ANNALES ORATORII ANNUUM COMMENTARIUM DE REBUS ORATORIANIS A PROCURA GENERALI CONFOEDERATIONIS ORATORII S. PHILIPPI NERII EDITUM

DIRECTOR Procurator Generalis pro tempore: Edoardo Aldo Cerrato, C.O.

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E. A. Cerrato, Al lettore 3

AL LETTORE

Il secondo fascicolo di “Annales Oratorii” – ringraziamo i lettori che, al ricevere il primo, ci hanno espresso il loro incoraggiamento – si apre con il ricordo del sessantesimo anniversario di un avvenimento notevole nella storia plurisecolare dell’Oratorio: l’approvazione data dall’Autorità Apo- stolica il 12 aprile 1943 alle decisioni del Congresso Generale del 1942 che, votando – insieme al testo rivisto delle Costituzioni – gli Statuti Generali, dava origine alla “Confederazione dell’Oratorio di San Filippo Neri”: pun- to d’arrivo di un lungo cammino volto alla ricerca di una formula di unio- ne delle Congregazioni Oratoriane rispettosa delle origini ed adatta ai tem- pi nuovi.

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Di tale cammino l’articolo che apre questo fascicolo intende presentare i passi fondamentali: quelli che, partendo dal 1893, portarono al Convegno di Bologna del 1932 da cui prese forma ed iniziò la sua attività la Procura Ge- nerale dell’Oratorio e alla decisione della Sede Apostolica di indire – nel 1933, esattamente settant’anni orsono – la Sacra Visita Generale a sostegno delle Congregazioni; e quelli che, a partire dal Congresso del 1942, segna- rono la vita della nuova istituzione. Nel percorso di questa storia emergono le figure significative – per impegno e santità – dei “Padri” della Confedera- zione, i servi di Dio Giulio Castelli e Giovanni Battista Arista; come pure quelle di uomini – oratoriani e non – della cui opera ha beneficiato l’istitu- zione, salutata come “felice novità” da p. Arcadio M. Larraona, il sapiente canonista che ne fu artefice. Nell’anniversario della “Confederazione dell’Oratorio” merita ricordare – e lo facciamo con la pubblicazione di testi ormai rari – p. Edward Griffith, d. O. di Londra, nel cinquantacinquesimo anniversario della sua elezione a primo Procuratore Generale eletto dal Congresso; e nel cinquantesimo della morte, p. Giuseppe Timpanaro, d.O. di Acireale, collaboratore di mons. Ari- sta e fedele continuatore della sua opera nel cammino che portò al sorgere 4 ANNALES ORATORII della “Confederazione”, principale organizzatore del Convegno di Bologna e attivamente impegnato nelle funzioni della neonata Procura Generale. Ma desideriamo ricordare anche altri uomini insigni di cui ricorrono que- st’anno significativi anniversari: papa Leone XIII, nel primo centenario del- la morte (20 luglio 1903): la sua memoria rimane in benedizione per l’orma lasciata, come nella storia della Chiesa, nella storia dell’Oratorio (alcune pa- gine della sezione “Ad Chronicam” sono piccolo contributo a questo tema); il card. Arcadio Maria Larraona, indimenticabile amico e fedele servitore dell’Oratorio, di cui ricorre quest’anno il trentesimo della morte (7 maggio 1973); p. Paolo Caresana, d.O. di Brescia, fondamentale animatore del Con- vegno di Bologna, poi fervido ed operoso Preposito (1934-1958) della Con- gregazione di Roma e prezioso collaboratore del Visitatore Apostolico Lar- raona: ricorreva, il 30 giugno, il trentesimo del suo pio transito; il sv. di Dio Paolo VI, di cui la Chiesa intera ha ricordato il quarantesimo anniversario dell’elevazione alla Cattedra di Pietro (21 giugno 1963) ed il venticinquesi- mo della pia morte (6 agosto 1978): non direttamente coinvolto nel proces- so di riforma dell’Istituto Oratoriano, ma amico, discepolo e sostenitore di il- lustri figli di san Filippo Neri (tra i quali il citato p. Caresana e p. Giulio Be- vilacqua, d.O. di Brescia, Cardinale di S. R. C.), il cui grato ricordo è vivo nella Famiglia filippina insieme a quello dei suoi immediati Predecessori: il sv. di Dio Pio XII, di cui ricorre il quarantacinquesimo della morte: ancora risuonano gli orientamenti dati ai Padri del Congresso Generale del 1958 mentre rievocava con dolcezza, a pochi giorni dalla conclusione della sua vi- ta terrena, gli anni giovanili trascorsi come chierichetto alla “Chiesa Nuova”; e – nel quarantesimo anniversario della sua santa morte (3.06.1963) – il bea- to Giovanni XXIII, iscritto, da giovane monsignore, all’Oratorio Secolare di Roma, teneramente devoto di san Filippo Neri – sulla cui tomba si recò a pre- gare anche poche ore prima di entrare nel Conclave da cui sarebbe uscito Successore di Pietro –, studioso ed ammiratore del Baronio da cui trasse quell’ “Oboedientia et pax” divenuto suo motto episcopale.

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Degli articoli che seguono, sono in riferimento alla figura di s. Filippo Ne- ri quello di p. Matthieu Delestre, che presenta il tema dell’influenza di s. Fi- lippo e del ven. Cesare Baronio sulla riconciliazione di Enrico IV; di p. U. Michael Lang, che affronta il tema del “miracolo di Casa Massimo”; delle proff.sse Rosa Sánz Hermida e María Teresa Ferrer Ballester, che documen- E. A. Cerrato, Al lettore 5 ta le espressioni letterarie e musicali fiorite nella Spagna dei secc. XVII e XVIII intorno alla figura del Santo.

L’articolo della dott.ssa Elisabetta Crema sull’attività letteraria del beato G. G. Ancina introduce nella commemorazione di questa straordinaria figu- ra che emerge, tra quelle dei primi discepoli di P. Filippo, per le doti di let- terato, di compositore e per l’opera di intrepido vescovo della Riforma cat- tolica. Il prossimo anno sarà celebrato il IV centenario della sua morte, con manifestazioni di cui fa cenno la Lettera del Procuratore Generale alle Con- gregazioni Oratoriane riportata in “Ad chronicam”.

Gli altri articoli mettono in luce figure significative del mondo oratoria- no: p. Gontranno Tesserin offre una panoramica del servizio reso alla Chie- sa lungo i secoli dai discepoli di san Filippo divenuti cardinali e vescovi; p. Angel Alba presenta la figura di p. Teodomiro I. Días de la Vega; p. Ferran Colás Peiró analizza i rapporti che legarono il sv. di Dio architetto Antoni Gaudí all’Oratorio di Barcelona; p. August Monzon i Arazo delinea la figu- ra del beato Manuel García Torró, dell’Oratorio Secolare di Valencia, marti- re nella Guerra Civile di Spagna; il prof. Elvio Ciferri, p. Mauro De Gioia, e p. Luis Avila Blancas presentano, rispettivamente, il sv. di Dio p. Luigi Pic- cardini, dell’Oratorio di Città di Castello; il p. Edoardo Bouvier, dell’Orato- rio di Genova; il sv. di Dio p. Luis Felipe Neri de Alfaro, dell’Oratorio di San Miguel de Allende.

La sezione “E Procura Generali” riporta in “Ad chronicam” il ricordo di vari momenti dell’attività della Procura Generale; gli “Acta Apostolicae Se- dis ad Oratorium quae attinent”; e gli “Acta Procurae Generalis” dell’anno corrente.

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Offriamo questo fascicolo di “Annales Oratorii” come modesto ma filia- le omaggio a Sua Santità Giovanni Paolo II, stringendoci all’amato Padre nel XXV della Sua elevazione alla Cattedra Apostolica di Roma e professando- Gli, con affettuosa devozione, la nostra stima, colma di stupore per l’im- mensa opera da Lui compiuta nella storia della Chiesa e dell’umanità, ed in- sieme la nostra convinta adesione al Suo alto Magistero.

Edoardo Aldo Cerrato, C.O. 6 ANNALES ORATORII

Hanno collaborato a questo numero: p. prof. Edoardo Aldo Cerrato, dell’Oratorio di Biella; p. Matthieu Delestre, dell’Oratorio di Nancy; p. U. Michael Lang, dell’Oratorio di Londra; prof.ssa Rosa Sánz Hermida, dell’Università di Valladolid; prof.ssa M. Te- resa Ferrer Ballester, dell’Università di Valladolid; dott.ssa Elisabetta Cre- ma, ricercatrice presso l’Università di Milano; p. Gontranno Tesserin, del- l’Oratorio di Chioggia; p. Angel Alba, dell’Oratorio di Alcalá de Henares; p. Ferran Colás Peiró, dell’Oratorio di Barcelona-Gracia; p. prof. August Monzon i Arazo, dell’Università di Valencia; prof. Elvio Ciferri; p. prof. Mauro De Gioia, dell’Oratorio di Genova; p. can. Luis Avila Blancas, del- l’Oratorio di -La Profesa. A Sua Santità Giovanni Paolo II 7

A SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

BEATISSIMO PADRE,

nel XXV anniversario dell’elevazione di Vostra Santità alla Catte- dra di San Pietro, la Procura Generale della Confederazione dell’Ora- torio di San Filippo Neri, a nome di tutte le Congregazioni confede- rate, porge alla Santità Vostra le più devote e filiali felicitazioni, unen- dosi alla festa della Chiesa universale ed al ringraziamento che in que- sta circostanza sale a Dio per la forza con cui Vi ha sostenuto in que- sti anni di servizio pontificale, per il coraggio e la dedizione di cui Vo- stra Santità ha dato costante prova, per l’esempio di fede, di speranza e di carità che da Voi è venuto a tutti i discepoli del Signore.

A questi motivi che rallegrano ed edificano l’intera Chiesa di Cri- sto, si aggiunge per la Famiglia Oratoriana il grato dovere della ri- conoscenza per quanto la Santità Vostra ha operato specificamente nei confronti dell’Oratorio di San Filippo: la grazia dell’erezione ca- nonica di diciassette nuove Congregazioni dell’Oratorio; la canoniz- zazione di San Luigi Scrosoppi, d.O., la beatificazione del B. José Vaz, d. O. di Goa, e quella del B. Manuel García Torró, martire, lai- co d.O. Secolare di Valencia; la Vostra paterna Visita alla “Chiesa Nuova” di Roma nella festa di san Filippo del 1979, arricchita dal- l’Omelia da Voi pronunciata nella celebrazione della Santa Messa; la Vostra partecipazione alla festa del IV centenario della morte del no- stro Santo, nel 1995, di cui resta, a perenne memoria, la Lettera che avete avuto la bontà di indirizzare alla Confederazione e l’Omelia pronunciata in occasione della seconda Visita alla “Chiesa Nuova”, 8 ANNALES ORATORII il 28 maggio 1995; il ricordo di San Filippo Neri nella Bolla di indi- zione del Grande Giubileo del 2000; il magistrale Discorso rivolto al Congresso Generale della Famiglia Oratoriana benevolmente ricevu- ta in privata Udienza il 5 ottobre 2000; e tanti altri segni di benevo- lenza paterna che, lungo questi venticinque anni, dal Vostro cuore so- no venuti all’Oratorio nei confronti di singoli membri delle Congre- gazioni.

BEATISSIMO PADRE,

con affetto di figli, riconoscenti per il dono che la Vostra Persona è per la Chiesa, offriamo alla Santità Vostra, come omaggio e attesta- zione di devozione e fedeltà, la celebrazione di cento SS. Messe se- condo le Vostre intenzioni, e preghiamo Dio che Vi conservi a lungo alla Santa Chiesa nel mirabile servizio che da venticinque anni com- pite, impreziosito dalla sofferenza attraverso la quale il Signore ha permesso che Vostra Santità partecipasse ancor più pienamente al Mi- stero di Cristo. Baciando con affetto le Vostre Mani, imploriamo la Vostra Apostolica Benedizione e Vi assicuriamo, Padre Santo, della nostra fe- deltà alla Vostra Persona ed al Vostro alto Magistero.

Della Santità Vostra dev.mo figlio sac. Edoardo Aldo Cerrato, C.O. procuratore generale

S.S. Giovanni Paolo II in visita a S. Maria in Vallicella 1995 Dal Discorso di Sua Santità al Congresso Generale del 2000

«Auspico che la rivisitazione delle fonti della spiritualità e dell’opera di San Filippo susciti in ciascuna Congregazione una rinnovata consape- volezza della validità e dell’attualità del “metodo missionario” del vostro Fondatore e rechi un significativo contributo all’impegno della “nuova evangelizzazione”. Faccio voti che l’Oratorio, ponendosi al servizio degli uomini con semplicità d’animo e letizia, sappia manifestare e diffondere tale metodo spirituale in maniera sempre più attraente ed efficace. Potrà così offrire una coerente ed incisiva testimonianza, vivendo in pienezza il fervore delle origini e proponendo agli uomini di oggi un’esperienza di vita fraterna fondata principalmente sulla realtà, accolta e vissuta, della comunione soprannaturale in Cristo. “Chi vuol altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che si voglia; chi dimanda altra cosa che non sia Cristo, non sa quel che dimanda; chi ope- ra e non per Cristo, non sa quel che si faccia”. Queste parole del vostro santo Fondatore indicano il criterio sempre valido di ogni rinnovamento della comunità cristiana, che consiste nel ritornare a Gesù Cristo: alla sua parola, alla sua presenza, all’azione salvifica che Egli attua nei Sacramen- ti della Chiesa. Tale impegno condurrà i Sacerdoti a privilegiare, com’è nella vostra tradizione, il ministero delle Confessioni e l’accompagnamen- to spirituale dei fedeli, per rispondere pienamente al vostro carisma ed al- le attese della Chiesa. Essi aiuteranno in tal modo i laici appartenenti agli Oratori secolari a comprendere l’essenziale valore dell’essere “christifide- les”, alla luce dell’esperienza di San Filippo che, riguardo al laicato, anti- cipò idee e metodi che si sarebbero rivelati fecondi nella vita della Chie- sa. In particolare, vi esorto a lasciarvi guidare da questi valori, soprattutto nell’avvicinare il mondo giovanile, che è carico di promesse, nonostante le difficoltà, sentendovi inviati specialmente a quanti sono “lontani”, ma tan- to vicini al Cuore del Salvatore. In tale contesto, vi sarà di grande soste- gno la tradizionale sensibilità degli Oratoriani per l’arte e la cultura, vie particolarmente idonee per una significativa presenza evangelizzatrice».

E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 9

PER IL SESSANTESIMO DELLA “CONFEDERAZIONE DELL’ORATORIO” 1

Se l’Oratorio ha nel ministero di Padre Filippo la sua chiara origine, e se è evidentemente creatura sua anche la Congregazione che dall’Oratorio na- sce e per l’Oratorio è costituita, non si può invece affermare che fosse nella sua mente una qualche forma federativa delle Congregazioni che sorgevano fuori Roma ad iniziativa di sacerdoti venuti a contatto con l’Oratorio Roma- no ed affascinati dal nuovo metodo d’evangelizzazione, oppure ad iniziativa d’alcuni membri della stessa Congregazione Romana2. L’intenzione originaria di Padre Filippo riguardo alla Comunità sacerdo- tale dei suoi figli spirituali riflette la natura e l’impostazione del Padre, in- cline a non programmare nulla, a non organizzare, ma ad affidarsi piuttosto allo Spirito Santo in una ordinata comunione. Si deve all’iniziativa dei suoi discepoli sacerdoti, più che a quella del Pa- dre, il cammino che portò al riconoscimento pontificio del 1575 quella Co- munità che a Padre Filippo era nata e si era sviluppata tra le mani. Era certamente vivo nel Padre il desiderio apostolico di veder l’Oratorio diffondersi e con esso la Congregazione destinata a servirlo. Ne abbiamo un significativo documento nella lettera che Padre Filippo scrive, il 13 gennaio 1580, all’arcivescovo di Fermo mons. Domenico Pinelli 3, in cui leggiamo che volentieri avrebbe inviato dei sacerdoti ad iniziarne l’attività a Fermo, ma lo tratteneva la scarsità delle forze, che effettivamente furono sempre esi- gue in relazione all’intensa attività dell’Oratorio, strutturato ormai nell’ordi- nata successione dei sermoni per i quali non tutti i Padri avevano capacità

1 Questo articolo riprende ed integra il cap. IV di E. A. CERRATO, San Filippo Neri. La sua opera e la sua eredità, Pavia, 2000. 2 Ricordiamo il tentativo di fondazione in Milano, durato alcuni anni con l’invio di soggetti da parte di P. Filippo; la Casa di S. Severino nelle Marche (1579), di Fermo (1583), di Napoli (a partire dal 1584), dell’Abbazia di S. Giovanni in Venere, impetrata ed ottenuta da Sisto V (1585), la Comunità romana di S. Giovanni dei Fiorentini. 3 San FILIPPO NERI, Gli scritti e le massime, a cura di A. CISTELLINI, Morcelliana, Brescia, 1994. D’ora in poi citato: S. FILIPPO NERI, Gli scritti e le massime, pp. 52-53 10 ANNALES ORATORII adeguate e possibilità di tempo; molto probabilmente lo tratteneva pure la sua intima, originale convinzione: quella famiglia di sacerdoti, che intorno a lui si era raccolta, aveva la propria identità e la sua forza apostolica non nelle strutture organizzative, ma nel rapporto spirituale di figliolanza che l’aveva generata e che continuava a caratterizzarla. Tale rapporto di stretta dipendenza spirituale dal Padre non impediva tut- tavia ad alcuni di seguire, riguardo alla diffusione della Congregazione, orientamenti diversi. Padre Filippo lasciava fare, fidandosi di Dio e conti- nuando il suo impegno in una incessante attività apostolica che non gli la- sciava molto spazio per questioni di organizzazione ecclesiastica. Questa in- tenzione del Padre non significava, tuttavia, indifferenza nei confronti delle nascenti esperienze oratoriane: egli, anzi, se ne occupò, sia pure con la dis- crezione tipica del suo spirito; e, soprattutto, consentì che altri Padri se ne occupassero.

I testi costituzionali che precedono gli Instituta del 16124 presentano chia- ramente una struttura centralizzata delle Case, che risponde agli intenti del p. Talpa, del Tarugi, del Bordini, del Baronio e di altri, più che all’intima con- vinzione del Padre, il quale tuttavia accettò l’idea dei suoi figli, e lui ed i suoi primi successori, a partire dalle Costituzioni del 1583 ebbero il titolo di “Pre- posito Generale” 5, che figura anche nelle Costituzioni del 1588 – le uniche non solo riviste, ma espressamente approvate da s. Filippo – e ne esercitaro- no la funzione su alcune Case aggregate, anche mediante la Visita delle stes- se 6. Ma questa prassi durò soltanto per il tempo in cui le Costituzioni, a nor- ma della Bolla di erezione della Congregazione, erano in elaborazione e la

4 In Collectanea vetustiorum ac fundamentalium documentorum Congregationis Oratorii S. Philippi Nerii, A. CISTELLINI documenta collegit et illustravit, Brescia, 1982, pp. 75-208. D’o- ra in poi citato “Collectanea”. 5 Nell’assemblea della Congregazione del 17 giugno 1587, come risulta dal Libro dei Decre- ti, con piena accettazione di P. Filippo, fu proposto e votato il quesito: “Approvate voi che il R. P. Ms. Filippo, nostro Preposito Generale sia confermato in Preposito nostro e Padre Generale per- petuo […]?”. P. Filippo nelle disposizioni sottoscritte nel febbraio 1585 afferma: “l’intenzione e desiderio e volontà mia è che quando al Nostro Signore Iddio piacerà di chiamarmi a sé, i miei fi- gli della Congregazione eleggano per Preposito Generale in luogo mio il Padre Ms. Francesco M. Tarugi, al presente Rettore, che giudico atto a questo governo…” (San FILIPPO NERI, Gli scritti e le massime, p. 108). 6 La prima fu decisa dal Preposito Generale p. Cesare Baronio, con suo Documento del 22 aprile 1594: “abbiamo deciso di mandare alle Case della nostra Congregazione il p. Pompeo Pa- teri […] e gli abbiamo dato ordine che, di nostra autorità, indaghi e visiti quanto presso di voi si fa…”. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 11 fisionomia dell’Istituzione si stava faticosamente delineando nel confronto tra il Padre ed i suoi discepoli sacerdoti. Il legame giuridico delle esistenti Case oratoriane, con il prevalere, so- prattutto dopo la morte di Padre Filippo, della linea di fedeltà alla originaria intenzione del Fondatore, sarà abolito e le Costituzioni definitive codifica- no questa scelta, che Gregorio XV ribadirà con il Breve “Ex iniuncto Nobis” dell’8 luglio 16227.

Se questa è la storia delle origini, come nasce la “Confederazione”?

Maturata come idea solo in tempi recenti e sotto la spinta di situazioni sto- riche che hanno indotto le Congregazioni a cercare un legame organico tra loro, nel pieno rispetto dell’autonomia voluta da colui che è considerato a pieno titolo il comune Fondatore, la Confederazione nasce sessant’anni or so- no. E, senza essere una creazione delle origini, si è rivelata in questo abbon- dante mezzo secolo di vita come la salvaguardia non solo dell’identità e del- l’originale autonomia delle Congregazioni oratoriane, ma talora della loro stessa sopravvivenza. Invocata da molti e guardata con un certo sospetto da altri, la nuova isti- tuzione, al di là delle circostanze storiche che l’hanno determinata, affonda le sue radici nel legame di carità che fin dalle origini ha unito le Congrega- zioni dell’Oratorio, le quali, pur diffuse ben presto in varie parti del mondo e con la difficoltà di comunicazione dei secoli passati, mai hanno mancato di sentirsi un’unità morale e, nel rispetto del principio: “unaquaeque domus aut familia […] se per se regat et moderetur” 8, non hanno omesso di intessere tra loro rapporti spirituali e di collaborazione: la cultura e l’arte oratoriana con le loro specifiche connotazioni ne sono testimonianza, come lo è la cor- rispondenza epistolare e l’aiuto reciproco che le Case si sono prestate nel fa- vorire nuove fondazioni e nel soccorrere in qualche caso le difficoltà di al- cune. L’Archivio Nazionale di Spagna, per citare un esempio, conserva la co- piosa corrispondenza che le Congregazioni di America inviavano alla Con- gregazione-Madre di Roma ed alle Congregazioni spagnole, con la richiesta di pareri giuridici, di consigli e con la comunicazione di vari argomenti. Nasce da questa consuetudine l’annotazione che l’autore dei “Pregi del- la Congregazione dell’Oratorio” pone nel III capitolo parlando della “cara

7 Collectanea, 73-74. 8 Instituta 1612, cap. IV, in Collectanea, 220. 12 ANNALES ORATORII corrispondenza che passa tra le Congregazioni di S. Filippo”: “Questo Pre- gio della Carità, che unisce così bene tanti Sacerdoti e Fratelli in una sola Casa, unisce pur anche tutte le Congregazioni di S. Filippo con strettissimo vincolo di amore. E quantunque nelle cose esteriori non vi sia alcuna co- municazione fra esse, né partecipazione di Beni temporali, avendo voluto il Santo Padre che ogni Casa si regga e si governi da sé, separatamente l’una dall’altra […], nondimeno passa così buona corrispondenza di affetto tra tut- ti i Preti dell’Oratorio che, sebbene tra loro non siansi mai veduti, si amano di un amore scambievole e di una Carità non finta. Questa strettissima unio- ne di Carità, dice il p. Consolini in una Lettera che scrive ad un padre d’al- tra Congregazione, unisce tutte le anime ed i cuori nostri a Dio con vinco- lo tale che facit utraque unum: e questo amore reciproco non ce lo raffred- da punto la differenza de’ genj, la lontananza de’ Paesi, la diversità delle Na- zioni che non conosciamo, o delle Case maggiori delle nostre, o de’ Sog- getti più qualificati. […] Da questa Carità procede che, quando il Signore favorisce una Congregazione con qualche gran bene di gloria, di decoro, di santità, ciascun’altra delle nostre ne gode come se fosse bene suo proprio. […] Ci riconosciamo tutti per Fratelli, perché tutti Figliuoli di un medesi- mo Padre, praticando le medesime regole e consuetudini; e quando una Con- gregazione può servir l’altra in qualche riscontro, sempre lo fa con sommo piacere, né mai sono discordi, ma sempre unite nell’emulare l’una le Virtù dell’altra…” 9.

Il cammino che portò al costituirsi della Confederazione fu lungo e se- gnato da non poche difficoltà, le quali servirono però a farlo avanzare con prudenza e maturazione. Attraverso le seguenti note storiche intendiamo ri- costruirne lo svolgimento, presentando di esso le tappe e facendo memoria degli uomini che si impegnarono nell’impresa.

1. 1893 -1918. Il primo passo ufficiale verso l’ “Institutum10 Oratorii S. Philippi Nerii” fu compiuto dal Decreto della Sacra Congregazione dei Religiosi ex Audien- tia Sanctissimi del 21 marzo 1933, che istituiva la Visitatio Generalis Ora-

9 “Pregi della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, opera postuma e prima d’o- ra inedita d’un prete dell’Oratorio di Savigliano in Piemonte…”, 2 tomi, Venezia, 1825, I, pp. 156-162. 10 Il termine “Confoederatio” sarà ufficiale solo nel 1969. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 13 torii e nominava per tutte le Congregazioni oratoriane un Visitatore Aposto- lico nella persona del claretiano p. Arcadio Maria Larraona11, mentre già aveva iniziato a svolgere in Roma le proprie funzioni la Procura Generale, affidata all’iniziativa di p. Carlo Naldi12, d. O. di Firenze, designato dal Con- vegno dei Prepositi celebrato in Bologna nel 1932 e nominato nel febbraio 1933 dalla Sede Apostolica “Procuratore Generale dell’Oratorio” 13. Ma il cammino che portò alla configurazione di un nuovo legame tra le Congregazioni era iniziato alcuni decenni prima, quando tutti percepirono che alla drammatica situazione venutasi a creare nel corso del secolo XIX occorreva trovare una soluzione. Falcidiate, infatti, dalla politica napoleonica in Europa, dalle leggi eversi- ve dell’Italia risorgimentale, e da sommovimenti politici che coinvolsero al- cune di esse anche in America Latina, le Case oratoriane vennero a trovarsi ridotte di soggetti e in grave penuria di mezzi al punto tale che un buon nu- mero di esse, anche gloriose per storia e tradizioni, esaurì la sua esistenza, mentre molte altre erano nel serio pericolo di estinguersi. “Con la fine del Settecento – scrive p. Carlo Gasbarri14 – ad opera dei re- gimi rivoluzionari eversivi giacobini, massonici ed anticlericali di vari paesi europei, cominciava la crisi che in pochi anni ridurrà il numero delle Con- gregazioni da 182 a 56. Il fatto si spiega anche e molto per la struttura giu- ridica autonomista, che rendeva ogni casa del tutto isolata dalle altre, con po- che e saltuarie comunicazioni generiche”.

11 FRISON B., Cardinal Larraona, Instituto Teologico de la Vida Religiosa, Madrid, 1979; AB- BATE C., Il Card. Arcadio Larraona e l’Istituto dell’Oratorio, in “In Aevum”, XXXI (1953) nov- dic.; L’Istituto dell’Oratorio ed il Cardinal Larraona, in “L’Oratorio di san Filippo”, XVII (1960), 9, p. 3. 12 P. Carlo Andrea Naldi (1892-1957), fiorentino. Entrò nell’Oratorio di Firenze, e vi ricevet- te l’ordinazione sacerdotale nel 1905; diede esempi di pietà e di disponibilità alle opere comuni e si dedicò infaticabilmente al ministero della predicazione. Di sentimenti e tratti gentili, ebbe faci- le entratura negli ambienti aristocratici e borghesi della società non solo fiorentina, di cui si servì per aiutare molte opere caritative. Durante il periodo del suo ufficio di Procuratore trascorse a Ro- ma, normalmente, la metà di ogni mese, allestendo la sede della Procura, dopo un breve periodo trascorso in San Girolamo della Carità, nella casa annessa alla chiesa dei SS. Nereo ed Achilleo. 13 CISTELLINI A., Di revisione in revisione, in “Memorie Oratoriane”, n.s. II (1981), 5-6-7-8, 72; ID. Intorno all’indole della Congregazione dell’Oratorio, in “Memorie Oratoriane”, giugno 1992, n.15, pp. 75 ss. L’autore fa riferimento nei suoi saggi su questa materia al “Diario” di P. Naldi, da cui trae citazioni. Il documento è stato recentemente donato -con viva sensibilità- dalla Congregazione di Firenze all’Archivio della Procura Generale. 14 GASBARRI C., L’Oratorio Romano dal Cinquecento al Novecento, Roma, 1963, p. 205. 14 ANNALES ORATORII

Fin dagli ultimi anni del 180015 si presero a cuore il problema e lavora- rono ad esso con sincero amore per l’Oratorio, particolarmente il servo di Dio p. Giovanni Battista Arista16, d. O. di Acireale e poi vescovo della medesima Diocesi ed il servo di Dio p. Giulio Castelli17, già d. O. di Torino e fondato- re della Congregazione di Cava de’ Tirreni. Li sostennero nell’intento il Sommo Pontefice Leone XIII, molto legato all’Oratorio fin dai tempi del suo trentennale episcopato in Perugia, e il Pa- pa S. Pio X che, primo fra i Vescovi italiani, mentre era Patriarca di Venezia, aveva espresso il proprio plauso alle iniziative miranti a trovare una adegua- ta soluzione18. Non mancò loro l’appoggio convinto di alcuni Oratoriani – tra i quali, in primo luogo, il cardinale Alfonso Capecelatro19, d. O. di Napoli, allora arcivescovo di Capua e Bibliotecario di S. Romana Chiesa – ma non fu parimenti assente l’avversione di altri Oratoriani che temevano la perdita della caratteristica autonomia delle singole Congregazioni.20

Una lettera di p. Arista a p. Castelli, datata 13 agosto 1893, può essere as- sunta come inizio dei passi del lungo cammino:

15 Ma già nel 1847, il Preposito romano p. Carlo Rossi, durante la permanenza in Roma di J. H. Newman, caldeggiava un’unione morale tra le Case “per avere più forza ed influenza”; idea per nulla condivisa dal neo convertito che, risiedendo in S. Croce in Gerusalemme, si formava al- la vita oratoriana. (TREVOR M., Newman, 1962, pp. 418-419). 16 Giovanni Battista Arista (Palermo 1863-Acireale 1920). Celebrato il Processo diocesano tra il 1946-57, la Causa di Beatificazione fu introdotta presso la S. Congregazione dei Riti nel 1969. CRISTALDI G., Il cuore di un vescovo, Roma, 1950. IACEN. Canonizationis Servi Dei Ioannis B. Arista. super virtutibus, Romae, 1992. 17 Giulio Castelli (Torino 1846-Cava de’ Tirreni 1926). Iniziato il Processo Informativo dio- cesano nel 1927, si concluse il 20 novembre 1941, e la causa di beatificazione fu introdotta pres- so la S. Congregazione dei Riti. MAZZA F.M., Il servo di Dio P. Giulio Castelli, Badia di Cava, 1950. CAVEN. TYRR. Beatificat. et Canonizat. Servi Dei Julii Castelli. Positio super introductione Causae, Romae, 1953. 18 La Procura Generale conserva, esposto nella sua sede, il testo autografo del Patriarca di Ve- nezia. 19 Alfonso Capecelatro dei Duchi di Castelpagano (1824-1912). Entrò nell’Oratorio di Napo- li nel 1840 e fu ordinato sacerdote nel 1847. Preposito per molti anni, fu fatto Arcivescovo di Ca- pua nel 1880 ed ebbe la Porpora da Leone XIII nel 1885. Nominato Bibliotecario di S.R.C. nel 1893. Uomo di larga celebrità, scrisse di storia, sociologia, agiografia, politica. Nel Conclave del 1903 ebbe qualche probabilità di essere elevato al Soglio Pontificio. MOLA C., Vita del Card. Al- fonso Capecelatro, Napoli, 1913; DE FEO F., Alfonso Capecelatro, oratoriano, cardinale, scritto- re, in “Memorie Oratoriane”, 14 (1984), pp. 55-70; RUSSO A., Convegno Nazionale di studi su “Al- fonso Capecelatro…”, in “Memorie Oratoriane”, 14 (1984), pp. 86-89. 20 TIMPANARO G., S. E. Mons. Giambattista Arista, il filippino di oggi dai vasti orizzonti, in “In Aevum”, XX (1948), suppl. al n. 5.; CISTELLINI A., Intorno all’indole…, cit., pp. 55-107. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 15

“… Ed ora, poiché ho la fortuna di trovare in V. Rev.za tanta bontà di ani- mo, mi permetto di manifestarle un pensiero che da tanto tempo insistente- mente mi perseguita, per domandarle lume e conoscere se sia tale da poter- cisi attendere, o da doversi assolutamente rigettare. San Filippo nelle sue costituzioni ha stabilito che ciascuna Casa della sua Congregazione stia da sé, indipendente da ogni altra e che si riconoscesse dall’osservanza delle sue Regole. Ora io penso: sarebbe un distaccarci dalla mente del S. Fondatore se si pensasse di stringere tutte le Case in modo da formare un sol Corpo, pur ri- manendo a ciascuna tale e tanta libertà da essere infatti indipendente? […] Padre mio, coi suoi lumi avvalorati dal consiglio e dalla preghiera, pensi quanto le ho esposto, e dalla sua carità mi aspetto a suo tempo una risposta.”

P. Giulio Castelli – passato dalla Congregazione di Torino a quella di Ro- ma nel dicembre del 1889, a seguito di un drammatico appello rivolto a tut- ti gli Oratori del mondo già nel 1881 e reiterato negli anni seguenti dal Pre- posito della Vallicella p. Scaramucci21 – da parte sua era ben consapevole del- la necessità di un impegno a favore non solo della Congregazione Romana, che non era l’unica a versare in triste situazione. A Roma, p. Castelli aveva iniziato a lavorare con lo zelo di cui già aveva dato prova a Torino, tanto da rimanere impresso nella mente del tredicenne Eugenio Pacelli, chierichetto alla Chiesa Nuova, che non scorderà l’antico maestro e, divenuto Papa con il nome di Pio XII, dirà22: “Sono lieto di veder introdotta la causa di beatifi- cazione di un così degno figlio di San Filippo. Quando egli venne qui, a Ro- ma, io avevo poco più di tredici anni e nella Chiesa Nuova mi fu anche mae- stro di catechismo. Tutti lo stimavano un santo, e io lo tengo ben presente: figura alta, gracile, tutto raccolto, tutto umile e a occhi bassi, così…”, e con- giunse le mani intrecciandole sul petto, nel gesto abituale di P. Giulio. Con sacrifici immensi e nella assoluta mancanza di mezzi economici, p. Castelli aveva anche costituito un piccolo Collegio per la formazione di can- didati all’Oratorio da destinare a quelle Case che ne avessero fatto richiesta, e, in occasione del III centenario della morte di san Filippo, si era assunto

21 Giovan Carlo Scaramucci (1821-1897), romano; Preposito dal 1878 alla morte, resse la Con- gregazione in situazioni difficilissime prodotte da gravi cause esterne ed interne. Cfr. GASBAR- RI C., L’Oratorio Romano, Roma, 1960, pp. 125-131. 22 Udienza del 18 dicembre 1941, concessa al vescovo di Cava mons. Marchesani – che ne ri- porta la testimonianza – e ad un gruppo di PP. dell’Oratorio. 16 ANNALES ORATORII l’impegno di pubblicare una “Collectio Constitutionum et Privilegiorum Congregationis Oratorii a S. Philippo Nerio fundatae” 23 con l’intento di- chiarato di rivolgere un invito a rivitalizzare l’Oratorio e la vita delle Con- gregazioni.

La confidenza che l’Arista scrisse a p. Castelli fu inviata qualche tempo dopo dal giovane Padre di Acireale anche ad un altro amico oratoriano, mons. Jourdan de la Passadière24, il quale rispondeva il 19 marzo 1895 di- chiarando la sua piena adesione alle idee esposte, e comunicando di averne addirittura parlato, già qualche mese prima, e di sua iniziativa, al Santo Pa- dre Leone XIII.

Papa Leone XIII, nel frattempo, per solennizzare le feste centenarie scris- se un Breve colmo di ammirazione per San Filippo e la sua opera e nell’U- dienza del 6 giugno concessa ai Padri presenti in Roma per l’occasione25, espresse il suo amore per l’Oratorio ed il suo ardente desiderio di vederlo ri- sorgere; chiese inoltre che i convenuti si convocassero il giorno seguente, sot- to la presidenza del Card. Capecelatro, per trovare il modo di stringere fra tutte le Congregazioni un vincolo fraterno di carità attiva ed efficace. L’incontro, il primo di questo genere, giunse a qualche conclusione pra- tica, ma le sue proposte non offrirono materia su cui rispondere alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, a cui il Capecelatro riferì; sostenne, tuttavia, la speranza di quelli che credevano nella necessità di trovare qual- che soluzione: p. Giulio Castelli, ad esempio, scriveva il 6 agosto 1895 al Preposito di Perugia p. Enrico Bondi: “Confidiamo nel Signore. Un nuovo orizzonte si apre dinanzi per l’Istituto Filippino. Il Congresso tenuto per or- dine del Papa ha già portato frutti. Continuiamo a pregare, e faticare, e pian- tare, e innaffiare”26; p. Arista, consapevole ora che il suo desiderio collima- va con quello del Vicario di Cristo, continuò intensamente l’impegno, ed ap-

23 Brixiae, Typographia et Bibl. Queriniana, 1895. 24 Dopo essere passato, come aspirante, nell’Oratorio Romano, aveva dato inizio nel 1870 ad una Comunità oratoriana nel Sud della Francia, a Draguignan (Var), soppressa dallo Stato nel 1880, ed aveva collaborato alla fondazione di altre Comunità a Rouen (1893) e Reims (1895, approva- ta nel 1897, e durata in vita fino al 1905); indi era diventato vescovo ausiliare di Grenoble, e suc- cessivamente di Lione. 25 “L’Osservatore Romano”, 6.6.1895 26 Lettera autografa donata alla Procura Generale ed esposta, con altri storici documenti, nel- la sede della stessa. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 17 profittando di un viaggio in Italia, Francia, Spagna e Belgio, intrapreso per motivi personali, contattò quante più Congregazioni poté, suscitando in mol- ti oratoriani interesse verso l’iniziativa, non scevra tuttavia di qualche per- plessità.

P. Castelli, che nel 1895, l’ultimo giorno dell’anno, aveva lasciato l’Ora- torio di Roma, stremato dalle opposizioni di due vecchi confratelli, per re- carsi a Cava, su invito del Vescovo di quella Diocesi, inviò ai Prepositi nel 1899, nell’imminenza della beatificazione del Ven. p. Antonio Grassi, previ- sta per l’Anno Santo 1900, una circolare, invitandoli a Roma per l’occasio- ne, nella speranza che un nuovo incontro fosse possibile. La situazione delle Case oratoriane d’Italia, nel frattempo, si aggravava al punto che la S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, su indicazione del- lo stesso Pontefice Leone XIII27, con decreto del 29 maggio 1900 nominava p. Clemente Benedettucci28 Visitatore Apostolico delle Case filippine, esi- stenti ed estinte, nelle Marche, nell’Umbria e nell’Emilia. La relazione del Visitatore Apostolico, dalla quale emergeva la situazio- ne davvero preoccupante, ebbe come risultato l’intervento con cui papa Leo- ne XIII, in segno del suo amore paterno29, eresse in Perugia, con Motu Pro- prio del 30 settembre 1900, il Collegio Pontificio dell’Oratorio, -“ut ex eo, recte posito tirocinio, operarii prodeant digni in spem decusque Oratorii”- a cui furono preposti p. Paolo Recanatesi, dell’Oratorio di Osimo e p. Ercole Salvatori, dell’Oratorio di Recanati30.

27 L’amore di Papa Leone XIII per l’Oratorio si manifestò in moltissimi modi. E’ per questo che nel quadro commemorativo del Congresso 1948 il grande Pontefice tendendo le braccia ver- so i figli di San Filippo, nell’atteggiamento di stringerli e proteggerli, li benedice con amplissimo gesto. 28 Clemente Benedettucci (1850-1949). Laureato in giurisprudenza a Roma, entrò nell’Orato- rio di Recanati che si estinse con la sua morte. Lasciò molti scritti eruditi ed una ricca biblioteca, ora aperta agli studiosi. Cfr. FINI C., Clemente Benedettucci oratoriano, Ancona, 1991; ADORAN- TE R. (a cura), La vita e l’opera di P. Clemente Benedettucci, Recanati, s.d. [ma 2000]. 29 Cfr. Leone XIII. Suo Pontificato, suoi rapporti con la Congregazione dell’Oratorio, in “San Filippo Neri. Monitore delle Congregazioni dell’Oratorio”, Biella, IV (1903), 4, pp. 91-96. D’ora in poi: “San Filippo Neri. Monitore…”. 30 L’istituzione ebbe breve durata; nel 1907, su consiglio dei Padri di Perugia, con il consen- so di Pio X e tramite p. Benedettucci, il Collegio Leoniano fu trasferito a Roma nella canonica di S. Tommaso in Parione, ma nel 1910, con vivo rammarico del Papa, fu definitivamente chiu- so. Si dovrà attendere il Pontificato di PIO XII, altro grande Pontefice legato all’Oratorio, per ri- aprire un Collegio Internazionale a Roma, intitolato al Papa stesso; anche questo tuttavia avrà vi- ta breve. 18 ANNALES ORATORII

In quello stesso anno – che vide sorgere, ad iniziativa di p. Giovanni Bat- tista Tonella, dell’Oratorio di Biella, una rivista intitolata “San Filippo Neri. Monitore delle Congregazioni dell’Oratorio” 31 –, una circolare di p. Arista ai Prepositi, prospetta l’idea di presentare una supplica al S. Padre perché in- tervenga con la sua autorità a sbloccare una situazione di stallo che durava dal 1895 e dalla quale nessuno era in grado di uscire. Il card. Capecelatro, perplesso di fronte al malumore di tanti, era dell’av- viso di soprassedere, ma in quei giorni p. Benedettucci, sollecitando la pre- sentazione della supplica, scriveva all’Arista: “Credo che la petizione venga presentata prontamente. In questi giorni il P. Recanatesi ha avuto un’udien- za particolare dal S. Padre per le cose nostre e l’ha trovato d’una benevolen- za che l’ha commosso”. Datata 8 febbraio 1901, sottoscritta dalla maggioranza dei Prepositi e rac- comandata da numerosi Vescovi e Cardinali32, la supplica giunse a destina- zione, ma i contrari scatenarono una battaglia, di cui rimangono testimo- nianza le lettere a stampa di p. Calenzio e di p. Lais. L’arenarsi della supplica, tuttavia – lo riconoscono gli stessi fautori – è dovuta ancora una volta alla labilità del progetto, determinata sicuramente dal rispetto e dalla prudenza con cui l’Arista trattava una materia tanto deli- cata, mentre invece, come suggeriva p. Recanatesi, “è necessario presenta- re a Roma progetti belli e formati, altrimenti Roma non si muove” . Di questo tenore fu infatti la risposta del card. Gotti, Prefetto della S. C. dei Vescovi e Regolari, il 13 marzo: “Dalla Santità di Nostro Signore Papa Leone XIII è stata trasmessa a questa S. Congregazione la sua me- moria a stampa diretta ad ottenere che si stabilisca qualche vincolo fra le varie Congregazioni dell’Oratorio di S. Filippo, salva sempre la rispettiva autonomia secondo le Regole dell’Istituto. Questa S. Congregazione per al- tro, pur lodando gli intendimenti di quanti hanno firmato e raccomandato

31 La rivista, prima mensile poi, dal 1905, trimestrale, esce con il primo numero nel maggio 1900 e durerà le sue pubblicazione fino al 1907, molto dignitosa nella veste tipografica e ricca di argomenti, recante anche una sezione intitolata “Cronache filippine” volta a creare un collega- mento tra le varie Comunità. Sin dall’editoriale del primo numero (I, 1, 3) sono dichiarati gli in- tenti: “unire in un sol cuore ed in una sola anima le diverse Congregazioni, delle quali alcune so- no state fondate nuovamente, ed altre si sono ristabilite, e per accendere tutti di quella carità che è il sodo legame che stringe assieme le stesse Congregazioni”. Troviamo pubblicata nel numero di settembre una lettera del p. Arista: “Benedico il Signore che Le ha ispirato l’idea di intrapren- dere un simile lavoro, che potrebbe spianare la strada all’unione desiderata”. 32 Precedenti storici del Movimento Federativo Oratoriano, in “L’Oratorio di S. Filippo Ne- ri”, XVII (1960), 11, pp. 11-12. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 19 la relativa supplica, desidererebbe che essi stessi, collatis inter se consiliis, proponessero qualche piano o progetto pratico, onde tradurre in atto i loro desideri. Voglia perciò la P.V. adoperarsi a tale effetto e rimettere poi le ri- sultanze a questa S. Congregazione, la quale le prenderà nella dovuta con- siderazione”. Pensò allora p. Arista, anche dietro il suggerimento di amici, di presenta- re al Dicastero un’informazione sullo stato delle Congregazioni esistenti – ri- tenendo che l’Autorità Apostolica sarebbe intervenuta direttamente – e attra- verso alcune Congregazioni cercò le notizie necessarie, scontrandosi però con il riserbo di un certo numero di Case che non risposero, forse sull’onda delle circolari del Preposito di Roma.

Dopo la morte di Leone XIII, verso il quale gli Oratoriani nutrivano un debito di riconoscenza pari all’ammirazione di cui la Chiesa circondava il suo pontificato33, l’interesse del nuovo Pontefice Pio X, eletto il 4 agosto 1903, per la questione oratoriana è documentato, tra l’altro, da una lettera di p. Recanatesi all’Arista – che nel novembre 1904 aveva accettato in ob- bedienza al Papa la nomina a vescovo ausiliare di Acireale, dopo essere ri- uscito, nel 1901, ad eludere la nomina a Vescovo-Prelato Nullius di S. Lu- cia del Mela –: “Fui dal Santo Padre e, dopo avere a lungo ragionato delle nostre Congregazioni, conobbi anch’io che ha in animo di fare qualcosa a loro vantaggio […] Concluse dando l’incarico all’Eccellenza Vostra e a me di formulare un programma e farglielo avere” (21.11.1904). Direttamente richiesto dal Papa, mons. Arista si rimise all’opera in- traprendendo un’altra ampia consultazione testimoniata dal suo epistolario che registra il contributo dato allo studio del progetto dai pp. Castelli, Col- letti, d. O. di Genova, Recanatesi e Benedettucci. L’Arista, tuttavia, andava ancora cercando consigli, quando p. Recanatesi34 gli scrive, il 19.12.1904: “Il suo scritto è compilato con tanta saggezza che non saprei cosa aggiungere né togliere […] non mi parrebbe però opportuno andar cercando qua e là con- sensi […] Vostra Eccellenza sa troppo bene quanti nemici abbia qualunque movimento che porti un ordine migliore…”. Lo schema preparato, non-

33 Sollecitudine del Sommo Pontefice Leone XIII per i figli di S. Filippo, in “San Filippo Ne- ri. Monitore…”, II (1901), 4, pp. 106-108. 34 Un interessante articolo del Recanatesi, discreto nei termini ma chiaro nelle osservazioni, descrive il travaglio di questi anni: RECANATESI P., Due parole ai lettori, in “S. Filippo Neri. Monitore…”, Quaderno 31 (1905), pp. 1-6. 20 ANNALES ORATORII ostante le sollecitazioni, attenderà ancora alcuni mesi ad essere presentato, e solo nel settembre del 1906 giungerà al Santo Padre35. Qualche intervento dell’ambiente di Roma su esponenti di Curia riuscì a rallentarne l’iter, se si deve dar credito a quanto lascia intendere p. Recana- tesi in una lettera all’Arista del 20 agosto 1907.

Alla morte del vescovo Genuardi, mons. Arista è chiamato a succedergli come vescovo di Acireale, e gli impegni in diocesi, enormemente accresciu- ti, non gli lasciarono molto tempo per la causa oratoriana che egli portava tuttavia nel cuore. Ne assunse l’eredità p. Giuseppe Timpanaro36, d. O. di Acireale, legato a lui da vincoli di profonda devozione e sintonia, il quale ebbe occasione nel 1910 di visitare fraternamente numerose Congregazioni italiane, continuan- do poi la visita nel 1912, in compagnia di mons. Arista, e completandola nel periodo del suo servizio militare (1917-1918). Riscosse qualche reazione, ma raccolse pure osservazioni di eminenti Padri che lo indussero a modificare alquanto il progetto del 1906. Anche p. Castelli in quegli anni continuò ad interessarsi della questione. Fra il 1913 ed il 14 si fece ricevere dal Prefetto della S. Congregazione dei Religiosi, card. Cagiano de Azevedo, e gli presentò un progetto di unione. Avutone sentore, il p. Lais, Preposito di Roma, immediatamente intervenne presso il Cardinale, ma la triste situazione della Casa di Roma, che conti- nuava con le sue irrisolte difficoltà, dolorosamente intrecciate a tutto il cam- mino che portò alla costituzione dell’Institutum, provocò una Visita Aposto- lica all’Oratorio Romano, poi estesa alle Congregazioni italiane. Mons. Me- lata ne fu incaricato, e dopo due anni gli succedette l’abate Arcangelo Lolli, dei Canonici Lateranensi, il quale, nel tentativo di trovare una soluzione al- le intricate questioni, promosse un Convegno di Prepositi, indetto a Roma dalla Sede Apostolica per il 20 novembre 1918.

