Margherita Sarfatti: Una Donna Nuova Celata Dalla Storia
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MARGHERITA SARFATTI: UNA DONNA NUOVA CELATA DALLA STORIA MOSTRE AL MUSEO DEL NOVECENTO A MILANO E AL MART DI ROVERETO Margherita Sarfatti donna del suo tempo, un’icona sfaccettata come appare nell’immagine simbolo della mostra che ne riassume la vita e i meriti culturali, è stata una figura che ha disegnato come imprenditrice culturale e critica d’arte nuovi ruoli per il genere femminile, proprio quando si stava delineando un sistema dell’arte moderno. Margherita vive in un momento storico caratterizzato da grandi rivolgimenti sociali e da uno sviluppo economico straordinario. Un’epoca di cambiamenti potremmo dire epocali come puo ben essere evidenziato, nei quadri degli artisti di quegli anni, dove vediamo come le innovazioni tecnologiche, dai tram agli aeroplani, trasformino il paesaggio non solo terrestre, ma anche la vista del cielo ostacolata ora anche dalle superfici estese degli edifici industriali, sempre più numerosi. Cambiano le città e i loro colori: i grigi e i marroni contrastano con il verde degli alberi, soprattutto a Milano dove vive e opera la protagonista delle due nuove mostre che si sono aperte, in questi giorni, al Museo del Novecento, nel capoluogo lombardo e al Mart di Rovereto. Esse costituiscono un’occasione per comprendere l’importanza di questa intellettuale, poco nota in rapporto al ruolo potremmo definire caleidoscopico svolto come giornalista, critica, curatrice di mostre d’arte e divulgatrice dell’arte italiana nel mondo. La sua notorieta come “l’amante del duce” l’ha condannata alla damnatio memoriae. La mostra nel capoluogo lombardo: Segni, colori e luci a Milano, curata da Anna Maria Montaldo, Danka Giacon e con la collaborazione di Antonello Negri, ha il merito di mettere in evidenza attraverso il percorso biografico della Sarfatti l’ambiente culturale dell’epoca e soprattutto fa conoscere in modo più ampio, grazie ai novanta quadri esposti, gli artisti del gruppo Novecento di cui Margherita era l’anima critica. La giornalista era nata nel 1880 a Venezia da una ricca famiglia ebrea, i Grassini, e fin da giovane aveva frequentato Antonio Fogazzaro e Guglielmo Marconi, conosceva la regina Elena e il futuro papa Pio X. Segni colori e luci. Note d’arte è il titolo che compare sulla copertina della sua pubblicazione del 1925 in cui si leggono le sue idee sull’arte e le sue predilezioni. Cè un invito nello scritto alla sincerità dell’operato dell’artista che sacrifica per questo l’orpello e ama la solidità delle forme e le costruzioni armoniose. Achille Funi, Il bel cadavere (Le villeggianti), 1912-1920, Museo del Novecento, Milano Sobrietà e rinunzia all’effetto facile dovrebbero essere gli strumenti e gli obiettivi dell’artista: belle le semplificazioni formali che non rinunciano alla monumentalità e alle citazioni classicheggianti. Appartiene alla Sarfatti questa affermazione: più l’artista è classico e meno incapperà in classicismi. Buona parte delle correnti pittoriche nell’immediato primo dopoguerra si erano allontanate dalle dissacrazioni avanguardiste per un’arte più leggibile attraverso iconografie tradizionali e forme più chiare. Nella sua abitazione di Milano, in Corso Venezia al civico 93, la critica d’arte riuniva letterati, come d’Annunzio e Ada Negri, futuristi come Marinetti, Carrà, Russolo e Boccioni e in particolare quei sette pittori che faranno parte della prima formazione di Novecento: Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Emilio Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi e Mario Sironi. Leonardo Dudreville, Amore: discorso primo, 1924, Collezione Fondazione Cariplo Milano Pittori con diverse esperienze: Dudreville, Funi e Sironi avevano sperimentato le tecniche dell’arte futurista, Oppi e Marussig portavano nella loro pittura la ricchezza del mondo mitteleuropeo e il marchigiano Bucci, anche scrittore, era una personalità