Corso di Laurea magistrale in Economia e Gestione delle Arti e delle attività culturali

Tesi di laurea

Finanziamento pubblico al “valore culturale” delle produzioni audiovisive: Fondo Audiovisivo FVG in quattro casi di studio

Relatore Prof. Fabrizio Panozzo

Laureando Giuseppe Cotugno Matricola 871954

Anno Accademico 2018/2019 INDICE

INTRODUZIONE ...... 3 CAPITOLO I - MECCANISMI DI FINANZIAMENTO ...... 9 1.1 STATE AID, SOSTEGNO PUBBLICO AL SETTORE CULTURALE ...... 9 1.1.1 PRINCIPALI ARGOMENTAZIONI A FAVORE ...... 9 1.1.1.1 Evitare il fallimento del mercato ...... 10 1.1.1.2 Il rispetto del principio di equità...... 15 1.1.2 THE ECONOMICS OF FUNDING ...... 15 1.1.2.1 Un contesto difficile ...... 15 1.1.2.2 L’intervento pubblico nel settore cinematografico ...... 17 1.1.2.3 Perché analizzare il supporto pubblico al cinema ...... 20 1.1.3 L’IMPORTANZA DELLA DIVERSITA’ CULTURALE ...... 24 1.1.3.1 Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage (2003) ...... 26 1.1.3.2 Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural Expressions (2005) ...... 29 1.2 EUROPA ...... 31 1.2.1 PUBLIC FUNDING IN EUROPE ...... 31 1.2.1.1 Eurimages ...... 34 1.2.1.2 Programma MEDIA ...... 36 1.2.1.3 Programma Europa Creativa ...... 39 1.2.2 FORME DI INCENTIVAZIONE FISCALE ...... 41 1.2.2.1 Tax shelters ...... 43 1.2.2.2 Rebates ...... 45 1.2.2.3 Tax credits ...... 47 1.3 ITALIA ...... 49 1.3.1 IL “NUOVO” SETTORE AUDIOVISIVO ...... 51 1.3.2 RISORSE DIRETTE ...... 53 1.3.2.1 Fondo Unico per lo Spettacolo ...... 54 1.3.2.2 MiBACT ...... 55 1.3.3 RISORSE INDIRETTE ...... 56 1.3.3.1 Tax credit ...... 58 1.4 REGIONI ...... 61 1.4.1 FILM COMMISSION ...... 62 1.4.2 FONDI REGIONALI ...... 64

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CAPITOLO II - DISTRIBUZIONE CINEMATOGRAFICA ...... 71 2.1 FILIERA PRODUTTIVA DEL SETTORE AUDIOVISIVO ...... 71 2.1.1 L’IMPORTANZA DELL’INTEGRAZIONE VERTICALE ...... 76 2.2 DISTRIBUZIONE ...... 78 2.2.1 STRATEGIE DISTRIBUTIVE TRADIZIONALI ...... 79 2.2.2 SVILUPPO E AFFERMAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE ...... 84 2.2.2.1 “The New World of Distribution” ...... 86 2.2.2.2 Distribuzione theatrical e alternativa ...... 90 2.2.3 GATEKEEPER, IL RUOLO DEI DISTRIBUTORI E DEGLI AGENTI DI VENDITA ...... 95 2.2.4 FORME DI DISTRIBUZIONE ALTERNATIVA ...... 97 2.2.4.1 Home Video ...... 98 2.2.4.2 Television distribution ...... 99 2.2.4.3 Video-on-demand (VOD) ...... 100 2.2.4.4 Non-theatrical ed educational distribution ...... 105 2.2.4.5 Film Festival ...... 108 2.2.5 SHADOW ECONOMIES OF CINEMA, LA DISTRIBUZIONE INFORMALE ...... 111 CAPITOLO III - FONDO AUDIOVISIVO FVG ...... 118 3.1 EX CURSUS STORICO, FINALITÀ E STRUTTURA ...... 118 3.1.1 SVILUPPO ...... 121 3.1.2 DISTRIBUZIONE ...... 123 3.1.3 FORMAZIONE ...... 126 3.1.4 UN ESEMPIO SU TUTTI: MENOCCHIO (2018) ...... 127 3.2 RACCOLTA DATI...... 129 3.2.1 ANALISI E DISCUSSIONE GENERALE ...... 129 3.2.2 SELEZIONE EMPIRICA E CRITERI ...... 132 3.2.3 CASO STUDIO ...... 134 3.2.3.1 “Parole povere” (2013) ...... 135 3.2.3.2 “I tempi felici verranno ” (2016) ...... 141 3.2.3.3 “La rosa di Valentino” (2012) ...... 145 3.2.3.4 “Int/Art” (2016-2018) ...... 149 CONCLUSIONI – POLICY MAKER ...... 152 BIBLIOGRAFIA ...... 160 SITOGRAFIA ...... 166

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INTRODUZIONE

Questo elaborato nasce dalla volontà di approfondire il settore audiovisivo dal punto di vista dell’ente pubblico che deve scegliere se e in che misura sostenere il finanziamento a determinati progetti, attraverso quali meccanismi e secondo quali criteri di valutazione. In un mercato tanto ricco di industrie di diverse dimensioni, la mia attenzione si è concentrata sulle piccole case indipendenti locali, composte di produttori e distributori di film a basso budget che il più delle volte dimostrano di non produrre un considerevole valore economico. Ho quindi voluto dare estrema importanza al valore culturale, affinché divenisse la motivazione principale in risposta alla domanda del perché continuare a finanziare questo tipo di progetti. Con l’obiettivo di legittimare che attraverso il denaro pubblico si possono finanziare produzioni che mostrano uno scarso valore economico (indicato ad esempio dall’incasso al box office o dal numero di biglietti staccati nei cinema), ho concentrato il mio lavoro sulla distribuzione cinematografica, soprattutto per capire che forme diverse dalle solite dovesse assumere per diventare generatrice di valore culturale. Raccogliendo preziosi spunti da diverse letterature globali già esistenti, ho delimitato il mio territorio di analisi alla Regione in cui vivo e sono cresciuto, il Friuli-Venezia Giulia, di cui il Fondo Audiovisivo FVG è modello e vanto a livello nazionale per la capacità di finanziare e promuovere con successo centinaia di produzioni locali, seguendole dallo sviluppo sino alla fase finale di distribuzione. Ho strutturato l’elaborato in tre capitoli, fino a giungere a conclusioni assumendo il punto di vista di un policy maker.

Il Capitolo 1 è una mappatura di tutti i meccanismi esistenti di finanziamento pubblico al settore audiovisivo. Sono partito da una premessa necessaria per porre basi solide sul perché i governi dovrebbero sovvenzionare le arti, ripercorrendo i possibili fallimenti a cui il mercato incorrerebbe se lo Stato non intervenisse con sussidi. Ho quindi messo a fuoco il settore audiovisivo, che negli anni ha avuto attenzioni diverse per quanto riguarda l’intervento pubblico, sia di natura economica che culturale, cercando di

3 marcare le principali criticità che ogni autorità statale denota. A proposito di questa seconda natura, diventa fondamentale anche per le conclusioni finali un paragrafo dedicato all’importanza della diversità culturale, supportato con convinzione dalla Comunità Europea e dall’UNESCO, anche attraverso le due convenzioni sulla salvaguardia del patrimonio culturale intangibile e sulla protezione e promozione della diversità culturale. Sono passato dalla generalità globale alla specificità geografica europea, presentando la storia degli aiuti settoriali all'industria cinematografica negli anni e mostrando come il sostegno comunitario al settore audiovisivo abbia puntato, non senza difficoltà e contraddizioni, a fronteggiare numerose debolezze strutturali. Vengono forniti alcuni esempi dal fondo Eurimages, dal Programma MEDIA e dal Programma Europa Creativa, in chiave di continuità e unendo i due settori cultura e creatività. Il lavoro fatto dal Council of Europe, che ha istituito l’European Audiovisual Observatory, è stato molto utile per mappare a livello europeo tutte le forme di incentivazione fiscale che ogni Paese ha introdotto negli anni, raggruppabili in tax shelters, rebates e tax credit. A questo punto mi sono quindi calato nella realtà nazionale, l’Italia, che negli ultimi anni ha attuato considerevoli politiche culturali dedicate al cinema. Non solo l’articolo 9 della Costituzione che afferma che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, ho voluto esaminare anche i principi che hanno ispirato l’aggiornamento della precedente normativa e in particolare di quella parte che regolamenta il sostegno pubblico al settore. Settore che con la recente legge n.220 del 2016 (e successivi decreti attuativi) viene ridefinito e allargato, con la nuova definizione di opera audiovisiva. Per quanto riguarda i meccanismi di finanziamento pubblici, in linea con quanto previsto in altri Paesi della Comunità Europea, l’Italia, attraverso il MiBACT, prevede l’intervento con risorse dirette (contributi selettivi e automatici) e risorse indirette (tax credit). L’esamina si conclude con la specificità regionale, il cui possibile intervento pubblico può essere dato dall'opportunità di girare sul territorio regionale con l'assistenza e il supporto

4 di Film Commission locali e dalla possibilità di ottenere un sostegno economico concreto nei territori dove sono disponibili specifici fondi di sostegno alla produzione dell'opera o ad altre fasi della filiera. Ho voluto concentrarmi con più attenzione sui fondi regionali, piuttosto che sulle Film Commission: a differenza di quanto avviene per i fondi di sostegno nazionali e sovranazionali, mossi da una motivazione che ha che fare con la valorizzazione dell'opera audiovisiva in quanto prodotto culturale e frutto di un impegno obbligatorio dell'amministrazione pubblica nel sostegno al settore, i fondi regionali nascono da una volontà politica locale che a fronte di un investimento si aspetta di ottenere un ritorno che, di qualsiasi natura esso sia, deve giustificare l'investimento stesso.

Il Capitolo 2 rappresenta la parte centrale di questo elaborato e si concentra interamente sulla distribuzione cinematografica, non prima di aver presentato brevemente l’intera filiera produttiva del settore audiovisivo ponendo particolare attenzione all’importanza dell’integrazione verticale, specifica articolazione del modello di business in cui un unico soggetto controlla tutti o alcuni anelli della filiera, controllo che nel caso del mercato cinematografico si può estendere a tutti i momenti che vanno dalla realizzazione allo sfruttamento del prodotto filmico. La distribuzione è il perno attorno al quale ruota il mondo del cinema e riunisce una molteplicità di aziende che partecipano al processo di vendita e acquisto dei diritti dei film sul mercato: dal punto di vista dei produttori, la distribuzione svolge un ruolo fondamentale nel processo di abilitazione o meno dell'accesso al pubblico; dal punto di vista del pubblico, la distribuzione svolge un ruolo fondamentale nel fornire l'accesso ai film che si preferisce guardare. Sebbene non sia il territorio analitico scelto per la mia tesi, è stato necessario partire dalla distribuzione classica attraverso le più tradizionali strategie delle grandi major, che vedono la sala come forma principale e naturale di sbocco. Questo mercato theatrical, dominato da specifici meccanismi di windowing e massimizzazione del risultato al botteghino, ha per anni precluso l’accesso a piccole industrie cinematografiche indipendenti, che solo nell’ultimo decennio, grazie ad un radicale cambio di tendenza (dato anche e soprattutto dallo sviluppo di nuove tecnologie

5 multimediali), hanno visto una particolare attenzione distributiva. Nel paragrafo che affronta questa nuova affermazione, si parla quindi di un New World of Distribution all’interno del quale registi, produttori e distributori indipendenti hanno ampio potere decisionale e di controllo nello scegliere forme alternative per la fruizione del proprio prodotto, lasciandosi alle spalle un mondo ormai obsoleto. Tale distribuzione alternativa viene inquadrata in letteratura da una serie di autori diversi. Le tre forme più classiche di distribuzione alternative alla sala riguardano il mercato domestico: la fruizione dei film a casa propria può avvenire sostanzialmente attraverso il mezzo televisivo, il video-on-demand e l’home video (da notare come nella distribuzione classica queste tre forme consistevano nel mercato secondario, ausiliario al theatrical, mentre qui diventano una vera e propria alternativa). Si aggiungono poi le forme non- theatrical in spazi e luoghi diversi dalla sala o con serate-evento speciali, con la specifica distribuzione di tipo educational (proiezione in scuole, università, biblioteche, ecc.) ed il mercato dei film festival. Verrà spiegato come i film festival, nella sfera indipendente locale, si prefigurino come forma distributiva alternativa, quando nella distribuzione classica si limitavano alla sola funziona promozionale. Un contributo sostanziale viene inoltre fornito dalla letteratura dedicata all’economia informale, all’interno della quale spesso profili formali assumono delle zone d’ombra difficilmente quantificabili. Ho ritenuto importante dedicare un paragrafo al ruolo dei distributori e degli agenti di vendita, che nel mercato assumono la funzione cruciale di gatekeeping, rendendo il prodotto disponibile al pubblico, esercitando un controllo sui criteri di inclusione ed esclusione, sul processo di abilitazione dell'accesso ad alcuni film e sulla non concessione dell'accesso ad altri. I distributori e gli agenti di vendita sono quindi i principali gatekeepers che investono in film e vi aggiungono valore economico e soprattutto culturale inserendoli nel processo di distribuzione. Segue un paragrafo che dà corpo allo scopo della domanda di tesi e offre una griglia non canonica ma alternativa, all’interno della quale poter mappare la circolazione di un film per capire da chi sia stato visto, dove sia stato portato, in quale occasione e cosa vi sia

6 stato organizzato attorno; insomma, una distribuzione il cui dato finale non sia l’incasso o la bigliettazione, bensì l’impatto sociale e culturale dato dal numero di persone che possono aver visto il film. Il capitolo si conclude con la presentazione di quelle che vengono definite shadow economies e generano distribuzione informale attraverso canali non regolamentati o non monitorabili con dati precisi. Mentre la distribuzione formale è caratterizzata da modelli di business e sistemi statistici, la distribuzione informale è prevalentemente di tipo non- theatrical e caratterizzata da accordi con vendite forfettarie, strette di mano e pirateria.

Il Capitolo 3 rappresenta il caso di studio finale. Come già anticipato ho scelto di focalizzarmi sul Fondo Audiovisivo FVG, di cui ho ritenuto opportuno presentare un ex cursus per spiegare come sia nato, con quali finalità, che attività abbia intrapreso negli anni e quali successi abbia permesso di conseguire. Ho effettuato dagli archivi online una raccolta dati di tutti i progetti finanziati dal 2006 al 2019, sulla base della quale ho fatto particolari considerazioni anno per anno. A partire da un campione di 307 progetti finanziati, ho portato avanti una selezione empirica fondata su più fasi, concentrandomi inizialmente sul raggiungimento o meno del contributo alla distribuzione a partire dallo sviluppo (le due tipologie di supporto che il Fondo fornisce). Ho quindi deciso di dare delle caratteristiche specifiche al campione, considerando solo produzioni a carattere locale che affrontino tematiche strettamente legate al territorio e profondamente radicate nel tessuto tradizionale-culturale, con una particolare valenza artistica e con un taglio documentaristico, risultato di una produzione indipendente a basso budget. Ho infine scelto di osservare esclusivamente i film che hanno concentrato la propria distribuzione attraverso canali alternativi, arrivando ad una selezione finale di 31 film. Nel paragrafo conclusivo ho scelto quattro film e ne ho fornito una presentazione del progetto e degli obiettivi iniziali ed una mappatura della distribuzione alternativa quanto più precisa e dettagliata possibile, lavoro che è stato reso possibile grazie all’incontro con

7 registi, produttori e distributori dei seguenti progetti: Parole Povere (2013), I tempi felici verranno presto (2016), La rosa di Valentino (2012), Int/Art (2016-2018).

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CAPITOLO I - MECCANISMI DI FINANZIAMENTO

1.1 STATE AID, SOSTEGNO PUBBLICO AL SETTORE CULTURALE

1.1.1 PRINCIPALI ARGOMENTAZIONI A FAVORE Quando ci si domanda se i governi dovrebbero sovvenzionare le arti, numerosi sono i dibattiti che si accendono tra gli economisti. 1) La prima principale corrente di pensiero giustifica sovvenzioni e altre forme di intervento da parte dei governi, avvalendosi di due macro-motivazioni. Nella realtà il mercato non funziona seguendo i meccanismi di concorrenza perfetta e quindi secondo i criteri di efficacia nel conseguimento degli obiettivi prefissati ed efficienza nell’allocazione delle risorse. Di conseguenza, senza i sussidi da parte dello Stato attraverso il suo intervento si avrebbe un fallimento del mercato, di cui Heilbrun e Gray (2001) individuano diverse forme. Una seconda argomentazione a favore dell’intervento dello Stato e parallela alle forme di fallimento di mercato è che senza i sussidi non ci sarebbe la giusta equità, dal momento che l’esistente distribuzione del reddito è insoddisfacente e quindi i sussidi interverrebbero per colmare tale mancanza di reddito. 2) La seconda principale corrente di pensiero è supportata da alcuni economisti conservatori che, seppur in maniera più contenuta e meno convincente, sostengono che lo Stato non debba intervenire attraverso sussidi pubblici, anche se con argomentazioni limitate. Senza superare i confini degli Stati Uniti, essi considerano infatti pochi tipi di esternalità, limitando il discorso solo ad alcune forme di produzione culturale. Affermano inoltre che il governo non può dire cosa sia buona o cattiva e che i sussidi possano essere nocivi attraendo pseudo-artisti, sperperando quindi parte del budget. Un’ulteriore argomentazione contro i sussidi statali risiede in asimmetrie informative causate dalla presenza del mercato privato (Heilbrun e Gray, 2001).

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1.1.1.1 Evitare il fallimento del mercato Monopolio Si tratta di una causa del fallimento del mercato perché il monopolista può limitare l’output e ottenere dei profitti extra (Fig. 1.1, parte evidenziata di colore rosso) alzando i prezzi da Pc a Pm oltre il livello del costo marginale (MC) che invece prevarrebbe in caso di concorrenza, provocando una perdita secca di benessere (Fig. 1.1, parte evidenziata di colore blu). Quindi poiché la produzione si arresta al di sotto del livello al quale i costi marginali sono uguali al prezzo (AC=MC=Pc), ad alcuni consumatori vengono negati beni per i quali pagherebbero più del costo incrementale di produzione (Heilbrun e Gray, 2001).

Figura 1.1 – Diagramma del monopolio

Legge di Baumol (1966) L’aumento della produttività dovuto alla crescita generale dell’economia negli Anni ’60 in America con nuove tecnologie come metodi di produzione e organizzazione (più output con meno input) non influenza anche il settore culturale, dal momento che era impossibile risparmiare sugli input di carattere puramente artistico. Pertanto, l’aumento dei salari si dimostra dipendente unicamente da un aumento dei prezzi degli spettacoli, ma tale aumento, se eccessivo, avrebbe causato una drastica diminuzione della domanda. Dall’altra parte, se i salari degli artisti fossero aumentati in modo ridotto, una fetta importante di artisti dello spettacolo sarebbe uscita dal mercato. Se si fosse quindi

10 lasciato l’intervento al libero mercato, la conseguenza principale sarebbe stata una riorganizzazione del settore artistico professionale, con una riduzione di tutte le attività. Eppure, questa “malattia dei costi”, che se lasciata al libero mercato porta inevitabilmente al fallimento dello stesso, non sembra essere così grave se si considerano i modi per arginarla attraverso l’intervento pubblico, come ad esempio la ricerca di tecnologie migliori nel settore come co-produzioni, politiche culturali pubbliche e private che aumentino sussidi e donazioni studiando a fondo tutti i possibili stakeholders, l’incoraggiamento dell’educazione artistica per contribuire alla formazione di un gusto attraverso politiche culturali di lungo termine, l’incentivazione del marketing per sopperire a certi aspetti di produzione e distribuzione e rafforzare la domanda. Per tali motivi, anche in questo caso l’intervento dello Stato può arginare il fallimento di mercato (Baumol e Bowen, 1966).

Esternalità e beni collettivi Le esternalità esistono quando le attività di un’azienda influenzano altre aziende senza che non venga pagato alcun compenso. Quindi, il trasferimento di tecnologia dal settore culturale ad un altro settore del mercato (ad esempio la sanità). Ma le esternalità non sono soltanto positive, si pensi ad esempio all’inquinamento e non vengono mediate dal mercato. Ciò significa che le risorse utilizzate nella loro produzione non influenzano il sistema dei prezzi e per questo possono essere un’importante causa del fallimento del mercato. Lo Stato può però prevenire il fallimento del mercato incoraggiando la produzione e pagando un sussidio pari al valore marginale dell’esternalità (Heilbrun e Gray, 2001). E’ vero anche, però, che le arti possono produrre esternalità positive sotto forma di benefici collettivi, i quali possono agire come eredità per le generazioni future, preservando l’arte e la cultura, come identità nazionale e prestigio attraverso sentimenti di orgoglio per la propria terra, come benefici all’economia locale riversando i benefici nelle attività artistiche anche agli altri produttori nell’economia locale attraverso attrazione di consumatori fuori città o attrazione di nuove aziende incoraggiate dalla presenza di patrimonio culturale, come miglioramento sociale di chi partecipa all’arte,

11 come incoraggiamento dell’innovazione artistica con invenzioni come fonte di progresso economico. Heilbrun e Gray (2001) rappresentano graficamente (Fig. 1.2) i benefici privati (quindi diretti), esterni e sociali (somma dei benefici dell’individuo e della collettività) derivanti dall’educazione al fine di misurare in che forma lo Stato dovrebbe intervenire attraverso sussidi.

Figura 1.2 – Benefici privati, esterni e sociali dell’educazione (Heilbrun e Gray, 2001)

Sull’asse delle ascisse si trovano gli anni di scuola. Le curve di utilità individuale e collettiva sono decrescenti, vale la legge dei rendimenti decrescenti. La retta MC rappresenta l’offerta degli anni di scuola, mentre la retta DP rappresenta la domanda privata per l’educazione, che è decrescente. Secondo la legge del mercato, l’equilibrio si raggiungerebbe nel punto in cui la domanda incontra l’offerta (C1; Q1). Questo grafico mostra come i benefici individuali dell’andare a scuola non siano gli unici benefici e anzi che vi sia un beneficio anche per la collettività: l’istruzione porta un gran numero di benefici collettivi, rappresentati dalla retta DE, cioè la retta dei benefici marginali esterni o benefici collettivi. Sommando la curva dei benefici marginali esterni ai benefici marginali privati si trova la retta Ds dei benefici marginali sociali. La società è intesa come somma dell’individuo e della collettività di cui fa parte, quindi il nuovo equilibrio corrisponderebbe ad una maggiore quantità di anni di studio Q2 allo stesso costo C1. Si arriva quindi alla conclusione che la partecipazione dello Stato ai costi dell’istruzione

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(subsidy) permette di avere la stessa quantità Q2 ad un prezzo C2, cioè senza alzare il prezzo per il singolo individuo (Heilbrun e Gray, 2001). McCharty et al. (2005) contribuiscono ad arricchire questa esamina sui benefici socio- economici del settore culturale al fine di evidenziare l’importanza e il valore delle arti per l’intera società, al tempo stesso rimarcando il fatto che i soli benefici economici possono essere un’arma a doppio taglio dal momento che si può creare una concorrenza inutile e nociva tra le arti e gli altri settori economici. Tra i benefici intrinsechi delle arti vengono citati il coinvolgimento sia personale che collettivo, il piacere personale, la crescita cognitiva, la capacità di espressione personale e collettiva e la creazione di una comunità, sottolineando l’importanza di una esposizione precoce e di qualità al mondo delle arti. Vi sono poi benefici strumentali quali il capitale umano (sviluppo di capacità cognitive, attitudinali, comportamentali e di autodisciplina), il capitale sociale (sviluppo delle capacità interattive, di comunità, di identità e di coesione) ed il capitale economico (capacità di trovare occupazione, di aumentare le entrate e le risorse, considerando arte e cultura come fonte economica e di aumento del PIL) (McCharty et al., 2005). Viene inoltre fatta una divisione tra benefici diretti delle arti e benefici indiretti (o esterni, collettivi). I benefici diretti possono avere differenti valori d’uso associati, si pensi ad esempio al beneficio culturale-creativo che può avere valori estetici, spirituali, sociali, storici, simbolici, di autenticità o di nazionalità (il film La corazzata Potëmkin di Sergej Ėjzenštejn pietra miliare del cinema, emblema storico della Russia di quell’epoca e di forte ispirazione per registi futuri); al beneficio economico con relativi valori di produzione (il film Avengers: Endgame di Anthony e Joe Russo con record di incassi pari a $2.797.800.564 registrati da boxofficemojo.com); al beneficio sociale (il film Accattone di Pier Paolo Pasolini ha sensibilizzato la collettività sul contesto sociale delle borgate romane) (Carluccio et al., 2006). Per quanto riguarda invece i benefici indiretti, essi sono associati a valori non d’uso e sono l’esistenza (un film esiste in quanto tale), l’opzione (in relazione ad un momento futuro di necessità o interesse), il lascito (patrimonio materiale e immateriale che deve essere

13 salvaguardato per generazioni future), l’identità nazionale e il prestigio (un film può essere simbolo per una nazione e di eccellenza per il cinema intero), l’impatto economico sull’economia locale proveniente dall’attrazione turistica, l’educazione, la coesione sociale (attraverso uno stretto rapporto tra economia locale e benessere sociale), l’innovazione artistica, scientifica, tecnologica e manageriale (attraverso sinergie tra settore delle arti e altri settori per sviluppare un’imprenditoria creativa). In conclusione quindi si può affermare che tutte queste liste di benefici collettivi dovrebbero spingere lo Stato a sovvenzionare con sussidi e benefici anche indiretti il settore artistico e culturale (McCharty et al., 2005).

Industrie a costi decrescenti Come mostrato nella Fig. 1.3, se si lasciassero le industrie culturali al semplice meccanismo di mercato, avremmo il punto di equilibrio nel punto in cui la curva di domanda incontra la curva dei costi decrescente (P1, Q1), escludendo quindi tutti quei consumatori che si trovano dal prezzo pari a MC (Q2) e appunto Q1. Per compensare questa perdita di benessere evidenziata nella Figura 1.3 in colore grigio (fallimento del mercato), lo Stato interviene abbassando il prezzo nel punto in cui Q2 incontra la curva dei costi. I musei sono un ottimo esempio di questo fenomeno: la Figura 1.3 presenta il numero di visitatori giornalieri sull’asse delle ordinate e il costo per visitatore (unit cost) sull’asse delle ascisse, la curva ADOC rappresenta i costi totali per visitatore ed è decrescente in quanto man mano che aumentano i visitatori la porzione dei costi fissi viene ammortizzata, la retta D esprime la domanda che è decrescente all’aumentare dei costi (Heilbrun e Gray, 2001).

Figura 1.3 – Funzione dei costi decrescenti nei musei (Heilbrun e Gray, 2001)

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1.1.1.2 Il rispetto del principio di equità I sussidi pubblici al campo delle produzioni culturali sono possibili perché lo Stato incamera le tasse, ma tuttavia potrebbero esserci degli individui che pagano le tasse pur non essendo interessati a finanziare le produzioni culturali con i propri soldi. Emerge quindi un problema di equità in cui lo Stato rischia di imporsi sulle decisioni del cittadino, portando ad una scelta elitaria dell’arte (Heilbrun e Gray, 2001). Per questo è fondamentale che le risorse pubbliche vengano distribuite in un certo modo, secondo una questione politica ed economica prima ancora che culturale, al di là di considerazioni sui beni di merito (i film possono essere visti come beni di merito, ovvero beni pubblici per i quali spesso non c’è una domanda ma sono forniti dal governo secondo motivi paternalistici visti i vantaggi nel promuovere la loro fruizione), ma anzi con un’ottica ancora più ampia di beni di libero accesso per i cittadini (Meloni et al., 2018). I sussidi perciò devono essere distribuiti geograficamente in maniera ottimale ed equa per permettere il godimento a tutta la cittadinanza, supportati da una domanda effettiva che non si limiti al solo numero di visitatori che hanno effettivamente partecipato ad un evento culturale, ma che includa anche una domanda potenziale data dal numero di consumatori che avrebbero potuto partecipare, considerando inoltre una non-domanda data da quella fetta di pubblico a cui non interesserà mai alcun tipo di produzione culturale (Heilbrun e Gray, 2001).

1.1.2 THE ECONOMICS OF FILM FUNDING

1.1.2.1 Un contesto difficile Gli aiuti di Stato per il cinema sono un terreno controverso, colpito da molte sfide e minacce per l'industria, i registi e l'amministrazione governativa. Tuttavia, rimangono uno strumento fondamentale per la diversità culturale nel campo dei media cinematografici e di altri servizi audiovisivi (Murschetz e Teichmann, 2018). I film sono essenzialmente progetti di produzione, simili ad una nuova linea di prodotti, eppure possiedono alcune caratteristiche uniche e importanti. Mentre gli attributi

15 essenziali della maggior parte dei prodotti possono essere facilmente descritti e misurati, questo non è il caso dei film (Ravid, 2018). Anche per questo motivo, le politiche cinematografiche hanno attraversato, fin dall'inizio, una presunta divisione tra cultura e industria. In effetti, lo status storicamente ambivalente del cinema come industria, intrattenimento e arte ha avuto come conseguenza che le politiche ad esso inerenti adottate da Stati e policy maker siano state sostenute da una varietà di imperativi industriali, sociali e culturali. Il carattere commerciale e industriale della maggior parte del cinema ha significato che molti Stati - molto prima dell'avvento di un discorso sulle industrie creative - hanno concepito la policy del cinema principalmente in termini di misure economiche a sostegno di un'industria del cinema commerciale, piuttosto che come un intervento per conto di attività culturali o artistiche (Hill e Kawashima 2016). A questo proposito, ciò che Hesmondhalgh (2007) ha definito come "politica culturale" in termini di sovvenzione, regolamentazione e gestione delle arti, si è applicato solo a determinati aspetti delle politiche di settore in Paesi specifici. Tuttavia, gli interventi politici dei governi per conto di un'industria cinematografica di proprietà privata possono anche essere fatti rientrare nel più ampio senso della politica culturale da egli identificato, che si caratterizza in termini di “ricerca di un impatto nel dominio principalmente simbolico all'interno di uno spazio politico geografico regionale, nazionale o sovranazionale”. Una delle caratteristiche dell'industria globale è stata la presenza dominante di Hollywood e il relativo declino dei cinema nazionali specifici. Il desiderio di assistere la produzione di film nazionali si è raramente basato solo su considerazioni economiche, ma è stato anche sostenuto da un interesse nel sostenere diverse forme di espressione culturale e nazionale, oltre che regionale. A questo proposito, la tensione centrale della politica aziendale è stata spesso identificata in termini di scontro tra il perseguimento di obiettivi economici (come la piena occupazione, investimenti interni e effetti a catena per altri settori industriali) e culturali (come la difesa della cultura nazionale, la promozione

16 della diversità culturale e il sostegno al film come pratica artistica simile ad altre forme di "alta cultura") (Hill e Kawashima, 2016). Un elemento fondamentale del finanziamento cinematografico può essere il sostegno statale, capace di assumere varie forme, come ad esempio includere sovvenzioni dirette e indirette di vario tipo a progetti selezionati. In un tale modello di sussidio basato sulla qualità, esiste un comitato che seleziona i film da finanziare e i film selezionati ricevono finanziamenti in base a vari criteri. Tuttavia, nella realtà ci sono diversi problemi con questa forma di sussidio, tra tutti che vi sia un costante conflitto tra la selezione di film “artistici” di “alta qualità” e il piacere della folla. Un'altra forma è un modello di sussidi basato sulla spesa per sovvenzionare ogni produzione che risponde ad alcuni criteri economici, fino all'esaurimento di un fondo. Tali criteri possono includere la spesa di denaro in un determinato territorio e, a sua volta, la ricezione di un sussidio o di un credito d'imposta che può compensare tale spesa. I Paesi possono essere più o meno specifici nel definire i criteri per il finanziamento e le industrie del settore diventano molto creative nella richiesta di supporto. In generale, gli incentivi possono essere considerati un'infusione in contanti al bilancio con condizioni allegate (Ravid, 2018).

1.1.2.2 L’intervento pubblico nel settore cinematografico L’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo (Lange e Westcott, 2004), istituito dal Council of Europe nel 1992, elenca i principali argomenti che, dal punto di vista della teoria economica, possono giustificare gli aiuti pubblici nello specifico all'industria cinematografica e sono i seguenti: • L’identificazione di fallimenti del mercato può giustificare gli aiuti pubblici nell'ambito della teoria neoclassica del mercato: la natura del film come "servizio collettivo" (vale a dire la possibilità di consumo di un film senza possibilità di appropriazione individuale) è stata talvolta menzionata come giustificazione dell'aiuto. Tuttavia, questo argomento può essere confutato in quanto questo "servizio collettivo" può comunque essere diviso, poiché è possibile calcolare la

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quantità consumata dagli individui attraverso l'analisi delle vendite dei biglietti del cinema; • Le attività delle autorità pubbliche possono essere giustificate da argomentazioni non economiche, in particolare di natura culturale (difesa di una cultura nazionale o regionale o di culture o lingue minoritarie, ecc.) in una situazione in cui un Paese produttore domina il mercato internazionale. Tale intervento da parte delle autorità pubbliche può anche trovare elementi di giustificazione nell'analisi delle asimmetrie informative, poiché il mercato delle informazioni sui film disponibili è distorto da investimenti di marketing sostanzialmente diversi per i film nazionali e quelli prodotti in altri paesi; • La definizione dell'industria cinematografica e del settore audiovisivo in generale come settore industriale può dare adito ad argomenti di politica industriale (contributo al PIL, creazione di posti di lavoro, influenza positiva sulle industrie connesse, ecc.); • È stato sostenuto che l'industria cinematografica è vittima della "malattia dei costi" rilevata dall'economista americano Baumol (1966) in relazione alle arti dello spettacolo: come per le arti dello spettacolo, i guadagni di produttività nella produzione cinematografica sono scarsi e sicuramente inferiori a quelli possibili in altri settori produttivi. L'industria cinematografica tende quindi a "restare indietro" rispetto al resto dell'economia, il che significa che è necessario aumentare i prezzi, operare in perdita o garantire sussidi o rischiare di scomparire del tutto. Gli argomenti più comuni invece contro il finanziamento pubblico sono i seguenti: • La "malattia dei costi" identificata da Baumol (1966) non riguarda solo le attività culturali, ma può anche essere identificata in altri settori dei servizi che riescono a sopravvivere nonostante mancanza di finanziamenti pubblici. L'intervento pubblico sarebbe meno efficace delle forze di mercato nel far fronte all'aumento dei costi;

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• L'intervento pubblico può generare burocratizzazione all'interno degli organi responsabili dell'intervento; • L'argomento secondo cui le attività culturali dovrebbero essere aiutate a causa degli effetti di scissione positivi su altri settori non dimostra che tali effetti siano superiori a quelli che si potrebbero ottenere se gli aiuti fossero assegnati direttamente ad altri settori. In conclusione, la scelta finale sull’erogare o meno sussidi statali a sostegno del settore audiovisivo e cinematografico dipende dalle politiche economiche che si adottano (Lange e Westcott, 2004). Analogamente, anche Meloni et al. (2015) identificano, dal punto di vista del pubblico, diverse spiegazioni che possono supportare l'intervento pubblico nell'industria cinematografica. In primo luogo, i film possono essere visti come beni per i quali non esiste una domanda da parte del pubblico. A questo proposito, un sussidio può aumentare le entrate ricevute ma anche diminuire i costi per i produttori, che possono essere incoraggiati a diventare più efficienti e a produrre a un livello socialmente più orientato. I film svolgono spesso un ruolo importante nel favorire lo sviluppo educativo della gioventù, rafforzandone le abilità critiche e permettendo loro di provare empatia per drammatici episodi storici: documentari e film biografici possono essere importanti per l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita. In terzo luogo, i sussidi pubblici contribuiscono a migliorare benefici sociali e culturali come la rigenerazione, l'inclusione sociale e l'affermazione di una identità nazionale. In questo senso, si ribadisce quanto valutare gli interventi pubblici nei prodotti culturali non sia affatto un compito semplice. In Europa l’intervento pubblico costituisce una componente strutturale dell’industria audiovisiva, le cui origini risalgono al primo periodo del suo sviluppo. Alla base di tale intervento vi sono spiegazioni di ordine culturale e di ordine economico. Le giustificazioni di natura culturale si fondano sul riconoscimento dell’industria audiovisiva quale industria culturale per eccellenza e sulla necessità di salvaguardare e promuovere, attraverso politiche nazionali di sostegno a favore della creazione di prodotti cinematografici e

19 audiovisivi, la diversità delle culture. Le giustificazioni di carattere economico sono invece da ricondursi ai livelli crescenti di deficit commerciale nel comparto audiovisivo rispetto agli Stati Uniti. Il problema del disavanzo e del deficit commerciale può essere affrontato logicamente secondo due approcci: da una parte attraverso la riduzione delle importazioni, dall’altra favorendo l’aumento delle esportazioni. I diversi approcci possono essere impiegati in modo sia alternativo sia complementare. La riduzione delle importazioni può avvenire attraverso l’introduzione di barriere dirette e indirette nei confronti di prodotti non nazionali, oppure attraverso misure volte a stimolare il consumo interno di prodotti nazionali. L’aumento delle esportazioni può invece essere stimolato attraverso la riduzione di barriere all’uscita e attraverso sussidi diretti e indiretti volti a migliorare la competitività dei prodotti nazionali. In Europa, la politica di intervento pubblico per ridurre il deficit del settore cinematografico si è concentrata a partire dagli Anni ‘60 quasi esclusivamente sulla riduzione delle importazioni, attraverso il ricorso ai sussidi a livello nazionale e comunitario (Negro e Peretti, 2003).

