Tamara Colacicco

Il clero napoletano tra collaborazione e lotta alla *

La società dell’“umirtà” o “bella società rifurmata” [...] ha sede principale in Napoli [...]. I componenti, oltre Dio, i fanti e i loro Capi, non conoscono altra autorità [...].1 Questi signori giravano circondati da persone premurosissi- me […]. Una volta, in una processione, mi accorsi di un tale da tutti riverito, che si esibiva ad offrire biglietti da cento- mila lire alla statua della Madonna.2

1. Lo stato degli studi e le ragioni di una ricerca

La pratica incondizionata dell’illegalità e del sopruso, combinata al culto della morte, costituisce l’humus che ha reso fertile la vita dei sistemi organizzati di stampo mafioso. Può sembrare un ossimoro accostare tali caratteristiche all’istituzione, la Chiesa, che ha il compito di tramandare il messaggio evangelico, eppure le parole del giornalista Attilio Bolzoni, rievocate da Vincenzo Ceruso, «non c’è mafia senza Chiesa. Non ci sono mafiosi senza fede»,3 denunciano un legame profondo, quasi indissolubile, tra le due realtà. Inoltre, come ha sottolineato Alessandra Dino, il rapporto

*Al prof. Pasquale Sabbatino, perché una sua semplice domanda mi ha spalancato le porte su un intero mondo. 1. Il codice della camorra, in Del Rio, D. Riboldi, A. Riboldi, Il vescovo e la piovra, Casale Monferrato 1990, p. 64. 2. Del Rio, Riboldi, Riboldi, Il vescovo e la piovra, p. 69. 3. Cfr. V. Ceruso, La Chiesa e la mafia: viaggio dentro le sagrestie di Cosa Nostra, Roma 2007, p. 11. 258 Tamara Colacicco tra clero e istituzioni ecclesiastiche da un lato e Cosa nostra dall’altro risul- ta contraddittorio e pluriforme.4 Gli studi sulle connessioni tra universo criminale, pratiche religiose e la Chiesa, si sono concentrati soprattutto sulla mafia siciliana lasciando per molti aspetti in ombra le altre organizzazioni criminali. Manca ad esempio per la camorra un’indagine tesa a indagare capillarmente tanto il complessivo rap- porto tra clero e criminalità locale quanto il peso delle pratiche religiose nei riti di iniziazione e nella stessa vita socio-devozionale della mafia operante in , mentre, come dimostrano i volumi di Rosario Giué e Goffredo Fofi dedicati a don Giuseppe Diana, l’interesse per questa organizzazione si è concentrato su singole figure di ecclesiastici anticamorra.5 La mancanza di lavori sistematici mi ha convinto a privilegiare un lavoro di analisi delle cro- nache giornalistiche, della produzione che ha rielaborato in forma letteraria documenti d’inchiesta e notizie di quotidiani, dei prodotti culturali che hanno rappresentato la camorra e nei quali la camorra stessa non di rado si è rispec- chiata (come alcune rappresentazioni cinematografiche).6