complessa ricca di spunti differenti provenienti dalla relazione con correnti artistiche diverse. Lo stile Novecento avrà il suo battesimo ufficiale a Venezia alla Biennale del 1924 che sarà anche l’occasione per una teorizzazione critica del programma artistico da parte di Margherita Sarfatti. L’esposizione di Rovereto che, come quella di Milano rimarrà aperta dal 21 settembre 2018 al 24 febbraio 2019, è nata su progetto di Daniela Ferrari a cui hanno collaborato Ilaria Cimonetti e i ricercatori dell’archivio del ’900 del Mart e pone, in primis, sotto la lente d’osservazione il ruolo di Margherita come divulgatrice all’estero dell’arte di Novecento italiano. Le mostre curate in Francia, Germania, Olanda, Ungheria, Svizzera, Scandinavia, Argentina e Uruguay hanno un eco temporale nei quadri esposti ora, in mostra a Rovereto e che erano stati esibiti allora nelle grandi città europee. La mostra della Biennale del 1924 segna la fine del gruppo di Novecento e apre alle nuove vicende di Novecento italiano che esporrà alla Permanente e a cui sarà dato ampio risalto nella stampa. Felice Casorati, Meriggio, 1923 Museo Revoltella, Trieste E’ significativo l’invito di partecipazione inviato a centottanta artisti per comprendere le dimensioni dell’iniziativa. Sarà proprio questo successo a spingere Margherita Sarfatti e i membri del Direttivo di Novecento Italiano che comprendeva personaggi di spicco del mondo politico e culturale, a progettare una serie di mostre all’estero negli anni dal 1926 al 1932, con la finalità di individuare e consolidare lo stile di questo movimento artistico inteso come quello italiano per eccellenza. Margherita Sarfatti a bordo dell’aeroplano Golden Ray, durante il viaggio in America del Sud, fotografia dell’agosto – ottobre 1930, Mart, Archivio del ‘900, Fondo Sarfatti Molti critici ed intellettuali a partire da Ojetti e da Lino Pesaro, sostenuto quest’ultimo da Farinacci nelle pagine di Critica Fascista, mireranno però a demolire questo mito. Contrasti innumerevoli che portano progressivamente ad emarginare la Sarfatti dai ruoli direttivi e di prestigio e culminano con il suo esilio dopo la promulgazione nel 1938 delle leggi razziali in Italia. La figura di Margherita Sarfatti evoca un’età drammatica della storia d’Italia. Come una falena che ha corteggiato pericolosamente il fuoco, il rapporto con il fascismo e la vicinanza a Benito Mussolini sono state – per usare un suo stesso titolo – la colpa – che però le ha garantito di esercitare i propri talenti e di rimanere al centro della politica culturale del Paese in un’epoca in cui difficilmente si è potuto distinguere una dimensione dall’altra. Queste parole di presentazione al catalogo della mostra del direttore del Mart, Gianfranco Maraniello, sintetizzano in maniera efficace la parabola di questa donna che è stata amica di Anna Kuliscioff, di Ersilia Bronzini, fondatrice de L’Unione Femminile e di Angelica Balabanoff: donne di spicco per i loro meriti sociali e politici nel panorama italiano. E’ stata una madre che ha perduto il figlio Roberto di diciassette anni nel primo conflitto mondiale. Lo scultore Adolfo Wildt, che aveva ritratto nel marmo il marito Cesare da giovane, fu il disegnatore del monumento funebre di Roberto. Importante è stato per la costruzione della mostra l’acquisto da parte del Mart di Rovereto dell’intero Fondo di Margherita Sarfatti , che era stato conservato con cura dalla stessa critica d’arte e poi dalle eredi. Un unico catalogo edito da Electa ha seguito il progetto unitario delle due istituzioni il Mart di Rovereto e il Museo del Novecento di Milano. L’architetto Mario Bellini che ha curato il particolare allestimento dell’esposizione milanese ha elogiato nel corso della conferenza stampa l’opera significativa delle due istituzioni citate, nell’attività di ricerca, obiettivo questo primario perché i musei siano realtà vive. Carlo Carrà, Il pagliaio, 1927, Collezione privata Patrizia Lazzarin .