2. 1918-1932 Inizia nel 1918 l’epoca dei Congressi che, riunendo i Prepositi in legitti-

35 Schema d’unione fra le Case della Congregazione Filippina in Italia, Acireale, Tip. Um- berto I, 1906. 36 Giuseppe Timpanaro (1888-1953). Di temperamento vivace e di acceso spirito filippino, fu intraprendente animatore di svariate iniziative, tutte volte a ravvivare il culto di S. Filippo e la vi- talità dell’Oratorio. Ristabilì in Palermo nel 1931 l’ormai estinta Congregazione. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 21 ma adunanza per disposizione pontificia37, già costituiscono una prima for- ma embrionale di organismo unitario.

Al Congresso del 1918 parteciparono sedici delle diciannove Case esi- stenti in Italia, presenti, tra gli altri, p. Castelli e mons. Arista. P. Timpana- ro rivelò in quell’incontro tutto il suo dinamismo e la sua passione; si com- prese chiaramente che era aperta la via ad un esponente, tra i più convinti e operosi, del movimento unitario. Fu lui, infatti, a presentare all’abate Lolli come promemoria il progetto che egli aveva modificato e che consegnò dat- tiloscritto anche ai partecipanti. Il Congresso stabilì la periodicità triennale degli incontri e concluse i lavori con un reiterato appello alle Congregazioni perché inviassero qualche soggetto alla Casa di Roma. P. Calenzio infatti era morto nel 1915; p. Lais versava in pessime condizioni di salute e nel 1919 si ritirò a vivere privatamente. Da quel momento un continuo avvicenda- mento di Padri caratterizzò la vita della Comunità romana.

Allo scadere del triennio la S. Congregazione dei Religiosi indisse un nuo- vo Congresso con Circolare del 13 giugno 1921 che attraverso un questio- nario chiedeva di inviare alla stessa S. Congregazione proposte per l’incre- mento dell’Oratorio e chiedeva “se, nonostante la mutazione dei tempi, l’I- stituto filippino debba rimanere tale e quale fu finora, o se, per contro, non si debba applicare in qualche punto le prescrizioni del Diritto canonico vi- gente”. Era stato, infatti, promulgato nel 1917 il Codice di Diritto Canonico, cui seguivano i Decreti del 26 giugno 1918 e del 21 ottobre 1921, che im- ponevano la revisione delle Costituzioni di tutti gli Ordini e le Congregazio- ni ed il loro adeguamento al nuovo Diritto. Questo II Congresso delle Congregazioni italiane si svolse a Roma il 23- 24 novembre con la partecipazione di diciassette Case. Nell’incontro, a cui partecipava anche il vecchio p. Castelli, mentre era morto in concetto di san- tità l’anno precedente mons. Arista, si decise di chiedere alle singole Con- gregazioni di formulare uno schema di revisione degli Instituta da inviare al Rappresentante in Roma, figura di nuova istituzione che prese corpo in que-

37 Vedi, p. es., Lettera della S. Congregazione dei Religiosi, 13 giugno 1921, in Archiv. Pro- curae Generalis - Congressus Generales: “Conforme a quanto stabilito nel Congresso dei Prepo- siti delle Congregazioni dell’Oratorio d’Italia nel novembre 1918, questa S. C. ricorda a tutte le Congregazioni d’Italia l’obbligo di inviare il proprio Superiore od altro rappresentante con pie- ni poteri…” 22 ANNALES ORATORII sta assemblea. Al Rappresentante – individuato nel Preposito di Roma, che allora era il p. Davide Viola, d. O. di Biella, passato in aiuto alla Casa di Ro- ma – era demandata la rappresentanza delle singole Congregazioni presso la Sede Apostolica, la relazione epistolare con le Case soprattutto per ciò che concerneva l’attuazione delle deliberazioni congressuali, e la cura delle Co- munità ridotte a meno di tre soggetti, e delle Congregazioni soppresse o estin- te, nell’intento di risuscitarle o almeno di rintracciarne i beni. Successe a p. Viola – entrato alla Trappa nel 1922, subito dopo i so- lenni festeggiamenti centenari della canonizzazione di San Filippo38 – il p. Timpanaro, il quale, perdurando nella Casa di Roma la mancanza di sogget- ti ed altre gravi questioni, invocò la presenza di un Delegato Apostolico, no- minato il 5 gennaio 1923 nella persona dell’Abate di San Paolo fuori le Mu- ra, dom Ildefonso Schuster39.

Il Delegato Apostolico ritenne opportuno invitare anche le Case este- re al nuovo Congresso celebrato a Roma dal 6 all’8 febbraio 1924 sotto la sua presidenza. Diciassette Case italiane, due spagnole – Barcelona e Palma de Mallorca – due polacche e una messicana parteciparono al Congresso; svolsero l’ufficio di segretari due Padri che avranno un ruolo notevole nelle successive vicende oratoriane, Paolo Caresana40, d. O. di Brescia e Cesare Nanni41, d. O. di Bologna. La Congregazione di Roma fu affidata a quella di Bologna, con non poche perplessità dato il numero esiguo dei soggetti della Casa bolognese; ai pp. Castelli e Timpanaro venne affidata la revisione del- le Costituzioni; e fu confermato quanto il precedente Congresso aveva deci- so circa il Rappresentante delle Case.

38 Allietati da una Lettera di Papa Benedetto XV, furono solenni e memorabili. Dopo la rico- gnizione delle spoglie del Santo (per cui v. CAPPIO R., La ricognizione del corpo di S. Filippo Ne- ri, in “L’Oratorio di S. Filippo”, 18 (1961), pp. 9, 8-10; 10, 8-10), l’urna fu portata per le strade di Roma, in una processione che fu un autentico trionfo. 39 Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), beatificato nel 1985; LECCISOTTI T., Il Card. Schu- ster, 2 voll., Milano, 1969; MAJO A., La personalità spirituale del Card. A. I. Schuster, Milano, 1980. 40 Paolo Caresana (1882-1973), di Vigevano. Entrò nell’Oratorio di Brescia nel 1912 e dal 1934 al 1958 lavorò indefessamente a Roma, alla Vallicella, facendo rifiorire la Congregazione. Fu con- fessore di Giov. B. Montini (Paolo VI) che gli conservò un tenerissimo affetto, testimoniato anche dall’epistolario: P. CARESANA-G. B. MONTINI, Lettere. 1915-1973, a cura di X. TOSCANI, Quader- ni dell’Istituto Paolo VI, Ed. Studium, Roma, 1998. 41 Cesare Nanni (1890-1977); era entrato nell’Oratorio da pochissimi anni quando fu inviato a Roma, non ancora quarantenne, come Preposito della Congregazione. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 23

Questo Congresso, che si chiuse tranquillamente, aprì il corso di una lunga e tristissima vertenza tra p. Nanni – che, adottando ed adattando gli antichi testi delle Costituzioni precedenti alla stesura ed all’approvazione degli Instituta del 1612, decise ed attuò l’unione di alcune Case sotto la Congregazione Romana ed esercitando su di esse l’autorità di Preposito Generale – e p. Timpanaro che continuò indefessamente la sua opera di araldo di una riforma rispettosa, alla luce dei progetti dell’Arista e del Ca- stelli. Non entriamo in questa vicenda che richiederebbe ampio spazio di tratta- zione. Solo è indispensabile citare, nel contesto di questa sintetica esposi- zione, che le vicende roventi di quegli anni fecero sospendere anche la con- vocazione dell’incontro congressuale che si sarebbe dovuto tenere nel 1927: proprio in quell’anno, infatti, il Delegato Apostolico chiese l’intervento di- retto della S. Congregazione dei Religiosi, la quale indisse una visita per la Casa romana, affidandone il compito allo stesso Schuster. Gli indirizzi di p. Nanni furono apertamente sconfessati e l’osservanza del tradizionale ordina- mento oratoriano fu ristabilita. Nel 1928 l’abate Schuster fu inviato a Milano come Amministratore Apo- stolico e l’anno seguente riceveva, insieme alla Porpora cardinalizia, la no- mina di Arcivescovo; all’ufficio di Delegato Apostolico non fu dato dalla Santa Sede un nuovo titolare. Nel 1931, per iniziativa di p. Timpanaro – risultato vincitore nello scon- tro con le innovazioni del Nanni – si diede appuntamento ai Prepositi italia- ni in Cava de’ Tirreni, dove il 6 settembre, alla presenza del card. Lavitrano, già vescovo di Cava ed ora arcivescovo di Palermo, antico penitente di p. Ca- stelli, si traslarono al santuario di S. Maria dell’Olmo le venerate spoglie del servo di Dio42 che si era spento il 21 luglio 1926. I Padri presenti a questo rito ebbero occasione di parlare delle tante vicende intercorse dopo l’ultimo Congresso, e rinnovarono a p. Timpanaro il compito, già affidato al Castelli e a lui nel 1924, di rivedere le Costituzioni alla luce del nuovo Codice di Di- ritto Canonico. Attivissimo ed infaticabile, p. Timpanaro riuscì ad organizzare un nuovo Convegno, fissato a Bologna nei giorni 15-18 novembre 1932, nell’antico monastero di san Vittore, proprietà dell’Oratorio bolognese. Vi parteciparo-

42 Il discorso fu pronunciato in quella occasione da p. Ettore Ricci (1866-1946), insigne Pre- posito dell’Oratorio Perugia, sacerdote pio e coltissimo, che la Chiesa Perugina annovera tra i suoi figli illustri. RICCI E., Per il Servo di Dio P. Giulio Castelli, Tip. Di Mauro, Cava, 1934. 24 ANNALES ORATORII no quindici delle diciannove Congregazioni43: da parte del Segretario della S. Congregazione fu data assicurazione, a p. Filippo Bardellini44 inviato ap- positamente a Roma, sul placet della Santa Sede; si dedicò un esame minu- zioso alle proposte di aggiornamento delle Costituzioni; fu richiamata la de- liberazione del 1924 circa il Rappresentante a Roma – ora, secondo la ter- minologia del Codice del 1917, “Procuratore” – e si elesse a questo ufficio p. Giulio Bevilacqua45, o p. Carlo Naldi se il primo non avesse accettato; si stabilì che tutte queste decisioni sarebbero state sottoposte all’approvazione del nuovo Congresso, fissato per l’aprile 1934; e si conclusero i lavori all’u- na di notte, con la firma dei verbali e con una memorabile adorazione euca- ristica, guidata da p. Caresana.

3. 1933 -1958. Il card. Lavitrano trasmise i voti del Convegno alla Santa Sede e p. Nal- di, in sostituzione di p. Bevilacqua che subito aveva rinunciato all’incarico, riferì a Roma i risultati del Convegno a mons. La Puma, segretario della S. Congregazione. Questi lo indirizzò a p. Arcadio M. Larraona, docente all’U- niversità Lateranense e qualificato canonista, di cui lo stesso mons. La Puma affermava: “non si può trovare a Roma persona superiore per pietà e dottri- na giuridica”. P. Larraona, come abbiamo ricordato, il 21 marzo veniva no-

43 È motivo di conforto, tra tante dolorose vicende, ricordare qui almeno alcuni Padri presenti, uomini che illustrarono l’Oratorio con le preclare virtù della loro vita, di alcuni dei quali, morti in concetto di santità, è in corso il processo di beatificazione: P. Paolo Caresana, Brescia; il Ven. P. Filippo Bardellini, Verona; P. Carlo Mino, Biella; il Servo di Dio P. Raimondo Calcagno, Chiog- gia; P. Vincenzo Salsano, Cava (l’antico ragazzino che corse incontro a P. Castelli, al suo arrivo alla stazione di Cava, e che non lo lasciò più, entrando anch’egli nell’Oratorio cavese). 44 P. Filippo Bardellini (1878-1956). Nato a Verona nel popolare quartiere dei Filippini, vi tra- scorse la fanciullezza e la giovinezza tra le difficoltà che in quegli anni spinsero molti all’emi- grazione. Visse le primizie del suo sacerdozio tra le classi più povere e tra i giovani. Nel suo ze- lo ardente, nella pietà fervorosa, nella dedizione alle attività pastorali ebbe come guida spirituale il futuro San Giovanni Calabria, che gli divenne non solo maestro, ma profondamente amico. Nel 1921 P. Filippo gettò le basi dell’Istituto delle “Poverette della Casa di Nazareth”, con l’intento di dedicarsi, in primo luogo, alla gioventù minorata, spesso abbandonata e lasciata ai margini della società. Giovanni Paolo II ne proclamò le virtù eroiche il 12 aprile di quest’anno. 45 Giulio Bevilacqua (1881-1965): uno dei grandi Oratoriani della Congregazione di Brescia e dell’intero Istituto; Paolo VI, a lui legato da reciproca profonda stima ed amichevoli sentimenti, lo creò Cardinale nel 1965. Uomo di ampia cultura e di iniziative pastorali coraggiose, lasciò un’or- ma profonda nella vita spirituale e culturale della Chiesa Italiana. FAPPANI A., Giulio Bevilac- qua il Cardinale Parroco, Queriniana, Brescia, 1979. GUITTON J., San Filippo Neri ed il card. Be- vilacqua, in “L’Oratorio di S. Filippo Neri”, 22 (1965), pp. 7, 8-10; CE. DOC. (a cura), Scritti e discorsi sul Card. Giulio Bevilacqua nel 25° della morte (1965-1990), Brescia, 1990. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 25 minato dalla S. Congregazione dei Religiosi Visitatore Apostolico dell’Ora- torio con l’incarico della Visita Generale a tutte le Congregazioni filippine. Il Decreto di nomina indicava chiaramente i problemi che il nuovo Visitato- re era chiamato ad affrontare e risolvere: condurre a termine “inceptum con- formationis ac revisionis [Constitutionum] opus”, estendendolo “etiam ad particularia Statuta quibus Congregatio Oratorii Romana vel alia quaelibet Congregatio actu utatur vel in posterum uti intendat”; disporre “omnia quae ad bonum regimen, pacem et harmoniam Instituti vel singularum domorum ac personarum spectat”. Il 26 maggio dello stesso anno una circolare del Visitatore comunicava a tutte le Congregazioni la decisione della Santa Sede e l’apertura della Visita Generale, accludendo il Decreto della S. Congregazione che la istituisce; elencava poi cinque Monita et Ordinationes relativi al primo scopo della Vi- sita che era l’aggiornamento le Costituzioni da farsi in un Congresso Gene- rale, nel quale tuttavia “si dovranno pure esaminare quelle questioni che pos- sano riferirsi al bene generale dell’Oratorio”. Tutte le Congregazioni erano invitate ad inviare suggerimenti. Il 19 giugno p. Naldi è nominato segretario della Visita, e da questo momento, fino al 1942, sarà del P. Visitatore il più stretto collaboratore. “Il compito che p. Larraona si accingeva ad assolvere – scrive p. Cesare Abbate46 – era in se stesso quanto mai arduo. Non si trattava solo, come per gli altri Istituti religiosi, di adeguare le antiche Costituzioni al Codoce di Di- ritto canonico, ma anche, e soprattutto, di affrontare su piano giuridico quel- lo scottante problema dell’unione fra le Congregazioni che, sollevato da mons. Arista fin dal 1893, aveva diviso i Figli di san Filippo in tenaci oppo- sitori da una parte e in appassionati caldeggiatori dall’altra e che, con alter- ne vicende, si trascinava ormai da un trentennio. Si trattava di dimostrare agli immobilisti, agli autonomisti ad oltranza, che l’auspicata unione non impli- cava nessuna, benchè minima, deformazione dell’Istituto di S. Filippo, che unico suo obiettivo era di salvare dal naufragio le poche – di moltissime che erano – Congregazioni superstiti, di ripristinare possibilmente quelle sop- presse o estinte, di fondarne delle nuove, di difendere insomma e perpetuare l’eredità spirituale e materiale di S. Filippo: il tutto mediante una libera cir- colazione di aiuti”.

46 ABBATE C., Il card. Arcadio Larraona e l’Istituto dell’Oratorio, in “In Aevum”, XXI (1959), 11-12, pp. 144 ss. 26 ANNALES ORATORII

Il nuovo Congresso, fissato a Roma per il 12-16 settembre 1933, si cele- brò, sotto la presidenza di p. Larraona, con la partecipazione di una trentina di Congregazioni italiane, spagnole, tedesche, e inglesi, e discusse lo Sche- ma correctionum ac variationum quae in Constitutionibus faciendis propo- nuntur, preparato dallo stesso Visitatore. L’apporto più innovativo in questa prima fase di revisione riguarda indubbiamente il cap. IV del testo riforma- to, che, sviluppato poi più ampiamente, costituirà gli Statuta Generalia. Si concentrò l’analisi soprattutto sulla definizione che venne data della Con- gregazione: “L’Istituto di S. Filippo Neri, da lui fondato in Roma, per divi- na ispirazione, come si crede, è società clericale di diritto pontificio, forma- ta da sacerdoti e chierici secolari e da fratelli laici che vivono in comune, sen- za voti”; “è costituito di diverse Case che sono chiamate Congregazioni” in- dipendenti ed autonome, ma “congiunte tra loro da vincoli specialmente mo- rali”. Vi fu chi guardò con sospetto a questa definizione, nella quale, se al ter- mine “Institutum” si fosse dato il valore di “Corpus institutum”, poteva ve- nir meno la fedeltà alla mens del Fondatore ed al dettato delle Bolle di ere- zione della Congregazione de Urbe e delle altre Case. Non mancò chi vide nella formula “Istituto…costituito di diverse Case ” l’idea del Castelli, del- l’Arista e di tanti altri che abbiamo incontrato lungo questo excursus. Il Congresso si chiuse tra le perplessità di alcuni e la soddisfazione di al- tri. Le molte osservazioni pervenute al Visitatore sul primo abbozzo delle Co- stituzioni inviato alle Congregazioni nell’autunno del 1935, determinarono un lavoro di riordino che fece considerare impensabile un Congresso nel 1936, secondo la cadenza triennale. Il lavoro di p. Larraona, anche in questa fase della revisione dei testi, puntualmente inviata alle Congregazioni per ri- ceverne pareri e suggerimenti, fu immenso. Nei mesi di settembre e ottobre egli volle anche recarsi personalmente nelle Case di Inghilterra, Spagna e Germania per illustrare quanto potesse implicare difficoltà; e le stesse dilu- cidazioni furono portate nei mesi successivi, di persona o mediante il segre- tario della Visita p. Naldi, alle Case d’Italia e di Polonia. L’analisi scrupolosa di tutti i rilievi fu condotta, ancora una volta, con so- lerte attenzione, e diede origine ad una seconda stesura dei testi costituzio- nali (“Revisio et accomodatio ad Codicem Constitutionum Oratorii atque Statutorum Generalium redactio et subsequens expolitio – Textus emendatus Constitutionum cum animadversionibus Congregationum”). Ma la guerra ci- vile in Spagna e lo scoppio della guerra mondiale nel 1939 costrinsero a ul- teriori rinvii del Congresso già fissato per l’ottobre 1939. Nel 1942 p. Lar- E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 27 raona, dietro suggerimento della Sacra Congregazione, decise di rompere gli indugi e convocò per aprile, benché la guerra in Europa fosse in pieno svol- gimento, un Congresso delle Congregazioni Italiane, chiedendo però a tutte le altre di inviare ancora osservazioni sulla seconda stesura. Con certosina pazienza accolse tutto ciò che dalle Case filippine gli era giunto e formulò le “Modificationes quae ex novis receptis animadversionibus proponuntur”

Il Congresso del 1942, convocato dal P. Visitatore e da lui presieduto co- me “straordinario […] non propriamente giuridico, equiparando a quelli cioè che sono definiti nei nuovi Statuti”47, si celebrò alla Vallicella dal 20 al 23 aprile, con la partecipazione di una cinquantina di Padri. Aperto nelle camere di S. Filippo la sera del 20 aprile con una breve ce- lebrazione inaugurale, si svolse con le ampie relazioni del P. Visitatore sui te- sti costituzionali, e la discussione degli stessi in vista della loro approvazio- ne, ma non mancò il tempo per una serie di interventi su temi significativi: p. Caresana tenne due relazioni su “Lo spirito filippino ed i suoi caratteri” e “Apostolato del Confessionale e della Direzione Spirituale”; p. Angilella su “Il Collegio Filippino Internazionale Pio XII”; p. Cottinelli relazionò su “Il Sacerdozio e la vita filippina” e p. Timpanaro su “L’Oratorio Secolare”; i pp. Mino e Meggiolaro affrontarono il tema: “Vocazioni filippine: selezione, am- missione, formazione, incardinazione”; p. Bevilacqua parlò dell’ “Apostola- to filippino e apostolato del Filippino”, p. Acchiappati dello “Spirito liturgi- co e apostolato liturgico”; p. Cistellini dell’ “Apostolato della cultura e del- l’insegnamento”, p. Gasbarri di “Apostolato filippino e Azione Cattolica”. Il Congresso si chiuse con una “Serata filippina”, nell’Oratorio del Bor- romini, introdotta da un discorso di p. Bevilacqua su “Ideale filippino vissu- to” e conclusa dalle parole di saluto di p. Caresana.

I nuovi ordinamenti costituzionali, frutto di tanta fatica e di così attenta elaborazione, furono approvati. Su indicazione del Congresso e con delega della Santa Sede, il P. Visitatore elesse la Deputazione Permanente, prevista negli Statuti Generali, la quale procedeva, tra l’altro, alla ratifica delle cor- rezioni apportate dal Congresso; e p. Larraona assunse ad interim l’ufficio di Procuratore Generale per il quale non diede la propria disponibilità p. Naldi, che si sentiva un po’ messo da parte e soffriva della decisione del Congres- so di trasferire la sede della Procura dalla casa di S. Nereo, decorosamente

47 Lettera di convocazione in Arch.Pr.Gen.: Congressus Generales, 1942. 28 ANNALES ORATORII da lui adattata, alla disagiata residenza di S. Girolamo della Carità dove p. Naldi già aveva abitato all’inizio del suo mandato. Ai testi costituzionali, approvati ad experimentum in attesa del nuovo Congresso da celebrarsi al termine della guerra, fu data conferma da Pio XII ex Audientia Sanctissimi il 4 aprile 1943. Il testo edito si presenta suddiviso in due parti: il frontespizio della prima reca: “Constitutiones Congregationum Instituti Oratorii S. Philippi Nerii, a Paulo V per Breve “Christifidelium” (24. II.1612) approbatae et post dili- gentem Codicis Juris Canonici accommodationem, a Sacra Congregatione de Religiosis ex Audientia SS.mi (die 12 apr.1943) ad experimentum confir- matae”; sul frontespizio della seconda parte il titolo: “Statuta Generalia Con- gregationum atque Instituti Oratorii S. Philippi Nerii a Sacra Congregatio- ne de Religiosis ex Audientia SS.mi (die 12 apr. 1943) ad experimentum con- firmata” 48.

A p. Arcadio M. Larraona si deve, oltre all’immenso lavoro di revisione delle Costituzioni, la configurazione dell’Insitutum Oratorii quale gli Statu- ti Generali lo presentano e l’Autorità Apostolica lo ha sancito. Sta qui la sua creazione giuridica che diede forma e vita al sogno di mons. Arista. Le “do- mus sui iuris” formano una confederazione, denominata “Institutum Orato- rii S. Philippi Nerii”, di cui il Congresso Generale è prima espressione ed or- gano supremo, e dal quale emanano tre organi centrali: la Deputazione Per- manente – che fa le veci del Congresso –, il Procuratore Generale – che rap- presenta giuridicamente l’Istituto e se ne prende cura, sia nel suo complesso sia nelle singole Congregazioni, difendendone i diritti, rivendicandone i be- ni, accorrendo dove la necessità lo richieda, promuovendone la diffusione, potenziandone la compattezza – e il Postulatore Generale, con il compito spe- cifico di avviare e sostenere le cause di beatificazione e canonizzazione. Anche chi, nell’Oratorio, conservò dei dubbi sulla positività della nuova scelta istituzionale, non mancò di riconoscere a p. Larraona, insieme alla con- siderazione più alta per la dedizione con cui lavorò ed alla stima per la sua splendida figura sacerdotale – che sarebbe stata onorata da papa Giovanni XXIII con la Porpora cardinalizia –, il merito di aver seguito, nel lavoro di revisione, criteri di reverenziale rispetto nei confronti degli antichi Instituta approvati da Paolo V nel 1612.

48 Ampio commento in ABBATE C., Costituzioni e Statuti Generali, versione italiana, note e ap- pendici, Acireale, 1956. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 29

Le opinioni critiche sugli Statuti Generali e sulla natura della nuova isti- tuzione furono particolarmente vivaci nelle due Congregazioni inglesi49, ti- morose che nel dispositivo degli Statuti potesse trovarsi un “novum quoddam instrumentum gubernandi”, ma la grandissima maggioranza delle Congrega- zioni accolse le decisioni del Congresso nella consapevolezza che qualcosa di altamente positivo era stato compiuto. Non si era certo trovato il rimedio a tutti i problemi, ma le Congregazioni oratoriane, operanti in tempi e situa- zioni, anche ecclesiali, così diversi da quelli delle origini, avevano a dispo- sizione uno strumento di comunione atto a garantirne l’autonomia voluta dal Fondatore, ed impegnato a difenderne e promuoverne la vita e l’identità ora- toriana. Con Lettera Circolare datata Corpus Domini 194350, p. Larraona comuni- cava alle Congregazioni l’avvenuta approvazione delle Costituzioni e degli Statuti Generali, affermando che essi “sono esattamente il testo riveduto nel Congresso del 1942, dopo le rinnovate osservazioni avute dalle Congrega- zioni delle diverse Nazioni”; e riguardo all’identità della nuova istituzione, per indicare la quale “è stata ricevuta la formula chiara e tecnicamente assai adatta di Istituto dell’Oratorio”, il Visitatore afferma: “Se il senso concreto di questa espressione potesse dirsi in qualche modo nuovo, come la formula dell’unione fraterna che esprime, potremmo dire di esso quel che ci diceva Pio XI dei Congressi Filippini: è una felice novità”. “L’Istituto dell’Oratorio, -continua la Circolare- nella forma rispettosa , larga e flessibile che riveste, secondo la mente della S. Congregazione, può e deve recare indubbie utilità e vantaggi certi d’ordine giuridico e morale a tutte le Congregazioni. […] Tutti ricordate che noi le abbiamo avute sempre, e in tutte le nostre delibe- razioni, presenti, non meno presenti che se lo fossero di persona, e che non una delle osservazioni arrivateci da esse fin dal 1935 è andata dimenticata. Di tutte abbiamo fatto tesoro, tutte sono state, come se i proponenti fossero presenti, vagliate, discusse, approfittate”.

Il Congresso Generale del 1948, convocato e presieduto da p. Larraona dal 4 al 9 ottobre, diede piena ratifica – con qualche lieve modifica – alle de- cisioni del 1942. La cinquantina di partecipanti rappresentava questa volta anche alcune Congregazioni che non avevano potuto essere presenti al pre- cedente: del Messico, dell’Inghilterra, della Germania.

49 Cfr. CISTELLINI A., Intorno all’indole…, p. 88. 50 Arch.Pr.Gen.: Visit.res Ap.lici - Larraona. 30 ANNALES ORATORII

Il momento più importante del Congresso furono le prime elezioni, che diedero a p. Edward Griffith51, dell’Oratorio di Londra l’incarico di Procu- ratore Generale. Nella mente e nel cuore di p. Timpanaro, che ebbe l’incarico di Postula- tore Generale, questo Congresso ebbe una risonanza vivissima, perché egli vi vide la definitiva attuazione dell’“idea di Mons. Arista, che in cielo avrà esultato con San Filippo e con tutti i Beati dell’Oratorio” 52. Ricordo di tale entusiasmo rimane anche una pittura di Giambattista Conti che raffigura, in basso, il Congresso raccolto intorno alla Cattedra di Pio XII, mentre circon- dano la Sedia Apostolica i Papi che particolarmente operarono a favore del- l’Oratorio: Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, e sullo sfondo, raffi- gurati in medaglioni, i primi Pontefici legati alla persona ed all’opera di san Filippo: Gregorio XIII, Paolo V, Gregorio XV; in alto, il cielo aperto mostra l’Oratorio del Paradiso, stretto intorno a Maria, “Madre e fondatrice”: Padre Filippo ed i suoi primi discepoli, S. Francesco di Sales ed i Beati dell’Ora- torio, alcuni Venerabili Padri che lungo i secoli illustrarono le Congregazio- ni, ed in primo piano mons. Giavanbattista Arista con p. Giulio Castelli ed il card. Alfonso Capecelatro, e p. Clemente Benedettucci con p. Recanatesi ed altri; di lato ad essi, un po’ in disparte, il card. John Henry Newman, fon- datore dell’Oratorio in Inghilterra, posto là “solo per il nome” dice un datti- loscritto anonimo, conservato nell’Archivio della Procura Generale, che commenta la raffigurazione, e che ha tutto lo stile di p. Timpanaro, proba- bile ispiratore della composizione pittorica. “Bello e consolante – scriveva p. Timpanaro in preparazione al Congres- so53 – ricordare i lavori compiuti, i trionfi dal 1919 al 1924, ed anche i do- lori patiti, le mortificazioni sostenute, le ingiustizie sofferte, ricordare tutto per benedire il Signore e ringraziarlo delle sue grazie e dei suoi favori…”. La prosa del Timpanaro, come la pittura commissionata al Conti, svela il tem- peramento del “rumoroso regista” 54, ma anche i palpiti del cuore latino di un

51 Edward Griffith (1899-1959), convertito alla fede cattolica dall’anglicanesimo. CISTELLINI A., Intorno all’indole…, cit. p.93: “Uomo di amabile tratto, di buona cultura, a tutti bene accet- to e a tutti disponibile, si dedicò subito e senza risparmio, e ininterrottamente anche in seguito, ad attuare i deliberati congressuali e a far funzionare la nuova macchina…Durò un decennio in questo ufficio, ed il bilancio conclusivo fu da lui tracciato in una lunga relazione di 83 fogli, in- viata a tutte le Congregazioni prima del Congresso del 1958”. Fu anche il primo Visitatore elet- to dal Congresso dopo il decreto della Santa Sede che istituiva questo ufficio. 52 TIMPANARO G., Mons. Arista…, p. 111. 53 ID., ibidem. 54 CISTELLINI A., Intorno all’indole…, p. 75. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 31 uomo che ha combattuto lealmente per l’ideale in cui fortemente credeva, e che la Confederazione dell’Oratorio fa bene a non dimenticare. Pacato ma ugualmente acceso di amore per l’Istituto, p. Griffith scriverà, al termine dei suoi dieci anni di servizio, e a sedici anni dall’inizio della nuo- ve istituzione: “è una transazione legale…ci vorranno anni perché diventi spi- rito e vita” 55.

Un argomento, in particolare, fu quello intorno a cui si concentrò l’inte- resse del Congresso. E merita di essere sottolineato per i suoi sviluppi suc- cessivi: la Visita periodica alle Congregazioni, in sostituzione della Visita Apostolica che rivestiva carattere transitorio. La prima Visita affidata ad un Oratoriano risaliva – a quanto è possibile documentare – al 1899, allorchè p. Benedettucci ricevette l’incarico di visi- tare alcune Congregazioni. Da allora la necessità di un Visitatore o di Visi- tatori permanenti fu sostenuta non da pochi; fra questi mons. Arista, che, nel suo “Schema d’unione fra le Case della Congregazione Filippina in Italia”, postulava una serie di sei Visitatori, uno per ciascuna delle sezioni in cui ave- va pensato di distribuire le Congregazioni italiane56. I tempi non erano però maturi, e la tesi di un Visitatore filippino era de- stinata ad insabbiarsi: “troppo alte erano ancora le mura delle cittadelle -scri- ve p. Abbate- perché una simile idea potesse scavalcarle; troppo gelose del- la loro assoluta ed incontrollata libertà erano ancora in gran parte le Congre- gazioni; troppo spirito conservatore serpeggiava in esse. Se la semplice idea di una unione morale intesa a sollecitare un aiuto reciproco aveva suscitato un vespaio di reazioni e polemiche, si può facilmente immaginare qual se- guito o accoglienza potesse riscuotere il progetto d’un Visitatore che pren- desse in esame l’andamento delle singole Case …” 57. Accantonata per anni, l’idea riemerge in una proposta della Congregazio- ne Romana che si trova registrata nelle citate “Modificationes…” del p. Lar- raona. Il Congresso del 1942 convenne sulla necessità di istituire la Visita pe- riodica, ma l’importanza della questione, attesa anche l’assenza delle Con- gregazioni estere, indusse p. Larraona a soprassedere.

55 Lettera fraterna del Procuratore Generale sulla vita oratoriana e le attività della Procura 1948-1958. 56 Vedi ABBATE C., Il card. Arcadio M. Larraona…, cit. pp. 154 ss. 57 op. cit. pp. 155-156. 32 ANNALES ORATORII

Il Congresso del 1948 riprese il tema, che fu ampiamente illustrato dal P. Visitatore. Messa ai voti, la proposta di introdurre la Visita fu accolta all’u- nanimità. P. Larraona si era detto disposto a delineare in un testo specifico la nuo- va figura giuridica, ma i suoi crescenti impegni nella Curia Romana – fino alla responsabilità di segretario della S. Congregazione per i Religiosi (11 novembre 1950) – non glielo consentirono. Rimane di lui il testo scritto a commento della proposta fatta dalla Casa di Roma per il Congresso del 1942, che riproduciamo in tradizione italiana: “Né nelle Costituzioni, né negli Statuti la questione è stata trattata. Senza dubbio però si dovrebbe provvedere, con norma interna e propria dell’Isti- tuto Filippino. È una necessità canonica, dal momento che non si trova al- cuna istituzione ecclesiastica, religiosa, clericale o laicale, che non sia pe- riodicamente visitata (generalmente ogni cinque anni) dall’Ordinario del luogo, o da un Superiore Maggiore interno, o da entrambi nei confini della propria sfera. Pare assurdo che vi sia un’istituzione canonica che non possa e non debba essere visitata da un competente Superiore. Cosicchè, se que- sta istituzione abbia motivo di essere corretta, […] si debba ricorrere, come rimedio ordinario, alla Visita Apostolica, la quale dev’essere riservata sem- pre a casi straordinari e appare odiosa e può riuscire pericolosa se è troppo frequente. Tutto ciò è chiaro. Ma come potranno essere istituite Visite ca- noniche interne senza che siano sentite come onerose dalle Congregazioni che non ne sono abituate? Innanzitutto bisogna notare che da queste Visite non dev’essere attentato all’autonomia che riguarda il regime interno. Inol- tre sarà bene osservare che il Visitatore, in actu Visitationis, è Superiore Maggiore, ma se la Santa Sede non disporrà diversamente, terminata la Vi- sita non ha più potestà. Ciò detto, potrebbero essere messe a studio diverse possibilità per risolvere la questione in modo meno inviso ai Filippini e mag- giormente rispondenti alla speciale natura dell’Istituto. Eccone alcune: 1°) dare ai Congressi Nazionali la facoltà di nominare i Visitatori, i quali, con l’autorità concessa dalla Santa Sede per costituzione o statuti, ogni cinque anni visitino le Congregazioni; 2°) riconoscere alla Deputazione Permanen- te la potestà di scegliere i Visitatori dalle singole nazioni; 3°) dare la facol- tà ai Procuratori Nazionali. […] È lunga la strada per giungere a formula- zioni mature. E, anche formulate, romana patientia et prudentia dovrebbe- ro essere esaminate” 58.

58 Op. cit. pp. 156-157. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 33

4. 1958 - 2000. Il Congresso Generale del 1958, presieduto da p. Edward Griffith, nel suo riunirsi il 1 ottobre prese atto della decisione con cui l’Autorità Apostolica, con Decreto del 24 settembre, aveva istituito il Visitator Oratorii S. Philip- pi, la cui elezione era affidata al Congresso e la nomina riservata alla Santa Sede. Il Decreto istitutivo delineava anche la nuova figura giuridica ed i suoi compiti, dal momento che, dopo venticinque anni, era posto termine alla Vi- sita Apostolica. Alla decisione aveva fondamentalmente contribuito il Visitatore Aposto- lico che succedette al Larraona, p. Enrico di S. Teresa, O.C.D. (Romolo Com- pagnone, poi vescovo di Anagni). Ma non si può pensare che p. Larraona ne sia stato estraneo, non foss’altro perché rivestiva, in quel tempo, la carica di Segretario della S. Congregazione dei Religiosi. Trattandosi di Decreto della Sede Apostolica, il provvedimento, non fu messo, ovviamente, in discussione nel Congresso; ma, giunto inatteso ai Con- gressisti, se fu salutato con grande favore dai molti che vedevano in esso il termine di una presenza non oratoriana nella Visita alle Congregazioni del- l’Oratorio, lasciò scontenti alcuni che non mancarono di sottolineare come, contrariamente a quanto era sempre avvenuto nel lungo corso delle vicende oratoriane, era stabilita una soluzione senza che fosse chiesto un parere. Nel Congresso, ricevuto in Udienza a Castel Gandolfo da Pio XII, giunto ormai agli ultimi giorni della sua vita, p. Edward Griffith fu eletto al nuovo incarico di Visitatore e p. John Nedley, d. O. di Rock Hill, gli successe in quello di Procuratore Generale. Alla prematura scomparsa di p. Griffith nel 195959, la Sede Apostolica, su indicazione della Deputazione Permanente, no- minò Visitatore p. Ugo Oggè, d. O. di Mondovì, che esercitò il suo ufficio fino al Congresso successivo.

Nel 1969 si celebrò il primo Congresso Generale dopo la fine della Vista Apostolica60. Presieduto da p. Patrizio Dalos, Preposito d. O. di Roma, e aper- to dalla Relazione di p. J. Gulden61, fu dedicato ad una nuova revisione de-

59 ABBATE C., Il P. Edoardo Griffith, primo Procuratore Generale dell’Istituto dell’Oratorio e primo Visitatore, in “In Aevum”, maggio-giugno 1960, pp. 75-86; In memoriam di P. Griffith, in “L’Oratorio di San Filippo Neri”, XVI (1960), 9, p.7; Fr.Edward Griffith, in “The Oratory Parish Magazin” Londra, 7., 1959. P. Griffith, morto in Italia, volle essere sepolto nella tomba dei Padri di Mondovì. 60 Cronaca del Congresso in “Oratorium”, I (1970), 1, pp. 62-63. 61 GULDEN J., Zeitgemasse Erneuerung im Oratorium des hl. Philipp Neri, in “Oratorium. Ar- 34 ANNALES ORATORII gli ordinamenti costituzionali con il dichiarato intento di aggiornarli alla lu- ce del Concilio Vaticano II. La Deputazione Permanente e le Commissioni istituite a questo scopo avevano elaborato nuovi testi che confluirono, dopo essere stati discussi ed approvati, nelle “Constitutiones seu Instituta Oratorii S. Philippi Nerii a Congressu Generali Oratoriano anni 1969 approbatae” e negli “Statuta Generalia Confoederationis Congregationum Oratorii S. Phi- lippi Neri”, promulgati “ad experimentum” dal Delegato della Sede Aposto- lica - questa la nuova denominazione stabilita62. L’Institutum assunse da quel momento il nome di “Confoederatio Oratorii S. Philippi Neri”, adottando pe- raltro un termine che già compariva negli Statuti Generali del 194363. Fu eletto “Delegato della Sede Apostolica” p. Paul Turks, d. O. di Aachen, e p. John Nedley fu riconfermato nell’ufficio di Procuratore Generale64.

Seguì nel 1975 il Congresso Generale65 presieduto da p. Edward Wahl, d.O. di Rock Hill, e dedicato a temi prevalentemente pastorali, che rinnovò l’incarico di Delegato a p. Paul Turks e confermò Procuratore Generale p. Walter Oddone, d. O. di Torino, il quale si dimise per motivi di salute nel 1978 e fu sostituito da p. Luigi Romana, d. O. di Mondovì.

I successivi Congressi Generali del 1982 e del 1988 furono nuovamente dedicati all’esame dei testi costituzionali, in vista della definitiva approva- zione, che venne dopo l’adattamento dei testi al nuovo Codice di Diritto Ca- nonico promulgato nel 1983. Presieduto da p. G. Cittadini, d. O. di Brescia, il Congresso del 1982 eles- se Delegato della Sede Apostolica p. Michael Napier, d. O. di Londra, e Pro- curatore Generale p. Antonio Dario, d. O. di Verona, confermati nei rispetti-

chivum Historicum Oratorii S. Philippi Nerii. Semestrale commentarium de rebus oratorianis, a Congregatione Oratorii de Urbe editum”, d’ora in poi citato “Oratorium” I (1970), pp. 5-20. Per un’ampia analisi della relazione di Gulden, sulla base di inoppugnabili argomenti storici, vedi CI- STELLINI A., “Quale Oratorio? Quale Congregazione?”, in “Memorie Oratoriane”, vol. I, suppl. al n. 2, marzo 1975, pp. 3-19. 62 Stat. Gen., Appendix de Delegato Sedis Apostolicae…A 3): “Delegatus Sedis Apostolicae munus Visitatoris canonici Oratorii S. Philippi habet”. 63 Stat. Gen., §3: “ Auctoritate Apostolica confoederatio quaedam […] ad normam horum Sta- tutorum, creata fuit quae “Institutum Oratorii S. Philippi Nerii” iure denominatur”. 64 Si dimise nel 1971, e la Deputazione Permanente chiamò a sostituirlo P. Walter Oddone. 65 Cronaca del Congresso in “Oratorium”, VII (1976), 1, pp. 67-69. I temi trattati: la predica- zione quotidiana della Parola di Dio; la preghiera; la vita comune oratoriana; Vocazioni e forma- zione; l’Oratorio e la diocesi. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 35 vi incarichi dal Congresso del 1988, presieduto da p. P. Turks, in cui si ebbe l’approvazione in via definitiva dei nuovi testi delle Costituzioni e degli Sta- tuti Generali: ratificati dal Decreto del 21 novembre 1989 della S. Congre- gazione dei Religiosi, essi furono pubblicati sotto il titolo: “Constitutiones et Statuta Generalia Confoederationis Oratorii S. Philippi Nerii”.

Nel 1994 il Congresso Generale, presieduto da p. Giulio Cittadini, fu de- dicato alla discussione ed approvazione del Direttorio: “L’Oratorio di S. Fi- lippo Neri. Itinerario Spirituale”. Il Congresso, celebrato dal 2 al 7 ottobre, elesse Delegato della Sede Apostolica p. Antonio Rios Chavez, d. O. di Cit- tà del Messico e Procuratore Generale p. Edoardo Aldo Cerrato, d. O. di Biel- la, e diede inizio ufficiale ai festeggiamenti del IV centenario66 del dies na- talis di S. Filippo Neri, con una solenne Eucarestia presieduta in S. Maria in Vallicella, dal card. Camillo Ruini, Vicario di Sua Santità per Roma. In que- sta occasione fu consegnata al Procuratore Generale la Lettera Pontificia67 che offriva ai figli di san Filippo una riflessione su alcuni fondamentali aspet- ti dell’esperienza e dell’insegnamento del Santo. Il centenario ebbe a Roma, nel corso del 1995, manifestazioni artistiche e culturali di notevole rilevo68 e manifestazioni religiose, quali la X Giornata Mondiale della Gioventù, celebrata a Roma con momenti forti nell’Aula “Paolo VI” – dove, alla presenza di Sua Santità, la veglia di preghiera fu tutta incentrata sulla figura di San Filippo Neri attraverso l’azione scenica e musicale “Paradiso, paradiso” di Marco Frisina69 – e nella grande veglia di Pentecoste con i giovani di Roma. Le celebrazioni romane furono onorate da una nuova visita di S. S. Gio- vanni Paolo II alla Vallicella domenica 28 maggio 1995, durante la quale il

66 Per i precedenti centenari della nascita di S. Filippo, vedi GASBARRI C., I tre centenari del ‘dies natalis’ di San Filippo, in “L’Oratorio di S. Filippo Neri”, 25 (1968), 1, pp. 4-11; 2, pp. 23- 30. 67 In “L’Osservatore Romano”, 19 ottobre 1994. 68 Cataloghi delle Mostre Romane: Palazzo Venezia, maggio 1995-gennaio 1996, La regola e la fama. S. Filippo Neri e l’arte, Electa, Milano, 1995; Biblioteca Vallicelliana, 24 maggio-30 set- tembre 1995, Messer Filippo Neri, Santo. L’Apostolo di Roma, De Luca, Roma, 1995. Atti del Convegno di Studio Roma, 11-13 maggio 1995: San Filippo Neri nella realtà romana del XVI se- colo, a cura di M.T. BONADONNA RUSSO e di N. DEL RE, Roma, 2000. 69 FRISINA M., Paradiso, paradiso, Roma, 1995. L’Anno centenario ha prodotto altri testi tea- trali: FANTACCI A., Fiorentino anche in Paradiso. Commedia in tre atti, ediz. a cura delle Suore di S. Filippo Neri, Firenze, s.d.; PAVAN M., Filippo Neri, Santo “giovane”, , 1995; CO- STATINI G., Santo Filippo degli opposti amen. Mistero in quattro atti, Vicenza, 1995. 36 ANNALES ORATORII santo Padre presiedette la solenne Concelebrazione70 cui presero parte nu- merosi Padri dell’Oratorio provenienti da varie Nazioni.

Il Congresso Generale del 2000, dopo tante assisi dedicate ai testi legis- lativi, tornò ad essere di natura pastorale, ed affrontò il tema: “L’Oratorio Se- colare nel III Millennio”. Per questo motivo fu caratterizzato, nella sessione di studio che precedette la sessione canonica, dalla presenza di più di ses- santa laici, rappresentanti di vari Oratori Secolari di diverse Nazioni e dai rappresentanti di varie Comunità oratoriane in formazione. A presiedere il Congresso fu eletto p. Edoardo Aldo Cerrato, che fu ri- confermato Procuratore Generale; p. A. Rios ricevette un nuovo mandato nel- l’incarico di Delegato della Sede Apostolica. Due fondamentali relazioni71 e vari interventi della tavola rotonda72 pre- sentarono la storia, la profezia e l’attualità dell’Oratorio. Lo sguardo posto sull’attualità dell’Oratorio ha consentito, tra l’altro, di mettere in evidenza un dato significativo: nel corso del secolo XIX, che vi- de spegnersi un numero considerevole di Case, soltanto una decina di Con- gregazioni era sorta; nel secolo XX che assiste alla fine di un altro buon nu- mero di Case, si ebbero pochissime nuove fondazioni prima del 1933; a par- tire, invece, da questa data, inizio della Visitatio Apostolica e della Procura Generale, l’incremento è notevole.

Il Santo Padre Giovanni Paolo II, ricevendo in speciale Udienza i parte- cipanti, si rallegrò “della crescita che l’Oratorio sta conoscendo in diverse parti del mondo”, e facendo esplicito riferimento all’istituto della Confede- razione disse: “Le vostre Congregazioni, fedeli all’autonomia voluta dal san- to Fondatore, vivono particolarmente legate alla realtà delle Chiese partico- lari ed alle situazioni locali. Ma occorre non dimenticare l’importanza che pure riveste, nella vita delle Comunità e dei loro membri, il legame fraterno con le altre Congregazioni che costituiscono la Confederazione. È attraverso tale legame che la caratteristica autonomia delle singole Case si apre al do-

70 “L’Osservatore Romano” 29-30 maggio 1995. 71 BONADONNA RUSSO M.T., L’Oratorio di s. Filippo Neri; CARRIQUIRY LECOUR G., El Ora- torio en la mision de la Iglesia al alba del Tercer Milenio. I testi sono stati diffusi dalla Procura Generale, con altro materiale, nella “Memoria Congressus Generalis A.D. 2000”, pro manuscrip- to, cura Procurationis Generalis Oratorii editum, Romae, 2000. 72 Tra essi, DE LLANOS PENA F., El Oratorio que somos, el Oratorio que imaginamos. Vedi in “Memoria Congressus Generalis A.D. 2000”. E. A. Cerrato, Per il Sessantesimo della “Confederazione dell’Oratorio” 37 no della fattiva carità e le Comunità confederate trovano un valido aiuto a crescere nella fedeltà al carisma oratoriano” 73.