1.1.2.3 Perché analizzare il supporto pubblico al cinema “Un film è rischioso, ma se l'illusione del controllo convince un manager che il rischio può essere controllato mettendo una star nel film, o aggiungendo effetti speciali, o introducendo una trama per un fascino più ampio, o spendendo molto in pubblicità, allora avremo il tipo di film che abbiamo oggi. Ma i rischi non possono essere controllati; sono inerenti alla natura stessa del business.” (De Vany A., 2004) Da quando i governi hanno cominciato ad offrire per la prima volta un sostegno finanziario al settore cinematografico, molti Paesi in tutto il mondo hanno avuto la tendenza a introdurre programmi di aiuto simili per sostenere lo sviluppo, la produzione, la distribuzione e l’esibizione di film e opere audiovisive nei loro Paesi. In Europa, ad esempio, gli aiuti di Stato per il cinema hanno subito diverse fasi: dall'istituzione di meccanismi automatici di aiuto al film (1950-1957) allo sviluppo di regimi di aiuti selettivi al film (1959-1981), la prima ondata di sviluppo degli aiuti regionali e l’emergere di aiuti

20 più ampi alla produzione audiovisiva (Anni '80), la ricerca di un nuovo equilibrio tra obiettivi culturali ed economici come quinta fase (Murschetz et al., 2008). Oggi, la pratica politica di erogare sussidi per il cinema è sempre più messa in discussione. Mentre le autorità statali continuano a sovvenzionare i propri film come un vero e proprio patrimonio culturale degno di protezione politica, sembrano imbattersi in un dilemma fondamentale: da un lato, i loro schemi rappresentano la visione per rafforzare il talento e la creatività artistica, salvaguardare la diversità culturale, favorire l'integrazione culturale e migliorare la ricchezza economica dell'industria cinematografica e delle parti interessate in generale; dall'altro lato, tuttavia, si trovano ad affrontare una crisi di legittimità poiché i loro schemi sono percepiti come indebitamente assegnati, ingiustamente distribuiti, burocraticamente organizzati e, peggio ancora, si dice che aiutino poco ad adattarsi ai futuri cambiamenti necessari per far sì che i media si adeguino alle mutevoli esigenze del mercato. Non sorprende che la ricerca di sussidi anche per il cinema (così come per l’intero settore artistico-culturale affrontato nel paragrafo precedente) sia particolarmente impegnativa in quanto i sussidi sono un mezzo controverso per regolare i mercati dei media e sembrano avere una propensione intrinseca al fallimento, dal momento che: • possono compromettere indebitamente la libertà e l'espressione artistica; • non correggono il problema fondamentale del fallimento del mercato nell'industria; • sono considerati economicamente inefficaci poiché i cosiddetti mercati liberi funzionano meglio; • sono uno spreco di denaro dei contribuenti poiché i costi superano i benefici per consumatori e produttori; • sono considerati politicamente indirizzati nella misura in cui viene richiesto il consenso di forze politiche opposte sostenute da un metodo solido e imparziale per selezionare progetti e incanalare i soldi su di essi;

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• non è possibile creare sostenibilità a lungo termine, ma solo dipendenza dalle dispense dello Stato; • non migliorano le condizioni di lavoro di produttori, registi e altro personale creativo; • non incentivano il consumo del pubblico né migliorano la loro soddisfazione attraverso i film finanziati. Nella teoria economica, i film mostrano rendimenti di scala crescenti, costi fissi e costi sommersi elevati e significative economie di scopo. Ciò significa che le industrie cinematografiche in genere tendono alla concentrazione, poiché i risparmi sui costi ottenuti da un determinato volume di film prodotti (economies of scale), tra diversi film prodotti all'interno di una società attiva in più di un mercato o attraverso più fasi di produzione (economies of scope) oppure tra reti di fornitori e destinatari diversi (economies of networking), comportano una distorsione della concorrenza leale con perdite di benessere complessive per il pubblico di riferimento. Di conseguenza anche la fissazione di prezzi pari al costo marginale in genere non recupererà entrate sufficienti per coprire i costi fissi e di avvio di una produzione cinematografica e la raccomandazione economica standard di fissare i prezzi al costo marginale non coprirà i costi totali, richiedendo quindi un sussidio (Murschetz et al., 2008). Il fatto che l'industria cinematografica sia complessa e che operi ad alto rischio e incertezza è inferenza standard per chiunque sia stato anche un osservatore occasionale o partecipante al processo di finanziamento ai film. Come ha notato ironicamente Vogel (2014): “seemingly sure-bet, big-budget films with bankable stars flop, low-budget titles with no stars sometimes inexplicably catapult to fame, and some releases perform at the box office inversely to what the most experienced professional critics prognosticate”. Tuttavia, tra questi paradossi, i sussidi pubblici possono aiutare a rimborsare i costi di avvio, ad avviare i processi di produzione del film, a creare e salvaguardare posti di lavoro e a migliorare il valore in qualsiasi fase della catena industriale. Saranno così aiutate le società di produzione cinematografica, gli studi cinematografici, la sceneggiatura, la pre

22 e post produzione, i festival cinematografici, la distribuzione e il "fattore umano" coinvolto (vale a dire attori, registi e altro personale della squadra cinematografica). La teoria economica ha affrontato gli aiuti di Stato per i film (e i servizi audiovisivi) principalmente da tre punti di vista: economia del benessere e finanza pubblica, economia culturale e dei media e studi sulla policy culturale e dei media. In generale, secondo la teoria economica, i sussidi statali hanno due scopi principali: dovrebbero ridurre i costi di produzione e immissione sul mercato di una persona o di una società e, in secondo luogo, riducendo il prezzo di produzione e consegna del film, dovrebbero aumentarne il consumo oltre quanto previsto dalle forze di mercato competitive. Tutte queste risorse finanziarie possono coprire qualsiasi esigenza di carattere finanziario, accrescere la sopravvivenza dell'organizzazione in base all'utilizzo ottimale delle risorse interne ed esterne, bilanciare in modo ottimale queste risorse al fine di alleviare difficoltà finanziarie o supportare la struttura del capitale della società dei media al fine di far leva su eventuali esigenze di investimento future (Murschetz et al., 2008). Il finanziamento cinematografico, di per sé, è coinvolto in tutte le fasi della produzione di un film, dalla pianificazione e sviluppo della sceneggiatura alla produzione stessa, comprese tutte le forme di distribuzione e sfruttamento teatrale. Inoltre, vengono sovvenzionate una serie di misure quali consulenza, pubbliche relazioni, premi, ecc. Quindi, i sussidi per il cinema seguono uno scopo di politica pubblica nella cultura che è essenziale per il pluralismo (geografico, linguistico, culturale e politico) all’interno di una società aperta e questo perché il film riguarda la vita quotidiana ed è pieno di significati che sono preziosi per tutti. Una democrazia matura dovrebbe avere il coraggio e la comprensione di vedere il "debito" che deve ai suoi artisti e di continuare a sostenerli, perché ciò che ottiene in cambio - economicamente, socialmente, esteticamente - è maggiore di quello che dispensa, non solo in termini di produzione e identità culturale, ma anche in termini di salvaguardia del patrimonio. Se gli aiuti di Stato vengono approvati politicamente, i regolatori devono affrontare scelte di approcci di sovvenzione finanziati con fondi pubblici, tramite iniezioni di denaro

23 diretto, vantaggi in denaro indiretti, politiche antitrust come mezzo di azione statale regolatoria o, ancor meglio, una combinazione di tutte queste. Le sovvenzioni finanziarie, in genere, cercano di bilanciare l'obiettivo di promuovere la competitività economica nella rete dei media con l'obiettivo più ampio di garantire la diversità culturale e benefici sociali più ampi. I governi di supporto devono quindi garantire una gamma di film offerti ampia, varia e di alta qualità. Il pubblico dovrebbe avere accesso ai film a prescindere da dove vive e indipendentemente dalla piattaforma che desidera utilizzare. La policy in materia di cinema pubblico attraverso sovvenzioni dovrebbe sostenere il cinema ambizioso e artistico, nonché favorire le loro opportunità commerciali. Sarebbe nel migliore interesse della società se i sussidi pubblici rafforzassero la diversità nei media e nell'opinione, motivando la produzione di contenuti di alta qualità e sostenendone la consegna e il consumo oltre frontiere e ideologie (Murschetz et al., 2008).

1.1.3 L’IMPORTANZA DELLA DIVERSITA’ CULTURALE La Commissione Europea è sicuramente motivata dalla necessità di conciliare le diverse concezioni d’intervento pubblico nella cultura presenti all’interno dell’Unione europea. La sua posizione sembra, tuttavia, essere giustificata anche da un’altra ragione. Sebbene sia forse vero che i concetti sono, dopo tutto, solo “stratagemmi verbali”, la nozione di diversità culturale sembra porsi, dal punto di vista del suo contenuto, più su un piano propositivo che difensivo. Essa non sembra tanto rispondere ad una domanda di difesa culturale, quanto di pluralità culturale. Sembra, dunque, confermare la concezione dell’identità culturale intesa come un campo di differenze (Bellucci, 2006). Negli ultimi anni il concetto di diversità culturale è stato oggetto di un’attenzione crescente, nell’ambito delle organizzazioni internazionali e, in particolare, dell’UNESCO. Nel novembre 1995 il Presidente della Commissione sulla Cultura e lo Sviluppo, istituita dall’UNESCO e dalle Nazioni Unite nel dicembre 1992, presenta il rapporto Our Creative Diversity alla Conferenza generale dell’UNESCO e all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Esso invoca un’azione concertata per rispondere alle sfide dello sviluppo e

24 sostenere la diversità culturale. Nel 1998, con la Conferenza di Stoccolma sulle Politiche Culturali per lo Sviluppo, l’UNESCO intende trasformare il suddetto rapporto in linee politiche attuabili. Il 2 aprile dello stesso anno la Conferenza adotta, infatti, un Action Plan al riguardo. In questo quadro la diversità culturale viene individuata come risposta positiva alla tendenza all’uniformazione culturale, tramite la promozione e il supporto di tutte le culture. Nel 2000 il Forum sulla Globalizzazione e la Diversità Culturale, organizzato a Valencia sotto il patrocinio dell’UNESCO e con l’appoggio della Commissione europea, partorisce la Dichiarazione di Valencia sulla Globalizzazione e la Diversità Culturale. In essa si legge che la diversità culturale deve essere protetta, sviluppata e supportata nel mondo, che i media giocano un ruolo essenziale nella determinazione dello stato e delle condizioni della diversità culturale e che gli Stati hanno la responsabilità fondamentale di garantire e sviluppare un ambiente favorevole all’esercizio e allo sviluppo della diversità culturale e della libertà d’espressione anche per le culture minoritarie. Il 2 novembre 2001 la XXXI Sessione della Conferenza generale dell’UNESCO adotta la Dichiarazione Universale dell’UNESCO sulla diversità culturale. Essa riconosce esplicitamente la diversità culturale come patrimonio comune dell’umanità e la particolarità dei beni e dei servizi culturali rispetto alle altre merci. A livello europeo una Dichiarazione sulla diversità culturale è adottata anche dal Consiglio d’Europa, in nome del proprio impegno a favore della libertà e del pluralismo dei media. In questa dichiarazione, la diversità culturale viene identificata come una condizione essenziale della vita e delle società umane e si riafferma il suo legame con la libertà d’espressione. Vi si legge che il pluralismo dei media è essenziale all’esistenza della democrazia e della diversità culturale e che quest’ultima non può esprimersi in assenza delle condizioni necessarie alla libera espressione creatrice e alla libertà d’informazione. Inoltre, gli Stati sono invitati ad esaminare i mezzi da mettere in atto per preservare e promuovere la diversità culturale nel nuovo contesto della globalizzazione. La Dichiarazione del Consiglio d’Europa conferma indirettamente l’esistenza di un rapporto

25 tra intervento statale e promozionale, e quindi anche tra aiuti di Stato, e concentrazioni (Bellucci, 2006).

1.1.3.1 Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage (2003) Origini La Convenzione per la tutela del patrimonio culturale intangibile è stata approvata a Parigi nel 2003, ma è il risultato di un lavoro che dura dagli Anni ’70, svolto tra l’UNESCO e l’OMPI (Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale): prima con la “Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura tradizionale e del folklore” del 1989, poi con l’Intangible Cultural Heritage Program del 1992. Altri precedenti si trovano nel Living Human Treasures del 1993, proposto da Giappone e Corea del Sud, e nella “Proclamazione dei capolavori del patrimonio orale e intangibile dell’umanità” del 1997. Il testo della Convenzione viene preparato tra il 2001 e il 2003 e approvato con pochissime modifiche alla Conferenza generale. La Convenzione è fortemente voluta sia dalle potenze asiatiche, sia da quelle medio-orientali (Zagato et al., 2017).

Oggetto e campo d’applicazione L’Art. 2 della Convenzione (2003) definisce il patrimonio culturale intangibile: “s'intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how - come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi - che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d'identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.” Si enfatizza quindi il carattere vivente, localizzato, autoriproducentesi di tale patrimonio. Lo stesso articolo presenta i cinque campi di applicazione della Convenzione:

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• tradizioni ed espressioni orali, intesi come veicolo del patrimonio culturale intangibile; • le arti dello spettacolo; • le consuetudini sociali, le feste e i riti; • le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’Universo (proprie tipicamente dei popoli indigeni); • l’artigianato tradizionale (inteso come insieme di pratiche e know-how).

Contenuto della protezione La Convenzione del 2003 definisce le sue finalità e i suoi scopi all’interno dell’Art. 1: • salvaguardare il patrimonio culturale immateriale; • assicurare il rispetto per il patrimonio culturale immateriale delle comunità, dei gruppi e degli individui interessati; • suscitare la consapevolezza a livello locale, nazionale e internazionale dell’importanza del patrimonio culturale immateriale e assicurare che sia reciprocamente apprezzato; • promuovere la cooperazione internazionale e il sostegno. Gli obblighi derivanti per gli Stati quindi sono soprattutto relativi alla salvaguardia e incombono a livello nazionale (Artt. 11-15) e internazionale (Artt. 16-24): • Nazionale. Lo Stato deve adottare i provvedimenti necessari per la tutela di tutto il patrimonio intangibile presente nel suo territorio, da individuare seguendo poco precisate misure. Lo Stato si impegna a tenere aggiornato l’inventario ed a adottare misure specifiche, tra cui la creazione di organi ad hoc, la promozione degli studi, l’adozione di una politica generale per la promozione, la creazione o il rafforzamento di istituzioni nazionali specializzate, la promozione di programmi di educazione e formazione e l’ampliamento della partecipazione di comunità, gruppi e individui alla salvaguardia del patrimonio intangibile. L’obbligo implicito è di astenersi da misure che mettano a repentaglio il proprio patrimonio culturale;

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• Internazionale. I principali obblighi internazionali sono quelli di un rapporto da inviare periodicamente al Comitato intergovernativo e del mantenimento della Lista del patrimonio culturale intangibile. La Lista è istituita su proposta degli Stati parte, ma spetta al Comitato istituirne i criteri di selezione e di aggiornamento, così come per la Lista del patrimonio culturale intangibile in pericolo. Al Comitato spetta anche la presentazione di progetti, programmi e attività che seguano le finalità della Convenzione (Zagato et al., 2017).

Profili istituzionali • Assemblea Generale degli Stati Parte. Si riunisce ogni due anni e costituisce l’organo sovrano della Convenzione, col compito di eleggere il Comitato intergovernativo (Art. 4). • Comitato intergovernativo. Composto prima da 18, poi da 24 membri, in carica per 4 anni a seguito dei principi di rappresentanza geografica e di rotazione. Tra i suoi compiti la preparazione delle linee operative contenenti i criteri di scelta per le due Liste del patrimonio intangibile e la concessione dell’assistenza internazionale. Deve anche presentare proposte per la gestione del Fondo, cercare le risorse economiche, formulare Raccomandazioni e presentare direttive operative, controllare i rapporti degli Stati e proporre l’accreditamento delle principali ONG competenti nel settore. • Segretariato. La funzione viene svolta dal Segretariato generale dell’UNESCO, che assiste il Comitato e l’Assemblea. • Fondo per il patrimonio intangibile. Fondo che si avvale, oltre che dei contributi UNESCO, di un contributo speciale degli Stati parte (Zagato et al., 2017).

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1.1.3.2 Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural Expressions (2005) Origini La Convenzione per la protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali del 2005 viene approvata con il voto di 148 Stati a favore e 2 contrari (USA e Israele). Fortemente voluta da Canada e Europa, incontrò un sostanziale disinteresse da parte delle potenze asiatiche (Zagato et al., 2017).

Oggetto e campo di applicazione La Convenzione del 2005 presenta una definizione di diversità culturale con l’Art. 4: “(…) rimanda alla moltitudine di forme mediante cui le culture dei gruppi e delle società si esprimono. Queste espressioni culturali vengono tramandate all'interno dei gruppi e delle società e diffuse tra di loro. La diversità culturale è riflessa anche attraverso modi distinti di creazione artistica, di produzione, di diffusione, di distribuzione e di apprezzamento delle espressioni culturali, indipendentemente dalle tecnologie e dagli strumenti impiegati”. Tale definizione prescinde da una specifica definizione di cultura, dando maggiore importanza alle espressioni culturali e lasciando più libero il campo d’applicazione della Convenzione, l’oggetto esatto della Convenzione è lasciato volutamente ambiguo. Le finalità sono in parte le stesse della Convenzione del 2003, in parte mirate ad esaltare il rapporto tra cultura e sviluppo e il diritto degli Stati di conservazione della loro diversità culturale. Si rende evidente che, mentre la Convenzione del 2005 si pone in un contesto di scontro economico tra poteri forti nella globalizzazione (Canada e Europa contro USA) e riguarda di più l’industria culturale, è la Convenzione del 2003 ad essere veramente tesa alla tutela della diversità culturale. Mentre nella Convenzione del 2003 è compito degli Stati individuare e proporre l’entrata nella Lista delle manifestazioni del patrimonio intangibile (Artt. 16-18), la Convenzione del 2005 lascia più spazio alle Organizzazioni di integrazione economica regionale (l’UE innanzitutto), dandogli la possibilità di entrare nella Convenzione (Zagato et al., 2017).

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Contenuto della protezione La Convenzione del 2005 definisce le stesse finalità riportate dalla precedente Convenzione del 2003. Inoltre, prevede anch’essa una separazione tra obblighi nazionali (Artt. 5-11) e internazionali (Artt. 12-17): • Nazionale. Le misure attuabili sul piano nazionale sono disposizioni atte a favorire la creazione di un ambiente di sostegno al settore culturale nazionale, che devono riguardare anche la società civile e in particolare le minoranze etniche e i popoli indigeni, che devono essere incoraggiati a dare vita alle proprie espressioni culturali. L’azione dello Stato in tema di educazione e sensibilizzazione del pubblico è centrale, ma anche per la crescita del settore produttivo. Le disposizioni in materia di protezione e promozione dell’industria culturale sono moderate dall’obbligo di considerare i beni e i servizi provenienti da altre culture. Gli Stati sono anche obbligati ad intervenire in caso di pericolo per la diversità culturale, ma devono anche stare attenti a fare sì che il loro operato non abbia influenza negativa sulle forme di produzione tradizionali. • Internazionale. Gli Stati si devono adoperare per rafforzare la cooperazione tra di loro, per integrare la cultura nelle rispettive politiche di sviluppo, per incoraggiare la cooperazione tra il settore pubblico e privato e le organizzazioni no-profit, per un trattamento preferenziale dei Paesi in via di sviluppo e per una cooperazione speciale in caso di minaccia nei confronti delle espressioni culturali. Gli Stati hanno a disposizione diverse modalità per intervenire a favore dei Paesi in via di sviluppo: • rafforzare l’industria culturale in quei Paesi, migliorandone la produzione e la distribuzione e assicurando un accesso facilitato nei circuiti internazionali e al mercato mondiale; • istruire e formare in loco risorse umane che siano in grado di operare nel settore culturale;

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• trasferire ed esportare le proprie tecnologie di settore, essendo la tecnologia un elemento determinante dello sviluppo culturale competitivo a livello internazionale; • sostenere i Paesi finanziariamente, con prestiti a tasso ridotto, sovvenzioni, assegnazione di contributi provenienti dal Fondo per la diversità culturale (Zagato et al., 2017).

Profili istituzionali La Convenzione del 2005 presenta profili istituzionali simili alla precedente del 2003: • Assemblea Generale degli Stati Parte. Si riunisce ogni due anni e costituisce l’organo sovrano della Convenzione, col compito di eleggere il Comitato intergovernativo. • Comitato intergovernativo. Composto prima da 18, poi da 24 membri, in carica per 4 anni a seguito dei principi di rappresentanza geografica e di rotazione. A differenza della Convenzione del 2003, qui non è prevista alcuna lista e vi sono meno obblighi per il comitato. • Segretariato. La funzione viene svolta dal Segretariato generale dell’UNESCO, che assiste il Comitato e l’Assemblea. • Fondo internazionale per la diversità culturale. Fondo che si avvale, oltre che dei contributi UNESCO, di un contributo speciale degli Stati parte (Zagato et al., 2017).

1.2 EUROPA

1.2.1 PUBLIC FUNDING IN EUROPE Gli aiuti settoriali all'industria cinematografica risalgono agli Anni '30, quando l'emergere del cinema sonoro rafforzò il dominio americano sui mercati europei, un fenomeno che fu ben e definitivamente affermato alla fine della Seconda Guerra Mondiale. A seguito di una prima ondata di regolamentazione protezionistica (Germania nel 1921, Regno Unito

31 e Italia nel 1927), l'intervento delle autorità pubbliche iniziò rapidamente a prendere la forma di aiuti economici diretti. Oltre alla nazionalizzazione delle compagnie cinematografiche da parte delle autorità sovietiche (1920), il primo intervento economico dell'autorità pubblica per l'industria cinematografica fu realizzato dal regime fascista italiano (1931), dal regime nazionalsocialista in Germania (1933) e dal Regime di Franco in Spagna (1938-1941). In Francia, le prime proposte di intervento economico statale nell'industria cinematografica furono fatte in vari rapporti ufficiali negli Anni '30. In Francia, invece, fu la creazione del Comitato per l'organizzazione dell'industria cinematografica (COIC) da parte del regime di Vichy (1940) che segnò l'avvio dell'intervento pubblico. Questa prima ondata di intervento economico da parte dei regimi totalitari nascondeva chiaramente obiettivi legati alla propaganda e comportava un certo grado di censura, ma ciò nondimeno andava a beneficio dei film prodotti dal settore privato, e non tutti erano pura propaganda. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la giustificazione economica di questo tipo di intervento, una volta eliminata la censura e la propaganda, non fu messa in discussione dai regimi democratici. Il principio dell'aiuto pubblico per l'industria cinematografica si è quindi diffuso in vari Stati europei: il Consiglio d'Europa e le istituzioni della Comunità Europea (in particolare la Commissione europea e il Parlamento) hanno generalmente adottato un atteggiamento positivo nei confronti di questo principio. Il Consiglio d'Europa ha iniziato ad esaminare la questione degli aiuti di Stato per l'industria cinematografica nel 1978 (Lange e Westcott, 2004). La nascita di una vera e propria politica comunitaria a favore del settore cinematografico e audiovisivo può essere quindi collocata sul finire degli Anni ’80, quando i Paesi membri acquisiscono consapevolezza della rilevanza strategica del settore, non solo sotto il profilo della competitività economica a livello internazionale, ma anche per le significative ricadute sul piano sociale e culturale. Le misure dell'Unione Europea hanno come obiettivo di permettere alle imprese audiovisive europee di trarre profitto dal mercato unico e di contribuire ad alimentarlo, tenendo conto delle gravi debolezze strutturali di

32 cui soffre l'industria cinematografica legate ai costi crescenti che la domanda non riesci a coprire. La ristrettezza di mercati interni, la sottocapitalizzazione, la scarsa integrazione verticale e orizzontale delle imprese operanti nel settore audiovisivo e l'assenza di reali reti sovranazionali di distribuzione (fattori che frenano esportazione e circolazione transnazionale di pellicole europee) hanno determinato una situazione economica preoccupante, generando un ampio divario commerciale nei confronti degli Stati Uniti. Nel corso degli ultimi decenni, il sostegno comunitario al settore audiovisivo ha puntato, non senza difficoltà e contraddizioni, a fronteggiare le citate debolezze strutturali, sviluppandosi attorno a tre grandi linee d'azione: 1. La creazione di un quadro normativo in grado di attuare unefficace mercato unico audiovisivo e di armonizzare le differenti politiche nazionali di sostegno pubblico alla filiera cinematografica; 2. L'adozione di provvedimenti esterni nell'ambito delle grandi organizzazioni internazionali, in particolare per la difesa degli interessi culturali europei; 3. Il finanziamento diretto alle imprese attraverso contributi e prestiti rimborsabili, secondo una logica di integrazione e complementarietà rispetto i meccanismi di sostegno adottati dai singoli Stati membri (Priante et al., 2006) L'importanza delle politiche pubbliche in materia di aiuti cinematografici è stata evidenziata in occasione dell’8th Conference of European Ministers responsible for Cultural Affairs (Budapest, 1996). Le conclusioni di questa conferenza hanno sottolineato in particolare che il processo di progressivo allargamento dal Consiglio d'Europa ad una “Greather Europe” rende ancora più necessario tenere conto delle differenze culturali ed economiche tra gli Stati membri per quanto riguarda l'assistenza nella produzione, distribuzione e uso di immagini in movimento. Questo contesto giustifica ampiamente il trattamento speciale che le politiche pubbliche, nazionali e internazionali devono dare al cinema, che come i libri non possono essere considerati alla pari di un semplice prodotto di consumo interamente soggetto al diritto del mercato. (Newman-Baudais, 2011).

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È bene sottolineare, inoltre, che di fondamentale importanza per ricerche e analisi di impatto in questo settore è stato l’European Audiovisual Observatory (OBS), un ente di servizio pubblico e parte del Consiglio d'Europa a Strasburgo, in Francia. L'Osservatorio è stato creato nel 1992 per raccogliere e distribuire informazioni sulle varie industrie audiovisive in Europa. Rendendo disponibili queste informazioni, l'Osservatorio mira a promuovere una maggiore trasparenza e una comprensione più chiara delle modalità di funzionamento delle industrie audiovisive in Europa, sia dal punto di vista economico che giuridico (Kanzler e Talavera, 2018).

1.2.1.1 Eurimages I primi programmi di supporto per l'industria cinematografica e televisiva a livello europeo furono istituiti negli Anni '80. Nel complesso, questi fondi sono progettati per integrare i meccanismi di finanziamento che operano a livello nazionale e locale. Essi si dividono in due categorie distinte: • fondi creati tramite i due principali organi sovranazionali, ovvero il Consiglio d'Europa e l'Unione europea; • fondi creati da un accordo tra Paesi con scopi e obiettivi culturali o linguistici condivisi. Il fondo Eurimages è stato istituito nel 1988 come accordo parziale del Consiglio d'Europa, ovvero un accordo che non si estende a tutti i 45 Stati membri del Consiglio, e mira principalmente ad incoraggiare la coproduzione tra Paesi e ad aumentare la distribuzione transfrontaliera dei film (Lange e Westcott, 2004). Attualmente ci sono 40 Stati membri, ciascuno dei quali nomina il proprio rappresentante nel Board of Management, che è l'organo esecutivo per l'assegnazione del sostegno alla coproduzione, distribuzione e esibizione di film. Eurimages è stato creato con obiettivi gemelli definiti culturali ed economici. Il suo obiettivo culturale è “sostenere opere che riflettano le molteplici sfaccettature di una società europea le cui radici comuni sono la prova di una singola cultura"; parallelamente, mira a favorire la coproduzione di film in Europa e la loro distribuzione nei cinema, in TV

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attraverso altri media (Lange e Westcott, 2004): - culturale, perché mira a supportare le opere che esprimono i compositi aspetti della società europea, le cui radici comuni palesano l'appartenenza a una stessa cultura; - economica, perché il cinema oltre a essere arte e anche un’industria e pertanto subisce il peso del mercato (politica dei consumi, libera concorrenza, metodi di analisi del gusto del potenziale fruitore e di conseguente determinazione della domanda, analisi dell'offerta e dei competitor, potere pubblicitario, ecc.) (Priante et al., 2006). Tali obiettivi sono concretamente tradotti in quattro diversi programmi di supporto: 1. Supporto alla co-produzione. Oltre il 90% delle risorse del fondo viene dedicato ogni anno a sostenere coproduzione, il criterio di base per l'ammissibilità è che i progetti sostenuti siano o coproduzioni che coinvolgono almeno due co- produttori provenienti da diversi Stati membri del Fondo; 2. Sostegno alla distribuzione. Supporto destinato ad essere complementare a quello fornito dal Programma MEDIA dell'Unione Europea. Il supporto è disponibile per i distributori degli Stati facenti parte del progetto Eurimages e non membri del MEDIA; 3. Supporto per sale cinematografiche. Il programma di principio è gestito in collaborazione con Europa Cinemas e mira a sostenere ed aumentare la programmazione e la promozione di film europei nelle sale negli Stati membri facenti parte del progetto Eurimages e non membri del MEDIA; 4. Supporto alla digitalizzazione dei cinema che sono membri della rete Eurimages. Questo nuovo supporto intende sostenere gli esercenti che operano in cinema assistiti dal programma principale Eurimages di supporto espositivo. Inoltre, Eurimages si focalizza anche sulla promozione del cinema europeo attraverso accordi con i festival e la presentazione di premi e riconoscimenti (Fontaine et al., 2016). Questo attento impegno comunitario nel settore dell'audiovisivo rivela l'importanza che l’UE assegna al prodotto cinematografico, veloce strumento di conoscenza e di

35 identificazione e, perciò, determinante aiuto nella costruzione dell'identità europea. È chiara infatti la reciprocità sussistente tra consolidamento dell'identità e del mercato comunitari e lo sviluppo del settore dell'audiovisivo. L'intervento europeo è fondamentale per fronteggiare la crisi del settore e, al contempo, il comparto audiovisivo è importante per favorire: • costruzione dell'identità europea e salvaguardia della ricchezza culturale e del multilinguismo, che rappresentano un valore aggiunto e non un impedimento; • dialogo tra le varie forme culture europee. I prodotti audiovisivi migliorano la conoscenza di sé e degli altri, dunque incentivano la comprensione e la conoscenza reciproca degli usi e costumi dei vari popoli europei, ancora molto legati alle loro tradizioni; • scambio di conoscenze, idee ed esperienze tra i cittadini delle varie nazioni; • piena realizzazione del potere creativo europeo; • libera circolazione dei prodotti audiovisivi all'interno e all'esterno dell'Europa; • raggiungimento di ulteriori obiettivi politici, culturali, economici e sociali come educazione, scienza, ricerca, ambiente, ecc. (Priante et al., 2006).

1.2.1.2 Programma MEDIA Con riferimento ai finanziamenti diretti alle imprese attraverso contributi e prestiti rimborsabili secondo una logica di integrazione e complementarietà rispetto i meccanismi di sostegno adottati dai singoli Stati membri, nel 1991 prende il via MEDIA, un programma quinquennale di finanziamento volto a potenziare la competitività e lo sviluppo dell'industria cinematografica europea, a stimolare la cooperazione tra professionisti del settore e la creazione di un mercato aperto dinamico, pluralista e competitivo (Priante et al., 2006). Gli obiettivi generali del programma MEDIA sono stati decisi sulla base di requisiti:

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• preservare e migliorare la diversità culturale europea e il suo patrimonio cinematografico e audiovisivo e garantirvi l'accessibilità per gli europei promuovendo un dialogo interculturale; • aumentare la circolazione delle opere audiovisive europee all'interno e all'esterno dell'Unione europea; • rafforzare la competitività del settore audiovisivo europeo nel quadro di un mercato aperto e competitivo. Concretamente, il programma MEDIA si divide in cinque linee d'azione: 1. formazione di professionisti; 2. sviluppo di progetti di produzione e di imprese; 3. distribuzione di opere cinematografiche e di programmi audiovisivi; 4. promozione di opere cinematografiche e di programmi audiovisivi, incluso il supporto per festival cinematografici; 5. azioni orizzontali, come progetti-pilota (Newman-Baudais, 2011). In un’ottica ancora più specifica, si può osservare come il ciclo di programmi comunitari Media prevedesse azioni allo scopo di incentivare e sostenere: • sviluppo di progetti creativi, quali opere cinematografiche televisive e multimediali; • scambio di esperienze e creazione di network tra imprese indipendenti, al fine di dividere il rischio di impresa, accrescere le competenze e avere la possibilità di operare in una dimensione internazionale); • affari commerciali della direzione e della struttura organizzativa nella fase di pre- produzione, attraverso delle sovvenzioni alle società di produzione, alla formazione di professionalità orientate al business e all'acquisto di nuove tecnologie per l'aggiornamento della produzione; • distribuzione transnazionale (anello debole della catena produttiva, segmento più insidiato dal potere di importanti società multinazionali, integrate verticalmente, pertanto proprietarie anche di numerose sale di proiezione) di opere europee

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non-nazionali per il cinema e il video (sostegno destinato ai distributori, a network di esercenti che programmano in sale significative quote di film europei, a agenti di vendita internazionali); • promozione delle opere audiovisive europee, all'interno e all'esterno dell'Europa (nell'ambito dei mercati dell'utenza professionale, nel settore dei festival e nella creazione cinematografica e audiovisiva europea); • formazione di professionisti del comparto attraverso il potenziamento degli interventi volti a favorire la creazione di una rete europea di centri di formazione qualificati rivolta principalmente a chi necessita un aggiornamento delle proprie competenze professionali; • avvio di progetti pilota volti alla valorizzazione, alla creazione di network e alla promozione del patrimonio cinematografico degli archivi audiovisivi, dei cataloghi di opere in formato digitale, della distribuzione digitale (Priante et al., 2006). L'Unione europea, nell'attuazione dei suddetti programmi, profonde un particolare impegno con il duplice obiettivo di ridurre il divario economico tra le aree o regioni ad alta e quelle a bassa capacità di produzione audiovisiva, o geograficamente e linguisticamente circoscritte, che rappresentano la maggior parte degli Stati membri dell'UE; e di creare un ambiente adeguato soprattutto alle piccole e medie imprese che se, da un lato assicurano al mercato dinamicità e pluralismo, dall'altro incontrano serie difficoltà a sopravvivere in un settore in cui gli investimenti sono ad altissimo rischio. In conclusione, quindi, l'azione comunitaria segue il principio di sussidiarietà rispetto alle politiche di sostegno nazionale, vale a dire che l'intervento economico europeo convoglia le sue forze non tanto sulla produzione cinematografica (già finanziata in gran parte dai fondi nazionali di diversi paesi europei), quanto sullo sviluppo di ogni forma di progetto audiovisivo (cioè sulla fase della pre-produzione che in Europa patisce una critica mancanza di investimenti), sulla distribuzione e promozione (cioè sulle fasi della post- produzione, settori che necessitano di un forte supporto in quanto il primo è un mercato invaso dalle majors, mentre il secondo è poco conosciuto e sfruttato in Europa), e sulla

38 formazione e l'aggiornamento di figure professionali capaci di operare in un mercato in continuo mutamento (con competenze adeguate in materia gestionale e finanziaria, nel campo delle tecniche di sviluppo creativo e del settore delle nuove tecnologie digitali) (Priante et al., 2006). Dotato di un bilancio di 755 milioni di euro e con un budget composto da contributi annuali dei suoi Stati membri, rimborsi di prestiti e "altri pagamenti, donazioni o lasciti", il programma MEDIA è stato condotto dal 2007 al 2013.

1.2.1.3 Programma Europa Creativa La Commissione Europea per gli anni 2014-2020 ha dedicato uno specifico programma per il sostegno alla cultura, denominato Europa Creativa, per il quale sono confluiti altri programmi tra cui MEDIA del precedente periodo di programmazione, unendo i due settori cultura e creatività. Questa scelta strategica risponde a due bisogni principali: 1. necessità, maggiormente avvertita dai paesi del Sud Europa, di supportare le attività di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale tangibile e intangibile; 2. equiparazione sullo stesso livello di cultura e creatività va incontro alle esigenze di crescita economica e occupazionale avvertite dai soggetti operanti nell'ambito delle attività culturali e creative e diffuse, in maniera variabile, in tutto il continente. Oltre alla cultura come driver di sviluppo economico, il programma Europa Creativa ha altri assets molto ben definiti, che riguardano la relazione con i pubblici della cultura, con un focus sui temi dell’audience engagement e dell'audience development, e il rapporto con le tecnologie digitali, intese come strumenti di facilitazione per la comunicazione, la fruizione e la salvaguardia del patrimonio. Il programma risponde a due finalità generali che indirizzano tutte le azioni, che sono la protezione, lo sviluppo e la promozione della diversità culturale e linguistica europea e il

39 rafforzamento della competitività dei settori culturali e creativi europei, al fine di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Nel dettaglio, sono stati identificati anche quattro obiettivi specifici da realizzarsi tramite il programma: 1. sostenere la capacità dei settori culturali e creativi europei di operare a livello transnazionale e internazionale; 2. promuovere la circolazione internazionale delle opere culturali e creative e la mobilità transnazionale degli operatori; 3. rafforzare in modo sostenibile la capacità finanziaria delle PMI e delle organizzazioni del settore culturale e creativo; 4. sostenere la cooperazione politica transnazionale per favorire lo sviluppo di politiche, l'innovazione, la creatività, lo sviluppo del pubblico, nuovi modelli imprenditoriali e di gestione. Tutto quanto riguarda il cinema e l'audiovisivo viene finanziato attraverso i bandi del sottoprogramma MEDIA, che sostiene progetti per lo sviluppo, la produzione, la distribuzione, l'accesso alle opere audiovisive, la formazione del pubblico, lo sviluppo di competenze dei professionisti del settore (D’Arrigo, 2018). Il programma Europa creativa 2014-2020, e il relativo sottoprogramma MEDIA, è gestito a livello centrale dall’EACEA - Agenzia Esecutiva per l'Istruzione, gli Audiovisivi e la Cultura dell'Unione Europea, con sede a Bruxelles. Dal punto di vista pratico, significa che ogni progetto, iniziativa, comunicazione va discusso direttamente con l'Agenzia, che pubblica i bandi, segue l'iter di ammissibilità e valutazione delle proposte, eroga i contributi assegnati. Per citare dei numeri, il budget complessivo destinato al sottoprogramma MEDIA ammonta a 824 milioni di euro (circa il 56% del budget totale di Europa Creativa). Nel 2017 Creative Europe Media ha sostenuto 2133 progetti europei, per un contributo complessivo di €110.819.279,97 (ec.europa.eu).

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1.2.2 FORME DI INCENTIVAZIONE FISCALE Entrando nel merito dei singoli Paesi all’interno dell’UE, quindi con un’ottima meno comunitaria è più specificatamente interna, è possibile osservare come il sostegno pubblico si basi sostanzialmente su tre pilastri: finanziamenti pubblici, incentivi fiscali e obblighi per l'industria di investire in opere cinematografiche e audiovisive. In generale, le prime due categorie sono indicate da Fontaine et al. (2016) come soft money. Tutte le fonti di sostegno pubblico sono soft, ma alcune sono più soft rispetto ad altre. I fondi pubblici hanno tradizionalmente avuto una componente culturale più pesante, mentre gli incentivi fiscali si sono concentrati maggiormente su investimenti e spese. Ciò può essere osservato nel fatto che i fondi pubblici di solito richiedano ai candidati di soddisfare una serie di requisiti culturali (nazionalità del talento e dell'equipaggio, caratteri culturali della sceneggiatura con il paese o la regione, ecc.). Gli incentivi fiscali, a loro volta, sono percepiti come più lineari, dal momento che il rispetto dei requisiti fa scattare automaticamente l'accesso ai finanziamenti. Quindi, mentre i primi hanno un'enfasi più tipicamente culturale, i secondi sono più orientati all'economia (Fontaine et al., 2016). Gli incentivi fiscali sono un fenomeno nuovo in molti Paesi europei. Tuttavia, questo tipo di schema è di per sé tutt'altro che nuovo, ed era già stato implementato negli Anni '80 e '90 in Paesi come Francia, Germania, Islanda o Irlanda. Negli ultimi anni, c'è stato un aumento significativo del numero di regimi di incentivi fiscali a sostegno della produzione di film, televisione e videogiochi in Europa. Come illustrato nella Figura 1.4, il numero di piani operativi di incentivazione fiscale è più che raddoppiato tra il 2008 e il 2014, passando da 12 a 26 (Olsberg e Barnes, 2014).