4. Cfr. A. Dino, La mafia devota. Chiesa, religione, Cosa Nostra, Roma-Bari 2010 (I ed. 2008), in part. il prologo All’ombra del monte Grifone, pp. 3-11. 5. Le ricerche a cui ci si riferisce nel testo sono R. Giué, Il costo della memoria: Don Peppe Diana il prete ucciso dalla camorra, Milano 2007; Per amore del mio popolo: Don Peppino Diana, vittima della camorra, a cura di G. Fofi, Roma 2010. Cfr. anche G. Solino, La buona terra: storie dalle terre di Don Peppe Diana, Molfetta 2011, pp. 31-32. Non esiste un volume che affronti organicamente la dialettica tra universo camorristico, religiosità e Chiesa. Qualche spunto al riguardo è rinvenibile in A. Manganiello, A. Manzi, Gesù è più forte della camorra: i miei sedici anni a Scampia fra lotta e misericordia, Milano 2011. Molte informazioni sono rintracciabili anche nella ricca opera a stampa di mons. Riboldi che, tuttavia, tendenzialmente accosta il fenomeno malavitoso campano a quello siciliano: cfr. il breve opuscolo A. Riboldi, 25 anni tra mafia e camorra: la testimonianza di un vescovo co- raggioso, a cura di E. Fizzotti, Rivoli 1988 e i volumi: D. Del Rio, A. Riboldi, Il vescovo e la piovra, Casale Monferrato 1990; A. Riboldi, Non Posso Tacere: il sud non è l’inferno, a cura di F. Trapani, Milano 1993; Id., Tempo di Coraggio, Vigodarzere 1996; Id., Per amore del mio popolo non tacerò: dopo Falcone e Borsellino, Cinisello Balsamo 2003; Id., Gli scugnizzi di Don Antonio, a cura di R. Borzillo, E. Scarici, Padova 2005. Su spiritualità, Chiesa e Camorra è disponibile anche un saggio di E. Chiavacci, Riflessioni morali sui comportamenti connessi al fenomeno mafia-camorra, in A. Riboldi, M. Sgroi, A. Lamberti, B. Forte, E. Chiavacci, Chiesa, mafia, camorra, Roma 1984, pp. 83-102 che analizza in modo comparato il fenomeno in Sicilia e in Campania da una prospettiva etica e pastorale. Il fenomeno malavitoso campano è accostato a quello delle altre realtà mafiose anche in I. Sales, I preti e i mafiosi: storie dei rapporti tra mafie e Chiesa cattolica, Milano 2010. 6. Sull’immedesimazione della Camorra in specifici prodotti culturali (film, sceneg- giate, canzoni neomelodiche) cfr. M. Ravveduto, Napoli serenata calibro 9: storia e im- Il clero napoletano tra collaborazione e lotta alla camorra 259

Questo saggio si prefigge lo scopo di tratteggiare una prima griglia che consenta di esaminare il rapporto che intercorre tra mondo camorristico, prassi religiosa e clero locale, cercando di rispondere alle seguenti doman- de: quali sono state le principali personalità del clero che hanno indicato la necessità di contrastare la malavita e con quali strumenti hanno sviluppato e portato avanti la loro azione pastorale? Quando ha preso corpo all’interno della Chiesa campana e nazionale un atteggiamento di contrasto alla camor- ra e come si colloca tale azione rispetto al quadro delle iniziative condotte all’interno della più ampia società civile? E ancora, sul versante del rapporto dei membri dei clan con rituali e credenze religiose: attraverso quali canali si è trasmesso il sentimento di appartenenza dei camorristi alla tradizione cattolica? In che modo alcune ritualità, come quelle legate alla liturgia sa- cramentale, sono state riversate nei riti di affiliazione? Offrire una risposta a questi interrogativi equivale non solo a colmare una lacuna storiografica, fa- cendo emergere specificità pratiche e teoriche legate ai legami e ai contrasti tra clero locale e camorra, ma anche, usando l’organizzazione camorristica alla stregua di un case study, fornire un ulteriore tassello alla conoscenza del più generale rapporto tra la Chiesa e le mafie italiane.

