
QUADRI DI UNA COLLEZIONE BELLANDI, BERGOLLI, CASSINARI, CHIGHINE, FRANCESE, MORLOTTI, MOSCONI Mostra promossa da Consiglio di Amministrazione Francesco Scaravaggi (presidente) Beniamino Anselmi Renzo De Candia Franco Marenghi Stefano Pareti Giovanni Rebecchi Carlo Tagliaferri Commissione Cultura Stefano Pareti Fabrizio Garilli Giorgio Milani Milena Tibaldi Montenz Renato Zurla Mostra e catalogo a cura di Eugenio Gazzola Coordinamento generale Tiziana Libè Progetto espositivo e allestimento Pentagono Allestimento Musei, Bologna Si ringraziano tutti coloro che, con il loro contributo, hanno reso Immagine di copertina possibile l’organizzazione di questa mostra ALFREDO CHIGHINE, Azzurro e grigio, 1971 QUADRI DI UNA COLLEZIONE Bellandi, Bergolli, Cassinari, Chighine, Francese, Morlotti, Mosconi Dalla Fondazione DI Piacenza E VIGevano 11 Aprile 2014 - 30 Maggio 2014 Sala Espositiva di Palazzo Rota Pisaroni, Piacenza La collezione d’arte della Fondazione di Piacenza e Vigevano comprende un nucleo di opere risalenti a un fertile momento della recente storia artistica di questo Paese e che, in quanto tali, costituiscono una ricca testimonianza sto- rica sui destini dell’arte italiana, oltre che, naturalmente, una parte impor- tante del nostro patrimonio d’arte. La decisione di esporre al pubblico queste opere risponde alla possibilità di offrire, sempre nel quadro dei programmi attuati dall’ente in ambito culturale ed educativo, un ulteriore momento di dibattito e confronto per il pubblico degli studiosi e degli appassionati. In particolare, però, ci pare che i primi destinatari dell’iniziativa debbano essere senz’altro gli studenti, come dimostra un allestimento espositivo particolarmente ricco di suggestioni e di rimandi anche acustici, oltre che visivi, letterari e musicali; e come dimostra, inoltre, questa stessa pubblicazione che inquadra le biografie degli artisti e le loro opere in un contesto storico-geografico che fu essenziale - e in parte lo è tuttora - per il Paese e per la nostra città. Questa Fondazione non lascerà nulla di intentato per conservare la continuità dell’offerta culturale verso la comunità piacentina, sebbene le dinamiche finanziarie di questi anni siano apparse sovente ostili alle nostre speranze. Siamo infatti consapevoli che spetti anche a noi il compito di contribuire al consolidamento dei valori fondanti della nostra civiltà e a crescere una generazione consapevole e responsabile di quegli stessi valori. Una mostra come questa è infine utile alla nostra Fondazione, al fine di considerare nuovamente il ruolo del patrimonio artistico sotto i profili dell’opportunità economica e della divulgazione storico critica. Francesco Scaravaggi Presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano IN CORSO D’OPERA di Eugenio Gazzola Abbiamo davanti un gruppo coerente di opere la cui origine ide- ale e l’intima qualità sono inscritte nel periodo più fragile dell’ar- te italiana, quando indirizzi formali e politici diversi si offriro- no alla luce così velocemente da risultare, nel tempo, indistinti. Tra il 1945 e, grosso modo, il 1959 una costellzione di correnti, di gruppi e di sigle nascono, si intrecciano, si distinguono e si fon- dono: astrattismo, nuovo realismo, l’espressionismo leggero di «Corrente» e poi l’intricata foresta dell’Informale italiano, nella quale confluiranno i manifesti teorici precedenti, divenuti im- provvisamente vecchi già a metà degli anni Cinquanta. La svolta dell’arte è nelle forme e nei contenuti, coincide con il tempo della ricostruzione civile e morale dell’Italia e del primo sviluppo economico dopo la guerra. La nazione è nuovamente industrializzata e compresa in un disegno mondiale favorevole allo scambio, mentre le tendenze dell’arte nascono e scompaio- no a seconda delle evenienze politiche, delle occasioni rappre- sentate dal ritorno alle grandi mostre, dai nuovi manifesti ispira- ti alla modernità tecnologica; dal confronto con le avanguardie mondiali che ora si affacciano a New York e non più a Parigi. Autori e opere in corso sono anche accomunati da una netta ap- partenenza di origine all’area milanese e lombarda. Sono espres- sione di una linea dell’arte (e della letteratura) che ha radici addi- rittura negli anni di Caravaggio, ma che ora, nell’Italia moderna e infine liberata, si rinnova rovesciando il paradigma naturalista - di arte della realtà, che l’aveva distinta e consolidata per secoli - in visione razionalista e progettuale: è la mentalità politecnica 7 lombarda che sa esprimersi mescolando i linguaggi cosiddetti alti e bassi della cultura. Sono sette pittori, i protagonisti di questa mostra - Bruno Cassinari, Ennio Morlotti, Alfredo Chighine, Franco Francese, Rinaldo Bergol- li, Giorgio Bellandi e Ludovico Mosconi - i primi cinque dei quali, più maturi, li troviamo fin dall’estate del 1945 dentro un dibattito che oggi potremmo ridefinire un’interrogazione sulle «conseguenze del cubismo», in quanto fondato sulla coscienza del ritardo italia- no rispetto alle correnti dell’avanguardia europea. Dei vigorosi inizi del tempo di ricostruzione, trascorso cercando una formulazione dell’immagine tra astrattismo e informale, gli artisti conserveranno un’impronta netta e riconoscibile anche nei decenni successivi e all’interno di orizzonti profondamente mutati. Quadri di una collezione, infine, allude a una collezione interrot- ta di cui il gruppo di opere che presentiamo doveva costituire le prime pagine, e che ora può riprendere in più direzioni. 