Figura 1.4 – Timeline degli incentivi fiscali operativi in Europa 2005-2014 (Olsberg, 2014)

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Il boom dei sistemi di incentivi fiscali per le produzioni cinematografiche e televisive può essere spiegato in vari modi. Da una prospettiva più generale, gli incentivi fiscali sono stati sempre più riconosciuti come uno strumento politico semplice ed efficace per sostenere la crescita delle industrie creative, capaci di offrire vantaggi di ampia portata ad esempio in termini di occupazione, consapevolezza del patrimonio, interesse dei consumatori, economia crescita, esportazioni, turismo e il cosiddetto soft power nazionale. Molti Paesi mirano quindi a far crescere il proprio settore audiovisivo, che viene considerato il principale motore di crescita in molte industrie creative. Gli incentivi fiscali sono stati sempre più riconosciuti come uno strumento politico diretto ed efficace per sostenere il raggiungimento di tali obiettivi. In questo contesto, gli incentivi fiscali sono considerati un investimento da parte del governo piuttosto che un costo. Più strettamente legato al settore audiovisivo stesso, l'introduzione di regimi di incentivi fiscali spesso riflette il desiderio di generare attività di produzione locale, attirare produzioni internazionali al di fuori dell'Europa e partecipare in misura maggiore in coproduzioni europee, come partner di maggioranza o minoranza. In generale, l'introduzione di un incentivo fiscale può consentire ai mercati più piccoli, nuovi o meno maturi di costruire il proprio settore produttivo, collaborando con mercati più grandi e beneficiando di maggiori collegamenti e investimenti incrociati che questi portano (Fontaine et al., 2016). Esistono tre tipi principali di strutture di incentivazione comunemente utilizzate in Europa: 1. agevolazioni fiscali, progettate per attrarre investimenti da individui con un patrimonio netto elevato o da società che pagano molte tasse a cui è concesso detrarre investimenti nella produzione qualificata dalle loro passività; 2. rebates, guidati dalla spesa di produzione piuttosto che dai livelli di investimento, rimborsano alle produzioni una percentuale delle loro voci di budget ammissibili secondo una chiara serie di regolamenti e sono finanziati direttamente dal budget dello Stato. Il pagamento viene normalmente effettuato dopo che le spese di produzione sono state completate e verificate e, di fondamentale importanza, in

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genere alcuni mesi dopo che il Ministero del Tesoro ha incassato una serie di imposte dall'attività produttiva stessa; 3. crediti d'imposta, simili ai rebates in quanto progettati per rimborsare una percentuale dei costi di produzione ammissibili sulla base di una formula predeterminata, tuttavia, invece di essere pagato da un fondo delimitato, l'incentivo è impostato sulle passività fiscali del produttore quando viene presentata una dichiarazione annuale delle società. In tal modo, l'incentivo ridurrà l'ammontare dell'imposta dovuta e, laddove l'eccedenza è ancora disponibile dopo che le passività sono state liquidate, come normalmente accade, ciò viene pagato in contanti (Olsberg e Barnes, 2014).

1.2.2.1 Tax shelters Il modello di investimento di sgravio fiscale è stato utilizzato per supportare una serie di settori diversi, non solo quello audiovisivo, in molti Paesi in cui gli individui e le società pagano importi significativi di imposta. Ci sono fattori che separano il funzionamento del modello di detrazione fiscale da altri modelli: • il fornitore di fondi (investitore) riceve una quota di profitto relativa ai progetti; • vari intermediari sono coinvolti nella creazione di investimenti collettivi nell'ambito di questo sistema, quali broker, banche, commercialisti e avvocati; • questi elementi aggiunti aumentano il costo del modello, portando il rendimento alla produzione sostanzialmente inferiore rispetto agli importi effettivamente investiti; • questi intermediari hanno talvolta creato strutture sofisticate e complesse durante la creazione di piani e negli ultimi anni le autorità fiscali di alcuni Paesi hanno contestato la base sulla quale sono state chieste le detrazioni; • il modello normalmente fornisce fondi a partire dall'incentivo durante la produzione, il che è un grande vantaggio per i produttori. Dal punto di vista delle autorità fiscali ci sono anche alcuni fattori degni di nota:

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• sebbene le imposte ricevute dagli investitori siano ridotte a causa della detrazione iniziale, se il progetto creasse profitti futuri, le imposte sarebbero normalmente dovute su tali redditi una volta ricevute dall'investitore; • potrebbe essere considerato un vantaggio il fatto che i costi effettivi di questo modello per il government inizialmente siano in qualche modo "nascosti", in quanto non compaiono come elementi pubblicitari nel budget di alcun ministero, come di solito accade con altri modelli; • alcune autorità sperano che il coinvolgimento di tali investitori possa in definitiva tradursi in una partecipazione più permanente del settore privato. In generale, le autorità finanziarie di molti Paesi sono diventate sempre più riluttanti a utilizzare o modificare i propri sistemi fiscali per sostenere settori selezionati individualmente utilizzando i vantaggi fiscali e, di conseguenza, il modello di incentivazione dello sgravio fiscale ha creato diversi disaccordi. Ciò è anche in parte dovuto al riconoscimento di alcuni sistemi come capaci di mancare di trasparenza e apparire anche meno efficienti. Queste preoccupazioni vengono accentuate quando gli svantaggi del modello di protezione fiscale vengono confrontati con i modelli di rebate e tax credit più semplici, trasparenti ed efficienti (Fontaine et al., 2016). Di seguito un elenco dei Paesi europei che offrono tax shelters: • Belgio. Si applica un regime, noto come Tax shelter, attivo dal 2003 che si è dimostrato estremamente efficace nel generare attività aggiuntive, ma attualmente sta subendo una serie di modifiche, in parte per far fronte alle perdite percepite tra investitori e intermediari e altre inefficienze; • Irlanda. La Section 481 irlandese è operativa dal 1997, anche se il Paese ha avuto un incentivo operativo in vari modi dal 1984. Dopo aver operato come rifugio fiscale fino alla fine del 2014, dal 2015 è mutata in un credito d'imposta del 32%; • Lituania. Ha introdotto dal 2014 un corporate tax shelter, il Film Tax Incentive, che fornisce un incentivo del 20% sulla spesa lituana, se fornita da società con un debito fiscale lituano;

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• Francia. La società francese di finanziamento delle industrie cinematografiche e dell’audiovisivo, o SOFICA, opera dal 1985 come società di investimento, raccogliendo investimenti su base annuale da investire in una varietà di tipi di produzione, con riduzione dell'imposta sul reddito dell'investitore dopo che le azioni sono state detenute per un periodo di cinque anni; • Ungheria. Ha introdotto la Indirect Subsidy nel 2004, fornendo un riparo fiscale per gli investimenti nel cinema e nella televisione. Questa struttura è stata modificata nel 2012, con l'Ungherese Film Fund che ora fornisce un conto di deposito e assume il ruolo di connettere investitori e produttori; • Italia. Gestisce un credito d'imposta esterno, fornendo un riparo fiscale per gli investitori piuttosto che per società di produzione, offrendo uno sconto sulle imposte sulle società pari al 40% dell'investimento effettuato. Tali investitori possono includere società di distribuzione o altre nella catena del valore del film (Fontaine et al., 2016).

1.2.2.2 Rebates Rimborsando alle produzioni una percentuale delle loro voci di budget ammissibili secondo una chiara serie di regolamenti, i rebates sono guidati dalla spesa di produzione piuttosto che dai livelli di investimento e sono finanziati direttamente dal bilancio dello Stato. Il pagamento viene normalmente effettuato dopo che le spese di produzione sono state completate e verificate (anche se alcuni sistemi prevedono pagamenti anticipati parziali) e, di fondamentale importanza, in genere alcuni mesi dopo che il Ministero del Tesoro della nazione ha incassato una serie di imposte dall'attività produttiva stessa. Negli ultimi anni, questo è stato un modello sempre più utilizzato quando si prende in considerazione una nuova forma di incentivo. Questo perché ci sono meno parti coinvolte e il sistema è più trasparente, più facile da controllare e valutare e anche amministrativamente più semplice da utilizzare. Un vantaggio meno ovvio è che in molti casi il sistema può autofinanziarsi. Ciò tiene conto del fatto che il pagamento dei rebates avviene normalmente mesi dopo che le spese sono state effettuate e i conti sono stati

45 successivamente controllati. Di conseguenza, le imposte dovute dalla produzione (comprese le imposte sul reddito, i contributi previdenziali, l'IVA, ecc.) saranno state riscosse prima dello sconto. Inoltre, il rebate viene calcolato solo sui costi ammissibili, mentre le tasse vengono riscosse su tutti i costi. Questo vantaggio non si accumulerebbe se la creazione dell'incentivo non stimolasse chiaramente ulteriori attività. Se i livelli di spesa per la produzione in un Paese rimangono gli stessi prima e dopo l'introduzione del rebate, allora non è stata creata alcuna attività aggiuntiva e pertanto il sistema di rebates non avrà avuto alcun effetto (Fontaine et al., 2016). Di seguito, un elenco dei Paesi europei che offrono rebates: • Austria. Ha introdotto il FISA nel 2010, con un programma recentemente esteso che fornisce un rebate del 25% sulle spese ammissibili, con un fondo che ha un budget totale di 7,5 milioni di euro annui; • Croazia. Il Cash Rebate, introdotto nel 2012, è uno dei sistemi più recenti in Europa e ha avuto un notevole successo, avendo contribuito ad attirare produzioni come Game of Thrones; • Repubblica Ceca. Il Programma di Sostegno all'Industria Cinematografica della Repubblica Ceca (FISP) è stato introdotto nel 2010, fornendo un incentivo del 20% relativo alle spese ammissibili, con il 10% disponibile per il cast e la troupe che pagano la ritenuta d'acconto nel paese. Il FISP è stato recentemente prorogato, con un budget annuale di oltre 30 milioni di euro; • Germania. Gestisce il DFFF dal 2007, fornendo uno sconto del 20% sulle spese ammissibili, con un bilancio attualmente fissato a 50 milioni di euro cui sono ammissibili sia progetti cinematografici che televisivi; • Islanda. Gestisce il Reimbursement operativo dal 1999 che rimborsa fino al 20% le produzioni cinematografiche e televisive prodotte nel Paese; • Malta. Ha introdotto il Cash Rebate nel 2008, revisionandolo nel 2013 per aumentare il rebate offerto al 25% delle spese ammissibili, con un ulteriore 2% è disponibile per produzioni di particolare interesse culturale maltese;

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• Paesi Bassi. Hanno introdotto il Film Production Incentive nel 2014, offrendo un rebate del 30% per le produzioni ammissibili. Funziona sulla base di quattro scadenze all'anno, con un budget massimo per il 2014 di 19,4 milioni di euro; • Slovacchia. Offre uno dei più recenti incentivi in Europa, un Cash Rebate del 20% introdotto nel 2014 che richiede una spesa minima qualificata in Slovacchia di 2 milioni di euro (Fontaine et al., 2016).

1.2.2.3 Tax credits I crediti d'imposta sono simili ai rebates, in quanto progettati per rimborsare una percentuale dei costi di produzione ammissibili sulla base di una formula predeterminata. Tuttavia, invece di essere pagato da un fondo delimitato, l'incentivo è impostato sulle passività fiscali del produttore quando viene presentata una dichiarazione annuale da parte della società. L'incentivo riduce quindi l'importo dell'imposta dovuta e quando l'eccedenza è ancora disponibile dopo che le passività sono state liquidate, come normalmente accade, questa viene pagata in contanti (Fontaine et al., 2016). Di seguito, un elenco dei Paesi europei che offrono tax credit: • Francia. Gestisce quattro sistemi di credito d'imposta distinti, il primo dei quali - il crédit d'impôt cinéma - è disponibile per le co-produzioni o produzioni nazionali. Attualmente limitato a 4 milioni di euro di sconti per film, esso opera insieme ad altri finanziamenti diretti dal CNC come parte di un sistema di supporto olistico. Sono inoltre disponibili incentivi nazionali per la televisione (il crédit d’impôt audiovisuel) e i videogiochi (il crédit d’impôt jeux vidéo). La Francia gestisce anche il TRIP (o crédit d’impôt international) per produzioni internazionali, che offre un limite più alto pari a 20 milioni di euro, sebbene precluda l’accesso al finanziamento diretto del CNC; • Italia. L'Italia ha due crediti d'imposta separati, creati in base a un unico atto legislativo: il credito d'imposta per gli investitori interni è un credito del 15% offerto ai produttori di produzioni qualificate italiane; accanto a questo, c'è un credito d'imposta per i produttori esecutivi, che fornisce un credito d'imposta del

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25%, sul 60% della spesa ammissibile, per i produttori internazionali che girano in Italia; • Spagna. Dal 2014 prevede un incentivo alla produzione per compensare le passività fiscali delle società, sotto forma di Tax Credit. Ciò ha consentito un credito d'imposta del 20% fino a 1 milione di euro, con le rimanenti spese ammissibili soggette a un credito del 18% a fronte delle passività fiscali dei produttori; • Regno Unito. Ha attivo il programma Film Tax Relief dal 2007 che prevede uno sgravio del 20% sull'80% della spesa ammissibile nel Regno Unito, con una spesa minima del Regno Unito del 10% del budget complessivo. Dal 2013, questo è stato esteso alle produzioni televisive e di animazione (High‐End TV Tax Relief e Animation Tax Relief) (Fontaine et al., 2016).

Figura 1.5 - Sintesi dei regimi di incentivazione fiscale esistenti in Europa (Olsberg, 2014)

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1.3 ITALIA

In Italia il cinema, come negli altri Paesi europei, rientra nell'ambito delle attività che prevedono l'intervento dello Stato, in quanto fondamentale espressione della cultura e quindi dell'identità del Paese (diversità culturale). La ratio di tale intervento è di sostenere l'imprenditorialità nel settore audiovisivo, specie in virtù dei costi assai alti di startup e realizzazione di un prodotto filmico. È ovvio che, come tutte le aree destinatarie di un intervento sostegno pubblico, la tendenza all'abuso o la mancata riuscita dei progetti sostenuti rappresentino componenti di rischio assai elevate per lo Stato, inficiando quindi il sano funzionamento in un settore che, comunque lo si veda, possiede un tessuto di tipo industriale. Ciò è evidente tanto più perché vi è una convivenza, all'interno dello stesso contesto operativo, di soggetti industriali autonomi e di soggetti ai primi tentativi di imprenditoriali o comunque con un'attività non consolidata, giovani autori che invece appoggiano quasi solo ed esclusivamente sull’aiuto pubblico (Priante et al., 2006). I progetti e le iniziative dedicate al cinema, nello specifico ai diversi passaggi della filiera - dalla produzione alla promozione e diffusione, dalla formazione all'internazionalizzazione - possono essere finanziati con contributi pubblici, attraverso specifici avvisi emanati principalmente dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dalle diverse Regioni, oppure accedendo a contributi privati resi disponibili da fondazioni di origine bancaria o di altra tipologia e da organizzazioni filantropiche che sostengono per fini statutari attività culturali per lo sviluppo sociale (D’Arrigo, 2018). I principi che ispirano un aggiornamento della normativa, ed in particolare di quella parte che regolamenta il sostegno pubblico al settore, meritano di essere focalizzati al fine di facilitare la comprensione degli obiettivi di ampio respiro che sottostanno alle politiche pubbliche e di leggerne i mutamenti filosofici che li orientano nel tempo. Certamente la riflessione del Governo, del Parlamento e dell'industria attinge a questi principi per elaborare un sistema di sostegno che sia efficiente ed efficace ai fini di un sano sviluppo di un settore che si evolve rapidamente nell'ambito del contesto globale, il cui ruolo

49 strategico assume un'importanza sempre più evidente. Ma è necessario specificare che questi stessi principi sono all'origine della regolamentazione del settore emanata a tutti i livelli territoriali: non solo a livello dello Stato centrale quindi, ma anche a livello comunitario e regionale. L'ispirazione della riflessione su queste materie è infatti oggetto di dibattito in primo luogo in sede europea e successivamente in sede nazionale in fase di definizione delle politiche pubbliche, che non possono che derivare dalle indicazioni comunitarie da un lato e rispondere alle esigenze specifiche dello Stato e del contesto nazionale dall'altro (D’Urso e Medolago Albani, 2017). L’Unione europea riconosce l'importanza della produzione culturale e, in questo ambito, della produzione cinematografica e audiovisiva, in quanto strumenti di promozione consolidamento dell'identità culturale europea: favorisce quindi il sostegno al settore da parte degli Stati membri, che agiscono sullo sviluppo economico industriale e garantiscono l'espressione creativa, anche nei casi in cui, all'interno del libero mercato, questa non troverebbe spazio. Quello dell'eccezione culturale, come già affrontato, è il principio in base al quale si rende possibile l'intervento pubblico a favore del cinema e dell'audiovisivo. Discutendo più approfonditamente le motivazioni dell'intervento pubblico dello Stato italiano nell'audiovisivo, non si può trascurare quanto scritto dalla Costituzione, sin dai principi fondamentali, all'Articolo 9: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica". L'intervento anche finanziario dello Stato nell'audiovisivo è quindi ispirato alla funzione fondamentale di promozione culturale e pertanto rientra nelle competenze del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (MiBACT). Fino al 2015, lo Stato italiano ha orientato il proprio intervento restringendone i confini al solo prodotto cinematografico. Al contrario, sia l’Unione Europea che le Regioni italiane hanno impostato a monte le proprie politiche, rivolgendosi al più ampio ambito dell'audiovisivo (D’Urso e Medolago Albani, 2017). Urge quindi chiarire cosa è cambiato dal 2016 in poi e quale definizione dare al settore audiovisivo.

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1.3.1 IL “NUOVO” SETTORE AUDIOVISIVO

Il settore audiovisivo è composto di due segmenti storicamente distinti sia sul fronte delle competenze istituzionali, sia su quello della struttura industriale e delle dinamiche di mercato, ma che nel contesto attuale sono protagonisti di un processo di convergenza: il settore cinematografico da un lato e dall’altro quello audiovisivo in senso stretto (ovvero relativo ai mercati della televisione e delle piattaforme). La tendenza generale che sospinge questo processo è infatti la sempre maggiore centralità del prodotto, che è ancor più svincolato dalle piattaforme di primo sfruttamento e si pone come contenuto disponibile sui diversi canali di distribuzione e di accesso al pubblico. Per audiovisivo, nel linguaggio del mercato, si intende tutta la produzione di immagini in movimento destinata non prioritariamente o, meglio, non necessariamente alla sala cinematografica. Nel tempo, il perimetro dell'audiovisivo si è definito ed espanso in funzione dell'evoluzione tecnologica: ne consegue che in termini generali il cinema non è che un sottoinsieme dell'audiovisivo. Ciò che cambia, si evolve e si moltiplica è quindi la tecnica di produzione degli strumenti di diffusione del prodotto più che il prodotto stesso. Dal punto di vista del mercato, quindi, la tendenza ormai consolidata vede una progressiva emancipazione del prodotto, o opera audiovisiva, della sua piattaforma di distribuzione, che sempre più diventa marginale rispetto al destino distributivo e commerciale del prodotto. Lo stesso film, in altri termini, raggiunge il pubblico attraverso la sala cinematografica, la televisione, il supporto per home video, l’on-demand on-line, la piattaforma web, senza più una gerarchia consolidata fra i diversi canali e senza una stretta identificazione con un canale specifico: il film non è necessariamente solo l'opera che esce al cinema, la serie non è più necessariamente solo l'opera che esce in televisione e così via (D’Urso e Medolago Albani, 2017). Il 14 novembre 2016 è stata promulgata la nuova legge per la regolamentazione del comparto cinema in Italia (legge n.220 recante “Disciplina del cinema e dell'audiovisivo”, contenente anche le indicazioni per la concessione di contributi alle attività

51 cinematografiche). L'anno successivo, il 31 luglio 2017, è stato pubblicato il Decreto Ministeriale recante “Disposizioni applicative in materia di contributi alle attività e alle iniziative di promozione cinematografica e audiovisiva, di cui all'articolo 27 della legge 14 novembre 2016 n.220”, ovvero i cosiddetti “decreti attuativi” che disciplinano le modalità di partecipazione ai bandi per l'accesso al contributo: soggetti ammissibili, tipologia dei progetti, percentuale contributo ministeriale, tipologia di spese ammissibili, tempi (D’Arrigo, 2018). La legge n.220/2016, che regolamenta l'intero settore, riporta integralmente all’articolo 2, comma 1, lettera a) la definizione di opera audiovisiva: "registrazione di immagini in movimento, anche non accompagnate da suoni, realizzata su qualsiasi supporto e mediante qualsiasi tecnica, anche di animazione, con contenuto narrativo, documentaristico o videoludico, purché opera dell'ingegno e tutelata dalla normativa vigente in materia di diritto d'autore e destinata al pubblico dal titolare dei diritti di utilizzazione". È quindi importante sottolineare come la nuova legge si fondi sull’ampliamento della competenza del MiBACT dal solo cinema all'intero settore audiovisivo, allargando il concetto di opera audiovisiva. Inoltre, per la prima volta nella storia, il cinema e l'audiovisivo vengono resi autonomi dal Fondo Unico per lo Spettacolo, con una separazione simbolica da tutte le altre forme di sostegno allo spettacolo dal vivo (il nuovo "Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nel audiovisivo", previsto dall'articolo 13). Si tratta quindi di un superamento del concetto di “spesa pubblica”, per passare a uno strumento tipico di “investimento pubblico”, da cui si presume un ritorno nell'arco del tempo (D’Urso e Medolago Albani, 2017). Dal punto di vista del meccanismo in base a cui viene erogato il sostegno, esistono essenzialmente due tipologie di aiuto che lo Stato può offrire alla filiera audiovisiva: gli aiuti diretti e gli aiuti indiretti. Sul fronte delle tipologie di contributo erogato a favore del settore, la legge prevede quattro strumenti:

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1. contributi diretti selettivi, dedicati prioritariamente alla produzione di opere cinematografiche, con particolare attenzione a quelle che avrebbero difficoltà a reperire sufficienti risorse nel mercato, come le opere prime e seconde, quelle realizzate da giovani autori o quelle di particolare qualità artistica e culturale; 2. contributi diretti automatici per lo sviluppo, la produzione e la distribuzione in Italia e all'estero di opere cinematografiche e audiovisive: questo sostegno viene erogato in via automatica, sulla base di parametri definiti dalla legge e dai decreti attuativi; 3. tax credit, ampliato e reso più coerente è adeguato alle esigenze dei vari segmenti del mercato; 4. sostegno alla promozione, con obiettivo in particolare di favorire l'internazionalizzazione dell'industria e l'accesso del prodotto italiano al mercato nazionale ed estero (D’Urso e Medolago Albani, 2017). Per quanto riguarda i punti 1 e 2, il quadro giuridico stabilito dalla legge n.220/2016 è stato integrato in data 31 luglio 2017 da due successivi decreti ministeriali: quello n.342 per i contributi selettivi e quello n.343 per i contributi automatici (Talavera e Chochon, 2019). Un altro elemento di rilevanza storica contenuto nella legge riguarda la funzione delle Regioni per il settore e in particolare prevede il riconoscimento del ruolo delle Film Commission, a cui è affidato il compito di promuovere il territorio, favorendo lo sviluppo economico e culturale attraverso l'industria audiovisiva e a cui può essere affidata la gestione di Fondi regionali a favore del settore (D’Urso e Medolago Albani, 2017).

1.3.2 RISORSE DIRETTE Gli aiuti diretti consistono essenzialmente in erogazioni (a fondo perduto o prestiti rimborsabili) destinate all'opera per il tramite dell'impresa che la produce. Essi possono essere destinati alle opere non ancora realizzate, e in tal caso vengono assegnati in base a una procedura di selezione, oppure alle opere già realizzate, e in tal caso vengono

53 assegnati in base ai risultati da esse ottenuti sul mercato in fase di distribuzione o diffusione. I criteri di assegnazione di tali aiuti possono essere selettivi o automatici e fanno generalmente riferimento alle caratteristiche dell'opera, del cast artistico e dell'impresa. Nel sistema italiano in vigore fino al 2016, gli aiuti diretti erano tradizionalmente identificati con i fondi gestiti dal MiBACT - Direzione generale cinema a valere sul FUS, Fondo Unico per lo Spettacolo, erogati a favore della produzione di film di interesse culturale, delle opere prime o seconde, dei cortometraggi e delle sceneggiature. Oltre a questi, fra gli aiuti diretti ricadevano anche i cosiddetti “contributi sugli incassi”, ovvero quei contributi erogati ex post a favore dell'impresa di produzione e calcolati con un complesso sistema di percentuali sulla base dei risultati ottenuti dal film durante lo sfruttamento in sala cinematografica (D’Urso e Medolago Albani, 2017).

1.3.2.1 Fondo Unico per lo Spettacolo Il Ministero della Cultura italiano nel 1985 ha creato un fondo statale speciale, il cosiddetto FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo), rivisto ogni anno dalla legge di bilancio, per aiutare le arti performative italiane, con una sezione speciale per i film. Secondo la legge emessa nel 1985, il 25% dei suoi fondi era destinato alla produzione cinematografica; successivamente, dal 1990, il FUS è stato costantemente diminuito in termini reali e in percentuale del PIL. Inizialmente l'importo dato alla produzione cinematografica era di 150 miliardi di lire (circa 75 milioni di euro), un importo notevole considerando che le entrate complessive dei film italiani nel 1985 sono state di circa 153 miliardi di lire (80 milioni di euro). Nel 1990 le percentuali fisse per vari settori furono abolite e da quel momento in poi i film italiani ottennero una percentuale annuale di circa il 18%. I fondi sono stati principalmente utilizzati per finanziare nuovi film sulla base di un progetto presentato ad un comitato ministeriale di esperti: una sezione era riservata ai nuovi debuttanti e produttori, una parte minore era riservata a cortometraggi, festival cinematografici e premi per i migliori film. La quota di nuovi film che hanno ottenuto fondi

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FUS sul totale dei nuovi film prodotti ogni anno è piuttosto grande, spesso superiore al 50% del totale. L'aiuto finanziario alla produzione di nuovi film, in origine, era principalmente erogato da prestiti ad un tasso di interesse molto basso, ma i finanziamenti ricevuti dovevano essere rimborsati solo se ci fosse stato un ritorno netto della produzione e solo parzialmente. I criteri per l'assegnazione dell'aiuto hanno subito continui cambiamenti nel tentativo di migliorarne l'efficacia: in linea di massima, inizialmente i parametri rilevanti oltre alla qualità culturale dei film erano la coerenza e l'articolazione del soggetto, la reputazione del regista e degli artisti e le loro caratteristiche. Un primo grande cambiamento si è verificato nel 2004, con la legge n.28 il 22 gennaio 2004 "Riforma delle norme in materia di attività cinematografiche": il principale cambiamento in questa legge è stato l'introduzione di un contributo sulle entrate dei film per aumentare la produzione di film di qualità (Meloni et al., 2018). Primariamente, quindi, il finanziamento al cinema si articolava sì a sostegno dei vari momenti della filiera tradizionale (dalla fase di sviluppo con sostegno allo sviluppo di sceneggiature alla produzione - con la percentuale maggiore -, dalla distribuzione all’esercizio e alle industrie tecniche), ma vedeva esclusivamente la sala come momento principale di attivazione della redditività del prodotto filmico e quindi del ritorno sull'investimento compiuto dagli attori coinvolti nel processo, dal produttore allo Stato (Priante et al., 2006).

1.3.2.2 MiBACT In attuazione però della nuova legge n.220/2016, sul finire del 2017 sono stati pubblicati sette bandi finalizzati a sostenere con risorse dirette diversi ambiti del settore cinema, con una dotazione complessiva di €45.790.000. Il bando con la maggiore dotazione è quello destinato alla realizzazione di opere cinematografiche e audiovisive, con un importo che rappresenta da solo il 67% della dotazione complessiva dei bandi. All'interno del medesimo avviso, €23.680.000 sono destinati nello specifico alla produzione di opere cinematografiche: il sostegno alla produzione rappresenta più della metà della dotazione

55 del MiBACT per cinema attraverso questi bandi. Ogni singolo bando ha caratteristiche proprie molto peculiari e la varietà di temi trattati, di destinatari dei contributi e di tipologie progettuali sostenute non ne permette una trattazione unitaria. Ci si limita pertanto ad elencarli: • bando per contributi alle associazioni nazionali di cultura cinematografica, cinecircoli e sale della comunità; • bando sale cinematografiche programmazione film d'essai; • bando per adeguamento tecnologico delle sale per persone con disabilità sensoriale; • bando concessione di contributi selettivi per la scrittura, lo sviluppo e la pre- produzione, la produzione, la distribuzione nazionale ed internazionale di opere cinematografiche e audiovisive; • bando cineteche; • bando festival rassegne e premi; • bando sviluppo cultura cinematografica. Con la loro dotazione finanziaria complessiva, il numero e la tipologia di soggetti ammissibili a finanziamento e la varietà di tipologie progettuali finanziabili, i bandi del Ministero rappresentano un punto di riferimento per il settore, non solo per la possibilità di finanziare le attività previste, ma anche per l'indirizzo che le strategie dei bandi conferiscono alla progettazione (D’Arrigo, 2018).

1.3.3 RISORSE INDIRETTE A differenza delle risorse dirette, gli aiuti indiretti sono erogazioni concesse in quota rispetto a un valore definito. Ricadono in questa tipologia tutte le forme di tax credit, in quanto consistono in un risparmio fiscale calcolato in percentuale rispetto al costo di produzione dell'opera, secondo un complesso sistema di variabili. Per loro natura, gli aiuti indiretti vengono assegnati alle imprese in base a criteri di attribuzione automatici. Mentre fino al 2007 la maggior parte del sostegno veniva erogato attraverso fondi diretti,

56 con l'introduzione della norma che istituisce il tax credit la quota degli aiuti indiretti è aumentata, mantenendo perlopiù inalterato l'ammontare di quelli diretti (D’Urso e Medolago Albani, 2017). Difatti, storicamente, l'Italia è il Paese che ha praticamente inaugurato l'istituzionalizzazione del finanziamento diretto a fondo perduto per il cinema, durante il ventennio fascista. Una serie di provvedimenti, dall'immediato Dopoguerra in poi, ha consolidato tale principio, secondo una direttrice che è peraltro comune a molti Paesi europei e trova il suo fondamento nel concetto dell'eccezione culturale, sancito negli Anni ‘90 anche dall'Unione Europea. Si tratta del presupposto in base al quale deve essere tutelato il diritto del cittadino a fruire di un'offerta cinematografica diversificata che rischia di essere soffocata da un mercato che si orienta secondo la "dittatura della maggioranza". Se, in astratto, il principio appare certamente condivisibile, la sua applicazione concreta ha trovato numerosi ostacoli nella difficoltà, da parte degli apparati preposti, a porre un argine ai comportamenti opportunistici e speculativi di buona parte dei soggetti produttivi implicati. Il legislatore ha maturato nel tempo una sfiducia progressiva nella possibilità che il finanziamento diretto potesse essere sufficiente a perseguire l'obiettivo di cui sopra. In questo senso un punto di svolta importante si è avuto il 22 gennaio 2004 con l'approvazione del decreto legislativo n.28/2004, noto come "decreto Urbani", che cercava di compensare il meccanismo del finanziamento diretto con l'introduzione di una molteplicità di possibili finanziamenti indiretti. Fra questi, oltre al tax-credit e al tax-shelter (quest'ultimo presto abbandonato) introdotti nel 2007, un ruolo primario doveva essere giocato dall'intervento delle televisioni che andavano assumendo una progressiva centralità sia in termini di investimenti sia di promozione del cinema italiano, in un sistema in cui la distribuzione in sala non era più il segmento fondamentale di ciclo di sfruttamento commerciale di un film. La propensione a spostare l'asse dal finanziamento diretto ad una attenzione complessiva per il settore cinematografico nel suo insieme era confermata dall'art. 44 del decreto legislativo

57 n.177/2005, approvato dal Governo Berlusconi e denominato Testo Unico per la radiotelevisione. L’ultimo decreto legislativo, fortemente voluto dal Ministro Franceschini, non introduce elementi rivoluzionari ma si colloca in una doppia linea di continuità rispetto agli interventi legislativi posti in essere negli ultimi anni da governi di differente orientamento politico. Tale intervento si muove all'interno di un duplice obiettivo: 1. spostare l'asse del sostegno finanziario al cinema dall'intervento diretto dello Stato all'intermediazione di altri soggetti pubblici e privati (considerati più efficaci per mantenere il prodotto audiovisivo sostenuto a contatto con la realtà e impedirgli di assumere una deriva autoreferenziale); 2. consolidare e regolamentare il ruolo delle televisioni per quanto riguarda la produzione cinematografica nazionale e la promozione della stessa (Manzoli, 2018).

1.3.3.1 Tax credit Con la legge n.220/2016, il sistema di finanziamento e fiscalità viene interamente ridisegnato e costruito attorno a quattro principali canali di sostegno al settore, come chiaramente indicato nell'enunciare le tipologie di intervento: crediti di imposta; contributi automatici; contributi selettivi; contributi per la promozione. Tra questi, i tax credit, o crediti di imposta, sono i tradizionali benefici fiscali ammessi per compensare il pagamento delle imposte, riconosciuti alle imprese di produzione, distribuzione, dell'esercizio cinematografico e per le industrie tecniche e di post-produzione, per il potenziamento dell'offerta cinematografica, per l'attrazione in Italia di investimenti cinematografici e audiovisivi e per le imprese non appartenenti al settore cinematografico e audiovisivo (il cosiddetto tax credit esterno). Rispetto alla disciplina previgente, la legge n.220 del 2016 modula direttamente le aliquote in numerosi casi, al fine di assicurare maggiore efficacia alla misura: basti citare il caso del tax credit per la distribuzione, per il quale già legge individua le ipotesi di beneficio al 40% (dei costi) rispetto alla forbice 15-40%; oppure quello del tax

58 credit esterno, riconosciuto fino al 30% dei costi, ma elevato al 40% qualora si tratti di opere beneficiarie dei contributi selettivi (Casini, 2017). I crediti di imposta per l'arte e il cinema sono expenditures tout court, in quanto non legati a imponibili positivi ai fini di un determinato tributo: per essi non si pone cioè il problema della cosiddetta "capienza", cioè l'eventualità che il beneficiario sia sprovvisto di un imponibile adeguato a monetizzare il beneficio che gli spetta. I crediti di imposta in esame sono in altre parole "moneta sonante", essendo spendibili a fronte di qualsiasi debito tributario-contributivo. Ad ulteriore garanzia della monetizzabilità di tali crediti, l'articolo 21 comma 4 cit. consente addirittura la cessione dei crediti in esame a intermediari bancario-assicurativi, che possono utilizzarli in compensazione dei propri debiti d'imposta o contributivi (Lupi, 2018). Attualmente in Italia sono disponibili quattro tipi di tax credit per la produzione e la distribuzione di film italiani: 1. Credito d'imposta del 15% per la produzione di film italiani (tax credit produzione italiana). Le società di produzione cinematografica italiane possono beneficiarne, a condizione che almeno l'80% dei costi di produzione siano spesi in Italia e che l'importo del credito d'imposta non sia superiore a 3,5 milioni di euro per ogni anno fiscale. 2. Credito d'imposta del 40% per investimenti esterni su produzioni cinematografiche italiane (tax credit esterno). Tutte le società non legate all'industria cinematografica possono beneficiare di questo incentivo a condizione che il credito non superi il milione di euro per anno fiscale e che almeno l'80% della somma investita sia speso dal produttore in Italia. Gli investimenti esterni non devono superare il 49% dei costi di produzione totali. Se l'investitore esterno ha firmato un accordo di collocamento del prodotto sul film, deve investire almeno il 10% sui costi di produzione. 3. Credito d'imposta del 25% per la produzione esecutiva di film stranieri (tax credit attrazione investimenti esteri). Le società di produzione esecutiva italiane che

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sostengono la produzione effettiva in Italia di un film straniero (che impiega principalmente manodopera italiana o europea) su commissione di produzioni straniere, possono beneficiare di crediti d'imposta a condizione che il credito non superi i 5 milioni di euro e che le spese in Italia non siano superiori a 60% dei costi di produzione totali. 4. Credito d'imposta del 10% per la distribuzione di film italiani (tax credit distribuzione). Le società di distribuzione italiane possono richiedere questo incentivo per i costi di distribuzione, ma il credito non deve essere superiore a 2 milioni di euro (Teti et al., 2019). Quindi, il tax credit per la produzione consente ad un'impresa di accedere a dei benefici fiscali nel momento in cui indirizza i propri investimenti nella realizzazione di un film. Come già riportato, se l'impresa in questione è una società di produzione cinematografica, il credito ammonta al 15% dell'investimento (tax credit interno); se l'impresa è esterna alla filiera audiovisiva, il credito sale al 40% (tax credit esterno). All'interno di questo meccanismo, lo Stato non eroga direttamente delle risorse, ma fornisce un aiuto indiretto rinunciando a delle entrate fiscali. Queste mancate entrate vengono però considerate come una sorta di investimento per lo Stato, in quanto incentivano movimenti economici a più livelli che si tradurranno poi in entrate fiscali superiori rispetto a quelle a cui lo Stato ha rinunciato. Lo Stato diventa così una sorta di promotore e garante nel rapporto tra produzione cinematografica e investimenti privati: non si limita più ad auspicare un dialogo tra i due come in passato, ma adotta misure concrete per innescarlo. Inoltre, è importante ricordare che in quest’ambito lo Stato rinuncia a qualsiasi scelta discrezionale sui film che usufruiranno degli incentivi. Il credito d'imposta, infatti, può essere applicato a qualsiasi pellicola di nazionalità italiana che abbia superato il test di eleggibilità culturale. Dunque, lo spettro di titoli è molto ampio (vi rientrano anche pellicole popolari-commerciali) e le scelte di quali produzioni sostenere è delegata interamente alle imprese interne o esterne al settore che decidono di investire nella produzione cinematografica (Cucco e Manzoli, 2017).