2. La Chiesa campana tra collaborazione e lotta alla camorra

Il legame tra pratiche religiose e camorra si concretizza sia in alcuni elementi devozionali sia nei richiami alla pratica liturgia. Nello specifico risulta essere particolarmente sentita tra i criminali napoletani, congiunta- mente ai ceti medio-bassi del popolo partenopeo, la devozione mariana; si ricordi il classico congedo che viene rivolto alle masse dei fedeli dall’ar- civescovo Crescenzio Sepe: «A Maronn v’accumpagn».7 Molto indicativi, a tal riguardo, sono anche i numerosi riferimenti al culto della Vergine magini della camorra tra cinema, sceneggiata e neomelodici, Napoli 2007. Di una certa utilità anche il romanzo G. Marrazzo, Il Camorrista: vita segreta di , Napoli 1985 costruito sulla base di fatti di cronaca, ma che lascia ampio spazio alla rielaborazione psicologica romanzata del profilo cutoliano. 7. Cfr. per l’uso di questa espressione S.G. Buccini, Le mille vite del Cardinale: «in fila per chiedergli un lavoro», in «Il Corriere della Sera», 18 giugno 2010, p. 10. Per il culto di varie immagini della Madonna tra i camorristi, come quella di Montevergine, della Pignasecca e del Carmine, venerata come loro protettrice, cfr. M. Esposito, Uomini di camorra: la costruzione sociale dell’identità deviante, Milano 2004, p. 12, p. 23, pp. 116-117 e p. 121. 260 Tamara Colacicco nei film del regista Alfonso Brescia interpretati dal “personaggio-guappo” Mario Merola: pellicole nelle quali la camorra ha riconosciuto e sublimato il suo codice interno comportamentale.8 A proposito dell’immaginario devozionale del camorrista e della ritua- lità di matrice cattolica vanno indicati almeno altri due elementi. In primo luogo, la sovrapposizione della figura del boss a quella di Dio o del Messia e, conseguentemente, dell’ordine impartito al Verbo, inteso come parola profetica, annunciatrice di “giustizia” e “riscatto sociale” e portatrice di “salvezza” per i più deboli e disagiati. In secondo luogo, il legame instau- rato tra il rito di iniziazione alla Nuova Camorra Organizzata (NCO) e la pratica eucaristica dello spezzare il pane e del versare il vino, che sancisce una fusione tra i “discepoli” e il capo equiparata alla comunione instaurata con Dio dall’Eucarestia.9 Analogamente a quanto osservato per Cosa nostra, uno dei modi in cui si è espressa la religiosità dei malavitosi e la loro capacità manipolatrice è il coinvolgimento nel tessuto delle feste patronali. Sono documentati i casi della Festa dei Gigli e di quella in onore dei santi protettori di Acerra Cuo- no e figlio in cui la camorra ha agito in qualità di sponsor.10 In particolare, la Festa dei Gigli è un evento allestito sia nel quartiere partenopeo di Barra che in altri centri dell’hinterland e della regione Campania, ad esempio a Nola in cui il rito si lega alla figura del santo patrono Paolino. La caratteri- stica principale di questo tipo di festeggiamenti è la sfilata di enormi carri lignei alti anche venti metri che sono stati letti come simboli fallici, retag-

8. Tra i film di Brescia interpretati dal celebre cantante-attore napoletano troviamo un riferimento visivo o verbale alla Madonna in Napoli serenata calibro 9 e in L’ultimo guappo, entrambi prodotti in Italia nel 1978. Per l’immedesimazione dei camorristi nei film di Brescia cfr. Ravveduto, Napoli serenata calibro 9, pp. 22-37, in cui l’autore analizza la figura di Merola in relazione al processo identificativo della Camorra. Cfr. anche la prefa- zione di Giuliano Amato, pp. IX-XII. 9. Cfr. Del Rio, Riboldi, Il vescovo e la piovra, p. 64, per la visione del capo della Camorra come “Dio”. Un testo particolarmente illuminante sulla visione specifica di Cutolo come un “Dio-Messia” oggetto di venerazione da parte degli adepti, della sua parola come “Verbo” e messaggio di giustizia, è Marrazzo, Il Camorrista (cfr. in part., tra i numerosi riferimenti contenuti nel testo, quelli alle pp. 73, 86, 127-131, 166-171. Per la presenza di elementi eucaristici nel rito di iniziazione alla NCO cfr. anche il film Il camorrista di Giu- seppe Tornatore (Italia, 1986), liberamente ispirato al libro. 10. Sull’infiltrazione della Camorra in queste feste cfr. T. Beneduce,Omaggio ai boss col Giglio, distrutto l’Insuperabile, in «Il Corriere del Mezzogiorno», 30 settembre 2012, p. 2 e Del Rio, Riboldi, Il Vescovo e la piovra, pp. 85-86. Il clero napoletano tra collaborazione e lotta alla camorra 261 gio di culti pagani della fertilità come Cibele e Attis. Sorretti dalla base sulle spalle di una folla animata (“paranza”), le costruzioni vengono fatte sfilare con un chiassoso e folclorico accompagnamento vocale e strumen- tale.11 Più volte (basti ricordare il 30 settembre del 2012 a Barra) la Festa dei Gigli è stata sospesa per l’infiltrazione della camorra, che ha sponso- rizzato l’edificazione degli obelischi con i proventi di estorsioni, nonché veicolato, attraverso la selezione di specifici repertori musicali, messaggi riabilitativi sia della criminalità stessa sia di singole figure di boss protago- nisti di sanguinose faide (Antonio e Angelo Cuccaro, ad esempio).12 Anche il recupero e il riadattamento delle cappelle votive e degli altari- ni collocati a Napoli a ridosso delle abitazioni, prevalentemente dedicate al Crocefisso e alla Madonna, si deve in parte ai clan camorristici. Le edicole sacre risultano diffuse soprattutto nelle aree urbane a estrazione popolare, che coincidono con quelle in cui si registrano i più elevati tassi di malavita come la zona di Montesanto e l’area dei Quartieri Spagnoli.13 Benché piaga sociale plurisecolare, una compiuta denuncia in ambito ecclesiastico del problema della camorra ha assunto una fisionomia chiara solo al principio degli anni Ottanta, sviluppandosi, seppur con alti e bassi, soprattutto nel corso degli ultimi venticinque anni. Una figura di primo piano, che si è distinta per una tenace opposizione alla criminalità organiz- zata, è stata quella di don Giuseppe Diana, assassinato da due affiliati alla camorra nel marzo del 1994, mentre si accingeva a celebrare la messa nella sua parrocchia di San Nicola di Bari a Casal di Principe.14 Per il forte im- pegno all’educazione della legalità e per la morte violenta per mano della criminalità organizzata, il suo profilo, il suo esempio e il suo coraggio pos- sono essere equiparati a quelli di don Peppe Puglisi, il noto sacerdote sici- liano brutalmente ucciso dalla mafia solo sei mesi prima, il 15 settembre 1993. Diana, parroco in una terra segnata dal potere abusivo dei Casalesi, clan che prende il nome appunto dal paese di Casal di Principe, attuò una

