Studi Di Lessicografia Italiana
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STUDI DI LESSICOGRAFIA ITALIANA VOLUME XXXIV STUDI DI LESSICOGRAFIA ITALIANA A CURA DELL’ACCADEMIA DELLA CRUSCA VOLUME XXXIV FIRENZE LE LETTERE MMXVII Direttore Luca Serianni (Roma) Comitato di direzione Federigo Bambi (redattore, Firenze) - Marcello Barbato (Napoli) Piero Fiorelli (Firenze) - Giovanna Frosini (Siena) Max Pfister (Saarbrücken) - Wolfgang Schweickard (Saarbrücken) PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA Gli articoli proposti per la pubblicazione sono sottoposti al parere vincolante di due revisori anonimi. ISSN 0392-5218 Amministrazione e abbonamenti: Editoriale Le Lettere S.r.l., Via Meucci 17/19 – 50012 Bagno a Ripoli (FI) Tel. 055 645103 – Fax 055 640693 [email protected] [email protected] www.lelettere.it Abbonamento 2017: SOLO CARTA: Italia € 110,00 - Estero € 130,00 CARTA+WEB: Italia € 140,00 - Estero € 185,00 «CAFFÈ»: SECENTESCO TURCHISMO NELL’ITALIANO, ATTUALE ITALIANISMO NEL MONDO* 1. I viaggi del caffè pianta, semi e bevanda La pianta del caffè, è ormai appurato, è originaria dell’altopiano dell’Etio- pia da cui però, già dal XIV secolo, si diffonde nello Yemen, che sarà il primo centro di produzione e consumo. Dall’estremo sud della penisola arabica, alla fine del Seicento, alcune piante sono inviate a Giava, dove trovano un am- biente decisamente favorevole e da dove il caffè comincia a essere esportato ad Amsterdam. Oltre alla pianta, è probabile che l’Olanda abbia dato origine anche a quella che è diventata la forma inglese coffee: l’olandese koffie è attri- buito all’inglese coffee da Vercoullie (1925, p. 174)1, mentre è più verosimile il contrario. Come è probabilmente accaduto per il russo kófe diffusosi dal tempo di Pietro il Grande (Černych 1993, I, p. 436) la cui frequentazione con i Paesi Bassi è nota. L’OED ha per il XV secolo caoua e chaoua, per il XVI secolo cahve, coava, coave, cahu, coho, kauhi, kahue, auwa oppure coffa, caf- fa, capha o, ancora, caphe, cauphe, cophie, coffi(e), coffey, coffea, coffy, e, fra XVI e XVII secolo coffe, cophee, caufee, e infine coffee. La forma olandese, inglese e russa con -o- accentata in prima sillaba fa ritenere plausibile che la parola non sia stata mediata dal turco ma venga direttamente dall’arabo qahwa in cui l’occlusiva uvulare sorda [q] può provocare l’arrotondamento labiale della vocale centrale bassa non arrotondata scritta a che diventa una vocale posteriore bassa arrotondata (identica alla pronuncia inglese britannica di cof- fee), cioè [ˈqɒhwa], mentre è poco verosimile che sia avvenuta la contrazione di un dittongo ipotizzata dall’OED (o < au < ahw o ahv). E sempre Amster- dam, nel 1714, accoglie nel suo orto botanico la prima pianta di caffè prove- *Il lavoro si è avvalso dei preziosi consigli di Gianguido Manzelli, fine glottologo e stu- dioso di lingue arabe. A lui va il mio più sentito ringraziamento per aver arricchito l’articolo di notazioni puntuali relative alla fonetica turca e araba. La responsabilità di ogni possibile limite del lavoro resta tutta dell’autrice. 1 A parte questa fonte ormai obsoleta, un’utilissima sinossi di diverse risorse (la più recen- te del 2003-2009) consente di reperire la prima attestazione in olandese nel 1596 come chaona (da correggere in chaoua), si veda http://etymologiebank.nl/trefwoord/koffie. 282 RAFFAELLA SETTI niente da Giava2. Nello stesso anno il borgomastro di Amsterdam fa dono a Luigi XIV di una di queste piante che va ad arricchire le collezioni del Jardin du roi: la nuova acquisizione, messa a dimora in uno spazio costruito appo- sitamente per il suo mantenimento nelle serre reali, è descritta dal naturalista francese Antoine de Jussieu, in quel periodo direttore dell’orto botanico di Parigi, che le attribuì la denominazione di Jasminum arabicanum, ‘gelsomino arabo’, suggerita dalla somiglianza dei fiori del caffè a quelli del gelsomino3. Poco dopo, nel 1715, per volontà di Cosimo III de’ Medici, la pianta arriva anche in Italia, a Pisa nel Giardino de’ Semplici, dove cresce grazie alle cure dell’allora direttore Michelangelo Tilli (1655-1740). L’abitudine a bere l’infuso ottenuto dalla pianta sembra essersi radicata nell’ambito del sufismo, una corrente islamica di mistici laici che ne sfruttava- no le proprietà eccitanti per affrontare le veglie di concentrazione alla ricerca di un contatto con la divinità; diffusasi alla Mecca e poi al Cairo, dall’Egitto, intorno alla metà del Cinquecento, era passata nell’Impero Ottomano ad Alep- po, Damasco, Costantinopoli. Dall’Arabia alla Turchia, passando dall’Egitto: le comunità mercantili europee più attive in questo periodo, dopo il declino dei veneziani, sono quelle francesi e inglesi. In particolare i marsigliesi riusciran- no a controllare più della metà della produzione del caffè di Moka, diventando così i principali riesportatori in Europa. Contrapposto al vino, proibito dalla religione islamica, il caffè diviene pre- sto simbolo dell’impero arabo e anche oggetto, da parte dei cattolici, di pre- giudizi e