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1.4 REGIONI L'apporto offerto al settore cinematografico e audiovisivo da parte delle Regioni italiane è ormai da qualche anno un elemento consolidato che il produttore prende in considerazione nel momento in cui inizia a sviluppare un nuovo progetto. Tale apporto si concretizza in due tipologie di offerta: 1. opportunità di girare sul territorio regionale con l'assistenza e il supporto della Film Commission locale; 2. possibilità di ottenere un sostegno economico concreto, nei territori dove sono disponibili specifici fondi di sostegno alla produzione dell'opera o ad altre fasi della filiera. Il fenomeno della nascita e diffusione nelle regioni italiane di Film Commission (dal 2000) e di Fondi regionali (dal 2003) ha provocato nel settore cinematografico e audiovisivo un processo di progressiva delocalizzazione delle produzioni, che storicamente erano insediate quasi esclusivamente a Roma, per quanto riguarda il settore cinematografico, e a Milano, per quanto riguarda il settore televisivo e quello delle pubblicità. L'opportunità di utilizzare location diverse dislocate per l'intero Paese, con l'incentivo sia logistico che economico offerto dei singoli territori, è stata colta con discreta reattività da parte di produttori e registi, al punto che attualmente la scelta delle location di una nuova opera prevede un ventaglio di scelte molto più ampio e variegato rispetto a soli 10 anni fa. Anche il budget di produzione vede oramai, fra le voci considerate prioritarie, quella legata agli eventuali fondi disponibili sul territorio su cui si decide di realizzare l'opera. La nuova legge sul cinema e l'audiovisivo, la n.220 del 2016, risponde a questa tendenza dell’industria dedicando alle Film Commission e ai Fondi regionali un articolo (Art.4) che segna un momento storico per questo settore: il riconoscimento, da parte dello Stato, del ruolo e delle attività della Film Commission (comma 3) e delle possibilità, da parte di questo soggetto, di gestire eventuali Fondi regionali di sostegno economico al settore (comma 5). L’attuazione di queste disposizioni è dettagliata in un apposito decreto

61 ministeriale, emanato a gennaio 2018 a cura del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (D’Urso, 2018).

1.4.1 FILM COMMISSION L’articolo 2 della legge n.220/2016 è dedicato alle Definizioni e al comma 2, lettera v, definisce Film Commission “l'istituzione, riconosciuta da ciascuna regione o provincia autonoma, che persegue finalità di pubblico interesse nel comparto dell'industria del cinema e dell'audiovisivo e fornisce supporto e assistenza alle produzioni cinematografiche e audiovisive nazionali e internazionali e, a titolo gratuito, alle amministrazioni competenti nel settore del cinema e dell'audiovisivo nel territorio di riferimento”. La prima Film Commission regionale italiana è nata in Piemonte nel 2001. Attualmente quasi tutte le regioni sono dotate di una Film Commission. L'obiettivo istituzionale tipico è quello di offrire servizi alle produzioni cinematografiche e audiovisive che scelgono il loro territorio come location. Questi servizi sono essenzialmente di natura logistica, scouting sul territorio, facilitazioni relative all'ospitalità, assistenza nelle procedure burocratiche, contatto con i professionisti presenti sul territorio. Una particolare peculiarità delle Film Commission italiane è l'eterogeneità della loro natura. Infatti, differiscono fra loro da diversi punti di vista: • la loro natura giuridica è variegata. In molti casi si tratta di fondazioni a partecipazione totalmente pubblica, oppure in parte pubblica e in parte privata, in altri casi si tratta di associazioni, in altri casi gli uffici regionali interni all'amministrazione; • la competenza amministrativa a cui fanno riferimento è altrettanto variegata: in alcuni casi le Film Commission sono volute e sostenute dagli Assessorati alla Cultura e all'Identità Regionale, in altri casi dagli Assessorati al Turismo e alla Promozione del Territorio, in altri dagli Assessorati alle Attività Produttive, o alla Formazione.

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Questo significa che gli obiettivi strategici per cui viene creata e sostenuta una Film Commission possono essere diversi quanto sono diverse le 20 Regioni italiane: essi possono variare in funzione delle caratteristiche e delle esigenze culturali, paesaggistiche e industriali di ciascun territorio. Ne deriva un panorama di soggetti piuttosto articolato e diversificato, a seconda del contesto in cui si collocano: ciò che accomuna tutte le Film Commission, in ogni caso, è che costituiscono il primo e principale interlocutore di riferimento per il produttore che decide di girare tutta o parte della sua opera su determinato territorio (D’Urso, 2018). Pur tra le molte diversità, in ordine alla struttura organizzativa e al radicamento sul territorio regionale, le Film Commission si occupano generalmente della ricerca sul territorio di luoghi e professionalità utili alle produzioni, fornendo loro servizi diretti ed indiretti; collaborano con gli enti territoriali per soddisfare le necessità delle produzioni, fungendo anche da intermediari tra comparto audiovisivo, tessuto industriale locale e settore bancario e creditizio; promuovono e gestiscono servizi informativi, avvalendosi degli uffici regionali attivi nel territorio e collaborando con tutti quei soggetti pubblici e privati (es. associazioni imprenditoriali e di categoria) che possono essere degli utili interlocutori per le produzioni; promuovono la formazione professionale e l'aggiornamento degli operatori della filiera (Sau, 2018). Nate sulla scia dell'esperienza nordamericana dei primi Anni '40 del secolo scorso, per attrarre ed agevolare la permanenza nel territorio delle produzioni cinematografiche e audiovisive attraverso la fornitura di servizi organizzativi, finanziari e promozionali, le Film Commission italiane operano, in termini più generali, a sostegno dello sviluppo turistico del territorio e della valorizzazione dell'identità culturale regionale, attraverso la promozione delle attività cinematografiche e del comparto audiovisivo e la salvaguardia del patrimonio filmico ed audiovisivo regionale, integrando offerta culturale e offerta turistica in un unicum inscindibile che ha indotto il legislatore statale a riconoscerne il ruolo nel sistema cinematografico regionale.

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Tra le attività di interesse pubblico svolte dalle Film Commission rientrano, infatti, accanto all'assistenza amministrativa e logistica alle imprese che operano sul territorio regionale, anche: • il sostegno alle attività di formazione e di educazione all'arte e alla diffusione dell'immagine, già finanziate dal Fondo per il cinema e l'audiovisivo; • la collaborazione con Regioni e Province autonome nell'ambito di iniziative di valorizzazione e promozione del patrimonio artistico cinematografico ed audiovisivo, attraverso progetti di catalogazione, conservazione e digitalizzazione del patrimonio filmico ed audiovisivo tramite il sistema delle cineteche e mediateche, nella promozione di iniziative e manifestazioni finalizzate allo sviluppo della cultura cinematografica e nell'adozione di iniziative che favoriscano l'accesso al credito delle imprese di settore (Sau, 2018).

1.4.2 FONDI REGIONALI Come già introdotto, i fondi distribuiti dal MiBACT non sono le uniche risorse pubbliche destinate al cinema in Italia. Della materia si occupano infatti anche le Regioni, che la trattano di volta in volta nell'ambito delle politiche culturali, del sostegno alle imprese, dello sviluppo territoriale. Trattandosi di enti con organizzazione e strategia che si differenziano anche notevolmente fra loro, la raccolta e la classificazione dei dati non è semplice: la provenienza e la destinazione delle risorse, gli importi, la strategia complessiva di utilizzo delle risorse disponibili e la loro distribuzione differiscono da regione a regione. I bandi regionali presentano caratteristiche peculiari con variabili importanti da un ente all'altro, pertanto la raccolta delle informazioni va effettuata direttamente presso gli uffici della Regione di riferimento, tenendo conto che alcuni bandi possono essere gestiti dagli uffici cultura, ma da settori diversi. In molti casi si tratta di fondi di rotazione o di risorse provenienti dal programma PO FESR - Programma Operativo per il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, di cui ogni regione si dota per poter

64 programmare e utilizzare i fondi strutturali provenienti dall'Unione Europea (D’Arrigo, 2018). Alcune Regioni italiane, quindi, accanto ai servizi offerti dalle Film Commission, mettono a disposizione del settore audiovisivo dei fondi di sostegno, costituiti nella maggioranza dei casi da contributi a fondo perduto destinati alle produzioni che scelgono come location quel territorio. A differenza di quanto avviene per i fondi di sostegno nazionali e sovranazionali, mossi da una motivazione che ha che fare con la valorizzazione dell'opera audiovisiva in quanto prodotto culturale e frutto di un impegno obbligatorio dell'amministrazione pubblica nel sostegno al settore, i fondi regionali nascono da una volontà politica locale che a fronte di un investimento si aspetta di ottenere un ritorno che, di qualsiasi natura esso sia, deve giustificare l'investimento stesso. Le Regioni non sono tenute a investire nel settore audiovisivo, contrariamente a quanto deve fare invece lo Stato: se lo fanno è perché ne traggono un vantaggio. Questo è il motivo per cui non tutte le Regioni promuovono fondi specifici di sostegno al settore, anche se quasi tutte ormai hanno una Film Commission (D’Urso, 2018). In una forte crescita delle Film Commission, si è registrato anche l'aumento del numero delle Regioni che hanno istituito un Fondo di sostegno economico per la realizzazione di progetti audiovisivi (film fund). Il Fondo interviene normalmente sotto forma di co- finanziamenti, prestiti rimborsabili e sussidi diretti (solo in alcuni casi i fondi si propongono in qualità di co-produttori). La decisione di creare un Fondo è generalmente dettata da due ordini di ragioni: da una parte c'è un intento di tipo culturale, quello di sostenere la produzione culturale locale e i talenti creativi presenti nel territorio, che altrimenti avrebbero maggiori difficoltà ad emergere; dall'altro ci sono intenti più direttamente economici (Cucco e Richeri, 2011). Sorti in Europa già nei primi Anni '90, i fondi regionali a sostegno dell'audiovisivo hanno raggiunto oggi una piena maturazione in termini di consistenza economica e impatto sul territorio. Pur nella varietà degli schemi di sostegno, tutti gli strumenti di intervento sono caratterizzati da un approccio che coniuga le esigenze di valorizzazione del territorio con

65 quelle di attrazione degli investimenti, senza tuttavia trascurare iniziative prettamente cultural oriented. Gli obiettivi strategici che si sono dati i fondi regionali in Italia possono essere così sinteticamente indicati: • promuovere l'identità culturale locale; • aumentare la produttività dell'area, anche tramite progetti di riconversione industriale; • attrarre nuovo capitale umano e finanziario; • creare nuova occupazione diretta o indotta; • sviluppare campagne di marketing territoriale, con ricadute stabili sui flussi turistici; • porre un freno alla delocalizzazione. I Fondi sono in larga parte rivolti alle fasi di sviluppo e produzione dell'opera e i criteri per accedervi, pur diversi per ciascun caso, riguardano essenzialmente: • residenza sul territorio di società di produzione, regista, talents e maestranze; • obbligo di girare sul territorio una percentuale minima di riprese; • vincolo a effettuare sul territorio una spesa superiore al contributo erogato (Zambardino e D’Urso, 2011). Spesso, quindi, i finanziamenti pubblici locali sono assegnati alla condizione che una quantità di risorse superiore a quelle ricevute sia spesa localmente e che ciò possa essere verificato attraverso, per esempio, il controllo delle fatture pagate. Il Fondo diventa così uno strumento in grado di garantire una certa quantità di investimenti locali, insieme alla possibilità di controllarli e misurarli. L'ammontare del Fondo varia da regione a regione, in base alla loro dimensione geografica, alla loro ricchezza e alla rilevanza strategica riconosciuta al settore dell'audiovisivo in termini di politica economica e culturale. Allo stesso modo, variano i criteri in virtù dei quali vengono assegnati i finanziamenti alle produzioni: i criteri possono essere di natura artistica e/o commerciale, possono essere volti al sostegno di talenti locali, della lingua e dei dialetti regionali o del patrimonio storico, culturale e paesaggistico o altro ancora. L'assegnazione dei finanziamenti può

66 anche essere proporzionale al numero di giorni di riprese realizzate nella regione, o essere vincolato ad un ammontare minimo di scene ambientate in parti del territorio locale riconoscibile (Cucco e Richeri, 2011). Per dare una misura dell'investimento delle regioni sul cinema, D’Arrigo (2018) considera esclusivamente i bandi rivolti specificatamente al cinema e all'audiovisivo, escludendo tutti quegli avvisi pubblici più genericamente destinati a sostenere la cultura e che, all'interno dei propri fondi, finanziano anche progetti cinematografici ma che non vi destinano una somma predeterminata. Tale impostazione della ricerca ha messo in evidenza come nel 2017 tutte le regioni d'Italia abbiano pubblicato bandi per il cinema, a eccezione del Molise e dell'Umbria. La regione con il più alto numero di bandi dedicati al cinema è la Sardegna, con 6 bandi; segue l'Emilia-Romagna con 5, la Campania, il Friuli- Venezia Giulia e la Sicilia con 3 bandi ciascuna, e le altre regioni con uno o due avvisi l'anno, per un totale di 35 avvisi pubblici. Ciascuna regione individua i settori su cui puntare, ma a prevalere sono i bandi destinati alla produzione (21 in totale) con specifiche sulla produzione di opere prime di cortometraggi, documentari, serie tv; 6 sono i bandi destinati a sostenere festival e rassegne; 3 gli avvisi per progetti di formazione, i restanti sono strumenti di sostegno alle PMI del settore. Complessivamente, dalle Regioni nel 2017 sono state destinate al cinema risorse per oltre 60 milioni di euro. All'alto numero di bandi non corrisponde necessariamente un maggiore investimento economico: la regione che ha investito ad e stirato più risorse al settore nel 2017 è la Regione Lazio con una dotazione complessiva di 19 milioni per due bandi, di cui 9 milioni indirizzati alla produzione cinematografica e audiovisiva di opere da realizzarsi prevalentemente nel territorio regionale; segue la Regione Puglia con investimenti pari a 15 milioni nel 2017, di cui 10 milioni destinati all'esercizio cinematografico e 5 milioni per la produzione; chiude il podio la Regione Campania che complessivamente ha riservato al cinema risorse per oltre 11 milioni di euro, divisi in maniera equilibrata fra produzione e promozione. Dei 6 bandi della Regione Sardegna soltanto uno è destinato alla promozione, con risorse per €200.000, mentre gli altri cinque sono dedicati al sostegno alla produzione, arrivando

67 a risorse complessive per €2.150.000; all'incirca la stessa cifra è stata messa a bando dall’Emilia-Romagna attraverso i suoi cinque avvisi per il cinema. Le regioni con minori investimenti risultano essere la Basilicata con €150.000, il Piemonte con €140.000 e la Valle d'Aosta con €60.000, erogati attraverso un singolo bando ciascuna. La differenza di dimensione degli investimenti per il cinema non rispecchia dunque necessariamente le dimensioni territoriali o la densità di popolazione delle singole regioni, ma corrisponde piuttosto a un orientamento strategico a decisioni di carattere politico-amministrativo di collocazione delle risorse disponibili (D’Arrigo, 2018). Ciò che caratterizza la maggioranza di questi fondi e che li distingue dalle diverse forme di sostegno erogate a livello nazionale è il fatto che, sin dalla loro origine, sono destinati sia ai prodotti cinematografici che a quelli audiovisivi, ovvero destinati alla televisione o al web o al settore del gaming o ad altri sfruttamenti. Dal 2003 ad oggi, l’ammontare complessivo dei fondi regionali disponibili si è evoluto componendo una curva crescente fino al 2010, per poi assestarsi intorno ai 30 milioni di euro l'anno; a partire dal 2015 il dato vede un'ulteriore impennata, dovuta in massima parte all'introduzione del nuovo Fondo per le coproduzioni del Lazio di 10 milioni di euro. La maggioranza dei fondi regionali è pertanto destinata alla fase del processo di realizzazione dell'opera, che coincide con la cosiddetta “produzione” vera e propria, ovvero la fase in cui si effettuano le riprese del film o del prodotto audiovisivo. Alcuni fondi regionali sono invece rivolti allo sviluppo di opere scritte da autori residenti nella regione; altri sono rivolte alla postproduzione o alla distribuzione, sempre nel caso in cui queste attività vengono svolte sul territorio; in altri rari e interessanti casi, il fondo regionale promuove la formazione di professionisti e imprese locali. Il motivo per cui la maggioranza dei fondi regionali, soprattutto nella fase iniziale in cui vengono lanciati, tende a sostenere la produzione è facilmente intuibile: le ricadute sul territorio derivanti dalla realizzazione di una parte o di tutta l'opera sono immediate e riguardano numerosi aspetti. Fra questi è opportuno fare delle doverose considerazioni:

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• L’aspetto più rilevante è quello relativo alla spesa effettiva sostenuta dalla produzione sul territorio, che riguarda in primo luogo il vitto e l'alloggio del cast tecnico e artistico e dell'intera troupe, oltre alle attrezzature e ai servizi necessari, al noleggio delle location pubbliche e private. A queste spese si devono aggiungere tutte le ricadute economiche indirette derivanti dalla presenza di un gruppo di lavoro numeroso sul territorio. • È altrettanto evidente l'impatto che la realizzazione di riprese provoca sul fronte dell’immagine del territorio: la visibilità del paesaggio costituisce di per sé una potente azione di promozione che generalmente implica importanti effetti sugli afflussi turistici nella regione (il cosiddetto “Cineturismo” rientra in questo fenomeno). • Un'altra importante ma meno immediata ricaduta positiva derivante dalla realizzazione delle riprese sul territorio riguarda l'occupazione di professionisti locali. Nella maggioranza dei casi, fra i criteri in base ai quali vengono selezionati i fondi regionali, è previsto anche l'obbligo di impiego di un numero minimo di professionisti residenti sul territorio. L'obiettivo di medio-lungo termine di questa misura consiste nel formare manodopera locale altamente specializzata che nel tempo matura le proprie capacità, rendendosi competitiva con i professionisti di maggiore esperienza residenti in altri territori che vantano una più lunga tradizione di lavoro nel settore (D’Urso, 2018). Anche D’Arrigo (2018) argomenta delle considerazioni simili, sottolineando come l'attenzione maggiore alla produzione detta più di tanto stupire. Per le regioni il cinema rappresenta spesso un vero e proprio strumento di marketing e promozione territoriale, capace di generare un indotto economico di più livelli: incentivare le produzioni cinematografiche a operare in un determinato territorio significa infatti attivare l'economia locale a partire dalle imprese della ristorazione e dell'ospitalità, fino al settore dei servizi, degli allestimenti e dei trasporti. Una volta finita, l'opera diventa vero e proprio biglietto da visita per presentare il patrimonio culturale,

69 enogastronomico, i valori e lo stile di vita di una comunità. Una presentazione che rimane inalterata e valida anche a distanza di anni, i cui benefici tornano nel tempo.

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CAPITOLO II - DISTRIBUZIONE CINEMATOGRAFICA

2.1 FILIERA PRODUTTIVA DEL SETTORE AUDIOVISIVO Per filiera del settore cinematografico si intende l'insieme di attività che dallo sviluppo del prodotto portano alla sua commercializzazione al pubblico, nelle sale o in altri canali di distribuzione. Il sistema dell'offerta del prodotto cinematografico si articola in tre principali fasi: la produzione, la distribuzione e l’esercizio. La produzione è costituita dalle attività finalizzate alla realizzazione definitiva di un film (master), che è all'origine del processo di moltiplicazione da cui si ottengono le copie poi commercializzate. Tale fase richiede l'Impiego di numerosi fattori di tipo creativo e tecnico, nonché investimenti finanziari elevati. Soggetti diversi possono essere responsabili dello sviluppo delle singole attività di questa fase, che definisce le componenti e le caratteristiche finali del prodotto cinematografico. I produttori, intesi come detentori del diritto di sfruttamento commerciale sul film realizzato nella fase di produzione, negoziano l’acquisizione degli input, coordinano il lavoro, il loro flusso e il loro impiego (Perretti e Negro, 2003). Dal punto di vista temporale, il processo di produzione è suddivisibile in quattro fasi principali: 1. sviluppo: fase nella quale si acquisisce il soggetto, a cui segue l’elaborazione di una sceneggiatura utile affinché vi sia una prima stima del costo del film; 2. pre-produzione: fase in cui la macchina industriale cinematografica coinvolge una serie di figure professionali, ciascuna delle quali con uno scopo ben preciso e definito, e si selezionano input creativi (regia, attori, ecc.), redando un budget per la realizzazione del film e assicurandosi fonti di finanziamento utili alla realizzazione del progetto; 3. produzione: fase che comincia al termine della pre-produzione, in cui il contenuto della sceneggiatura prende forma attraverso le riprese e nella quale viene coinvolta quasi interamente la troupe;

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4. post-produzione: fase finale fondamentale che segue il concludersi delle riprese e in cui si organizza l’intero materiale accumulato, al fine di preparare il prodotto che verrà poi in seguito presentato al pubblico: il film è sottoposto a diversi passaggi, dalla sala montaggio ai laboratori di sviluppo e stampa per poi essere consegnato alla distribuzione (Pasquale, 2012). La distribuzione, per la quale verrà successivamente dedicato un paragrafo più approfondito, consiste nella duplicazione dei master in più copie, destinate alla proiezione nelle sale cinematografiche e ai diversi canali di sfruttamento economico. In questa fase, i distributori gestiscono il flusso fisico delle copie, le attività di marketing in flussi finanziari collegati agli incassi, ripartendoli tra i diversi soggetti coinvolti nella realizzazione del film. L'esercizio consiste in una serie di proiezioni al pubblico (spettacoli) di una copia del film. Tale fase richiede da parte dall'esercente l'utilizzo di uno o più locali destinati alla proiezione (sale cinematografiche) e la disponibilità di un insieme di servizi complementari (vendita dei biglietti, attività di proiezione, vendita cibi e bevande, ecc.) ed è finalizzata alla vendita al pubblico dei biglietti di ingresso ai singoli spettacoli. Successivamente, o in alternativa al mercato delle sale, il prodotto cinematografico viene distribuito in una serie di mercati secondari a cominciare dalla televisione, l’home video, ecc. (Perretti e Negro, 2003). Tradizionalmente, il settore cinematografico è definito da una struttura a clessidra, in cui numerose imprese a monte cedono i prodotti che realizzano a un numero inferiore di imprese a valle, impegnate nella loro distribuzione al mercato. A loro volta, le imprese di distribuzione commercializzano i prodotti acquisiti alle più numerose imprese dell'esercizio cui si rivolgono i consumatori finali. Perretti e Negro (2003) rappresentano quindi così l’intera filiera del settore cinematografico:

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Tabella 2.1 – Schema filiera produttiva cinematografica (Perretti e Negro, 2003)

Nell’ultimo decennio, però, il settore si è allargato grazie all’introduzione del concetto di audiovisivo, già affrontato nel capitolo precedente, e sono così apparse nuove forme audiovisive: dallo user generated content alle serie nate per la diffusione via internet, ecc. Questo fenomeno non modifica sostanzialmente ancora gli equilibri fondamentali del settore: i ricavi più rilevanti derivano in larghissima parte dalla monetizzazione di due tipologie di prodotti audiovisivi “tradizionali”: le opere cinematografiche (nate con il primo obiettivo di essere proiettate nei cinema) e le opere non cinematografiche che vengono prodotte per la trasmissione televisiva (Italia Creativa, 2017). Nel quantificare i ricavi del prodotto cinematografico, lungo le diverse finestre di sfruttamento, Marzulli (2011) distingue un "piccolo perimetro" ed un "grande perimetro" o, più precisamente, un perimetro wholesale (all'ingrosso) e un perimetro retail (al dettaglio). Nel perimetro wholesale, il punto di vista assunto è quello di un produttore- distributore, il quale trae i propri ricavi dalla propria quota di incasso al box office (dedotta cioè la quota dell'esercente), dalla propria quota di ricavi home-video (la spesa finale dei consumatori, dedotta la quota per l'esercente e del distributore), dalla quota per il video

73 e dalla vendita dei diritti di sfruttamento alla televisione a pagamento e alla televisione gratuita. Per quanto riguarda il perimetro retail, viene calcolato il volume d'affari complessivo che scaturisce dal prodotto cinematografico nei diversi canali di sfruttamento, ossia: - esercizio: incassi complessivi al botteghino, spesa aggiuntiva dei consumatori all'interno dell'esercizio, pubblicità cinematografica; - : spesa per l'acquisto della visione; - home video: spesa complessiva dei consumatori per il noleggio e l'acquisto; - pay tv: quota-parte dei ricavi da abbonamento attribuibile all'offerta cinematografica, spesa per l'acquisto di film in modalità pay-per-view, pubblicità associata alle offerte cinematografiche a pagamento; - free tv: ricavi pubblicitari associati all'offerta cinematografica sulla televisione gratuita più, per quanto riguarda il servizio pubblico, una quota del canone televisivo non proporzionata agli impegni in produzione cinematografica previsti dalla legge. Il perimetro retail, in altre parole, quantifica la spesa diretta dei consumatori per la fruizione di cinema attraverso tutte le modalità disponibili, nonché gli investimenti delle imprese (sotto forma di inserzioni pubblicitarie) associati all'offerta cinematografica. Entrambe le metodologie di quantificazione (wholesale e retail) fanno affidamento sui dati di mercato ed aziendali disponibili, ricorrendo ove necessario a informazioni non pubbliche e a stime attentamente ponderate per determinate tipologie di ricavo (Marzulli, 2011). Le opere audiovisive a carattere cinematografico e quelle a carattere televisivo, oltre a modalità di fruizione diverse, sono caratterizzate anche da filiere specializzate. Dai due schemi riportati sotto appare evidente come, accanto alle similitudini del processo creativo-produttivo e della fase propedeutica di formazione artistico-tecnica, la fase di distribuzione e monetizzazione si presenti differente:

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Figura 2.2 - Rappresentazione olistica della filiera creativa dell’Audiovisivo (Italia Creativa, 2017)

• per i prodotti cinematografici, lo sfruttamento economico primario avviene nelle sale, richiedendo l’intervento in primis del distributore e la televisione è una delle piattaforme di sfruttamento secondario, pur fondamentale in termini di valore; • per il prodotto televisivo (sia esso fiction, intrattenimento o altro), lo sfruttamento economico primario è rappresentato dalla diffusione televisiva, cui si affiancano altre piattaforme con rilevanza però meno decisiva. Accanto ad una visione di alto livello delle due filiere che evidenzia come le macro-fasi attraversate dalle opere audiovisive siano sostanzialmente immutate da anni, gli attori che creano i presupposti dell’innesco delle varie fasi stanno vedendo dei cambiamenti: la chiave vincente sta nell’adottare una vista olistica della filiera creativa dell’audiovisivo (Italia Creativa, 2017).

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2.1.1 L’IMPORTANZA DELL’INTEGRAZIONE VERTICALE Lungo le due filiere del settore audiovisivo operano diverse professionalità che possono svolgere ruoli complementari e spesso si occupano di gestire in modo integrato più fasi della filiera. La fase di ideazione tipicamente è svolta da creativi ed autori che possono operare in totale autonomia o viceversa, su impulso e commissione del produttore (e, in caso, del broadcaster). Le fasi di sviluppo, produzione e distribuzione vedono la cooperazione tra ruoli artistico-creativi e ruoli manageriali. Queste ultime professionalità, pur avendo magari meno visibilità di pubblico rispetto ad altre quali attori, registi e conduttori, sono fondamentali perché assicurano pianificazione, promozione e diffusione alle opere audiovisive (oltre naturalmente alla linea editoriale che connota il prodotto). Ne consegue quindi che le aziende più influenti per lo sviluppo economico del settore (dove i ruoli manageriali sono inquadrati) risultano produttori e broadcaster. Analizzando nello specifico il settore audiovisivo italiano emerge però uno squilibrio: i distributori sono molto concentrati e contano complessivamente circa una dozzina di attori. Il panorama cambia se si guarda invece al mondo dei produttori, che risulta molto frammentato e per il quale è difficile rilevare precisamente il numero di coloro che sono attivi ed effettivamente operanti sul mercato. Il quadro descritto porta il mercato italiano verso la forma dell’oligopsonio (la domanda è concentrata in un ristretto numero di operatori, mentre l’offerta è frammentata in un numero indefinito di operatori), dove il potere negoziale dei broadcaster è molto ampio, capace di influenzare il sistema audiovisivo nel suo complesso. A fronte di questa tendenza, nel “Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici” sono state introdotte, sin dalla fine degli Anni ’90, disposizioni in favore dei produttori indipendenti e più in generale a tutela della produzione europea, in particolare gli obblighi di investimento da parte dei broadcaster in opere audiovisive prodotte da indipendenti e obblighi di programmazione di opere europee ed italiane di indipendenti. A seguito dell’introduzione degli obblighi, i broadcaster si sono integrati a valle incorporando società di produzione, ovvero dando

76 vita a proprie filiali in-house attive nella produzione, distribuzione e vendita all’estero di contenuti cinematografici e audiovisivi (Italia Creativa, 2017). Più in generale, per integrazione verticale si intende una particolare articolazione di modello di business in cui un unico soggetto controlla tutti (o alcuni) i cosiddetti anelli della filiera produttiva. In particolare, per il mercato cinematografico, il controllo si può estendere a tutti i momenti che vanno dalla realizzazione allo sfruttamento del prodotto filmico. Nel cinema, un soggetto integrato è quello che produce, distribuisce, e commercializza il film nei vari canali che egli stessi controlla: sala, home video, televisioni a pagamento e generaliste, internet, ecc. Da questa definizione, si evince subito che i possibili livelli di integrazione possono essere diversi: ci può essere il produttore- distributore, il produttore-distributore-esercente, oppure chi concentra in sé anche un collegamento o addirittura un controllo da parte di un network televisivo. La RAI, ad esempio, è azionista al 100% di RAI Cinema, che produce, coproduce e acquista prodotti cinematografici e che distribuisce poi attraverso la 01 Distribution (posseduta interamente); inoltre si è dotata di una società per la distribuzione in home video, anche se non dispone di sale cinematografiche (Letta, 2006). L’analisi del mercato italiano rivendica, quindi, la validità del modello integrato che si pone come obiettivo quello di valorizzare al meglio il prodotto cinematografico. Attraverso il controllo diretto di ogni singolo canale di sfruttamento, si assicura, ottimizzandolo, il miglior utilizzo del contenuto, nello sforzo di recuperare l’investimento effettuato e, possibilmente, di trarne il maggiore profitto possibile. Inoltre, la gestione diretta dei singoli canali può aiutare sensibilmente a difendere il prodotto, soprattutto quello commercialmente più debole (in molti casi quello di nazionalità italiana ed europea), permettendo teniture più lunghe in sala, un migliore sfruttamento home video o una migliore commerciabilità su tutti gli altri canali, a cominciare dalla free e della pay tv. Accanto alle opportunità che offrono i modelli integrati verticalmente, Letta (2006) segnala nel contempo i possibili rischi ad essi legati. Il pericolo di una eccessiva

77 concentrazione può generare una “chiusura” del mercato e quindi provocare effetti distorsivi della concorrenza. È importante, a questo proposito, effettuare una valutazione delle quote di mercato dei singoli soggetti nei singoli canali di sfruttamento della cosiddetta filiera, unitamente ai comportamenti tenuti dalle società. In un contesto di mercato debole e fragile quale è quello italiano, però, il ruolo fondamentale ricoperto dai soggetti collegati o controllati dalle televisioni non deve essere penalizzato ma utilizzato per far germogliare nuove opportunità e far crescere il cinema italiano in Europa e nel mondo.

2.2 DISTRIBUZIONE La distribuzione è il settore più redditizio dell'industria cinematografica e soprattutto un ricco punto di partenza per un’analisi di tipo culturale. Le reti di distribuzione fanno molto di più che fornire contenuti ai pubblici: modellano una cultura cinematografica a propria immagine regolando l’accesso al cinema, creando domanda per produzione futura e strutturando delle abitudini e gusti (Lobato, 2009). L'attività di distribuzione può essere distinta in due componenti: la gestione fisica dei supporti e la gestione commerciale dei contenuti (accordi di distribuzione con gli esercenti e altri soggetti per la programmazione del film nelle sale e nei mercati secondari). Quest'ultima componente è strettamente interrelata alla prima e sarà al centro di questo paragrafo, dal momento che costituisce l'attività centrale della distribuzione (Perretti e Negro, 2003). Il business della distribuzione è il perno attorno al quale ruota il mondo del cinema internazionale e riunisce migliaia di aziende che partecipano al processo di vendita e acquisto dei diritti dei film sul mercato. Queste società mediano e si consultano tra produttori cinematografici da un lato ed esercenti e rivenditori dall'altro, oltre ad influenzano direttamente i tipi di film che sono in grado di circolare anche sui mercati internazionali, oltre i mercati nazionali in cui hanno origine. Pertanto, la distribuzione ha un impatto immediato sulle strutture della produzione e del consumo del film: dal punto

78 di vista dei produttori, la distribuzione svolge un ruolo fondamentale nel processo di abilitazione o meno dell'accesso al pubblico; dal punto di vista del pubblico, la distribuzione svolge un ruolo fondamentale nel fornire l'accesso ai film che si preferisce guardare. Inoltre, nella distribuzione viene identificata anche una potente funzione di gatekeeping nel collegare strutture di produzione e di consumo (Smits, 2019).

2.2.1 STRATEGIE DISTRIBUTIVE TRADIZIONALI L'output della società di distribuzione cinematografica è costituito da un catalogo di titoli, destinato ad essere commercializzato sul mercato primario e sui mercati secondari. In riferimento a tale obiettivo, le imprese operano in maniera strategica per decidere la composizione del catalogo (comunemente chiamato listino) e la commercializzazione dei singoli titoli nei diversi mercati. Per quanto riguarda il listino, le imprese si differenziano a seconda della ampiezza del catalogo e della tipologia dei titoli presenti: si crea così un mercato che vede sia case di distribuzione con cataloghi molto ampi e diversificati (major e grosse società di distribuzione), sia imprese con cataloghi ristretti e specializzati (distributori indipendenti). Per quanto riguarda invece l'attività di commercializzazione dei film, le imprese di distribuzione devono definire per ciascun titolo una strategia di distribuzione e una strategia di comunicazione, condizionate non solo dal singolo titolo ma anche da valutazioni relative all'intero portafoglio di titoli in catalogo (Pasquale, 2006). In linea di massima, Perretti e Negro (2003) osservano come il ciclo di vita di un film nelle sale sia estremamente breve e come la distribuzione dei ricavi segua di regola un andamento declinante nel tempo. Al di là degli effetti competitivi e stagionali, il consumo di molti film può essere approssimato con una funzione declinante in modo esponenziale che dipende dalla previsione del numero di biglietti venduti nel primo weekend di programmazione e dal tasso di declino dei ricavi settimanali. Il ciclo di vita estremamente breve e il rapido declino degli incassi dopo il lancio rendono le decisioni sullo schema e la

79 data di distribuzione particolarmente critiche. Vengono inoltre individuate cinque categorie in cui ripartire gli schemi generalmente impiegati per la distribuzione di un film: 1) distribuzione generale. La pellicola viene distribuita su oltre 150 schermi contemporaneamente con obiettivo di saturare il mercato nazionale; 2) distribuzione generale modificata. La pellicola apre in circa 20 schermi in Italia nelle principali città ed espande progressivamente la programmazione settimana dopo settimana; 3) distribuzione selezionata. La distribuzione del film inizia su pochi schermi, in un particolare mercato metropolitano. L'idea di base di questo schema è la creazione di una piattaforma di distribuzione: il film riceve una più ampia commercializzazione solo se ricevuto positivamente da pubblico e critica, nella speranza che la buona reputazione ne accresca la domanda; 4) distribuzione a ombrello. Il tipico schema di distribuzione utilizzato nel passato da Disney per i suoi film, consiste nella selezione di un mercato locale tra i principali di un paese, all'interno dell'area così definita il mercato viene saturato; 5) test di distribuzione. Consiste nella sperimentazione di differenti campagne pubblicitarie in alcuni mercati locali: la ricerca seleziona audience secondo la composizione più idonea a rappresentare il pubblico obiettivo del film (Perretti e Negro, 2003). Alla strategia di distribuzione si accompagna una strategia di comunicazione, articolata in più fasi. Ricerche di mercato e pubblicità sono gli strumenti che possono essere impiegati prima della lavorazione e del completamento in un film per aumentare l'interesse del pubblico e, possibilmente, migliorare la possibilità di successo. La fase di pre-produzione è il periodo necessario a definire e pianificare la strategia di marketing, mentre la fase di produzione è il periodo in cui gli strumenti per la commercializzazione del prodotto cinematografico vengono realizzati. L'attività di marketing nella fase di produzione è rivolta in primo luogo alle sale: possono essere prodotti più trailer e alcuni possono contenere scene complete dal film (teaser), in modo da costituire una vera e propria

80 anteprima. L'obiettivo di trailer e teaser consiste da una parte nella costruzione della base di differenziazione del prodotto e dall'altra nel raggiungere l'audience target per informarlo dell'esistenza del prodotto e creare interesse intorno ad esso. Insieme con le campagne pubblicitarie, spesso viene citato anche il ruolo del passaparola e dei critici nel determinare il successo di un film. I film, soprattutto quelli indipendenti, possono ricevere menzioni speciali da parte della critica e premi, partecipando ai numerosi festival e concorsi nazionali e internazionali. I festival possono quindi rappresentare mezzi persuasivi per ottenere un contratto di distribuzione e in alcuni casi vengono impiegati dai distributori come forma di test per comprendere, attraverso la reazione del pubblico, se sia necessario modificare i contenuti della campagna pubblicitaria già progettata (Perretti e Negro, 2003). Quindi, in un'ottica più allargata, è possibile identificare sei principali funzioni che il distributore svolge: 1) Acquisizione. Assortimento catalogo che, qualora non avvenga a seguito di una partecipazione diretta alla produzione, può essere collegato al versamento di un minimo garantito al produttore o più semplicemente riferirsi alla distribuzione del prodotto in cambio di un corrispettivo. Per questa funzione è fondamentale il ruolo di agenzie di vendita e intermediari specializzati, soprattutto in occasione dei principali mercati specializzati del settore. 2) Finanziamento. esistono sia a livello europeo che nazionale diverse forme di finanziamento del film alle quali il distributore ha accesso e che implicano diversi gradi di coinvolgimento creativo e finanziario. 3) Edizione. Tipicamente è la fase del doppiaggio dei film (traduzione e adattamento dei dialoghi, doppiaggio, missaggio), cui si accompagna la sovrapposizione della colonna sonora e tutti i suoni e il nulla osta obbligatorio alla circolazione del film nelle sale ("visto censura").