11. Cfr. A.A. De Serpis, Con il naso all’insù. Viaggio tra le meraviglie: la Festa dei Gigli, il villaggio preistorico di Nola e le Basiliche Paleocristiane di Cimitele, Napoli 2009, p. 43. Cfr. sulla Festa dei Gigli anche L. Avella, La festa dei Gigli: dalle origini ai nostri giorni, Napoli 1979. 12. Sulle vicende di Barra del 2012 cfr. Beneduce, Omaggio ai boss col Giglio. 13. Cfr. G. Ranisio, Lo Spazio Sacro: per un’analisi della religione popolare napole- tana, Napoli 1978 e M.R. Costa, Le edicole sacre di Napoli, Roma 2002. 14. Su don Diana cfr. nota 5. Sulla morte cfr. almeno Solino, La buona terra, pp. 31-32. 262 Tamara Colacicco costante opera di denuncia del fenomeno mafioso, che toccò il suo acme con la promozione di uno libello distribuito in tutta la foranìa nel dicembre del 1991 dal titolo Per amore del mio popolo non tacerò (Is. 62,1). Il testo fu sottoscritto dai parroci locali, tra i quali va citato il sacerdote “antica- morra” Sebastiano Paolella, parroco della chiesa di San Cipriano d’Aversa il quale lavorò in sinergia con don Diana.15 Questo testo va ricollegato al clima di rinnovamento della pastorale introdotta dall’omonimo documento episcopale del giugno 1982, con il quale i vescovi campani assunsero una ferma posizione contro il sistema camorristico, impegnandosi ufficialmen- te a contrastarlo.16 Nessuna ricerca che intenda analizzare il complesso rapporto tra la Chiesa locale e la criminalità organizzata può prescindere da altre due per- sonalità del clero campano: monsignor Antonio Riboldi, vescovo di Acerra dal 1978 al 1999 – del quale ci resta un’articolata riflessione morale, socia- le e politica sul fenomeno della camorra, con opere che offrono un apporto fondamentale alla ricostruzione delle relazioni tra Chiesa campana e cri- minalità organizzata –, e don Aniello Manganiello, promotore dell’Asso- ciazione per la legalità “Ultimi”. Le radici dell’impegno di entrambi vanno in parte cercate nel carisma delle rispettive congregazioni di appartenenza, l’Istituto della Carità fondato da Antonio Rosmini per Riboldi e l’Opera Don Guanella per Manganiello. In sintonia con il pensiero del fondatore, i rosminiani pongono al centro della loro missione la carità universale che è di ordine spirituale, temporale e intellettuale.17 La carità, intesa soprattutto, secondo la distinzione rosminiana, come “carità temporale”, ovvero di as- sistenza e attenzione ai bisogni del prossimo, è alla base della spiritualità e del pensiero di don Luigi Guanella e del suo ordine la cui missione si caratterizza per un rapporto diretto con il proprio “gregge”.18