censure, difficili da abbattere pur dopo l’assaggio del papa Clemente VIII (al secolo Ippolito Aldobrandini sotto il cui pontificato, durato dal 1592 al 1605, fu mandato al rogo Giordano Bruno), che pare fosse rimasto talmente soddisfatto da decidere di “battezzarlo”, sancendone così la piena legittimità anche nel mondo cristiano. Non finiscono tuttavia sospetti e diffidenze verso questa novità esotica, anche da parte di letterati e uomini di cultura: già a partire dalla prima atte- stazione letteraria in italiano, nel celebre ditirambo Bacco in Toscana (1685)4 2 Pare che alcuni esemplari fossero arrivati già un secolo prima grazie al mercante olan- dese Pieter van der Broecke che era riuscito a sottrarli agli arabi e a farli arrivare in Olanda. Certamente non furono queste piante a rappresentare l’inizio della presenza del vegetale negli orti botanici europei. 3 Questa denominazione non si radicò e fu del tutto sostituita da Coffea arabica, stabilita da Linneo nella sua classificazione botanica del 1737. 4 «Beverei prima il veleno / Che un bicchier, che fosse pieno / Dell’amaro e reo caffè: / Colà tra gli Arabi, / E tra i Giannizzeri / Liquor sì ostico, / Sì nero e torbido / Gli schiavi ingol- lino. / Giù nel Tartaro, / Giù nell’Erebo / L’empie Belidi l’inventarono, / E Tesifone e l’altre Furie / A Proserpina il ministrarono; / E se in Asia il Musulmanno / Se lo cionca a precipizio, / Mostra aver poco giudizio». Il testo è pubblicato anche in rete nella banca dati http://www. nuovorinascimento.org/; per un’edizione recente, si rimanda a quella curata da Gabriele Buc- chi (Redi/Bucchi 2005). RAFFAELLA SETTI «CAFFÈ» 283 di Francesco Redi, con la parola si infiltra anche la cattiva fama che accom- pagnava la bevanda. In Redi, oltre all’avversione per la nuova abitudine pro- veniente dal mondo arabo, ha senza dubbio un peso determinante la finalità dell’opera, tutta tesa all’esaltazione del vino, di cui il caffè doveva apparire come un ridicolo rivale. Per offrire un quadro delle prime attestazioni della parola caffè in italiano non possiamo limitarci alle apparizioni letterarie che, particolarmente in casi come questo, rappresentano la conferma definitiva del radicamento di parole già largamente circolanti. Con caffè siamo poi di fronte a un accumulo pro- gressivo di nuove accezioni che riflettono da vicino il quadro sociale e cultu- rale europeo, ma in particolare italiano, in cui il caffè, in tutte le sue forme, si è diffuso e affermato. 2. Viaggi di una forma: dall’arabo alle lingue europee passando dal turco Dagli storici della lingua italiana, a cominciare da Bruno Migliorini, la parola caffè viene citata come esempio di turchismo5 entrato precocemente nella nostra lingua, insieme a giannizzero, chiosco, sorbetto e pochi altri6. La ricostruzione della storia di questa parola segue le rotte di viaggio e di com- mercio che hanno portato in Europa prima le notizie dell’esistenza e delle pro- prietà della pianta, poi il prodotto stesso che si è diffuso a tal punto da indurre principi e regnanti europei a far arrivare la pianta nei loro orti botanici e, con l’avvento dell’economia coloniale, a impiantare coltivazioni intensive da cui avere una produzione di caffè continua e a costi ridotti. La sintetica ricostruzione fatta nel paragrafo precedente della prima fase del- la commercializzazione e diffusione del caffè in Europa ci guida sulle tracce del percorso compiuto dalla parola che, dall’arabo, passando per il turco, è arrivata 5 La diffusione del turco nel Cinquecento non fu così limitata come potrebbe far pensare la scarsa consistenza dei prestiti lessicali radicatisi in italiano in quel secolo, come segnalava già Migliorini (1960). L’impero Ottomano infatti fu a lungo una potenza molto significativa sulla scena politica europea e la presenza di grammatiche turche in Italia nel Cinquecento rivela l’interesse per l’apprendimento, almeno strumentale, di questa lingua (su questo si veda in particolare Cardona 1969). L’esiguo numero di turchismi rimasti in italiano (e in altre lingue europee) si spiega, oltre che con l’ostacolo dell’estraneità grafica, con l’occasionalità che ca- ratterizza il contatto con questi vocaboli, inseriti spesso in relazioni di viaggio per descrivere usi e costumi di popolazioni lontane, o per denotare merci e prodotti commercializzati. Proprio questo canale ha favorito l’ingresso e la stabilizzazione del nome di alcuni prodotti esotici, come appunto il caffè, inizialmente limitati a un consumo di lusso poi sempre più richiesti dal mercato europeo tanto da diventare accessibili a tutti. 6 Su questi termini: iannizeri/giannizzero ‘nuova milizia’ < turco yeni-çeri (Mancini 1990, pp. 80-81; Mancini 1992, pp. 114-116), sorbetto (< turco şürbet), sciacallo (< fr. chacal < turco çakal di origine persiana), harem (< turco haram di origine araba), odalisca (< fr. odali- sque < turco odalık ‘cameriera’) si rimanda a Mancini 2011. 284 RAFFAELLA SETTI alla grafia e pronuncia attuali nella forma italianacaffè (con piccole varianti nel- le altre lingue dell’Europa occidentale).