti gli altri paesi europei, non in- coraggia l’acquisto di opere d’arte; a un regime di tutela dei beni artistici che non ne agevola il movi- mento, oltre che rivelarsi in massima parte inutile ai fini per i quali era stato creato.) L’autore dedica il saggio di questa mostra alla Siamo nel terzo mese del 2014. memoria di Giancarlo Mazzocchi (1927 - 2005) 50 51 52 Tavole

53 54 Giorgio Bellandi, Composizione, 1948, olio su tela, 80 x 80 cm.

55 Giorgio Bellandi, Senza titolo, 1958, olio su tela, 70 x 80 cm.

56 Giorgio Bellandi, La lampada spenta, 1969, olio su tela, 80 x 100 cm.

57 Aldo Bergolli, Fruscio nel bosco, 1954, olio su tela, 70 x 100 cm.

58 Aldo Bergolli, Nostalgia, 1954, olio su tela, 70 x 100 cm.

59 Bruno Cassinari, Il priore di Garaveglia, 1948, olio su tela, 110 x 70 cm.

60 Bruno Cassinari, Natura morta, 1954, olio su tela, 35 x 55 cm.

61 Bruno Cassinari, Fondo marino, 1957, olio su tela, 97 x 130 cm.

62 Bruno Cassinari, L’atelier, 1960, olio su tela, 148 x 138 cm.

63 Bruno Cassinari, La madre, 1961, olio su tela, 146 x 84 cm.

64 Bruno Cassinari, La nobiltà dei cavalli, 1967, tecnica mista su tela, 138 x 156 cm.

65 Bruno Cassinari, Finestra verde, 1977, olio su tela, 90 x 100 cm.

66 Bruno Cassinari, Finestra a Gropparello, 1991, olio su tela, 90 x 80 cm.

67 Bruno Cassinari, Riflessi marini, 1991, olio su tela, 70 x 60 cm.

68 Alfredo Chighine, Azzurro e grigio, 1971, olio su tela 55 x 65 cm.

69 Franco Francese, Natura morta con drappo rosso, 1949, olio su tela, 105 x 47 cm.

70 Ennio Morlotti, Vegetazione, 1959, olio su tela, 30 x 42 cm.

71 Ennio Morlotti, Nudo, 1970, olio su tela, 100 x 90 cm.

72 Ennio Morlotti, Nudo, 1970, olio su tela 100 x 100 cm.

73 Ennio Morlotti, Vegetazione (Cactus), 1970, olio su tela, 101 x 118 cm.

74 Ennio Morlotti, Rocce, 1983, olio su tela, 100 x 100 cm.

75 Ennio Morlotti, Rocce, 1984, olio su tela, 75 x 75 cm.

76 Ennio Morlotti, Figura sulla riva, 1989, olio su tela, 70 x 93 cm.

77 Ludovico Mosconi, Natura morta, s. d. (1969/1975), olio su tela, 50 x 70 cm.

78 79 Finito di stampare nel mese di marzo 2014 da Grafiche Lama, Piacenza

Referenze fotografiche: Carlo Pagani (sezione Tavole)

© 2014 Fondazione di Piacenza e Vigevano via S. Eufemia, 13 29010 Piacenza 80 Euro 10,00