8 I. STORIA E GEOGRAFIA DEL CONTESTO Senza ragionare sul contesto, senza avere nozione del mondo in cui gli artisti operarono, non capiremmo il significato della loro opera, nata in prima battuta dall’ansia di rinnovamento e dal de- siderio di storia. Prendendola molto larga diremo che fin dal Cinquecento l’arte lombarda (alla quale ha teso da sempre la nostra provincia) era caratterizzata da uno spiccato istinto per la realtà, un sano vigo- re realistico che ha fatto dei lombardi, costantemente, i primi e quasi i soli artisti ad assumere nel proprio lavoro l’insieme delle circostanze, ad accorgersi che il mondo è fatto di oggetti e di sto- ria, di uomini e di condizioni umane nel medesimo tempo. Que- sto il tratto, l’evidenza fino al Novecento inoltrato e a Novecento, come vedremo subito. Proprio nel cuore degli anni che ci interessano, nel 1953, si apriva a Palazzo Reale di Milano una mostra che avrebbe aperto gli oc- chi: si intitolava I pittori della realtà in Lombardia, era curata da Roberto Longhi, che due anni prima aveva inaugurato un dossier su Caravaggio e i Caravaggeschi ponendo una prima volta la que- stione del naturalismo lombardo in pittura. La rassegna offriva un ventaglio di vedute - da Moroni a Ceruti, diceva il sottotitolo, che vuole dire passare su nomi quali il Savoldo e il Moretto, Ce- resa, Morazzone, Nuvolone, Magnasco, Baschenis, Fra’ Galgario eccetera - intorno a una maniera di leggere il mondo che una volta scoperta e assegnata è divenuta col tempo un punto fisso, una costante dello spirito lombardo in arte e in letteratura; un modello borghese e imprenditoriale del vivere. 9 In ogni caso, secondo le efficaci parole di Longhi, siamo a fron- te di una «certa calma fiducia di poter esprimere direttamente, senza mediazioni stilizzanti, la “realtà” che sta intorno».� Il rife- rimento ci serve appunto per sottolineare questo particolare ca- rattere dell’arte lombarda attraverso i secoli, che in primo luogo significa l’affrancamento definitivo delle scene di genere, popo- lari e quotidiane, dalla sottomissione ai modelli alti, religiosi ed eroici: i lombardi sono maestri della rappresentazione di umile vita quotidiana e della ritrattistica di movimento, con individui colti nel loro operare consueto da una sorta di fermo-immagine fotografico. È lo spirito che tra Sette e Ottocento diventa caratteristico della Milano napoleonica e poi austriaca, popolare e vera anche per grazia del Giovannin Bongee e della Ninetta del Verzee - lei, che sarà pure stata guardata dal Magnasco mentre questi dipingeva il suo mercato -; e che tale resta (Manzoni approvando) fin giù agli Scapigliati Praga e Rovani, alle macchie di Carlo Dossi! (ma inscì era già, indietro nei secoli, il Bonvicino della Ripa). Lo spirito che di qui prende quell’impennata, dialettale verbosa e neobaroc- ca, ricercata ma fluente e acida, che farà memorabile il Gadda. Nemmeno un romantico come il Piccio (Giovanni Carnovali, al secolo, 1804-1873) vi rinuncerà del tutto tra una visione e l’altra: scenette d’umanità varia, figurine e macchie; alla maniera fran- cese di nuovo in voga, ritratti sfrangiati e sfumati, con volti che affiorano da nuvole di cipria luminosa e antica, stile privato e da camera, un po’ signorine Confidenza. E non sarà, ancora una volta, amore della realtà, che adesso chia- meremmo “modernità”, lo scoppio futurista d’anteguerra? Che altro, se non la vendetta della vita di tutti i giorni sulla scoper- ta mistica dell’arte libera dalla tradizione? E pure Novecento: il gruppo della Sarfatti non rimette nel suo teatro metafisico fatto di silenzi e fissità i ritratti, le caricature, le macchiette e i paesag- gini urbani della prosopopea cittadina e domestica? Se il Littorio sarà l’ultimo ordine neoclassico della storia moderna, i residui di Novecento e di Valori plastici, vale a dire delle idee frontali che 10 avevano rimesso l’arte su basi metafisiche avranno invece un re- spiro più lungo, sebbene in forme mutate: da una parte rinvigo- rendo la comunione con la tradizione pittorica italiana più anti- ca, quella nata tra Tre e Quattrocento; dall’altra inventando un classicismo nuovo di tipo urbano, anzi metropolitano, con la ca- lata dei modelli antichi nella modernità delle città settentrionali. Parliamo di prosa, a conti fatti, ma di prosa in dialetto. È l’arte del racconto aneddotico che trionfa nella città dell’illuminismo italiano, dello spirito politecnico e razionalista che fa e non disfa, semmai trasforma. Perché questa è la città che fa parlare Radi- ce, Soldati, Reggiani, con Terragni e Libera - parlare nel senso di mettere insieme le cose. Così l’astrattismo lombardo, che è quasi tutto quello italiano, costruisce e inventa, calcola e modella se- condo l’ordine dell’utilizzo e dell’armonia.
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