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4) Marketing. Più propriamente marketing operativo, con attività relative alla comunicazione legata al film, quindi rapporti con la stampa, pubblicità e promozione. 5) Distribuzione. Negoziazione degli aspetti commerciali con l'esercizio e/o altri mercati di sbocco, unitamente all'attività di distribuzione fisica del prodotto. Attività strategica di pianificazione, contrattazione e noleggio con gli esercenti per la programmazione (tipicamente in sala) e conseguente percentuale sugli incassi. 6) Gestione library. Gestione dei diritti, che nel corso degli anni si sta facendo via via sempre più rilevante a seguito della nascita e dello sviluppo di nuovi diritti di sfruttamento del prodotto filmico, con la capacità di consentire introiti continuativi e prevedibili in maniera stabile rispetto alla aleatorietà tipica di questo business (Pasquale, 2006). Lampel e Shamsie (2000) sintetizzano le sopracitate strategie di distribuzione e di comunicazione con il concetto di sales momentum, nel contesto degli studios americani. Tali strategie vengono fatte rientrare in due categorie: nella prima gli studios cercano di garantire che i film suscitino un forte riconoscimento e aspettative positive da parte dei consumatori (ad esempio ricercando e pagando sceneggiature dal forte potenziale, scritturando star famose e registi di richiamo, usando effetti speciali e riprese in location da sogno); nella seconda gli studios aumentano le probabilità di successo concentrando considerevoli risorse su marketing e promozione di film pronti per essere lanciati. Nel loro insieme, l'intento di queste strategie è quello di creare sales momentum per ciascuno dei loro film. Gli studios cercano di sviluppare un processo dal feedback positivo in cui possono utilizzare il riconoscimento iniziale da parte del consumatore per creare vendite e quindi utilizzare le risorse generate dalle vendite iniziali per creare un più ampio riconoscimento da parte dei consumatori e consapevolezza. Questo, a sua volta, dovrebbe generare livelli più elevati di vendite capaci poi di avere a disposizione più risorse per attività di marketing e promozione al fine di aumentare ulteriormente consapevolezza positiva del consumatore e quindi generare più vendite.

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Per avere successo, questa strategia deve diventare autosufficiente e la quantità di risorse iniettate per mantenerla attiva non deve superare la quantità di risorse generate attraverso le vendite. Generare sales momentum dipende perciò dal trovare un equilibrio tra il costo dell'investimento in proprietà di scritturazione e il costo per attività di marketing e promozione necessarie. Mentre i film che possiedono elevate proprietà di scritturazione e hanno investito in un riconoscimento iniziale da parte del pubblico vengono distribuiti attraverso una strategia commerciale di saturazione del mercato su un elevato numero di schermi contemporaneamente, per tutti gli altri film si adotta un modello distributivo più esclusivo, limitando l'estensione della programmazione e facendo forza su attività come il passaparola che se positivo può generare ulteriore slancio rilasciando il film in maniera più ampia coprendo una domanda crescente. Quindi, in questo caso la strategia si concentrerà principalmente sul come ampliare il passaparola e nel far ciò diventa importante la figura del critico cinematografico: recensioni positive da parte di critici (fornitori di informazioni sulla qualità dei film) giocano un ruolo significativo nello sviluppo del passaparola e indispensabile per aumentare il sales momentum (Lampel e Shamsie, 2000). Perretti e Negro (2003) individuano tre principali opzioni di distribuzione di un film: 1) Distribuzione major. Le imprese major controllano impianti di produzione, fonti di finanziamento interno e reti di vendita e sono particolarmente diffuse nel territorio statunitense ma anche in tutti i principali mercati cinematografici internazionali; 2) Distribuzione indipendente. I distributori indipendenti commercializzano prodotti in mercati regionali, utilizzando una rete di sub-distributori per le operazioni degli altri mercati sul territorio domestico. Non disponendo di grandi strutture di vendita, e quindi di barriere, gli indipendenti non possono compiere azioni strategiche finalizzate a scoraggiare l'ingresso di concorrenti e quindi è presente un elevato numero di imprese di questo genere, che però hanno spesso dei limiti ad esempio nella diffusione commerciale a livello internazionale;

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3) altre alternative. Si tratta di forme miste meno frequenti come ad esempio gli accordi di noleggio delle sale o della rete di vendita. La distribuzione si differenzia in base alle tipologie e alle caratteristiche dei prodotti. In generale due sono i casi: la distribuzione di blockbuster e la distribuzione di film di nicchia o indipendenti. Per quanto riguarda i blockbuster si tratta di film con budget importanti progettati per raggiungere il mercato di massa, attraverso l'impiego di elementi facilmente riconoscibili dal pubblico di riferimento. Nel caso di film di nicchia o di pellicole indipendenti, invece, la distribuzione si fonda in genere su schemi e strategie di comunicazione più mirati e meno costosi, su segmenti di pubblico identificabili spesso in nicchie (che richiedono quindi un approccio più specializzato) e su strategie di passaparola e meccanismi di coinvolgimento della critica opportunamente da considerare. Ciò non toglie che pellicole il cui potenziale iniziale è limitato a un piccolo segmento del pubblico possono crescere fino a raggiungere altri segmenti di pubblico attraverso un crossover, cioè un attraversamento di segmenti ed un’estensione delle nicchie cui i film indipendenti possono rivolgersi (Perretti e Negro, 2003). Questa digressione permette quindi di introdurre un lavoro di ricerca più approfondito volto ad analizzare più nel dettaglio il mondo della distribuzione indipendente.

2.2.2 SVILUPPO E AFFERMAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE La distribuzione cinematografica è il processo attraverso il quale un'azienda raggiunge il mercato e viene messa a disposizione del suo pubblico target. In pratica, distribuire significa vendere il proprio film a distributori teatrali, reti di trasmissione, case di DVD e nuovi media, anche se nel mercato attuale risulta più difficile che mai ottenere una distribuzione per il proprio film e questo principalmente perché il mercato è saturo. Storicamente, ci voleva molto più sforzo economico per realizzare un film indipendente e la distribuzione era più facile da proteggere: negli Anni ‘80 e ‘90, ad esempio, c'erano molti meno film indipendenti sul mercato e i distributori in realtà pagavano anticipi per garantire i diritti di distribuzione a un film. Poiché le tecnologie digitali non erano ancora

84 state prese in considerazione, i registi giravano i loro film indipendenti su pellicola, piuttosto che sfruttare il supporto digitale, e di conseguenza i film indipendenti di quegli anni tendevano ad essere di qualità più elevata e acquistati a prezzi più elevati dai distributori. Successivamente, a metà degli Anni ‘90, ha inizio la rivoluzione digitale: il cinema viene democratizzato e all'improvviso sul mercato compaiono molti più film di quanti i distributori potessero gestire. Tantissimi registi rispondono entusiasti ed esaltano il proprio talento artistico riempendo il mercato di film indipendenti, lasciando però indietro i distributori che non riescono a tenere il loro passo: i prezzi di acquisizione iniziano a scendere, poiché con l'aumento dell'offerta di film indipendenti, la domanda dei distributori diminuisce. Alla fine degli Anni ‘90, gli accordi di distribuzione diventano sempre più difficili da trovare: mentre in precedenza il mercato di prevendita aveva garantito la distribuzione nel territorio, ora il mercato si è prosciugato e i registi non possono più fare affidamento sulle vendite estere per finanziare i propri budget. Mentre in precedenza due o tre vendite estere potevano da sole finanziare un intero budget di film indipendente, verso la fine degli Anni ‘90 e l'inizio del 2000, non è più così: nella storia della distribuzione il mercato è capovolto (Parks, 2007). Con l’avvento del nuovo millennio, la democratizzazione del processo di produzione cinematografica, incoraggiata dall’avanzamento tecnologico, ha reso il mercato estero saturo, costringendo la produzione indipendente a rivolgersi con rinnovata convinzione al mercato interno, come le compagnie produttrici di DVD, che a loro volta avevano necessità di rispondere alla domanda da parte di rivenditori e videonoleggi. Nel frattempo, la proiezione diretta nelle sale cinematografiche diventa un’opzione a cui sempre meno progetti indipendenti hanno accesso (tra questi vengono più considerati i film con premi o partecipazioni di rilievo a festival internazionali o con un cast rinomato). Un aspetto negativo di questo punto nella storia della distribuzione è che, sebbene gli accordi sul mercato home video siano abbondanti, è quasi impossibile ottenere un accordo di distribuzione teatrale per un film indipendente. A meno che il film non abbia un grande cast e possa garantire la vendita dei biglietti, o a meno che il film non abbia

85 appena vinto un premio cinematografico, i proprietari di cinema non sono interessati a programmare i vari tipi di film indipendenti presenti sul mercato (oltre al fatto che sul mercato non ci sono abbastanza schermi in cui proiettare così tanti film indipendenti). Questo è uno dei motivi per cui il formato DVD è diventato tanto diffuso quanto la distribuzione sul mercato di massa (Parks, 2007). Questo ex cursus porta ad oggi, dove non è cambiato molto in termini di domanda dei distributori e prezzi pagati per film indipendenti, ma c’è stata una sostanziale apertura verso nuovi media e canali di distribuzione per assorbire parte dell'offerta di film sul mercato: internet, il video on demand, la pay-per-view, sono tutti canali di distribuzione unici degli ultimi anni che hanno permesso una maggiore distribuzione di film indipendenti. Sebbene al momento questi canali non assicurino grandi guadagni, sono diventati una valida fonte di reddito per i registi e assicurano una esponenziale diffusione del prodotto filmico verso tutti i target audience.

2.2.2.1 “The New World of Distribution” Ai fini di questo paragrafo, torna particolarmente utile una pubblicazione di Peter Broderick apparsa per la prima volta nel 2008 sulla rivista IndieWire dal titolo “Welcome to the New World of Distribution”. Broderick (2008) spiega come molti registi, attratti da opportunità senza precedenti e dalla libertà di modellare il proprio destino, stiano emigrando dal Vecchio Mondo in cui hanno poche possibilità di successo ad un Nuovo Mondo, in cui la vita richiede sì di lavorare di più, di essere più tenaci, di correre più rischi e di affrontare sfide scoraggianti senza garanzie di successo, ma è capace anche di permettere ai registi più intrepidi di esplorare territori inesplorati e di rivendicare pretese. Prima della scoperta del Nuovo Mondo, il Vecchio Mondo della Distribuzione regnava sovrano, secondo un sistema gerarchico in cui i registi indipendenti potevano concludere accordi globali soltanto concedendo ai distributori il controllo totale sulle attività di marketing e di distribuzione dei loro film, il che generava crescente insoddisfazione.

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Broderick (2008) osserva quindi come molti sovrani del Vecchio Mondo continuano a guardare indietro e a non vedere i limiti della loro esperienza passata, avendo trascorso le loro intere carriere in questo regno e giocato (e vinto) secondo le sue regole. Per loro, il Vecchio Mondo è il mondo conosciuto, al quale si riferiscono dicendo the film business e di cui spiegano i gravi problemi che esso deve affrontare citando la sovrabbondanza dei film, costi di marketing più elevati, film mediocri e la natura storicamente ciclica del settore. Questi sovrani sembrano credere che tutto andrà bene con la giusta disciplina e pazienza (se vengono realizzati meno film migliori, i costi sono controllati ed è possibile resistere fino alla ripresa successiva). Il problema è che molti di questi dirigenti non sembrano consapevoli dei principali cambiamenti strutturali che minacciano il loro mondo: riconoscono ad esempio che i VOD e i download digitali diventeranno flussi di entrate più significativi, ma si sentono sicuri di poterli incorporare nel loro modello di distribuzione tradizionale, senza però comprendere l'importanza fondamentale di internet o del suo potere dirompente. Consentendo ai registi nel Nuovo Mondo di raggiungere il pubblico direttamente e riducendo drasticamente i loro costi di distribuzione, internet li autorizza a mantenere il controllo del loro content (Broderick, 2008). La tabella seguente illustra le differenze essenziali tra la distribuzione del Vecchio e del Nuovo Mondo:

Figura 2.3 – Differenze principali tra Old e New World of Distribution (Broderick, 2008)

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I dieci principi guida della distribuzione del Nuovo Mondo sono quindi: 1) Maggior controllo. I registi mantengono il controllo generale della loro distribuzione, scegliendo la strategia che più fa al caso loro (quali diritti dare ai distributori e quali mantenere, se comprare o meno dei servizi per organizzare una programmazione al cinema, come controllare la campagna di marketing, spese e tempi di uscita dei film). Al contrario, nel Vecchio Mondo il distributore che acquisiva tutti i diritti aveva il controllo totale della distribuzione, comprese le attività di marketing; 2) Distribuzione ibrida. I registi hanno diviso i loro diritti, lavorando con partner di distribuzione in determinati settori e mantenendo il diritto di effettuare vendite dirette, con la possibilità quindi di far affari separati per il mercato home video, la televisione ed il VOD, nonché suddividerne i diritti digitali (ad esempio possono vendere DVD dai propri siti Web e alle proiezioni e possono rendere disponibili download digitali direttamente dai propri siti). Al contrario, nel Vecchio Mondo i registi facevano accordi globali, cedendo ad una casa tutti i diritti (ora conosciuti o mai immaginati prima) per lunghi periodi; 3) Strategie personalizzate. I registi progettano strategie di distribuzione creative personalizzate in base al contenuto del film e al pubblico di destinazione, possono iniziare a raggiungere il pubblico e i potenziali partner prima o durante la produzione, spesso ignorano le finestre di vendita tradizionali, sono in grado di testare le loro strategie passo dopo passo e modificarle secondo necessità. Al contrario, nel Vecchio Mondo i piani di distribuzione erano molto più rigidi e formali; 4) Core audiences. I registi si rivolgono ad un core audience in modo efficace (anche online attraverso siti Web, mailing list, pubblicazioni, ecc.), con l’obiettivo poi di passare ad un pubblico più vasto. Al contrario, nel Vecchio Mondo molti distributori commercializzavano a un pubblico generale (mancava l’elemento core), in maniera altamente inefficiente e sempre più costosa;

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5) Riduzione dei costi. I registi riducono i costi utilizzando internet e spendendo meno per la pubblicità tradizionale su stampa, televisione e radio. Al contrario, nel Vecchio Mondo i costi di marketing continuavano ad aumentare notevolmente; 6) Accesso diretto agli spettatori. I registi usano internet per raggiungere direttamente il pubblico (pagine social, campagne di crowdfunding, ecc.). Al contrario, nel Vecchio Mondo i registi avevano un accesso di tipo indiretto al pubblico solo tramite distributori; 7) Vendite dirette. I registi realizzano margini molto più elevati nelle vendite dirette dai loro siti web e nelle proiezioni rispetto alle vendite al dettaglio, per non parlare della possibilità di vendere altre versioni di un film, colonna sonora, libri, poster e magliette. Al contrario, nel Vecchio Mondo i registi non erano autorizzati ad effettuare vendite dirette, ad aver accesso ai dati dei clienti e a possedere i diritti di merchandising; 8) Distribuzione globale. I registi rendono i loro film disponibili agli spettatori in qualsiasi parte del mondo, attraverso l’integrazione di accordi con distributori in altri Paesi, aprendo la possibilità di vendere i film a consumatori in territori “invenduti” dalla distribuzione classica theatrical anche tramite DVD o VOD. Al contrario, nel Vecchio Mondo la distribuzione avveniva territorio per territorio e la maggior parte dei film indipendenti aveva una distribuzione straniera scarsa o nulla, limitandosi ai soli confini nazionali; 9) Canali di entrate separati. I registi limitano la collateralizzazione incrociata e i problemi contabili dividendo i loro diritti di distribuzione, in questa maniera tutti i ricavi delle vendite provengono direttamente da loro. Separando le entrate da ciascun partner di distribuzione, i registi evitano che le spese di un canale di distribuzione vengano addebitate a fronte di entrate di un altro, il che rende la contabilità più semplice e trasparente. Al contrario, nel Vecchio Mondo ricavi e spese erano combinati, rendendo il monitoraggio delle entrate molto più difficile;

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10) Veri fan. I registi possono connettersi con gli spettatori online e alle proiezioni, stabilendo relazioni dirette con loro e costruendo core audiences personali. Al contrario, nel Vecchio Mondo i registi non avevano questo tipo di accesso diretto agli spettatori (Broderick, 2008).

2.2.2.2 Distribuzione theatrical e alternativa Prima di addentrarsi più nello specifico nel mondo della distribuzione indipendente e degli operatori che vi lavorano, è bene esaminare in maniera generale la macro- distinzione tra distribuzione theatrical classica e distribuzione alternativa che, in simbiosi con la non-theatrical, negli anni si è sempre più arricchita di nuove forme e nuovi mezzi. Questa classificazione tornerà essenziale nell’analisi dei casi studio di questo lavoro, dal momento che ci si focalizzerà proprio su questo secondo tipo di distribuzione che, sebbene inizialmente certi autori considerassero in maniera limitata, può essere allargata più ampliamente grazie alla letteratura più recente. Theatrical distribution Cones (2013) definisce la distribuzione theatrical in questa maniera: “The exploitation of motion pictures by means of exhibition in motion picture cinemas, in contrast to the exploitation of motion pictures in other media.” Prendendo come fulcro il mercato statunitense, ritiene che, in questo contesto, il distributore debba organizzare finanziamenti e personale per creare una campagna pubblicitaria e un piano di distribuzione del film, divulgare materiale pubblicitario e promozionale tramite riviste, giornali, trailer e televisione, duplicare e distribuire stampe del film, prenotare il film nei cinema e raccogliere dagli espositori la quota del distributore delle entrate al box office del film. Un distributore deve, inoltre, monitorare attentamente i cinema ai quali concede in licenza il proprio prodotto, per assicurarsi che l’espositore mantenga solo gli importi a cui ha diritto per contratto e paghi prontamente tutti gli importi dovuti al distributore. Per la prima uscita cinematografica di un film, un espositore di solito paga a un distributore una percentuale di incassi al botteghino che viene negoziata in base all’appello atteso del film e alla statura del distributore. La

90 percentuale negoziata di incassi al botteghino rimessi al distributore è generalmente nota come film rental ed è tipicamente definita negli accordi di distribuzione come una parte delle entrate lorde del distributore. Abitualmente, tali film rental diminuiscono nel corso dell’uscita theatrical di un film. Per quanto riguarda la distribuzione theatrical al di fuori dei confini nazionali, mentre il mercato estero varia a causa delle fluttuazioni dei tassi di cambio e delle condizioni politiche nel mondo o in specifici territori, al tempo stesso continua a fornire una fonte significativa di entrate per tale distribuzione. Poiché questo mercato è composto da una molteplicità di Paesi e, in alcuni casi, richiede la realizzazione di versioni in lingua straniera, il modello di distribuzione si estende per un periodo di tempo più lungo rispetto allo sfruttamento di un film nel mercato theatrical nazionale e coinvolge Paesi stranieri attraverso entità locali. Queste entità locali saranno generalmente possedute al 100% dal distributore (una joint venture tra il distributore e un’altra società cinematografica) o da un agente indipendente (o sub-distributore) e possono anche distribuire film di altri produttori, incluse altre major. Una alternativa allo sfruttamento dei film per mezzo dell’esibizione nei cinema è data dallo sfruttamento dei film attraverso altri media, quindi distribuzione alternativa. Lim (2019) nel suo studio sul cinema filippino dedica un capitolo alla distribuzione cinematografica tradizionale attraverso uscite theatrical e non-theatrical. Per quanto riguarda le prime, si evidenzia come il potere che possiedono distributori ed espositori sia enorme e si rifletta nella loro capacità di sfruttare il film come merce controllando la catena di sfruttamento o le exhibition windows nell’economia formale. Tale sistema di “finestre” è diventato il modello di distribuzione cinematografica nel momento in cui è stata inventata la trasmissione televisiva e sono aumentate le modalità per il rilascio di film. Le finestre permettono di determinare quando un certo mercato è autorizzato a vedere un film, di chi è il turno, chi dovrebbe aspettare o addirittura perdere il turno, in una sorta di classifica dei mercati. Il modello di business delle finestre di rilascio offre a distributori ed espositori un modo più strutturato e sistematico di sfruttare il copyright in

91 base al programma. Queste finestre includono uscite theatrical locali e internazionali e uscite non-theatrical come home video, trasmissioni via cavo e via satellite, televisione pay-per-view, pay TV, televisione gratuita, televisione straniera, licenze di intrattenimento a bordo e in volo, video on demand, screening del campus, ecc. Anche Lim (2019) riconosce come tra le finestre di rilascio, il theatrical sia sempre il primo stadio dello sfruttamento dei diritti cinematografici e occupi il livello più alto nella struttura gerarchica delle windows, perché è il modo più veloce per generare reddito e recuperare gli investimenti, data la sua ampia copertura e massicci sforzi di marketing. Ma, e qui si può notare un progresso successivo rispetto alla precedente concezione di distribuzione theatrical, costruire l’interesse dei consumatori durante questa fase è anche importante poiché una tale uscita determina e aumenta il valore del film per i suoi mercati accessori o le successive uscite del film, il che rientra nella sfera del non-theatrical. All’interno della teorizzazione di un New World e un Old World of Distribution, Broderick (2008) si sofferma sulla distribuzione theatrical e osserva come il Nuovo Mondo sia ora sotto il controllo del regista, capace di lavorare con un booker o una compagnia di servizi, consentendo loro di controllare completamente il lancio theatrical mantenendo tutti i loro diritti di distribuzione. Invece, per ottenere una versione theatrical nel Vecchio Mondo, i cineasti dovevano dare a una singola compagnia tutti i loro diritti di distribuzione e il controllo totale del marketing e della distribuzione del film. Broderick (2008) osserva anche come lo stato della distribuzione teatrale sia triste per la maggior parte dei film e dei documentari indipendenti, dal momento che i cinema sono saturi di film con budget più alti. Nel Nuovo Mondo, però, molti cineasti considerano la versione theatrical “desirable but not essential” e fanno una valutazione pragmatica del valore che essa comporta a seconda dalle risorse che hanno o possono trovare. Piuttosto che sperare in un rilascio ampio in centinaia di città, si focalizzano in uscite theatrical molto limitate in meno mercati. Se alla fine decidono per una distribuzione theatrical, devono essere particolarmente diligenti nella gestione delle loro aspettative quanto nei costi di controllo: mentre possono sperare che le loro proiezioni theatrical iniziali vadano

92 abbastanza bene da consentire loro di ampliarsi, devono al tempo stesso essere preparati per una vendita minima di biglietti o nessuna espansione in altre città. Per questa ragione diversi cineasti decidono che non vale la pena intraprendere una via theatrical e si concentrano su una distribuzione non-theatrical. Ulin (2010) definisce la distribuzione theatrical come l’esibizione di un film nelle sale cinematografiche in cui le entrate provengono da membri del pubblico che acquistano biglietti. Le entrate derivate dalla vendita dei biglietti è ciò che viene definito box office, mentre la quantità di denaro che il distributore conserva dalle entrate del botteghino si chiama film rental. Il botteghino è un eccellente strumento di misurazione per le fonti di entrate economiche, ma non fornisce dati di marketing su chi siano gli audience. Inoltre, un’altra limitazione risiede nel fatto che il botteghino per un certo periodo potrebbe aumentare, ma ciò potrebbe significare che la partecipazione è diminuita mentre i prezzi medi dei biglietti sono aumentati: a causa di questa ambiguità, alcuni Paesi scelgono di misurare le tendenze per ingresso, vale a dire quante persone hanno partecipato alla proiezione. Anche Ulin (2010) si sofferma sulle dinamiche che nascono dalle finestre attraverso le quali i film vengono proiettati per un determinato periodo più o meno lungo, tramite accordi specifici. Distribuzione alternativa Nella sfera della distribuzione cinematografica indipendente, sono moltissimi i film che difficilmente raggiungono la sala attraverso una corsa teatrale inserita in dinamiche di windowing, ovvero distribuzione theatrical, spesso anche per scelta. Di conseguenza, la maggior parte di queste produzioni si interfaccia con una serie di operatori, agenti di vendita, sub-distributori, più in generale gatekeepers (Smits, 2019), all’interno di un vastissimo mercato distributivo ausiliario, dominato da strategie economiche ben lontane da quelle legate al box office, ma piuttosto più indirizzate verso una ampia fruizione del prodotto culturale ad una molteplicità di spettatori quanto più vasta e diversificata possibile.

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La distribuzione alternativa viene inquadrata in letteratura da una serie di autori diversi. Le tre forme più classiche di distribuzione alternative alla sala riguardano il mercato domestico; la fruizione dei film a casa propria può avvenire sostanzialmente attraverso tre forme di distribuzione: home video, video-on-demand, televisione (Parks, 2007; Broderick, 2008; Ulin, 2010; Lobato, 2012; Cones, 2013). A queste forme, nel mondo della distribuzione indipendente, si aggiungono due importanti categorie: il mondo non- theatrical (Broderick 2008; Ulin, 2010; Cones, 2013; Reiss, 2013; Lim, 2019) con la specifica distribuzione di tipo educational (Reiss, 2013; Ravid, 2016) ed il mercato dei film festival (Broderick, 2008; Lim, 2019; Smits, 2019). Un contributo sostanziale viene infine fornito da Lobato, il quale con due pubblicazioni nel 2009 e nel 2012 delinea l’economia informale, all’interno della quale spesso profili formali come l’home video o il non-theatrical assumono delle zone d’ombra (shadow economies) difficilmente quantificabili. Questi diversi riferimenti a letterature differenti, ma che hanno come comun denominatore la distribuzione indipendente alternativa in quanto differente dalla sala (theatrical), verranno dettagliatamente affrontati in un paragrafo successivo di questo capitolo, ma intanto possono essere sintetizzati nella seguente tabella.

Distribuzione alternativa HV TV VOD Film Festival Non-theatrical Educational Informale

Parks (2007) X X Broderick (2008) X X X X X X Ulin (2010) X X X X Lobato (2012) X X X X Reiss (2013) X X Cones (2013) X X X X Ravid (2016) X Smits (2019) X X Lim (2019) X X X X Tabella 2.4 – Sintesi personale letteratura di riferimento per distribuzione alternativa

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2.2.3 GATEKEEPER, IL RUOLO DEI DISTRIBUTORI E DEGLI AGENTI DI VENDITA

Come già anticipato, studiare il business della distribuzione cinematografica è di fondamentale importanza per due principali ragioni: 1) La distribuzione è un processo che regola la circolazione e l'accesso ai film, sia nei mercati nazionali che internazionali. Le organizzazioni di distribuzione sono rese operative metaforicamente come "gatekeeper" che filtrano il prodotto a diversi livelli sul mercato. Tali organizzazioni decidono quali film rendere disponibili al pubblico, esercitando un controllo sui processi di inclusione ed esclusione, sul processo di abilitazione dell'accesso ad alcuni film e sulla non concessione dell'accesso ad altri (Smits, 2019). Inoltre, i gatekeeper sono particolarmente rilevanti per affrontare le questioni dell'eccesso di offerta e dell'abbondanza di prodotti nelle industrie culturali: ad esempio, una ricerca dell'Osservatorio Europeo dell'Audiovisivo ha rivelato che un'enorme quantità di oltre 6000 film è stata prodotta in tutto il mondo nel 2016, ma solo una parte di questi film ha assicurato una distribuzione (sostanziale) in una gamma di mercati internazionali (Kanzler e Talavera, 2017). Il fatto che solo un numero relativamente piccolo di film garantisca tale distribuzione è anche comprensibile dal punto di vista dell'economia della scarsità, in base alla quale le risorse fisiche pongono restrizioni al processo di circolazione dei media e impediscono ai prodotti di fluire liberamente nel mercato globale. 2) La distribuzione è un processo che influisce sul valore comparativo dei film nel mercato globale. Il settore della distribuzione classifica e valuta il potenziale dei film gli uni contro gli altri, quindi investendo in film selezionati e contribuendo a modellare il loro profilo sul mercato, il business della distribuzione influisce sul processo di creazione del valore e crea gerarchie. I valori culturali, sociali ed economici nei settori di attività culturale sono creati all'interno di un ambiente

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istituzionale globale di festival e mercati di vendita, in cui vengono introdotti e promossi prodotti culturali e in cui i valori culturali ed economici vengono creati dalle società di distribuzione. L'impatto cumulativo di tali valori ha un'influenza importante sul processo di distribuzione dei film e sulla capacità di investire risorse finanziarie nel marketing e nella promozione per raggiungere il pubblico a livello di consumo (Smits, 2019). Il processo di distribuzione dei film è organizzato da agenti di vendita e distributori, che si possono descrivere come gatekeeper tradizionali, nel senso che hanno sviluppato una reputazione consolidata nel settore della distribuzione come organizzazioni chiave attraverso i quali i film sono tradizionalmente distribuiti. Questi agenti di vendita organizzano la distribuzione di film sui mercati internazionali, rappresentano film di particolari produttori e vendono i diritti ai distributori sui mercati internazionali. I distributori, a loro volta, acquisiscono i diritti di distribuzione dagli agenti di vendita e distribuiscono film nei mercati locali o nazionali. Pertanto, gli agenti di vendita vengono spesso definiti "venditori" nel settore della distribuzione, mentre i distributori sono "acquirenti". Vale la pena notare, tuttavia, che i distributori negoziano accordi con esercenti di cinema, rivenditori di home video, piattaforme online e emittenti televisive nei mercati locali o nazionali, e quindi operano ugualmente come venditori (Smits, 2019). Agenti di vendita e distributori operano nell'ambito di reti internazionali di gatekeeping, attraverso le quali sono organizzati i processi di distribuzione, dal momento che filtrano gradualmente e restringono l'accesso attraverso un processo decisionale e selettivo, decentralizzato a livello nazionale e internazionale. Gli agenti di vendita e i distributori sono quindi i principali gatekeeper che investono in film e vi aggiungono valore inserendoli nel processo di distribuzione. Ognuno ha il proprio ruolo da svolgere nella catena del valore, tra i processi di produzione e consumo; la loro esperienza e capacità di diversi livelli sul mercato sono fondamentali per posizionare i film sul mercato. Insieme, creano reti di gatekeeping attraverso le quali esercitano potere e controllo sulla distribuzione dei film sul mercato (Smits, 2019).

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Anche Knight e Thomas (2011) hanno esaminato a fondo informazioni sul settore della distribuzione indipendente e si sono concentrati sulle nuove opportunità per i film su piccola scala e a basso budget, al fine di raggiungere il pubblico globale nell'era del digitale online. Alla luce delle potenzialità offerte dalla tecnologia digitale, risulta più importante che mai comprendere i processi che collegano il lavoro che risiede dietro ai film con il loro pubblico. Se si vuole capire meglio perché esiste una cultura cinematografica, bisogna comprendere meglio i fattori che modellano e influenzano il processo di distribuzione in base al quale alcuni film sono visti più largamente, mentre altri no. Questa prospettiva di continuità e cambiamento potrebbe anche aiutare a comprendere il ruolo dei gatekeeper e del gatekeeping networking nel settore della distribuzione cinematografica (Knight e Thomas, 2011).

2.2.4 FORME DI DISTRIBUZIONE ALTERNATIVA Lo sfruttamento delle opere audiovisive e in particolare dei film si basa tradizionalmente su due pilastri: 1) una cronologia di finestre di rilascio (la prima per l’esclusiva), principalmente concordata a livello contrattuale con i diversi cinema (theatrical distribution); 2) uno sfruttamento dei diritti territorio per territorio, basato sul finanziamento di film da parte di diversi attori lungo la catena del valore (distributori cinematografici, emittenti televisive, distributori home video, ecc.) e sulla necessità di sfruttare i film in base alle specificità nazionali, al fine di recuperare gli investimenti nella produzione (Fontaine e Simone, 2017). Ai fini di questo lavoro, e più specificatamente di questo capitolo, ci si soffermerà non tanto sulla classica e più canonica distribuzione in sala, ma si vuole porre l’attenzione su tutte le diverse forme di distribuzione alternativa con le quali si può strategicamente caratterizzare il prodotto cinematografico. Come già presentato nel paragrafo 2.2.2.2, le forme di distribuzione alternativa largamente più citate in letteratura riguardano il mercato domestico, quindi l’home

97 video, il video-on-demand e la televisione. Spesso però, come verrà puntualizzato, queste forme possono fungere da mezzo per una distribuzione più larga ma difficilmente calcolabile di tipo non-theatrical/educational, oppure sfociare nel mercato informale, come spesso avviene attraverso ad esempio la pirateria. Le uscite non-theatrical (o il cosiddetto “mercato ausiliario dei film”) rappresentano una fonte di entrate relativamente minore nell’economia formale della distribuzione e quindi a causa dei suoi bassi rendimenti stimati viene spesso considerata come un bonus dopo il rilascio teatrale (si stima che le uscite non teatrali costituiscano solo l'1% della torta degli utili). Tuttavia, per i registi indipendenti questi diritti accessori offrono speranza e possono fornire una percentuale significativa delle entrate totali di un film in quanto potrebbe trattarsi dell'unica piattaforma di distribuzione accessibile alle case indipendenti (Lim, 2019). Per completezza, tra tutte le forme di distribuzione alternativa, verrà riservato uno spazio anche al circuito dei festival cinematografici, che è ormai il percorso più comune che le case indipendenti, consce di riuscire a raggiungere la classica distribuzione theatrical con uno sforzo esagerato, stanno cercando di intraprendere, poiché capace di combinare al meglio motivi sia culturali che economici. Seguirà un ulteriore paragrafo dedicato alla distribuzione formale.

2.2.4.1 Home Video Storicamente, la capacità di guardare un film o un programma televisivo a casa su una videocassetta o un DVD ha avuto un profondo impatto sull'economia del cinema e della televisione. Non solo il mercato home-video ha alterato il modello di consumo dello spettatore di guardare film, ma ha anche cambiato la modellistica finanziaria sottostante per stabilire come un film può in primo luogo essere realizzato. Nonostante la rapida e ampia penetrazione sul mercato di nuove tecnologie, gli studios considerano ancora nelle loro suddivisioni il settore home-video, a testimonianza dell'impatto culturale che questo tipo di supporto ha avuto. In effetti, la parola "video" in questo contesto è diventata un termine improprio, una sorta di catchall che cattura concettualmente i vari dispositivi che

98 si sono evoluti consentendo ai consumatori di guardare film in televisione o al computer. In termini di redditività, il mercato home video ha fornito un importante vantaggio ai profitti degli studios con la principale caratteristica che mentre la redditività di un nuovo film viene generalmente misurata in un singolo ciclo di vita, il mercato home video ha aggiunto la magia della reincarnazione inducendo i consumatori a continuare ad acquistare lo stesso prodotto ancora e ancora con ogni nuovo aggiornamento tecnologico (Ulin, 2010). Nel piccolo, la distribuzione home video è una delle strategie di distribuzione fai-da-te più semplici e proficue. Le aziende che si occupano di questa forma di distribuzione producono e spediscono il supporto fisico nel momento in cui i clienti lo ordinano, si tratta quindi di una distribuzione a basso rischio (non rientra nello stock inventariale di chi produce il film) e capace di rendere il film disponibile per milioni di clienti. Inoltre, si può mantenere il controllo sul proprio titolo e guadagnare royalties per ogni vendita. Invece di perdere tempo nella gestione della produzione del supporto fisico e nella sua spedizione, il produttore può concentrarsi sulla commercializzazione del proprio film, mentre le società di home video gestiscono la presa degli ordini, la produzione di unità, la spedizione e l'assistenza clienti. Quando ci si apre al vasto pubblico online, aumentano le opportunità per la community di scoprire nuovi lavori e difatti molti registi hanno ottenuto accordi di distribuzione tradizionale dopo aver riscontrato successo vendendo i loro progetti attraverso la vendita di home video (Parks, 2007).

2.2.4.2 Television distribution Il mercato televisivo è una piattaforma distributiva sia primaria che secondaria per i contenuti. Sebbene la TV sia tradizionalmente pensata in termini di serie e altre produzioni affini, la programmazione televisiva è un gran contenitore che si basa fortemente anche su altri prodotti. Di conseguenza, oltre ad analizzare la programmazione di prima visione (first run), per comprendere l'intero quadro economico è anche importante rivedere come la televisione raccolga entrate per film e altre

99 proprietà intellettuali che possono essere trasmesse in televisione pur non essendo originariamente prodotte per la trasmissione televisiva (Ulin, 2010). La televisione può essere un'importante fonte di entrate dirette e indirette, questo perché, per i film che hanno avuto una distribuzione theatrical scarsa o nulla, una trasmissione televisiva nazionale potrebbe facilitare contratti di vendita di altra forma. Per massimizzare le vendite televisive anche all'estero, i produttori indipendenti hanno bisogno di un buon sales agent straniero (anche qui torna nuovamente utile pensare alla funzione del gatekeeper), capace di fare da ponte con broadcaster nazionali interessati ad una programmazione di questo genere (Broderick, 2008). Quando si parla di televisione tradizionale si vuole intendere sia quella gratuita che a pagamento, ma le nuove tecnologie nell’era di internet hanno confuso le linee di ciò che è stato storicamente classificato come televisione (Ulin, 2010). Per quanto ad oggi le emergenti piattaforme multimediali (VOD) offrano una più ampia prospettiva distributiva indipendente alternativa, vale la pena notare come a partire dall’ultimo decennio ci siano stati sforzi da parte di alcune reti televisive tradizionali locali per aiutare i registi indipendenti acquistando i diritti televisivi dei loro film e promuovendoli nel territorio di appartenenza (Lim, 2019). Negli anni, le stesse televisioni si sono dotate di servizi associati on-demand come risposta all’evoluzione digitale, ad esempio in Italia Rai Play, Mediaset Play o . Questo ha comportato la creazione di un nuovo mercato ancora più interessante ed in continuo sviluppo, quello del video-on-demand (VOD), che, con l’ingresso di piattaforme anche non presenti nella rete televisiva tradizionale (Prime Video, , ecc…), vede una molteplicità di operatori differenti e concentrati su audience più o meno specifici.