Anche il Card. Eduardo Martinez Somalo, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, non mancò di sottolineare l’importanza dell’istituto confederale, ricordando l’opera svolta da p. Arcadio Maria Larraona: “Carissimi Padri e Laici dell’Oratorio, vivete in pienezza di fedeltà il carisma che Dio vi ha dato nella persona di Padre Filippo. Vivete all’interno delle vostre Congregazioni e degli Oratori Secolari il rapporto familiare, caratteristico della vostra tradizione; vivetelo anche nel vincolo che lega le Comunità ed i singoli in Confederazione. Quando la Sede Apostolica stabilì, in anni passati, di riunire le vostre “Do- mus sui iuris” in Confederazione, lo fece per offrirvi uno strumento idoneo alla fraterna comunione, e si servì, nel dare forma e corpo a questo vincolo di carità operosa, del grande cuore e della lucida mente di Padre Arcadio Ma- ria Larraona, poi Cardinale di S. Romana Chiesa. Quanto egli amasse l’Ora- torio di San Filippo e quanto ne abbia preservata l’essenza, voi lo avete di- mostrato elaborando i vostri nuovi Statuti Generali, approvati nel 1989, in sostanziale conformità con ciò che egli aveva impostato. Amate questo strumento di comunione che è la Confederazione, e valo- rizzatene gli organismi, affinchè l’Oratorio cresca rigoglioso nella Santa Chiesa di Dio, “circumdata varietate” secondo la bella immagine biblica as- sunta, per esprimere la ricchezza di doni nella Chiesa, dal vostro confratello, il Ven. Card. Cesare Baronio, discepolo e primo successore di San Filippo” 74.

Edoardo Aldo Cerrato, C.O.

73 “L’Osservatore Romano” 6.10.2000. 74 “Memoria Congressus Generalis A.D. 2000”, pro manuscripto, cura Procurationis Gene- ralis Oratorii editum, Romae, 2000.

R. Mas, El Padre Eduardo Griffith 39

Rariora

IN MEMORIAM

EL PADRE EDUARDO GRIFFITH *

Esta vez todo era más triste al pisar la clara tierra italiana. Tres horas, pa- ra saltar el mar, desde tierra adentro, parecían demasiado. Nunca se me hizo, más misterioso el rumor inmutable de las hélices, que en cuatro surcos invi- sibles, perforaban la transparencia del aire. Ni tan leves las nubes blancas; ni tan triste la fuerza tersa del mar azul, bajo los ojos; ni tan lisa y muda la cla- ridad del cielo... Iba a rendir el último homenaje a los restos venerables que fueron esbel- ta columna de un espíritu claro y peana serenísima de un corazón inmenso, consumido generosamente en bien del Instituto del Oratorio y de todos sus miembros. Era todo un gentleman del espíritu, y el. Señor le acababa de con- ceder la extrema elegancia de morir con el corazón dilatado y exhausto, tal vez para que la dolencia física sirviera de símbolo a la semejanza típica con San Felipe, y para descubrir una entrega sin límites a la misión paternal que, sobre todas las Congregaciones del Oratorio, la Providencia le encomendó. Descanse en paz el que tanto afán puso en servir a todos, sin molestar y sin cansar a nadie; el que fue el primero en el sacrificio, el más generoso en la entrega; el que fue maestro de lealtad y fidelidad al espíritu de San Feli- pe; el que fue más hermano y, por esto, más padre de todos, y supo, con pru- dencia y valentía, con sencillez y dignidad, con alegría y sacrificio, con. ver- dad y caridad, custodiar y defender la herencia de San Felipe y llevar hasta aquí, por el cauce abierto y sereno con que la Santa Iglesia ampara su cami- no, la nave del Oratorio. Ha muerto en Toscana, la región italiana donde San Felipe nació. San Fe- lipe nacíó en Florencia, valle de flores rodeado de laderas con cipreses in- hiestos que señalan el cielo y con un río que arrastra hacia el mar el rumor de las alas de los ángeles que pintó Fray Angélico y que extasiaron a Pippo Buono. Y el padre Eduardo Griffith moría en la orilla de este mar, en Livor- no, donde las proas de las naves apuntan al cristal de las aguas marinas, que

* “VIDA ORATORIANA”, Barcelona, agosto-sept.1959, nn. 128-129, pp. 120-123. 40 ANNALES ORATORII se abre como un campo flúido y azul, igual que el escudo de los Neri, en el que las tres estrellas doradas, para el P. Griffith, se habían convertido en tres rosas de los vientos, que le marcaron todas las rutas de la tierra, de los ma- res y de los cielos, hacia todos los horizontes del mundo, donde quiera que se encontrara un Oratorio o un hijo de San Felipe. Fue el primero que conoció a todos y que a todos ha servido con su vida y a costa de su vida, agotada en su plenitud, de tanto caminar, de tanto tra- bajar, de tanto velar y defender, de tanto comprender y servir, de tanto servir y amar. Para el Oratorio, ha sido el hombre de la Providencia, cuando la Iglesia ha querido respetar la forma tradicional de esta Obra de San Felipe, pero vi- gorizándola para que también ahora, en nuestra sociedad y en nuestro tiem- po, pudiera cumplir con la misión genial que le imprimió nuestro Santo Fun- dador. Su juventud no fue obstáculo para que, en el Congreso General Fili- pense de 1948 fuese elegido para ser el primer oficial del Oratorio, con el cargo de Procurador General del Instituto; oficio que acababa de crear la San- ta Sede al confirmar nuestras Constituciones y completarlas con los Estatu- tos Generales, en 1943. El P. Eduardo Griffith contaba entonces treinta y nueve años; hacía quin- ce que había ingresado en el Oratorio de Londres, después de convertirse al Catolicismo, y diez que era sacerdote. Pero atesoraba ya una rica personali- dad: fue educado en el Eastbourne College, y luego pasó al King’s College, en la Universidad de Cambridge, graduándose en ciencias históricas. Con es- tos estudios cruzó el Atlántico para ser profesor de Historia en el Canisius College de Búfalo y luego en la Universidad de Georgetown, Washington D.C., hasta que encontró su estabilidad espiritual en el Oratorio londinense, que fue propiamente el verdadero hogar de su conversión, aun cuanto había abjurado de los errores del Protestantismo en la capilla de la Fisher House de Cambridge, a la que profesaba un cariño mezclado con la nostalgia de sus años de estudiante y de gratitud por la fe recibida. En el Oratorio, su temperamento sereno y jovial a un mismo tiempo y su energía y generosidad le hicieron un trabajador incansable en el apostolado de las conversiones, de la dirección espiritual y de la predicación. Sus ser- mones nítidos, nacidos de una profunda convicción y dichos con sencillez y dignidad, llegaron a granjearle cierta fama y fueron el aliciente de muchos no católicos que acudían a oirle en la basta nave del Oratorio, repleta de oyentes. Pero la segunda guerra mundial le arrancó temporalmente de la Casa de R. Mas, El Padre Eduardo Griffith 41

San Felipe y pasó al ejército como Capellán. Aquí tuvo ocasión de entregar- se ampliamente a una misión pastoral que completaría su celo sacerdotal. To- dos le recuerdan por su constante buen humor, simpatía e incansable caridad. Fue en la campaña de Italia que pudo renovar el. contacto con esta nación, tan amada por él, porque en ella, en Roma, siendo alumno del Colegio Beda en sus años de teología, había recibido el sacerdocio; porque en ella, como católico, se sentía ufano y lleno de admiración al ver tantos testimonios de su religión, y también, como oratoriano, porque en Italia habíá más Orato- rios que en ninguna otra nación. ¡Cuántas Casas de San Felipe le recuerdan, particularmente la romana, de cuando llegaba, sin avisar, con su lorry, su ca- mión-coche - más camión que coche… - llevando siempre algo que descar- gar: un saco de harina, unas cajas de conservas, azucar... en aquella época de terrible escasez de alimentos! Desde entonces ya fue siempre, para los ora- torianos italianos, «il caro Padre Edoardo»... En el Congreso de 1948 nadie preveía, en los primeros momentos, que iba a ser el elegido. Pero cuando salió Procurador General, fue unánime la satis- facción. Aceptó con modestia la elección, condicionándola al parecer de su propia Congregación, y dijo que ya suponía que no se debía a su persona si- no que era como un homenaje a los dos colosos ingleses: el Cardenal New- man, fundador del Oratorio de Birmingham, y el P. Faber, del de Londres. Pareció un Pentecostés, porque supo expresarse en las lenguas de los dife- rentes países representados, y el déficit del castellano se apresuró a reme- diarlo en seguida. Eran cinco las lenguas que hablaba y escribía: el inglés, el francés, el italiano, el alemán y, por fin, el castellano... En estos últimos tiem- pos le descubrí, entre sus libros, una gramática polaca: habría querido ir allí, a Polonia; pero cuando lo tenía todo preparado, y a pesar de las seguridades oficiales precedentes, el Consulado Polaco se volvió atrás y le negó el visa- do; ni pudo conseguir, a pesar de los enormes esfuerzos que hizo para ello, que nadie de nuestros hermanos de Polonia asistiera al reciente Congreso del año 1958. Fue ésta una pena que le afectó de una manera extraordinaria, por- que no había regateado nada para hacerlo posible y lo iba preparando desde largo tiempo. Cuando hayan pasado los años y se pueda hacer historia, no será posible referirse al padre Eduardo Griffith sin reconocer, muy por encima de las po- siciones jurídicas que tuvo dentro del Oratorio, las excelencias de su rica per- sonalidad humana, sacerdotal y filipense, y la grandeza y generosidad de su corazón, verdaderamente «gastado» en servicio y defensa de todo el Institu- to. Los que han sido sus colaboradores en la Procura General podrán dar tes- 42 ANNALES ORATORII timonio de aquel espíritu sereno, activo, simpático, sencillo, inteligente y dis- tinguido, todo de una pieza, que de la nada, y sin hacerse gravoso a nadie, inició y organizó el funcionamiento de la Procura, hasta convertirla en un or- ganismo eficiente, benefìcioso para todos, capaz de robustecer, sin injeren- cias, la. vida de las Congregaciones existentes y de asistir al nacimiento de doce Congregaciones más elevándose el número de los Oratorios extendidos por el mundo, de cuarenta a cincuenta y dos. Y también constituirá un capítulo especial de gratitud de todos hacia él, cuando se diga todo lo que hizo y dijo a los Superiores Apostólicos y a los Organismos de la Santa Sede, al asesorarles para salvar y mantener lo ge- nuino de la herencia espiritual y apostólica de San Felipe Neri. Por esto no es extraño que la misma Santa Sede, por boca de sus repre- sentantes, con gesto maternal, se complaciera, últimamente, en refrendar el deseo general de los oratorianos, delegando el cuidado y la custodia del Ins- tituto del Oratorio en el padre Eduardo Griffìth, de quien dijo públicamente al cerrar su Visita Apostólica Monseñor Compagnone, que «en su carne y en su alma llevaba, impresos con la huella del sufrimiento, todo el sacrificio y todo el amor que había dedicado al Oratorio», no sólo como Procurador Ge- neral, sino como colaborador, en casos especiales, de la misma Visita Apos- tólica. A pesar de los achaques que le afligían, convenía que fuese él quien es- trenara el cargo de Visitador del Oratorio como Delegado de la Santa Sede. Así lo comprendieron también los congresistas del año 1958, porque nadie tanto como él estaba capacitado para tener la visión completa y serena del estado de todo el Oratorio en esta época interesantísima de su progreso en la historia de la Iglesia. Y la Santa Sede, complacida, confirmó la designación con el nombramiento. Este nuevo cargo, que le daba verdaderas atribuciones, incluso jurídicas, sobre las Casas del Oratorio, no, le desvió de su posición de servidor y de hermano mayor de todos los oratórianos, y hasta, si cabe, la acentuó, llegàndo a un luminoso equilibrio de prudencia, de caridad y de sa- biduría, que no es dado comprender por los que nos lean, sino solamente por los Padres del Oratorio que hemos podido admirar las últimas cartas circula- res que de él hemos recibido y que constituyen, nos atrevemos a.decir, un es- tudio digno de figurar en la antología jurídica de lo que se haya escrito so- bre estados de.perfección encuadrados en Sociedades de vida común sin vo- tos, como es la nuestra. Poco ha vivido como Visitador, pero si no tuviera otros méritos, esto sólo le consagraba. Estas cartas, si solamente hubiese si- do muy inteligente, no las habría podido escribir: hay en ellas un respeto ha- R. Mas, El Padre Eduardo Griffith 43 cia el Oratorio genuino, que solamente puede nacer en un corazón verdade- ramente enamorado de San Felipe y profundamente preocupado por serle fiel. Y ya que hablamos de corazón, para ser fieles a la expresión cariñosa que un alto dignatario eclesiástico dijera al Padre Griffith, porque le encontró que era «un inglés con corazón», digamos dos palabras de sus predilecciones. Podría parecer difícil seleccionar, porque tuvo tanto afecto para todos, que todos se sentían predilectos suyos, por poco que le hubieran tratado. Amó mucho, y bien. Quien le oyera hablar de Francia, podría suponer que era su país de ensueño; pero es que hablaba con cariño de este pueblo, porque allí el Señor le hizo, decía él, las mayores gracias de iluminación para convertir- se. Quien le oyera de Alemania, la nación de la tenacidad, de la constancia, a la que tantas veces hacía alusión, se precipitaría si juzgara que menospre- ciaba a los demás. Y de Estados Unidos, el país joven, fuerte e ingenuo… Era «un inglés con corazón». Era un inglés y amaba profundamente a In- glaterra, aunque en ella los católicos sean minoría y a veces poco amados; y, de Inglaterra, amaba Cambridge, relacionándolo con su itinerario espiri- tual, por lo cual, naturalmente, el Oratorio de Londres remataba este amor como el objeto más acariciado, símbolo de su definitivo encauzamiento en el Señor. Dentro de la gran familia del Oratorio amaba a todos y no medía el amor; pero se inclinaba más solícitamente por los Oratorios pobres, y por las fun- daciones recientes, de las que se sentía muy padre. Ellas llevaron, tal vez, la mayor parte de sus fatigas y ellas le costaron más sacrificios, y seguramente por esto era mayor su amor por ellas El que escribe estas líneas no podrá ol- vidar jamás la impresión fatal que le causó la figura del padre Griffith, al que había despedido meses atrás lleno de energía y rebosante de fortaleza física, cuando le vio bajar del avión que le restituía a Roma, desde Bogotá, donde se habían multiplicado sus desvelos por aquella Congregación naciente. No midió su entrega y por esto regresaba con las primeras huellas de su enfer- medad mortal. Era a principios de 1955, y aunque tuvo altibajos en la salud, y hasta, según el dictamen de los médicos, debía esperarse de él una vida más larga que la de estos casi fugaces cincuenta años, segados precipitadamente por la guadaña de la muerte, lo cierto es que nunca más se sintió completa- mente bien. Otra predilección suya ha sido Italia. Lo saben muy bien todos los Orato- rios italianos y cada uno de sus miembros. Fuese que allí terminó su prepa- ración para el sacerdocio en 1938; fuese que, capellán de la Army, asistió a la hora de la paz, tan deseada, estando en Roma; fuese que tuvo que vivir 44 ANNALES ORATORII preponderantemente allí por razón de su oficio, lo cierto es que, sin dejar de ser siempre «un inglés», tuvo para esta nación como un enamoramiento que ningún desengaño habría podido destruir. Era la sede del gobierno de la Igle- sia, el centro de la Cristianidad, la patria de San Felipe... y le gustaba, sin de- jar de ser «un inglés», la vivacidad, la alegría, la luz y el color de aquella tie- rra y de sus moradores, y cuando por ser anglosajón hubiera podido disgus- tarle la ausencia de la puntualidad matemática o de la constante formalidad propia de los países del norte, veía en la aparente algarabía de algunas situa- ciones aquel «bello desorden» caaácterístico de los países latinos, y en par- ticular, de algunas regiones italianas, que le conquistaban el corazón. Ha muerto y ha querido ser enterrado en Italia y en el cementerio de una Con- gregación pequeña, la de Mondovì, para que hasta en esto se resumieran es- tas dos predilecciones. Después de rezar sobre su tumba, apenas cerrada, en este cementerio lim- pio, ordenado y esmaltado de flores, he visto un angel de bronce que se ele- va por encima del remate de todas las tumbas: es una magnífica escultura de Calandra, fundida en metal por encargo de la familia Oggè. Hay una ins- cripción que dice: Angelus Dei comitetur vobiscum. Sí, que acompañe a él y a todos los que allí se enterraron. Pero que él, después de habernos hecho de padre, nos siga haciendo de ángel, desde el Cielo, para acompañarnos al Ora- torio de la eternidad, donde nos aguarda San Felipe, el santo del corazón.

Ramón Mas, C.O. C. Abbate, P. Edward Griffith 45

Rariora

IN MEMORIAM

P. EDWARD GRIFFITH *

Il 14 giugno u.s.** un gravissimo lutto ha colpito le Congregazioni Filip- pine sparse in tutto il mondo. A Livorno, dove si era recato sulla fine di maggio per trascorrervi un pe- riodo di convalescenza o, meglio, di completo riposo, dopo sette lunghi me- si di degenza nella clinica “Salvator mundi” dell’Urbe, improvvisamente spi- rava il P. Edward Griffith, primo Visitatore in atto e già primo Procuratore Generale dell’Istituto dell’Oratorio di S. Filippo Neri. Nel delinearne qui brevemente la massiccia figura, non staremo a soffer- marci né sulla sua nascita da famiglia anglicana, avvenuta a Londra il l° mag- gio 1909, né sulla sua prima educazione all’ “Eastbourne College” e sui suoi studi universitari compiuti al famoso “King’s College” di Cambridge, ove conseguì il titolo accademico di “Master of Arts”, né sulla sua conversione alla Chiesa Cattolica e sul suo insegnamento negli Stati Uniti d’America, pri- ma al “Canisius College” di Buffalo e poi alla “Georgetown University” di Washington, né sulla sua vocazione filippina, cui seguì il 6 dicembre 1933 la vestizione e il noviziato, e sui suoi connessi studi al Collegio Beda di Roma, ove fu ordinato Sacerdote il 12 marzo 1938, né sul suo apostolato di Cap- pellano Militare dell’esercito britannico esplicato nell’ultimo conflitto mon- diale e sulla sua attività di Prefetto dell’Oratorio svolta a Londra fra il 1945 e il 1948 e impegnata in gran parte nel difficile ministero delle conversioni. Per tutti questi dati biografici e per altri che potrebbero aggiungersi il P. E. Griffìth appartiene, o potrebbe appartenere, alla scia luminosa della be- nemerita Congregazione Filippina londinese o anche – se si vuole – al pro- cesso di progressivo sfaldamento dello scisma anglicano: comunque, al- l’ambiente britannico. Per l’insonne attività da lui svolta dalla sua elezione a Procuratore Generale dell’Istituto dell’Oratorio (8 ottobre 1948) fino alla

* ABBATE C., Il P. Edward Griffith, primo “Procuratore Generale dell’Istituto dell’Oratorio di S. Filippo Neri” e primo “Visitatore dell’Oratorio”, In Aevum, XXXI (1959), 5-6, pp. 75-85. ** n. d. R.: 1959. 46 ANNALES ORATORII vigilia – può ben dirsi – della sua triste scomparsa egli appartiene indub- biamente a tutto l’Istituto di S. Filippo Neri con un rilievo e un’importanza di primo piano. Non sembrerà quindi ingiustificato, se noi, sorvolando quasi a piè pari sui precedenti biografici accennati, restringeremo questo nostro breve profilo al- l’ultima tappa della sua laboriosa giornata terrena, senza dubbio la più fati- cosa e significativa. Quanti adeguatamente conoscono quel genialissimo Santo, che fu S. Fi- lippo Neri, e la Congregazione dell’Oratorio da lui fondata sanno che le sin- gole Congregazioni Filippine - i cui singoli membri per espressa volontà del Fondatore non sottostanno ad alcun legame di voti, giuramenti o promesse - non dipendono da alcun superiore generale o provinciale, che le regga e go- verni. Per l’assoluta autonomia, di cui gode, ogni Casa Filippina è dunque come una libera ariosa isola, inondata dal sole fulgido della carità di Cristo, unico vincolo, al quale S. Filippo, ricalcando il fervore di vita dei tempi apostoli- ci, volle raccomandare la sua originalissima creazione. Nella Congregazione di S. Filippo nessun travaso di soggetti da una Ca- sa ad un’altra, nessuna imposizione o coartazione dall’alto, nessun formali- smo o schema preconcetto, ma rispetto massimo della personalità umana nel- la sua individua concretezza: abitata sempre dagli stessi membri, ogni Casa Filippina ha - per dirla con un’immagine dei nostri Padri antichi cara al Card. Newman - tutto il tepore d’un “nido”; sorretta dalla più piena libertà è - se- condo una felice espressione del Card. Baronio - come una “repubblica ben ordinata”. Legge sovrana in ogni Congregazione Filippina è il comando di Gesù agli Apostoli: “Hoc est praeceptum meum, ut diligatis invicem, sicut di- lexi vos... Haec mando vobis, ut diligatis invicem” (Io. 15, 12; 17). Ed inve- ro in ogni Congregazione o, diciamo meglio, in ogni Famiglia Filippina, che viva dello spirito del nostro Santo, dovrebbe perennemente aleggiare il più puro e il più fraterno degli affetti, dovrebbe davvero ripetersi il miracolo del- le prime comunità cristiane, i cui credenti – senza alcun vincolo esterno, che ve li spingesse – erano “cor unum et anima una” (Act. 4, 32). Se non che proprio là, dove è da vedere uno degli aspetti più originali del- l’Istituto di S. Filippo, il tempo e l’esperienza dimostrarono nascondersi - quasi rovescio della medaglia - un grave pericolo: il pericolo dell’isolamen- to delle singole Congregazioni e il conseguente intristimento ed esaurimen- to di alcune di esse. Questo pericolo non si avvertì per tutto il Seicento e per la maggior par- C. Abbate, P. Edward Griffith 47 te del Settecento, quando le Congregazioni Filippine – numerosissime – fio- rirono più o meno rigogliose. Cominciò ad avvertirsi, per cause diverse, sul- la fine del Settecento e molto più nell’Ottocento, fino a quando, sulle soglie del Novecento1, la progressiva estinzione di molte Case e le tristi condizioni di parecchie altre non indusse un autentico Filippino dal cuore ardente e fi- ducioso, Mons. Giambattista Arista, a levare alta la sua voce per una unione fra le Congregazioni Filippine, che, senza travisare o deformare la primige- nia struttura della Congregazione di S. Filippo, ponesse fine alla disastrosa piega e, creando una specie di confederazione con appositi organi alla som- mità, fosse un valido aiuto per le Congregazioni in difficoltà, strumento di resurrezione per le estinte, lievito per la fondazione di nuove. L’idea, sbocciata dunque proprio qui, ad Acireale, suscitò – com’è ovvio – caldi consensi da una parte e aspre polemiche dall’altra, ma in ultimo finì per trionfare, dando appunto vita – sotto la vigile e premurosa guida della S. Sede – ad un organismo confederale, denominato “Istituto dell’Oratorio di S. Filippo Neri”, con suoi propri organi e con un suo corpo di leggi: il tutto sen- za la minima deformazione dell’idea archetipa del Fondatore. Nasce così l’8 ottobre 1948, col suffragio di tutte le Congregazioni Filip- pine del mondo riunite in Congresso e con un rilievo tutto particolare, il Pri- mo2 Procuratore Generale dell’Istituto dell’Oratorio nella persona del P. E. Griffith dell’Oratorio di Londra: elezione, che egli accettò con grande senso di modestia, dicendo che essa non si doveva certamente alla sua persona, ma era come un omaggio ai due colossi inglesi, fondatori delle Congregazioni Filippine di Birmingham e Londra, il Card. J.H. Newman e il P. F. G. Faber. Il fardello caduto sulle spalle del buon P. Edoardo in quel lontano au- tunno del 1948 era invero di quelli, che, ad abbracciarli integralmente, val- gono a schiacciare sotto il loro peso qualsiasi fibra, anche la più robusta. Un compito nuovo da affrontare, una via nuova da percorrere, una tradizione nuova da stabilire, senza casa, senza collaboratori, senza mezzi: questa l’ar- dua impresa che lo attendeva, tale invero da far tremare a chiunque “le ve- ne e i polsi”.

1 Il primo appello – sia pure in termini di timida (tanto timida, quanto esplicita) proposta al Ven. P. Giulio Castelli, fondatore della Congregazione Filippina di Cava dei Tirreni – risale esat- tamente al 13 agosto 1893 (Cfr. “In Aevum” 1948, Suppl. al fasc. Sett.-Ott., pp. 83-84). 2 Prima del 1948, se vi furono due Procuratori Generali (P. Carlo Naldi e P. Giuseppe Timpa- naro delle Congregazioni Filippine di Firenze e Acireale), essi non furono eletti da un Congresso Filippino Internazionale, ma direttamente nominati dalla S. Sede con compiti e funzioni del tutto particolari. 48 ANNALES ORATORII

E quanto egli abbia fatto per adeguarsi il più possibile alla sua moltepli- ce funzione, quante e quali difficoltà abbia egli dovuto superare o fronteg- giare nessuno forse saprebbe abbastanza immaginare, se non tralucesse – pur nel prudente riserbo, che gli fu abituale – dai copiosi scritti indirizzati fin da principio alle singole Congregazioni, da quegli scritti, stilisticamente infari- nati d’inglese, che sono il riflesso più fedele della sua tempra e che si trova- no poi come compendiati e fusi in visione sintetica nell’amplissima relazio- ne non ufficiale inviata al termine del decennio a tutte le Congregazioni.

* * * Suo primo obiettivo, appena eletto, fu quello di visitar tutte e singole le Congregazioni, sì da prender con esse diretto contatto e porsi nelle condi- zioni migliori per conoscerne e sposarne i problemi e le necessità. Attraver- so queste visite e questi contatti personali egli fu conosciuto e apprezzato - oltre che, s’intende, nella sua terra natale - in tutto il mondo filippino: in Ita- lia, Spagna, Germania, Stati Uniti d’America, Messico, Salvador, Columbia. Non riuscì a visitare – e grande ne fu il suo rammarico – solo i Confratelli delle due Congregazioni di Polonia: all’ultimo momento, quando tutto era pronto per il viaggio, il consolato polacco gli negò il visto, frustrando le pre- cedenti assicurazioni. Il giro per tutte le Congregazioni Filippine esistenti nel mondo, eccettua- te quelle di Polonia, – il primo, che un Filippino abbia compiuto – gli fu enor- memente facilitato dalla buona conoscenza che ebbe di tutte le lingue parla- te nei rispettivi paesi. Ignorava solo il polacco, ma da tempo doveva essere alle prese anche con questa lingua, se fra i suoi libri fu scoperta una gram- matica polacca. Venne così anche in questa nostra Congregazione e vi tornò più volte: sempre discreto, affabile, gioviale.

* * * Preso contatto con le Congregazioni Filippine da una parte, con la S. Se- de dall’altra, il P. E. Griffith si diede anima e corpo alla realizzazione del suo intenso e complesso, seppur tacito, programma, le cui linee maestre possono riassumersi, a nostro avviso, nei seguenti punti fondamentali: – Fondazione di nuove Congregazioni; – Assistenza alle Congregazioni esistenti; – Rispetto profondo dell’autonomia. C. Abbate, P. Edward Griffith 49

Cooperare con tutte le forze alla fondazione di nuove Congregazioni fu la sua più fervida aspirazione. “Il mio più felice scopo, servendo la Famiglia di S. Filippo, e il mio più gioioso dovere di riferire è la cooperazione per le nuo- ve Fondazioni”. Così scriveva nella relazione sopra menzionata. Convinto che la geniale istituzione di S. Filippo è oggi, forse più che mai, rispondente ai tempi, non risparmiò fatiche, tempo, iniziative per piantare le tende dell’Apostolo di Roma dovunque gli fu possibile. E i suoi sforzi non furono vani: ben undici Congregazioni in diverse parti del mondo (1 in Ita- lia; 2 nella Spagna; 5 in Germania; 1 negli Stati Uniti di America; 1 nel Sal- vador; 1 nella Colombia) furono canonicamente erette nel decennio 1948- 1958 e, se una dodicesima, in Polonia, non ottenne la Bolla Pontificia, ciò fu dovuto “più alle speciali circostanze che al merito e all’importanza di quel- la nuova Comunità”. Ben a ragione dunque – e non per vana iattanza, ma per l’intima gioia, che gli traboccava dal cuore – poteva mettere a fronte “tempo e numeri”: dodici nuove Congregazioni nel breve giro di dieci anni di fronte a cinque sole Congregazioni nel lungo volgere d’un secolo (1849-1948). Il consolante raffronto e la constatazione che le nuove Congregazioni non erano sorte “in un’unica nazione o in un unico continente, ma, come abbiamo detto, in di- verse parti del mondo, erano per lui la prova più tangibile della “vitalità e attualità dell’idea e degli ideali, che l’Oratorio rappresenta ed incarna nel mondo”. Ma non bastava evidentemente adoperarsi in tutti i modi perché nuove Congregazioni sorgessero sotto il segno di S. Filippo. Bisognava arrestar su- bito il processo di sgretolamento di talune Congregazioni già esistenti, im- primervi un rinnovato ritmo di vita, trasfondervi nuovo sangue, aprirne il cuore alla speranza; bisognava soprattutto creare fra le Congregazioni esi- stenti quel ponte ideale, che, sognato per la prima volta da Mons. Giambat- tista Arista, aveva ormai trovato nei nuovi Statuti la sua concreta e felicissi- ma formulazione giuridica. Di questo urgente ed imperioso bisogno fu profondamente penetrato, fin dall’inizio della sua carica, il P. E. Griffith, che non lesinò tempo, premure ed energie nel suo costante sforzo di essere il meno possibile impari all’a- spetto più difficile e delicato del suo multiforme compito. La discrezione – quella stessa discrezione, che fu una delle più chiare tra- sparenze del suo carattere e che improntò costantemente la sua attività, il suo parlare, i suoi scritti – ci vieta qui di scendere a particolari. Vogliamo solo porre l’accento sul complesso groviglio di difficoltà, cui quest’opera di fra- 50 ANNALES ORATORII terna assistenza e di efficiente affratellamento era destinata ad andare incon- tro per la stessa struttura dell’Istituto, perché luminoso rifulga il merito di chi con caldo affetto, inesauribile pazienza e felici accorgimenti seppe dare con- cretezza di vita a quel che prima sembrava vano anche sperare. Chi pensi che, a norma degli Statuti Filippini, il Procuratore Generale non ha autorità alcuna sulle singole Congregazioni, che il suo intervento in esse è condizionato al caso in cui constano di un solo membro, o alla loro libera richiesta, che egli non ha alcuna facoltà di trasferire un membro da una Con- gregazione ad un’altra, che le Congregazioni non son tenute ad inviare ele- menti propri in Congregazioni sorelle in difficoltà, né financo a sostenere con loro contributi l’opera soccorritrice del Procuratore Generale, chi pensi in una parola che nell’Istituto di S. Filippo tutto deve articolarsi in chiave di piena libertà, senza cioè costrizioni di sorta, si renderà facilmente conto degli sco- gli e delle angustie, che un Procuratore Generale dell’Istituto dell’Oratorio è costretto ad affrontare, degli scogli e delle angustie che il Primo Procuratore Generale fu costretto ad affrontare. Ricordiamo ancora – e non potremo facilmente dimenticarlo – il nostro ultimo incontro nella clinica “Salvator mundi”, pochi mesi prima della sua scomparsa. Lo trovammo seduto a metà letto con la forcellina dell’ossigeno alle narici e con in mano il nostro lavoro sulle Costituzioni e sugli Statuti Fi- lippini3: quel lavoro, che egli aveva voluto fosse ciclostilato a spese della Procura (e le spese andarono oltre le 300.000 lire) in cento esemplari per il bene delle Congregazioni soprattutto italiane, dopo aver pensato in primo tempo addirittura ad una riproduzione fotografica costosissima. Parlammo in quella nostra visita di questo e di quello e, tra l’altro, noi esprimemmo il no- stro profondo convincimento che per la rinascita delle Congregazioni Filip- pine è assolutamente necessario provvedere alla istituzione - prevista dagli Statuti - di Scuole Apostoliche regionali. Ricordò allora che altre volte noi avevamo toccato lo stesso tasto e, gli occhi accesi, ci disse: “Il P. Abbate bat- te sempre su lo stesso chiodo, ma ha perfettamente ragione”. In realtà la isti- tuzione di Scuole Apostoliche Filippine era stato uno dei suoi “chiodi” fissi e tutti qui, ad Acireale, ricordiamo con quale intima compiacenza visitasse la Scuola Apostolica di questa Congregazione, con quale palese godimento si intrattenesse fra i nostri aspiranti e novizi. Il P. E. Griffith seppe dunque amare le singole Congregazioni, seppe far- ne sue le ansie, le difficoltà, i problemi. Ma quel che più conta sottolineare

3 Costituzioni e Statuti Generali - Versione italiana, note e appendici del P. C. A. d.0. C. Abbate, P. Edward Griffith 51

è che seppe amarle, seppe viverne le necessità da fratello, nel più assoluto ri- spetto di quell’autonomia, che è l’espressione più genuina della volontà del Fondatore e l’eredità più sacra da Lui trasmessaci. Pienamente consapevole che la sovranità delle singole Congregazioni in- veste la natura stessa dell’Istituto di S. Filippo in uno dei suoi elementi più originali e delicati, non interferì mai incautamente nell’andamento, sia pure non del tutto esemplare, di questa o quella Congregazione, nemmeno quan- do a talune Congregazioni si accostò, per necessità, nella veste di Delegato della S. Visita Apostolica, rivestito cioè di un potere che come Procuratore non poteva avere, perché espressamente escluso dagli Statuti. Il riflesso di questa sua aurea regola di condotta, alla quale informò sem- pre la sua azione benefica, traspare dalla relazione citata, dove il richiamo al- l’autonomia torna insistentemente in tutti i toni e per quasi tutti i rilievi ivi ampiamente svolti. Ci sarebbe proprio da trarne un piccolo mosaico di espres- sioni e osservazioni – d’ordinario piuttosto brevi –, che tutte insieme rivela- no il suo profondo rispetto per la più preziosa gemma filippina. Ci piace ri- portarne qualcuna, che tutte le riassume e rispecchia: “Discrezione e rispet- to per l’autonomia mi spingono ad esser piuttosto riservato sui dettagli (ri- guardanti le Congregazioni di nuova fondazione)”; “Senza autonomia l’idea di S. Filippo e la nostra vocazione non possono realizzarsi”; “L’autonomia è un’eredità ed un compito ininterrotto per ogni singolo Oratorio ed Oratoria- no”; “La conoscenza – durante le varie visite – dell’apostolato di differenti paesi e nazioni mi ha fatto meglio comprendere la necessità dell’autonomia ed il bisogno del suo rispetto vero”; “La Federazione dovrà anche rafforzare l’autonomia”; ecc. Il pericolo più grave di offuscare il principio di autonomia, che deve ani- mare l’Istituto di S. Filippo, sta nella difficoltà di conciliare o armonizzare la sovranità delle singole Congregazioni con l’unità confederale e con la fun- zionalità dei relativi organi centrali previsti dagli Statuti. Se da un lato infat- ti il Procuratore Generale non ha – come abbiamo detto – alcun potere sulle Congregazioni e sui loro membri, dall’altro non ultimo dei suoi doveri è quel- lo di “promuovere l’unione fraterna delle Congregazioni e la loro mutua col- laborazione” (St. Gen. n. 82, III, 3), giacché, pur nell’assoluto rispetto per l’autonomia, “la S. Madre Chiesa desidera stretta cooperazione fra le nostre Congregazioni, una cooperazione che comprenda responsabilità reciproca e – in alcuni casi – aiuto reciproco”. Il P. E. Griffith, per quel senso di equilibrio, che gli fu – diremmo – con- naturale, seppe trovare e imboccare la giusta via: quella giusta via, che lo ten- 52 ANNALES ORATORII ne ben lungi da inconsulte deformazioni e lo guidò nella ricerca dei mezzi atti a realizzare il sogno ormai comune della Confederazione Filippina. Il suo punto di vista a riguardo è anch’esso diffusamente chiarito nella re- lazione citata. Egli vide l’unità attraverso e in funzione dell’autonomia e que- sta nel quadro di quella, sintetizzando il suo pensiero nello slogan “varietà nell’unità; unità nella varietà”. Mezzo e condizione imprescindibili per rea- lizzare questo piano ideale è anzitutto evitare i due estremi dell’ “isolazioni- smo” e della “centralizzazione”: il primo, che è l’esasperazione del principio di autonomia, l’atteggiamento cioè negativo di chi vuol restare chiuso in se stesso, al di fuori di ogni “responsabilità per gli altri”, il secondo, che è la ipertrofia dell’anelito all’unione, l’atteggiamento cioè funesto di chi rischia di scivolare - sia pure inconsapevolmente - in posizioni che involvono “au- torità centrale”, con conseguente “decadenza tanto della autonomia che del- la federazione”. Occorre poi che nelle singole Congregazioni “vi sia una lar- ga comprensione per le caratteristiche altrui”, cioè “rispetto per l’altrui auto- nomia, per i punti di vista, le abitudini e la procedura delle altre Congrega- zioni”, così come è necessario che il Procuratore Generale, nel promuovere la intesa e la solidarietà fra le singole Congregazioni, adotti come suo meto- do quello di “ispirare e non spingere; ispirare e non dirigere”. “Un consiglio od un’iniziativa, che in realtà è una via di coercizione camuffata, fa più ma- le che bene. Se l’ideale della nostra reciproca solidarietà e confederazione nell’Istituto è sana e secondo lo spirito di S. Filippo, l’idea frutterà senza bi- sogno di spinte”. “Il più grande pericolo per il Procuratore e per il suo lavo- ro è - a quanto mi sembra - il considerare e valutare i problemi e le difficol- tà di altre Congregazioni secondo i punti di vista e l’idea della sua mentali- tà e quella della sua Congregazione. Un Procuratore, che volesse imporre co- me misura ed esempio le abitudini e le idee del suo Oratorio in merito alla vita e all’apostolato di altre Congregazioni, ne limiterebbe necessariamente non soltanto la efficienza, ma introdurrebbe – istintivamente – l’uso dell’u- niformità e la conseguente centralizzazione”. Insomma carità e libertà, come sono i presupposti inderogabili della vita filippina in ogni singola Congregazione, così debbono stare e restare alla ba- se del processo unitario, che dovrà condurre ad una viva ed efficiente confe- derazione di tutte le Congregazioni Filippine. Il P. E. Griffith è in gran parte qui, nel saper cogliere, in una situazione o in un problema, l’essenziale, senza trascurare le sfumature o il giuoco delle ombre e delle penombre. C. Abbate, P. Edward Griffith 53

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Queste le linee, che diremmo più appariscenti, dell’operosità e degli in- tendimenti del P. E. Griffith. Quando si tenga presente che egli dal 24 aprile 1957 fu anche Postulatore Generale e Procuratore Nazionale Italiano e per tutto il decennio 1948-1958 braccio destro della S. Visita Apostolica e a tut- to ciò si aggiungano le non lievi difficoltà incontrate per la sede e il mante- nimento della Procura, il cumulo delle incomprensioni e delle amarezze pa- zientemente sorbite, le immancabili delusioni di chi molto si propone di fa- re e trova la via sbarrata da scogli insospettati e, talora, insormontabili, il re- ciso proposito costantemente perseguito di non gravare per nulla sulle sin- gole Congregazioni e sui singoli confratelli, sì da poter essi testimoniare al- la fine del decennio che “la Procura Generale non fu mai un peso” per nes- suno, si ergerà in tutta la sua ricchezza polivalente la poliedrica figura del Primo Procuratore dell’Istituto dell’Oratorio. Evidentemente con quanto siamo venuti dicendo non intendiamo certo proclamare o decantare miracolistici successi o mirabolanti mete raggiunte, gonfiando – com’è pessimo costume nelle necrologie – la realtà delle cose. Ridurre a unità cellule comunitarie per loro natura libere e indipendenti, che una tradizione secolare ha tenuto pressoché chiuse in se stesse, è impresa estremamente ardua, che richiede soprattutto il battesimo del tempo. “L’Isti- tuto, la fraterna cooperazione, che legalmente esiste, abbisognano di vari an- ni (noi diremmo di “vari decenni”) per divenire una realtà”, scriveva lo stes- so P. Griffith sulla fine della citata relazione. In realtà, per una effettiva unio- ne delle Congregazioni Filippine di tutto il mondo, per giungere ad un effet- tivo reciproco appoggio fra di esse bisognerà, a nostro avviso, superare tali e tante difficoltà, sapere attendere tanto tempo, quante sono le difficoltà che bisognerà superare, quant’è il tempo che bisognerà lasciar trascorrere per rea- lizzare gli Stati Uniti d’Europa. Nel porre dunque in rilievo la decennale fatica del compianto P. E. Grif- fith intendiamo solo sottolineare che l’azione da lui svolta fra mille scogli, con inesauribile dedizione alla buona causa dell’Istituto, ha un suo profondo significato e quasi il valore d’un simbolo: essa sta a dimostrare che il sogno carezzato da Mons. Giambattista Arista, se, come tutte le grandi cose, impli- ca tempo e difficoltà, non è certo utopia d’un fanatico. Il P. E. Griffith ha aperto una strada nuova, larga e luminosa: una strada, sulla quale – ne siamo certi – non ci si fermerà. 54 ANNALES ORATORII

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Il migliore riconoscimento delle eminenti qualità del P. E. Griffith e del- la sua inestimabile costruttiva opera, spesa a bene dell’Istituto, si ebbe nel II Congresso Filippino Internazionale, tenutosi a Roma – come di regola – nel- lo scorso ottobre. Questo secondo Congresso di tutte le Congregazioni Filippine del mondo – dobbiamo dirlo per quanti non lo sanno – ha nella storia dell’Istituto una portata e un’importanza di incalcolabile risonanza giuridica: una portata e un’importanza incomparabilmente più grandi che la portata e l’importanza del Congresso tenutosi nel 1948, quando fu eletto il Primo Procuratore Ge- nerale. Durante il suo svolgimento infatti la S. Sede faceva pervenire all’as- semblea riunita in seduta plenaria un Decreto, col quale, mettendo fine alla S. Visita Apostolica – istituita a suo tempo per aggiornare le Costituzioni e porre le basi dell’auspicata Confederazione Filippina – e confermando per l’ennesima volta l’assoluta autonomia delle singole Congregazioni, inseriva nella compagine dell’Istituto una nuova figura giuridica: il “Visitatore del- l’Oratorio”. Visitatore dell’Oratorio, che, per quanto eletto dal Congresso Filippino e confermato dalla S. Sede, non è affatto (chè non poteva esserlo, senza che la Congregazione di S. Filippo ne uscisse miseramente deformata) un “mode- rator generalis”, ma solo un “custos iuris communis Ecclesiae et legum Ora- torio propriarum”, qual “Delegato” della S. Sede. Ognun vede però che questa nuova figura, indiscutibilmente necessaria e genialmente concepita dal punto di vista giuridico, è ben altra cosa che la fi- gura del Procuratore Generale: questi infatti “nullam potestatem neque in Congregationes neque in Sodales habet; nullam canonicam Visitationem pe- ragere potest” (St. Gen. n. 74), mentre il Visitatore dell’Oratorio, sia pure sot- to determinate condizioni, ha la stessa autorità della S. Sede, che rappresen- ta e da cui ripete il mandato; il Procuratore Generale è il rappresentante del- le singole Congregazioni e dei loro singoli membri presso la S. Sede, il Vi- sitatore dell’Oratorio il rappresentante della S. Sede nei riguardi delle singo- le Congregazioni e dei loro singoli membri. Nel Congresso dunque dello scorso ottobre i Padri convenuti a Roma fu- rono chiamati ad eleggere, per votazione segreta, oltre il Procuratore Gene- rale e gli altri Ufficiali dell’Istituto, anche il Primo Visitatore dell’Oratorio. La scelta questa volta era, come mai, impegnativa e molto delicata. Si trat- tava di affidare per la prima volta l’autorità stessa della S. Sede ad un Padre C. Abbate, P. Edward Griffith 55

Filippino: ad un Padre Filippino, che desse, sotto ogni aspetto, piene garan- zie, che soprattutto non fosse capace di atteggiarsi prima o poi a un “mode- rator generalis” sotto mentite spoglie. Superata una certa esitazione per la sua fibra ormai visibilmente logora, la scelta cadde, quasi unanimemente, sul P. E. Griffith, così come su di lui era caduta qualche giorno prima l’elezione a Presidente del Congresso. È questa per noi la più chiara riprova che in dieci anni il P. E. Griffith aveva lavorato, che aveva saputo lavorare, che era riuscito a cogliere la linfa nuo- va, che fluiva per il secolare e glorioso tronco della Congregazione di S. Fi- lippo, a incarnare in sé le aspirazioni del rinnovellato mondo filippino. Ma, ohimè, quell’impressione di prostrazione fisica, che aveva indotto molti ad esprimere riserve sulla opportunità di puntar sulla sua persona per la elezione del Visitatore, era tutt’altro che illusoria. Appena un mese dopo la sua elezione, un attacco acuto di pleuropolmonite, che veniva ad aggrava- re le sue già precarie condizioni di salute minate fin dall’autunno del 1955 da due attacchi cardiaci, lo costringeva ad entrare in clinica. Era l’attacco dal quale non si sarebbe più riavuto. Noi uomini non possiamo certo affondare lo sguardo nel fitto mistero che circonda la morte, ministra anch’essa – e non ultima – dell’arcana Provvi- denza di Dio, ma se ci è lecito, sul piano umano, rischiare un giudizio, que- sto è che il nostro P. Edoardo sotto il peso della sua pesante croce di Primo Procuratore ha sensibilmente affrettato il tramonto della sua molto laboriosa giornata terrena. Le sue spoglie mortali riposano adesso, per suo espresso desiderio, in ter- ra italiana, nel cimitero di Mondovì Breo (Cuneo), sede di una Congrega- zione Filippina a lui particolarmente cara. Dinanzi a quella tomba tutti, con- fratelli e amici, profondamente ci inchiniamo, scorgendo nello spirito che so- pra vi aleggia chi fu e resterà un pioniere, l’archegeta - nel significato dina- mico della parola – dell’Istituto dell’Oratorio.

Cesare Abbate, C. O.