15. Su don Sebastiano Paolella cfr. ibidem, pp. 97-98. 16. Sulla nota vescovile cfr. ibidem, pp. 59-69, Del Rio, Riboldi, Il Vescovo e la piovra, p. 77, pp. 92-94, Id., 25 anni tra mafia e camorra, pp. 7-9, Manganiello, Gesù è più forte della camorra, pp. 93-94, p. 217. Sullo scritto di don Diana cfr. Giué, Il costo della memoria, pp. 106-118. 17. Cfr. A. Riboldi, La carità integrale: testimonianza di un vescovo, l’inevitabile impegno del credente nella “Polis”, Casale Monferrato 2003; Id., Non posso tacere, pp. 47-48 e Del Rio, Riboldi, Il Vescovo e la piovra, p. 39. 18. Cfr. M. Carrera, Don Luigi Guanella: una storia chiamata speranza, cent’cin- quant’anni a servizio degli ultimi, Roma 1992. Molti sono i riferimenti ai precetti guanel- liani in Manganiello, Gesù è più forte della camorra (cfr. almeno le pp. 16-17). Il clero napoletano tra collaborazione e lotta alla camorra 263

L’impegno contro la mafie di Riboldi è stato di grande impatto e ha raggiunto un livello di coinvolgimento tale che il vescovo fu costretto a vivere, per un certo periodo, sotto scorta. Egli instaurò rapporti di coope- razione con personalità del calibro di Rocco Chinnici, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella e Antonino Caponnetto tutte, con l’eccezione di Caponnetto, uccise dalla mafia.19 La sua lotta alla criminalità organizzata iniziò in Sicilia dove dal 1958 e per i venti anni successivi svolse la sua missione sacerdotale a Santa Ninfa, nella Valle del Belice, una delle aree più degradate dell’isola. La promozione alla porpora vescovile determinò semplicemente lo spostamento delle sue attenzioni alla realtà malavitosa campana attraverso la denuncia, l’apostolato nelle carceri e una pluriforme campagna di sensibilizzazione pro legalità.20 Sul piano delle infiltrazioni camorristiche nell’allestimento delle feste patronali il vescovo di Acerra ha vietato, nei primi anni Ottanta, gli “aspetti mondani” delle celebrazioni in onore dei santi patroni Cuono e figlio, spon- sorizzati da alcuni boss locali, che si facevano carico dell’illuminazione e intervenivano nella scelta dei cantanti per il concerto pubblico. Per l’occasio- ne sostituì il consueto manifesto del programma con un altro, che spiegava i motivi di tale decisione.21 Su un altro piano, il contatto diretto con i detenuti per associazione a delinquere culminò nell’incontro con Raffaele Cutolo in carcere nel marzo del 1986.22 Cruciale è stata anche la sua esposizione pub- blica, che è passata attraverso l’allestimento di iniziative di mobilitazione sociale. Tra queste spicca l’organizzazione, nel novembre del 1982, della marcia anticamorra su Ottaviano, paese d’origine di Cutolo, il quale era allo- ra ancora nel pieno del suo potere fondato sul sopruso e sull’illegalità: il blitz contro la NCO ci sarà solo nel giugno dell’anno successivo.23 Ricollegandosi alla centralità accordata dai rosminiani alla cari- tà intellettuale, Riboldi ha edificato la sua azione pastorale sulla base di un’analisi critica della realtà del Mezzogiorno e sulla conseguente volontà