2.2.4.3 Video-on-demand (VOD) Negli ultimi anni, il video-on-demand (VOD) si è sempre più affermato come un nuovo sbocco per la distribuzione di opere audiovisive. Tuttavia, il suo peso economico all'interno del mercato audiovisivo globale rimane ancora limitato e, in generale, una strategia di distribuzione finanziariamente sostenibile non può basarsi solo sulla VOD. Il

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VOD è tipicamente caratterizzato da una natura ibrida, dal momento che comprende servizi molto diversi: esiste il Transactional VOD (TVOD), che sembra essere il naturale successore del DVD (anche se i suoi ricavi non compensano il collasso del supporto fisico); il Subscription VOD (SVOD), che compete più direttamente con i tradizionali canali di pay- TV; l’Advertising-based VOD (AVOD). Qualunque sia il tipo di VOD, alcune delle sue caratteristiche si diversificano a seconda dell'approccio tradizionale territorio per territorio (va sottolineato che gli operatori VOD nazionali non partecipano o solo in parte al prefinanziamento dei film). Fontaine e Simone (2017) introducono il ruolo chiave che in questo contesto giocano i cosiddetti film aggregators, intermediari e guardiani (si veda la figura del gatekeeper definita da Smits (2019) e presentata al paragrafo precedente) su alcuni aspetti e considerazioni cruciali del mercato VOD, come ad esempio il fatto che le grandi piattaforme VOD abbiano un potere di mercato sufficiente per imporre ai titolari dei diritti un volume minimo di titoli affinché i loro contenuti siano presenti nei cataloghi VOD, oppure che siano necessarie specifiche competenze tecniche, commerciali e di marketing per garantire che i film siano disponibili sulle principali piattaforme VOD. Parte del valore aggiunto degli aggregators risiede nella loro capacità di garantire all'opera audiovisiva una distribuzione quanto più ampia possibile. In un contesto in cui le risorse globali disponibili per il finanziamento del film sono sotto pressione, questo nuovo intermediario può contribuire a massimizzare le entrate per VOD. Allo stesso tempo, poiché gli aggregators rivendicano la loro quota in quella che potrebbe essere un'attività a basso margine, ciò potrebbe portare alla disintermediazione degli attori tradizionali come i classici distributori. Il termine aggregators, dunque, non deve essere inteso nel suo significato più ampio di siti web che raccolgono e rendono disponibili contenuti audiovisivi online da altre fonti (tipo YouTube, Netflix, Prime Video, ecc.), bensì in riferimento a quelle società che fungono da intermediari tra titolari di diritti e piattaforme VOD, fornendo spesso servizi tecnici, di localizzazione e di marketing. Poiché molti servizi VOD non infrangono gli

101 accordi con i titolari dei diritti su cataloghi di piccole dimensioni, gli aggregators hanno definito il loro ruolo di gatekeepers tra piattaforme e titolari dei diritti e passare attraverso un aggregator è spesso l'unico modo per i piccoli distributori di posizionare i propri contenuti su piattaforme globali. Poiché la funzione degli aggregators sta nel fornire la copia digitale alle piattaforme VOD, la maggior parte offrirà anche una serie di servizi tecnici relativi alla distribuzione di film digitali, ma anche servizi di marketing o di pubbliche relazioni, gestione dei diritti e approvvigionamento dei contenuti. Alcuni aggregators potrebbero anche fungere da consulenti di distribuzione digitale, aiutando a progettare e attuare strategie di distribuzione e marketing su misura, rappresentando quindi uno strumento efficace e in grado di far risparmiare tempo per semplificare la pipeline amministrativa nella distribuzione digitale. Per i piccoli film europei con poca o nessuna circolazione attraverso i Paesi e un potenziale commerciale limitato, gli aggregators potrebbero aiutare concretamente a trovare opportunità di uscite VOD in quei territori in cui questi titoli non sono distribuiti più tradizionalmente nelle sale. Transactional VOD (TVOD) In questo tipo di servizi, a pagamento, come iTunes o Google Play, i contenuti audiovisivi e i film sono disponibili per il download attraverso vendita elettronica (EST) o per il noleggio online: i clienti pagano in base al pay-per-view, mentre i titolari dei diritti ricevono una commissione sulle transazioni. Il TVOD può essere visto come l'evoluzione digitale del negozio fisico di home video. I servizi TVOD normalmente non investono in licenze e finanziamenti per nuove produzioni; per essere redditizio, questo modello deve costruire un certo volume attraverso la vendita o il noleggio di grandi quantità di contenuti. In generale, i servizi TVOD hanno maggiori probabilità di concentrarsi su produzioni filmiche recenti, poiché le entrate per visualizzazione sono più elevate. Il mercato VOD sta diventando tendenzialmente sempre più competitivo e ricevere visibilità è sempre più difficile: i grandi servizi TVOD potrebbero migliorare la visibilità di determinati contenuti (attraverso la promozione dedicata in prima pagina) ma

102 normalmente non effettuano una selezione anticipata dei contenuti, poiché il loro obiettivo si concentra piuttosto sulla raccolta di grandi cataloghi. Per i piccoli produttori e distributori potrebbe quindi essere una sfida includere i loro contenuti nel catalogo di alcuni servizi TVOD, poiché questi ultimi preferiscono in genere concludere accordi su grossi volumi di contenuti. Subscription VOD (SVOD) Questo tipo di servizi consente ai clienti di accedere a un catalogo di contenuti con un canone mensile (è il caso, ad esempio, di Netflix o Prime Video). La prevedibile espansione di Netflix in Europa ha influenzato profondamente il panorama digitale e gli ingenti investimenti promozionali dell'azienda hanno portato a una maggiore consapevolezza dei consumatori. Sotto molti aspetti, il SVOD replica il modello di pay-TV ed è probabilmente la formula ideale per quanto riguarda i consumatori: i clienti hanno accesso ad una formula "all you can watch" per un importo mensile fisso, che consente un'esplorazione anche di cataloghi con titoli più vecchi e di contenuti meno noti. Inoltre, per evitare l’abbandono degli abbonati, i servizi SVOD investono sempre più in contenuti premium esclusivi, il che, unito ad una diversificazione dell'offerta (serie TV in primis, fiction, documentari), rappresenta un notevole vantaggio competitivo rispetto al TVOD. Va sottolineato anche, però, che molti detentori di diritti sono ancora riluttanti verso il SVOD, dal momento che si presume che, trattandosi dell'ultima finestra nella catena di distribuzione prima dell’AVOD, ciò implichi un calo del valore di un titolo e che le offerte SVOD potrebbero bloccare opportunità per pay TV che controllano già anche propri servizi VOD. Advertising-based VOD (AVOD) Questo tipo di servizi è gratuito per i clienti, poiché supportato dalla pubblicità trasmessa in streaming intorno ai contenuti (ad esempio YouTube o VVVVID). I titolari dei diritti sono generalmente ricompensati attraverso una combinazione di pagamento forfettario o garanzie minime e compartecipazione alle entrate. In alternativa, alcuni servizi possono anche operare su un modello "freemium", offrendo al pubblico libero accesso a

103 determinati titoli ma richiedendo un abbonamento per contenuti premium. Poiché l’AVOD è l'ultima finestra del ciclo di sfruttamento digitale, i titolari dei diritti sono generalmente stanchi di questo tipo di servizi e lo associano a un declino del valore dei contenuti. Tuttavia, ci sono alcune prove che in alcuni casi lo streaming AVOD potrebbe effettivamente aumentare le vendite dello stesso film su EST, allo stesso modo in cui una distribuzione teatrale farebbe con le vendite di DVD.

Figura 2.5 – Andamento del mercato VOD in milioni di $ nei Paesi Europei (Statista, 2016)

Per rendere meglio lo sviluppo del mercato VOD in termini economici, la società di ricerca Statista (2016) ha fornito dei dati relativi a diverse regioni e Paesi del mondo e, come si può notare nel grafico, per quanto i Paesi europei spicca lo sviluppo del mercato online di VOD nel Regno Unito, che ha generato 809 milioni di dollari rappresentando il 38% delle entrate di home video nel 2014. Statista prevede inoltre che le entrate del VOD online nel Regno Unito cresceranno ulteriormente fino a 1.591 milioni di dollari entro il 2020. Più complessivamente, si prevede una sostanziale crescita anche nei principali mercati europei in cui il mercato online VOD è meno ben sviluppato, con entrate in Francia che dovrebbero aumentare da 281 milioni nel 2014 a 469 milioni di dollari nel 2020 ed entrate in Germania da 269 milioni a 886 milioni di dollari. Il mercato dei VOD online in altri grandi mercati europei come l'Italia, la Russia e la Spagna dovrebbe crescere molto più lentamente, senza che nessuno di essi generi più di 210 milioni di dollari nel 2020. Sebbene ci siano enormi differenze tra i singoli Paesi europei, le cifre dimostrano

104 una crescita complessiva in tutta Europa: da quasi 3 miliardi nel 2014 a quasi 5 miliardi di dollari entro il 2020 (Smits, 2019).

2.2.4.4 Non-theatrical ed educational distribution Oltre ai mercati e ai media discussi pocanzi (home video, TV, VOD), il proprietario di un film potrebbe anche essere in grado di concedere in licenza i diritti per usi non-theatrical a distributori specializzati che, a loro volta, rendono il film disponibile per una molteplicità di utenti. Con non-theatrical non si intende banalmente tutta la distribuzione diversa da quella theatrical, ma ci si riferisce invece a un mercato relativamente specializzato di utenti istituzionalizzati rispetto al grande pubblico. Il mercato comprende compagnie aeree, hotel, scuole, ospedali, treni e navi, college e altre istituzioni educative, biblioteche, agenzie governative, caserme, club, organizzazioni, associazioni, gruppi comunitari, carceri, musei, chiese (Cones, 2013). Ulin (2010) riconosce come, nonostante l'importanza del merchandising nel mondo del cinema e della televisione, nel contesto della distribuzione esista una serie di flussi ausiliari (ancillary) che ha creato finestre di nicchia aggiuntive per lo sfruttamento dei contenuti. La distribuzione non-theatrical si riferisce quindi sempre alla proiezione di un film sullo schermo per un pubblico, ma in un qualsiasi luogo diverso dal cinema. Lim (2019) sostiene inoltre che le uscite non-theatrical, o il cosiddetto auxiliary market for movies, non costituiscano una roccaforte dell'economia della distribuzione formale, in quanto rappresentano una fonte di entrate relativamente minore. Per i registi indipendenti, però, questi diritti accessori offrono speranza e possono provvedere una significativa percentuale delle entrate totali del film, dal momento che potrebbero essere l'unica piattaforma di distribuzione loro accessibile. Anche Broderick (2008) pone l’accento su questo aspetto, affermando che nel suo Nuovo Mondo la distribuzione non-theatrical può generare entrate significative: mentre i costi della distribuzione theatrical sono quasi sempre maggiori delle entrate, i registi possono guadagnare da ogni proiezione in un campus o in un museo, ricevendo per ognuna una commissione per il noleggio del film, un eventuale compenso forfettario per la

105 partecipazione in prima persona, la possibilità di vendere in loco DVD o altro materiale relativo al progetto. Reiss (2013) osserva la distribuzione non-theatrical più nel dettaglio, attraverso il fenomeno delle proiezioni-evento dal vivo, evidenziandone il valore aggiunto rispetto alla classica visione theatrical in sala, in rapporto con l’evoluzione tecnologica. Quando i film erano disponibili solo nella sala cinematografica quello era l'unico modo per vederli. Mentre la tecnologia sviluppava nuovi modi di vedere i film, si è cominciati a chiedersi se la tradizionale distribuzione theatrical offrisse ancora al consumatore un’occasione unica per coinvolgere il pubblico nella visione e ci si è resi conto che, a meno che ci si sia creati una sfegatata fan base che deve vedere il film alla sua prima opportunità, essa non offre più al consumatore qualcosa di unico. Perché spendere tempo e fatica per vedere qualcosa che sarà disponibile in maniera molto più economica e più conveniente in poco tempo? La soluzione che Reiss (2013) argomenta è la creazione di eventi dal vivo speciali e unici combinati alla proiezione, dal momento che la scarsità è un modo indipendente per il regista di creare domanda. In altre parole, siccome le persone vogliono ciò che temono di non poter avere, la scarsità crea anche qualcosa di unico per loro e pochi altri e più un prodotto è scarso, maggiore è la domanda che si può creare per questo: diminuendo l'offerta con una domanda stabile si aumenta il valore. Il valore essenziale per il consumatore dell'evento dal vivo deve essere un'esperienza comunitaria reale e unica, non disponibile altrove, combinata al mantenimento dell’esperienza di visione di film in comune con altre persone, da sempre essenziale. L'evento crea qualcosa di nuovo e mai creato prima, andando ben oltre l’esperienza che può nascere dal consumo di prodotti o supporti digitali che fungono da semplici mezzi. Una branca fondamentale su cui si fonda la distribuzione non-theatrical è data dal ramo educational, cui generalmente ci si riferisce quando si parla di distribuzione in scuole e biblioteche, concentrandosi quindi su istituzioni educative (anche se può anche coinvolgere proiezioni organizzative e aziendali private) e che si avvale sia di supporti fisici (DVD e Blu-ray) venduti o noleggiati sia dello streaming VOD. Non tutti i distributori

106 educational coprono lo stesso territorio o hanno gli stessi modelli di business (Ravid, 2016). I registi di solito pensano che vendere il proprio film ai distributori significhi che gestiranno l'intera uscita tra cui quella theatrical, home video, televisiva e VOD. Una categoria di distribuzione che è spesso trascurata o non del tutto compresa, tuttavia, è proprio la distribuzione educational. Può essere una tipologia critica di distribuzione per alcuni film, sia in termini di raggiungimento di un pubblico più ampio che di entrate supplementari, ma anche la principale fonte di entrate per la distribuzione. Si parla di distribuzione educational quando un film viene proiettato in un'aula, per una lezione universitaria o per qualsiasi scopo educativo nelle scuole, per organizzazioni e associazioni culturali (civili, religiose, ecc.), in musei o centri scientifici o in altre istituzioni che di solito sono senza scopo di lucro. Si tratta di una distribuzione differente dallo streaming VOD o dall'acquisto di un DVD commerciale: qualunque film utilizzato in questo tipo di contesti e quindi a scopo educativo rientra nella distribuzione educational e deve essere autorizzato legalmente. A meno che non soddisfi determinati criteri ai sensi della legge sul copyright, l'autorizzazione del licenziante è obbligatoria, alla pari di un film comprato in home video o trasmesso in streaming da un account Netflix o Amazon. In generale, i film più venduti nel mercato della distribuzione educational coprono gli argomenti più rilevanti della vita quotidiana contemporanea e sociale, con questioni critiche evergreen: multiculturalismo, razzismo, LGBTQ, guerra, storia locale, tradizioni, diritti umani, violenza sessuale e violenza armata, questioni sociali e questioni politiche, salute e disabilità, il cinema e l'arte, ecc. (Ravid, 2016). Le case che fanno principalmente distribuzione di tipo educational possono ottenere i loro contenuti da festival cinematografici, ma anche più semplicemente in maniera diretta da produttori. Certamente festival cinematografici, premi e riconoscimenti conseguiti aumentano la consapevolezza del film, tant’è che i film di successo su tale fronte generalmente performano meglio e più velocemente, ma ciò non significa che i film che non hanno un buon successo ai festival non si esibiranno ugualmente bene nel

107 tempo. Per implementare questo tipo di distribuzione sono stati attivati diversi servizi che connettono tra loro biblioteche e mediateche, al fine di garantire una distribuzione attenta in particolare alla collettività che può accedere più liberamente al contenuto educativo, rispettando la figura, il lavoro e le scelte di regista e produttore. Esistono numerose compagnie distributive che operano in questa direzione (Ravid, 2016). Nella sua pubblicazione, Broderick (2008) afferma che, mentre nel Vecchio Mondo i registi che possedevano i diritti sul proprio film spesso dovevano scegliere tra fare un accordo con un distributore home video o con un distributore educational che vendesse copie a college, università, biblioteche e organizzazioni, con l’avvento del Nuovo Mondo molti distributori educational stanno imparando a convivere con l'home video, rivedendo le rigorose tempistiche delle windows. Va da sé che all’interno della distribuzione educational si muovono soprattutto produttori di documentari, i quali si rivolgono a questa forma per distribuire i loro contenuti, generare entrate e coinvolgere un nuovo pubblico. La maggior parte dei distributori cinematografici possessori di tutti i diritti del prodotto filmico non ha la capacità interna di servire questi clienti così estesi e non ha sviluppato delle proprie piattaforme tecnologiche, motivo per cui spesso delegano questi diritti a società di vendita e distribuzione educational per la sub-distribuzione. Tuttavia, la sub-distribuzione spesso ha un prezzo elevato (il distributore primario aggiungerà occasionalmente la commissione di vendita educativa alla commissione di distribuzione esistente, il che riduce notevolmente il flusso di entrate al produttore), per questo motivo i produttori sono incoraggiati a riservare diritti non-theatrical/educational dai loro accordi di distribuzione primaria e a contrattare direttamente tali diritti con un agente di vendita specializzato o con una società di distribuzione (Beer, 2018).

2.2.4.5 Film Festival I festival cinematografici sono sempre più importanti per i prodotti audiovisivi, soprattutto nella produzione indipendente in cui è sempre più difficile ottenere una distribuzione theatrical classica. Per questo motivo, i registi che probabilmente avranno

108 poca o nessuna esposizione nei cinema dovrebbero sfruttare al massimo la partecipazione ai festival, per cominciare a far parlare di sé alla stampa e al pubblico: difatti, i festival continuano a svolgere un ruolo cruciale nell'attirare i distributori (Broderick, 2008). La maggior parte dei festival cinematografici internazionali è nata come forum per prestigio o status e questa aura di prestigio porta con sé un marchio di qualità che consente al film e al regista di rafforzare il proprio capitale reputazionale e di costruire gradualmente un capitale culturale, creando così un'economia di prestigio. Nel corso degli anni, i festival cinematografici sono stati considerati come alternative alle sale cinematografiche commerciali e al marketing di massa e sono diventati più market- driven incarnando la funzione di centri commerciali per produttori, distributori e società di marketing e dando vita all'economia dei festival. Mentre i festival generalmente mostrano film da tutto il mondo, alcuni tengono anche fiere per gli espositori, occupando sia gli spazi della distribuzione che della esposizione e quindi fungono anche da gatekeepers (Lim, 2019). In primo luogo, i festival cinematografici sono considerati come una rete di distribuzione alternativa che funge da attenta fonte di accesso alla reale distribuzione (intesa come canonica, theatrical) e presuppone uno spazio di transizione che può pre-testare il mercato. In secondo luogo, fungono da espositori perché i film vengono presentati e proiettati, seguiti da eventi, e potenzialmente generano profitti nel settore delle esposizioni reali (theatrical). Essi offrono quindi al pubblico la possibilità di vedere quelli che potrebbero essere considerati film commercialmente non praticabili e non venire mai distribuiti al di fuori del loro Paese di origine. Tuttavia, non tutti i festival sono uguali: alcuni possono essere piattaforme di lancio migliori di altri, certi film possono vincere premi, altri possono ottenere un accordo di distribuzione, alcuni possono ottenere entrambi, mentre altri nessuno. Mentre il riconoscimento e il prestigio possono aumentare il valore culturale di un film, non ne consegue che aumenterà il valore economico: non vi è alcuna garanzia che il film avrà un successo commerciale anche se

109 riscuote consensi dalla critica nei festival internazionali e il fatto di aver vinto premi non garantisce automaticamente accordi di distribuzione (Lim, 2019). A tal proposito, Broderick (2008) osserva come, nel precedentemente teorizzato Nuovo Mondo, una notevole minoranza di film abbia addirittura cominciato a saltare del tutto i festival, avendo determinato che non valgono il sostanziale investimento di denaro, tempo e fatica. Ad ogni modo, i mercati cinematografici che a volte sono collegati a determinati festival sono utili anche per finanziare la produzione o siglare un contratto di distribuzione, dal momento che si tratta di luoghi di incontro per acquirenti e venditori di programmi cinematografici e televisivi. Seppure questi mercati siano generalmente utili, non contribuiscono in larga misura allo sviluppo e alla sostenibilità del settore cinematografico indipendente, poiché anche questi accordi generano piccole entrate. La partecipazione al mercato cinematografico risulta di nuovo vantaggiosa per le major, perché offrono un più ampio ventaglio di contenuti appetibili per una molteplicità di distributori o acquirenti, varietà che le case indipendenti non sempre possono offrire. Inoltre, le major hanno un forte potere contrattuale perché vendono all'ingrosso, mentre le case indipendenti e più piccole portano con sé solo uno o pochi titoli da vendere (Lim, 2019). I mercati delle vendite cinematografiche sono eventi cruciali per il business della distribuzione cinematografica, perché offrono un ambiente autonomo all'interno del quale i professionisti del cinema possono svolgere la propria attività. Tali mercati di vendita sono spesso organizzati nell'ambito di importanti festival cinematografici internazionali e quindi nel corso del tempo sono diventati luoghi di incontro in cui un gran numero di film viene presentato e promosso da agenti di vendita a distributori e altri acquirenti, quali emittenti televisive, programmatori di festival cinematografici e, più recentemente, fornitori di VOD online. Principalmente, i film offerti nei mercati di vendita vanno dai film a basso budget a quelli a medio. L'inclusione di tali film selezionati nei mercati di vendita ha un impatto positivo sullo status e sulla reputazione di tali eventi e li

110 rendono più attraenti per nuovi finanziatori, importanti società indipendenti e anche principali studios di Hollywood, sia come produttori che come distributori. Nonostante ciò, al di là degli studi sui festival cinematografici, il ruolo dei mercati di vendita dei film è stato ampiamente ignorato dal discorso accademico (Smits, 2019).

2.2.5 SHADOW ECONOMIES OF CINEMA, LA DISTRIBUZIONE INFORMALE Questo paragrafo si fonda sul lavoro di Ramon Lobato che nel 2012 pubblica, in collaborazione con il British Film Institute, “Shadow Economies of Cinema – Mapping Informal Film Distribution”, con l’intento di offrire un differente punto di vista e di pensiero riguardo le innumerevoli pratiche per guardare film che sono parte integrante della vita quotidiana, ma marginali per gli studi cinematografici come disciplina accademica, attraverso un preciso focus sui sistemi informali di circolazione dei film. Pur senza demonizzare i luoghi fisici storici come cinema e multisala dalla loro essenziale carica di principali siti per il consumo culturale, si vuole evidenziare come l’esibizione theatrical formale associata alle major non sia più l’epicentro della cultura cinematografica, ma ci si sia indirizzati meglio verso delle shadow economies del cinema attraverso un radicale cambiamento concettuale. Si parte dal presupposto che un film non sia semplicemente un supporto in pellicola o un disco, ma un artefatto culturale dotato di potenziale trasformativo con la capacità di catalizzare un risveglio etico, nuovi modi di pensare, sentire, agire, cambiare anche nel piccolo ma in maniera ugualmente significativa i modi di comprendere il mondo che ci circonda. Affinché ciò avvenga, è necessario che un film raggiunga audience di riferimento, in altre parole che venga distribuito: la distribuzione quindi, come già affrontato precedentemente in questo capitolo, gioca un ruolo cruciale nella cultura cinematografica determinando quali film è possibile vedere, dove e quando, ma anche quali film non è possibile vedere. Difatti, migliaia di progetti vengono lavorati ogni anno, ma soltanto un numero limitato di questi viene messo a disposizione di un ampio

111 pubblico: i distributori, sia formali che informali, determinano quali film vincono e quali perdono nel gioco del consumo culturale (Lobato, 2012). Lobato (2012) fornisce una definizione più ampia di distribuzione, “the movement of media through time and space”, che gli permette di aprire lo studio ad una matrice di canali informali raramente documentati ma che possono (o non) essere classificati come reti distributive dal punto di vista della ricerca e della policy del settore ed è in grado di mettere in primo piano il ruolo degli operatori informali, collocandoli così allo stesso livello analitico delle loro controparti formali. I modelli di distribuzione degli studi cinematografici devono quindi comprendere non solo le major e le case indipendenti, ma anche un'ampia varietà di informal agents, ovvero individui, organizzazioni e pubblici virtuali che operano ai margini o completamente al di fuori dell'industria cinematografica legale. Nel formulare ciò che tipicamente viene chiamata industria cinematografica internazionale come un tipo di sistema distributivo tra molti altri, Lobato (2012) cerca di sviluppare un vocabolario diverso per l’analisi di questa industria, in grado di rappresentare una gamma più ampia di sistemi e network in varie parti del globo, per osservare come il cinema circola attraverso diversi contesti socio-economici. Non si tratta di un lavoro di confronto tra cinema dominante vs marginale o cinema commerciale vs underground, ma di una distinzione analitica tra distribuzione formale e informale che cerca di ridefinire alcune di queste categorie e riorganizzarle in maniera produttiva. Mentre la formalità si riferisce al grado con cui le industrie sono regolate, misurate e governate da istituzioni statali, i distributori informali sono coloro che operano al di fuori di questa sfera o in una parziale articolazione di essa. Queste premesse sono essenziali per poter dimostrare come il regno della distribuzione informale, lungi dall'essere una forza marginale ai bordi della cultura cinematografica, sia in realtà il motore chiave della distribuzione su scala globale. Le shadow economies emergono dall’interconnessione tra distribuzione formale e informale, due sfere esposte in maniera differente a specifiche dinamiche organizzative, regolamentazioni e misurazioni: mentre la distribuzione

112 formale è caratterizzata da modelli di business di compartecipazione alle entrate, sistemi di enumerazione statistica e modelli di rilascio delle finestre guidati da premiere teatrali, la distribuzione informale è prevalentemente non-theatrical e caratterizzata da accordi con strette di mano, vendite forfettarie e pirateria, intesa come forma euristica piuttosto che come campo o categoria chiaramente definito (Lobato, 2012). C’è poco spazio nei modelli convenzionali degli studi su film e media per diversi sistemi informali esistenti, la sfida sta nel pensare alla distribuzione attraverso obiettivi della politica culturale tanto quanto dell'economia politica. Comprendere come si svolge questa relazione in tempi e spazi diversi richiede un set flessibile di strumenti e nessuna “meta-teoria” sarà appropriata ad ogni setting, pertanto Lobato (2012) sintetizza una serie di rivendicazioni fondamentali riguardanti la natura della distribuzione cinematografica e la sua relazione con la vita quotidiana: • la distribuzione è un campo delle politiche culturali e si occupa della trasmissione di valori, competenze e ideologie; • la distribuzione è il terreno su cui si verifica la ricezione e senza di essa non esisterebbe un pubblico; • la distribuzione comporta differenze culturali e frammenta il pubblico secondo genere, età, orientamento sessuale, etnia e classe sociale; • la distribuzione definisce il modo in cui i prodotti sono vissuti e recepiti dai pubblici; • la distribuzione modella la cultura cinematografica e la propria immagine; • la distribuzione cinematografica informale è la norma globale. Queste affermazioni, che assieme formano una specie di logica per un’analisi critica dei canali distributivi, permettono di focalizzare l’attenzione contemporaneamente su ciò che è materiale e ciò che è simbolico, culturale ed economico, micro e macro. La distribuzione riflette differenze culturali e socio-economiche, ma non solo, indica differenze anche in nuove direzioni: mantenere questi concetti generali in mente quando

113 si studiano i sistemi distributivi assicura un punto di vista maggiormente critico, non “istituzionale”, tradizionale o dato per scontato (Lobato, 2012). Oltre alle infrastrutture che costituiscono ciò che viene considerata industria cinematografica internazionale (multisala, film festival, tv via cavo, videoteche), si trovano altri terreni in gran parte non mappati della distribuzione cinematografica. Lobato (2012) si allontana ulteriormente dall'economia del cinema “formale” per considerare le numerose reti di distribuzione che operano in articolazione libera o al di fuori di questo sistema, al fine di avvicinare le modalità distributive informali al centro del quadro analitico classico, a cui giustamente appartengono. Un beneficio di tale riorientamento risiede nella possibilità di introdurre gli studi sul settore cinematografico nel dialogo con altre tradizionali ricerche sulla circolazione di prodotti culturali (si pensi come ad esempio in campi come la geografia umana, l'economia, l'antropologia e gli studi urbani sia già presente un ricco corpus di lavori sui sistemi economici informali - mercati di strada, reti di venditori ambulanti, grandi imprese criminali - che ha generato modelli di particolare interesse per l'analisi delle reti di distribuzione). L’espressione “informal economies”, o “shadow”, può essere definita in una serie di maniere diverse, ma in generale l’uso di questo termine si riferisce alla produzione e agli scambi economici che intercorrono all’interno di economie capitalistiche ma all’esterno del campo di applicazione dello stato. Nella sua forma più pura, la shadow economy è uno spazio di attività economica non misurata, non tassata e non regolamentata. Mentre la sfera formale è caratterizzata da uno spazio e dal controllo, nell’informalità sono accordi di stretta di mano, reciprocità, economie del dono, pirateria, baratto e altre modalità di scambio e ridistribuzione che bypassano le istituzioni (Lobato, 2012). Molti studiosi continuano a dibattere se l'informalità sia meglio concettualizzata come un settore a sé dell'economia o come una modalità di produzione, come un sintomo del neoliberismo o una miniera dell'imprenditorialità, come un problema da risolvere o un potenziale da sfruttare. Pochi, tuttavia, contestano il fatto che l'informalità sia un processo politico-economico fondamentale al centro di molte società. L’informalità non

114 riguarda soltanto il crimine e il furto, ma può anche essere considerata una strategia accattivante per attività multinazionali al core del settore formale; questo discorso può anche calarsi nella logica cinematografica osservando come ad esempio gli studios di Hollywood operino in larga parte in un regno formale mentre la produzione filmica coinvolge una serie di attività informali come apparizioni cameo non pagate, riprese in siti non regolamentati del terzo mondo e sfruttamento del potere promozionale dei fan (Lobato, 2012). Anche se etimologicamente l’informalità sembra far pensare all’ombra (shadow) e quindi implicitamente sembrare meno centrale della sua radice (la formalità), è sbagliato pensare che la formalità sia un tipo di costante organizzativa dalla quale deriva l’informalità. Lobato (2012) rimarca quindi con convinzione la centralità dell’informalità e si domanda in che maniera il cinema si adatti all’interno di queste economie, con quali dinamiche, cercando di identificare delle caratteristiche comuni tra i prodotti informali e di forte distacco rispetto a quelli tradizionalmente formali: 1) Molti circuiti informali hanno qualità temporali che differiscono da quelle delle strutture di distribuzione convenzionali. Nel sistema di finestre su cui si basano i principali modelli di distribuzione, la canalizzazione lineare dei contenuti attraverso i formati classici (dal teatrale al dvd alla tv) monetizza il tempo, creando una gerarchia di valori basata sulla novità di un prodotto. Le reti informali non utilizzano tale modello, preferendo in generale portare i propri prodotti ai consumatori il più rapidamente e direttamente possibile. 2) Molti circuiti informali hanno una relazione diversa con lo spazio. Il modello consolidato di distribuzione cinematografica internazionale divide il mondo in zone separate in cui ai distributori selezionati sono concessi diritti esclusivi (modello di diffusione dal mercato interno al mercato esterno/internazionale). Ma le operazioni legali di importazione parallela da una parte e di pirateria illegale dall’altra significano che la separazione spazio-temporale dei mercati è uno stato ideale piuttosto che una realtà, eppure al suo centro il modello di distribuzione

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tradizionale riguarda il movimento ordinato dei prodotti attraverso e all'interno di territori delimitati nello spazio. In contrasto, infatti, i canali di circolazione informali sono largamente sotterranei, nel senso che i prodotti si muovono attraverso lo spazio e il tempo con un livello inferiore di interferenza da parte di leggi sul copyright, tasse, tariffe e censura statale. 3) La distribuzione informale è spesso invisibile negli indici industriali e nei data set. In questo tipo di economia ci sono pochi sistemi comparabili di contabilità e sorveglianza e pertanto nessuna ricerca di mercato può sperare di dare un senso all'infinito numero di visualizzazioni che avvengono in modo informale. 4) A differenza della distribuzione formale che è dominata dalla standardizzazione del prodotto filmico e dal mantenimento dell’integrità del brand, i film che circolano informalmente tendono a presentare livelli più alti di variazione del prodotto. 5) Le implicazioni della distribuzione informale vanno oltre la disponibilità e possono modellare in modo significativo l’esibizione e la ricezione. I prodotti distribuiti in modo informale vengono generalmente consumati in casa o negli spazi sociali oltre il cinema e di solito in uno stato di distrazione, concetti come l'immersione o la sutura (spettatore come soggetto) non possono essere trapiantati all'ingrosso nel regno informale (Lobato, 2012). Un ultimo interessante argomento riguardante l’informalità che cita Lobato (2012) riguarda la città di Karachi, in Pakistan, dove gran parte della popolazione vive in “insediamenti informali”: qui una vasta rete di piccole imprese private offre molti servizi di base e la liberalizzazione del commercio ha fatto sì che le merci di consumo quotidiano, compresi molti prodotti mediatici, siano più convenienti per le classi inferiori. Un nuovo panorama mediatico sta emergendo nelle crepe del sistema consolidato: un settore informale capace di offrire varie forme di intrattenimento audiovisivo ai consumatori tagliati fuori dai mercati legali. Queste nuove culture consumistiche illustrano la distanza tra “a First World economy and sociology and a Third World wage and political structure”,

116 con merce mediatica economica e onnipresente che attenua il colpo della crescente disuguaglianza strutturale. In questo contesto, il ruolo della distribuzione mediatica informale sta nel fungere da ponte tra questi due presunti mondi, una funzione quindi mediatrice capace di collegare economie e culture attraverso immaginari popolari (Lobato, 2012).

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CAPITOLO III - FONDO AUDIOVISIVO FVG

3.1 EX CURSUS STORICO, FINALITÀ E STRUTTURA

Alcune regioni hanno investito in fondi regionali per un periodo per poi decidere di ridimensionare e sospendere l'intervento, altre invece alla luce dei risultati positivi dell'investimento hanno deciso nel tempo di aumentare il volume e di ampliarne l'area di azione. Nello specifico, le motivazioni che a partire dal 2003, con l'istituzione del primo fondo regionale in Friuli-Venezia Giulia, hanno spinto le amministrazioni regionali a investire in audiovisivo sono di diversa natura e nascono da esigenze e caratteristiche specifiche di ciascun territorio. In una prima fase, la maggioranza di queste iniziative era ispirata a obiettivi di tipo culturale, che avevano a che fare con la promozione, il recupero e la valorizzazione delle identità locali attraverso le opere audiovisive. A questa ispirazione, paragonabile allo spirito con cui sono con cui lo Stato centrale investe nel settore, si sono affiancate iniziative regionali, fondate su obiettivi di natura più specificatamente economica, sul modello dei fondi regionali tipici delle aree del Centro e Nord Europa: si tratta di iniziative che come fine hanno lo sviluppo industriale del territorio, che si articola in una serie di incentivi rivolti allo sviluppo di imprese e professionalità specializzate residenti sul territorio, all'aumento del tasso occupazionale locale, all’afflusso di capitali presso le strutture di ricezione presenti sul territori, oppure all'incentivo all'immagine e di conseguenza ai flussi turistici (D’Urso, 2018). Quindi è scontato che, dal punto di vista del produttore, un territorio in grado di offrire finanziamenti pubblici è più attraente di un altro dove manca questa opportunità: sebbene si tratti di finanziamenti solitamente contenuti, è pur sempre preferibile una Regione che, oltre ai servizi offerti dalla Film Commission, contribuisce in parte al finanziamento del prodotto (Cucco e Richeri, 2011). Prima esperienza del genere in Italia, come già evidenziato, il Fondo Regionale per l’Audiovisivo è stato istituito grazie alla Legge Regionale sul Cinema n.21 del 6 novembre

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2006, recante “Provvedimenti regionali per la promozione, la valorizzazione del patrimonio e della cultura cinematografica, per lo sviluppo delle produzioni audiovisive e per la localizzazione delle sale cinematografiche nel Friuli Venezia Giulia”. Con la modifica del 27 ottobre 2010, la gestione è stata affidata all’Associazione Fondo per l’Audiovisivo del Friuli-Venezia Giulia (audiovisivofvg.it). Finanziato dall’Assessorato alle Attività Produttive della Regione Friuli-Venezia Giulia, il Fondo si pone come finalità principale quella di favorire lo sviluppo delle imprese locali che operano nel settore della produzione audiovisiva, nonché di contribuire alla qualificazione delle relative risorse professionali. Attraverso l’istituzione di più Bandi all’anno, l’Amministrazione Regionale concede contributi ad imprese di produzione indipendente aventi sede nel Friuli-Venezia Giulia fino alla misura massima del 50% della spesa ammissibile per la formazione, lo sviluppo di progetti e la distribuzione di prodotti audiovisivi destinati al mercato regionale, nazionale e internazionale (L.R. 21/2006, Art.11). Accanto all’ordinaria attività di sostegno finanziario ai progetti presentati dalle imprese locali, il Fondo per l’Audiovisivo organizza una serie di eventi principalmente finalizzati allo sviluppo dell’industria audiovisiva regionale. L’obiettivo è quello di offrire, da un lato, nuove opportunità di tipo formativo, dall’altro, occasioni d’incontro dedicate ai professionisti del cinema provenienti da tutto il mondo (italyformovies.it). In sintesi, quindi, all’articolo 11 della Legge Regionale 06 novembre 2016 n. 21 si afferma che allo scopo di favorire la crescita delle imprese del territorio che operano nel settore della produzione audiovisiva, anche contribuendo alla qualificazione delle relative risorse professionali e in un’ottica di razionalizzazione degli interventi della Regione in questo settore, l'Amministrazione regionale promuove la realizzazione delle seguenti opere audiovisive: • opere da realizzare nei formati considerati a maggiore vocazione regionale, quali cortometraggi, documentari e film di animazione; • opere che sviluppano tematiche legate al territorio;

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• opere che valorizzano, con l'uso delle corrispondenti lingue, le minoranze linguistiche storiche presenti nel territorio della regione; • opere di particolare interesse e rilevanza per la Regione, tali da suscitare attenzione anche in ambito nazionale e internazionale. Prima di analizzare più approfonditamente struttura e relativo contenuto legislativo, vengono di seguito riportate le principali iniziative organizzate e promosse dal Fondo per l’Audiovisivo nel corso degli ultimi quattro anni: - When East Meets West. Realizzato all’interno del Trieste Film Festival, WEMW è uno dei principali incontri di co-produzione tra industrie cinematografiche dell’Europa Orientale e Occidentale, che riunisce ogni anno oltre 450 professionisti dell’audiovisivo provenienti da oltre 35 Nazioni. Il principale obiettivo dell’evento è quello di fornire un quadro dettagliato del panorama audiovisivo dei territori in focus, così da offrire ai partecipanti la possibilità di capire pienamente le opportunità di coproduzione e distribuzione di queste aree e sviluppare nuove collaborazioni (wemw.it). - Ties that Bind. Si tratta di un workshop internazionale dedicato alle coproduzioni cinematografiche tra Asia ed Europa, ideato anche da EAVE (European Audiovisual Entrepreneurs Europe) e Far East Film Festival, in collaborazione con il Festival di Busan e SAAVA (Singapore), fondatore del Southeast Asian Film Financing Forum (Saff). Il progetto gode del supporto di Creative Europe – Media e riunisce dieci produttori asiatici e europei con progetti cinematografici in sviluppo e cinque esperti di altissimo profilo provenienti dal settore della distribuzione e delle vendite, ma anche da rinomati festival e mercati di co-produzione e fondi internazionali. Oltre a creare rapporti di lavoro e collaborazioni a lungo termine, Ties that Bind offre sessioni con i più rinomati esperti europei e asiatici per quanto riguarda lo sviluppo della sceneggiatura, le co-produzioni, i problemi legali, i finanziamenti, la distribuzione, le vendite e molti altri aspetti del settore (tiesthatbind.eu). - RE-ACT. Regional Audiovisual Cooperation and Training è un’iniziativa transregionale dedicata al co-sviluppo di progetti audiovisivi e all’incoraggiamento di nuove co-

120 produzioni internazionali, ideata con il Croatian Audiovisual Centre e il Slovenian Film Centre. Si caratterizza per due azioni: un innovativo Fondo di Co-sviluppo e una serie di iniziative specifiche di formazione in collaborazione, tra gli altri, con TorinoFilmLab, Eurodoc e First Cut Lab. L’obiettivo principale è quello di incentivare, attraverso un supporto finanziario dedicato e l’apertura di nuovi mercati internazionali, la creazione di significative storie inerenti alla specifica area geografica e capaci di varcare i confini locali, oltre a favorire la nascita di legami creativi e commerciali tra Croazia, Slovenia e Friuli- Venezia Giulia (e Serbia, a partire dal 2019) (filmreact.eu). - EURODOC. Nel 2009 il Fondo ha avviato una collaborazione a lungo termine con EURODOC, il più importante corso europeo di formazione continua rivolta a produttori e autori di documentari. Il progetto è stato sviluppato assieme al Fondo Nazionale del Cinema Sloveno e al Fondo Nazionale del Cinema Croato, al fine di garantire per i successivi tre anni la partecipazione al corso di almeno un produttore per ciascuna delle tre aree coinvolte nell’evento e rafforzare la collaborazione con i professionisti provenienti dall’Europa sud-orientale (eurodoc.net).