A. Spina, P. Giuseppe Timpanaro 57

Rariora

IN MEMORIAM

P. GIUSEPPE TIMPANARO *

Le ultime volte che andai a visitarlo nella clinica non ebbi il coraggio di parlargli. Sotto il grande peso del male lo trovai abbattuto e non sempre in piena coscienza e creargli uno sforzo per riconoscermi, per parlare, mi sem- brava inumano. Speravo ogni volta che, ritornando, l’avrei trovato meglio per iniziare di nuovo il nostro conversare che aveva quasi sempre per argomento il pensiero che gli era divenuto dominante: la Causa di Beatificazione di Mons. Arista. Ma ogni volta la speranza luceva meno nel mio cuore e P. Timpanaro, tra gravissime sofferenze, si spegneva. E ora, con l’animo che corre invano al desiderio di riprendere il colloquio col confratello, col mio padre spirituale, sol mi resta ubbidire all’incarico di ricordare l’opera sua a quanti lo conobbero e a quanti, con la vampa del suo ardente cuore sacerdotale, affascinò all’amore di Gesù. Ragazzo, prima che l’avessi visto, sentivo spesso parlare di lui e dell’ope- ra sua. Un giovane della Diocesi, che l’aveva conosciuto in un pellegrinaggio a Valverde, impressionato dell’energica attività che mostrava P. Timpanaro mi diceva di aver visto quasi un capitano. E quell’immagine troppo sensibile for- se, a cui poco feci caso, quando lo conobbi, mi si ridestò al primo vederlo, e sotto questo profilo non potei cessare di guardarlo: un capitano dell’esercito di Cristo. Non semplice soldato, perché il suo apostolato egli specialmente lo rivolse al campo sociale e organizzativo e vi fu sempre in testa. È incredibile, per chi non lo conobbe, solamente immaginare la vulcani- ca attività, il travolgente spirito che l’animava, l’instancabile anelito per nuo- ve iniziative e nuove conquiste. Sembrava qualche volta esagerato, riusciva anche a stancare i più animosi, ma lui non si stancava mai. Io che lo conobbi solo in parte nel pieno della sua attività dopo il suo ri- torno da Roma, restavo ammirato e sorpreso dell’arditezza dei suoi desideri, della grandiosità dei suoi propositi, anche nell’ultimo periodo di sua vita,

* SPINA A., In memoria di P. Giuseppe Timpanaro, “In Aevum”, 25 (1953), 8-9, pp. 2-5. 58 ANNALES ORATORII quando i medici consigliavano riposo, anche negli ultimi mesi quando l’ine- sorabile male già faceva le prime manifestazioni minacciose. Ma P. Timpanaro non conobbe difficoltà per cui dovesse tornare indietro. Se esistevano le vedeva piuttosto come vette da valicare. Perché troppo eco aveva nel suo animo il canto di Longfellow, che egli ammirava, e che a scuola commentava più che con l’ammirazione dell’este- ta, con l’accento caldo dell’entusiasta. Le generazioni più giovani non abbiamo idea della temperie che s’era for- mata nella nostra città prima dell’altra guerra. Acireale, cittadina di parecchie decine di chiese, di istituti religiosi, di tra- dizionale fedeltà ai principii cristiani, veniva investita da forte ventata di an- ticlericalismo e la massoneria organizzata, forte di rappresentanti della cul- tura, minacciava pericolosamente. Al liceo classico più di un professore si compiaceva di bistrattare impunemente i giovani che facevano aperta pro- fessione di fede. Contro il pericolo di traviamento della gioventù, nel Nord specialmente, si era opposta l’opera dei circoli e dava magnifiche prove. La nuova forma di apostolato per un animo aperto al bene, qual era P. Timpa- naro, con la sua inclinazione verso i giovani, potenziata dalla ardente voca- zione filippina, lo conquise. Intuì il momento, riconobbe il rimedio e lo at- tuò in quella che ancor oggi, nei benefici effetti che produce, resta l’opera più bella e da lui immensamente amata: il Circolo “Amore e Luce”. Sui giovani aveva un fascino irresistibile e in breve li conquistò in gran nu- mero. Sessanta, tutti giovani liceali e universitari furono i primi che all’altare di S. Filippo il 29 gennaio 1911 ricevettero da Mons. Arista la tessera. Erano una promessa e presto diventarono una forza. E la forza non la die- de il numero, ma la formazione religiosa e la compattezza dell’organizza- zione. Corsi di cultura religiosa tenuti dal dottissimo Mons. Salvatore Scac- cianoce e dallo stesso P. Timpanaro formavano le menti e le scaltrivano con- tro i luoghi comuni dell’anticlericalismo massonico; la frequenza dei sacra- menti e la divozione alla Madonna della Purità nutrivano il cuore. E l’“Amo- re e Luce” fu seme crescente e dilatantesi e lievito fermentatore. Di là i maestri di catechismo per i fanciulli, i propagandisti, gli organiz- zatori, i fondatori di nuovi circoli, in città e diocesi, di là i primi presidenti e la maggior parte dei componenti la Federazione. P. Timpanaro era la mente e il braccio di questo movimento, come Mons. Arista ne era il cuore che ali- tava negli entusiasmi. Congressi federali, pellegrinaggi mariani a Valverde e soprattutto il Congresso Eucaristico del 1913 che fu un vero trionfo di fede e di amore. A. Spina, P. Giuseppe Timpanaro 59

Ma ho detto che P. Timpanaro mi sembrò un capitano dell’esercito di Cri- sto, un capitano dell’avanguardia, che preferisce correre là dove l’opera è più necessaria. Questa caratteristica dà significato particolare al suo genere di apostola- to, che fu molteplice, e lo pone in giusta luce, chè altrimenti parrebbe insta- bile e frammentario. Dopo la prima guerra mondiale la Congregazione di Roma era venuta a trovarsi in crisi molto grave; abbisognava di aiuto e P. Timpanaro vi corse con alcuni Padri di altre Congregazioni. Un campo nuovo e immenso di lavoro, nel cuore della Cristianità, nella casa stessa di S. Filippo. Altri potrebbe testimoniare meglio quanto riuscì a fare. Eletto Preposito, in pochi anni con povertà di mezzi, in locali assolutamente insufficienti ini- ziò, con la valida collaborazione di pochi Padri, una vita nuova per l’Orato- rio di Roma. Oltre a risultati cospicui d’indole piuttosto materiale, con la rivendicazio- ne di alcuni locali dell’antica casa, riaffermò egregiamente a Roma l’idea fi- lippina, polarizzò intorno a sè le più cospicue personalità del mondo cattoli- co e rifece della Vallicella un centro di cultura religiosa, ripristinando l’Ora- torio del Borromini; e l’opera sua culminava in un grande successo con le fe- ste centenarie della canonizzazione di S. Filippo Neri nel 1922, quando, con uno spettacolo cui da decenni non si assisteva, le Spoglie dell’Apostolo, com- poste nella nuova preziosa urna, furono portate in trionfo per le vie di Roma. Non è raro però che ai trionfi, succedano i disinganni. Nelle opere che hanno uno scopo soprannaturale la vicenda è più frequente e per i Santi è quasi norma costante. E’ la mano della Provvidenza che, attraverso mille cau- se, che noi chiamiamo incomprensioni, gelosie, inimicizie degli uomini, ci richiama al più puro spirito di apostolato, che è quello del dolore e del sa- crificio, e ci mette al vaglio delle più gravi delusioni. Così anche P. Timpanaro, con grande dolore, dovette comprendere che Roma non poteva continuare ad essere il campo del suo apostolato. Nel 1925 era perciò di nuovo ad Acireale. Forte ripresa di attività giova- nile alla Villa S. Martino, rinvigorimento dell’“Amore e Luce”, scuola al Se- minario e Presidente della Giunta diocesana di Azione Cattolica. Si preparava un nuovo Congresso Eucaristico Diocesano a Giarre. P. Tim- panaro si assunse l’onere della preparazione specialmente spirituale nelle par- rocchie. Ero allora novizio alle sue dipendenze e da vicino vedevo lo svolgersi del- 60 ANNALES ORATORII le sue attività, che spesso giungevano all’incredibile. Le ore del giorno non potevano bastare per il suo lavoro; suppliva con parecchie ore della notte. L’ultimo mese, prima della chiusura del Congresso, in Acireale, non andò for- se mai a letto. La mattina, quando andavo a svegliarlo, perché le suonerie di tre sveglie non riuscivano a scuoterlo dal sonno, lo trovavo avvolto nelle co- perte, sdraiato sulla poltrona. Intanto altre Congregazioni chiedevano il suo aiuto. Prima corse a Cava dei Tirreni, ove iniziò il processo del fondatore P. Castelli, poi a Palermo, ove riaprì la casa dell’Oratorio chiuso dalla soppressione delle case religiose dei 1870. Nuovo campo di azione e molto vasto. Ma di nuovo senza mezzi, con po- chi collaboratori e con sole 4 stanze al quarto piano dell’antica casa. La me- ravigliosa chiesa dell’Olivella rivide presto il suo splendore di culto e la Vil- la Filippina si animava ogni sera di fanciulli. Gli inizi erano stati fecondi, era necessario del tempo per una più salda affermazione, erano necessari soprat- tutto parecchi e validi cooperatori. La guerra con le sue distruzioni rovinò tutto e riuscì anche a frangere l’in- domita fibra di P. Timpanaro. Ammalato di cuore, gli era impossibile l’in- tensità solita della vita attiva. Con dolore dovette abbandonare Palermo, ma l’animo suo di ardente filippino otteneva intanto il frutto più duraturo della sua attività: l’unione morale delle Case filippine e la codificazione delle re- gole. Era stato il sogno del suo Maestro, Mons. Arista ma i tentativi erano ri- masti infecondi. P.Timpanaro riprese l’idea di Mons. Arista, la perseguì con mirabile tenacia, ma anche con prudente cautela e misura, perché lo spirito dell’Istituto non venisse sfigurato e la genialità della concezione di S. Filip- po non venisse alterata. Restando autonome le diverse case, son tutte unite nel vincolo della carità con possibilità e norme di mutuo aiuto. Per questo aveva visitato più volte le case filippine d’Italia, aveva stretto relazioni più intime con le personalità più in vista delle Congregazioni. Quanto ho finora ricordato è anche la parte più conosciuta della vita di P. Timpanaro, perché riguardante la sua attività esterna, colorita anche dalla im- pulsività del suo carattere. Ma ci inganneremo molto se fermassimo il nostro pensiero solo sulle manifestazioni che più sensibilmente ci impressionano. A ricordare P. Timpanaro nella sua instancabile e focosa attività, siamo indotti forse a considerare il suo animo privo di profondi motivi animatori, vuoto di alte finalità spirituali, denutrito di virtù. Ci potremmo insomma rappresenta- re un tipo in cui l’azione è tutto e la sua vita si sia esaurita esclusivamente in essa. La stessa spontanea e quasi primitiva forma con cui soleva reagire A. Spina, P. Giuseppe Timpanaro 61 potrebbero confermare un giudizio tanto affrettato quanto superficiale e per- ciò sbagliato. La gloria di Dio e la salvezza delle anime era il fine delle sue fatiche apo- stoliche; la meditazione e la preghiera, il nutrimento da cui traeva forza e conforto, - e P. Timpanaro era profondamente pio - Gesù Eucaristia e la Ma- donna il suo rifugio. Chi potè da vicino, attraverso la direzione spirituale, sentire l’influsso dell’animo suo, può testimoniare l’ansia profonda di asce- ta e il conforto sovrannaturale che sapeva comunicare. Più volte mi son rifatto alla memoria di Mons. Arista. Ora, saranno pure coincidenze casuali, ma che qualcuno ha rilevato e che non posso non ricor- dare anch’io. Mons. Arista morente, da P. Timpanaro si aveva fatto promettere che la sua Congregazione, anche se temporaneamente ne stava fuori, era Acireale; e ad Acireale egli volle chiudere i suoi giorni in un’opera che era di gratitu- dine e di riparazione, diceva lui, per gli involontari dispiaceri che gli aveva dato: la Causa di Beatificazione del pio Vescovo. Era suo ardente desiderio vedere chiuso il processo informativo ma quando si avvicinava il termine, il Signore preferì chiamarlo a Sè. Mons. Arista era stato per P. Timpanaro tutto. L’aveva iniziato alla voca- zione filippina, di cui fu sempre altamente orgoglioso. L’aveva guidato nel suo apostolato giovanile, temperandone i focosi ardori, l’aveva amato con particolare predilezione, e nell’agire suo, P. Timpanaro si richiamava spesso all’esempio del santo Vescovo. Ebbene P. Timpanaro moriva per la stessa malattia, con sofferenze altret- tanto atroci e, al di fuori di ogni previsione umana, nella stessa stanza che per tanti anni aveva abitato Mons. Arista. Lo amò molto e fu assimilato nel- lo stesso dolore e fino agli ultimi momenti di coscienza, come lui, trovò for- za di gridare il suo amore a Gesù Crocifisso, che resta l’unica speranza ne- gli istanti più atroci e nei distacchi più grandi: “mio amore, mio amore,, fu l’ultimo suo grido stringendo il Crocifisso. Cursum consummavi, fidem servavi. Una corsa faticosa, tempestosa qual- che volta, con gli inevitabili urti e contrasti, che diversità di caratteri e an- goli differenti di visione creano anche tra le persone in buona fede, anche tra i Santi, fu la vita del P. Giuseppe Timpanaro. Ma una corsa verso un’idea: Gesù, sulla strada di S. Filippo. E la consegna che ebbe con l’abito fìlippino e l’ordinazione sacerdotale la conservò immacolata: fidem servavi. Forse la mia opinione è influenzata dall’affetto filiale che nutrivo per P. Timpanaro, ma mi pare anche suggerita dalla spontanea partecipazione che 62 ANNALES ORATORII viene testimoniata da ogni parte al cordoglio immenso per tanta perdita, co- me atto non solo di dolente umanità per la sorte comune a cui soggiacciamo, ma anche e soprattutto a testimonianza e riconoscenza per l’opera sua di sa- cerdote e filippino. Lo vidi, dissi, in vita come un capitano delle avanguardie dell’esercito di Cristo. E delle avanguardie ebbe lo spirito combattivo, i compiti più ardui, il correre ove erano incrinature, l’opposizione all’avversario tenacissima; gustò anche i primi e grandi successi della molteplice sua opera, ma il più delle volte la gioia, che egli nel Signore sentiva grandissima, fu breve. Altri, qua- si sempre, dovevano succedere a godere i frutti più duraturi della sua con- quista. E ora salve, o Padre. Ti saluto con i miei confratelli filippini non di Aci- reale soltanto, che apprendono la tua dipartita con accorato dolore, con tutti quelli che ti conobbero, ed in cui suscitasti l’entusiasmo per il bene con quan- ti, giovani specialmente, legasti all’amore di Gesù. La riconoscenza cristiana per il bene che facesti, per il tuo contributo al- la gloria del Signore, saranno le nostre preghiere in suffragio per l’anima tua benedetta.

Antonino Spina, C.O. M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 63

L’INFLUENCE DE SAINT PHILIPPE ET DU VÉNÉRABLE BARONIO DANS L’AFFAIRE DE L’ABSOLUTION D’HENRI IV (1593-1595)

On se souvient que lorsque le pape Grégoire XV, le 12 mars 1622, cano- nisa Ignace de Loyola, François Xavier, Thérèse d’Avila, Isidore le laboureur et Philippe Néri, le peuple romain s’exclama: «Quatre Espagnols et un saint!» C’était bien sûr par vénération envers celui qui était encore des siens moins de trente ans auparavant, mais c’était aussi pour piquer l’amour-propre des représentants à du roi Philippe IV. Il semble bien, en effet, que ceux- ci étaient intervenus en haut lieu pour qu’on ne canonise pas durant la mê- me cérémonie des représentants de leur nation et quelqu’un qui avait, en son temps, contribué à contrer les intérêts de la puissante Espagne. Ce temps était celui des dernières années de la vie de saint Philippe Néri, marquées à Ro- me par la très grave affaire de l’absolution du roi de France, Henri IV. Ce dernier avait abjuré le protestantisme en juillet 1593, mais ne fut reçu dans le sein de l’Eglise catholique qu’en septembre 1595. Ses nombreux ennemis, à commencer par le roi d’Espagne Philippe II, firent tout pour empêcher cet- te réconciliation lourde de conséquences politiques. Pour le pape Clément VIII, ce fut un cas de conscience extrêmement pénible et difficile à trancher, et l’on sait qu’en pareilles circonstances le fondateur de l’Oratoire, ainsi que Baronio qu’il avait pour confesseur, l’encouragèrent fermement à absoudre le roi de France. Mettre en valeur l’aspect proprement philippin de cet en- couragement est le but de cet article : nous voulons montrer ici qu’en cette unique fois où, «durant sa longue carrière romaine, il [fut] mêlé à des affai- res d’Etat1», saint Philippe n’a pas agi autrement ni dans un autre domaine que celui qu’on lui connaît. Ce domaine est celui de l’influence spirituelle en vue du bien des âmes, en vertu d’une force qu’il diffusait d’autant mieux qu’il se trouvait plus faible aux yeux des hommes ; en vertu aussi d’une grâce de communion et de complémentarité des charismes au sein de sa congrégation. Nous allons donc examiner l’«affaire de l’absolution d’Henri IV» sous son

1 Louis PONNELLE et Louis BORDET, Saint Philippe Néri et la société romaine de son temps (1515-1595), Paris 1928, p. 499. 64 ANNALES ORATORII angle oratorien ; cet examen sera précédé d’une étude du genre d’influence qu’exerçait saint Philippe sur la personne du pape et sur le milieu concerné par cette affaire. Mais il convient en premier lieu de rappeler les circonstan- ces générales.

Henri IV de Bourbon est le successeur sur le trône de France d’Henri III de Valois, assassiné le 1er août 1589. Cousin très lointain de ce dernier, il ne doit sa couronne qu’au respect de la coutume française, codifiée sous le nom de «Loi salique», qui interdit aux femmes d’hériter ou de transmettre le droit d’hériter du royaume. En fait, sa légitimité n’est pas reconnue par le puissant parti de la Ligue, une vaste coalition, alliée à l’Espagne, de villes et de gran- des familles nobles, sous la direction du duc de Guise. Henri IV mène donc la guerre contre la Ligue pour conquérir en son propre royaume les villes (en particulier Paris) et les provinces contrôlées par celle-ci. Ce conflit, dont l’is- sue est encore incertaine, est la dernière des huit «guerres de religion» qui déchirent la France entre 1562 et 1598. Cette phase ultime est aussi la plus longue ; elle met en jeu le fondement même du royaume, qui se résume en la personne du roi. Cette personne est sacrée, tout comme le pouvoir qu’elle détient ; aussi la foi que professe le monarque est-elle déterminante pour tous ses sujets. Les Français, dans leur grande majorité, ne peuvent donc accep- ter un roi que catholique. Or ils savent dès 1584 que celui à qui doit revenir la couronne de France ne peut être, si l’on respecte la Loi salique, que ce fa- meux Henri de Bourbon, duc de Vendôme, roi de Navarre… et protestant no- toire. La réaction ne se fait guère attendre : en janvier 1585, la Ligue est fon- dée, qui s’emploie dès lors à neutraliser ce prétendant indésirable et à orien- ter le choix du roi vers son propre candidat : le duc de Guise. Evidemment, si Henri de Navarre revenait au catholicisme, les prétentions de la Ligue per- draient largement en crédibilité. Mais ce prince, à 31 ans, a déjà changé cinq fois de religion, aussi ses ennemis imaginent-ils mal qu’il puisse se conver- tir autrement que par opportunisme. Cela facilite leur cause, à Rome : en sep- tembre 1585, les ligueurs ont obtenu du nouveau pape Sixte Quint une bul- le déclarant que le roi de Navarre ne pouvait régner nulle part en raison de son hérésie. En août 1589, lorsque ce dernier devient, pour ceux qui veulent bien le reconnaître, le roi de France Henri IV, Sixte Quint s’alarme. Il pense alors que ce pays est définitivement perdu, comme l’Angleterre (on est au lendemain du désastre de l’Invincible Armada), et que le seul moyen d’y maintenir la foi catholique est d’encourager sa conquête par les Espagnols. En 1590 toutefois, durant les derniers mois de son pontificat, il accepte de M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 65 prêter foi à l’hypothèse suivante: Navarre pourrait bien se convertir réelle- ment, ainsi qu’il l’a promis au lendemain de son avènement; il faudrait alors le reconnaître comme roi légitime. Mais Sixte Quint meurt bientôt et ses suc- cesseurs immédiats, Urbain VII, Grégoire XIV et Innocent IX, qui ne régnent à eux trois qu’un an et trois mois, reprennent délibérément une politique fran- çaise hostile à Henri IV et favorable aux intérêts de la Ligue et de l’Espagne. Il faut dire que le parti espagnol est très puissant à Rome: plus d’un tiers des cardinaux doivent leur chapeau à l’intervention de Philippe II et sont pen- sionnés par lui. Et à vrai dire, l’hypothèse de la conversion d’Henri IV peut sembler improbable aux yeux de ces papes et de leur successeur Clément VIII (élu en janvier 1592): il faut attendre, en effet, l’été 1593, avant de voir le roi de France manifester publiquement sa volonté de se réconcilier avec l’E- glise catholique. Il le fait lors d’une cérémonie d’abjuration qui a lieu le 25 juillet 1593 à Saint-Denis, antique église abbatiale située aux portes de Pa- ris, où sont enterrés les rois de France. L’archevêque de Bourges lui donne l’absolution « sous réserve de l’autorité du Saint-Siège apostolique » et le rend à l’Eglise romaine et à ses sacrements. Dès lors, le roi de France détient la clé de la pacification de son royaume… mais pas celle de sa véritable ré- intégration dans l’Eglise ! Car les évêques qui l’ont absous ont agi sans au- cun mandat de la part de Rome. Or ce cas d’absolution relève du pape, et de lui seulement. Cette manière d’agir ne doit pas étonner: si ces prélats, en ef- fet, avaient demandé à Rome l’autorisation d’absoudre, ils ne l’auraient sûrement pas obtenue. Officiellement ralliés à Henri IV, ils étaient déjà, eux- mêmes, sous le coup d’une sentence d’excommunication2; ensuite, le pape n’était pas disposé, à l’époque, à croire qu’Henri de Navarre pourrait se convertir de bonne foi; enfin, cet acte précis relevait de cette mentalité «gal- licane»3, alors très vive, en vertu de laquelle ils se croyaient naturellement investis, avec le roi, d’un certain nombre de prérogatives relevant normale- ment de l’autorité du Saint-Siège4. Ils savaient bien qu’il était nécessaire, en ce cas précis, de s’en remettre au pape, mais ils n’excluaient pas, s’il refu- sait cette absolution, de se passer complètement de son autorité. Autrement dit, il y avait là, soixante ans à peine après le schisme anglican, la possibili- té d’un schisme gallican. On comprend que pour Clément VIII, à qui il re-

2 GRÉGOIRE XIV, bref Beatissimi Apostolorum principis Petri cathedrae, 1er mars 1591. 3 Le terme est apparu en 1882 seulement, dans le Dictionnaire de Littré. 4 Voir l’article Gallicanisme dans Dictionnaire d’Histoire et de Géographie Ecclésiastiques XIX, Paris 1981, 846-847. 66 ANNALES ORATORII venait, en dernier lieu, d’en décider, le cas de conscience ait été terrible. Le parti français dut attendre deux ans avant d’obtenir gain de cause. Deux ans d’une véritable bataille diplomatique, à Rome, entre la France et l’Espagne. Les protagonistes, du côté français, furent successivement le duc de Nevers Louis de Gonzague, dont l’ambassade échoua, puis l’abbé Arnaud d’Ossat, qui travailla sur place pendant dix-huit mois et enfin Monseigneur Jacques Davy du Perron, évêque d’Évreux, dont l’ambassade vit l’heureuse conclu- sion de l’affaire. Il va sans dire que le travail, bien connu, de ces personnes officielles doit être retenu par l’historien comme l’influence la plus évidente en faveur de la décision finale de Clément VIII. Ceci posé, nous pouvons nous rendre maintenant chez ceux qui nous sont chers et que cette histoire toucha de près.

Commençons par examiner attentivement deux documents appelés «Mé- moriaux», que la Congrégation de Rome conserve encore: ils sont la trace la plus nette des relations qu’entretenaient Clément VIII et saint Philippe Néri, et fournissent en outre bien des informations sur le genre d’influence qu’exer- çait notre saint sur la société romaine de son temps. Le premier Mémorial, à vrai dire, ne subsiste que sous la forme d’une sorte de copie en style indirect, écrite par un tiers peu de temps après la mort de l’auteur de l’original5. En voici une traduction:

«Le Bienheureux Père Philippe se retrouvant malade reçut l’ordre de Notre Seigneur le pape Clément VIII de ne plus aller à l’église pour confesser, afin que cela ne lui fût pas l’occasion d’une nouvelle maladie. Le Bienheureux répondit dans une lettre, ou mémorial au Pape, mais en manière de plaisanterie, qu’il s’étonnait grandement qu’on puisse croire, et qu’on ait cru, qu’il avait voulu ravir la papauté à Sa Sainte- té, car s’il était certes allé à l’église et s’était laissé baiser les pieds et les mains par ceux qui venaient à lui, il ne fallait pas pour autant en juger qu’il veuille ou ambi- tionne la papauté; s’il l’avait voulu d’ailleurs, comme il ne peut y avoir deux papes, il aurait fallu qu’il souhaite la mort d’une personne aussi chère que lui était Sa Sain- teté. Aussi le priait-il de bien vouloir le réhabiliter à confesser à l’église quatre pau- vres femmes et gens de peu, puisque le Père César lui avait pris, avec le supériorat, Monseigneur Pamphili et l’Abbé Maffa. Les Cardinaux, il les aurait confessés en restant au lit, mais le même les lui avait volés aussi.»

5 Archives de la Congrégation de l’Oratoire de Rome, vol. A.IV.15 intitulé Scritture originali duplicate per San Filippo CC, f. 354 r. Cf. Processo, II, 35, n. 1087. Traduit par nos soins. M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 67

Le second n’est pas non plus de la main du saint: sans doute trop faible pour écrire, il le dicta, mais il s’agit bien de l’original6. En voici la teneur:

«Bienheureux Père, quel personnage suis-je donc pour que les Cardinaux viennent me faire visite, et en particulier hier soir les cardinaux de Florence et Cusano? Et parce que j’avais besoin d’un peu de manne de feuille, ledit Seigneur cardinal de Florence m’en a fait apporter deux onces de San Spirito, attendu que le Seigneur Cardinal en avait envoyé le jour même une grande quantité à cet hôpital. Il resta en- suite jusqu’à deux heures de nuit, et dit beaucoup de bien de Votre Sainteté, beau- coup plus qu’il n’en paraissait à mes yeux: car, puisque vous êtes pape, vous devriez être l’humilité en personne. Jésus-Christ vint à sept heures de nuit s’incorporer à moi, mais Votre Sainteté pourrait bien venir une fois en notre église. Jésus-Christ est non seulement homme, mais Dieu, et il vient me voir aussi souvent que je le dési- re: Votre Sainteté n’est qu’un simple homme, né d’un saint homme, d’un homme de bien, mais lui est né de Dieu le Père. La mère de Votre Sainteté est Madame Agne- sina, une très sainte femme, mais la sienne est la Vierge des Vierges. Que ne dirais- je pas si je voulais laisser libre cours à ma colère? J’ordonne à Votre Sainteté que vous fassiez ce que je veux: il s’agit d’une jeune fille que je veux faire entrer à Tor di Specchi; elle est la fille de Claudio Neri, à qui Votre Sainteté a promis qu’elle protègera ses enfants, et alors je vous rappelle qu’il est galant, quand on est pape, de tenir parole. C’est pourquoi accordez-moi ce que je demande, de sorte que je puis- se au besoin me servir de votre nom, d’autant plus que je connais la jeune fille et que je suis certain qu’elle est mue par inspiration divine. Avec la plus grande humi- lité, je vous rends mes devoirs et vous baise les pieds.»

La lettre de Philippe laissait une page; sur celle-ci Clément VIII, de sa propre main, a répondu ceci7:

«Le pape dit que, dans sa première partie, la supplique contient des traces d’esprit d’ambition, quand elle a soin de l’informer que les cardinaux lui font si souvent vi- site, à moins qu’il s’agisse de lui faire entendre, ce que l’on sait du reste, que ces

6 Il se trouve exposé dans la sala rossa des Stanze di san Filippo à la Chiesa Nuova. C’est au Père Germanico Fedeli que Philippe l’avait dicté, et c’est lui aussi qui l’avait portée au Vatican. Voir sa déposition (Processo, III, 270 et n. 2179 ; II, 100 et n. 1189). La traduction que nous don- nons de ce second Mémorial et de son rescrit est probablement due à Louis Bordet (PONNELLE, 477-478). 7 Lorsque Germanico Fedeli retourna au Vatican le lendemain, le maître de chambre du pape lui rendit le Mémorial en lui disant que la réponse avait été écrite en dessous par Clément VIII lui-même. A défaut d’un examen graphologique, on peut se contenter de ce témoignage (Proces- so, III, n. 2179). 68 ANNALES ORATORII seigneurs sont des spirituels. Pour ce qui est de venir le voir, il dit que Votre Révé- rence ne le mérite pas, du moment qu’elle n’a pas voulu du cardinalat, qu’on lui a tant de fois offert. Quant à l’ordre que vous lui donnez, il vous suffira de rabrouer ces bonnes Mères avec votre vigueur habituelle, si elles ne se conforment pas à vos désirs. De plus, le pape ordonne une fois de plus à Votre Révérence de se ménager et de ne pas retourner au confessionnal sans sa permission ; et il lui ordonne aussi de prier Notre-Seigneur, quand celui-ci vient la voir, pour lui et pour les besoins très pressants de la Chrétienté.»

Quant à la date de ces mémoriaux, on peut noter que le premier fait men- tion de la charge de supérieur que le «Père César» a «prise» à Philippe: on est donc entre juillet 15938 et mai 1595: la période même des tractations en vue de l’absolution du roi de France: il n’y a guère de doutes à se faire sur ce que le pape entend, dans son rescrit, par «les besoins très pressants de la Chrétienté». L’ordre qu’il donne à Philippe de ne plus descendre à l’église pour confes- ser renouvelle celui que Grégoire XIV (8 décembre 1590 – 16 octobre 1591) lui avait déjà donné par souci de préserver sa santé chancelante. Le saint prê- tre, en ses dernières années, doit de plus en plus vivre retiré dans sa chamb- re, voire garder le lit. Mais dès qu’il est à peu près sur pied, il s’efforce d’al- ler s’asseoir dans la chapelle latérale de la Chiesa Nuova où il avait coutu- me auparavant de passer toute la matinée à entendre les confessions. Quoique cette «église neuve» porte alors d’autant mieux son nom qu’elle est encore en chantier, et donc ouverte aux quatre vents – la façade n’existe pas enco- re – il préfére, pour exercer ce ministère, se trouver là plutôt que dans sa chambre9. Celle-ci est certes très accessible: beaucoup aiment à y rester au- près de lui et y viennent aussi se confesser, mais tous, certainement, ne peu- vent y monter, en particulier les femmes. Aussi l’allusion plaisante aux « qu- atre pauvres femmes et gens de peu » qu’il veut avoir le droit de confesser montre-t-elle, par delà le rire, la très grande sollicitude pastorale de Philip-

8 A cette date, Philippe, jusque là sans interruption prévôt de la Congrégation depuis ses origi- nes, obtient du pape lui-même, par l’intermédiaire des cardinaux Borromée (Frédéric) et Cusani, une démission que les siens sont contraints d’accepter. Le pape demande alors, conformément à ce qu’on lui a suggéré, que le P. César Baronio succède au P. Philippe Néri en cette charge. Baronio, tout comme les autres membres de la Congrégation, se refuse à ce catapultage forcé, absolument contraire aux Constitutions de l’Oratoire. Des élections régulières, finalement, ont lieu, et il est élu à l’unanimité des voix, sauf la sienne (22 juillet 1593). Antonio CISTELLINI, San Filippo Neri, l’O- ratorio e la Congregazione oratoriana. Storia e spiritualità, Brescia 1989, vol. II, p. 874 ss. 9 PONNELLE, 440. M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 69 pe. A cette sollicitude, jointe aux dons de grâce vraiment exceptionnels dont il jouit, répond une vénération pour ainsi dire universelle, manifestée entre autres par le fait que cet humble prêtre doit se laisser « baiser les pieds et les mains » par ceux qui viennent à lui. Parmi les 361 témoins ayant déposé en sa faveur lors du procès de canonisation – témoins de tout rang social et dont on commence à recueillir les dépositions dès le 2 août 1595, c’est-à-dire deux mois après sa mort – Augustin Cusani, l’un des deux cardinaux évoqués au début du second Mémorial, déclare lui-même qu’il n’a jusque là connu « au- cun religieux, ni régulier ni séculier, qui soit plus vénéré par autant d’hom- mes de toute sorte, aussi bien plébéiens que nobles, courtisans, prélats, évêques, archevêques, cardinaux et papes; et cela à cause du grand fruit qu’on voyait de l’acquisition de tant d’âmes, qui par son œuvre étaient induites dans la voie du salut.»10 Lui-même l’avait pour confesseur ordinaire depuis 1575, et reçut encore son absolution au soir du 25 mai 1595, quelques heures avant que le saint prêtre ne meure. L’autre cardinal évoqué dans le second Mémo- rial est Alexandre de Médicis, le cousin du Grand-Duc de Toscane, Côme de Médicis. C’est lui qui devait être nommé légat en France le 3 avril 159611; c’est lui aussi qui succéderait immédiatement à Clément VIII sur le trône de Pierre, sous le nom de Léon XI – élu le 1er avril 1605, il mourut le 27 du mê- me mois. Comme le cardinal Cusani, il rend visite à Philippe plusieurs fois par semaine12. Les seuls noms de cardinaux forment déjà une liste consé- quente dans le «carnet d’adresses» de saint Philippe13. Que dire alors des au- tres ecclésiastiques? Contentons-nous de présenter brièvement les deux qui

10 Il primo Processo per San Filippo Neri […], texte édité et annoté par Giovanni Incisa del- la Rocchetta et Nello Vian avec la collaboration du P. Carlo Gasbarri, C.O., (=Studi e testi 191.196.205.224), Città del Vaticano 1957-1963, vol.II, pp.34-35. Traduit par nos soins. 11 Cette mission, couronnée d’un succès notoire, est relatée en particulier dans les Lettres du Cardinal de Florence sur Henry IV et sur la France (1596 – 1598). Documents inédits des Ar- chives Vaticanes recueillis et présentés par Raymond RITTER, Paris 1955. 12 Processo, II, 340. 13 On ne peut éviter de rappeler aussi la présence, parmi les plus proches de l’Oratoire, du car- dinal Frédéric Borromée, neveu de saint Charles, le Préfet de la Congrégation de l’Index, et du cardinal vénitien Augustin Valier, auteur entre autres d’un plaisant opuscule qu’il dédia et offrit à Philippe: Philippus, sive de laetitia christiana. Il rapporte en cet ouvrage un entretien sur le thè- me de la joie chrétienne entre les membres d’un petit cénacle rassemblé chez lui. Il est attesté que ce genre de tractatio, à l’imitation d’un exercice que l’Oratoire avait promu, avait cours alors en divers palais romains, et notamment au palais Saint-Marc – c’est-à-dire chez le cardinal Valier – mais aussi, le soir des dimanches de carême, chez le pape Clément VIII lui-même. Il est remar- quable que le petit cénacle décrit par Valier compte les cardinaux Borromée et Cusani, ainsi que les PP. Maffa et Baronio, sans compter Bordini et Antoniano, dont il sera aussi question ici! 70 ANNALES ORATORII sont ici cités: Monseigneur Pamphili, Jérôme de son prénom, est alors audi- teur de Rote, et régent de la Pénitencerie si le mémorial est postérieur au 1er octobre 1593; Romain de naissance, il connaît Philippe depuis son enfance et lui rend de très fréquentes visites; il se confesse ordinairement à lui et n’a recours au Père César Baronio que lorsque le vieux prêtre est trop indisposé pour l’entendre14. L’abbé Marc-Antoine Maffa, prêtre du diocèse de Salerne, est un homme de talent comptant parmi les familiers du cardinal Cusani; c’est en accompagnant son maître qu’il est devenu familier de l’Oratoire et péni- tent de Philippe «presque jusqu’à sa mort»15. Religieux et religieuses abon- dent aussi dans l’entourage du père ; relevons la mention de ces «bonnes Mè- res» de Tor di Specchi, le couvent d’oblates fondé par sainte Françoise Ro- maine au pied du Capitole, au siècle précédent. Ces moniales sans vœux ni clôture ont un idéal de vie fort proche de celui des Oratoriens, et ce n’est pas un hasard si leur chapelain appartient à cette congrégation. Philippe, très sou- vent, y confesse d’ailleurs lui-même16 ; comme à tant d’autres instituts, il leur a fourni un nombre considérable de vocations, comme cette fille de Claudio Neri qui, soit dit en passant, ne lui est pas apparentée. Venons-en finalement aux papes, qui ont été plusieurs à manifester à l’é- gard de Philippe un respect confinant, spécialement chez Clément VIII, à la vénération. Cette attitude pourtant ne se vérifie pas tout de suite. On se sou- vient que Philippe a même été inquiété en haut lieu au temps de Paul IV Ca- rafa (1555 – 1559), lorsque son œuvre, l’Oratorio, a commencé à se dessi- ner et à prendre de l’ampleur; saint Pie V lui-même (1566 – 1572) l’a suspec- té et ordonné qu’on surveille ses activités. L’Oratoire œuvrait pourtant à la conversion de Rome, que ces papes réformateurs souhaitaient vivement, mais son caractère ouvert et bon enfant, dicté par l’esprit de son fondateur, tran- chait avec le cadre strict qu’ils imposaient alors avec une rigidité d’autant plus grande, probablement, qu’ils étaient plus conscients de la difficulté de la tâche qui leur incombait. Le prêtre Philippe Néri, qui confiait parfois à des laïcs le soin de donner en public un enseignement, leur était donc suspect. Mais le fruit même de l’œuvre parlait en sa faveur, et avait fini, comme on sait, par conquérir les milieux catholiques réformateurs, cardinaux compris: c’est-à-dire, à terme, les pontifes eux-mêmes. C’est ainsi que le patricien ro- main Fabrizio de’Massimi, dans sa déposition de 1609, peut rappeler que le

14 Voir sa déposition, Processo, II, 108 et n. 1203. 15 Voir sa déposition, Processo, II, 82 et n. 1166. 16 PONNELLE, 271 et Processo, II, 280. M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 71 prêtre florentin jouissait déjà de quelque crédit auprès de Pie IV (1559 – 1565), dont il affirme qu’il a été assisté par lui à l’heure de sa mort, que Gré- goire XIII (1572 – 1585) fut des plus généreux à l’époque de la fondation de la Congrégation et de l’édification de la Chiesa Nuova, et que Grégoire XIV gratifia Philippe d’une grande estime jointe à une respectueuse familiarité et à diverses faveurs. Le témoignage continue ainsi:

«Et le même pape Grégoire XIV, quand le bienheureux Philippe allait chez lui, le faisait toujours se couvrir et s’asseoir; et le pape Clément VIII faisait encore de mê- me: ce à quoi j’ai pu assister plusieurs fois, et je l’ai vu assis, couvert, aux côtés du dit pape Clément, qui s’entretenait le plus familièrement du monde avec le dit bien- heureux Philippe et lui demandait son avis sur bien des choses. Et j’ai vu le dit pa- pe se lever de son siège, aller à l’encontre du bienheureux Philippe, et l’embrasser affectueusement, et l’on voyait qu’il y trouvait un goût particulier, et il dit: “Soyez le bienvenu, Père”: je suis resté fort étonné et consolé de cette action. Et j’ai enten- du dire aussi, à cette époque, que le dit pape Clément, lorsque le bienheureux Phi- lippe le quittait, lui baisait les mains et se recommandait à ses prières.»17

Il semble bien qu’entre Philippe Néri et Clément VIII, les désormais tra- ditionnels bons rapports du simple prêtre avec le successeur de Pierre aient at- teint leur plus haut degré dans l’affection18. Il faut dire que la courte généra- tion qui séparait les deux hommes favorisait entre eux une relation pour une part analogue à celle d’un père et d’un fils. Sylvestre Aldobrandini, le père de Clément VIII, était né à Florence, tout comme Philippe Néri, mais seize an- nées plus tôt. Docteur en droit, il s’était montré actif lorsque sa patrie, secouant en 1527 le joug des Médicis, avait renoué avec le régime républicain et le souffle de Savonarole. En 1531, lorsque les «tyrans» eurent repris le dessus, il n’avait pu que s’exiler, comme beaucoup. Il avait alors attendu que le pape Clément VII Médicis fût mort pour se rendre à Rome et mettre ses talents au service de Paul III Farnèse. C’est ainsi que son fils Hippolyte avait vu le jour

17 Processo, II, 359. 18 Dans le procès, on peut lire d’autres récits d’audience témoignant de cette familiarité; plus frappant encore que celui de Fabrizio de’Massimi est celui du prêtre oratorien Augustin Corcos- Boncompagni, un juif converti par Philippe et baptisé, avec ses trois frères, par Clément VIII lui- même, le 28 octobre 1592. Il rapporte qu’il se rendit peu de temps après son baptême au palais du Vatican, en compagnie de ses frères et de Philippe, pour baiser les pieds du pape. Il entendit le pa- pe répondre à Philippe, qui d’autorité avait remis sa barrette: «le patron, c’est vous», et vit le vieux prêtre prendre la main de Clément VIII et lui caresser le visage et la barbe, «comme ferait un père à son enfant», ce qui procurait manifestement la plus grande joie au pape. Processo, III, 229-230. 72 ANNALES ORATORII sur les rivages de l’Adriatique, à Fano (États de l’Église), et non sur les rives de l’Arno19. Philippe avait lui aussi, et dans les mêmes années, quitté pour tou- jours sa patrie florentine. C’était à vrai-dire pour une raison plus économique que politique, mais la deuxième n’était sans doute pas tout à fait étrangère à la première, puisque son père était républicain. Il s’était fixé à Rome, assuré- ment parce que les lieux saints l’attiraient, mais la présence massive de la na- tion florentine en cette ville avait joué avec la providence20: c’était chez un Florentin, Galeotto del Caccia, qu’il avait alors trouvé de quoi subsister. Il fut toute sa vie un familier du quartier du Ponte, où ses compatriotes étaient très nombreux; ceux-ci lui avaient d’ailleurs confié leur église, Saint-Jean-des-Flo- rentins, avant que son œuvre ne se fixât à Santa Maria in Vallicella, c’est-à- dire toujours à deux pas de leurs banques et de leurs palais. Nul doute que les solidarités naturelles et réseaux de relations de la nation florentine à Rome avaient mis en contact Philippe Néri et les membres de la famille Aldobran- dini à une époque qui devait correspondre pour le pape à ses souvenirs d’en- fance. La façon dont Philippe évoque sa mère, «Madame Agnesina», dans le second Mémorial, indique qu’il la connaît plus que par ouï-dire. Deux des frè- res du pape, Bernardo, homme de guerre, et Tommaso, philosophe, étaient par ailleurs connus des Pères de l’Oratoire21, et ses neveux plus encore : Pietro Aldobrandini fut en partie élevé, durant son enfance, à la Vallicella22. Un jour que, déjà cardinal, il y était venu pour des vêpres solennelles, il se leva en plein office pour accueillir le vieux Père qui avait voulu quitter sa chambre et traverser la foule pour rejoindre le chœur. Philippe lui fit signe de s’arrêter et vint s’asseoir près de lui, mais plus bas, à côté du caudataire, et il cacha son visage dans ses mains23. Quant au pape lui-même, le second Mémorial l’atteste, il ne vient pas en personne à la Chiesa Nuova, ce qu’il faisait pourtant volontiers avant d’être

19 LUDWIG VON PASTOR, Storia dei papi […]XI : Clemente VIII (1592-1605), Roma 1958, pp. 16-18. 20 Voir JEAN DELUMEAU, Rome au XVIème siècle, Paris, Hachette, 1975, p. 53. 21 PONNELLE, 474. 22 Processo, II, 84. Son oncle l’avait créé cardinal le 17 septembre 1593, en même temps que son cousin Cinzio et que le Jésuite Francesco Toledo. Les deux cardinaux-neveux – Pietro avait alors 20 ans ; Cinzio, 40 – furent conjointement chargés des affaires de la Secrétairie d’Etat, c’est à dire qu’ils étaient les intermédiaires officiels entre le pape et les nonces; Pietro, qui excellait en diplomatie, fut envoyé comme légat auprès d’Henri IV en 1600 avec la mission de résoudre le conflit entre la France et la Savoie à propos du marquisat de Salluste, et celle de bénir le mariage du roi avec la princesse florentine Marie de Médicis. 23 Processo, III, 230-231 et n. 2113. Ces vêpres étaient celles de la Nativité de la Sainte Vier- ge, le 8 septembre 1594. M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 73

élu, mais il rencontre au moins un Oratorien tous les jours: Baronio, son confesseur24. En fait, Clément VIII continue à manifester de bien des maniè- res son attachement, non seulement à Philippe, mais aux pères de la Valli- cella en général. Lorsqu’il n’était encore que cardinal, Sixte Quint l’avait en- voyé comme légat en Pologne, en 1588 – son succès dans cette mission dé- licate avait d’ailleurs certainement pesé en faveur de son élection – et il avait alors choisi, pour l’accompagner en tant que confesseur, le Père Jean-Fran- çois Bordini, de l’Oratoire; il l’avait gardé par la suite. Bordini fut nommé évêque de Cavaillon moins d’un mois après que son pénitent ne fût devenu pape! Quelques mois plus tard, passant outre les protestations de Philippe, Clément VIII enlevait à l’Oratoire un de ses membres les plus en vue, le Pè- re François-Marie Tarugi, pour le nommer archevêque d’Avignon. Celui-ci, tout comme Baronio d’ailleurs, sera créé cardinal le 5 juin 1596, tandis qu’un autre Oratorien deviendra évêque sous le même pontificat: Jean-Juvénal An- cina, nommé à Salluste en 1602. Germanico Fedeli, le cérémoniaire de la Congrégation, avait quant à lui été pressenti pour la charge de maître des cé- rémonies pontificales. Et pour Philippe Néri lui-même, c’est à la pourpre, évi- demment, que Clément VIII avait pensé, reprenant d’ailleurs en cela un pro- pos que Grégoire XIV avait déjà eu, et se heurtant tout comme lui à un re- fus catégorique de la part du vieux prêtre. De cela témoigne notamment, en octobre 1595, Bernardino Corona, un frère laïc de la Congrégation, pénitent de Philippe depuis 1555 et à peine moins âgé que lui25:

«Un jour, environ trois mois avant que le P. Philippe ne meure, j’allai le visiter, et il revenait de chez le pape. Et en parlant tous les deux, en compagnie de messer An- tonio Gallonio, il me dit ceci: “le pape veut me faire cardinal: que vous en sem- ble?” et il me le répéta deux ou trois fois. Et moi je lui dis “Votre révérence pour- rait accepter, pour faire du bien à la Congrégation”. Et le père enleva sa barrette en regardant le ciel et dit: “paradis, paradis”».