19. Cfr. Riboldi, Non posso tacere, pp. 17-32. 20. Cfr. in proposito l’introduzione di A. Caponnetto, ibidem, pp. 5-10. 21. Cfr. Riboldi, Non posso tacere, pp. 66-67 e Del Rio, Riboldi, Il Vescovo e la pio- vra, pp. 85-86. 22. Cfr. Riboldi, 25 anni tra mafia e camorra, pp. 30-31 e Id., Non posso tacere, pp. 153-183. Le ultime pagine indicate raccolgono lettere inedite inviate al mons. Riboldi, mol- te scritte in seguito a sue visite, altre in richiesta di colloqui privati e confessioni. 23. Cfr. Del Rio, Riboldi, Il Vescovo e la piovra, pp. 71-77 e Riboldi, 25 anni tra mafia e camorra, pp. 13-14, pp. 20-21. 264 Tamara Colacicco di promuovere un risveglio della coscienze, soprattutto giovanili. Il punto nevralgico del suo pensiero è identificabile nella difesa del Meridione e nell’incitazione alla tutela dei propri diritti e bisogni, finalizzata a un mag- giore riconoscimento nazionale in vista di un loro miglioramento. Questa presa di posizione risulta essere ancora più significativa se connessa alle sue origini settentrionali, essendo nato nel comune di Triuggio in Brianza. Egli stesso racconta come nel 1958, quando gli fu affidata la parrocchia si- ciliana di Santa Ninfa, fu assalito dal panico al pensiero di doversi confron- tare con uno scenario tanto più povero rispetto a quello da cui proveniva e, soprattutto, lo spaventava il confronto con il fenomeno della mafia: In Sicilia? Quasi mi si annebbiò la testa. Immediatamente si ridestarono in me tutti i giudizi e le fosche visioni che circondavano l’isola: la Sicilia è mafia, la Sicilia è miseria… Feci resistenza con tutte le motivazioni possibili. Scrissi una lettera densa di argomentazioni. Il superiore mi rispose con un biglietto laconico: «Io non so cosa suggerisca a te il tuo Spirito Santo. Il mio dice che devi partire entro quarant’otto ore».24 Secondo Riboldi la questione della persistenza della malavita al Sud trae origine da una visione della popolazione del Mezzogiorno deformata, cui non sono estranee cause di natura politica. Il cittadino meridionale è stato a lungo (e spesso è tuttora) visto e dipinto come lassista e nullafacen- te, in attesa di sussidi statali pagati con le tasse del laborioso Nord. Riboldi costata la falsità di tale immagine dopo aver vissuto nel 1968 l’esperienza del terremoto del Belice e il periodo della ricostruzione, entrando in con- tatto con gente disperata, che si affannava a costruire con le proprie mani le loro nuove case umilissime. Ciò mentre i fondi stanziati a livello nazionale erano sempre inferiori a quelli promessi e insufficienti in un luogo dove la calamità naturale aveva distrutto tutto del poco che c’era. In un luogo dove le gare di appalto subivano le pressioni dei mafiosi, che dovevano essere coraggiosamente contrastate. Dal volume memorialistico Gesù è più forte della camorra emerge con limpidezza l’immagine di un’altra figura di rilievo della lotta alla ca- morra, don Aniello Manganiello. Il racconto delle vicende autobiografiche appassiona e commuove per l’alto coinvolgimento emotivo, soprattutto nel brano in cui descrive il sofferto allontanamento dall’amata Scampia. C’è da dire che Aniello è stato particolarmente attivo sul versante dei media