3.1.1 SVILUPPO Per sviluppo si intende la fase che comprende tutte le attività che intercorrono fra l’idea e la vigilia della produzione, come la scrittura del progetto, ricerche, casting, sopralluoghi, l’opzione e l’acquisizione di diritti, l’assistenza legale, la ricerca di possibili finanziatori, contatti per la distribuzione, la realizzazione di un promo. L’obiettivo del Fondo Regionale per l’Audiovisivo - Sviluppo è di promuovere, apportando un sostegno finanziario, lo sviluppo di progetti destinati al mercato nazionale e internazionale nelle seguenti categorie: • fiction, opere singole e serie con durata minima di 50 minuti che sviluppano tematiche legate al territorio e valorizzano le minoranze linguistiche storiche, come riconosciuto dalla Legge 482/99, e/o di particolare interesse e rilevanza per la regione e tali da suscitare attenzione in ambito nazionale e internazionale;

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• cortometraggi, diretti da un regista alla sua opera prima o seconda, con una durata minima complessiva di 4 minuti e massima di 15; • documentari, basati su un soggetto tratto dalla realtà, rielaborato mediante un sostanziale lavoro di scrittura originale che evidenzi il punto di vista dell’autore, con durata minima complessiva di 15 minuti; • animazione, con durata minima complessiva di 10 minuti. Per quanto riguarda i requisiti, sono ammesse a presentare una richiesta di sostegno le imprese di produzione indipendenti (società di capitali, società di persone, ditte individuali) con sede legale o operativa in FVG, per lo sviluppo di singoli progetti. Non sussistono particolari requisiti in termini di soglia minima del giro di affari o degli utili, tuttavia il richiedente dovrà documentare la sua capacità finanziaria. Per le imprese che non hanno in FVG la propria sede legale, tutti i membri dello staff creativo (con l’eventuale eccezione del produttore) dovranno essere residenti in FVG o in alternativa tutti i costi relativi allo sviluppo del progetto dovranno essere sostenuti in FVG. Sono ammissibili esclusivamente i costi direttamente correlati all’esecuzione delle attività di sviluppo del progetto, in particolare: l’opzione e l’acquisizione dei diritti, le attività di ricerca, inclusi i sopralluoghi, la ricerca di archivi, la scrittura della sceneggiatura e/o trattamento fino alla versione definitiva, la realizzazione di uno storyboard, la ricerca dei tecnici principali e del casting, la preparazione di un budget preventivo di produzione, la preparazione di un piano finanziario, la ricerca di partner, di finanziatori e coproduttori, la preparazione del piano di produzione, la preparazione delle strategie iniziali di marketing e di promozione dell’opera, la realizzazione di un promo video (per il documentario), la ricerca grafica e la realizzazione di un pilota (per l’animazione). Questi costi devono essere spese reali e giustificati da documenti fiscali. Il sostegno finanziario del Fondo non può superare il 50% del budget di sviluppo e a seconda della categoria del progetto presentato è possibile richiedere un contributo rispettando l’ammontare minimo e massimo riportato nella tabella sottostante.

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Categoria Minimo Massimo Fiction € 10 000 € 30 000 Cortometraggio € 2 000 € 5 000 Documentario € 2 000 € 20 000 Animazione € 2 000 € 30 000

Tabella 3.1 – Forbice di intervento del Fondo Audiovisivo FVG per categoria di prodotto

Il budget preventivo di sviluppo deve essere in pareggio, ovvero il totale delle spese e il totale delle fonti di finanziamento devono essere uguali; va da sé quindi che l’erogazione del contributo regionale non può costituire un profitto per il beneficiario. I progetti finanziati vengono selezionati secondo tre tipologie di criteri: di ammissibilità, di selezione e di attribuzioni. Di questi, il criterio di attribuzione considera la qualità del progetto, più in particolare: • originalità del soggetto, sceneggiatura o struttura narrativa; • qualità della strategia di sviluppo del progetto (descrizione e calendario delle attività e piano di finanziamento del budget); • fattibilità del progetto sulla base della strategia di finanziamento e del potenziale della produzione (possibile sfruttamento commerciale, co-finanziamenti, accordi di co-produzione e/o di distribuzione); • contenuto artistico culturale (adeguatezza del formato scelto al mercato/pubblico di destinazione, capacità narrativa e chiarezza degli obiettivi da perseguire; presenza di elementi specifici delle lingue e delle culture minoritarie).

3.1.2 DISTRIBUZIONE Per distribuzione si intende non solamente la promozione e il marketing delle opere realizzate e la loro circuitazione nei festival, nelle rassegne e nei premi dedicati al settore, ma anche una maggiore disponibilità finanziaria durante la produzione per rendere il prodotto maggiormente competitivo.

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Sono ammessi al Fondo Distribuzione i progetti appartenenti alle seguenti categorie e destinati ad ogni tipo di distribuzione: • fiction, di una durata minima di 50 minuti che sviluppano tematiche legate al territorio e valorizzano le minoranze linguistiche storiche e/o di particolare interesse e rilevanza per il Friuli-Venezia Giulia e tali da suscitare attenzione in ambito nazionale e internazionale; • documentari, della durata minima complessiva di 15 minuti.; sono ammessi progetti basati su materiali d’archivio sono ammessi ed esclusi telegiornali, i talk- show, i reality-shows, le docu-soaps, i programmi scolastici, didattici e di apprendimento; • cortometraggi, già finanziati con il Fondo per lo Sviluppo, della durata minima di 4 minuti e massima di 15, diretti da un regista alla sua opera prima o seconda di fiction; • animazione, della durata minima complessiva di 10 minuti. Si definisce distributore audiovisivo ogni soggetto, diverso dall’impresa proponente, che detiene i diritti di distribuzione (televisiva per via terrestre, satellite o cavo, attraverso sale di proiezione, home video, internet, e/o altri media) di un programma audiovisivo per un determinato territorio e che ne assicuri direttamente o indirettamente la diffusione. Come nel caso dello sviluppo, la principale condizione di ammissibilità risiede nella indipendenza e nella sede legale in FVG dell’impresa proponente (le imprese che hanno sede legale altrove dovranno creare una sede operativa in FVG nel caso che la richiesta di sostegno venga approvata). A tal proposito, si precisa una impresa di produzione viene considerata indipendente se un’emittente televisiva non ne detiene una partecipazione maggioritaria, sia in termini di capitale sociale sia in termini commerciali. La partecipazione è considerata maggioritaria quando più del 25% delle quote del capitale sociale di un’impresa di produzione appartiene ad un’unica emittente televisiva (50% qualora siano coinvolte più emittenti televisive) o quando l'impresa realizza, nell'arco di

124 un periodo di tre anni, più del 90% del suo volume d'affari con una stessa emittente televisiva. Un’altra condizione di ammissibilità necessaria e particolarmente rilevante è che al momento della richiesta di sostegno deve esistere un accordo distributivo confermato minimo il 40% del finanziamento del budget del progetto da parte di terzi, sia che si tratti di un finanziamento diretto sia che avvenga tramite la prevendita dei diritti, almeno mediante lettere di impegno comprendenti il titolo del progetto e l’ammontare esatto del contributo finanziario. I criteri di selezione permettono di valutare la capacità del richiedente di portare a termine il progetto e sono: • personalità giuridica; • competenze, qualifiche professionali ed esperienza richieste per portare il progetto a buon fine (valutazione dei cv); • fonti di finanziamento stabili e sufficienti a garantire il mantenimento della propria attività per il periodo di realizzazione del progetto. I criteri di attribuzione permettono di valutare la qualità del progetto rispetto agli obiettivi e alle priorità fissate e sono gli stessi già elencati per il sviluppo. L’ammontare massimo del contributo finanziario che può essere accordato è di €130.000 per le opere con produttore maggioritario avente sede legale in FVG; €70.000 per le opere con produttore maggioritario non avente sede legale in FVG o con produttore minoritario avente sede legale in FVG, ad esclusione del cortometraggio al quale potrà essere accordato un contributo massimo di €10.000. Il contributo finanziario accordato non potrà in alcun caso superare il 15% del budget di produzione presentato dal produttore per una fiction, 30% del budget di produzione per i documentari o i film di animazione, fino al 50% del budget di produzione per i cortometraggi. Le linee guida finanziarie delimitano l’ammissibilità dei costi nel periodo che intercorre tra i 4 mesi prima della presentazione della domanda (preventiva, si intende) e i 24 mesi

125 dopo tale data. Tra i costi ammissibili al Piano Finanziario viene fatta una distinzione tra diretti e indiretti: • diretti, che devono essere direttamente correlati alla produzione dell’opera, effettivamente sostenuti dal beneficiario o dai co-produttori, identificabili e controllabili sulla base di documenti giustificativi (budget di produzione), registrati nella contabilità o nei documenti fiscali del beneficiario o dei co- produttori; • indiretti, ovvero il corrispettivo per il produttore (che non può eccedere il 5% del totale dei costi diretti ammissibili), le spese generali (che non deve superare il 7% del totale dei costi diretti ammissibili) e gli imprevisti (voce revisionale per coprire gli imprevisti legati all’opera che non dovrà eccedere il 5% del totale dei costi diretti ammissibili e che non potrà comparire tra i costi finali del progetto). Non saranno invece considerati ammissibili i costi che non saranno chiaramente identificati nel budget preventivo. Inoltre, non sono ammissibili costi per compensi erogati agli amministratori, costi evidentemente elevati e non giustificati, costi non registrati nella contabilità o nei documenti fiscali del beneficiario o del coproduttore, accantonamenti di carattere generale, interessi passivi, perdite di cambio e costi relativi allo sviluppo del progetto che sono già stati precedentemente finanziati.

3.1.3 FORMAZIONE Una particolarità rara che il Fondo Audiovisivo FVG può vantare, anche rispetto alle molte regioni italiane che ne sono sprovviste, è il sostegno finanziario, a fondo perduto, per la promozione di attività legate alla formazione. Gli obiettivi principali che il Fondo per la Formazione vuole perseguire sono: • rispondere ai bisogni della produzione audiovisiva del Friuli-Venezia Giulia e favorire la sua competitività, migliorando la formazione professionale continua degli addetti del settore al fine di fornire loro le conoscenze necessarie a creare

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prodotti competitivi anche al di fuori del mercato regionale, in particolare nei seguenti ambiti; • inglobare l’applicazione delle nuove tecnologie per l’ideazione, la produzione e la distribuzione/diffusione di programmi audiovisivi ad alto valore aggiunto commerciale e artistico, così come lo sviluppo di nuovi programmi che utilizzano nuove piattaforme; • ottimizzare la gestione economica, finanziaria e commerciale, comprese le norme giuridiche e le tecniche di finanziamento alla produzione e distribuzione di programmi audiovisivi; • integrare tecniche per la scrittura di sceneggiature a carattere narrativo, comprese le tecniche di sviluppo di nuovi tipi di programmi audiovisivi. Si vuole quindi incoraggiare l’aggiornamento e il miglioramento formativo di differenti figure professionali del settore audiovisivo, come gli sceneggiatori, i registi, i produttori, gli operatori, i montatori e i tecnici del suono. I progetti formativi finanziati dal Fondo possono essere presentati dalle imprese e dai professionisti che operano nel settore audiovisivo, soggetti che devono accuratamente descrivere l’attività di formazione alla quale intendono partecipare, al fine di una chiara identificazione delle proprie caratteristiche. Rientrano in questo contesto anche borse di studio e corsi di formazione.

3.1.4 UN ESEMPIO SU TUTTI: MENOCCHIO (2018) Tra i numerosissimi progetti finanziati dal Fondo e portati a termine, che verranno approfonditi più dettagliatamente nel paragrafo successivo, quello del film Menocchio (2018), prodotto principalmente da Nefertiti Film e diretto da Alberto Fasulo, viene addirittura citato in una recente pubblicazione dell’European Audiovisual Observatory (Talavera e Chochon, 2019). In una sezione redatta da Paolo Vidali, Direttore del Fondo Audiovisivo FVG, e da Nadia Trevisan, CEO di Nefertiti Film, vengono fornite rilevanti specifiche relative al film

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Menocchio (2018), diretto da Alberto Fasulo, regista nato e residente in Friuli-Venezia Giulia, prodotto da Nefertiti Film (con sede in FVG) con Rai Cinema e in coproduzione con Hai Hui Entertainment (casa di produzione rumena), con un budget complessivo di 1,68 milioni di euro. Il film è ambientato a fine 1500, un periodo in cui la Chiesa Cattolica Romana, sentendosi minacciata nella sua egemonia dalla Riforma Protestante, sferra la prima sistematica guerra ideologica di uno Stato per il controllo totale delle coscienze, trasformando il confessionale da luogo di consolazione delle a tribunale della mente. Menocchio, vecchio, cocciuto mugnaio autodidatta di un piccolo villaggio sperduto fra i monti del Friuli, decide di ribellarsi. Ricercato per eresia, non dà ascolto alle suppliche di amici e famigliari e invece di fuggire o patteggiare, affronta il processo. Non è solo stanco di soprusi, abusi, tasse, ingiustizie. In quanto uomo, Menocchio è genuinamente convinto di essere uguale ai vescovi, agli inquisitori e persino al Papa, tanto che nel suo intimo spera, sente e crede di poterli riconvertire a un ideale di povertà e amore (www.cinemaitaliano.info) In primo luogo, il film riceve un sostegno allo sviluppo dal Fondo FVG pari a €30.000. In aggiunta a questo, la produzione ottiene i seguenti finanziamenti pubblici: • € 154.000 in finanziamenti dal FVG; • € 150.000 dalla FVG Film Commission; • € 80.400 dalla Trentino Film Commission; • € 325.826 dal MiBAC; • € 126.000 dal CNC (Romania). L'impatto/effetto sulla regione può essere sintetizzato come segue: • 6 settimane di riprese e 8 settimane di preparazione in Friuli-Venezia Giulia; • 2 settimane di riprese e 2 settimane di preparazione in Trentino; • 11 membri della crew e 27 membri del cast in Trentino; • 18 membri della crew e 80 membri del cast nella regione FVG; • € 190.000 di spese regionali in Trentino;

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• € 680.000 di spese regionali in FVG (224% dell'importo ricevuto in finanziamenti dalla regione); • Utilizzo di luoghi storici chiave: Castello del Buon Consiglio (Trentino); Stavoli di Orias, Mulino di Cercivento, Fattoria di Pesariis, Sappada, Strada Vivarina (FVG). • Partecipazione a festival e cerimonie di premiazione: tra i vari, Locarno Film Festival 2018 (Menzione speciale: Young Jury Award); Concorso Annecy Cinema Italien 2018 (Grand Prix du jury); CHP PIX Copenhagen International Film Festival; Goteborg Film Festival (Talavera e Chochon, 2019).

3.2 RACCOLTA DATI Al fine di questo elaborato, è stata effettuata una raccolta dati specifica riguardante tutti i progetti finanziati allo sviluppo e alla distribuzione dal Fondo Audiovisivo FVG, a partire dal primo bando del 2007 fino al più recente relativo all’anno 2019. Tali dati sono stati ricavati dal database presente sul sito www.audiovisivofvg.it, fonte principale di partenza da cui poi è stata fatta una personale selezione di casi studio per una analisi empirica. I successivi paragrafi, quindi, presenteranno in primis una panoramica generale per una discussione d’insieme sui progetti finanziati dal Fondo FVG ed in secundis permetteranno di dare spazio ad una selezione di casi basata su criteri selettivi specifici, con un focus particolare su quattro produzioni cinematografiche della regione Friuli-Venezia Giulia.

3.2.1 ANALISI E DISCUSSIONE GENERALE Dal 2007 ad oggi, il Fondo Audiovisivo ha finanziato 307 differenti produzioni audiovisive per un totale di €6.833.624,74. Nello specifico, queste 307 produzioni sono suddivisibili in tre macro-generi: documentari (220 progetti, 72% del totale), fiction (49 progetti) e cortometraggi (38 progetti). Sebbene i contributi siano stati così numerosi, non tutte le oltre 70 case di produzione finanziate (locali e indipendenti, con sede legale regionale) hanno poi realizzato il progetto inizialmente finanziato per lo sviluppo, che può ritenersi concluso nel momento

129 in cui riceve anche un successivo contributo alla distribuzione (finanziamento in realtà erogabile anche senza passare dal contributo allo sviluppo). Analizzando i dati forniti dal Fondo, è possibile osservare come €4.137.193,16 di finanziamenti sono stati destinati a progetti realizzati e verosimilmente conclusi (pronti per la distribuzione), mentre €2.716.699,58 di finanziamenti sono stati destinati a progetti successivamente accantonati e non portati a termine o tuttora in lavorazione. Parlando in termini di numero di progetti realizzati o in progress, piuttosto che di cifre complessive di contributi erogati negli anni, sono 62 i progetti ad aver avuto accesso sia ad un contributo per lo sviluppo che per la distribuzione, 41 al solo contributo per la distribuzione e i restanti 204 per il solo sviluppo. Tra questi 204 progetti ad aver ottenuto un contributo allo sviluppo, si stima siano circa una novantina quelli abbandonati (contati dal 2007 al 2016, dal 2017 in poi si considera possano ancora essere in lavorazione per la realizzazione). Come già spiegato precedentemente nel paragrafo, per ottenere da parte del Fondo dei contributi alla distribuzione è obbligatoria l’esistenza di un accordo distributivo, che coinvolga emittenti televisive, case di distribuzione o agenzie di vendita. Trattandosi perlopiù di progetti a basso budget, tale distribuzione va rapportata ad un mercato più piccolo e a carattere locale, con case indipendenti e tematiche fortemente legate al territorio tradizionale ed al suo relativo strato sociale.

SVILUPPO DISTRIBUZIONE TOTALE 2007 € 315.860,50 € 85.347,97 € 401.208,47 2008 € 331.000,00 € 115.000,00 € 446.000,00 2009 € 362.500,00 € 91.500,00 € 454.000,00 2010 € 52.000,00 € 164.000,00 € 216.000,00 2011 € 156.526,78 € 164.000,00 € 320.526,78 2012 € - € 178.620,90 € 178.620,90 2013 € 184.451,51 € 180.360,00 € 364.811,51 2014 € 515.561,40 € 257.954,00 € 773.515,40 2015 € 192.779,60 € 302.208,00 € 494.987,60 2016 € 318.054,60 € 393.112,88 € 711.167,48

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2017 € 461.671,17 € 447.720,00 € 909.391,17 2018 € 256.555,80 € 436.535,00 € 693.090,80 2019 € 345.510,80 € 426.296,40 € 771.807,20 Tabella 3.2 – Elaborazione personale finanziamenti Fondo 2007-2019 su dati istituzionali

La Tabella 3.2 mostra come, nel corso dei primi anni di operatività del Fondo Audiovisivo FVG, dal 2007 al 2009 ci sia stato un aumento graduale dei contributi erogati, con una abbondanza di finanziamenti dedicati allo sviluppo e nettamente meno alla distribuzione. Passati quattro anni difficili in cui il Fondo FVG ha ridotto il proprio intervento (dal 2010 al 2013), a partire dal 2014 il trend sembra invertirsi: i contributi alla distribuzione quasi triplicano rispetto al triennio iniziale e dal 2015 ad oggi superano complessivamente quelli allo sviluppo (eccezion fatta per il 2017, anni grossomodo di pareggio). Questo permette di affermare che il Fondo Audiovisivo FVG è stato in grado negli anni di offrire innanzitutto un sempre più importante sostegno al settore audiovisivo regionale, combinando al tempo stesso anche lo sviluppo di realtà professionali e imprenditoriali sempre più producenti. Inoltre, dopo un primo periodo in cui si è concentrato principalmente sullo sviluppo di nuovi progetti, ha adottato col tempo una strategia più mirata alla distribuzione attraverso le sue varie forme. Questo andamento è visibile meglio anche attraverso il Grafico 3.3, ricavato con elaborazione personale dai dati presenti su audiovisivofvg.it.

€1.000.000,00 €900.000,00 €800.000,00 €700.000,00 €600.000,00 €500.000,00 €400.000,00 €300.000,00 €200.000,00 €100.000,00 €- 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

SVILUPPO DISTRIBUZIONE TOTALE

Grafico 3.3 – Rappresentazione grafica personale finanziamenti Fondo 2007-2019 su dati istituzionali

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3.2.2 SELEZIONE EMPIRICA E CRITERI Per il caso studio di questo lavoro, è stata fatta una selezione di produzioni audiovisive analizzando anno per anno ogni progetto. Tale selezione ha portato alla scelta di quattro film, intesi nella loro accezione più generica di prodotto audiovisivo, attraverso tre fasi. 1) Tra i 307 progetti finanziati dal Fondo Audiovisivo FVG è stato posto come primo criterio di esclusione il raggiungimento o meno del contributo alla distribuzione. Sono stati quindi scartati tutti quei film che hanno ricevuto un contributo soltanto allo sviluppo e non alla distribuzione, dal momento che li si è considerati abbandonati o non ancora portati a termine. Per praticità e completezza, al fine di mappare il percorso dei film a partire dallo sviluppo, si sceglie di non considerare i film che hanno avuto un contributo solo alla distribuzione, riducendo il campione di 307 a 265 film. Le produzioni idonee a questa prima selezione risultano 62. 2) La seconda fase si avvale di una selezione cruciale. Innanzitutto, si escludono i cortometraggi e tutte le produzioni che pur avendo ricevuto un contributo alla distribuzione non sono al momento finite perché ancora nella fase di post- produzione. Inoltre, si decide di dare delle caratteristiche specifiche al campione: il film deve essere a carattere locale, affrontare tematiche strettamente legate al territorio ed essere profondamente radicato nel tessuto tradizionale-culturale; deve essere un prodotto con una particolare valenza artistica, quindi per esempio essere dedicato al mercato dei festival o affrontare tematiche interculturali; deve sfruttare il mezzo documentaristico per raccontare storie e testimonianze reali; deve essere il risultato di una produzione indipendente a basso budget. L’unione di queste quattro sfere, che possono essere sintetizzate in locale-artistica- documentario-piccolo, ha portato alla selezione di 39 film, con una scrematura quindi di 23 produzioni. Punti cardine di questa fase sono stati l’importanza del valore associato al patrimonio intangibile e della diversità culturale come promozione e protezione. Inoltre, si è appositamente scelto il cinema

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indipendente per osservarne meglio la distribuzione alternativa, alla base della terza fase di selezione empirica. 3) La terza e ultima fase si basa sulla trattazione della distribuzione fatta nel capitolo precedente. Dal momento che si considerano film indipendenti, si sceglie di non considerare la distribuzione theatrical canonica, ma di osservare esclusivamente i film che hanno concentrato la propria distribuzione attraverso canali alternativi, con una uscita in sala attraverso strategie di windows tradizionali inferiore alle 500 presenze. Tale dato è stato ricavato dal cinetel.it, che cura quotidianamente la raccolta degli incassi al box office e delle presenze in un campione di sale cinematografiche di prima visione in tutta Italia. Si arriva così ad un campione finale da 31 film. Il Grafico 3.4 mostra il risultato delle tre selezioni nel corso degli anni, a partire da un campione di 265 finanziati allo sviluppo (a fronte di 307 progetti finanziati), prendendo in considerazione solo i 62 film che hanno ricevuto un contributo sia allo sviluppo che alla distribuzione (in arancione), di cui solo 39 ad oggi risultano conclusi e caratterizzati dalla sfera “locale-artistica-documentario-piccolo” (in grigio) e arrivando a 31 film che hanno effettivamente avuto una distribuzione alternativa (in giallo).

41 35

27 26 24 25 20 18 15 16 13 10 8 6 77 7 55 5 54 5 4 44 54 5 5 4 2 32 2 22 32 33 11 0000 11 000

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

Grafico 3.4 – Rappresentazione grafica personale produzioni campione selezionate 2007-2019

Delle 31 produzioni selezionate, sono stati studiati nello specifico quattro casi particolari, che verranno presentati nel paragrafo successivo.

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3.2.3 CASO STUDIO La selezione finale di quattro film è stata fatta dal campione conclusivo, ottenuto secondo i diversi criteri esplicati nel paragrafo precedente. Ognuno di questi è stato analizzato, coinvolgendone produttori, distributori e registi, attraverso una serie di incontri durante i quali sono state loro fatte determinate domande. Con l'intento di capire l'obiettivo di distribuzione fissato già nel corso dello sviluppo del progetto, si è cercato di evidenziare se vi fosse già una determinata strategia che cercasse di coinvolgere un certo target audience. L'importanza di questo aspetto risiede nella capacità o meno di controllare verticalmente la filiera produttiva del prodotto audiovisivo e pone le basi per un'analisi più mirata rivolta verso il fulcro di questo lavoro, ovvero la distribuzione alternativa. Trattandosi di film indipendenti e a basso budget, la distribuzione theatrical è stata molto limitata se non nulla, ma, siccome tutti i film hanno ugualmente ricevuto una distribuzione specifica, si è cercato di mappare che tipo di forme essa abbia assunto, anche se con forti difficoltà legate alla considerevole presenza di informalità, che rendeva il tutto difficilmente monitorabile attraverso indici e misure standard. Se per quanto riguarda la distribuzione theatrical la piattaforma cinetel.it semplifica enormemente la ricerca per pubblico e aree geografiche, per tutta quella distribuzione alternativa discussa al capitolo precedente essenziale sono stati gli incontri con chi, il più delle volte, ha personalmente distribuito il film organizzando proiezioni speciali o serate-evento. Le professionalità coinvolte sono state quelle di Samantha Faccio, general co-ordinator di Tucker Film, che ha prodotto e distribuito il film "Parole povere" nel 2013 e soltanto distribuito il film "I tempi felici verranno presto" nel 2016; di Erica Barbiani, fondatrice di Videomante, che ha sceneggiato e prodotto "La rosa di Valentino" (2012); Dorino Minigutti, fondatore di Agherose, che tra il 2016 e il 2018 ha diretto e prodotto la serie "Int/Art". La scelta è stata fatta con l'intento di diversificare il più possibile il caso-studio, portando prodotti destinati a pubblici diversi e forme distributive specifiche, allargando il concetto di filmico ad audiovisivo.

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3.2.3.1 “Parole povere” (2013) “Parole povere” è un film documentario del 2013 diretto da Francesca Archibugi, nota regista romana, e co-prodotto da Tucker Film e Agherose, due piccole società friulane indipendenti, in collaborazione con il Centro Espressioni Cinematografiche di Udine. Il progetto nasce dalla volontà della regista di girare un film incentrato sulla figura del poeta friulano Pierluigi Cappello, noto a livello nazionale, e riceve dal Fondo Audiovisivo FVG un contributo iniziale di €13.375,52 nel 2013 come finanziamento allo sviluppo. Tucker Film ne cura lo sviluppo, in co-produzione con Agherose, al fine di avere un più ampio accesso ai finanziamenti sia nazionali (Mibact) che subnazionali (Fondo Audiovisivo FVG). Tucker Film si definisce come una società che, in antitesi alle politiche distributive attuali, vuole reagire alle trasformazioni del settore e portare avanti concretamente l’idea di un cinema indipendente che possa soddisfare quella fetta di pubblico che ancora cerca nel cinema soddisfazione intellettuale e non solo entertainment, attraverso attività identificabili in due filoni: produzioni legate al territorio e alla cultura regionale e distribuzione di opere asiatiche (secondo filone nato e sviluppatosi in diretta connessione con il Far East Film Festival di Udine, la più importante vetrina di cinema popolare asiatico in Europa). Volendo per completezza presentare la sinossi del film, si può dire che prima di essere un documentario, "Parole Povere" è un incontro. È la dolce collisione tra gli occhi di una regista e le parole, tutt’altro che povere, di un poeta. Lei, Francesca Archibugi, offre il suo sguardo, costruisce l’ascolto, lui, Pierluigi Cappello, offre la sua identità sorridente, restituisce la complessa naturalezza di chi è nato “al di qua di questi fogli”. Vita e creazione letteraria: quali distanze alimentano il rapporto? E di quali vicinanze, invece, si nutre? La telecamera cerca risposte facendo sempre un passo indietro, con affettuoso pudore, e documenta la verità, la realtà, senza mai ricorrere a sovrastrutture intellettuali o cinematografiche. Il montaggio racconta, non estetizza, la musica di Battista Lena diventa scansione narrativa, non arreda i silenzi, e la piccola storia di Pierluigi, che è necessariamente anche la grande storia di una terra e di un popolo, scorre sullo schermo

135 così come scorre nella quotidianità. Le radici friulane e le testimonianze divertite degli amici, i luoghi e i ricordi, l’ombra scura del 1976 e il profilo verde delle montagne, la sedia a rotelle che spezza la libertà di un sedicenne e disegna, millimetro dopo millimetro, la libertà di un uomo, di un poeta, di un guerriero mite e gentile che abita “fra l’ultima parola detta e la prima nuova da dire” (cinemaitaliano.info). È chiaro quindi che il progetto di “Parole povere” si prefiguri come documentario dal forte interesse culturale sia nazionale, vista la caratura e la fama del poeta Cappello, che soprattutto locale, dal momento che lo stesso ha scritto numerose opere in lingua friulana rientrando nell'omonima letteratura. Il target audience che il film in fase di sviluppo si progettava di recepire raggruppava, quindi, gli appassionati nella maniera più ampia di poesia e letteratura, un pubblico tradizionalmente friulano per lo stretto legame con il territorio, una nicchia di persone con un’età matura dai 45 anni in su. L’idea di celebrare Pierluigi Cappello, morto nel 2017 solo cinquantenne e quattro anni dopo l’uscita del film, è stata sviluppata con un’idea di distribuzione più orientata alla televisione che al cinema, tant’è che la sua durata atipica di soli 55 minuti precludeva un accesso tradizionale alle sale. Tucker Film, oltre a curare lo sviluppo del film, segue anche la distribuzione e ottiene sempre nel 2013 un secondo finanziamento dal Fondo Audiovisivo FVG di €33.500,00, che, sommato al precedente contributo allo sviluppo, permette una copertura di circa il 30% del budget complessivo del film (contributo totale pari a €46.875,52). Tucker Film acquisisce quindi il 100% dei diritti di distribuzione e in tale fase coinvolge una serie di agenti diversi per altrettanti canali distributivi differenti e considerabili alternativi: • Home video. CG Entertainment realizza un cofanetto per la vendita (e-commerce, principalmente) curato minuziosamente e contenente il film in dvd, un booklet e una serie di extra tra cui lo spettacolo teatrale dal titolo “Le radici nell’aria”. Tale spettacolo, precedente alla realizzazione del film e presentato integralmente negli extra e con solo alcun scene nel film, è stato organizzato nel luglio 2012 in occasione del Mittelfest di

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Cividale del Friuli (che rappresenta una delle più prestigiose vetrine della prosa, la musica e la danza dell’area Mitteleuropea e dell’ambito geopolitico incluso nell’Iniziativa Centro Europea) e vede la partecipazione di Cappello stesso sul palco a leggere i suoi versi accompagnato dalle musiche originali di Battista Lena (noto musicista e compositore di musica jazz e colonne sonore), eseguite dal vivo dal quintetto con Lena alla chitarra, Gabriele Mirabassi al clarinetto, Enzo Pietropaoli al contrabbasso, Fulvio Sigurtà alla tromba, Stefano Tamborrino alla batteria e dal coro del Friuli-Venezia Giulia; a curare il set è la stessa Archibugi. Tale dvd viene ufficialmente lanciato in occasione di una manifestazione che poco ha a che fare con il cinema, ma ben si sposa con il soggetto del film: si tratta di Pordenonelegge, festival letterario che a partire dal 2000 ha cominciato a crescere sempre di più nella città di Pordenone, ospitando ormai costantemente scrittori di fama mondiale in un clima coinvolgente per audience di tutte le età. Vengono vendute in totale all’incirca 400 copie, alcune delle quali rientrano in una distribuzione di tipo educational che la stessa Tucker Film non può controllare direttamente: da una ricerca sugli archivi di diverse biblioteche e mediateche regionali e non, emerge che il supporto home video è liberamente disponibile al pubblico per il prestito nelle mediateche di Udine (“Mario Quargnolo”) e Pordenone (di Cinemazero) e nelle biblioteche di Udine, Tavagnacco (UD), Majano (UD), Lignano Sabbiadoro (UD), Cervignano del Friuli (UD), Trieste, Venezia, San Donà di Piave (VE) e Treviso. Rimanendo nel contesto educational, risulta troppo difficile mappare con precisione che tipo di diffusione il film abbia avuto nelle scuole e in tante piccole associazioni, ma sicuramente la realizzazione di un supporto dvd home video ha permesso un accesso più diretto da parte della collettività, anche se presumibilmente non sempre regolato da accordi formali di acquisizione dei diritti. Si può quindi presupporre che tale film possa aver avuto una distribuzione di tipo informale e non regolamentata, attraverso la diffusione del supporto fisico, provocando certamente un danno

137 economico ai detentori dei diritti sul film, ma al contempo permettendo la divulgazione di valore culturale in luoghi di condivisione. • Film Festival. Tucker Film lavora con grande impegno per dare a “Parole povere” una première importante e ci riesce con successo quando il 28 novembre 2013 il film viene proiettato al Cinema Massimo di Torino, in occasione della 31esima edizione del Torino Film Festival, uno dei principali festival cinematografici italiani dedicato soprattutto al cinema indipendente. A questa anteprima segue la partecipazione (fuori concorso), qualche mese più tardi, nel gennaio 2014, al Trieste Film Festival, da quasi trent’anni primo e più importante appuntamento italiano dedicato al cinema dell'Europa centro-orientale. Per completare il ciclo di festival propriamente a carattere cinematografico bisogna fare un salto ad ottobre 2016, quando “Parole povere” varca i confini nazionali per essere proiettato in Germania, in occasione dell’Italian Film Festival (Tuscia Film Fest di Berlino). • Non-theatrical. Tucker Film organizza una serie di serate evento, obiettivo iniziale di distribuzione già in fase di sviluppo, dal momento che una classica distribuzione theatrical sarebbe risultata troppo proibitiva. Tra questi eventi, il più importante è sicuramente quello organizzato nel maggio del 2014 a Udine, in occasione del Festival Vicino/Lontano, nato dal forte legame con la figura del giornalista e scrittore Tiziano Terzani e che dal 2005 programma incontri, dibattiti, conversazioni, conferenze, lezioni, letture, mostre, spettacoli e proiezioni. Qui, infatti, Pierluigi Cappello vince il Premio letterario internazionale “Tiziano Terzani” e per l’occasione viene proiettato nella chiesa di San Francesco in anteprima nazionale il documentario “Parole povere”, in una serata evento che vede la partecipazione di Pierluigi Cappello in persona e Francesca Archibugi in collegamento video. Seguono altre partecipazioni a festival non propriamente cinematografici, come, in ordine temporale, quella al 20esimo Festival Internazionale di Poesia a Genova, al festival di poesia “Cabudanne de sos poetas” di

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Seneghe in provincia di Oristano, al festival letterario Pordenonelegge, al Napoli Teatro Festival nel 2017. Per rendere omaggio a Cappello nell’anno che ne ha visto la scomparsa, Cinemazero insieme a Pordenonelegge e al Centro Studi Pasolini di Casarsa organizza una proiezione speciale prima a Pordenone e successivamente al Teatro Pasolini di Casarsa della Delizia. Più recentemente, nel 2018 il Festival della Poesia di San Donà di Piave programma la proiezione del film come cerimonia di chiusura dell’evento, in occasione dell’annuale Premio Hemingway (prestigioso evento letterario con sede a Lignano Sabbiadoro) “Parole povere” rientra come evento collaterale e infine anche il “Piccolo festival della poesia e delle arti notturne” di Fossalta di Portogruaro (PN) lo inserisce nella rassegna “Notturni diversi”. • Video on demand. Grazie alla sua première, “Parole povere” ottiene un accordo distributivo on demand inizialmente con la piattaforma MyMovies, media partner ufficiale del Torino Film Festival, che acquista da novembre 2013 a marzo 2014 i diritti per transactional e subscription VOD. Anche la Rai compra i diritti per la distribuzione VOD con un accordo che va da ottobre 2014 a marzo 2017 e “Parole povere” viene trasmesso nel mese di dicembre del 2015 per quattro volte su Rai 5, canale ad hoc che si occupa di cultura con una particolare attenzione al mondo dell'arte. • Educational. Per quanto riguarda la distribuzione di tipo educational, risulta difficile delimitare i confini in maniera netta e determinare quanto essa ricada nella distribuzione informale, difficilmente monitorabile con dati alla mano. Oltre alle informazioni riportate in questo paragrafo relative alle biblioteche e mediateche che sono in possesso del dvd e che lo mettono a disposizione gratuitamente per scopi educativi e culturali (educational, per l’appunto), Tucker Film ha raggiunto accordi con una serie di sub-agenti distributivi che a loro volta hanno proiettato “Parole povere” in determinati luoghi, adibiti a sale cinematografiche. A novembre 2015, la Società Operaia di Mutuo Soccorso ed Istruzione di Cividale del Friuli, attraverso un

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pagamento forfettario (assimilabile quindi alla distribuzione informale, non potendo monitorare il numero di biglietti “staccati”), proietta il documentario all’interno dei suoi spazi e nella stessa città a inizio 2019 anche il Teatro Ristori con una serata evento; si comportano alla stessa maniera anche il Circolo di cultura cinematografica di Matera nell’aprile del 2016 e l’Istituto Italiano di Cultura a Madrid nell’ottobre del 2019. • Altri gatekeepers. Difficilmente assimilabili agli agenti già presentati, altri due sono gli attori che sono stati coinvolti in fase distributiva nel progetto di “Parole povere”. Il primo è il CortoCircuito FVG che, raccogliendo l'eredità decennale di Circuito Cinema, coinvolge i territori di San Daniele del Friuli, Codroipo e Cervignano in terra udinese, di Casarsa, Spilimbergo, Maniago e San Vito al Tagliamento nel pordenonese e di Cormons nel goriziano, si pone l’obiettivo di portare cinema di qualità nelle piccole sale di comunità del Friuli-Venezia Giulia. Nel mese di ottobre 2018, attraverso una selezione di pellicole capaci di esprimere una autentica eccellenza cinematografica e produttiva della regione, CortoCircuito FVG organizza una serie di proiezioni-evento nei paesi, in ordine cronologico, di San Vito al Tagliamento (PN), San Daniele del Friuli (UD), Cormons (GO), Cervignano (UD), Codroipo (UD). Il secondo gatekeeper coinvolto è CineAgenzia, con il quale Tucker Film raggiunge un accordo di sub-distribuzione. CineAgenzia programma e distribuisce documentari e rassegne per festival, sale cinematografiche, associazioni e istituzioni culturali e mantiene stretti rapporti con il noto settimanale Internazionale, con il quale cura la rassegna di documentari Mondovisioni. CineAgenzia inserisce “Parole povere” in una rassegna di documentari su libri, scrittori e scritture chiamata Parole Nascoste, in occasione del 18esimo Festivaletteratura di Mantova nel 2014. L’evento sarà poi ripetuto tre anni dopo, a seguito della morte del poeta friulano. Tirando quindi le somme conclusive, “Parole povere” si è dimostrato un progetto a detta dei produttori-distributori di successo, non tanto perché è stato in grado di ottenere

140 grandi ricavi economici (dato non rilevabile e ininfluente), quanto perché si è riusciti innanzitutto a realizzare un prodotto con un budget molto limitato inferiore ai duecentomila euro e soprattutto perché l’obiettivo di partenza di distribuire il film non in sala secondo una distribuzione tradizionale ma piuttosto di inserirlo in serate-evento, rassegne e festival anche “collaterali” (di letteratura, di poesia, ecc.) è stata pienamente raggiunto. Ciò testimonia l’importanza di crearsi un’idea iniziale sulla distribuzione da dare al film a partire dallo sviluppo e delle specifiche aspettative su audience di riferimento; traguardi che nel caso di “Parole povere” sono stati, nel loro piccolo, ampliamente raggiunti, grazie ad un impatto sociale mirato e sollecitato da motivazioni profondamente culturali, rintracciabili in primis nella figura del soggetto filmico.