24 Clément VIII se confessait tous les soirs (PASTOR, XI, 21). Il n’a pas eu le Père Philippe pour confesseur ordinaire, mais le lui a demandé après être devenu pape (Processo, III, 319); le vieux prêtre, trop affaibli, a dû décliner l’offre et proposé Baronio pour confesseur. C’est à partir de la fin de 1594 que Baronio remplit cette fonction. GENEROSO CALENZIO, La vita e gli scritti del Card. Cesare Baronio, Roma 1907, pp. 348-353. 25 Processo, I, 287. Traduit par nos soins. Ce même témoin raconte ensuite que Philippe lui avait un jour montré la barrette rouge que Grégoire XIV lui avait fait apporter. Un peu plus tôt, il lui avait posé la sienne sur la tête en disant le plus sérieusement du monde qu’il voulait faire le bref pour le créer cardinal. Philippe s’était alors défendu avec véhémence: «Non, Saint-Père, non; ça suffit comme ça». 74 ANNALES ORATORII

Notons que la visite évoquée ici dut précéder de peu, sinon être la même que celle où Philippe Néri trouva Clément VIII alité, souffrant violemment d’une attaque de goutte à la main que, d’un simple toucher, il lui guérit26. Ce fut semble-t-il la dernière fois que les deux hommes purent se voir. Plus tard, après qu’il fut mort, le pape voulut avoir dans son bureau son portrait, et Ba- ronio, à sa demande, lui donna celui qu’il possédait27. La prédilection de Clément VIII pour Philippe Néri en particulier et pour les Oratoriens en général était assez manifeste pour qu’on en trouve des tra- ces dans certains documents officiels, aussi bien que dans des Avvisi28. Du coup, la plupart des prélats de la cour, voulant suivre l’humeur du pontife, se donnaient comme Vallicellioli; plusieurs parmi eux l’étaient toutefois vérita- blement, en particulier Silvio Antoniano, le «maître de chambre» du pape, c’est-à-dire son familier le plus proche, comparable, mutatis mutandis, à l’ac- tuel préfet de la maison pontificale. Les Oratoriens, qu’il fréquentait depuis un quart de siècle, le considéraient comme «des leurs», et Bordini se per- mettait d’affirmer qu’il était «leur procureur auprès de Sa Sainteté»29. Il fut lui aussi créé cardinal, en 1599. C’est lui qui avait remis notre second Mé- morial entre les mains de Germanico Fedeli, en lui disant que le pape lui-mê- me y avait écrit la réponse. Clément VIII, on le sait, prend très au sérieux son travail de pape, et «les besoins très pressants de la Chrétienté » ne sont pas pour réjouir ses journées. Il est pourtant d’un naturel joyeux, à l’instar des gens de sa famille, aussi le contact rafraîchissant avec le Père Philippe doit-il être précieux pour lui30. Dans le cas qu’on examine ici c’est lui-même, semble-t-il, qui le provoque: averti, sans doute par quelque cardinal habitué de la Chiesa Nuova, que leur cher vieux Père s’obstine à vouloir y descendre pour confesser, il lui semble nécessaire de réitérer l’ordre attentionné et prudent de Grégoire XIV, ce qu’il fait probablement au moyen d’une première lettre. La réponse de Philippe suggère que cet ordre du pape était lui-même écrit sur un ton décontracté, en manière de facétie, tant par une exigence de respect et de délicatesse à son égard – ce n’est pas un petit renoncement que celui qu’il lui demande là – que par un effet de la familiarité déjà évoquée. Le fait est que Philippe, si

26 ANTONIO GALLONIO, Vita di San Filippo Neri, texte édité, annoté et commenté par M. T. Bonnadonna Russo, Roma 1995 (11601), pp. 292-294. 27 Processo, IV, 232, n. 1819. 28 PASTOR, XI, 436, n. 1; PONNELLE, 475, n. 4. 29 PONNELLE, 475; Processo, II, 93, n. 1180. 30 PONNELLE, 477. M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 75 l’on veut bien admettre que ce texte rédigé au style indirect diffère proba- blement très peu de l’original, plaisante sur sa prétendue ambition de ravir au pape la papauté comme s’il ne faisait que répondre à une première bou- tade en ce sens. Mais il rebondit allègrement, et garde sans complexe un ton humoristique, donnant par dérision de grands airs à sa réponse en l’appelant un «mémorial». On trouve en cet échange la gratuité d’une véritable récréa- tion en même temps que le prix d’une affection exprimée sans fausse pudeur, la simplicité d’une bonne partie de rire alliée à la vérité, à la délicatesse et au sérieux de la charité. L’échange du second Mémorial a la même qualité de ton, mais plus simple et libre encore, avec de surcroît, de la part de Phi- lippe, l’expression très concrète de la foi d’un vrai mystique: «Jésus-Christ vint à sept heures de nuit s’incorporer à moi…», qui trouve chez le pape l’é- cho le plus chrétien: «il lui ordonne aussi de prier Notre-Seigneur, quand ce- lui-ci vient [le] voir, pour lui et pour les besoins très pressants de la Chré- tienté.» Cette qualité de relations, pour n’être pas exclusive du milieu et des per- sonnes que nous considérons, n’en est pas moins caractéristique de l’esprit que saint Philippe Néri incarna et diffusa alors à Rome. Il insuffla notamment cet esprit dans les hautes sphères de la hiérarchie ecclésiale, à la mesure de l’influence personnelle qu’il eut sur bon nombre de ses représentants. Jouant de manière exemplaire sa propre partition, c’est ainsi qu’il servit, comme on sait, le profond renouvellement de la vie morale et spirituelle de l’Église ca- tholique à la fin du XVIème siècle. Cette «partition philippine» était une ma- nière simple d’évangéliser à nouveau la nature humaine sans la priver de sa sève propre ; fort de la mesure pleine que procure la grâce du Christ, Philip- pe pouvait partager l’optimisme foncier de l’humanisme et orienter son mon- de vers le ciel sans pour autant briser son naturel. Le tout de l’ascèse qu’il exigeait des siens était la pratique effective de l’obéissance et de l’humilité. Il soignait cette dernière, clé de toutes les vertus, en ne se prenant pas lui- même au sérieux et en traitant librement chacun, quel que fût son rang, avec sa familiarité affable autant qu’avec sa «vigueur habituelle», dont Clé- ment VIII parle comme s’il l’avait expérimentée lui-même. D’ailleurs, la vi- gueur du «puisque vous êtes pape, vous devriez être l’humilité en personne» ne lui a certainement pas échappé: ce trait, pour peu que son destinataire ait un minimum d’humilité et de clairvoyance, est moins une boutade qu’une impérieuse leçon. Philippe ne craignait guère d’égratigner l’amour-propre de ceux qu’il aimait, bien au contraire ; il manquait donc rarement d’édifier de la sorte. Clément VIII, ici, ne se formalise pas et accuse le coup gaîment ; il 76 ANNALES ORATORII se montre ainsi bon disciple de l’esprit philippin. L’influence de saint Philippe Néri sur le pape Aldobrandini fut donc, on le voit, plus qu’anecdotique, et la vénération du pontife à l’endroit du vieux prêtre n’était pas simple révérence dûe à un «ancien», serviteur méritant de l’Église. Il ne faudrait pas en conclure trop vite, cependant, que les Oratoriens, et en parti- culier Philippe lui-même, pouvaient dicter leurs volontés à Clément VIII. Si ce- lui-ci leur accorda bien des faveurs comme sa caution implicite en faveur de cet- te postulante à Tor di Specchi, ou bien la libération gratis de quarante prison- niers très pauvres sur une simple requête de Philippe, il n’hésita pas à en refu- ser d’autres quand le bien commun lui semblait l’exiger: ainsi la grâce d’un condamné à mort; ainsi, l’avons nous évoqué, la faveur de laisser Tarugi au ser- vice de la Congrégation et de lui épargner la charge de l’épiscopat. Le pape, pour admiratif qu’il soit à leur égard, n’est pas aux ordres des Oratoriens, et cela té- moigne en faveur de la liberté de ses décisions et de la conscience qu’il a de sa propre responsabilité. La décision très grave qu’il a à prendre à propos d’Hen- ri IV le tire d’ailleurs vers un sommet dans la mise à l’épreuve de sa liberté. Pour saint Philippe et certains de ses proches, comme on va le voir main- tenant, cette même épreuve correspondra à des sollicitations précises, et à l’occasion de manifester une qualité d’aide et de conseil typique de leur cha- risme dans le cadre d’une affaire de longue portée historique.

Le champ des événements français, particulièrement en ce qui concerne la conversion d’Henri IV, n’est pas étranger aux préoccupations des Orato- riens: plusieurs lettres échangées entre la congrégation de Rome et celle de Naples, en particulier durant l’année 1590, en témoignent; l’Oratoire a d’ailleurs participé aux processions, expositions des Quarante Heures et au- tres prières publiques prescrites à Rome à cette intention31. En novembre 1587, en particulier, au lendemain de la victoire du Béarnais et de ses trou- pes huguenotes à Coutras, un jubilé extraordinaire avait été décrété par Six- te Quint pour qu’on priât aux intentions de la France; l’église des Oratoriens bénéficiait pour l’occasion d’une indulgence spéciale; le père Germanico Fe- deli témoigne32:

«Le jubilé à propos duquel j’écrivais à Votre Paternité la semaine passée a fait tant de bruit que je ne crois pas qu’on en ait jamais entendu autant depuis l’Année Sain-

31 PONNELLE, 492, nn. 4 et 5. 32 Dans une lettre du 5 décembre 1587 adressée au P. Tarugi, à Naples; citée par ALFONSO CA- PECELATRO, La vita di s. Filippo Neri libri tre, Roma-Tournai 1902, vol. II, p. 574. M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 77 te [1575]. Dans les églises où l’on a fait la prière des quarante heures, avec ce temps exécrable de pluie quasi continue et ces rues quasi impraticables, ont accouru à tou- tes les heures tant de gens que c’était à grand’ peine qu’on pouvait entrer et sortir. Notre église en a eu plus que sa part, et cela a épuisé tous les confesseurs plus qu’à Pâques. Dimanche, il est certain qu’on a donné la communion à plus de deux mille personnes car, outre le nombre d’hosties, les communions à l’autel majeur ont com- mencé à treize heures et ont duré jusqu’à dix-huit heures33. Un prêtre en surplis s’y est tenu continûment et l’on communiait par tablées entières, avec quelque affluen- ce, sans jamais s’arrêter sauf le temps de la prédication. On n’a pas dit la messe, sauf le Père Philippe, et encore, après dix-huit heures, parce que lui aussi donnait la com- munion. Toute cette semaine, chaque matin, d’autres encore venaient communier. Plaise à Dieu que cela lui donne du fruit aussi dans le royaume de France qui est en si grand travail, et qu’il y trouve ce profit pour lequel le jubilé a été concédé.»

Six ans plus tard, l’affaire de l’absolution d’Henri IV fait aussi, à Ro- me, beaucoup de bruit. Tout un chacun s’y intéresse et se range pour ou contre; nul doute, donc, qu’il en aille de même à la Vallicella. D’ailleurs, l’un des pères, Tommaso Bozzio, qui compte alors parmi les théologiens romains les plus en vue, sollicité à cet effet par le pape, a rédigé un mé- moire sur la question, et il y conclut qu’on ne peut rebénir Navarre34. Mais à coup sûr, la tendance pro-française a des sympathisants de poids dans la Congrégation; il semble en particulier que le Père Philippe soit à ranger d’emblée dans le parti français, non seulement comme Florentin, mais aus- si parce que son ami et disciple le cardinal Jean-François Morosini l’avait minutieusement informé de cette affaire lorsqu’il avait été rappelé de sa lé- gation en France, à l’automne 1589, et qu’il avait dû venir à Rome se dis- culper. Philippe, qu’il avait à nouveau fréquenté à cette époque lui aurait alors dit : «Dieu se servira du roi Henri comme d’instrument en ce qui concerne les faveurs secrètes désignées par l’éternelle Providence pour la France et l’Eglise catholique»35. Durant les années 1593-1595, on voit en- core Morosini s’entretenir librement et longuement avec le pape au sujet et

33 C’est-à-dire de sept heures du matin à midi. 34 Scriptum p. Thomae Bozii de non admittendo Navarro, joint par Francesco Peña à un re- cueil intitulé Relationi e scritture diverse nella causa di Enrico Borbone, conservé aux Archives Secrètes du Vatican. Cependant, il n’est pas dit que Bozzio soit un «Espagnol»: comme on le ver- ra, il est aussi de ceux qui encouragent l’initiative de Philippe en faveur de Nevers ; rien n’inter- dit, au reste, que son opinion ait évolué. 35 S. COSMI, Memorie della vita di G. F. Morosini (…), Venezia 1676, l. IV, c. 7, n. 4, cité par CISTELLINI, II, 895. 78 ANNALES ORATORII en faveur de la «rebénédiction», ainsi que l’atteste Paolo Paruta36. Durant la première semaine de décembre 1593, alors que le duc de Ne- vers, à Rome depuis une quinzaine de jours, s’efforce en vain de faire avan- cer son dialogue avec le pape, ce dernier est pris par l’un de ses accès de goutte. Les entretiens se trouvent donc suspendus pour un certain temps, et pour l’émissaire français, dont la présence à Rome est en sursis et à peine to- lérée, le temps presse. Il s’avise alors de se tourner vers les religieux, de ma- nière à trouver appui et conseil chez des membres éminents des ordres les plus en vue de la Ville; c’est d’autant plus urgent qu’au même moment – une lettre adressée au Grand-Duc de Toscane à ce moment le précise37 – les Espa- gnols s’appliquent à faire souscrire par les mêmes religieux, c’est-à-dire en premier lieu les Oratoriens et les Jésuites, un nouveau mémoire déclarant ca- noniquement impossible l’absolution sollicitée. Il s’agit donc de contrer leur action tout autant que de continuer à faire avancer la cause du roi de France. Suivant les conseils de Monseigneur Lomellini38, Nevers se rend donc en pre- mier lieu à la Vallicella. Lomellini lui avait écrit en effet: «Je crois qu’il se- ra bon que la première visite soit pour la Chiesa Nuova […] Vous ferez ap- peler d’abord le Père Philippe, qui est un vieillard vénérable, le fondateur de cette Compagnie, au demeurant un homme simple et tout le contraire d’un savant. Vous resterez avec lui dans les généralités, l’invitant à prier pour l’af- faire. Puis vous demanderez le Père Cesare Baronio et le Père Tommasso Bozzio, qui sont, eux, gens de science et de valeur et jouissent d’un très grand crédit à la cour ». Nevers, continue Lomellini, pourrait parler théologie avec ceux-là, mais ferait bien d’amener d’Ossat avec lui, pour avoir de son côté quelqu’un qui soit capable de leur répliquer. «J’espère, conclut-il, que ce se- ra une bonne journée.» Cette instruction signale assez que Nevers avait po- tentiellement, à la Chiesa Nuova, des alliés, et qu’à Rome on savait cela. Le duc vint donc à la Vallicella le mercredi 8 décembre 1593 au matin, comme le confirme l’Avviso du 11 décembre39. Il s’arrêta d’abord dans l’é-

36 Cité ici par CAPECELATRO, 581. 37 Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, documents recueillis par Giu- seppe Canestrini et publiés par Abel Desjardins (=Documents inédits sur l’histoire de France), Pa- ris 1875, Vol. V, p. 178. 38 Les instructions données au duc de Nevers par ce prélat de la Curie – collaborateur immé- diat, semble-t-il, de Silvio Antoniano (le «procureur des Oratoriens auprès du Saint-Père») – sont conservées à Paris, à la Bibliothèque Nationale (fonds français 3988); nous en exploitons ici les extraits cités par Louis Bordet (PONNELLE, 494, nn. 2-5). 39 Bibliothèque Vaticane, Urb. 1061; cité par PASTOR, XI, 69, n. 3. M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 79 glise, où il entendit la messe, puis alla voir Philippe, qu’il trouva souffrant et alité. Il parla longuement avec lui, ainsi qu’avec Baronio et d’autres. L’après- midi de ce jour-là, il poursuivit ses démarches et se rendit chez les Jésuites. Philippe, de son côté, recevait la visite du cardinal de Médicis; il lui racon- ta, enthousiaste, son entretien du matin avec le duc, en précisant: «il me sem- ble que l’Esprit Saint m’a fait parler, car je suis satisfait de ce que j’ai ré- pondu à Nevers»; Philippe, de surcroît, se montrait résolu à aller plaider lui- même, et au plus tôt, la cause du roi de France auprès du Saint-Père; le car- dinal «l’y poussa vigoureusement», lui suggérant de profiter de l’attaque de goutte du pape pour pouvoir lui parler plus longuement et aisément de cette affaire, les audiences officielles étant suspendues. L’important, précisa enco- re Médicis à Philippe, était de persuader le pape de ne pas rompre avec Ne- vers – ce à quoi le parti espagnol, on le sait, s’employait fébrilement; le sim- ple fait de temporiser pouvait alors jouer en faveur de la France – et de conti- nuer de s’entretenir de l’affaire avec les cardinaux – entendons: qu’il donne leur chance à ceux du parti français. Philippe, selon ce qu’en dit ensuite Mé- dicis, se proposait de suggérer au pape de donner au moins à Navarre l’ab- solution pour un an, pour le mettre à l’épreuve en quelque sorte. Bien en- tendu, il valait mieux éviter d’ébruiter une telle idée, de crainte que le parti adverse n’en use à son propre avantage. Giovanni Niccolini, dans sa relation au Grand-Duc datée du 10 décembre, unique source disponible concernant la teneur de cet entretien entre Philippe et le cardinal Médicis, observe encore qu’«en somme, le père y est très chaud, et le cardinal Médicis n’a pas man- qué de faire tout ce qu’il pouvait pour l’enflammer encore plus»; mais il faut, continue-t-il, procéder avec patience et prudence pour que le pape, toujours lent à se résoudre «selon sa nature», se range à l’avis de Philippe et du car- dinal40. Mais Philippe se trouve alors pris de vitesse par ses amis les cardinaux Cusani et Borromée, qui sont eux de fervents partisans de la cause espagno- le. A peine ont-ils appris que Nevers lui a rendu visite, ils se rendent direc- tement chez le pape, accompagnés de l’archevêque de Monreale (De Torres) et de l’évêque de Cassano (Audoeno), qui eux non plus ne sont assurément pas pro-Français. Giovanni Niccolini apprend le fait par Lomellini, et le rap- porte au grand-duc, lui écrivant en particulier qu’en agissant ainsi, tous ces bons fils spirituels de Philippe lui avaient fait une bravade ; ils avaient mê-

40 L’original de ce document est conservé à l’Archivio di Stato de Florence. On exploite ici CISTELLINI, II, 896, PONNELLE, 495 et CAPECELATRO, II, 583-585, qui le citent. 80 ANNALES ORATORII me cru bon de lui faire scrupule de cette initiative de sa part41. Leur ma- noeuvre fut efficace car le bon père « comme un homme de peu d’âme, s’é- pouvanta » et sembla renoncer à son projet. Le fait correspond bien à un trait de ce saint, dont l’assurance fulgurante, souvent attestée, relève essentielle- ment de motions de l’Esprit Saint, et a pour contrepoint naturel, autant peut- être que pour base ascétique, une très grande défiance envers lui-même, qui peut se manifester par beaucoup d’indécision. N’avait-il pas dit, pourtant, qu’il estimait avoir été inspiré par l’Esprit Saint lorsqu’il avait parlé à Ne- vers? Toujours est-il que ce fut par l’intercession de Baronio et Bozzio, qui lui parlèrent alors pour lui rendre courage « et lui dirent qu’il ne prenne pas garde aux paroles de ces prélats, mais fasse ce qu’il avait d’abord décidé » que Philippe, finalement revenu à sa première idée, se rendit chez le pape, le dimanche 12. On imagine que Clément VIII fut heureux de revoir celui qu’il vénérait tant, mais le discours qu’il entendit alors de sa part n’eut guère d’ef- fet notable, au moins à ce moment ; même les espions placés par Sessa au- tour de son audience n’y trouvèrent pas de quoi s’alarmer42. Philippe raconta au cardinal de Médicis son entretien avec le pape43: Clé- ment VIII lui aurait confié que la cause de ses longues hésitations venaient de la certitude que Navarre avait feint sa conversion. Il n’y avait pas à s’é- tonner, ajoute Niccolini, que Philippe n’ait pas pu tirer grand chose de cet en- tretien, parce que le pape «quoiqu’il le tienne pour un homme de bien, ne le tient pas pour un théologien fondé, et il le tient pour à moitié sénile (mezzo barbogio)»44. Par ailleurs, d’après Médicis, le père avait perdu un peu de son enthousiasme à cause de l’influence continuelle exercée sur lui par Cusani, Borromeo et les autres prélats, «qui lui étaient toute la journée sur le dos pour tenter de le dissuader». Ceux-ci, de leur côté, étaient aiguillonnés par le duc de Sessa et les siens. Niccolini achève sa missive du 17 décembre en rap- portant l’opinion du cardinal de Médicis, pour qui le pape, sans rien précipi- ter, continuera à avancer, sans rompre le fil mais en le gardant tendu pour pouvoir s’accomoder à ce que le temps apportera. Philippe a-t-il encore trai- té directement de l’affaire avec ses protagonistes? Rien de moins sûr. Cistel- lini n’insiste guère sur l’hypothèse d’un second entretien avec le pape45; Ca-

41 Lettre du 13 décembre ; même fonds. 42 PONNELLE, 496. 43 Lettre de Niccolini au grand-duc, 17 décembre 1593, même fonds que les deux précéden- tes. 44 CISTELLINI, II, 897, n. 105. 45 CISTELLINI, II, 896. M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 81 pecelatro, lui, affirme que le cardinal Gondi aussi s’est entretenu avec Phi- lippe: il se fonde sur un manuscrit hagiographique daté de 1617, rédigé se- lon lui par un pénitent du saint et corrigé par Baronio lui-même46. On trou- ve dans ce manuscrit le passage suivant:

«Le royaume de France étant agité par des guerres intestines, on traitait dans la ville de Rome l’affaire de l’absolution du roi Henri. Or, parce qu’il avait mandat à Rome pour traiter de cela avec le Souverain Pontife, le Cardinal Gondi, le Duc de Nevers et d’autres seigneurs du royaume se rendirent chez Philippe; et Clément VIII lui- même s’entretint avec Philippe à propos de cette affaire qui était si importante.»

Un peu plus loin, l’auteur anonyme affirme:

«Etaient alors à Rome le Cardinal Gondi et le Duc de Nevers, légats royaux, par l’autorité desquels le Bourbon promouvait son affaire. Ceux-ci cependant, échan- geant souvent leurs idées avec Philippe, et gouvernant toute cette affaire avec son conseil, obtinrent à la fin que le roi Henri revienne en grâce par le Pontife et soit ainsi rendu apte à régner.»

Nous ne croyons cependant pas qu’il soit possible de prêter foi à ces as- sertions fournies par un admirateur semble-t-il mal documenté, malgré sa probable familiarité avec des contemporains de l’affaire. Ce n’est pas Ba- ronio, en tout cas, qui a relu sa prose: le vénérable cardinal est mort en juin 1607. Capecelatro, à vrai-dire, s’avére ici peu rigoureux au plan du récit his- torique et de la critique de ses sources; une certaine prudence dans son uti- lisation s’impose donc. La rencontre, qui n’aurait rien d’invraisemblable, de Philippe et du cardinal de Gondi à l’époque où celui-ci, Nevers étant parti, est présent à Rome (printemps 1594), ne bénéficie d’aucun autre témoi- gnage, à notre connaissance, que de celui de cet «hagiographe de 1617», l’un des premiers colporteurs de la légende – parfois tenace chez les Ora- toriens – qui prétend que saint Philippe Néri est le véritable instigateur de l’absolution d’Henri IV. Capecelatro se contente ici de se faire l’écho d’u- ne leçon historique un peu hâtive. Car s’il y eut indéniablement participa- tion de saint Philippe Néri à cette affaire, ce que nous venons d’en évoquer indique un mode d’influence et de prise de position difficilement assimila- ble au travail du diplomate ou du négociateur, élaboration stratégique et tac-

46 CAPECELATRO, II, 582. Nous traduisons les deux extraits du manuscrit qu’il cite à cette page. 82 ANNALES ORATORII tique visant à obtenir, dans un traité ou un marché, le maximum d’avantages au profit de son camp. Sans hâter nos conclusions, nous pouvons d’ores et déjà observer que si Philippe Néri prend parti, ce n’est pas pour ou contre telle ou telle puissance terrestre. Sinon, on ne voit pas que des représentants éminents du parti espagnol auraient pu se sentir aussi à l’aise à ses côtés que ne l’étaient ceux du parti français. Or, sa chambre même est un lieu de rencontre paisible pour des gens de tout bord politique, absolument pas le cénacle d’une faction. C’est si vrai qu’on trouverait sans doute à grand’- peine lequel des deux partis était le mieux représenté et le plus assidu chez les Oratoriens. Non seulement, d’ailleurs, Philippe Néri n’était pas un homme d’influen- ce à la façon du monde et des puissants, mais il l’était si peu que, d’après l’ambassadeur florentin, le pape lui-même, son ami, avec toute la vénération qu’il avait pour lui, se permettait de le tenir pour mezzo barbogio et qu’un Lomellini assurait à Nevers que le vieillard était un uomo semplice, ce que Bordet traduit, à notre avis justement, par la périphrase «un homme simple et tout le contraire d’un savant». Rappelons encore que pour Clément VIII, il était «peu fondé en théologie». Non qu’il fût ignorant: sa bibliohèque per- sonnelle comptait alors plus de 500 livres et manuscrits, et il avait autrefois étudié la théologie avec intérêt47. Mais il n’était assurément pas non plus un chercheur, un spéculatif, un docteur. Pour nourrie et équilibrée que fût sa science, ce n’était pas par elle qu’il convainquait: la quantité de ceux qui se convertirent à son contact furent bien plutôt gagnés par la transparence de l’amour divin en sa personne. Il devait notamment cette transparence à sa simplicité et à son humilité, qu’il cultivait au point de chercher activement les moyens d’être considéré comme un simple et, pour ainsi dire, un « fou ». L’avis d’un Clément VIII ou d’un Lomellini indiquent qu’il y était parfaite- ment parvenu; le handicap du grand âge jouait d’ailleurs dans ce sens, et pro- bablement en usait-il ainsi, laissant finalement à la grâce le soin de transfi- gurer sa faiblesse. Aussi peut-on même, à la limite, affirmer sans égratigner le moins du monde la sainteté de Philippe que son intervention, à vues hu- maines, ne fut pas nécessairement brillante, ni par son utilité, ni peut-être par sa pertinence. Peut-être même sa démarche ne fit-elle qu’augmenter la perplexité du pa- pe? A cette époque, elle était source chez Clément VIII d’une anxiété telle

47 Voir ANTONIO CISTELLINI, I libri e la libreria di San Filippo Neri, in Memorie Oratoriane. Quaderni di storia e spiritualità oratoriana n. 18 (1997) 7-43. M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 83 qu’il lui échappait de dire qu’il préférerait être lui-même mort, ou que Na- varre trépassât d’une arquebusade48… L’aida-t-elle par ailleurs à se montrer assez bien disposé à l’égard de Ne- vers pour que celui-ci se maintienne encore à Rome? Probablement pas, car à la date à laquelle Philippe rendit visite à Clément VIII, Nevers avait déjà obtenu la prolongation de son séjour. Il n’y a pas moins lieu de noter ici que l’esprit de discernement et celui de prophétie qui caractérisaient Philippe, conjointement à l’aura propre de cette simplicité que nous évoquions, donnaient à ce vieux prêtre une autori- té surnaturelle qu’un Clément VIII était tout à fait à même de recevoir, com- me on l’a évoqué plus haut ; si elle n’eut pas d’effet visible à court terme, on peut estimer à bon droit qu’elle pesa son poids, à la longue, dans les délibé- rations intérieures du pape. D’ailleurs, tant que Philippe fut en vie, il ne don- na guère semble-t-il au pontife l’occasion d’oublier son conseil. Et lorsqu’il fut mort – ce qui ne fut pas, dans la Rome de 1595, un petit événement – le pape qui faisait ouvrir son procès de canonisation en même temps qu’il se lancait décidément dans les dernières consultations concernant l’absolution de Navarre ne manqua sans doute pas d’implorer en secret le père si cher qui comblait déjà par son intercession la foule de ceux qui s’en remettaient à lui.

Car l’intervention des Oratoriens ne s’arrêta pas à la démarche en faveur de Nevers. De son côté en effet, César Baronio ne cessa d’intercéder auprès du pape en faveur de la réconciliation, appuyé en sous-main par le comman- dement d’un père Philippe qui semblait peut-être radoter un peu mais n’im- patientait pas, lui, le Saint Esprit. «L’hagiographe de 1617», sans doute plus fiable ici, témoigne d’ailleurs de la persévérance et du sommet atteint dans l’intention spirituelle du fondateur de l’Oratoire concernant cette affaire, alors qu’il n’était plus qu’à quelques mois de la mort49:

«Le bienheureux Philippe envoya Baronio, alors confesseur du pape, dire à Sa Sain- teté qu’il fallait qu’il rebénisse Bourbon, parce que lui [Philippe] s’obligeait à de- voir rendre compte à Dieu de cette action. Et cela Baronio l’attesta quelques années plus tard, dans un sermon que fit Sa Seigneurie Illustrissime après vêpres dans l’é- glise au jour de la fête du Bienheureux, en présence de nombreux cardinaux très illustres, parmi lesquels se trouvait le Cardinal du Perron, de singulière doctrine et

48 PONNELLE, 496. 49 CAPECELATRO, II, 591-592. 84 ANNALES ORATORII

éloquence, lequel, cité par Baronio comme témoin de ce fait, se leva et, enlevant sa barrette, acquiesca aux paroles de Baronio.50»

On pourrait bien objecter que du Perron, qui arriva à Rome alors que Phi- lippe Néri était mort depuis un mois et demi, n’avait pu être directement té- moin du fait ; il serait cependant injuste d’en conclure à la nullité de cette source. Philippe, selon l’une de ses propres expressions, aurait donc «fait vio- lence à Dieu» à ce sujet. Ce fut Baronio, toutefois, qui prit sur lui d’insister auprès de Clément VIII, en son propre nom comme en celui du vieux père, par écrit aussi bien que par oral, et en allant jusqu’à déclarer au pape qu’il ne voudrait plus l’entendre en confession si celui-ci persistait à refuser d’ab- soudre Navarre51. A la cour, on savait ses manœuvres, et on lui conseillait de modérer son action, de manière à ne pas irriter les représentants du parti ad- verse. Etant donné la gravité de l’affaire, la puissance des partis en lice et l’é- chauffement des passions, ces tentatives d’intimidation indiquaient de réels dangers. Baronio aurait toutefois répondu qu’il désirait cent fois la mort pour la gloire de Dieu, la paix de l’Eglise et le salut des âmes. Pour ce qui est de l’écrit, le prévôt de l’Oratoire fut notamment chargé de fournir au pape la lec- ture critique d’un mémoire contre Navarre rédigé par l’Auditeur de Rote Francesco Peña; ce mémoire intitulé De veris et falsis remediis Christianae Religionis instaurandae, et Catholicos conservandi, reçut en dessous de son titre, écrite à l’encre rouge par le pape lui-même, l’annotation suivante: «Hunc librum nobis Clementi Octavo dedit Franciscus Peyna Rotae Auditor: adnotationes autem vel censurae sunt Caesaris Baronii.»52 En 1594, l’Inqui- sition espagnole fit de grosses difficultés pour la publication des Annales ec- clésiastiques dans les territoires relevant de sa juridiction, insinuant ainsi que Baronio n’était pas un auteur fiable. Ce coup contre lui n’avait rien d’inno- cent: il l’atteignait là où son autorité, donc son influence, était la plus gran- de. Ce n’est sans doute pas un hasard, d’ailleurs, si Baronio, dans sa dédica- ce au pape du cinquième tome des Annales, consacré à l’époque de saint Au- gustin et publié au même moment, évoque l’antique discipline de l’Eglise

50 Cette scène advint le 26 mai 1605, 1606 ou 1607. 51 CALENZIO cite une source le confirmant (p. 354-355) : « Et ex eo tempore, et hac occasio- ne cepit Cardinalis haberi suspectus ab Hispanis, quasi defecisset ab eis, et adhaesisset Gallis. Minatus est Baronius Clementem VIII se nolle amplius fungi officio confessarii, nisi absolveret Re- gem Galliarum, cum adhuc esset in Minoribus Presbyter simplex. » 52 CALENZIO, 356. M. Delestre, L’influence de Saint Philippe et du Vénérable Baronio... 85 concernant la réintégration des lapsi ou hérétiques en soulignant que la mis- éricorde avait toujours prévalu, sauf le cas de simulation… il récidive l’an- née d’après, dans un livre d’apologétique sur le même sujet, et doit ferrailler dur car il est contredit en haut lieu, comme en témoigne un contemporain53:

«Pendant ce temps, on vit à la Cour de nombreux écrits disputant de ce point pour l’un ou l’autre camp. Mais comme certains, ou bien agissaient par intérêt, ce qui aveugle même les hommes par ailleurs réputés prudents, ou bien, poussés par ce zè- le que S. Paul appelle non secundum scientiam, osaient parler trop librement, le Pè- re César Baronio, auteur des Annales Ecclésiastiques et confesseur de Sa Sainteté, prenant occasion de la mauvaise interprétation que certains donnaient à la dédicace du cinquième tome qu’il avait adressée à Sa Sainteté, publia une Apologie dans la- quelle il démontrait que ce n’était pas une chose nouvelle dans l’Église de Dieu que l’on absolve les hérétiques relaps en leur rendant même sceptre et couronne. Avec cela, comme il avait déplu à quelqu’un dont je ne puis dire le nom puisqu’il l’a lui même tu dans l’écrit qu’il a publié54, untel lui écrivit donc de telle sorte que Baro- nio dut reprendre la plume et faire une Apologie de l’Apologie pour mieux se dis- culper et prouver son opinion par d’autres fondements encore.»

Le prévôt de la Congrégation de l’Oratoire de Rome s’engagea donc très clairement et obstinément, entre 1593 et 1595, en faveur de l’absolution d’- Henri IV, et Clément VIII estima manifestement que ce qu’il fit était utile au progrès de l’affaire: Calenzio signale et dresse à ce propos la considérable liste de mémoires qui étaient parvenus au pape sur la question, et que la bi- bliothèque Vallicellane conserve encore aujourd’hui en tant que dépositaire des livres des premiers Oratoriens. Cela signifie que Baronio disposait d’un vaste «dossier» concernant l’affaire: à n’en pas douter il le tenait du pape lui-même, qui sollicitait explicitement, on l’a vu, son conseil. Il se trouve qu’avant même de l’avoir pour confesseur, Clément VIII souhaitait donner à Baronio le chapeau de cardinal: on peut bien sûr penser que l’œuvre et les qualités intrinsèques de cet homme qu’il connaissait et appréciait depuis longtemps justifiaient déjà ce choix. Toujours est-il qu’apparemment, le commerce quotidien qu’il eut avec lui durant l’année précédant l’absolution

53 LAZARO SORANZO, Narrazione di quanto operò in Roma di Peron nel negozio dell’assolutione ricercata da Enrico IV Re di Francia e di Navarra dalla Santità di Nostro Signore Papa Clemente VIII, fino all’ultimo atto di essa assolutione ; extrait cité par CALENZIO, 358. Tra- duit par nos soins. 54 Calenzio identifie un évêque travaillant à la Curie, Mgr Serafini. 86 ANNALES ORATORII d’Henri IV l’a confirmé dans son propos: on peut donc aussi penser que Clé- ment VIII conféra d’autant plus volontiers la pourpre à Baronio qu’il lui était reconnaissant d’avoir pu trouver en lui un conseil fiable, spécialement dans «l’affaire Navarre». On sait que le pape, pour ce gravissime cas de conscience qu’il devait trancher seul, sollicitait les aides autant qu’il s’en défiait. En mê- me temps que son pointillisme intellectuel requérait les travaux précis et ar- gumentés des hommes sages parce que savants, sa foi lui faisait demander les secours et la lumière de Dieu en cette «forêt obscure» qu’il disait traver- ser; et pour cela il avait besoin de l’avis et des prières des hommes sages par- ce que saints. Trouver en Baronio à la fois le conseil d’un homme docte et avisé, et la fermeté spirituelle d’un vrai disciple de celui «qu’il tenait pour à moitié sénile et non fondé en théologie», mais qu’il vénérait comme un saint, ne fut sans doute pas la moindre des aides pour Clément VIII. On se permet donc d’affirmer ici que la pourpre qu’il lui donna moins d’un an après l’ab- solution d’Henri IV tenait certainement aussi de sa reconnaissance à ce pro- pos55; nous nous rangeons de surcroît à l’avis de Ludwig von Pastor en esti- mant que cette accession au cardinalat du vénérable César Baronio fut, avec celle de saint Robert Bellarmin, la plus méritée de toutes celles qui advinrent sous le pontificat de Clément VIII. Après cela, que le cardinal Baronio ait aussi nourri la fermeté de ses convictions concernant l’absolution d’Henri IV de la vivace impulsion qu’il pouvait trouver chez son propre maître de vie – et pénitent tout à la fois – n’enlève rien à la spécificité de sa propre influen- ce; d’ailleurs saint Philippe Néri lui devait au moins, de son côté, une ex- hortation à l’heure où lui-même avait perdu courage. Cette affaire qui impli- qua conjointement les deux premiers supérieurs de l’Oratoire de Rome est par le fait assez exemplaire d’une réalité de la vie ecclésiale que notre insti- tut tend ordinairement à vérifier et illustrer: l’interdépendance et la complé- mentarité des charismes dans le lien de la charité et de l’obéissance mutuel- le, source d’une œuvre dont la valeur dépasse infiniment la somme des tra- vaux de chaque individu.

Matthieu Delestre, C.O.

55 Il ne lui donna d’ailleurs sans doute pas au hasard le titre des saints Achille et Nérée, qui était encore quelques mois auparavant celui du cardinal Jean-François Morosini! U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo 87

THE MIRACLE OF ST. PHILIP NERI IN THE PALAZZO MASSIMO *

An important aspect of the reform of the inaugurated by the Council of Trent (1546-63)1 was the regulation of the procedures by which the sanctity of holy men and women was officially recognised. The storms of the Protestant Reformation, with its vehement reaction against the cult of the saints, had led to a crisis of confidence in Catholicism. After the canonization of the fourteenth-century Dominican reformer Antoninus of Florence in 1523, the first saint to be raised to the altar by a pope was the fifteenth-century Spanish Franciscan Diego de Alcalá in 1588.2 On 22 Janu- ary of that year Pope Sixtus V founded the Sacred Congregation of Rites and Ceremonies. This dicastery of the Papal Curia was in charge of examining the life of candidates and of regulating their public cult until 1969, when it was replaced by the Congregations for the Causes of Saints and for Divine Worship. Other landmarks in this process of reform were Pope Clement VI- II’s bull canonising Raymond Peñaforte, Romana catholica ecclesia, in 1601 and the establishment of a distinct Congregation of the Beati in 1602. The post-Tridentine efforts to define sanctity found their lasting expression in the brief Coelestis Ierusalem cives (1634) by Pope Urban VIII. The rules set forth

* I would like to thank Dr Simon Ditchfield of York University and Father Dermot Fenlon of the Birmingham Oratory for their help and criticism and Mr George McHardy for his advice in matters of grammar and style. 1 For an overview see E. Iserloh – J. Glazik – H. Jedin, Reformation, katholische Reform und Gegenreformation (Handbuch der Kirchengeschichte; IV), Freiburg 21975 and, more recently, M. Venard et al., Le temps des confessions (1530-1620/30) (Histoire du christianisme des origines à nos jours; VII), Paris 1992; cf. also A. Borromeo, ‘Aspetti della riforma postridentina a Roma nel- l’età di san Filippo Neri’, M. T. Bonadonna Russo – N. Del Re (ed.), San Filippo Neri nella re- altà romana del XVI secolo: atti del convegno di studio in occasione del IV centenario della morte di San Filippo Neri (1595-1995), Roma – 11-13 maggio 1995, Roma 2000, 37-67. 2 S. Ditchfield in his chapter ‘Santità e culti nel mondo della Riforma e della Controriforma (1560-1800 ca.)’ of the forthcoming volume Storia della santità nel cristianesimo occidentale ar- gues that the triumphal translation of Benno of Meissen (who, incidentally, was canonised with Antoninus of Florence in 1523) to Munich by the Wittelsbach in 1580 marked the revival of the cult of the saints after Trent. 88 ANNALES ORATORII in this document remained in force until 1983, when Pope John Paul II is- sued the Apostolic Constitution Divinus perfectionis magister.3 An established school of thought, represented in the English-speaking world by John Bossy, has argued that in response to the Protestant attack on the veneration of saints, the Catholic Church put emphasis on the saint as a model of heroic virtue rather than as a powerful intercessor and wonder- worker: Rome certainly learnt the lesson, and took some time to recover its nerve. When it did, it adopted the humanist notion that a saint was a model of virtue rather than a friend or benefactor, and presented heroic figures for public wonder or imitation, not for private affection.4

The recognition of a candidate’s heroic virtue was an essential part of the canonization procedure in the Catholic Church after Trent. However, a num- ber of studies on the Counter-Reformation Church in various parts of Europe have shown that the miraculous, especially as manifested in powers of heal- ing, continued to be seen as an outstanding mark of a person’s sanctity, in spite of the Reformers’ criticism.5 In fact, the working of miracles was be- lieved to be one of the key signs indicating the Holy Roman Church as the One True Church in the face of the Protestant challenge. The presence of God in his saints contributed to the renewed confidence of the Ecclesia militans. Devotion to the saints as heavenly patrons and friends was thriving, not least because it appealed to traditional religious practice, the continuity of which should not be underestimated. This devotion often centred on the holy per- son’s miraculous powers of healing.6

3 See G. Papa, Le cause di canonizzazione nel primo periodo della Congregazione dei Riti (1588-1634), Città del Vaticano 2001, 16-26; also S. Ditchfield, ‘Sanctity in Early Modern ’, Journal of Ecclesiastical History 47 (1996), 98-112, at 103-4. 4 J. Bossy, Christianity in the West 1400-1700, Oxford – New York 1985, 96; cf. the seminal study by R. De Maio, ‘L’ideale eroico nei processi di canonizzazione della Controriforma’, id., Ri- forme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Napoli 1973, 257-78. 5 For example, D. Gentilcore, From to Witch: The System of the Sacred in Early Mod- ern Terra d’Otranto, Manchester 1992; id., Healers and Healing in Early Modern Italy, Man- chester 1998; P. Soergel, Wondrous in His Saints: Counter-Reformation Propaganda in , Berkeley – Los Angeles – London 1993; J.-M. Sallmann, Naples et ses saints à l’âge baroque (1540-1750), Paris 1994; R. Scribner – T. Johnson (ed.), Popular Religion in Germany and Cen- tral Europe, 1400-1800, Basingstoke 1996. 6 Cf. Sallmann (1994), 374: ‘Il serait faux de croire que l’Eglise a cherché à amoindrir le rôle du miracle en lui substituant la notion de vertu héroïque. Celle-ci ne fut théorisée qu’à la fin du U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo 89

A case in point is one of St Philip Neri’s most celebrated miracles, the raising to life of the young Paolo Massimo on 16 March 1583. The event is well documented by several depositions in the canonization processes, and the extant material sheds light on a number of interesting issues, which I shall discuss in this article.

The Canonization of St Philip Neri The first inquiry to ascertain Philip’s reputation for sanctity was started in 1595, within weeks of his death on 26 May of that year. The initiative came from Father Antonio Gallonio, a priest of the Roman Oratory, who from his early youth had been under Philip’s spiritual direction and took care of him in the last years of his life. Gallonio was totally dedicated to Philip; at the same time he was hot-headed and often showed considerable intransigence in the matters he decided to pursue.7 His energy and determination in pro- moting public devotion to Philip was not well received by everybody in his own congregation, and the Roman Fathers kept their distance.8 The opening moves of Gallonio were supported by the Abate Marc’ Antonio Maffa, a cu- rial official and intimate friend of Neri, who obtained from Pope Clement VI- II the verbal commission that the Apostolic Visitors for the City of Rome, Ludovico de Torres, Archbishop of Monreale, and Lewis Owen, Bishop of Cassano, both devoted to Philip, should open the process of canonization. The Congregation of the Oratory was more or less constrained to act as the promoter of the cause and was represented by its superior, Father Cesare Ba- ronio, later made a cardinal, who was joined by Cardinal Agostino Cusani. They appointed the notary of the Apostolic Visitors, Giacomo Buzio, a canon of San Giovanni in Laterano, to examine witnesses. The first testimonies

XVIe siècle, mais elle naît au XIIIe siècle. Ce n’est donc pas à proprement parler une nouveauté, et il convient de distinguer le discours à vocation pédagogique et la pratique quotidienne des fidèles. Lorsqu’on examine de près les dépositions de ces derniers dans les procès de béatification, il est facile de vérifier à quel point ils renversent le lien que les théologiens ont établi entre les vertus chrétiennes exercées au degré héroïque et les dons surnaturels. C’est bien parce qu’il accomplit des miracles que le fidèle est convaincu que le saint fut un héros chrétien au cours de sa vie, et non pas la contraire’. 7 M. T. Bonadonna Russo, in the introduction to her critical edition of A. Gallonio, Vita di San Filippo Neri. Pubblicata per la prima volta nel 1601, Roma 1995, IX, speaks of the ‘appassiona- ta intransigenza con cui Gallonio affrontava qualunque situazione, sia comunitaria che personale’. Cf. S. Ditchfield, ‘Gallonio, Antonio’, Dizionario biografico degli Italiani 51 (1998), 729-31. 8 See A. Cistellini, San Filippo Neri: L’Oratorio e la Congregazione Oratoriana, storia e spir- itualità, 3 vol., Brescia 1989, II, 983-86; also Bonadonna Russo (1995), XVI. 90 ANNALES ORATORII were heard on 2 August 1595, and many depositions were recorded in the following years.9 Despite the strong devotion to Philip among the people of Rome, the inquiry dragged on for a considerable time and suffered from long interruptions. There were various reasons for that: the problems caused by the somewhat imprudent zeal of some Roman Oratorians in promoting the public veneration of their founder and the death of important persons in- volved in the cause, especially of Buzio and Baronio. Moreover, the project- ed canonization of Philip became a political issue, since the Spanish resent- ed the key role he had played in the reconciliation of Henry of Navarre with the pope and the Church.10 An effort to resume the cause was made by the Roman Oratory, with the help of the Grand Duke of and the French ambassador to the , Carlo Gonzaga, Duke of Nevers, towards the end of 1608. Pope Paul V’s brief to reopen the process was presented to the Congregation of Rites on 9 May 1609, and the Cardinal-Vicar of Rome, Gerolamo Pamphilj, was appointed judge in charge of the proceedings to examine Philip’s life, char- acter, holiness and miracles. This second processus (‘in genere’) was quick- ly completed by 20 June of that year, with a favourable conclusion.11 Further testimonies were heard and another year passed until the beginning of the third processus (‘in specie’).12 From 19 July 1610 to 15 April 1612, the third processus was conducted ‘auctoritate apostolica’ before the Auditors of the , Francisco Peña, Denis Simon de Marquement and Orazio Lan- cellotti (replaced in 1611, when he was created cardinal, by Alessandro Lu-

9 The acts of the processes are available in the edition of G. Incisa della Rocchetta – N. Vian (con la collaborazione di C. Gasparri), Il primo processo per s. Filippo Neri nel codice Vaticano Latino 3798 e in altri esemplari dell’Archivio dell’Oratorio di Roma, 4 vol., Città del Vaticano 1957-63 [henceforth cited as: Processo]. For the protracted history of the canonization, see the brief account in Processo, I, VII-IX. Cf. Cistellini (1989), II, 985: ‘Vero è che in questa opera di in- formazione, di interventi varii da ogni parte e di sollecitazioni e pressioni per la glorificazione del Padre, rimangono non poche cose in ombra e si affacciano molti interrogativi’. 10 These issues cannot be explored here; see Cistellini (1989), II and III, passim. The problems caused by the public veneration of Philip before the official approval of his cult are discussed by Papa (2001), 52-64 and 127. Cf. also A. Wright, ‘“A Race to the Altar”: Philip Neri and Ignatius Loyola’, M. A. Rees (ed.), Leeds Papers on Symbol and Image in Iberian Arts, Leeds 1994, 151- 160. 11 Only a few depositions were recorded between 4 and 17 June 1609; cf. Processo, IV, 1-2, and Cistellini (1989), III, 1902-5. 12 Papa (2001), 110, comments: ‘A dimostrare che l’incertezza della procedura non era stata superata, si fa notare che, ancora a questo tempo (...) sempre nei riguardi di Filippo Neri, si pro- cedette all’escussione di moltri altri testi in fase “ordinaria”.’ U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo 91 dovisi).13 A commission of cardinals of the Congregation of Rites was given the task of examining the material in June 1614. They concluded their work with a positive verdict and Pope Paul V beatified Philip on 25 May 1615, granting permission to celebrate the Office and Mass of the saint (classified as a confessor who was not a bishop) in the Chiesa Nuova.14 The Pope re- minded the Fathers of the Roman Oratory to take into account the difference between and canonization, and urged them to conduct the fes- tivities in honour of Philip ‘con modestia’. This injunction reflected the fact that beatification was still understood as nothing more than the approval of the Office and Mass of the candidate. It is generally recognised that the first formal beatification, as distinct from the ‘autorizzazione all’ufficiatura’, was that of Francis de Sales on 8 January 1662.15 In 1621, Philip’s cause was tak- en up again and on 12 March 1622 he was canonised by Pope Gregory XV along with Isidore the Labourer, Ignatius of Loyola, Francis Xavier and Tere- sa of Avila.16 The Roman people, who were greatly devoted to Philip, said that the pope had raised to the altar ‘four Spaniards and a saint’. This com- ment was not only a characteristic piece of wit and chauvinism, but also showed keen awareness of how the political struggles among the Catholic powers of Europe affected the causes of saints. Be that as it may, the day of these five canonizations is rightly regarded as one of the high points of the Counter-Reformation.