24. Cfr. Del Rio, Riboldi, Il Vescovo e la piovra, p. 38. Il clero napoletano tra collaborazione e lotta alla camorra 265 tanto da essere stato accusato, da parte dei suoi confratelli e dell’arcive- scovo di Napoli Crescenzio Sepe, di protagonismo mediatico e di essere stato, per questa ragione, definitivamente trasferito a Roma, nel quartiere Trionfale.25 Parroco nell’area Nord di Napoli dagli anni Novanta fino al 2010, si è mosso nel cuore dell’«impero economico e nel sogno di dominio della camorra» ovvero nei sobborghi della degradata realtà urbanistica e delinquenziale descritta in Gomorra da Roberto Saviano.26 La sua azione contro il sopruso e l’illegalità lo ha portato spesso ad aspri dibattiti contro i vertici istituzionali della città di Napoli e della Cam- pania, accusati di aver abbandonato le zone periferiche e più degradate come Scampia, Miano, Secondigliano e Piscinola, preferendo concentrare le loro attenzioni economiche su quartieri partenopei “dabbene” come Mergellina, il Vomero oppure Posillipo. Hanno avuto ampia copertura mediatica le sue critiche rivolte a Rosa Russo Iervolino, sindaco di Napoli dal 2001 al 2011, o ad Antonio Bassolino, detentore della stessa carica dal 1993 al 2000 e per i dieci anni successivi, dal 2000 al 2010, presidente della Regione Cam- pania.27 Non meno duri sono stati gli attacchi rivolti a Saviano e a Sepe. Il primo è stato accusato di avere mostrato con Gomorra solo il volto peggiore di Napoli e di avere trattato la camorra alla stregua di argomento da salotto e discussione letteraria.28 Gli attriti con il cardinale hanno investito ambiti diversi, che includono il mancato riconoscimento di Miano come territorio su cui esercitare la propria missione parrocchiale e l’accusa di privilegiare all’azione discorsi teorici e circostanze formali e ufficiali.29 Il dato di maggiore rilievo della sua strategia pastorale è la denuncia della passività della Chiesa napoletana nei confronti della camorra e l’indi- viduazione di questo atteggiamento come una delle cause del persistere del fenomeno. Questa denuncia è importante per almeno due ragioni: in pri- mo luogo, proviene dall’interno ovvero dalle maglie stesse degli ambienti

25. Cfr. in merito alle interviste da lui rilasciate Manganiello, Gesù è più forte della camorra, pp. 225-226, p. 236, ma numerosi sono i riferimenti, anche in relazione a trasmis- sioni TV a cui ha preso parte, tra cui Le Iene. Per la vicenda del trasferimento, cfr. le molte informazioni disseminate ibidem, pp. 201-241. 26. La citazione su Scampia riportata tra virgolette è, notoriamente, parte del sotto- titolo dell’opera di R. Saviano, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Milano 2006. 27. Cfr. Manganiello, Gesù è più forte della camorra, pp. 97-101 e pp. 127-134. 28. Cfr. ibidem, pp.169-179. 29. Cfr. ibidem, pp. 15-16, pp. 203-205, pp. 237-240. 266 Tamara Colacicco ecclesiastici; in secondo luogo, ha avuto conferme importanti proprio in tempi recenti. Basti pensare alla processione di Oppido Mamertina, in cui la statua della Madonna, mediante il suo inchino, ha onorato un boss legato alla ’Ndrangheta e ad altri episodi analoghi che ci consentono di toccare con mano la tacita accettazione delle mafie da parte di frange del clero.30 Esempi eclatanti di questo stato di fatto provengono dal blitz alla NCO del 1983, che, grazie al ruolo di intermediazione dei collaboratori di giustizia come e , portò a oltre ottocento arresti. Tut- ti ricorderanno la travagliata vicenda di , il celebre conduttore televisivo della trasmissione Portobello, certamente in pochi il coinvolgi- mento nella maxi retata di personalità del mondo ecclesiastico come Aldina Murelli e Mariano Santini. Suora dell’Istituto delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue di Ercolano, la Murelli fu prelevata il 17 giugno nel cuore della notte dal convento tra urla e opposizione fisica nei confronti dei brigadieri che avevano avuto il compito di arrestarla. È stata denominata “Treccani” e “postina” della camorra, rispettivamente perché era al corrente di molti retroscena della NCO e per la sua attività di smistamento degli or- dini di Cutolo agli altri membri del clan (resa possibile dal pretesto di avere intrapreso una corrispondenza epistolare con i detenuti per assisterli spiri- tualmente e guidarli alla conversione).31 Mariano Santini è stato il cappellano del carcere di Ascoli Piceno e ha lavorato a stretto contatto con il leader della camorra Riformata consentendo visite, introduzioni di armi nonché assicu- randogli, sulla scia di Suor Aldina, i contatti con l’esterno su cui l’organizza- zione criminale poggiava la sua esistenza e la sua pericolosa vitalità.32