3.2.3.2 “I tempi felici verranno presto” (2016) “I tempi felici verranno presto” è un film di fiction, di genere drammatico, del 2016, diretto da Alessandro Comodin, giovane e talentuoso cineasta friulano che già nel 2011 con il film “L’estate di Giacomo” aveva ottenuto un importante riconoscimento al Locarno Film Festival in Svizzera. Si tratta di una co-produzione italo-francese tra Okta Film e Shellac Sud, con la collaborazione di Rai Cinema e Arte France, capace di ottenere nel territorio nazionale il sostegno di Film Commission Torino Piemonte, Fondo Audiovisivo FVG e Mibact. Nel dettaglio, il Fondo Audiovisivo FVG assegna nel 2014 un contributo iniziale allo sviluppo pari a €20.000, cui seguiranno due anni dopo altri €50.000, per un totale di €70.000. Va specificato che tale somma, contrariamente al progetto di “Parole povere”, non identifica il 30% del costo complessivo del film ma si attesta sotto il 15% del budget totale, soglia limite prevista dal Fondo per i progetti di fiction (non documentari). In termini economici, “I tempi felici verranno presto” è un progetto molto più dispendioso rispetto a “Parole povere”, con un budget complessivo intorno al milione di euro. Eppure, si ritiene particolarmente importante l’analisi di tale progetto, dal momento che ha avuto un concepimento e una circuitazione in fase distributiva diversa dalla distribuzione in sala tradizionale. Intanto, si presenta anche qui per completezza la sinossi del film.

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Tommaso e Arturo sono riusciti a scappare cercando rifugio nella foresta. Bella la vita ora, nonostante tutto. Ma, attenzione, muori sempre quando meno te l’aspetti, anche se sei giovane, finalmente felice e non hai mai fatto niente di male. Tanti anni dopo, ai giorni nostri, la foresta pare sia infestata da lupi affamati. Nessuno si ricorda della storia dei due giovani, ma proprio in quella foresta Ariane scopre uno strano buco. Ariane è forse, allora, la ragazza di cui parla quella leggenda della valle? Il perché Ariane sia entrata in quel buco rimane un mistero, fatto sta che poi, di lei, non s’è saputo più nulla. Ognuno la racconta a modo suo questa storia, ma tutti concordano nel dire che Ariane il lupo l’ha incontrato (cinemaitaliano.info). Il film di per sé non racchiude una particolare valenza tradizionale legata al territorio, contrariamente ad esempio a “Parole povere”, ma questo progetto ha obiettivi e ambizioni diverse. Principalmente, si tratta di voler dare continuità al processo artistico e creativo di Comodin, regista locale friulano, a costo di restringere l’audience di riferimento in fase di distribuzione ad una nicchia di cinefili. Difatti, il film è di per sé molto difficile per un pubblico di massa e con una forte carica autoriale; motivi per i quali i produttori di “I tempi felici verranno presto” si immaginano una distribuzione indipendente del film, principalmente attraverso festival e circoli cinematografici d’essai, distante dai multisala e dalle classiche dinamiche da botteghino. Il target di riferimento non è la massa, ma una nicchia di cinefili appassionati di cinema e interessati a scoprire o approfondire il regista e il suo modo di fare cinema, audience quindi idealmente giovane con età compresa tra i 20 e i 45 anni. Trattandosi di una produzione per metà italiana e per metà francese, vi è la figura del distributore internazionale, The Match Factory (Germania), che tesse una serie di rapporto con prestigiosi festival internazionali in tutto il mondo e, inoltre, ricerca distributori nazionali in ogni Paese disponibili a distribuire il film, trovando la disponibilità di Shellac per la Francia e di Tucker Film per l’Italia. Cercando di procedere con ordine, la fase di distribuzione di “I tempi felici verranno presto” coinvolge una serie di agenti diversi, anche se questa volta il principale canale

142 distributivo indipendente e alternativo è uno solo, quello del festival o della serata- evento, e si ramifica in due gatekeeper: • The Match Factory. Il distributore internazionale porta il film in giro per il mondo con grande successo, il film circola nei principali festival cinematografici internazionali, fa parlare di sé ed entra in contatto con svariati pubblici e culture differenti. Il film vince tre premi, il più prestigioso nel 2016 al Festival di Cannes, quando in occasione della Semaine de la Critique ottiene il Beatrice Sartori Award, oltre alla première assoluta. Nello stesso anno vince anche il Premio ARTE al CineMart International Film Festival Rotterdam in Olanda e l’anno dopo ottiene in Messico il Premio Puma Mejor Película al FICUNAM - Festival Internacional de Cine Unam. Oltre a ciò, il film partecipa ad altri 28 festival cinematografici, in ordine cronologico: Sitges - Festival Internacional de Cinema Fantastic de Catalunya (Spagna), Annecy Cinema Italien (Francia), Cannes e Dintorni, Festival du Film Italien de Villerupt (Francia), Festival Nouveau Cinema Montreal (Canada), Laceno d'Oro, L'Aquila Film Festival, Le Vie del Cinema da Cannes a Roma, Les Écrans Documentaires (Francia), Rio de Janeiro International Film Festival (Brasile), Vienna International Film Festival (Austria), 8 e 1/2 Festa Do Cinema Italiano (Portogallo), Altre Visioni - Immagini del mondo nuovo, BAFICI - Buenos Aires Festival Internacional de Cine Independiente (Argentina), Cinema Presente, Estate d'Autore - Prime Visioni al Cinema, Festival del Cinema Italiano di Tokyo (Giappone), Festival Internacional de Cine de Cali (Colombia), FuoriPost, Jeonju International Film Festival (Corea del Sud), New Directors - New Film (U.S.A.), Registi Fuori dagli Schermi, Rencontres Cinéma de Manosque (Francia), Sevilla Festival de Cine (Spagna), ShorTS International Film Festival – Maremetraggio, Film Festival della Lessinia, Festival Lima Cine Independiente (Perù). • Tucker Film. Il distributore nazionale per l’Italia, che già aveva lavorato con il precedente progetto di Comodin dal titolo “L’estate di Giacomo”, abbraccia con convinzione anche “I tempi

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felici verranno presto” e organizza personalmente una serie di serate-evento in tutta Italia, la maggior parte delle quali con la presenza dell’autore. Sicuramente una première così importante come quella a Cannes aiuta in parte la circuitazione sul territorio nazionale e difatti il film rientra nel programma “Cannes e dintorni”: tra l’8 e il 17 giugno 2017 il film viene proiettato al cinema Eden e al cinema Fiamma di Roma, a Trevignano, a Latina e a Terracina in occasione della rassegna “Cannes a Roma” e al cinema Mexico di Milano in occasione della rassegna “Cannes a Milano”. Questo, invece, l’elenco delle serate-evento organizzate nell’estate del 2017 da Tucker Film con la presenza del regista per un vero e proprio tour: Perugia, Spoleto (PG), Parma, Cuneo, Udine (in questa occasione aperitivi con l’autore), Gemona del Friuli (UD), Mantova, Pordenone, Vicenza, Padova, Rovereto (TN), Catania, Caserta. Diversamente da “Parole povere”, in questo caso si sceglie di non realizzare un supporto fisico per l’home video. Tale scelta pare precludere buona parte di una ipotetica distribuzione di tipo educational (e prevenire una incontrollabile distribuzione informale), anche se, diversamente dal progetto della Archibugi, questo film non tratta tematiche di particolare interesse e dibattito tradizionalmente culturale e quindi il valore educativo, nel senso più stretto del termine, viene meno. Impossibile invece capire che diffusione possa aver avuto il film in cineclub e associazioni simili, causa assenza di dati al riguardo. La distribuzione on demand è in un certo senso vincolata alla presenza di Rai Cinema come collaborazione al progetto: il film passa in televisione su Rai 3 e Rai 5, oltre a comparire tuttora nel catalogo Rai Play, ma non vi è alcuna vendita dei diritti, come da accordi contrattuali. Tirando le somme conclusive su “I tempi felici verranno presto”, secondo Tucker Film è un po’ meno facile parlare di successo, tanto quanto lo si poteva dire di “Parole povere”. È vero che il film ha effettivamente seguito la modalità distributiva nazionale che ci si aspettava, ovvero una serie di serate-evento e festival cinematografici indipendenti per nicchie di appassionati di cinema, quindi raggiungendo anche verosimilmente il target audience prefissato. Però ci si aspettava un più considerevole numero di sale disposte a

144 programmare il film, specie per la fama che Comodin aveva già ottenuto con il suo precedente film e per i numerosi festival internazionali a cui il film aveva già partecipato. Dal momento che non tutte le programmazioni sono state regolarmente registrate, il dato Cinetel relativo alle presenze in sala con regolare bigliettazione è di 246 per sole quattro sale, anche se chiaramente questo non può essere preso come indice attendibile di quante persone hanno effettivamente visto il film. La stima più sensata, a detta degli stessi distributori nazionali, si attesta entro e non oltre le 5.000 presenze, contando quindi non solo la classica distribuzione theatrical ma anche e soprattutto quella non- theatrical (serate-evento, nello specifico). Tale dato è considerevolmente maggiore rispetto a “Parole povere”, ma è altresì importante ricordare che mentre questo aveva una durata di 55’ più indicabile per uno sfruttamento ad hoc, “I tempi felici verranno presto” con i suoi 100’ di durata ha una natura più tradizionale per essere fruito in sala.

3.2.3.3 “La rosa di Valentino” (2012) “La rosa di Valentino” è un documentario del 2012, diretto da Pier Paolo Giarolo e prodotto da Videomante, casa di produzione friulana fondata da Erica Barbiani e Elena Tomasin che “porta i documentari dal mondo delle idee a quello delle cose fatte” (videomante.it). Cruciale nell’ideazione e nello sviluppo del progetto è il percorso di Erica Barbiani che tra il 2009 e il 2010 grazie al Fondo Audiovisivo FVG per la formazione ha la possibilità di partecipare a Eurodoc in Belgio. Si tratta dell’European Council of Doctoral Candidates and Junior Researchers, federazione internazionale di 28 organizzazioni nazionali di dottorandi e giovani ricercatori da 26 Paesi dell'Unione Europea e del Consiglio d'Europa, con l’obiettivo professionalizzare nuove carriere in materia di istruzione, ricerca e sviluppo, promuovere qualità nelle attività di ricerca europee ed affermare la cooperazione tra associazioni nazionali della Comunità (eurodoc.net). Attraverso questo corso di formazione per produttori, Barbiani sviluppa il progetto di “La rosa di Valentino”, un documentario che, visto il mercato nazionale italiano, mai avrebbe avuto una distribuzione classica di tipo theatrical. Per questo motivo, già in fase di sviluppo è partita la ricerca di un broadcaster, pensando alla televisione come principale

145 canale distributivo alternativo, e l’incontro con numerosi sales agent affinché il film potesse poi essere preso e venduto a varie televisioni. Eurodoc permette quindi la collaborazione di Videomante con Autlook Filmsales (Austria) per le vendite estere e con il broadcaster francese ARTE, principale finanziatore per la successiva distribuzione del film, e finlandese YLE. Il Fondo Audiovisivo FVG finanzia il film attraverso il bando allo sviluppo nel 2009 con €16.000 e alla distribuzione nel 2011 con €32.000, per un totale di €48.000, su un budget complessivo di circa €140.000. Prima di rintracciare il percorso distributivo del film, se ne presenta una breve sinossi, presa da cinemaitaliano.info. Diciassette anni fa Valentino, meccanico in pensione di un paesino del nord-est, regala trenta rose antiche alla moglie Eleonora per festeggiare trent'anni di matrimonio. Quel giorno, Valentino non sa che il giardino dietro casa, che confina con la statale, i binari della ferrovia e il campo da calcio comunale, presto ospiterà quasi duemila rose. Non immagina nemmeno che Eleonora, casalinga curiosa, vorrà conoscere la storia di ogni rosa. “La rosa non è sono il simbolo di un amore – racconta Eleonora – ma di tanti tipi d'amore!” Mentre Valentino pota, scava e pianta nuove rose, Eleonora sfoglia libri e cataloghi e battezza nuove rose. Eleonora e Valentino, senza l'aiuto di nessuno, trascorrono assieme undici mesi di potature, bacche e spine per preparare una fioritura di sole tre settimane. Le rose antiche fioriscono solo a maggio, ma sanno tenere Eleonora e Valentino vicini tutto l'anno. Spine e gelosia? Boccioli e passione? Nel roseto più assortito d'Europa, l'amore è soprattutto quotidiano. La coppia di Artegna, piccolo comune dell’Alto Friuli, e la loro romantica storia d’amore sono quindi un soggetto culturalmente ricchissimo di tradizione locale e di valore intangibile, oltre che dal forte potenziale attrattivo per il turismo locale, dal momento che il loro giardino con un’estensione di circa 9000 metri quadrati e 1600 specie di rose antiche diverse è uno dei roseti più grandi di Europa. Si vuole ora mappare la distribuzione che “La rosa di Valentino” ha avuto nei vari mercati. La durata di 52 minuti rende il film ideale per il mercato distributivo televisivo, ma molto

146 meno appetibile per cinema e festival cinematografici. Si tratta però di una scelta strategica, poiché il progetto nasce già con l’idea di essere venduto in maniera alternativa alla sala theatrical, grazie alla presenza di un accordo televisivo con ARTE e YLE, senza passare dal circuito festival (poco interessato anche perché il film era già stato messo in onda su ARTE e non si sarebbe trattato di una first run). • Televisione. Contributo sostanziale alla distribuzione viene fornito, come anticipato prima, dall’austriaca Autlook che vende “La rosa di Valentino” per il mercato televisivo in Giappone e Lituania. Inoltre, grazie alla collaborazione con ARTE e YLE, il film viene messo in onda in Francia, Germania, Austria, Svizzera e Finlandia, mentre in Italia viene venduto alla Rai regionale. Gli accordi contrattuali prevedevano anche la cessione dei diritti VOD per un determinato periodo, quindi il film è stato fruibile anche tramite il canale distributivo alternativo del video on demand. I temi affrontati nel film e la casuale coincidenza con il nome del protagonista, hanno permesso al film un’ampia messa in onda nel tempo soprattutto in occasione di San Valentino. • Home video. DNA Distribution realizza il dvd del film e lo rende disponibile online attraverso e- commerce. Inoltre, vengono vendute copie fisiche nel territorio regionale, a partire dal lancio del film al Cinema Visionario di Udine e a seguire nelle proiezioni-evento al roseto. La creazione del dvd ha avuto un effetto anche sulla distribuzione di tipo educational, dal momento che è disponibile in diverse biblioteche regionali. • Non-theatrical. Vengono organizzate diverse proiezioni private all’aperto in primavera e in estate, riservate ad amici della coppia protagonista all’interno del giardino ad Artegna, che possono essere fatte rientrare sia nella distribuzione non-theatrical che nella sfera informale, dal momento che non vi era l’intento di sfruttare economicamente l’evento. Il comune di San Vito al Tagliamento (PN) richiede il film per una proiezione nella biblioteca comunale e in tale occasione viene stimata un’affluenza di circa 50

147 persone (non riscontrabile con precisione vista la non bigliettazione) e alla stessa maniera anche un paio di altri piccoli comuni del Friuli-Venezia Giulia. Nel settembre del 2014, in occasione della Mostra Floreale di Piante e Arredi per il Verde nel Parco di Villa Manin a Passariano (UD), oltre a conferenze legate alle tematiche del giardino, viene proiettato come serata-evento il film “La rosa di Valentino”, con la presenza dei due protagonisti e della produttrice Erica Barbiani. Quattro anni più tardi l’interesse alla storia è ancora tale che il film rientra nella programmazione della prima edizione di “Cinemambulante – Festival di cinema itinerante”, organizzato dalla stessa Videomante con l’intento di portare i film realizzati in FVG nelle piazze della regione assieme ad una lezione di cinema curata e condotta dal regista e/o dal produttore. Il 12 giugno 2016 ad Aquileia (UD) la produttrice ed il regista Pier Paolo Giarolo introducono il film, proiettato gratuitamente presso il monastero. Si segnala un’ulteriore proiezione a Gemona del Friuli (UD), che rientra nella sfera informale dal momento che vi è solo una vendita forfettaria del prodotto. Discorso analogo con la proiezione ad ingresso libero organizzata nell’aprile del 2013 dall’Associazione “La compagnia delle rose” presso un auditorium di Pordenone con la presenza dei due protagonisti (quindi distribuzione a carattere educational) o con la proiezione organizzata nel 2013 dalla Fondazione Abbazia di Rosazzo in occasione della nona edizione di “Rosazzo da Rosa” (evento a tema botanico), seguita da visite guidate al sentiero delle rose che circonda la splendida Abbazia in provincia di Udine. • Educational. Per quanto riguarda la distribuzione educational, da una ricerca online negli archivi delle biblioteche friulane, il dvd di “La rosa di Valentino” risulta disponibile al prestito a Tavagnacco (UD), Cividale del Friuli (UD), San Canzian d’Isonzo (GO). Non è da escludere che tale supporto fisico sia stato utilizzato anche in maniera illecita per proiezioni collettive, come distribuzione informale ma non controllata né monitorabile dai produttori.

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Tirando le somme conclusive su “La rosa di Valentino”, si può sicuramente definire una produzione di successo, anche se il film non ha avuto notevoli ritorni economici. Al di là di questo aspetto, la motivazione culturale è indubbiamente più rilevante. Il contributo del Fondo Audiovisivo FVG capace di finanziare un progetto di formazione importante come Eurodoc, ha permesso lo sviluppo professionale della produttrice Erica Barbiani, che poi negli anni ha prodotto nuovi film con budget più importanti. Il film inoltre ha delle caratteristiche tali da rendere la storia ancora attuale e molto richiesta ed è stato capace di catalizzare audience di tutte le età e flussi turistici verso il Roseto di Artegna, che in realtà già era molto conosciuto in zona (motivo per cui per l’evento-lancio del film a Udine sono affluiti in centinaia).

3.2.3.4 “Int/Art” (2016-2018) “Int/Art” è un documentario composto da tre serie, per un totale di 15 brevi documentari da 13 minuti l'uno per la televisione e 45 filmati della durata di circa 1 minuto per il web, diretto da Dorino Minigutti e prodotto da Agherose, società di produzione audiovisiva fondata a Udine che lavora nel campo dei documentari soprattutto a carattere storico e di attualità, con una particolare attenzione alla memoria individuale e collettiva e alla riattualizzazione dei filmati d’archivio. Il progetto si è sviluppato tra il 2016 e il 2018, ricevendo dal Fondo Audiovisivo FVG un contributo allo sviluppo di €10.500 grazie al primo bando del 2016 ed un successivo contributo alla distribuzione di €35.550 con il terzo bando dello stesso anno, per un totale di €46.050, a fronte di un budget complessivo da circa €110.000. La serie è dialogata esclusivamente in friulano al fine di parlare di identità individuali e collettive attraverso una lingua minoritaria che sia simbolo di appartenenza ad una comunità, infinitamente piccola nell'onnivora globalizzazione planetaria. “Int” significa gente, “art” arte, gente d’arte (ma anche “int”ernational/”art”ist): giovani artisti che della loro passione artistica hanno fatto una ragione di vita ed una professione, queste loro storie formano un’inedita produzione televisiva friulana per la lingua veicolare,

149 internazionale per la portata divulgativa. “Int/Art” intende indagare l'universo della produzione artistica attraverso i giovani protagonisti della creatività che si esprimono in lingua friulana, far conoscere nuovi autori nel più generale contesto contemporaneo, stimolare una riflessione sul ruolo che l'identità linguistica e culturale ha per i giovani creativi nelle diverse discipline artistiche, approfondire le diverse esperienze nel mercato dell'industria culturale tra bisogni autoriali e domanda di mercato. La prima serie del 2016 ha come protagonisti i musicisti virtuosi, originali e legati al territorio delle ultime generazioni. La seconda serie del 2017 è dedicata ai protagonisti della creatività in lingua friulana nell’ambito delle arti visive, quindi illustratori, esperti di computer grafica, videomaker, ecc. La terza e ultima serie del 2018 è invece dedicata ai protagonisti delle arti performative, nello specifico a teatro, danza contemporanea, performances, arti circensi e giocoleria. Il target di riferimento è composto dalla popolazione friulanofona presente in FVG, in Italia e all'estero, da artisti parlanti le lingue minoritarie dell'Unione Europea, da cultori dell'arte e della cultura giovanile italiani e stranieri parlanti lingue nazionali. L’audience vuole essere un pubblico giovanile e adulto under 40. Per quanto riguarda la distribuzione, l’obiettivo posto in fase di sviluppo è stato principalmente il palinsesto televisivo regionale, visto il format seriale, ma anche, attraverso brevi clip, l’utilizzo di un canale distributivo parallelo a quello televisivo tradizionale più vicino al target giovanile come lo è la rete web, in particolare i social, per le comunità friulane all’estero (i documentari sono stati sottotitolati anche in lingua inglese per offrire una distribuzione internazionale dell'opera). Il progetto ha avuto una distribuzione effettiva limitata. Ogni serie ha ottenuto l’anteprima al Suns Europe – Festival europeo delle arti performative in lingua, nato a Udine e luogo d’incontro e confronto tra artisti, lingue, comunità che in tutto il continente tirano fuori la lingua per raccontare sé stesse da un punto di vista unico, quindi lingue come espressione viva e vivace di cultura, non di folklore. Partecipa inoltre al Babel Film Festival – Concorso internazionale per il cinema delle lingue minoritarie, a Cagliari, e al

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VideoConcorso Pasinetti di Venezia. Le partecipazioni ai festival si fermano qui, anche perché, dato il format del progetto seriale (per quanto vi sia un taglio documentaristico), una distribuzione alternativa attraverso questo canale è difficilmente realizzabile. Diversi sono i progetti di distribuzione pensati dal produttore (manca la figura del distributore), con il supporto dell’ARLeF (Agenzia Regionale per la Lingua Friulana) che è stata il principale finanziatore attraverso un bando triennale da €25.000 annui, ma quasi nulla è stato al momento realizzato. Come educational al momento nulla è stato portato a termine e non c’è stata nessuna distribuzione nelle scuole, anche se c’è questo obiettivo soprattutto per i licei artistici. C’è l’intento anche di portare la serie alla Settimana della lingua friulana, organizzata dalla Società Filologica Friulana ogni anno in primavera e di proporlo alle diverse Pro Loco regionali. Mancano azioni concrete anche per organizzare proiezioni-evento con la presenza del regista o degli artisti presenti nelle puntate, al momento ci sono soltanto i propositi. Più facile è stata la distribuzione televisiva, grazie principalmente all’accordo con Rai FVG con la vendita dei diritti per cinque anni. Ma anche in questo caso ci sono delle difficoltà nella fruizione del prodotto, dal momento che la messa in onda a livello editoriale non viene programmata con una visione adatta al prodotto seriale. Non è però stato trovato nessun accordo distributivo per l’on-demand, né è stata realizzata un’edizione dvd per il mercato home video. Tirando le somme conclusive, il progetto a detta del produttore non è stato un successo tanto quanto ce lo si potesse aspettare da un prodotto così nuovo e innovativo a livello di format (si consideri che il progetto è partito nel 2016, lo stesso anno in cui in Italia si allargava il concetto di cinema ad audiovisivo, includendo anche serie televisive). La serialità sicuramente paga a livello globale, il problema è che dal punto di vista televisivo territoriale mancano i contenitori adatti per sfruttare questo tipo di contenuti e fidelizzare il pubblico. Ma, discorso broadcaster a parte, altri canali distributivi alternativi sono stati molto poco ricercati o quantomeno sfruttati con successo: al momento gli obiettivi in fase di sviluppo si sono realizzati nell’accordo distributivo con la Rai regionale.

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CONCLUSIONI – POLICY MAKER

Motivazioni economiche e culturali hanno spinto sempre più nel corso degli anni l’intervento pubblico a sostegno del settore audiovisivo, catalizzando la necessità di sviluppare un settore che crea impatto diretto ed effetti moltiplicatori sul resto dell’economia assieme alla possibilità di produrre valore culturale legato a popoli, linguaggi, tradizioni e professionalità artistiche per la promozione e la salvaguardia della diversità culturale. Dati i tempi di scarsità di risorse pubbliche, la sola motivazione economica per cui uno Stato decide di finanziare lo sviluppo e la distribuzione di prodotti audiovisivi potrebbe risultare troppo debole se presa singolarmente, poiché molti progetti a carattere principalmente locale ed a basso budget non producono un valore economico rilevante e facilmente rintracciabile dalle lenti dei policy maker. Questo elaborato ha voluto far emergere una serie di forme esistenti, ma il più delle volte grigie e poco considerate, al fine di dare sostanza alla rilevanza culturale di tutti quei film il cui obiettivo non è necessariamente o quantomeno primariamente quello di mostrare di produrre valore economico, all’interno del vasto discorso sul finanziamento pubblico al settore audiovisivo con relativi meccanismi. Data quindi la necessità di motivare il consumo di finanziamenti pubblici in maniera ancor più solida rispetto al solo dato economico, è stata scrupolosamente analizzata a fondo la distribuzione cinematografica, fulcro che riunisce migliaia di operatori che partecipano al processo di vendita e acquisto dei diritti dei film e attorno al quale ruota il mondo del cinema, oltre che ricco punto di partenza per un’analisi di tipo culturale. Il risultato di questa ricerca ha portato alla creazione di un modello (Figura 4.1) all’interno del quale è possibile mappare la circolazione di un prodotto audiovisivo in ogni sua forma distributiva, mostrando da una parte la distribuzione classica e dall’altra quella indipendente di tutte le piccole case per le quali l’uscita al cinema è spesso utopia. Attraverso l’analisi di diverse letterature, è stato possibile far emergere una fetta di

152 distribuzione che spesso per major e grandi case è soltanto residuale, ma che per le piccole produzioni consiste nel vero e proprio processo di fruizione del prodotto e punto di incontro con i pubblici. Si tratta di una circuitazione alternativa, spesso non mappata, che l’istituzione pubblica non riesce a vedere perché limitata alle forme distributive canoniche, ma che dà sostanza all’importanza del valore culturale intrinsecamente correlato alla distribuzione, rendendo meno criticabile il finanziamento pubblico per produzioni che banalmente non passano attraverso il cinema o comunque non hanno una distribuzione tradizionale.

Figura 4.1 – Rappresentazione grafica personale forme distributive

Nella Figura 4.1 è possibile osservare la distribuzione sia nella sua sfera canonica che in quella indipendente. Sebbene quest’ultima sia il vero caso di studio, è stato necessario partire da strategie distributive tradizionali, da cui poi negli anni si è sviluppata ed

153 affermata la sfera indipendente, studiata nella sua specificità locale nazionale attraverso quattro casi di studio regionali. Per la distribuzione classica, la prima forma è la proiezione theatrical nelle sale, attraverso specifiche dinamiche di windowing nella programmazione e misurabile considerando l’incasso al box office, rilevato quantitativamente e geograficamente in Italia dalla piattaforma ufficiale Cinetel. A questa prima fase di sfruttamento del prodotto audiovisivo, segue poi una distribuzione secondaria (o ausiliaria) di tipo domestico che tradizionalmente si divide tra mercato televisivo, on demand (VOD) e home video. In questo schema, il film festival non viene considerata forma distributiva, dal momento che si tratta solo di un mezzo attraverso il quale ottenere premi e prestigio con funzione promozionale e di marketing (si parla anche di forma di pre-theatrical, visto che il film successivamente raggiungerà con certezza la sala). La distribuzione indipendente racchiude una serie di forme più e meno discusse dalla letteratura ed in continuo aggiornamento. Tre sono le differenze sostanziali rispetto alla distribuzione classica: 1) La distribuzione theatrical per i film indipendenti nel mercato italiano è molto rara e assai difficile da raggiungere tramite accordi con agenti di vendita del settore. 2) Non si parla più di mercati secondari o ausiliari ma, dal momento che la theatrical non è più la forma distributiva primaria, si considerano tutte le altre forme vere e proprie alternative. 3) Mentre nella distribuzione classica il film festival rappresenta una funzione esclusivamente di promozione, nella distribuzione indipendente il film festival assume una fondamentale funzione distributiva, delineandosi a tutti gli effetti come forma alternativa. Si possono ritrovare tre forme distributive tradizionali presenti anche nella distribuzione classica, che però nella sfera indipendente hanno dimensioni di portata diversa: per televisione si considerano broadcaster locali come ad esempio la Rai regionale, il video- on-demand è invece il più delle volte associato a specifiche piattaforme di nicchia, mentre

154 la vendita home video difficilmente vanta il più costoso supporto blu-ray ed è spesso abbinata a edizioni congiunte. La parte però che più ha necessitato di un lavoro di emersione della distribuzione alternativa ha riguardato da un lato i film festival più piccoli e dedicati al cinema indipendente, capaci di combinare al meglio motivi sia culturali che economici, e dall’altro tutta le proiezioni non-theatrical in luoghi e strutture diversi dal cinema o attraverso serate-evento, organizzate non soltanto da esercenti cinematografici ma anche da altre professionalità, associazioni e istituzioni (da considerare anche la sfera educational il più delle volte diretta a scuole, università e biblioteche). Si è potuto constatare come specialmente questa parte di distribuzione alternativa nascondesse zone grigie in cui la mappatura di chi avesse visto il film in una specifica occasione fosse molto opaca, se non totalmente sommersa. Questa ricerca ha cercato di portare a galla parte di quella distribuzione che la letteratura ha chiamato informale, prevalentemente non-theatrical ma che interessa in generale ogni forma distributiva diversa da quella theatrical e caratterizzata da accordi con strette di mano, vendite forfettarie e pirateria, intesa come forma euristica piuttosto che come campo o categoria chiaramente definito. Mentre la formalità si riferisce al grado con cui le industrie sono regolate, misurate e governate da istituzioni statali, i distributori informali sono coloro che operano al di fuori di questa sfera o in una parziale articolazione di essa. Queste considerazioni hanno permesso di mettere in luce come il regno della distribuzione informale, lungi dall'essere una forza marginale ai bordi della cultura cinematografica, sia in realtà il motore chiave della distribuzione su scala globale. Si è quindi ridefinito il concetto di distribuzione cinematografica, cercando di indossare delle lenti diverse da quelle utilizzate nella sfera classica/canonica e più focalizzate sul mondo indipendente: • la distribuzione è un campo delle politiche culturali e si occupa della trasmissione di valori, competenze e ideologie;

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• la distribuzione è il terreno su cui si verifica la ricezione e senza di essa non esisterebbe un pubblico; • la distribuzione comporta differenze culturali e frammenta il pubblico secondo genere, età, orientamento sessuale, etnia e classe sociale; • la distribuzione definisce il modo in cui i prodotti sono vissuti e recepiti dai pubblici; • la distribuzione modella la cultura cinematografica e la propria immagine; • la distribuzione cinematografica informale è la norma globale. Attraverso queste rivendicazioni è stato possibile associare con forza l’idea di distribuzione all’idea di valore culturale e per allargare il concetto di informalità al fine di farlo diventare visibile (quindi formale) è stato scelto come caso di studio il Fondo Audiovisivo FVG, attraverso quattro differenti produzioni. Grazie ad una serie di incontri con registi, produttori e distributori di quattro progetti audiovisivi indipendenti selezionati per le loro caratteristiche strettamente locali, di rilevanza artistica e documentaristica e dalle piccole dimensioni, è stato possibile dimostrare come la distribuzione non-theatrical ed informale, mappata per quanto possibile ripercorrendo manifestazioni ed eventi organizzati, rientri a tutti gli effetti tra le varie forme di distribuzione. Questa affermazione, ora fondata, afferma quindi che il valore del film non si limita esclusivamente alla produzione e conclusione del progetto, ma che la sua diffusione attraverso quanti più canali possibili ne accresce esponenzialmente il valore culturale. Visto che per questo genere di film, di cui è stato studiato nel dettaglio un solo piccolo campione e che nasconde una ben più ricca distribuzione non-theatrical ed informale piuttosto che tradizionalmente theatrical o attraverso agenti di vendita internazionali, sarà sempre più difficile giudicarne il valore culturale sulla base di forme distributive canoniche, è essenziale introdurre un discorso di film policy che includa anche nuove forme distributive alternative. È importante rendersi conto che gran parte dei policy maker abbiano finora operato con una visione abbastanza ristretta della natura, dei confini e della portata dell’industria

156 cinematografica. La distribuzione viene vista come insieme di transazioni tra aziende formali (studios, multisala, broadcaster, agenti di vendita), ma questa definizione non riesce a catturare molti dei sistemi di circuitazione informali, che ogni giorno facilitano la visione di film ad audience ancora più ampi. Se si prendessero sul serio tali fenomeni e li si spostassero al centro della differente cornice analitica che ho cercato di schematizzare, si resterebbe con un'immagine piuttosto diversa di ciò che riguarda il mondo del cinema. I policy maker dovrebbero chiedersi come i sistemi informali possono essere integrati nelle norme metodologiche esistenti dell'analisi dell'industria cinematografica, ma senza vedere in questo un problema da risolvere, quanto piuttosto una potente motivazione culturale da gestire. Se si pensasse in modo inventivo a ciò che si considera industria oltre la concezione convenzionale, le nuove forme distributive alternative, emerse da quella zona opaca e residuale generata spesso anche dall’indifferenza e dallo scoraggiamento nello sfruttare questo tipo di canale non istituzionalmente considerato, diventerebbero generatrici di un’attività economica diversa, positiva e dal forte impatto culturale. La natura della policy, in qualsiasi arena, è di spingere con e contro l'inerzia dello status quo. Se ci si chiede quale sia la fondamentale relazione politica tra distribuzione e Stato, appare evidente come l'approccio fondamentale secondo policy di oggi si sia formato in un periodo in cui l'industria cinematografica era più semplice e il mondo meno globalizzato (The Old World of Distribution): la distribuzione era molto più livellabile perché i cinema erano l'unico punto vendita per la prima visione e la televisione era l'unico mercato secondario, mentre i policy maker del cinema vedevano il coinvolgimento del pubblico attraverso le lenti del contenuto del film piuttosto che della distribuzione. Oggi la distribuzione non rappresenta quindi un’arena profittevole per le entrate commerciali o il coinvolgimento del pubblico, specie quella per i prodotti indipendenti e di nicchia ma dal forte contenuto culturale, e proprio per questa ragione deve essere presa in considerazione nella policy, non solo con forme e pratiche culturali, ma anche con strategie economiche e forze di mercato.

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Pensare al sostegno del mercato in termini di incentivazione dei settori locali, anziché limitarsi a frenare le importazioni straniere o salvaguardare la produzione culturale nazionale, può aiutarci a trovare un equilibrio tra approcci di sovvenzione soft (tramite il sostegno culturale) e sussidi hard orientati all'economia e al mercato. Quindi, un obiettivo più produttivo della film policy potrebbe essere quello di promuovere il pluralismo, consentendo a distributori nazionali affermati e indipendenti di consolidare la loro circolazione di prodotti locali attraverso incentivi, detrazioni e vantaggi, di cui già per anni la politica culturale nazionale ha richiesto il sostegno. Alla luce di tutto ciò, esteso il concetto di distribuzione verso nuove forme e rimarcato con convinzione il ruolo dei distributori, trovo necessario riesaminare un nuovo quadro per la policy nel settore audiovisivo attraverso tre marco-punti: 1) supporto per distributori, con la creazione di canali dedicati a prodotti locali indipendenti; 2) supporto per distribuzione di film locali indipendenti, considerando e monitorando anche forme distributive alternative; 3) sviluppo del pubblico attraverso supporto a distribuzione, creando un network senza zone grigie e rendendo l’informalità consumabile formalmente.

Ho voluto identificare il policy maker regionale come interlocutore e, tenuto conto del lavoro svolto, ho cercato di lanciare un messaggio. Nel discorso sul finanziamento pubblico a supporto del settore audiovisivo per una coesistenza di motivazioni economiche e culturali, l’argomentazione del valore culturale associato alle produzioni audiovisive è progressivamente più difficile da difendere, perché tende sempre più a focalizzarsi sull’impatto economico generato. Di fronte alla pressione della domanda di misurazione di impatto, l’argomentazione del valore culturale rischia quindi di cedere, ma attraverso questa tesi ho cercato di renderla più difendibile, fornendo un modello alternativo sulla distribuzione. Tale schema vuole integrare anche forme distributive che attualmente non vengono considerate come impatto, ovvero quelle che non hanno una circuitazione canonica principalmente in sala e secondariamente in mercati ausiliari, per

158 dimostrare come ugualmente circolano attraverso più pubblici e quindi generano valore culturale. Si tratta di canali di distribuzione grigi, che in questo momento non vengono colti dalle policy e, quindi, non rientrano nell’argomentazione al finanziamento pubblico del settore audiovisivo. Pertanto, trovo particolarmente importante che il policy maker integri i modelli distributivi già esistenti e facilmente mappati con una nuova attenzione a forme distributive alternative e spesso informali che per certe realtà molto piccole e indipendenti non sono più l’accidente, ma diventano programmatiche. L’emersione di questa informalità renderebbe fortemente più visibile il valore culturale generato da una sempre più ampia distribuzione attraverso nuovi canali e, di conseguenza, legittimerebbe con più sostanza l’intervento pubblico a sostegno anche di attività che non generano un rilevante impatto economico.

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