The Raising from the Dead of Paolo Massimo The Massimo were among the most illustrious and powerful families of Rome. Fabrizio Massimo (1536-1633), Paolo’s father, was a spiritual child and intimate friend of St Philip. The saint exerted a very salutary influence on Fabrizio, who had an intemperate character and was in his earlier years given to strife and violence. In one of the many family dramas of sixteenth-

13 Cf. Processo, IV, 7-19; Cistellini (1989), III, 1947-8; Papa (2001), 109-11. 14 Cf. Cistellini (1989), III, 2051-3. The permission was strictly limited to the Roman house. Not even the Naples Oratory, a foundation made in Philip’s lifetime, was allowed to celebrate the anniversary of his death with a proper Office and Mass. This added to the tensions between the two houses. 15 However, Pope Urban VIII raised Andrea Avellino to the honour of the altar with the for- mula ‘interim beatus nuncupetur’ on 4 September 1624, as noted by De Maio (1973), 298. On the history of beatification and its distinction from canonization, see Papa (2001), 170-214, and M. Gotor, I beati del papa: santità, Inquisizione e obbedienza in età moderna, Firenze 2002. 16 Cf. Cistellini (1989), III, 2139-48. 92 ANNALES ORATORII century Rome, Fabrizio stabbed his sister Plautilla, who was suspected of an adulterous relationship. Fortunately, she survived the attack and her brother was afterwards reconciled to her. Philip’s affection, prudence and gentle tenacity transformed the life of Fabrizio and indeed of the whole family; Fab- rizio declared that his house had been entirely in Philip’s hands.17 The saint often went to the Palazzo Massimo alle (or delle) Colonne to hear the con- fessions of the family and took care of their spiritual welfare and occasion- ally even of their temporal affairs. Fabrizio visited Philip frequently and so completely enjoyed the confidence of the saint that he is, in fact, a better wit- ness to the last years of the saint’s life at the Vallicella than most members of his own Congregation. Fabrizio and his first wife, Lavinia de’ Rustici, who died in 1575, had five daughters in succession. When Lavinia was again preg- nant in 1569, Philip predicted the birth of a son. Fabrizio agreed that the boy should be given a name determined by Philip, who, for unknown reasons, chose Paolo. The saint had great affection for the boy, who was one of his most faithful spiritual children; Paolo for his part was dedicated to prayer and regularly went to the saint for confession. In January 1583, when the boy was about fourteen years old, he caught a fever that proved to be fatal. His illness lasted sixty-five days, during which Philip visited him every day. Paolo’s condition deteriorated, and on 16 March his end was obviously near. The received version of the miracle is found in the Life of St Philip by Father Pier Giacomo Bacci of the Roman Oratory, published in 1622. This work has become the received life of the saint in the hagiographical tradition:18

[On 16 March] the poor boy was near his end; and as the holy father had de- sired to be informed when he was on the point of expiring, they sent to say that if he wished to see him alive he must come as quickly as possible. The messenger arrived at S. Girolamo whilst Philip was saying mass, so that he could not speak to him. Meanwhile the boy expired; his father closed his eyes; Camillo, the parish priest, who had given him Extreme Unction and

17 Fabrizio Massimo’s deposition of 29 February 1596, Processo, II, 60. Cf. M. T. Bonadon- na Russo, ‘Quarto centenario del miracolo di casa Massimo’, L’Urbe 46 (1983), 1-12, at 5-10. The pamphlet in commemoration of the miracle by G. Lais, Terzo centenario del miracolo di s. Filip- po Neri al Palazzo Massimo, Roma 21883, is indicative of the bond between the Massimo family and the Roman Oratory. 18 Cf. Cistellini (1989), III, 2155. U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo 93 made the commendation of the soul, was already gone; and the servants had prepared water to wash the body, and linen cloths to wrap it in. In half-an- hour’s time the holy father arrived; Fabrizio met him at the top of the stairs, and said, weeping, ‘Paolo is dead;’ Philip replied: ‘And why did you not send for me sooner?’ ‘We did,’ rejoined Fabrizio, ‘but your Reverence was saying mass.’ Philip then entered the room where the dead body was, and throwing himself on the edge of the bed, prayed for seven or eight minutes with the usual palpitation of his heart and trembling of his body. He then took some holy water and sprinkled the boy’s face, and put a little into his mouth. Af- ter this he breathed in his face, laid his hand upon his forehead, and called twice with a loud and sonorous voice, ‘Paolo, Paolo!’ upon which the youth, as if awakening from a deep sleep, immediately opened his eyes and said, in reply to Philip’s call, ‘Father!’ and immediately added, ‘I forgot to mention a sin, so I should like to go to confession.’ The holy father made those who were round the bed retire for awhile, and putting a crucifix into Paolo’s hand, heard his confession and gave him absolution. When the others returned in- to the room Philip began to talk to the youth about his sister and mother, who were both dead, and this conversation lasted about half-an-hour, the youth answering with a clear distinct voice, as if he had been in perfect health. The colour returned to his countenance, so that those who saw him could hardly persuade themselves that anything was the matter with him. At last the holy father asked him if he could die willingly; he replied that he could. A second time Philip asked him if he could die willingly; he answered, ‘Yes, most will- ingly; especially that I may go and see my mother and sister in paradise.’ Philip then gave him his blessing, saying, ‘Go, and be blessed, and pray to God for me;’ and immediately with a placid countenance and without the least movement Paolo expired in Philip’s arms. During the whole of this scene Fabrizio was present with his two daughters, afterwards nuns at Santa Marta, Violante Santa Croce, his second wife, the maid Francesca who had attended Paolo during his illness, and some others.19

19 P. G. Bacci – G. Ricci, Vita di s. Filippo Neri Fiorentino, Fondatore della Congregatione dell’Oratorio, Roma 1672, 331-2 (lib. III, cap. XII); English translation by F. I. Antrobus, The Life of Saint Philip Neri, Apostle of Rome, and Founder of the Congregation of the Oratory, from the Italian of Father Bacci of the Roman Oratory, new and revised edition, 2 vol., London 1902, II, 66-8. The room where the miracle happened was soon turned into a chapel, which was splendid- ly decorated and honoured with papal privileges; cf. ‘La cappella del miracolo a palazzo Massi- mo’, Memorie Oratoriane 18 (1997), 129-30. Pope Gregory XVI raised the chapel to the status of a ‘chiesa publica’, and Pope Pius IX granted a proper Mass to be said on 16 March in commem- 94 ANNALES ORATORII

Although Bacci’s Life of St Philip draws on the extensive material from the canonization processes, there are a few points where he departs from the depositions made by the witnesses to the miracle. To elucidate these unclear points we need to look at the individual testimonies in detail.

The Depositions of the First Process There are three accounts of the miracle by Paolo’s father, Fabrizio. There is another by Violante Santacroce, his second wife and the boy’s stepmoth- er, and another by Francesca, a servant in the household who later moved with her husband Giovanni Battista Rosati to Arsoli, where the Massimo fam- ily had acquired a fief. These three persons were eyewitnesses of the events. A narrative of the miracle is included in the biography of the saint published by Gallonio in 1600. On 13 September 1595, Fabrizio gave a description of what happened on that memorable day more than twelve years ago (see Appendix).20 This is the shortest of Fabrizio’s three depositions. It is reduced to the essential facts of the boy’s terminal illness and death, his brief return to life, when he was called by Philip, and his second death. The narrative includes one colourful detail confirmed by Violante Santacroce and Francesca Rosati but omitted in Bacci: Paolo showed definite signs of being alive and relieved himself. Fab- rizio testifies to the conversation between Philip and Paolo, which lasted for a quarter of an hour, but does not say anything about its contents, let alone mention the boy’s confession. Less than six months later, on 29 February 1596, Fabrizio made another deposition, mainly about the miraculous resuscitation of his son Paolo (see Appendix).21 In this more detailed report Fabrizio confirms that the messen- ger from the Massimo family found Philip saying mass and could not speak to him. In January 1583, Philip still lived in San Girolamo della Carità (he moved to the Vallicella in November of the same year). Since we know that it was the saint’s habit to celebrate the last mass of the morning, this would indicate that it was about midday. In the meantime Don Camillo, the parish priest of San Pantaleone, to which the Palazzo Massimo belonged, made the commendation of the soul. In his third deposition of 1609 Fabrizio states that oration of the miracle. Every year many Romans and foreign visitors alike go to the palace to pray and celebrate the anniversary of the miracle. For photographs of the chapel, see the website of the Oratorian Confederation: (18 May 2003). 20 Processo, I, 202-3. 21 Processo, II, 60-1. U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo 95

Don Camillo had conferred the sacrament of Extreme Unction on the boy a few days earlier.22 After Philip had arrived,23 he went straight into the room, put his hand on the boy’s forehead and prayed for a few minutes, with the great trembling that was a characteristic sign of his fervour. He took holy water, which the parish priest had left in the room, and sprinkled it on the boy’s mouth and face.24 Then Philip said with a loud and clear voice ‘Paolo, Paolo’. The boy opened his eyes, as if rising from sleep, and said ‘O Padre.’ Paolo showed clear indi- cations of being alive. Again the detail about the boy’s need to pass water is revealed. Fabrizio gives an account of the conversation between Philip and the boy. Philip asked Paolo whether he would not be happy to die and go and see his mother and sister again. Paolo’s mother Lavinia had died on 30 October 1575, and his sister Giulia, a nun in the convent of Tor di Specchi, having tak- en the name Elena, had passed away on 20 January 1583. The boy replied with a clear and distinct voice that he was ready to die and wanted to go and see his mother and sister. While there is no mention of Paolo’s confession, Fab- rizio states that they had ‘altri ragionamenti sopra la morte.’ It is noteworthy that Fabrizio lists the witnesses of the events, but he is somewhat vague about it: Violante Santacroce, his wife, an unspecified number of servants, the physi- cian Alessandro da Civita, and another person whose name he does not re- member. Don Camillo, the parish priest, had already left the house.25 Fabrizio made another, third deposition on 30 September 1609, which com- prises forty-six folio pages in the acts of the process. This deposition follows the sequence of articles drafted for the third processus ‘in specie’ and was obvious- ly considered definitive.26 Fabrizio gives an extensive account of the miracle (see

22 Processo, II, 353. 23 In his second deposition of 29 February 1596 (Processo, II, 60), Fabrizio states that Philip came after a quarter of an hour, which is confirmed by A. Gallonio Vita Beati P. Philipii Nerii Flo- rentinti Congregationis Oratorii Fundatoris in annos digesta, Romae 1600, 154. However, ac- cording to the other witnesses, including Fabrizio in his third deposition of 30 September 1609 (Processo, II, 352), it took Philip half an hour to get to the Palazzo Massimo. 24 Gallonio (1600), 155, says that the course of events was the other way round: first came the sprinkling with holy water, then the saint’s prayer. Gallonio also mentions that Philip pressed Pao- lo’s body to his breast, in his usual manner. 25 Only Francesca Rosati in her deposition of 26 October 1596 provides the names of two of the servants who were present: Portia and Gieronima, one of them being dead, the other one hav- ing become a nun in Cittaducale; Processo, III, 407. 26 Cf. the note at the end of the deposition, dated 29 September 1609: ‘Idem ill.is d.nus Fab- ritius de Maximis consignavit, medio iuramento, tactis etc. mihi notario etc. praesentem proces- sum et examen foliorum quadragintasex retroscriptum et dixit contenta in eo fuisse et esse vera in 96 ANNALES ORATORII

Appendix),27 which agrees with his two earlier testimonies. There are a few points of interest. Paolo’s physical necessity is described in detail;28 naturally, the people in the room were stupefied by this, all the more so because the boy showed signs of being in perfect health. Fabrizio reports that Philip talked with Paolo for about a quarter of an hour, and he conveys the impression that he wit- nessed the whole conversation between the two. Finally, Philip asked the boy whether he wanted to die and see his mother and sister again in Paradise. After Paolo had answered in the affirmative, the saint gave him his blessing (‘gli diede la sua benedittione’ – no absolution is mentioned) and the boy died peacefully. Fabrizio asserts that he was witness to all that had happened and that he observed with utmost attention everything that Philip did, including the conversation be- tween him and the boy. Once again, Fabrizio gives a list of further witnesses, which accords with the list already given in 1596. He was convinced that he had seen an extraordinary miracle that was evidence of Philip’s holiness: Paolo died and was raised to life again through the prayers of the saint. The rather circuitous deposition of Violante Santacroce, given on 30 April 1596, confirms Fabrizio’s account. Violante emphasises that Paolo was consid- ered dead by all those present and testifies that Philip spoke to the boy for ‘un quarto d’hora, o mezza hora’, but there is no mention of a confession.29 The dep- osition of Francesca Rosati, recorded on 26 October 1596 extra urbem in Ar- soli also corroborates Fabrizio’s version of the events.30 It would seem all the more significant that Francesca does not mention Paolo’s confession, because she states that she was witness to all that happened and in fact supported the boy (most likely his head) with her left hand during his conversation with Philip.31 In that case the saint could hardly have heard the boy’s confession.32 fidem, et post eorundem lecturam, se subscripsit manu propria, praesentibus, in domo propria, rev.do d.no Alphonso Putignagno, presbitero, romano, et Ioanne Baptista Pia, mantuano, testibus etc. Ita est Petrus Mazziottus notarius deputatus’, Processo, II, 366. The date 29 September 1610, given in II, 322, fn. 1664, must be a mistake. 27 Processo, II, 352-4. 28 Paolo is reported to have said: ‘Io mi son bagnato’. He seems to have spilled himself in the act of passing water; cf. Bonadonna Russo (1983), 2, fn. 9. 29 Processo, II, 79. 30 Processo, III, 406-7. 31 ‘Che io a tutto mi trovai presente, che havevo cura di governare detto s.r Paolo. (...) Il quale [Paolo] io lo sostentava dalla mano mancha, et io restai stupita, con l’altri, che erano lì presenti, di haver veduto resuscitare detto s.r Paolo, attribuendo tutto alla santità de detto p. Filippo’; Processo, III, 406-7. 32 As rightly noted by L. Ponnelle – L. Bordet, Saint Philippe Néri et la société romaine de son temps (1515-1595), Paris 1928, 117, fn. 3. U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo 97

Germanico Fedeli, a Father of the Oratory who was later made canon of St Peter’s, knew Paolo well and visited him regularly during his terminal ill- ness. He gave an account of the miracle based on what he had been told by Fabrizio Massimo and Violante Santacroce. His deposition agrees with the previous testimonies of the eyewitnesses: he states that the boy had been spir- itually prepared to die, but there is no mention of his confession.33

The Depositions of the Third Process The third process ‘in specie’ was opened on 19 July 1610 before the Au- ditors of the Rota. No fewer than two hundred and sixty-four witnesses were heard, most of whom had already testified before. All the witnesses con- firmed their previous depositions, and some of them added unknown partic- ulars about the life of the much venerated Father Philip.34 The first witness to be (re-)examined in three sessions on 19, 23 and 24 July 1610 was Fab- rizio Massimo, by then 72 years old. According to the acts of the process, he did not add new facts or important circumstances. Fabrizio was mainly ques- tioned about Philip’s raising to life of his son Paolo and repeated in brief his account of the miracle. The inquiry focused on three points: first, how long in Fabrizio’s estimation Paolo had been dead; secondly, whether Paolo had really died in the first place or whether he only showed signs that could be mistaken for death; and, thirdly, why he was raised to life only for a short time and then died again. Fabrizio reckoned that the boy had been dead for about half an hour. He and the other people present were certain about the boy’s death. The parish priest had already made the recommendation of Pao- lo’s soul and had left the house. Moreover, the whole body had already be- come cold and the pulse had stopped.35 As for the third question about the

33 ‘Non restando di dire, che, pochi giorni prima moresse, ragionando io con detto Paolo, gli dissi, se voleva barattare con me, con darmi egli il suo male, con il merito della patienza (che real- mente fu male di molta pena, et egli lo sopportava con ogni patienza) che io gli havrei data la mia sanità; mi rispose, che non si curava di barattare, et che stava contento del suo male: onde non è maraviglia, se disse al beato padre, che moriva volentieri’; Processo , III, 292. 34 Cistellini (1989), III, 1948, comments: ‘Col ricordo di lui si avvivava quello della folta schiera dei suoi figli spirituali e discepoli come in un curioso convegno di suggestive memorie’, and adds in fn. 50: ‘C’è da chiedersi perché alcuni fra i più noti (il Pateri, il Fedeli e altri), dopo aver già ampiamente deposto in passato, ora si dilungavano con nuovi particolar, mentre altri, che non deposero in passato, nemmeno ora recano la loro testimonianza’. 35 ‘Io dico, che lo tenni per morto, e quelli che erano presente, lo tennero per morto; il prete essersi già partito, per haverli racomandato l’anima e lasciatolo per morto; e per concorrer tuttil li altri segni, che concorreno alli morti, con esser rafreddato tutto, da capo a piede, perso il polso, et intesito’, Processo, IV, 20. 98 ANNALES ORATORII reason for this brief return to life, the only answer Fabrizio was able to give was that it had pleased God’s Majesty to resuscitate Paolo from death only for a short time and that there were many such instances in the lives of the saints. The hearing was then completed and Fabrizio secured the insertion of his earlier, very detailed deposition of 30 September 1609 into the acts of the third process.36 On 30 July 1610, Violante Santacroce made a deposition for the third process. Apart from a few minor details, she had nothing to add to her earli- er testimony of 30 April 1596. The Auditors of the Rota obviously focused on the miraculous raising to life of Paolo Massimo. Violante, who stood ‘a piede al letto’, confirms that the boy was considered dead.37 A new facet in the story is related in yet another deposition Fabrizio made before the Auditors of the Rota on 18 August 1610. There he declared that in his previous testimonies he had failed to remember an important point: Signore, havendo io fatto reflessione sopra quanto, alcuni giorni sono, mi esaminai, per la verità, di quello che sapevo del beato padre Philippo Neri, mi è sovenuto, che io mi scordai dire certe circostantie, circa la resurrectione di Paolo, mio figliolo, quali, poi, mi sono ricordato et hora, acciò apparisca pienamente il fatto, come seguì, desiderarei dirle qui.38

Fabrizio’s deposition continues as follows: La causa, che io son venuto a dimandar di esser ascoltato, è che, essendomi ricordato, quando il beato Philippo resuscitò mio figliolo detto Paolo, li disse Paolo, al padre, che si era scordato di un peccato, et il detto beato padre fece scanzar tutti da torno a letto e lo riconciliò: e questo passò così, aguingendo questo alle altre cose da me deposte nelli altri esamini, alli quale non inten- do pregiudicare.39

According to this new testimony, Paolo, having been raised from the dead, said that he had forgotten a sin and would like to go to confession. Philip then sent away those who were standing around the bed and the boy con-

36 Fabrizio comments on this earlier deposition: ‘alla quale voglio si habbia relatione, come fatta da me più consideratamente’, Processo, IV, 20. 37 ‘Io non saperei dir questo, ma, quanto a me, era morto et, alli andamenti et alli segni, era morto, perchè era aggiacciato, serrati li occhi, nè si sentiva cosa nisuna e stava come una cosa morta’, Processo, IV, 23. 38 Processo, IV, 38. 39 Processo, IV, 38. U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo 99 fessed to him. Less than a year earlier, on 30 September 1609, Fabrizio spoke only of a blessing having been given by Philip to his son, adding that he was witness to all that happened and had observed carefully everything Philip did, from the boy’s resurrection until his second death. When asked by the Audi- tors of the Rota who reminded him of the new details, Fabrizio adds: Doi mie figliole, che sono moniche in S.ta Martha, quale si trovorno pre- sente a tutto questo, con occasione di ragionar seco del processo, che si va facendo, in questa causa.40

The two daughters who recalled Paolo’s confession were Ortensia (1570- 1657) and Costanza (1571-1662), both at the time nuns at the Augustinian convent of Santa Marta, having taken Vittoria and Pulcheria as their name in religion. Fabrizio also states that he sought the advice of the Fathers of the Oratory, who urged him to add to his previous depositions: Ragionando con li padri della Vallicella di questo, che mi ero scordato, mi dissero che sarebbe stato bene a deponerlo.41

Vittoria Massimo was questioned about the miracle by the Auditors of the Rota on 30 August 1610: Et, allhora, Paolo aprì li occhi e disse: ‘Padre’. Et, allhora, il beato padre li dette un Crucifisso in mano, et parlorno, un pezzo, insieme. Ma io non intesi quello si dicessero, perchè il p. Philippo fece scanzar tutti. E, poi, io intesi, che, interrogato Paolo se moriva volentieri, per andar in Paradiso, a veder sua madre e sua sorella, Paolo rispose che sì. E, dicendoli il padre: ‘Orsù, va’, che sii benedetto, e prega Iddio per me’, Paolo chiuse li occhi e, senza far altro movimento, se ne morse, e, di lì a poco, il beato p. Philippo se ne andò.42

Vittoria’s deposition largely agrees with what other witnesses had said in the first inquiry. She confirms her father’s most recent testimony that Philip made everyone in the room retire for a short while. Asked who was present when it all happened, Vittoria states: Presenti erano il s.r Fabritio, mio padre, la s.ra Violante, mia madregna, e le mie sorelle, che erano piccole, e delle altre serve, che io non me ne ricordo.43

40 Processo, IV, 38. 41 Processo, IV, 38. 42 Processo, IV, 53-4. 43 Processo, IV, 54. 100 ANNALES ORATORII

Here, for the first time, it is mentioned that Paolo’s sisters were also pres- ent in the room. Neither Fabrizio Massimo in 1595, 1596 and 1609 nor Vi- olante Santacroce and Francesca Rosati in 1596 nor Gallonio in his life of 1600 include the children in their lists of those who witnessed the miracle. This might be because they would have been too young to be heard as wit- nesses in the canonization inquiries.44 Be that as it may, when talking about the reason why Paolo was resurrected from death for only a short time, Vit- toria is quite vague: Perchè, forsi, [Paolo] si haveva da confessar di qualche cosa, che non have- va confessato: e fu detto, se bene io non l’intesi, che Paulo haveva lasciato di confessar un peccato, il quale, poi, lui confessò e se ne morse.45

She says that Paolo perhaps had something to confess that he had not con- fessed earlier; however, this is based only on hearsay. In contrast to Vittoria’s reticence, Pulcheria Massimo, questioned on the same day, asserts with con- fidence: Et poi, passata mez’hora, arrivò il beato Philippo a casa, et entrò dove era Paolo, e lo chiamò, e Paolo rispose. Et allhora il beato padre li disse, che era ritornato in vita, per confessar un peccato, che non si era confessato, e poi, facendo il beato padre scanzar tutti quelli che eravamo lì, lo riconciliò e li dimandò, se moriva volentieri. Et io ero presente, quando li disse queste pa- role, perchè, doppo essersi reconciliato Paolo, tornassimo a intrare. Et re- spondendo Paolo di sì, che moriva volentieri, disse il beato padre: ‘Va’, che sii benedetto’ et Paolo tornò a morire.46

Asked for the reason for Paolo’s very short raising to life, Pulcheria re- sponds without hesitation: ‘Per confessarsi di quel peccato’.47 It would ap- pear that Maria Teresa Bonadonna Russo is right in regarding Pulcheria as the source for Paolo’s confession. Vittoria was probably under the influence of her sister in nature and in religion; at any rate, her deposition is too hesi- tant to be convincing. Fabrizio’s new testimony of 18 August 1610 seems in- tended to anticipate and give more authority to his daughters’ version of the events.48

44 For a similar judgment cf. Bonadonna Russo (1983), 11, fn. 55. 45 Processo, IV, 54. 46 Processo, IV, 54-5. 47 Processo, IV, 55. 48 See Bonadonna Russo (1983), 11. U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo 101

As already mentioned, Francesca, the servant who waited on Paolo, said in 1596 that she supported the boy (most likely his head) with her left hand during his conversation with Philip. In that case the saint could hardly have heard the boy’s confession. Gallonio, who does not mention the confession either, notes in his life that those present could not hear everything the saint said to the boy; but he does not say that the people at any stage left the room. Thus there would not have been an opportunity for confession.49 Despite these obvious inconsistencies, the account of Paolo’s confession was includ- ed in Bacci’s Life of St Philip of 1622 and has become part of the hagio- graphical tradition.

Medical Aspects The raising of the dead to life was considered not only an extraordinary favour granted by God but also a stupendous proof of the intercessory pow- er of the servant of God who wrought the miracle. Hence it featured promi- nently in canonization processes as evidence of the candidate’s holiness. The obvious problem with this kind of miracle is how to ascertain whether the person raised to life had actually died. The eminent eighteenth-century canonist Prosper Lambertini (later Pope Benedict XIV) addresses this ques- tion in his seminal work on beatification and canonization. He mentions that in the cause of Turibius of Mongrovejo, archbishop of Lima, who was canon- ised in 1726, the resuscitation of a dead person was not approved as a mira- cle, because there was only one eyewitness, while other depositions merely relied on hearsay. Lambertini refers to a comment made by the Roman poly- math Aulus Cornelius Celsus that according to Democritus, doctors are not certain about what indicates termination of life.50 An alleged resuscitation from death must therefore be examined with great caution. Lambertini presents several criteria for the approval of this miracle: first, the person is considered dead by those present; secondly, the person

49 ‘[Paulus,] apertis oculis, Philippo, omnibus, qui aderant stupore oppressis clara voce re- spondit, quocum per quadrantem horae, aut plus eo multum sermonem habuit, quem astantes non audiebant’, Gallonio (1600), 155. 50 Benedict XIV, De servorum Dei beatificatione, et beatorum canonizatione, lib. IV, pars 1, c. 21, nr. 7-8: Benedicti XIV … opera omnia, Editio novissima, Bassano 1767, tom. IV, 156. Aulus Cornelius Celsus wrote in the first century AD about philosophy, agriculture, medicine and war- fare. His treatise De medicina most likely draws on the Hippocratic writers and is an important source for our knowledge of Alexandrian medicine. The manuscript of Celsus’ De medicina was rediscovered in the fifteenth century and first printed in the edition of Bartolommeo della Fonte (Florence, 1478); subsequently, the work became very influential in Renaissance medicine. 102 ANNALES ORATORII does not show any sign of respiration; thirdly, one of those present prays to the servant of God or Blessed that the dead person may be brought back to life; fourth, after this plea the dead person shows signs of life. Then it needs to be ascertained whether the person really died in the first place. This can be done in two ways, either by considering the time that has elapsed since he fell into that state or by judging from signs or conducting experiments that show whether the he was actually dead.51 Lambertini raises the question whether the recognition of the miracle requires the person raised to life to continue to live for a long time. The answer is negative: a dead person may be brought back to life in order to receive baptism or make a confession and then die again. The point is illustrated with the example of St Philip’s resus- citation of Paolo Massimo and the boy’s confession. Finally, the learned canonist cautions against a momentary resuscitation, since this might prove to be merely imaginary.52 Angelo Vittori, a celebrated medical doctor of the his age, who was physi- cian in ordinary at the papal court (archiatra pontificio) and from 1585 served as ‘medico in casa’ at the Vallicella,53 has a treatise on Philip’s resuscitation of Paolo Massimo in his Medicae consultationes, published posthumously in 1640. In his account of the event, based on the acts of canonization process- es, Vittori clearly says that the boy was considered dead by those present and showed clear signs of that state: [Paulus] moriturus ab omnibus indicatur, et paulatim marcescens extinctus est … Interea dum gelidus totus, ac rigidus evasit, eius famula ad corpus la- vandum, et de more vestiendum se accinxerat, ut ad Ecclesiam quan- documque deferri potest.54

Vittori notes that according to the depositions made by the eyewitnesses,55 Paolo had indeed died:

51 Benedict XIV (1767), lib. IV pars 1, c. 21, nr. 9: 157. 52 Benedict XIV (1767), lib. IV pars 1, c. 21, nr. 30: 163. 53 He made a deposition for the first canonical inquiry on 4 September 1595; Processo, I, 151-4. 54 A. Vittori, Medicae consultationes post obitum auctoris in lucem editae a Vincentio Man- nuccio, Romae 1640, Consultatio XCV. Paulus de Maximis nobilis adolescentulus a morte in vi- tam revocatur a B. Philippo Nerio, cui confitetur peccatum in confessionibus omissum: deinde ab eodem petita venia moriendi e vita migrat, 411. On the importance of medical considerations in canonization processes, see N. G. Siraisi, ‘Signs and Evidence: Autopsy and Sanctity in Late Six- teenth-Century Italy’, ead., Medicine and the Italian Universities 1250-1600, Leiden – Boston – Köln 2001, 356-380. 55 Cf. Fabrizio Massimo’s deposition of 30 September 1609; Processo, II, 355. U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo 103

Ex narratis Paulum vere fuisse mortuum etiam a principio, et non sympto- mate, seu quopiam accidente correptum, quod mortuo similem reddiderit, nemo est qui iure dubitare possit.56

The first reason for this assessment is the high credibility of the testi- monies given by those present, especially the parish priest who made the commendation of the soul. As an experienced pastor, Vittori argues, he would hardly have done so if he had felt any doubt about the boy’s state. Secondly, the nature of the illness, a violent fever, suggests that Paolo was dead and that he did not just suffer from symptoms that made him appear dead. The decisive point for Vittori is the fact that when the boy came to life again, the fever had disappeared and he seemed in perfect health: hilaris cum motu, et sensu corporis valido, voce clara, et sana mente re- spondens.57

This would have been different if the boy had suffered from a condition that would simply have made him unconscious. Further support for the mir- acle’s authenticity is provided by the ‘causa revocationis ad vitam’, that is, Paolo’s confession, and by his most edifying second death.58

Raising the Dead Those who witnessed what happened in the Palazzo Massimo on that re- markable day had no doubt that Paolo had been raised to life at the interces- sion of St Philip. Fabrizio Massimo gives the impression that he immediate- ly broke the news far and wide, though the knowledge of the astonishing event was at first confined to the Massimo household and to the inner circle at the Chiesa Nuova.59 It seems that Fabrizio began to tell others about the miracle only after Philip’s death, when he gave his first deposition in the can- onization inquiry on 13 September 1595.60 One would expect the tidings of

56 Vittori (1640), XCV: 411. 57 Vittori (1640), XCV: 412. 58 Vittori (1640), XCV: 412-3. 59 See his deposition of 30 September 1609; Processo, II, 354. Among the few people who knew about the miracle during Philip’s lifetime was the Jesuit Father Francesco Benci, who ar- rived at the Palazzo Massimo soon after the event. Benci died in 1594, without making public what had happened on that day. As related by Fabrizio, the episode involving Cardinal Anselmo Marza- ti occurred shortly before the latter’s death on 17 August 1607. 60 Processo, I, 202-3. 104 ANNALES ORATORII such an extraordinary miracle to spread like wildfire and capture the imagi- nation of many, but there is no evidence that it was known in the city of Rome before that date. A silence of more than twelve years is not only in keeping with the extreme caution shown by the ecclesiastical authorities towards su- pernatural phenomena, but also reflects Philip’s well-known reticence to pub- licise the miraculous manifestations of God’s favour that were so frequent in his life.61 The miracle recalled Christ’s raising of Lazarus in Bethany (John 11) and the Apostle Peter’s raising of Tabitha in Joppa (Acts 9). Raising the dead to life is certainly one of the most amazing deeds that a holy man could per- form through his intercessory power. Gallonio notes in his Life of St Philip that several saints in the history of the Church were known to have obtained this extraordinary favour from God.62 The miracle showed the saint’s Christ- like quality and was a mighty sign of continuity with the age of the Apostles. In the early decades of the sixth century, Barsanuphius, an Egyptian recluse near Gaza, wrote to a sick and dispirited monk: I speak in the presence of Christ, and I do not lie, that I know a servant of God, in our generation, in the present time and in this blessed place, who can also raise the dead in the name of Jesus our Lord, who can drive out demons, cure the incurable sick, and perform other miracles no less than did the Apos- tles … for the Lord has in all places His true servants, whom He calls no more slaves but sons [Galatians 4:7].63

Barsanuphius confirms that the working of stupendous miracles, such as raising the dead, is perceived as a sign of the presence of Christ in his saints. He encourages his addressee by evoking apostolic times. This is not just a reference to a past age; rather, the power bestowed on the apostles is present and available at all times and in all places through the holy men who are the Lord’s true servants. One of the most popular saints in the Middle Ages, Martin of Tours, is al- so credited with raising a dead person to life. The account given by his bi-

61 Bonadonna Russo (1983), 4, rightly speaks of ‘una ritrosia che il miracolo di casa Massimo sottolinea ed esalta, ponendosi come ulteriore conferma della originale personalità del Neri, e del suo particolare stile di vita’. 62 Gallonio (1600), 155. 63 Barsanuphius, Ep. 91: ed. F. Neyt – P. de Angelis-Noah (SC 427), Paris 1998, 382-4; quot- ed in the English translation of P. Brown, Authority and the Sacred: Aspects of the Christianisa- tion of the Roman World, Cambridge 1995, 58. U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo 105 ographer Sulpicius Severus is significant for our enquiry, since it gives a spe- cific reason for the miracle being wrought: As Hilarius had already gone away, so Martin followed in his footsteps; and having been most joyously welcomed by him, he established for him- self a monastery not far from the town. At this time a certain catechumen joined him, being desirous of becoming instructed in the doctrines and habits of the most holy man. But, after the lapse only of a few days, the catechumen, seized with a languor, began to suffer from a violent fever. It so happened that Martin had then left home, and having remained away three days, he found on his return that life had departed from the cate- chumen; and so suddenly had death occurred, that he had left this world without receiving baptism. The body being laid out in public was being honoured by the last sad offices on the part of the mourning brethren, when Martin hurries up to them with tears and lamentations. But then laying hold; as it were, of the Holy Spirit, with the whole powers of his mind, he orders the others to quit the cell in which the body was lying; and bolting the door, he stretches himself at full length on the dead limbs of the de- parted brother. Having given himself for some time to earnest prayer, and perceiving by means of the Spirit of God that power was present, he then rose up for a little, and gazing on the countenance of the deceased, he wait- ed without misgiving for the result of his prayer and of the mercy of the Lord. And scarcely had the space of two hours elapsed, when he saw the dead man begin to move a little in all his members, and to tremble with his eyes opened for the practice of sight. Then indeed, turning to the Lord with a loud voice and giving thanks, he filled the cell with his ejaculations. Hearing the noise, those who had been standing at the door immediately rush inside. And truly a marvellous spectacle met them, for they beheld the man alive whom they had formerly left dead. Thus being restored to life, and having immediately obtained baptism, he lived for many years af- terwards; and he was the first who offered himself to us both as a subject that had experienced the virtues of Martin, and as a witness to their exis- tence. The same man was wont to relate that, when he left the body, he was brought before the tribunal of the Judge, and being assigned to gloomy regions and vulgar crowds, he received a severe sentence. Then, however, he added, it was suggested by two angels of the Judge that he was the man for whom Martin was praying; and that, on this account, he was ordered to be led back by the same angels, and given up to Martin, and restored to his former life. From this time forward, the name of the sainted man be- 106 ANNALES ORATORII came illustrious, so that, as being reckoned holy by all, he was also deemed powerful and truly apostolical.64

St Martin raised the catechumen to life in order to baptise him. The mir- acle was wrought not only to show Martin as potens et vere apostolicus, as Sulpicius Severus says, but also for a very specific purpose, that is, to pro- cure the man’s eternal salvation.65 L. Ponnelle and L. Bordet suggest that those who did not believe Fabrizio Massimo’s account of the miracle were puzzled by the difficulty of giving a reason for so short a return to life.66 Without judging the veracity of the new depositions of 1610 – twenty-seven years after the event – it would seem fair to say that the emphasis on Paolo’s confession supplied such a reason.67 This would not be the only instance of a story from Philip’s life being embellished in the hagiographical tradition. A. Cistellini argues that this is the case with the famous episode of the dilatation of the saint’s heart that happened in the catacombs on San Sebastiano in 1544. The event itself is well attested in the depositions of the canonization processes. However, that Philip saw a globe of fire entering his mouth and resting in his breast and that all this happened on the eve of Pentecost 1544 emerges only in the middle of the seventeenth century.68

64 Sulpicius Severus, Vita S. Martini, c. 7: ed. C. Halm (CSEL 1), Wien 1866, 117-8; quoted in the English translation of A. Roberts (Nicene and Post-Nicene Fathers. Second Series, vol. XI), Oxford – New York 1894 (reprinted: Edinburgh – Grand Rapids 1991), 7-8. 65 On the appeal to St Martin’s friendship and patronage cf. P. Brown, The Cult of the Saints: Its Rise and Function in Latin Christianity, London 1981, 65. 66 Ponnelle–Bordet (1928), 117. 67 Cf. the balanced conclusion of Bonadonna Russo (1983), 11-12: ‘Sembra dunque proprio che la confessione sia scaturita dalla fantasia candida della pia suora [Sister Pulcheria, i.e. Costan- za Massimo], inconsciamente decisa a trovare comunque una spiegazione umanamente accettabile di tutto l’episodio, e capace, con la sua determinazione, di un’influenzare psicologicamente anche suo padre. Questa spiegazione divenne, nelle mani degli istruttori del processo del Neri, l’argo- mento decisivo per ammettere la veridicità del miracolo, senz’altro il più straordinario compiuto da s. Filippo, e di cui ci sia giunta notizia; ma forse, al di là di ogni motivazione comprensibile secondo la logica degli uomini, l’unico ad avvicinarsi alla verità fu ancora Fabrizio Massimo, quando affrontando per la prima volta il problema, nel luglio 1610, istintivamente dichiarò che tut- to avvenne perchè “piacque così alla Maestà di Dio”.’ 68 Cistellini (1989), I, 32, fn. 63: ‘Biografi tardivi hanno ambientato nelle catacombe di S. Se- bastiano ... l’episodio della dilatazione delle costole, avvenuto, secondo la precisazione fornita dal Gallonio, nel 1544. ... Questo fatto, confermato per udito da autorevoli testimoni, fra quali il card. Federico Borromeo ..., si ampliò nei biografi successivi con l’aggiunta del globo di fuoco e con la collocazione dell’avvenimento nella festa delle Pentecoste di quell’anno. Questi ultimi partico- U.M. Lang, The miracle of St. Philip Neri in the Palazzo Massimo 107

The Saint as Example of Heroic Virtue and Wonderworker The case of the Massimo miracle supports and exemplifies the conclusions drawn by Simon Ditchfield in his book Liturgy, Sanctity and History in Tri- dentine Italy: The enduring appeal of the miraculous throughout the Early Modern period and beyond cannot be overstated. Indeed, examination and verification of a candidate’s miracles constituted a central part of contemporary canonization trials. (...) It is thus appropriate that the pages of much hagiographical liter- ature both pre- and post-Trent were dedicated to the recounting of the mirac- ulous. (…) Tridentine hagiography only makes sense if we appreciate the continuity within which change occurred. As has been seen, the humanist-led critique of traditional hagiography predated Trent, while the taste for the miraculous was rediscovered and redefined soon after. The change consist- ed, above all, in the unprecedented care with which hagiographical content was matched to the context and form in which it was to be used.69

Rome learned the lesson of the Protestant attack on the cult of the saints and responded by developing more accurate historical and medical criteria for the recognition of miracles attributed to the intercession of holy men and women. The execution of these reforms lay with the Holy Office and the Con- gregation of Rites; inevitably, this led to an emphasis on legal aspects and proceedings. The Massimo miracle also sheds light on another point that has been the subject of debate among historians of the early modern period. The cult of the saints used to be perceived as an element of ‘popular religion’, often con- sidered superstitious, as opposed to the religion of the well born and educat- ed classes. However, as the depositions of canonization procedures reveal, holy men and women drew the devotion of people from all strata of society. In fact, the cult of the saints functioned as a factor of social cohesion.70 The

lari furono riportati per la prima volta dal BACCI-RICCI nel 1672 ..., il quale nella vita del p. Pietro Consolini posta in appendice con altre, narra che questi, pochi giorni di morire (1643), avrebbe riferito i fatti sopraddetti al p. Mariano Sozzini (1613-1680), entrato in Congregazione nel 1641’. Cf. I. Brix [pseudonym for A. Cistellini], ‘La pentecoste filippina’, Memorie Oratoriane 17 (1995), 85-91. 69 S. Ditchfield, Liturgy, Sanctity and History in Tridentine Italy: Pietro Maria Campi and the Preservation of the Particular, Cambridge 1995, 129; cf. Ditchfield (1996). 70 Cf. Sallmann (1994), 370-371: ‘Il est temps de faire un sort à une thématique qui a trop longtemps stérilisé l’histoire culturelle, celle qui a voulu opposer à tout prix une culture populaire 108 ANNALES ORATORII miraculous no doubt was particularly attractive to the urban masses and the rural population, but it would be wrong to suggest that this fervour was in opposition to the social elites. Rather, as in the case of the Massimo family, noble and educated believers promoted the veneration of saints with a strong appeal to their intercessory and thaumaturgic powers. In conclusion, the miracle wrought by Philip Neri in the Palazzo Massi- mo on 16 March 1583 and its subsequent history confirm the revised per- spective on the cult of the saints in the Counter-Reformation period. The con- tinuous invocation of the miraculous, though in a purified and more rigorous form, contributed to the vigour with which the Catholic Church took on its renewal after the challenge of the Protestant Reformation.71

U. M. Lang, C.O.

à une culture savante, une religion du peuple à une religion des élites. (…) Je n’ai jamais rencon- tré parmi les élites sociales un témoignage traduisant un mépris quelconque ni une critique à l’en- contre de croyances ou de pratiques censées relever de la superstition populaire. Les dépositions sont là, unanimes, pour démontrer le contraire. Du haut en bas de la hiérarchie sociale, l’attache- ment au culte des saints est partagé par tous, au même titre et sous les mêmes formes, par le no- ble de haute volée comme par le modeste artisan ou le paysan.’ 71 Cf. P. Prodi’s preface in A. Turchini, La fabbrica di un santo: Il processo di canonizzazione di Carlo Borromeo e la Controriforma, Casale Monferrato 1984, X-XII. R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ... 109

LITERATURA, MÚSICA Y DEVOCIÓN EN TORNO A SAN FELIPE NERI EN ESPAÑA (siglos XVII y XVIII)1

Para el lector, a modo de prólogo

Insertadas en las corrientes devocionales propias de la época y comunes a muchos santos, las manifestaciones literarias y musicales de la devoción a San Felipe Neri en los siglos XVII y XVIII en España revisten un gran atrac- tivo para los estudiosos al tratarse de terreno todavía inédito en la investiga- ción. Sin duda alguna los trabajos de Ángel ALBA ALARCOS han sido pione- ros en el ámbito de la historiografía artística filipense española, ya sea seña- lando los cauces de penetración de la devoción al santo en España,2 ya com- pilando parte de su representación iconográfica (pintura, escultura, grabado).3 Recientemente han visto la luz fuentes documentales que acercan y ayudan a reconstruir el contexto devocional. 4

Fiesta y agasajo en honor al santo.

El 12 de marzo de 1622 tiene lugar en Roma la canonización de San Fe- lipe Neri junto a los grandes santos españoles Teresa de Jesús, Ignacio de Lo- yola, Francisco de Borja e Isidro Labrador. La noticia llega a Madrid el 6 de

1 Con el objeto de facilitar el acceso a los textos, hemos modernizado y actualizado su grafía, ortografía y puntuación (a excepción de los títulos de las obras citadas). 2 A. ALBA ALARCOS, Los españoles y lo español en la vida de San Felipe Neri. Raíces histó- ricas de la devoción a San Felipe Neri en España. Alcalá de Henares: Gráficas Dehon, 1992. 3 A. ALBA ALARCOS, San Felipe Neri en el arte español. Alcalá de Henares: Gráficas Balles- teros, 1996. 4 En concreto el texto de M.T. FERRER BALLESTER y R. SANZ HERMIDA presentado en la Sixte- enth Century Conference (Denver, 2001), “The St. Felipe Neri´s Congregation in Spain and its Music and Literary production”. Estas investigaciones han sido en cierta manera posibles gracias al proyecto “El oratorio en España: génesis, desarrollo y tipología del género en el siglo XVIII” del Ministerio de Ciencia y Tecnología (ref. BFF2000-0828). 110 ANNALES ORATORII abril y pocos días más tarde, a Valencia5, donde se recibe con repique de cam- panas de la seo. Precisamente en esta ciudad se festeja por todo lo alto la lle- gada a los altares del santo florentino costeada por un devoto del santo y pai- sano suyo, Pablo Antonio Giuliani,

acudió toda [la ciudad de Valencia] con grandes señales de júbilo y contento a celebrar tan heroicas fiestas. Honróla con su presencia el Vi- rrey que era entonces, con toda su familia. Honrólas el Gobernador con los Padres de la República en forma de ciudad. Honrólas lo más gra- nado del cabildo de la Iglesia mayor, de las religiones, y clero, y toda la nobleza valenciana (BERTRÁN MARCO).6

Como relatan las crónicas de época, los fastos celebrados con tal moti- vo tuvieron lugar en la parroquia de San Andrés, los días 25, 26, 27 y 28 de junio de 1622, pudiendo considerarse esta iglesia como gloriosa cuna de la devoción de San Felipe Neri7 en solar valentino y, por ende, en toda España.8

La devoción y magnanimidad de Pablo A. Giuliani hizo que asimismo co- rriese a su cargo la primera biografía española, que vió la luz en 1623, en la oficina del impresor Felipe MEY: Vida y hechos milagrosos de S. Filipe Ne- ri, clerigo florentin, fundador de la Congregacion del Oratorio... , 9 con el fin de estampar su vida en lenguaje castellano, para que toda España pudie- se gozar un tan gran tesoro y difundir, de esta manera, la devoción al santo.

5 cf. Sucesos de [Valencia] desde 1589 a 1628 (Real Academia de la Historia, manuscrito, sign. 17. 9/517, fol. 383). La noticia se recibió el 14 de abril: “Martes, a 14 de abril 1622... el ami- go Jorn toca las campanas de la seo por la canonización que el Stmo. Papa Gregorio 14 (sic) ha- bía hecho de cinco santos... en el mes de marzo de 1622. A S. Isidro, a Sta. Teresa, a S. Ignacio, a S. Javier, españoles, y a S. Felipe Neri, florentino, confesor de S. Carlos Borromeo” (traducción de la cita en valenciano). 6 L. BERTRÁN MARCO, Vida y hechos milagrosos de S. Filipe Neri, clerigo florentin, fundador de la Congregacion del Oratorio. Valencia: Felipe Mey, 1623, “Dedicatoria”. 7 T. GÜELL, Tomo que dexó escrito de su mano el R.P.Fr. Thomás Güell, hijo de este Real Con- vento de Predicadores. Año 1755. Biblioteca Universitaria de Valencia, ms. 13, fol.433r. 8 vid. también el artículo de Mª T. FERRER BALLESTER-R. SANZ HERMIDA, “Valencia, cuna del oratorio musical”, en Música, Estética y Patrimonio. II Jornadas Nacionales. Xàtiva: Ayunta- miento, 2003, pp.125-140. 9 Op. cit. Hubo reimpresión en 1625. El autor era dominico del convento de Predicadores de Valencia. En este volumen aparecen insertas las Constituciones de la congregación así como el Breve de su Confirmación. R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ... 111

¿Cuáles son los primeros vestigios literarios de esta devoción? Aunque es muy probable que se hicieran poemas festivos, letrillas, etc con ocasión de la canonización,10 como era costumbre muy al uso en la época, 11 hasta la fe- cha apenas contamos con un ejemplo: un terceto octosilábico de un emble- ma dedicado al santo, recogido en la relación sevillana del impresor Simón FAXARDO12:

Tan alto con la oración subió de Felipe el vuelo, que nunca bajó del cielo.

10 Y más teniendo en cuenta las fiestas celebradas en Valencia en honor del santo menciona- das más arriba; por el momento no hemos encontrado ninguna noticia de éstas, no así de las que se hicieron en esta misma ciudad para celebrar a S. Ignacio y S. Francisco Javier: Relación su- maria de las fiestas que se hicieron en Valencia a la Canonización del Padre Ignacio de Loyola, Fundador de la Compañía de Jesus, y de San Francisco Xavier, Apóstol de la India. Valencia, jun- to al Molino de la Rovella, 1622, 4 fols. (este dato lo ofrece PALAU DULCET en su Manual del Li- brero Hispanoamericano. Bibliografía general española e hispanoamericana desde la invención de la imprenta hasta nuestros tiempos (Madrid: Librería Palau); también las menciona Pilar PE- DRAZA en su obra Barroco efímero en Valencia (Valencia: Ayuntamiento, 1982). El bibliógrafo va- lenciano CARRERES ZACARÉS cita también un Pregón anunciando las fiestas con que la ciudad de Valencia había acordado solemnizar las canonizaciones de S. Ignacio de Loyola y S. Francisco Javier, impreso en Valencia en 1622 del que dice no haber visto ningún ejemplar. “Estas fiestas se celebraron los días 24, 25 y 26 de julio con luminarias, procesión y octava en la Casa profesa, oficiando el último día de pontifical el Arzobispo de Valencia” (S. CARRERES ZACARÉS, Ensayo de una Bibliografía de libros de fiestas celebradas en Valencia y su antiguo reino. Valencia: Imprenta Hijo de F. Vives Mora, 1926). Por otra parte, existe también relación de las fiestas celebradas en Valencia en honor de Santa Teresa de Jesús, meses antes de su canonización, con su correspon- diente certamen poético: Fiestas que el convento de nuestra Señora del carmen de Valencia hizo a nuestra Santa Madre Teresa de Iesus, a 28. de Octubre, 1621... Por el Padre Fray Manuel Men- doça, Sacristan mayor del mismo Conuento. Valencia: Felipe Mey, 1622. 11 En Madrid, por ejemplo, se celebró un certamen poético en honor del santo labrador S. Isi- dro, que corrió a cargo del insigne poeta Lope de Vega (Relacion de las fiestas que la insigne vi- lla de Madrid hizo en la canonizacion de su bienauenturado hijo y patron San Isidro, con las co- medias que se representaron y los versos que en la Iusta Poetica se escriuieron. Madrid : Vda. de Alonso Martin, 1622); en esta misma ciudad hubo otros certámenes organizados por la Compañía de Jesús (vid. p. ej. la Relacion, de las Fiestas, que se han hecho en esta Corte, a la Canoniza- ción de cinco Santos: copiada de una carta que escrivio Manuel Ponce en 28 de Junio 1622. Ma- drid. Viuda de Alonso Martin). 12 El emblema, que rezaba “In cœlum semper”, representaba un águila volando hacia el cielo. Vid. Sumptuosas fiestas que la Villa de Madrid celebró á XIX de Junio de 1622. En la canoniza- ción de San Isidro, San Ignacio, San Francisco Xavier, San Felipe Neri, Clérigo Presbítero, Flo- rentino y Santa Teresa de Jesús. Sevilla. Simón Faxardo. 1622. Para el texto, seguimos la edición de J. Simón Díaz en Relaciones de actos públicos celebrados en Madrid (1541-1650). Madrid: Instituto de Estudios Madrileños, 1982: 164-8. 112 ANNALES ORATORII

Como se deja entrever en las relaciones escritas con motivo de la canoni- zación,13 esta celebración suscitó gran número de composiciones poéticas que quizá verán la luz en en un futuro próximo rescatadas de algún archivo. 14

A partir de esta fecha de 1622, prolifera la producción literaria en torno al santo tomando como pretexto sucesos significativos de su vida, casi siem- pre de carácter sobrenatural y místico. En este sentido, uno de los topoi más usados es el capítulo del “rompimiento” de las costillas (producido por la di- latación del amor a Dios en su corazón), tema frecuentado bajo muy diver- sas formas literarias, desde la retórica sagrada a formulaciones poéticas más sintéticas y concisas, si bien unas y otras se sirven de muy variadas imáge- nes para describir el hecho. El fuego, símbolo de la acción divina es, lógica- mente, común a ellas pero el desarrollo metafórico desplegado a raíz de és- ta es variado como se verá en los ejemplos siguientes. En el primero de ellos, las llamas que devoran el corazón de Felipe terminan provocando, en una exagerada hipérbole, una fuerte tempestad

Fue el caso que siendo nuestro Sto. de 29 años, aún no ordenado de sa- cerdote, pocos días antes de Pentecostés, pidiendo en la oración con grande instancia sus dones al Espíritu Santo, sintióse abrasarse en vi- vas llamas de amor de Dios. Y aquel Señor que dijo por Isaías Ego sum, qui conturbo mare, et intumescunt fluctus eius15 conmovió el mar de su pecho con una borrasca deshecha. Levantábanse espumas de suspi- ros y afectos que llegaban hasta el cielo: “¡Señor, no más! ¡No más, Señor!”. Aumentábase la tempestad, faltábanle las fuerzas, dejóse ir a pique, cayó en el suelo, mitigóse aquel ardor y halló rota la nave de su pecho, rompiéndosele dos costillas, y quedando en forma de arco. ¡O prodigio admirable!16

13 “Hubo muchos papeles escritos en alabanza del Santo [Felipe Neri], todos puestos en orden sobre las colgaduras, a distancia de poderse leer” se dice, por ejemplo, en el texto atribuido a Ma- nuel Ponce (Relacion de las fiestas, que se han hecho en esta Corte, a la Canonizacion de cinco Santos: copiada de una carta que escriuio. En 28 de Iunio 622. Madrid. Viuda de Alonso Martin. Reproducida en J. SIMÓN DÍAZ, 1982:169-178). 14 GÜELL -op.cit.- da noticia de las fiestas celebradas por la Congregación de San Felipe Neri de Valencia en 1656, en agradecimiento por haber recibido del Papa Alejandro VII la confirma- ción apostólica de su fundación. Dichas fiestas tuvieron lugar los días 22-26 de julio. 15 El texto corresponde al capítulo 51, versículo 15, y dice literalmente así: Ego autem sum Dominus Deus tuus qui conturbo mare et intumescunt fluctus eius Dominus exercituum nomen meum. 16 Fol. 46r. “A San Felipe Neri”. Sermón anónimo incluido dentro de un volumen de “[ser- R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ... 113

El soneto, escrito en el más puro estilo conceptista,17 retoma un motivo clásico que, al corresponderse con el episodio biográfico del santo, transgre- de el ámbito estrictamente retórico:

Rasga Felipe en caridad deshecho, Bóveda al corazón majestuosa, Cual en ascuas de abril purpúrea rosa Rompe de su botón el nudo estrecho.