30. L’impatto mediatico della processione di Oppido Mamertina è stato di una portata eccezionale. Mi limito a segnalare, nell’ambito della stampa cattolica, C. Pelizzoni, Oppido Mamertina: la Madonna non s’inchina ai mafiosi e Id., L’inchino al Boss e la Chiesa tra- dita, in «Famiglia Cristiana», 28 luglio 2014, rispettivamente pp. 26-27 e pp. 29-30. Cfr. anche A. Valle, Calabria: Festa, Padrini, ‘ndrangheta: educare alla fede, in «Famiglia Cristiana», 29 luglio 2014, pp. 38-40. 31. Cfr. E. Corsi, L. Villoresi, La camorra finalmente in galera: retate in tutt’Italia, cen- tinaio di arresti e tante fughe, in «la Repubblica», 18 giugno 1983, pp. 1-4, in part. L. Villoresi, Il “venerdì” nero della camorra: politici, religiosi, terroristi e guappi, p. 2. Cfr. anche E. Corsi, Tutti gli uomini di Don Raffaele: parenti, una corte di legali e potenti amici, in «la Repubblica», 19-20 giugno 1983, p. 2. Su suor Aldina si rimanda, in relazione alla stampa internazionale, anche a J. Earle, 900 Held in Crackdown on Camorra, in «The Times», 18 giugno 1983, p. 5 e nello stesso giornale Id., Camorra Chief’s Wife and Sister Sought by Police, 19 giugno 1983, p. 5 e P. Nichols, Euro-MP and 135 Jailed for Mafia Links, 18 settembre 1985, p. 6. 32. Cfr. Villoresi, Il “venerdì” nero della camorra; Earle, 900 Held in Crackdown on Camorra; Nichols, Euro MP; Marrazzo, Il Camorrista, pp. 145-146, p. 187 e p. 190. Il clero napoletano tra collaborazione e lotta alla camorra 267

3. Conclusioni

Gli studi disponibili sulla religiosità mafiosa e sul rapporto tra Chiesa e mafie si sono concentrati soprattutto sullo scenario siciliano, trascurando altri sistemi malavitosi regionali. Manca un’analisi sistematica sia sulle forme di devozione dei camorristi che sulla dialettica tra clero e crimina- lità organizzata campana. Ponendosi come un primo sguardo su un vasto orizzonte inesplorato, la mia indagine suggerisce innanzitutto i canali prin- cipali che hanno rafforzato nel tempo il rapporto tra religione e camorra: il culto mariano; l’infiltrazione e la manipolazione delle feste religiose, come quella dei Gigli; la presenza di una simbologia eucaristica nel rito di affi- liazione alla NCO; la sacralizzazione del boss, considerato dagli affiliati al clan come una sorta di profeta portatore di verità e giustizia evangelica, di cui la figura di Raffaele Cutolo è la sua rappresentazione più riuscita. Inoltre, i primi anni Ottanta costituiscono una data periodizzante in cui da un lato si consolidano i legami tra NCO e clero collaborazionista, dall’altro, grazie soprattutto all’impegno pastorale del vescovo di Acerra Antonio Riboldi, si assiste alla nascita in Campania di una linea di contra- sto ecclesiastico alla camorra. Si tratta di un impegno che dai vertici si è spostato alle ramificazioni territorialmente periferiche della Chiesa campa- na per mezzo di alcune personalità che hanno talvolta agito in rete (Peppe Diana e i sacerdoti firmatari del documento del 1991), altre volte in manie- ra svincolata (Aniello Manganiello). Infine, il caso di Manganiello dimostra come uno strumento di rilie- vo nella lotta al sopruso e all’illegalità di stampo camorristico sia stato il ricorso alla denuncia mediatica, causa del resto del suo allontanamento da Napoli. La vicenda di questo sacerdote indica, inoltre, l’esistenza di una zona grigia in cui convergono interessi politici ed ecclesiastici. Questo terreno ambiguo si presenta come un elemento di attrito sotterraneo che frena la lotta alla camorra e, allo stesso tempo, comprova l’esistenza di un contrasto profondo all’interno del tessuto ecclesiastico, che impedisce una coerente e compatta linea di opposizione ai fenomeni mafiosi sia da parte della Chiesa che da parte dello Stato.