Llega a lamer la llama el áureo techo Con blanda adulación, tan poderosa, Que abrasando la viga más hermosa Terremotos de amor rebate al pecho.

Ya entibiar con su llanto el fuego quiere Y bálsamo en el fuego recibido Tanto le aumenta, más cuanto le hiere.

Arde el nido del sol y el sol vencido, Aunque desmaya en la calor no muere, Que al sol quien le da tumba le da nido.18

La biografía del santo constituyó también “materia” poética utilizada con fortuna diversa. Uno de los ejemplos más tempranos lo constituyen los poe- mas insertos en la obra del vallisoletano Ioseph CANTERO XIMÉNEZ, primer secretario de la congregación del Oratorio en la ciudad de Valladolid, Plau- sibles elogios, celebre octava, circvlo festivo, corona qve labraron, laureola que entretexieron, y victimas que sacrificaron, sagradamente ambiciosos, en aras de su piadoso çelo, los deuotos hijos del nunca bastantemente venera- do S. Felipe Neri. En sv Congregacion, y nvevo Oratorio de la Nobilissima Ciudad del Valle de Vlid. A los veynte de Octubre de 1658.19 Su valor radi- ca, más que en las cualidades literarias (por otra parte cuestionadas -y no sin razón- por el propio autor)20 en ser la primera obra, al margen de las biogra- mones varios]” que se encuentra en la Biblioteca Universitaria de Valencia bajo la signatura 667 (fols. 37v.-55r.). Cfr. M. GUTIÉRREZ DEL CAÑO, Catálogo de los manuscritos existentes en la Bi- blioteca Universitaria de Valencia. 17 Sin fechar, pero muy posiblemente de mediados del s.XVII. 18En [Varias poesías]: “A San Felipe Neri quando se le quebró la costilla” (Biblioteca Univer- sitaria de Valencia, sign. 310 (8), n. 18). 19 En Valladolid: por Bartolome Portoles, Impressor de la Real Vniuersidad. Año M.DC.LIX. 20 Se reproduce en el anexo de “Textos” un romance del que CANTERO XIMÉNEZ llega a decir: 114 ANNALES ORATORII fías del santo, impresa en castellano en honor del santo, y en las noticias que proporciona acerca de la implantación de la congregación en solar castella- no. En el anexo de textos se inserta, como ejemplo, un largo romance.

Además de la literatura estrictamente devocional,21 hubo poemas “de cir- cunstancias”; los acontecimientos que más se prestaban a ello eran las fies- tas con motivo de aprobaciones, erecciones de iglesias... en definitiva, lite- ratura efímera que favorecía, en algunos casos, la creación de composiciones escritas generalmente con variada fortuna literaria. Ente ellos, las Seis déci- mas para las fiestas de la Congregación de San Felipe Neri de Valencia por la Dedicación de su Iglesia Nueva y traslación del Santísimo Sacramento22, del escritor valenciano José Vicente ORTÍ Y MAYOR.

Otros recreos y diversiones23

ORTÍ Y MAYOR es autor a su vez, de unos Coloquios al Gran Patriarca S. Felipe Neri para la honesta recreacion que todos los años executan los Pa- dres de la Congregacion de Valencia. De éstos no existe más noticia, por el momento, que la de su título y el número de ellos compuesto: Hasta ahora ya son veinte y tres los que ha compuesto sobre varios sucesos de la vida del

“Bien fue menester la buena compañía de la música para que se hiciese menos desabrido y largo el camino del romance pasado; pero por ir historiando algo de los prodigios del santo, para que en verso se lean más reducidos y sucintos, se tomó este rumbo” (74). 21 Se incluyen en los textos anexos unos gozos y un responsorio en latín y castellano. Los go- zos están insertos en la Novena al glorioso Padre S. Felipe Neri, fundador de la Congregacion del Oratorio y abogado de la perseverancia. Compuesta por D. Josef Orti, y Figuerola (Valencia: Francisco Burguete, s.f.); el responsorio forma parte del Exercicio de devocion al glorioso pa- triarca S. Felipe Neri impreso en Mallorca en 1755 (Imprenta del Real Convento de Santo Do- mingo). 22 cf. GÜELL, fol. 422v. El texto se ofrece en anexo. El erudito P. ESCLAPÉS DE GUILLÒ escri- bió, al igual que GÜELL, la relación de estas fiestas: Rasgo heroico en que se manifiesta la solem- ne Translacion del SS. Sacramento de la Antigua Casa del Oratorio de San Felipe Neri (cf. XI- MENO, Escritores del Reyno de Valencia, chronologicamente ordenados desde el año M.CC.XXXVIII. de la Christiana Conquista de la misma Ciudad hasta el de M.DCC.XLVII. por Vicente Ximeno Presbitero, Doctor en Sagrada Theologia, Beneficiado en la Santa Iglesia Metro- politana de Valencia su Patria, y Academico Valenciano. Al Ilustrissimo, y Reverendissimo Señor Don Andres Mayoral, Arzobispo de dicha santa Iglesia, del Consejo de su Magestad, &c. Valen- cia: Joseph Estevan Dolz, 1747. T.II: 274-5). 23 No se incluyen en el presente artículo cinco villancicos “A San Felipe Neri”, fechados en el último tercio del siglo XVII y localizados en la catedral de Valladolid, de los que ya dimos noti- cia -cfr. FERRER BALLESTER-SANZ HERMIDA, art. cit.: 131-. R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ... 115

Santo.24 Curiosamente, en un volumen facticio, se conservan dos coloquios, en lengua valenciana, dedicados al santo.25 El primero está fechado en 1721,26 año, según el autor, que

fue el primero en el que dispusieron los padres de la congregación una diversión santa en el huerto del Señor Patriarca, día de Pascua del Es- píritu Santo por la tarde.

¿Se correspondería esta diversión con la que describe una crónica de la fundación de la congregación de Murcia?:

Sólo se añade que entre año, algunos días, especialmente de funciones de toros, o máscaras, para separar de estos concursos a los hermanos y otros que quieran, suele el prefecto sacar los hermanos a la huerta, y entretenerlos con alguna representación devota o lección espiritual, y vuelven cantando el rosario. O los lleva a algún huerto retirado (...) donde tiene prevenida música, se hace alguna representa- ción devota por los mismos hermanos del oratorio, se cantan algunos diálogos jocodevotos que contengan desengaños; se reparten a los con- currentes algunos libritos devotos, o estampas, frutas y dulces, que aprecia mucho la gente. Se vuelven cantando el rosario y la letanía, y coplas devotas compuestas por los mismos hermanos. A esta honesta y útil recreación concurren muchos caballeros, eclesiásticos y religiosos: es de grande edificación. Se cuida mucho que no haya desórdenes, ni cosa que desdiga de la modestia cristiana.27

24 cf. J. XIMENO, t.II: 316, nº 47. 25 ms 14097 de la Biblioteca Nacional de Madrid. El musicólogo A. BOMBI da noticia de este manuscrito en su bien documentado artículo “ “...Imitar las cadencias italianas” El recitativo en Valencia antes de la ópera” (en La ópera en España e Hispanoamérica (E.CASARES RODICIO-A.TO- RRENTE, eds.). Madrid: ICCMU, 2001, vol. I: 131-174). Con relación a este ejemplar y a los poe- tas ORTÍ Y MAYOR y ORTÍ Y MOLES, vid. también FERRER BALLESTER -SANZ HERMIDA 2003: 135- 6. Pueden verse ediciones de algunas obras de este último a cargo de Pasqual MAS I USÒ (ed. Reichenberger, 1992 y 1994). 26 Coloqui de chanza sobre un suces que es refereix én la vida de Sent Felip Neri Lib. 6. cap.14. pera él ani 1721. que fonch lo primer en que dispongueren los pares de la congregacio una diver- sió santa en lo hort de él Senyor Patriarca dia de Pasqua de Esperit Sant per la Vesprada. (346r- 350r.). El de 1722, que ocupa los folios 350v.-355v. es Pera la mateixa santa diversió (...). Colo- qui de chanza sobre el suces que es refereix en la vida de sent Felip Neri al libre 2. capitol 8. 27 [Relacion breve de lo que pasó en la fundacion de la Congregacion del Oratorio de S. Phe- lipe Neri de Valencia y resumen de sus principales constituciones; Breve noticia de la fundacion de la Congregacion de Murcia: 212-3]. Se trata del manuscrito 253 conservado en la Biblioteca Valenciana. 116 ANNALES ORATORII

Los coloquios conforman un tipo de género que aúna música, literatura y devoción, combinación característica de los variados ejercicios devocionales filipenses. Precisamente esta mixtificación hace muy difícil identificar y re- conocer los “géneros” a los que aluden las fuentes documentales: coloquios, diálogos jocodevotos, representaciones devotas, dramas sacros, oratorios con música, oratorios músicos... .

Este problema se complica con la aparición de las denominadas “sies- tas”.28 El contexto de éstas es la celebración del triduo festivo en honor de San Felipe Neri (Valencia, años 1713 y 1715). Los autores de las letras, Jo- sé Vicente ORTÍ Y MAYOR y el escritor José ORTÍ Y MOLES. El “problema” ra- dica en la alusión a los músicos, Pedro MARTÍNEZ DE ORGAMBIDE y Pedro RA- BASSA, ya que se producen puntos de coincidencia muy significativos entre éstos y los aquéllos: su participación en las Academias de Valencia de 1704 y 1705; su trabajo conjunto en los oratorios interpretados a partir de 1715 y, finalmente, su colaboración en las siestas de la congregación de San Felipe Neri de 1715:29

Que virtud de las quatro [79v.-83r.] Año 1713. Música: ¿ ? Ô tu, heroyca constancia [140r.-144v.] Año 1715. Música: P. RABASSA Los quatro tiempos de él año [166v.-170r.] Año 1715. Música: P. RABASSA Pues él Mundo os ofreze [170v.-174r.] Año 1715. Música: P. MARTÍNEZ DE ORGAMBIDE

Pedro MARTÍNEZ DE ORGAMBIDE (Madrid ¿?- Valencia 1727)30 es el autor del Oratorio sacro al Nacimiento de Christo Señor Nuestro interpretado por

28 Siestas [de música]: se refiere, como señala el Diccionario de Autoridades (1739), al “pun- to de Música que en las Iglesias se canta por la tarde. Díjose así porque en las Catedrales se can- ta en la hora de siesta. Lat. Musica, vel cantus postmeridianus”. Las mencionadas siestas apare- cen en el volumen facticio -ms 14097- de la Biblioteca Nacional bajo el epígrafe “Óperas para cantar en algunas siestas. A San Felipe Neri”, y con la foliación que se indica entre corchetes. 29 Cabe señalar también otro dato curioso y muy significativo: la vertiente interpretativa de ORTÍ Y MAYOR, como se manifiesta en su intervención como arpista en las academias de Valencia. A. BOMBI, en el citado artículo alude, por otros motivos, a esta faceta de intérpretes y artistas de los poetas que participaron en las academias valencianas de estos años. 30 Se dispone de escasísimas noticias acerca de Pedro MARTÍNEZ DE ORGAMBIDE. En 1696 in- gresó como tiple en la valenciana iglesia del Colegio de Corpus Christi donde, a partir de 1705, desempeñó interinamente el cargo de maestro de capilla. Su obra es, prácticamente, desconocida: apenas se conserva más de una docena de composiciones en el archivo musical del Colegio de Corpus Christi y un oratorio en el archivo de la Congregación de San Felipe Neri de Palma de Mallorca. R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ... 117 primera vez en la iglesia de la congregación de San Felipe Neri en 1704.31 En este mismo año, y en el siguiente, aparece como compositor de la músi- ca de la Academia de Valencia.32 En 1715 de nuevo se le encomienda la com- posición musical Para una de las siestas de la tarde en la congregacion año 1715.

Pedro RABASSA (Barcelona, 1683-Sevilla, 1767)33 es autor, como quedó dicho, de la música compuesta para las siestas que tuvieron lugar en la con- gregación de San Felipe Neri de Valencia el año de 1715 y, además, de cin- co oratorios:

– La gloria de los santos, oratorio que se cantó en la Iglesia de la Real Con- gregacion del Oratorio de San Felipe Neri de la Ciudad de Valencia, año 1715. – La caída del hombre, y su reparacion. Oratorio sacro, que se cantò en la Iglesia de la Real Congregacion del Oratorio de San Felipe Neri de la Ciu- dad de Valencia, Año 1718. – Oratorio Sacro a San Juan Bautista que se cantò en la Real Congregacion de San Felipe Neri, en la Ciudad de Valencia, este año 1720. – Diferencia de la Bvena, y Mala Mverte, representada en la del mendigo

31 cf. FERRER BALLESTER-SANZ HERMIDA, art. cit.: 134-5. 32 Los títulos de las dos academias valencianas celebradas en 1704 y 1705 son, respectiva- mente: - Academia de Valencia en celebracion de la gloriosa entrada en los dominios de España y feliz cvmplimiento de años del rey nuestro señor Don Felipe IV de Aragon, y V. de Castilla. Exe- cutada en la casa de la Dipvtacion del Reyno de Valencia. El dia 2. de Febrero 1704. Y dedica- da a sv Magestad Catolica, por manos del Excelentissimo Señor Marqves de Villagarcia, Virrey, y Capitan General del Reyno. En Valencia: Por Vicente Cabrera, en la Plaça de la Seo. Año 1704. - Festivos obseqvios con qve acreditò sv fidelidad la Academia de Valencia, celebrando los avgustos años y felize entrada de el Rey Nuestro Señor Don Felipe IV. de Aragon, y V. de Casti- lla. Execvtaronse en la Casa de la Dipvtacion de la misma ciudad, y Reyno, en 22. de Enero 1705 y se dedican a sv Magestad Catholica, por medio del Exmo. Señor Marques de Uillagarcia, Ui- rrey, y Capitan General de este Reyno. En Valencia: en la Imprenta de Vicente Cabrera, en la Pla- ça de la Seo. Año 1705. 33 Pedro RABASSA fue discípulo del músico catalán Francisco VALLS. En 1713 es nombrado maestro de capilla de la catedral de Vic y el 24 de mayo de 1714 pasa a ocupar el mismo cargo en la de Valencia, una de las mejores plazas para un músico español de aquella época. Allí escri- bió su tratado Guía para los principiantes que, junto con el Mapa Armónico de Francisco VALLS constituye la fuente más importante para el conocimiento de la música barroca en España. En 1728 ocupa el magisterio de la catedral hispalense hasta su muerte. Su obra -muy prolífica- fue decisi- va en el proceso de italianización de la música española de estos años. 118 ANNALES ORATORII

Lazaro, y en la de el Rico Avariento. Oratorio sacro que se cantò en la Iglesia de la real Congregacion del Oratorio de San Felipe Neri de la Ciu- dad de Valencia, año 1721. – Oratorio Sacro a la Natividad del glorioso precursor San Juan Bautista. Que se cantó en su dia, en la Real Congregacion de San Felipe Neri, de la Ciudad de Valencia, este año 1722.

Todas estas coincidencias arrojan luces sobre el origen y la conformación del oratorio musical en España o, cuando menos, abren múltiples interro- gantes: ¿cómo llegaron a conocer, poetas y músicos, este género? ¿cómo se realizaba su trabajo conjunto? ¿quién los encargaba y cómo se realizaba la elección de unos y otros? ¿qué vinculación les une a la congregación del Ora- torio?

Otra problemática, mencionada en parte más arriba, surge en torno a la finalidad de las siestas, los oratorios y los coloquios. La sospecha en este caso es que estos “géneros” (o subgéneros) han florecido como alternativa de las diversiones mundanas. En todas las biografías del santo florentino se plasma su preocupación por la educación de la juventud: el temor por su de- terioro moral en determinadas épocas del año (sobre todo carnestolendas y Pascua de Resurrección) propiciado por la proliferación de entretenimientos y espectáculos que pudieran atentar contra la modestia cristiana (vid. texto de la fundación de Murcia transcrito más arriba). Y propone recreaciones destinadas a distraer el espíritu, aunque sin alejarlo de la consideración de las cosas divinas. Una de estas “diversiones” espirituales, que gozaba de gran éxito entre los “ejercitantes”, era la visita a las siete Iglesias de Roma, descrita en la letra de la siesta que se reproduce en los “Textos”. La inter- vención de la música, al igual que en el resto de las prácticas oratorianas, es fundamental: música, goce para los sentidos, y letra, palabra para el es- píritu:

Ya todos por el camino, con músicas consonancias, dando a Dios himnos de gloria y cánticos de alabanza. [José Vicente ORTÍ Y MAYOR, Letra para una de las siestas...]

Como colofón a este apartado de “recreo y diversión” cabe citar la exis- tencia de dos oratorios dedicados expresamente al santo: R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ... 119

– Triunfo de la castidad en S. Felipe Neri. Oratorio sacro, que se cantò en la Iglesia de la Real Congregacion del Oratorio del mesmo Santo, de la Ciudad de Valencia, año de 1721, con música de Pedro VIDAL.34

– Corona de las virtudes de S. Felipe Neri. Oratorio sacro que se ha de can- tar en la Iglesia de la Real Congregacion del Oratorio del mismo Santo de la Ciudad de Valencia este presente año de 1756.35 Su compositor es Fran- cisco MORENO, maestro de capilla de la catedral de Tortosa.

Rosa Sanz Hermida María Teresa Ferrer Ballester

34 Pedro VIDAL I MÁS fue maestro de capilla de la parroquia de Algemesí (Valencia) y, en 1730, ocupó el mismo cargo en el colegio de Corpus Christi. Además puso música a estos dos oratorios: Oratorio sacro al Nacimiento temporal de Christo nuestro Señor, que se cantó en la Real Con- gregacion del Oratorio de San Felipe Neri de Valencia, año de 1732; La obediencia mas humil- de, practicada en la purificacion de Maria Santissima, y presentacion del Niño Jesus en el tem- plo. Oratorio sacro, que se cantò en la Iglesia de la Real Congregacion del Oratorio de San Fe- lipe Neri de la Ciudad de Valencia, año 1734. 35 No hemos visto este oratorio. Lo cita el bibliógrafo valenciano Francisco MARTÍ GRAJALES en su Ensayo de una bibliografía valenciana del siglo XVIII. Valencia: Diputación, 1987, t.I: 296. 120 ANNALES ORATORII

TEXTOS

[J. CANTERO XIMÉNEZ: Romance [Oigan por amor de un santo]. Valladolid: 1659]

Oigan por amor de un santo que empezando la misa la historia de aquel Felipe contemplaba hasta los quiries. que estando su alma ensu palma A dos hermanos hebreos así vive como vive. en nuestra fe nada firmes, Florencia, ciudad de Italia, les convirtió a ser cristianos fue supatria muy felice, con dos milagros gentiles. y aunque hoy le trasladan tantos Una taura de amor tan grande es, que no se escribe. le embidó con juegos viles Francisco y Lucrecia fueron mas el santo en puridad sus padres, de ilustre estirpe, pasó, y no quiso el embite. de cuya virtud esta rama Quedó la ninfa picada sacó flor, fruto y raíces. viendo lo mal que la dice Dióse a todas buenas letras, y se levantó perdiendo, y aunque era muy apacible, pero nunca halló desquite. sobre cualquiera suceso Porque como en lugar limpio se daba a Dios, y a la Virgen. era nuestro santo un lince, Cayó al ir a dar limosna la dejó sin hacer baza, en una sima terrible con un capote, y dos piques. y un mancebo como un ángel Era el padre de los pobres le sacó en el aire libre. con caridad indecible En Nápoles, un pariente y con ser muy noble dicen mercader rico y insigne, que fue el hombre más humilde. le adoptaba, y él no quiso Por el olor sabía quién vivir con pesar tan triste. andaba en torpes deslices, Y hacía bien en fiarle y les decía en conciencia sus talentos, pues más firmes sus pensamientos sutiles. con cinco que le dió el cielo El ventor fue de la Iglesia, lucratus est alia quinque. privilegio el más sublime Pasóse a Roma, dejando con que cazó tantas almas del mundo engañosas Circes dándole el humo a narices. donde vivió como un santo A enfermos, ya deshauciados mas nunca fue un santo simple. solía el santo decirles: De noche iba a las iglesias Si es que me queréis de veras a entonar mejor que el cisne nadie por mí ha de morirse. cantando todas las horas Pero son tantas, y tales sin tocarle a él a maitines. sus gracias, que es imposible Tan fácil era en quedarse si imprimirse todas pueden en gran quietud, que se dice todas pueden imprimirse. R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ... 121

[José Vicente ORTÍ Y MAYOR: Seis décimas para las fiestas de la congregación de San Felipe Neri de Valencia por la dedicación de su Iglesia Nueva y traslación del Santísi- mo Sacramento. Valencia: 1736]

1ª 4ª En tanta solemnidad Si en nuestra universidad, debe concurrir, lucida como a Valencia es notorio, en fuerza de agradecida, los padres del Oratorio la insigne Universidad. son de tanta utilidad, Pues sería impropiedad la Escuela, con propiedad y aún villana grosería concurre a tan gran función: el mirar que en este día pues si es la renovación falte con ingratitud de su magnífico Templo, a una Casa de virtud para una Escuela contemplo la de la Sabiduría. que es propia la conclusión.

2ª 5ª Hoy, con misteriosa unión, Para mejor celebrar de este festín en lo atento desta Iglesia el placer, a Felipe y Sacramento hoy San Vicente Ferrer enlaza la devoción. deja verse en este altar. Pues si la interpretación Justo es llegue a celebrar de Felipe es hacha ardiente, tan festiva Translación ya nos enseña, elocuente, si une la veneración que, a tan divino manjar, en el obsequio que anhela: todos debemos llegar uno, que fundó esta Escuela, con el corazón ferviente. y otro, la Congregación.

3ª 6ª Si con tal solicitud Pues que san Pedro Pajona cuida la congregación en esta Escuela aprendió de la fiel educación la ciencia que le enseñó de la incauta juventud, a buscar lo celestial, fuera torpe ingratitud hoy, con afecto especial, que el más discreto instituto concurre con sus loores, se negase a este tributo, pues de entrambos los fervores y que, neciamente ciego, dan al aplauso motivos: siendo tan copioso el riego uno, en redimir cautivos; no rindiese fértil fruto. otro, en librar pecadores. 122 ANNALES ORATORII

José ORTÍ Y FIGUEROLA, Gozos al glorioso Felipe Neri. Valencia: s.XVIII ]

Pues el Espíritu Santo En el olor discerníais os dilató el corazón: el casto o impuro estado, extended la intercesión y haciendo guerra al pecado a todos, Felipe Santo. las piedras enternecíais. ¡A cuántos vuestro sermón Flor, en Florencia nacísteis libró del eterno llanto!: y de belleza inmortal, extended la intercesión pues la gracia bautismal a todos, Felipe Santo. en ningún tiempo perdísteis. Con este admirable don Aún estando en esta vida lució vuestra vida tanto: los Papas os veneraron, extended la intercesión y con capelos honraron a todos, Felipe Santo. vida tan esclarecida. No admitís la promoción, Patria, nobleza, y herencia y así, os tiene el cielo en tanto: olvidando, a Roma os vais, extended la intercesión y con la virtud juntáis a todos, Felipe Santo. humana y divina ciencia. Las noches en oración Si vuestra gran caridad pasáis gustoso entre tanto: allá en la gloria ha crecido extended la intercesión y a nadie pone en olvido a todos, Felipe Santo. en qualquier necesidad, oíd nuestra petición Vuestra vida a la salud con este devoto canto: de las almas consagráis, extended la intercesión y el oratorio fundáis, a todos, Felipe Santo. escuela de la virtud; su ejemplo, y exhortación es un celestial encanto: extended la intercesión a todos, Felipe Santo. TORNADA. Por los aires elevado Pues el Espíritu Santo glorias gozáis de María, os dilató el corazón, dulce Madre, Norte, y Guía alcanzadnos contrición de tan fino enamorado. perfecta, Felipe Santo. Siempre de su protección os acogísteis al manto: V. Justum deduxit Dominus extended la intercesión per vias rectas. a todos, Felipe Santo. R. Et ostendit illi Regnum Dei. Rotas ya las dos costillas, y el corazón dilatado, al mismo Cielo ha admirado OREMUS tanto incendio, y maravillas. Deus, qui Beatum Philipum Confessorem Esta sacra división tuum Sanctorum tuorum gloria sublimas- fue del infierno el quebranto: ti: concede propitius, ut cujus commemo- extended la intercesión ratione lætamur, ejus virtutum proficia- a todos, Felipe Santo. mus exemplo. Per Christum, &c. R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ... 123

[RESPONSORIO para implorar el auxilio de San Felipe Neri. Mallorca: 1755]

Responsorium Ad implorandum auxilium Sancti Philippi Neri

Si prodigia quaeris, habes, Si buscas prodigios, luego Dum in corde non sit labes: los tendrás, si estando en gracia Ad Philippum mens devota tu devoción, y eficacia Fundat preces, & pia vota. dirige á Felipe el ruego.

Ipse corporis languores, El nuestras dolencias sana; Morbos pellit, & dolores del mar y viento el rigor Imperatque mari, & ventis, mitiga, y es protector Tutor est Romanæ gentis. de la religión cristiana.

Curas animi molestas Cuidados y adversidades Sedat: æris tempestas, de los ánimos serena; Ignis, grando si bacchantur, el fuego aplaca y enfrena Ejus ope dissipantur. granizos, y tempestades.

Ipse corporis &c. El nuestras dolencias &c.

Terremotus sunt represi; Reprime los terremotos; Liberantur & obsessi; los energúmenos cura, Quosque premit sæva inopia y en la pobreza procura Victus, eris juvat copia. socorrer a sus devotos.

Ipse corporis &c. El nuestras dolencias &c.

Eo precante, vita suncti Su intercesión cada día Vitæ redeunt conjuncti: restituye vida al muerto, Salutarem mostrat viam, y es el camino más cierto Quæ perducit ad Mariam. para el favor de María.

Ipse corporis &c. El nuestras dolencias &c.

O Philippe, spes salutis, ¡Oh, gran Felipe, consuelo Omnis speculum virtutis, y esperanza de salud! Ut fruamur intercede ¡Oh, espejo de la virtud! Tandem cœlica mercede. Solicítanos el Cielo.

Ipse corporis &c. El nuestras dolencias &c.

Trino, ac uni Deo sit gloria: A Dios trino y uno, en tanto, Cum recolitur memoria, sea el honor, y por memoria Sancte Pater, mirabilium, de tus prodigios, y gloria Quæ fecisti, fer auxilium. Amen danos tu auxilio, gran santo. Amen 124 ANNALES ORATORII

[ [José Vicente ORTÍ Y MAYOR] Letra para una de las siestas de la tarde en la congre- gación. Puso música D. Pedro Martínez de Orgambide, capellán en el Colegio del Se- ñor Patriarca desta Ciudad de Valencia. Valencia: 1715]

A5. F. Pues si mi nombre feliz Personas hacha ardiente se interpreta, procure con mi eficacia Perfección (P): Tiple 1º; Celo (C): Tenor fervorizar su flaqueza. Diversión (D): Tiple 2º; Engaño (E): Bajo San Felipe (F): Alto D. E. ¿Quién eres? ¿quién eres, hombre que con tan vana soberbia D. E. Pues el mundo os ofrece juzgas rendir voluntades bullicios, regalos, placer, y contento, convidando a las tristezas? ¡venid, mortales, corred a mi acento! F. Aunque por mí no espero tanta gloria, P. C. Cuanto el mundo os ofrece segura me prometo la vitoria, es falso, mentido, inconstante, y sangriento, pues Dios asiste siempre generoso y así, ¡huid, mortales! ¡Huid de su acento! a quien su causa solicita ansioso. Yo soy Felipe Neri, Los 4. Venid a mis voces, venid a mis ecos, a quien el cielo dio, y aunque nos detenemos en llamaros, para tan santa empresa, no queráis en seguirnos deteneros. divina ilustración. F. ¡Quién pudiera, Dios mío, P. C. Para vencer del mundo con vuestro santo celo el obstinado error. infundirle en las almas para que sólo obrasen lo perfecto! C. En mí tendrás al celo. D. E. ¡Venid! ¡venid! Pues ya os previene ansioso P. Y en mí a la Perfección. alegre el mundo todo lo gustoso, F. Si auxiliares a entrambos para que mientras dure vuestra vida os logra mi fervor, lograrla procuréis bien divertida. no temo del abismo F. ¡Oh, quién pudiera de tan necio engaño cruel la oposición. introducir cabal el desengaño! Los 5. Y pues no hay vencimiento, P. C. ¡Huid, huid de aquellas tristes voces sin preceder glorioso el ardimiento, los acentos, crueles, y feroces! suene el clarín, y la batalla avise; Pues ¿qué importa el placer por un instante el parche gima, y nuestra lid promulgue; si a él se ha de seguir pena incesante? cúbrase todo el aire de temores; la tierra vista fúnebres capuces, F. ¿Qué encontrados afectos y, sirviendo de armas las razones, de opuestas persuasiones la razón sea quien el triunfo anuncie. intentan, atractivos cada cual, cautivar para sí al hombre? F. Señor, en vuestro nombre soberano ¿Quién sois los dos que procuráis su daño? entro en la lid ufano, pues si busco evitaros tanta ofensa, D. Yo soy la Diversión. por vuestra mano corre mi defensa. E. Y yo, el Engaño. P. C. Que nos querréis defender Aria mucho más que persuadir, F. ¿Y quién los dos que le guiáis al cielo? lo debemos suponer; P. Yo soy la Perfección. pues fuera agravio creer que habíais de permitir C. Yo, el santo Celo. lograse el error vencer. R. Sanz Hermida - M.T. Ferrer Ballester, Literatura, música ... 125

E. No tanto blasonéis de confiados, E. D. Pues porque aquellas luces que aún a mi industria os he de ver postrados. brillar no logren, su memoria borramos D. Cuando tú no bastases a atraerlos, con diversiones. yo con la diversión sobro a vencerlos: y más en este tiempo F. ¡No podréis, no, cautelosas Sirenas, de las Carnestolendas, no podréis, no, con encanto falaz en que mis regocijos de la influencia feliz de la gracia tienen tan general la preeminencia. el logro impedir, ni el trofeo estorbar!

F. ¡Oh tiempo lamentable! D. E. ¡No podrás, no; no podrás, oh, Felipe, ¡Oh, cómo de un engaño tan notable por más que se anime tu industria especial quisieran mis deseos de esta común alegría del pueblo las cadenas romper a tantos reos, ni aún el desorden menor remediar! que se labran, en bárbaras prisiones, ¡No podrás! por su mano los propios eslabones! P. C. ¡Si podrás! E. En vano, Felipe, en vano pretendes D. E. ¡No podrás! sea a la persuasión de los mortales, F. ¡Sí podré reducir su pertinacia más eficaz la angustia que el deleite. pues que me auxilia la divina gracia! D. ¿Quién, di, tan necio se ve Aria P.C. Y nada hay, por más inaccesible que cuando en su arbitrio esté, que su poder no lo haga muy posible. busque la severidad? ¿Como hallará tu entereza D. E. Pues otra vez, Felipe, mi porfia quien te siga en la aspereza, a la propuesta lid te desafia. perdiendo su libertad? F. Otra vez se presentan mis fervores P.C. ¿Quién conozca el error de vuestro engaño, a fin de avasallar tantos errores. y que aspiráis a ocasionar su daño? Los 5. Pues prosiga la lucha, y el combate, F. Quien sepa que es el mundo y no el triunfo a mis glorias se dilate: un letargo profundo, que, para merecerle, una fingida luz, una apariencia, me sobra la razón del emprenderle. y que se ha de seguir una sentencia del todo irrevocable, E. Tus alientos, Felipe, feliz eternamente, o lamentable. ríndanse a mis industrias; que de un sutil engaño D. E. Ya para esas razones nadie libra, por más que lo presuma. tan poderosas, su reflexión quitamos F. Poco triunfo es librarme. de la memoria. Mayor será, sin duda, sacar a feliz puerto E. Mira a Roma, anegada tantos que en mar tan mísero fluctúan. en regocijos, y que es común asunto D. No podrán conseguirlo tus alientos. sólo el bullicio. F. Pues para ver si puedo, ¡estadme atentos D. Mira sus moradores moradores de Roma, cómo se alegran que neciamente errados con máscaras, saraos, para los precipicios bailes, y fiestas. aceleráis los pasos! 126 ANNALES ORATORII

E. ¡Todo el concurso para a sus razones! E. Tanto el número es que le acompaña en tan no vista hazaña, D. ¡Qué ansias! (¡ay, dolor, y qué rabias me ocasionas!) E. ¡Qué confusiones! que a pasar llega de dos mil personas. F. Quien os conduce loco F. Ya todos por el camino, es un fingido engaño, con músicas consonancias, que a efecto de perderos dando a Dios himnos de gloria procuró deslumbraros. y cánticos de alabanza.

E. ¡Todos oyen con gusto quanto dice! P. C. ¡Qué contento! D. ¡Ay, triste! D. E. ¡Qué pasmo! E. ¡Ay, infelice! F. ¡Qué ventura! F. Mirad que ha de seguirse día, y no sabéis cuándo, P. C. ¡Qué prodigio! en que Dios, Juez severo, de todo os hará cargo. D. E. ¡Qué asombro!

D. Su voz les deja à todos convencidos. F. ¡Qué ventura! E. ¡Qué angustias! D. Ya, Felipe, vencida me confieso. D. ¡Qué gemidos! Pero supo ser tal tu maravilla, que no sólo me rindo ya, postrada, F. Si en el día tremendo si que también me rindo convencida. queréis ser bien librados, del mundo y sus placeres E. La cautelosa industria del engaño no creáis los encantos. a tu fervor sujeta ya se mira. Que, al fin, mi astucia es siempre malograda, E. A todos tras sí llegan sus fervores. al punto que a ser llega conocida. D. ¡Qué iras! F. Gracias te doy, Señor, Aria E. ¡Qué furores! de que quisísteis dar a mi impulso, fervor, D. E. Tan sin aliento quedan a mis voces, lugar, ya mis pesares, y, a mi empresa, favor. que aún alientos les faltan para quejarse. P. C. Gracias os damos, Dios omnipotente, de que así se redujo tanta gente, P. C. ¡Oh, gran Dios, y qué triunfo que, alucinada y loca en estos días, Felipe alcanza! intentaba seguir sus fantasías. ¿Pero, qué habrá dificil para la gracia? D. E. Gracias a ti, Felipe, te rendimos, pues por tu medio ya nos reducimos. F. Del mundo los encantos despreciemos, y en sus casas a Dios, finos, busquemos. F. Al cielo; al cielo es justo que las demos, D. Caudillo de una tropa numerosa, pues nosotros sin él nada podemos. con piedad religiosa, apartando la gente del bullicio Todos. ¡Oh piedad, la de Dios, siempre infinita! dispone un nuevo modo de ejercicio: que cuando el hombre más se precipita, pues con veneraciones con mayor eficacia hace a las siete Iglesias estaciones. Dios procura atraerle con su gracia. E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 127

L’ALTRA VOCE DEL PELLEGRINO ERRANTE *

Nel panorama della letteratura italiana la figura di Giovenale Ancina è ri- cordata principalmente in virtù della vasta silloge di laudi musicali a tre vo- ci da lui raccolte e, in parte, composte: il Tempio armonico della beatissima Vergine, stampato a Roma nel 1599 per i tipi di Niccolò Muzi.1 Ma il singo- lare personaggio vanta una produzione assai più cospicua del pur poderoso laudario, e si muove con una certa disinvoltura attraverso generi piuttosto di- versi: dai poemetti umanistici della giovinezza ai sonetti d’occasione, dai ser- moni alle elegie latine, dagli epigrammi ai trattati teologici.2 I testi di cui si vuole dare notizia sono due odi d’argomento autobiografico, particolarmen- te interessanti perché attinenti il medesimo episodio cui si ricollega un’altra opera attribuita ad Ancina, più conosciuta e pittoresca, che viaggia sotto il ti- tolo di Il pellegrino errante.

* Nel licenziare queste pagine ringrazio Giuseppe Frasso che, con la consueta pazienza, ha se- guito passo dopo passo lo svolgersi dell’indagine, p. Edoardo Cerrato, che mi ha dato l’occasione di darle una forma pubblica, p. Alberto Venturoli, che mi ha permesso di consultare il materiale dell’Archivio dell’Oratorio di Roma, la Biblioteca Vallicelliana, Giliola Barbero per la consulen- za paleografica, Alessandro Ledda e Cristina Terzaghi per l’aiuto tempestivo, ed il dipartimento di Filologia moderna dell’Università degli studi di Milano, che ha sostenuto questo progetto. 1 Su Giovenale Ancina si vedano P. DAMILANO, Ancina, Giovenale, in Dizionario Biografico degli Italiani, III, Roma 1961, pp. 40 – 43, ID., Giovenale Ancina musicista filippino, Olschki, Fi- renze 1956, e le numerose notizie ricavabili da A. CISTELLINI, S. Filippo Neri. L’Oratorio e la Con- gregazione oratoriana. Storia e spiritualità, Brescia 1989; sul Tempio armonico, oltre alla mono- grafia di Damilano, si vedano G. ROSTIROLLA, La musica a Roma al tempo del cardinal Baronio. L’oratorio e la produzione laudistica in ambiente romano, in ID., O. MISCHIATI, D. ZARDIN, La lau- da spirituale tra Cinque e Seicento. Poesie e canti devozionali nell’Italia della Controriforma, a c. di G. Filippi, L. Luciani, M. Toscano, D. Zardin, E. Zomparelli, IBIMUS, Roma 2001 (Studi, cataloghi e sussidi dell’Istituto di bibliografia musicale, 6), pp. 56-74 e 95-96, M. L. DOGLIO, Il Tempio armonico di Giovenale Ancina: dal Petrarca “travestito” alla lauda spirituale alla “can- zonetta ariosa”, in Literatur ohne Grenzen. Festschrift für Erika Kanduth, Frankfurt am Main- Berlin-Bern-New York-Paris-Wien 1993, pp. 99-112, D. TRUCCO, I “travestimenti” musicali del Beato Giovenale Ancina, «Cuneo. Provincia granda», 50 (2001), 2, pp. 32-35. 2 Cfr. M. L. DOGLIO, Su due sonetti di Giovenale Ancina a Carlo Emanuele di Savoia, in Mi- to e letteratura. Studi offerti a Aulo Greco, Roma 1993 pp. 283-290. 128 ANNALES ORATORII

Per far lume sui contenuti di questi testi, varrà la pena di ricordare som- mariamente le vicende biografiche del personaggio. Giovenale Ancina nasce a Fossano, in Piemonte, il 19 ottobre 1545; dopo un itinerario di studi che si snoda attraverso Montpellier, Padova e Mondo- vì, consegue la laurea presso l’università di Torino, dove per un paio di anni è lettore di medicina.3 Nel 1574, al seguito degli ambasciatori del duca Ema- nuele Filiberto, si reca a Roma, dove rimane vivamente impressionato dalla figura di Filippo Neri, di cui presto diventa fervido seguace, e dove riceve l’ordinazione sacerdotale. Nonostante il carattere forse eccessivamente inge- nuo ed entusiasta, Ancina è molto stimato dal Neri, che nel 1586 lo invia a Napoli, dove stava allora sorgendo la nuova casa Filippina. Al suo rientro a Roma, dieci anni dopo, iniziano a circolare voci che lo vogliono destinato a divenire vescovo in una diocesi piemontese. Ancina, come vedremo meglio più avanti, riuscirà a sviare le offerte fino al 1602, anno in cui è preconizza- to vescovo di Saluzzo. Nella diocesi, infestata dall’eresia, esercita un magi- stero significativo, ancorché breve: il 31 agosto del 1604 muore, in circo- stanze mai del tutto chiarite (si sospetta di un avvelenamento).4 I testi in esame sono legati alle rocambolesche vicende che si snodarono attorno alla prima proposta di vescovato rivolta ad Ancina. Questi, in ottem- peranza allo spirito di semplicità tipico dell’Oratorio, non gradiva l’eventua- lità di una simile promozione, e più volte lasciò cadere nel nulla le voci che ventilavano questa possibilità. Alla fine, però, la minaccia sembrò concretiz- zarsi in una proposta precisa, e il 28 novembre del 1597 arrivò alla Vallicel- la un messo con la notizia della nomina. Fortunatamente Giovenale era usci- to per una visita alle sette chiese, e il messaggio fu recapitato ai confratelli, che lo avvertirono subito del pericolo imminente. Non gli restavano che due alternative: o ricevere la nomina ed essere costretto a obbedire, o fuggire ed eludere il problema. Il bizzarro sacerdote, peraltro sostenuto dalla Congre- gazione, scelse la seconda possibilità, e il giorno stesso, procuratosi un ca- vallo, iniziò una fuga che lo vide errante per l’Umbria e per le Marche fino a che, quando la minaccia sembrò accantonata dalla curia romana, la Con-

3 M. CHIAUDANO, I lettori dell’Università di Torino ai tempi di Emanuele Filiberto (1566 – 1580), in Studi pubblicati dalla R. Università di Torino nel IV centenario dalla nascita di Ema- nuele Filiberto, Torino 1928, pp. 58-59. 4 Esprime alcuni dubbi A. LOVERA DI CASTIGLIONE, Il misterioso avvelenatore del b. Giovena- le Ancina. Chi fu?, «Bollettino della società subalpina di storia patria della provincia di Cuneo», 6 (1934), II, pp. 7 – 30. E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 129 gregazione lo richiamò a Roma. Questi mesi di peregrinazione furono piut- tosto significativi nell’itinerario poetico di Ancina, che da queste vicende trasse ispirazione per comporre alcune delle laudi del Tempio Armonico e i testi cui si è accennato.5 Il più famoso è, come si è detto, Il pellegrino er- rante;6 si tratta di una ballata di ottonari con ripresa xx e strofe aaax, per un totale di cento strofe; come già l’impianto metrico suggerisce, in essa l’au- tore imita ironicamente lo stile e la lingua di Jacopone da Todi.7 Tale dipen- denza, esplicitamente dichiarata ai vv. 91-94,

Jacovon bizoc de Toda, ca me fa cantar chist’oda,8

è esplicita fin dal ritornello, che parafrasa due noti incipit iacoponici:9

Que farai, ser Cigalone? Sei venuto al paragone.

Il testo di Ancina mette in scena il conflitto interiore seguito alla nomina e i rimbrotti che l’anima rivolge a se stessa per la propria ambizione, e ri- corda diversi exempla di santi sottrattisi alla carriera ecclesiastica; l’espres- sionismo linguistico è caricaturale, bizzarro risultato dell’imitazione del-

5 Ad esempio le laudi dedicate alla Madonna di Loreto, Vergin, ben posso dire, Qual ape il fa- vo da gli amati fiori, E pur partir conviemmi, alma Regina, o quelle composte nel soggiorno a San Severino nelle Marche, sua tappa nella fuga, come Vergin, che luna e sol ed ogni stella, o la lau- da per Santa Maria di Forano, Chiaro viso leggiadro, alm’e gentile, o infine la lauda S’io parto, o Madre, in questa mia partita, che racconta proprio dell’incipiente fuga, e fu scritta il giorno do- po la partenza, quando si trovava al monastero dei Certosini alle Terme. Un’altra lauda relativa a questi luoghi compare in una seconda antologia nel cui allestimento Ancina ebbe un ruolo decisi- vo: si tratta di Or eccoti, Laureto, anima mia, pubblicata nelle Nuove laudi ariose della b.ma Ver- gine, scelte da […] Giovanni Arascione, Roma, Nicolò Muzi, 1600, su cui si veda G. ROSTIROL- LA, La musica a Roma…, pp. 74-77 e 97-100. 6 Pubblicato da N. GIGLI (i.e. A. CISTELLINI), Padre Giovenale Ancina, “Pellegrino errante”, «Memorie oratoriane», 4 (1983), pp. 59-63, da cui sono tratte le citazioni del presente contributo. A tale studio si rimanda anche per notizie più dettagliate intorno alla fuga di Ancina. 7 Sulla fortuna di Jacopone nella spiritualità oratoriana si veda G. JORI, «Sentenze maraviglio- se e dolci affetti». Iacopone tra Cinque e Seicento, «Lettere italiane», 1998 (50), II, pp. 506-517. 8 “Jacopone, terziario francescano [bizoc] di Todi, che mi fa cantare quest’ode”. 9 Que farai, fra’ Iacovone? / Èi venuto al paragone e Que farai, Pier da Morrone? / Èi ve- nuto al paragone (IACOPONE DA TODI, Laude, a c. di F. Mancini, Roma-Bari 1974, pp. 146 e 218). 130 ANNALES ORATORII l’umbro da parte di un piemontese vissuto tra Roma e Napoli.10 Un simile prodotto non sembra fare attrito con lo stile dell’Ancina, soprattutto se con- frontato con alcuni passi dell’epistolario, spesso tendente all’accumulo di im- magini e all’impiego di un lessico icastico, sempre illuminato da una certa ironia;11 tuttavia diversi elementi fanno sospettare che il poemetto così come lo leggiamo sia esito di un rimaneggiamento. Che il testo non sia di prima mano lo mostrano innanzi tutto alcune grossolane imprecisioni metriche: An- cina, che fin dalla giovinezza aveva mostrato una perfetta padronanza tanto della prosodia latina quanto del verso italiano, difficilmente si sarebbe la- sciato scappare ipermetrie grossolane come quelle dei vv. 248, lecentiosa co’ guidarai, o 339, Chi non è caballo no’ ce trasga, che sembrano semplice- mente spiegabili come accidenti di trascrizione.12 Il testimone che tramanda Il pellegrino errante, infatti, non è un autografo, ma un fascicolo a stampa contenuto in un faldone miscellaneo conservato presso la Biblioteca Valli- celliana di Roma (O.26, ff. 597-600);13 questo è stato catalogato tra le edi-

10 A titolo di puro esempio: vv. 13, mira quegno es l’embarazzo, 53, nott’e dì se ninse o chiop- pe (‘nevicò e piovve’), 80, saudo e fermo chiù che polo, 167-170, Frat’Egidio, bo’ bo’ boe, / mol- to dico e poco foe: / ei fu santo, e tu sei boe / che trai cauzi a l’Aguglione, 189, nudi, crudi e scan- zetielli, 207, Pastor Christo ei de sa greglia. Particolarmente rilevanti le forme ‘iperiacoponiche’ in –one ai vv. 210, ma auto sal, forbo e ladrone, 314, navegando en felucone, 322, per salvarse a piscopone, indotte da esigenze di rima e probabilmente per l’effetto di grottesco accrescitivo che comportano. 11 Particolarmente rappresentativo il brano in cui ragguaglia l’Oratorio romano della Vallicel- la circa i propri sodali napoletani, prendendo come spunto le diverse fogge delle loro barbe: «Il p. Camillo nostro barba dismessa et quasi ad cutim rasa, il che da principio lo rese alquanto ridico- lo et a nostri novitij movea riso et maraviglia insieme: deinceps vero nihil, quia ab assuetis non fit passio. Campanilis cornix… Il padre Talpa quasi raso come me. Il p. Borla instar zoccolantis rarissimo. Ms. Francesco [Bozzi] di barba simillimo al p. Thomaso suo fratello et hormai anco sì longa. Il p. Francesco Maria a mezzo a mezzo, come si dice, a scopetta. Ego tantum non. Il p. Mo- sina non ha barba, huic p. Soto pene in speciem similis. Thomaso Galletti getta un barbone assai folto e biondo, Aligero pene assimilis. Alii aliter. Barbarum mira varietas! Vos autem quid histic?» (Frammento non datato di scrittura di Ancina, Archivio della Congregazione dell’Oratorio di Ro- ma, A.I.17, citato da A. CISTELLINI, S. Filippo Neri…, p. 515). 12 L’ipotesi che tali versi imitino l’anisosillabismo di alcune laudi iacoponiche sembra da esclu- dersi, posto che su oltre quattrocento versi le ipermetrie non raggiungono le cinque occorrenze: non dandosi la possibilità di un ‘sistema’, è quindi evidente il loro carattere accidentale. Opuscula propria manu scripta vel subscripta a Venerabili Dei Servo Juvenale Ancina episc. Salutiarum. Cart. misc. XVI-XVII, parzialmente a stampa, 609 ff. (numerazione moderna con mol- te numerazioni antiche irregolari), in sessanta fascicoli in cui si avvicendano diverse mani, tra cui quella di Ancina. P. O. KRISTELLER, Iter italicum, II, London-Leiden 1967, p. 130; Ibid., IV, 1992, pp. 184-185. 13 Le edizioni italiane del XVI secolo. Censimento nazionale, I, Roma 1990, p. 130. CISTELLINI, San Filippo Neri…, p. 1640. Invece il secondo titolo apposto al poemetto sembra E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 131 zioni italiane del XVI secolo, non riportando indicazioni di luogo o data di stampa, ma recando nel titolo la data del 1598.14 In realtà che tale pubblica- zione sia da ascriversi al secolo successivo è evidente considerando l’inte- stazione Cantico… composto dal servo di Dio Giovenale Ancina: il titolo di “servo di Dio” non è pensabile prima dell’apertura del processo di canoniz- zazione, nel 1624.15 Per scoprire la data di tale testimone è sufficiente un raf- fronto sommario di esso con la Vita di Giovenale Ancina da Fossano di Car- lo Lombardo (Napoli 1656), che reca in appendice il poemetto. L’opuscolo inserito nella miscellanea Vallicelliana O.26 è un in quarto di quattro carte, segnato Hh, e sia il formato che la segnatura, la grafica della pagina e la fi- ligrana corrispondono precisamente al fascicolo finale dell’opera del Lom- bardo.16 Presso la Biblioteca Vallicelliana, infatti, è conservato l’esemplare di questa biografia da cui è stato asportato il fascicolo contenente il Cantico, e in cui di conseguenza al fascicolo Gg segue immediatamente quello Ii, con- tenente l’indice.17 Dunque le nostre conoscenze di tale testo si rifanno esclu- sivamente ad un esemplare di mezzo secolo posteriore alla morte del pre- sunto autore (che di altre opere ha invece lasciato autografi o edizioni a stam- autentico (Nuovo cantico di Giovenale Ancina peccatore): nessuno, se non l’interessato, avrebbe dato al venerato padre l’epiteto di ‘peccatore’. Un presunto originale, che sarebbe contenuto nel manoscritto Vallicelliana O.27 (CISTELLINI, San Filippo Neri…, p. 1226; DAMILANO, Giovenale Ancina musicista filippino, pp. 19-20), non è rintracciabile. La Vita del Lombardo non è che l’edizione di una biografia composta da Bernardi- no Scaraggi, che morì prima di poter dare alle stampe il manoscritto (ora conservato presso l’Ar- chivio dei Girolamini di Napoli), approvato dal fratello di Ancina, Giovan Matteo; le notizie ivi pubblicate sono quindi attestate direttamente, ma spesso sull’operato del protagonista si addensa una patina oleografica su cui bisogna tarare il credito accordabile. G. ROSTIROLLA, La musica a Roma…, p. 58; ID., Aspetti di vita musicale religiosa nella chiesa e negli oratori dei Padri Filip- pini e Gesuiti di Napoli a cavaliere tra Cinque e Seicento, con particolare riguardo alla tradizio- ne laudistica, in ID., O. MISCHIATI, D. ZARDIN, La lauda spirituale…, p. 218. 14 Si tratta dell’esemplare segnato F III 219. 15 Un’altra profezia poetica dell’Ancina sarebbe quella menzionata da G. Mazucchelli (Gli scrittori d’Italia, 1, II, 1753, p. 182), che ricorda come nei versi che celebrano la morte di Pio V Ancina avesse predetto la successiva nomina al soglio pontificio di Gregorio XIII; in questo caso, però, più che di una profezia potrebbe essersi semplicemente trattato di una previsione politica- mente prevedibile, soprattutto per chi, come Ancina, attraverso la stretta amicizia col Baronio po- teva avere notizie fresche e attendibili su quanto accadeva negli ambienti vaticani. 16 Ad esempio, nel carteggio tra sant’Agostino ed Evodio, si narra di un giovane comparso a quest’ultimo annunciando l’imminente morte del padre, che accade puntualmente dopo sette gior- ni (Epist. CLVIII, 10). 17 DAMILANO, Giovenale Ancina…, p. 22; N. GIGLI (i. e. A. CISTELLINI), Francesco di Sales e Giovenale Ancina, «Memorie oratoriane», 14 (1984), p. 82. Le battute dei due alludono, ovvia- mente, a Matth. 5, 13-14: Vos estis sal terrae […] vos estis lux mundi. 132 ANNALES ORATORII pa pubblicate lui vivo), ed inserito nel contesto di una compilazione che tal- volta si mostra poco attendibile. Su questa situazione testuale così carente si innestano alcuni motivi di perplessità. Le ultime quartine del poemetto sono rivolte a Clemente VIII, per implorare la revoca della nomina; negli ultimi quattro versi viene profetizzata la sua scomparsa di lì a sette anni:

Outre passa autri sett’anni loco in pace e for d’affanni, sin che tu’ alma spieghi i vanni a l’eterna godezione.

Clemente VIII morirà effettivamente sette anni dopo, nel 1605; Ancina era già morto da un anno. La veridica premonizione è stata ritenuta una vox pro- fetica di quest’ultimo, di cui negli anni successivi sarebbe incominciato il pro- cesso di canonizzazione.18 Prima di ipotizzare un miracolo, però, è prudente considerare che il numero sette ha un valore simbolico proverbiale, anche in questo genere di profezie di morte,19 e l’autore potrebbe averlo formulato sen- za intenzioni precise, tantopiù che era suggerito dai precedenti vv. 363-64, in cui si ricorda essere il settimo anno di pontificato di Clemente VIII:

Padre santo, ch’ha’ la chiave, settim’anno entrato have; ma è possibile che qualcuno sia intervenuto alterando il testo, cosa cui fa pen- sare anche un altro punto sospetto, in cui si capisce chiaramente come il poe- metto, così come si presenta, non può essere stato scritto nel 1598. Si tratta dei vv. 243-246:

Piscopatol di Salluce lascia ad autro esperto duce

18 In una lettera al padre Ricci del 27 novembre 1603, Ancina si firma Giovenale, indegno ve- scovo di Saluzzo, né sal né luce (Roma, Archivio della Congr. dell’Oratorio, B.III.8, 166); CI- STELLINI, S. Filippo Neri…, pp. 1638-39. La battuta è riecheggiata anche in un distico che una ma- no anonima ha apposto a un ritratto di Ancina: Sal sapidum faciens, fax lucens, ipsa liquescunt / pro grege sic Pastor, sic Juvenalis obiit; DAMILANO, Giovenale Ancina…, pp. 22-23. 19 CISTELLINI, S. Filippo Neri…, p. 1280: Più di tutti mi piacquero i versi fatti ad imitatione di quelli di fra Jacopone, gravi e sentenziosi et molto a suo proposito (C. Severini ad Ancina, Na- poli, 15 maggio 1598, Archivio della Congr. dell’Oratorio di Roma, A.I.35; cfr. anche la lettera di M. Borelli a Ancina, 19 giugno 1598, Archivio della Congr. dell’Oratorio di Roma, A.I.16). E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 133

ca no sei tu sal né luce ma sol ombra e cocozzone.

Il senso di questi versi non è pienamente comprensibile se non rifacendo- si ad un episodio occorso all’Ancina nel maggio del 1603. Ormai vescovo, si trovava a Carmagnola dove aveva incontrato il suo amico Francesco di Sa- les, vescovo di Ginevra. Terminata la funzione, Ancina, complimentandosi con lui per la sua omelia, gli aveva detto, ammiccando al suo nome: «Tu ve- re sal es!». Allora il Sales con prontezza, prendendo spunto dal nome della diocesi dell’amico, cioè Saluzzo, aveva replicato: «Tu immo sal et lux»; e Ancina: «Ego vero nec sal nec lux».20 Questa arguta trovata fu in seguito ri- presa dal vescovo di Saluzzo, che la usò quasi come una specie di motto;21 evidentemente i versi in cui questa viene ricordata sono stati scritti dopo il 1603, o da Ancina, o da un ignoto manipolatore che abbia voluto inserire nel poemetto un tratto così rappresentativo del suo beniamino e così adatto allo stile faceto del componimento. Peraltro a questi elementi di dubbio si af- fiancano prove dell’esistenza, già nel 1598, di un testo che, almeno in parte, doveva corrispondere a questo: alcuni degli interlocutori epistolari dell’An- cina, infatti, accennano con compiacimento a certi suoi versi iacoponeggian- ti.22 È quindi più probabile che ci troviamo di fronte a un rimaneggiamento, più che a un falso vero e proprio; impossibile, allo stato attuale delle cono- scenze, pronunciarsi sull’identità dell’eventuale mistificatore. Gli indiziati più probabili sarebbero il Lombardo, autore della Vita che riporta in appen- dice il Cantico, lo Scaraggi, redattore del manoscritto da cui questa è tratta, e il Brancadoro che sembra avesse redatto una copia dell’originale del poe- metto.23 Lasciando in sospeso la controversia, ci occupiamo ora di un altro testo relativo alla fuga di Ancina; si tratta di un’ode di 204 versi contenuta nel ma- noscritto Roma, Bibl. Vallicelliana, O.36, ff. 79-84; il codice è una Raccolta di versi et canzonette spirituali composte da’ primi Padri della Congr.ne del- l’Oratorio di Roma et emendate in varij luoghi di propria mano dal Ven. Gio-

20 Mentre in GIGLI, Giovenale Ancina…, p. 57, compare il nome di Luca Brancadoro, in CI- STELLINI, San Filippo Neri…, p. 1226 è menzionato il fratello Lucio Brancadoro. 21 Cart., mm. 210 x 150, cc. 115. DAMILANO, Giovenale Ancina…, p. 52; S. F. Neri e il con- tributo degli Oratoriani alla cultura italiana nei secoli XVI, XVII, XVIII. Mostra bibliografica, Roma 1950, p. 64; ROSTIROLLA, La musica a Roma…, p. 67. 22 La stessa mano dopo ‘fuga’ annota: dal vescovato. 23 GIGLI, Padre Giovenale Ancina…, p. 50, la ritiene certamente falsa. 134 ANNALES ORATORII venale Ancina Prete della stessa Congr.ne et poi Vescovo di Saluzzo.24 Si trat- ta di un volume miscellaneo, risultante dall’assemblaggio di materiale etero- geneo (come testimonia la discontinua ed incongruente numerazione antica) di cui risulta però difficile ricostruire l’originaria composizione, dato il dra- stico restauro cui il materiale è stato sottoposto. Il codice è stato assemblato sicuramente nei primi anni del XVII secolo e non, come risulta dai catalo- ghi, nel XVI: lo testimonia l’indicazione vergata al f. 99r: L’autore accomo- dò e fece cantare la seguente laude il giorno di S. Martino XI Novembre l’an- no 1602, cominciato nella città di Fossano nel Duomo l’esercitio spirituale. L’intitolazione apposta al codice farebbe credere che i testi in esso conte- nuti, o almeno le correzioni apportate, siano vergati dalla mano di Ancina; però un confronto con testi sicuramente suoi autografi sembra smentire l’af- fermazione del titolo. Il codice è stato compilato da più mani, o meglio, è il risultato dell’as- semblaggio di materiali vergati da più mani, mentre sembra invece ricondu- cibile ad un unico redattore la grafia delle correzioni apportate alle diverse poesie. Le attestazioni certe di scrittura di Ancina, oltre a differire profonda- mente da quelle delle varie mani che si affiancano nel codice, mostrano ca- ratteristiche assai diverse anche da quelle di chi ha vergato le correzioni. La scrittura di Ancina è dritta, tondeggiante, dal tratto spesso e molto inchio- strato; è una scrittura facilmente riconoscibile, e mantiene costante la sua fi- sionomia un po’arretrata sia nelle lettere, sia nelle intestazioni delle dediche autografe, sia nella stesura di testi poetici, sia nelle postille annotate sui li- bri. Invece la grafia di chi compila le varianti sull’ode Tu pur m’arda è più moderna, inclinata, sottile, slanciata; la e lega spesso dall’alto, e talvolta si riduce quasi al solo tratto della legatura; la p e la f hanno uno svolazzo alla gamba e la d ha un largo occhiello. Inoltre, al f. 103r, questa mano intitola una sezione del manoscritto Sonetti del R. P. Giovenale Ancina…; normal- mente, la firma autografa di Ancina è sempre accompagnata dall’epiteto ‘peccatore’, mentre qui il titolo di R[everendo] P[adre] sembra dovuto all’i- niziativa di un’altra persona. La ‘mano’ anciniana indicata nel titolo del co- dice, allora, non andrà certamente intesa come la mano fisica che ha redatto le correzioni; al più potrebbe trattarsi della ‘mano’ autoriale, sia che qualcu- no abbia corretto questi testi sotto dettatura dell’Ancina, sia che abbia co- piato tali correzioni da scartafacci anciniani ora perduti. Oltre all’identità del postillatore, è controversa anche la datazione dell’o-

24 Archivio della Congregazione di Roma, A.I.43. E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 135 de. Nel titolo si trova un’indicazione: Cantico alla Mad. Vergine Beatissima li 15 Gen. 1598, nel quale narra li disagi della sua fuga per l’inverno a gui- sa della tempesta nella fuga di Giona; a partire dalle parole sua fuga esclu- se, una mano più moderna, diversa da quella che annota le varianti, ha can- cellato quanto segue la parole fuga, e ha aggiunto: Avendo inteso che si trat- tava di farlo vescovo si ritirò nel monastero de’ Padri Certosini, dove si ser- ba una bellissima imagine della Madonna cui si va come a refugio.25 Tale aggiunta ha dato adito a dubbi circa l’autenticità della data:26 la permanenza presso il monastero dei Certosini infatti riguarda solo i primissimi giorni del- la fuga, cominciata, come si è detto, a fine novembre del 1597. In realtà è as- sai più probabile che ad essere spuria sia la glossa seriore, redatta da una ma- no sicuramente non avallata da Ancina: la grafia, infatti, che compare altre volte nel manoscritto, e che più volte interviene in altre carte anciniane, in un documento redige una nota contenente la data del 1607, vergata quindi tre anni dopo la morte di Ancina.27 I commenti e le note che tale mano appone sono sempre chiose, didascalie, supposizioni di autografie, informazioni cir- ca i personaggi che vengono nominati, e sembrano voler comporre una sor- ta di dossier, come testimonia la programmatica intitolazione apposta da que- sta mano in un’altra carta: Della vita di Giovenale Ancina… parte seconda.28 Se quindi la ‘retrodatazione’ di alcuni mesi è proposta da un revisore de- cisamente più tardo, la data del 15 gennaio compare nella prima redazione; inoltre diversi luoghi dell’ode trovano chiarimento solo nell’ipotesi che essa sia stata scritta attorno a quel periodo. I vv. 19, or volge, o Diva mia, già l’al- tra luna, e 25-26,

Di venti giorni a pena un mi diè polso e lena, presuppongono che i disagi siano iniziati da più giorni; i vv. 13-15,

25 Archivio della Congregazione di Roma, A.I.43. 26 E l’inverno a San Severino era stato particolarmente rigido, tanto che il fratello gli aveva inviato la propria pelliccia. GIGLI, Padre Giovenale Ancina…, p 55. Alla Madonna dei Lumi di San Severino è dedicata anche una lauda del Tempio, Vergin, che luna e sol ed ogni stella. 27 Napoli, Stigliola, 1594. Sui rapporti del Tempio armonico di Ancina con questa fonte, si ve- da A. MORELLI, L’Oratorio dei Filippini: rapporti tra Roma e Napoli, in La musica a Napoli du- rante il Seicento. Atti del convegno Internazionale di studi, a c. di D. A. D’ALESSANDRO e A. ZII- NO, Roma 1987, pp. 455 – 463. 28 L’amplissima fortuna di questi epiteti è di matrice biblica: Cant. 4, 12: Hortus conclusus so- ror mea, sponsa, hortus conclusus, fons signatus. 136 ANNALES ORATORII

A’ tuoi bei lumi accesi non sì tosto m’appresi ch’aprir le cataratt’al ciel mi festi, trovano maggior senso se si ipotizza che vi sia un’allusione alla Madonna dei Lumi venerata a San Severino, dove appunto Giovenale si trova nel gennaio del ’98;29 infatti la formulazione puntuale della frase sembra riferirsi a un epi- sodio ben preciso, e non alla consueta devozione dell’autore ai ‘lumi’ della Vergine; del resto, prima della cancellatura, la didascalia apposta all’ode la riferisce “alla medesima Vergine”, rimandando alla lauda precedente, intito- lata “Alla miracolosa Madonna de’ Lumi di Sanseverino”. In effetti i ff. 78- 88 del manoscritto costituiscono una specie di sezione dedicata alle peripe- zie della fuga; ora, l’ode in questione si trova dopo una lauda composta a Sanseverino e prima di una composta tra Sanseverino e Loreto: la sua collo- cazione nel piccolo canzoniere sembra quindi smentire l’ipotesi che l’ode ri- guardi i primi giorni della fuga, che si svolgevano ancora negli immediati paraggi di Roma. Anche i vv. 54-56,

e indarno alto sospiro a Roma e a te, mia Napoli gentile, del basso mio covile, indicano chiaramente che il poeta si trova ben lontano da Roma; una simile nostalgia non sarebbe comprensibile in un ospite del monastero di S. Maria degli Angeli presso le Terme di Diocleziano, dove si trovava il monastero dei Certosini.

Il componimento si apre con una preghiera alla Vergine: “Che solo tu, che mi illumini il cuore, mi arda e consumi [d’amore], tu di cui adesso sono in disgrazia”: il poeta, infatti, sta subendo pesanti disagi, nel corso della sua fu- ga, a causa di un inverno particolarmente rigido, le cui angustie sono rievo- cate nei primi 56 versi; ai vv. 57-120 il poeta chiede alla Vergine per quale motivo lei, fonte di ogni dolcezza, lo sottoponga a tanto dolore; nel formu- lare la richiesta si convince che tale patire è segno di una particolare prefe- renza che, con profonda saggezza, vuole così sottrarlo al pericolo derivante

29 Per gli epiteti nell’area semantica della luce, della regalità e della fonte, si veda F. FARINA, Canti poetici mariani della “Raccolta Barbi”, Roma 1997, pp. 105-110. E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 137 da una condizione elevata (evidentemente l’episcopato), e unirlo alle soffe- renze di Cristo; nei versi successivi, infatti (vv. 121-76), vengono rievocati, con una parentesi di condanna del mondo (vv. 129-48), gli episodi dell’in- fanzia di Gesù e i disagi in cui questa è trascorsa (nascita nella capanna, cir- concisione e prefigurazione della Passione, fuga in Egitto e strage degli In- nocenti). L’ode si conclude invocando la Vergine affinché le sofferenze del poeta valgano a meritargli la salvezza eterna. Mentre l’unico, esiguo punto di contatto con Il pellegrino errante (vv. 392-393) sembra essere la rima gregge: legge dei vv. 149-150, si possono os- servare diverse concordanze del testo con alcune laudi del Tempio: i vv. 127- 128

in poco fieno e vil presepio angusto pon’il tuo trono augusto mostrano un’innegabile parentela con i vv. 11-12 della lauda È nato il gran- d’Iddio:

e il ricco trono augusto è poco fieno nel presepio angusto; l’immagine del sangue misto a latte versato nella strage degli Innocenti (v. 171: versa fiume di latte or tinto in sangue) trova un corrispettivo in due lau- di sulla circoncisione di Gesù (Alma Vergin gentile, v. 59: del tuo latte omai sparge in sangue tinto e Ahi, pargoletto infante in cui m’affiso!, vv. 4-5: il latte mio / misto col sangue tuo versarmi un rio); infine la lunga lauda sul- l’inondazione del Tevere, Alma Vergin gentile, è tematicamente vicina all’o- de: l’idea portante, peraltro già biblica, che il flagello naturale sia uno stru- mento di espiazione; l’equivalenza posta tra l’incupirsi del clima e il na- scondersi del lume emanato dal volto della Vergine (v. 4: del tuo sacro vol- to ascondi i rai); soprattutto il paradosso del fiume di amarezza che si river- sa in un momento in cui il mondo dovrebbe essere lieto per la nascita del Sal- vatore, espresso in termini molto simili:

Oggi che dolce mele stillano i cieli al mondo, amaro fele versasi a Roma sola (Alma Vergin, vv. 7-9); 138 ANNALES ORATORII

Che fai, rio di dolcezza, che fai con tant’asprezza? Or che nel mondo il ciel fassi di mele tu mi dai tòsco e fele? (Tu pur m’arda, vv. 61-64).

L’incipit dell’ode riconduce ad un altro testo con sui sicuramente Ancina ebbe più volte a che fare: si tratta delle Nuove laudi spirituali di Antonio Francesco detto l’Abbate romano, da cui molto ha attinto l’allestitore del Tempio armonico.30 A p. 35 di questa raccolta si trova una lauda la cui pri- ma strofa è evidentemente la matrice di quella dell’ode di Ancina:

Tu sol m’arda e consumi che dentro il cor m’allumi, Signor, che foco sei cocente e vivo del cui fervor son privo.

Il testo originario è stato parafrasato da Ancina in chiave mariana; lo stes- so stilema, evidentemente caro al poeta, ricompare in una lauda allo Spirito Santo contenuta nello stesso codice dell’ode (f. 51, strofa 7):

Tu sol m’ardi e consumi che lo meo cor m’allumi, e s’egli è immondo, purgalo, che fia mondo.

Questo riuso disinvolto di materiali poetici rimaneggiati e ‘travestiti’ è una prassi assai diffusa nella letteratura religiosa, in cui i versi qui pubblicati si inseriscono a pieno titolo; lo mostrano ancora i tradizionali stilemi laudistici di cui tutto il testo è intessuto: l’immagine apocalittica della donna vestita di sole (vv. 3 e 178-79), gli epiteti mariani della pietà (57) e della sapienza (75), di fons signatus (66) e hortus conclusus (69),31 di candore nivale (107-8) e

30 Donna de Paradiso, v. 116: Figlio, amoroso giglio (in cui l’anafora insistita della parola ‘fi- glio’ si inserisce acusticamente nel gioco delle rime). 31 Alcuni tra i mille esempi che si potrebbero citare: G. VARANINI – L. BANFI – A. CERUTI BUR- GIO, Laude cortonesi dal secolo XIII al XV, I, Firenze 1981, 24, vv. 1 – 2: onne homo ad alta vo- ce / laudi la verace croce; VV. 19 - 20: tutti gridaro ad alta voce / moia ‘l falso, moia ‘l veloce! / Sbrigatamente sia posto en croce; vol. II, p. 28 vv. 7 – 8: per noi salvare fo posto in croce / en- E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 139 di regalità (111-12),32 la rima, d’archetipo iacoponico, figlio: vermiglio (179- 80),33 e quella, tipica di Passiones e Lamenta, tra croce e voce (153-54),34 l’invocazione conclusiva affinché la Vergine conduca il poeta in porto (201).35 Lo stile poetico mostra ovvi debiti con la tradizione lirica, special- mente con Petrarca e Tasso (dai sintagmi come stagion acerba, v. 121, o du- ro scempio, v. 174, all’immagine della ‘lima del cuore’, v. 92) che non a ca- so compaiono tra i modelli poetici dichiarati nell’introduzione al Tempio ar- monico.36 Linguisticamente il componimento è profondamente dissimile dal- l’espressionismo de Il pellegrino errante, e non si discosta dalla koinè poe- tica del suo tempo, come del resto le laudi del Tempio; unici tratti da sotto- linearsi, l’assenza di anafonesi in componto, confermata dalla rima con pron- to (vv.197-98), e la forma del perfetto passorno al v. 50.37 coronato ad alta boce; vv. 55 – 56: tucti gridavo’ ad alta voce / or sia morto e posto in croce; Laudario di Santa Maria della scala, a c. di R. MANETTI, Firenze 1993, lauda III, vv. 96 – 98: gri- dando ad alta boce / ti radopiavan sempre il tuo dolore / dicendoti discende dalla croce; ENSEL- MINO DA MONTEBELLUNA, Pianto della Vergine, vv. 284-286: anzi, cridava tuti ad alta voze / … / fa’ ch’el sia posto e morto su la croze (A. LINDER, Plainte de la Vierge en vieux venitien, Uppsa- la 1898, p. 21). 32 L’immagine deriva dalla liturgia: A. PFLIEGER, Liturgicae orationis concordantia verbalia. Prima pars: Missale Romanum, Romae – Friburgi – Brisgoviae – Basileae 1964, p. 508: conce- de: ut…ad eternae salutis portum pervenire valeamus; Collectio missarum de Beata Maria Virgi- ne, Città del Vaticano 1987, p. 119: ad portum salutis nos perducat aeternae; ricorre nella poesia religiosa: VARANINI – BANFI – CERUTI BURGIO, Laude cortonesi, I, p. 6, v. 39: Ave, porto de salu- te; ENSELMINO DA MONTEBELLUNA, v. 51: ch’al porto de salute zascun mena; v. 1454: che al por- to de salù tuti governi (A. LINDER, Plainte de la Vierge…, pp. 4 e 94). Si veda anche L. BARTOLI, Simbologia mariana, Rovigo 1949, p. 134. 33 “Quanto poi spetta allo stile della poesia volgare, dirò brevemente esservi di tre sorti com- posizioni: una eccellente, alta, perfetta e rara; un’altra mezzana; la terza dozzinale […]. Or di que- ste tre suddette sorti di composizioni, la prima di lontano riverisco, l’ammiro e stimo con prezio- sa gioia e molto più coloro che la posseggono e nella prima classe di tal virtù e d’altre maggiori anco adornati chiaramente risplendono: com’a dir il Petrarca, il Bembo, Monsignor Della Casa, il Guidiccione, il Sannazzaro, il Molza, Vittoria Colonna, il Tansillo e ‘l Tasso” (Tempio armonico, parte di basso, Discorso apologetico). 34 L. SERIANNI, Introduzione alla lingua poetica italiana, Roma 2001, p. 194. 35 Sulla frequenza di questa rima, particolarmente nella poesia popolare, sacra e profana, si veda Laudario di Santa Maria della scala…, p. 204. 36 “Quanto poi spetta allo stile della poesia volgare, dirò brevemente esservi di tre sorti com- posizioni: una eccellente, alta, perfetta e rara; un’altra mezzana; la terza dozzinale […]. Or di que- ste tre suddette sorti di composizioni, la prima di lontano riverisco, l’ammiro e stimo con prezio- sa gioia e molto più coloro che la posseggono e nella prima classe di tal virtù e d’altre maggiori anco adornati chiaramente risplendono: com’a dir il Petrarca, il Bembo, Monsignor Della Casa, il Guidiccione, il Sannazzaro, il Molza, Vittoria Colonna, il Tansillo e ’l Tasso” (Tempio armonico, parte di basso, Discorso apologetico). 37 L. SERIANNI, Introduzione alla lingua poetica italiana, Roma 2001, p. 194. 140 ANNALES ORATORII

Il secondo testo che viene qui proposto, e che completa il quadro dei com- ponimenti relativi alla peregrinatio del fuggiasco, è contenuto nel codice Ro- ma, Biblioteca Vallicelliana, O.26, f. 117, sotto il titolo di Felice ritorno al- la s.ma Madonna de’ lumi, e poco appresso buona licenza per l’ultima par- tita; il testo è vergato dalla mano di Ancina, che in un secondo momento vi interviene con alcune modifiche. La composizione di questo testo si colloca negli ultimi giorni della fuga, come mostrano i vv. 25-28:

Tosto al mio primo nido tornar conviemmi, e ‘l grido già di Roma si spande in queste e in quelle bande.

La poesia, molto più breve della precedente, esprime l’incertezza del fug- giasco che, nell’imminenza del ritorno, teme di ritrovare a Roma la situazio- ne dalla quale era scappato; questo timore, però, si risolve in una scelta di fi- duciosa obbedienza e di affidamento alla Vergine, che nella strofa conclusi- va è invocata come guida e principio di consiglio. Un punto di contatto tra le due odi è ravvisabile ai vv. 37-38,

Ma pur venga che vole di quanto ha sotto il sole in cui la dichiarazione di obbediente disponibilità a sostenere qualunque dis- agio sembra accostabile a quella di Tu pur m’arda, vv. 187-96, in cui il poe- ta invoca su di sé tutti i flagelli naturali come strumento di espiazione. Anche in questa poesia si riconosce la duplice matrice laudistica (soprat- tutto nell’ultima strofa) e lirica (per esempio nei sintagmi quasi formulari co- me aspro martire, v. 40, scorta e duce, v. 46, o in quelli petrarcheschi ai vv. 19, brevi e scarse, o 20, grave dolore, o ancora nella riflessione sulla fuga- cità del tempo, ai vv. 19-24), e, come nel precedente, non è ravvisabile alcun tratto linguistico accostabile a Il pellegrino errante. Si osservano invece al- cuni punti di contatto con il Tempio armonico, in particolare ai vv. 17-18:

e le tenebre mie fian sol di mezo die che, sebbene riformulati con un significato opposto, riecheggiano puntual- mente nella lauda Vorrei, Vergine bella, vv. 7-10: E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 141

L’alte tenebre mie e gran, profond’errori luce di mezzo die e rai parean d’ardori.

Nella trascrizione delle odi ho distinto u da v e ho ricondotto all’uso mo- derno punteggiatura, segni diacritici (e in funzione diacritica è stata ripristi- nata la i nelle elisioni del tipo –gl’), impiego delle maiuscole e della h, sud- divisione di alcune locuzioni, le grafie latineggianti et e –ti- per z. Si è scel- to di mettere a testo la lezione successiva agli interventi correttori, relegan- do in apparato le lezioni della prima stesura, in entrambi i testi: nel secondo, autografo anciniano sia nella prima redazione che nei ritocchi successivi, la scelta è più scontata, in quanto evidentemente la volontà definitiva dell’au- tore è ravvisabile nell’intervento più tardo. Nel caso del primo testo la scel- ta è più delicata, non dandosi l’autografia; non potendo, allo stato attuale del- le conoscenze, stabilire con certezza la responsabilità degli interventi corret- tori, si è scelto di dare comunque credito alla dichiarazione che intitola il fal- done, in cui gli emendamenti sono attribuiti alla paternità anciniana che se, come si è visto, non può essere quella della stesura materiale, potrebbe co- munque essere quella della volontà.

I. Ode con quartine di endecasillabi e settenari aaBb; rime derivative ai vv. 23-24 (ghiaccio: sghiaccio), 37-38 (affondi: infondi), 53-54 (aspiro: sospiro), 105-106 (scorgo: accorgo), 121-122 (acerba: disacerba); rime ricche ai vv. 29-30 (asconde: feconde), 75-76 (eterna: interna), 91-92 (sublime: lime), 129-130 (mondo: immondo), 131-132 (fregi: regi); 141-142 (fiume: piume). La facile retorica che informa il testo si affida di frequente ai bisticci, spes- so in sede di rima: accesi-appresi (vv. 13-14), ardente-algente (17-18), bru- ma-pruna (20), segno-sdegno (41-42), angusto-augusto (127-128), scrivo- schivo (183-184), gelo-cielo (189-190). Si osserva una vistosa allitterazione al v. 86: cor cortesi. Molte rime sono consunte dall’uso: belve: selve (47-48), mele: fele (63-64), terra: guerra (193-194)38, monte: fonte (65-66), sempre: stempre (83-84), forte: morte (109-110), fregi: regi (131-132), sangue: angue (171-172), donna: gonna (177-178).

38 Sulla frequenza di questa rima, particolarmente nella poesia popolare, sacra e profana, si ve- da Laudario di Santa Maria della scala…, p. 204. 142 ANNALES ORATORII

Tu pur m’arda e consumi che dentro il cor m’allumi, Vergin, di sol vestita ardent’e vivo del cui favor son privo.

Ma, oimé, che strano oggetto 5 mi vien dal tuo conspetto, che densa neve ognor comparti e fiocchi ch’il sol m’ingombra e gli occhi?

Qual maraviglia nova sentir mi fai per prova, 10 che a’ piè de l’Alpi neva, e d’ogn’intorno si cuopre il suol adorno?

A’ tuoi bei lumi accesi non sì tosto m’appresi ch’aprir le cataratte al ciel mi festi 15 le nott’e i dì più mesti;

tal che per foco ardente un pigro verno algente – or volge, o Diva mia, già l’altra luna – e bruma dai per pruna. 20

Post’hai l’assedio ad arte, ristretto in ogni parte d’acuti sassi, d’aspr’e duro ghiaccio ond’io non mai mi sghiaccio.

Di venti giorni, a pena 25 un mi diè polso e lena, ch’apparve ‘l sol su l’orizonte in fretta; ma scorse qual saetta,

però ch’i raggi asconde tra nubi atre e feconde, 30 ch’al rigracchiar de’ corvi a nova prole star pront’altrui si dole. E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 143

Quanta pietà mi prende di tanti augei ch’offende sì l’aura, ch’al garrir e al batter d’ale 35 d’erba pur fil non sale!

Poi par che terr’affondi, sì larga pioggia infondi, e ch’orribil diluvio al mondo torni qual di Noè nei giorni. 40

E per tenermi a segno, ond’io m’adiro e sdegno, incrudelir mi fai più Borea, e l’Austro richiudi entro ‘l suo claustro.

Né qui finisce il trebbio, 45 ché di terror m’annebbio di fieri lupi ch’odo, ingorde belve ch’assordano le selve.

Persin dentr’a le mura passorno; o ria ventura! 50 Che sol di tal memoria mi sgomento e nel mio cor pavento.

Ordunque invan aspiro e indarno alto sospiro a Roma e a te, mia Napoli gentile, 55 dal basso mio covile.

Ma dimmi, o Vergin pia, dimmi, per cortesia: perché ti mostri a me cotanto cruda, e di clemenza ignuda? 60

40 qual di Noè nei giorni] qual Noè ebb’a’ suoi giorni 47-48 ingorde belve / ch’assordano le selve] e non in selva / Ma [illeggibile] né belva 59-60 Perché ti mostri a me cotanto cruda / e di clemenza ignuda] fuor del tuo usato stil per- ché sì cruda / Ti mostri, ond’io m’estruda? 144 ANNALES ORATORII

Che fai, rio di dolcezza, che fai con tant’asprezza? Or che pel mondo il ciel fassi di mele tu mi dai tòsco e fele?

Se sei de l’alto monte 65 chiaro e segnato fonte, ond’è ch’a me t’intorbidi e t’agghiacci e da te sol discacci?

Se sei vago giardino pien d’ogni fior divino, 70 ond’è che per me sol ti trovi chiuso ed io più ognor confuso?

Vacar ciò di mistero non cred’io di leggiero, ché pur sei Madre di sapienza eterna 75 cui sommo amor s’interna.

Tutto è di gran favore segno, e d’immenso ardore di mia salute, e son sicuro e certo che grazia tal non merto, 80

ma ben di mille inferni tra ghiacci e fochi eterni degn’è quest’alma mia di penar sempre sì che nel duol si stempre.

Chi sa se i lacci tesi 85 – benché da cor cortesi – scampar potrò con le mie forze frali cagion de’ miei gran mali?

63-64 Or che nel mondo il ciel fassi di mele / tu mi dai tòsco e fele] In tempo che si fanno i ciel di mele / pel mondo, e tu dai fele? 84 Sì che nel duol si stempre] che viva si distempre 87 potrò] potran E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 145

Chi sa, s’al grave peso nel fin mi fossi arreso, 90 per provar dentro a gran città sublime cura che ‘l cor mi lime?

Che prò, se preso al vischio corre l’uom sì gran rischio? Ch’in tropp’erto salir, a cader vassi, 95 né val ritrarr’ i passi.

Ben più sicuro stato è ‘n bassa valle o prato: d’alti monti a la cima è gran contrasto de’ venti, e duro guasto. 100

Fuor di periglio a riva passa la nave, e schiva scogli ch’in alto mar, spesso, tra l’onde grave tempesta asconde.

Altri misteri scorgo, 105 ch’al fin pur me n’accorgo: di virginal candore è bianca neve simbol ch’a voi si deve;

tra’ sassi e ‘l ghiaccio forte fermezz’è sin a morte 110 nota in servir a voi, mia gran Reina, cui terra e Ciel s’inchina.

Ma quel ch’ogn’altro avanza e accresce mia speranza è ‘l soffrir che mi dai col tuo Bambino, 115 novo parto divino.

107 candore] purezza 146 ANNALES ORATORII

Ché chi più soffre in vita, né per goder s’aita, a l’imagin di lui più si conforma di cor seguendo l’orma. 120

Aspra stagion acerba che sol non disacerba vagir lo fa tremant’, e non in culla ov’altri si trastulla,

ma ben (gran cosa fue!) 125 tra un asinello e un bue in poco fieno e vil presepio angusto pone ‘l suo trono augusto.

Che dici or, vano mondo, superbo, avaro e immondo? 130 A che tante tue pompe e ornati fregi de’ tuoi signori e regi?

A che tanti tuoi gridi dagli uni agli altri lidi, entr’a’ tanti tuoi lussi e vane imprese, 135 tra guerre e gran contese?

Il Creator non vedi? O forsi ancor nol credi fatto per te sì umìl, d’abito incolto? Ahi, mondo ingrato e stolto! 140

Scorre tartareo fiume per l’ozïose piume ove tu giaci e dormi, e poco attendi al vero Ben, ch’offendi.

Tu in feste, in canti e ’n riso 145

117 soffre] pate E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 147

ti godi il paradiso, ed ei da prima luce a patir viene stenti, travagli e pene.

L’ottavo giorno, a legge per lo suo caro gregge 150 soggetto, il Pastorel sangue già versa da carne in dolor mersa.

Così al martir di croce quel che non forma voce manda i preludii inanzi, e par che tarde, 155 tanto dentro amor l’arde.

Poi, per decreto eterno, a meza notte il verno teco, e col bon Gioseffo avvien che fugga ancorché mamma ei sugga. 160

Dritto in Egitto scende chi terra e ciel comprende perché d’Erode il suon, l’armi e le lodi sentonsi, e mille frodi.

Narri di tal viaggio 165 chi port’il gran disaggio poi ch’i Magi, adoratolo, repente tornaro in Oriente.

Non più udita barbarie di tal opre nefarie, 170 versa fiume di latte or tinto in sangue più che fier orso od angue.

148 travagli e] ed amare 159 Gioseffo avvien che fugga] Giosef ratto si fugge 160 ancor che mamma ei sugga] quel ch’ancor mamma sugge 167 poi ch’i Magi, adoratolo, repente] da che, adorato i Magi ’l Re possente, 148 ANNALES ORATORII

Tanto furor da l’empio trabocca in duro scempio ch’ei manda a fil di spade aspre, taglienti, 175 migliaia d’Innocenti.

Or senti, o vergin Donna che vesti aurata gonna, di tanti lumi adorna e ’n grembo hai ’l Figlio qual fior bianco e vermiglio; 180

senti con puro affetto spiegarsi il mio concetto: s’è ver quanto già dissi, e or cant’ e scrivo non mi tener a schivo.

Co’ tuoi bei primi sguardi 185 fuoco in me vibra, e dardi, venti e orribil procelle in terra movi, nembi e tempeste piovi;

nevi, pruine e gelo fiocchimi pur dal cielo, 190 scaglia grandine e folgori e saette, né alcun più mi ricette.

Tremi sotto la terra, vengami esilio e guerra e quel tutto di più ch’Ignazio santo 195 sì desiò cotanto.

Eccomi, o Vergin, pronto, e ’l mio voler componto: fa’ di me quel che sai, quel che tu vuoi purché mi salvi poi; 200

186 in me vibra] m’aventa 198 e’l mio voler componto] a ogni tuo grav’affronto 199 fa’ di me] di me fa’ E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 149

trammi felice al porto, dolce tu mio conforto; fa’ ch’io ti serva ognor divoto e pio sin che mi posi in Dio.

Amen

Note:* 1. Arda e consumi: la dittologia in clausola è piuttosto comune; ad esem- pio si veda T. Tasso, Rime, 88, 11: perché l’alma ingannata arda e consumi. 2. Allumi: riferito alla Vergine è in RVF 366, 29: ch’allumi questa vita e l’al- tra adorni; in rima con ‘consumare’ anche in RVF 185, 4-5: ch’ogni cor ad- dolcisce, e ‘l mio consuma: / forma un diadema natural ch’alluma. 9. Qual maraviglia nova: il verso utilizza in negativo un tipico cliché laudistico: cfr. J. W. HILL, O che nuovo miracolo!: a new hypothesis about the Aria di Fio- renza, in F. DELLA SETA – F. PIPERNO, In cantu et in sermone: For Nino Pir- rotta on his 80th birthday, Firenze 1989, p. 290. 11. Che a’ pié… intorno: RVF 105, 5: già su per l’Alpi neva d’ogni ‘ntorno. 13-16. A’ tuoi bei lumi… più mesti: “Non appena mi accostai ai tuoi begli occhi, tu mi facesti aprire le cataratte del Cielo proprio nel periodo più cupo dell’anno (le notti e i dì più mesti, complemento di tempo). 17-18. Un pigro verno algente: il sintag- ma ricompare nel Tempio armonico, Mentre del Capricorno, v. 8: e par che sgombr’il pigro verno algente; qui è complemento oggetto, come bruma; le immagini di questi versi sono così disposte in un chiasmo, in cui a bruma si contrappone pruna, ‘tizzone ardente’. 19. Or volge… luna: ricalca RVF 62, 9: Or volge, signor mio, l’undecimo anno. 25-27. Di venti giorni… in fretta:

203 fa’ ch’io] viva e

* Nel commento le fonti poetiche sono citate dalle seguenti edizioni: AH = Analecta Hymni- ca Medii Aevi, Leipzig 1886 – 1915; D. ALIGHIERI, La Commedia secondo l’antica vulgata, a c. di G. Petrocchi, Firenze 1994; V. COLONNA, Rime, a c. di A. Bullock, Roma-Bari 1982; JACOBUS DE VORAGINE, Legenda aurea, a c. di G. P. Maggioni, Firenze 1998; LH = PL = J. P. MIGNE, Pa- trologia latina, Paris 1878 – 1974; RVF = F. PETRARCA, Canzoniere. Introduzione di R. Antonel- li, saggio di G. Contini, note al testo di D. Ponchiroli, Torino 1992; F. SACCHETTI, Il libro delle ri- me, a c. di F. Brambilla Ageno, Firenze 1990; L. TANSILLO, Canzoniere, a c. di E. Pèrcopo e T. R. Toscano, Napoli, Liguori, 1996; T. TASSO, Gerusalemme liberata, a c. di L. Caretti, Milano 1988; ID., Rime, in ID., Opere, a c. di B. Maier, I-II, Milano 1963; ID., Il Mondo creato, a c. di B. Maier, Milano 1964. 150 ANNALES ORATORII il senso è: “Su venti giorni, uno soltanto, per una fugace apparizione del so- le, è valso a confortarmi”; il v. 26 ricalca RVF 220, 4: et diè lor polso e le- na. 29. Atre e feconde: oscure ed abbondanti. 30-32. Ch’al rigracchiar… si dole: il senso di questi versi è difficilmente interpretabile; l’unica parafrasi, peraltro molto faticosa, che se ne può ricavare sembra la seguente: ‘il sole che, mentre i corvi, che hanno appena avuto nuova prole, gracchiano affa- mati, è restio (si dole) a sovvenire alle necessità “altrui”’; la strofa successi- va lamenta infatti la mancata crescita degli steli a causa del maltempo, per cui gli augei piangono invano. 32. Altrui si dole: la clausola potrebbe esse- re di matrice petrarchesca: cfr. RVF 105, 57, Là dove più mi dolse altri si do- le, e RVF 141, 4: onde aven ch’ella more, altri si dole. 41. Tenermi a segno: ‘controllarmi’, ‘governarmi’. 42. Ond’io m’adiro e sdegno: cfr. RVF 292, 9: et io pur vivo, ond’io mi doglio e sdegno. 43-44. Borea, e l’Austro / richiu- di: Borea e Austro sono, rispettivamente, il vento del Nord e del Sud; con- trariamente a quanto accade solitamente in poesia, qui l’Austro non è enu- merato con gli altri venti a raffigurare la piena della tempesta, ma si con- trappone come vento ‘buono’ (ma incapace di giovare nella presente circo- stanza, perché rinchiuso entr’al suo claustro), o quantomeno caldo, ai rigori dell’inverno. 45. Trebbio: letteralmente significa ‘incrocio’, ‘bivio’, qui evi- dentemente emblema di difficoltà ed incertezza. 47. Fieri lupi: il sintagma è quasi formulare, doppiamente consacrato da Par IV 5: di fieri lupi, igual- mente temendo, e RVF 27, 10: ch’abbatte i fieri lupi. 51. Che sol di tal me- moria mi sgomento: RVF 323, 48: Et sol de la memoria mi sgomento. 60. La variante scartata, perché sì cruda / ti mostri, ond’io m’estruda? non è di fa- cile interpretazione; il disusato verbo ‘estrudere’, che significa ‘cacciar via, spingere fuori’ è qui usato riflessivamente, e nel contesto sembrerebbe ave- re un significato analogo a ‘struggersi’. 61. Che fai, rio di dolcezza: il verso può essere letto in un’altra accezione, modificando la punteggiatura: il che avrebbe valore consecutivo e dipenderebbe da cotanto dei versi precedenti: “ti mostri a me tanto crudele… che rendi amara (rio, sostantivato) la dol- cezza”; oppure il che potrebbe essere interpretato come ‘perché’: “perché rendi amara la dolcezza?”. La scelta a testo sembra però rispettare maggior- mente la struttura della strofa e l’anafora con il verso successivo, in cui il che ha indubbiamente valore pronominale: allora rio non può più essere un com- plemento oggetto di fai, e sarà da intendere come un epiteto mariano, ‘rio di dolcezza’: la formulazione può essere accostata a Tasso, Rime, 1356, 5: da cui discende rio d’alta dolcezza. 74-75. Vacar ciò… di leggiero: “Non riten- go superficialmente che questi avvenimenti siano privi di un misterioso si- E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 151 gnificato”. 78. Immenso ardore: la clausola è formulare, da Bembo a Tasso, e torna in una delle laudi del Tempio armonico, Cristo al morir tendea, v. 8: svenarassi per voi d’immenso ardore. 79-80. E son socuro… non merto: la struttura dei versi è rintracciabile sia nelle Nuove laudi dell’Abbate romano (Giesù, mio dolc’amor, f. 22, str. 4: ben so di prima gratia esser indegno / che da lei troppo è lungi ogni mio merto) che nel Tempio armonico (S’in me potesse morte, vv. 11-12: ben veggio e so che tal grazia non merto: / già son sicuro e certo; In vita e ‘n morte mia, vv. 9-10: Ben ver è ch’io non merto / Ciel veder, già son certo). 86. L’attenuazione benché da cor cortesi, un po’ disarmonica nel contesto, è dovuta al fatto che nella contingenza di cui An- cina sta parlando, colui che ‘tende il laccio’ è il papa Clemente VIII e la sua curia: al poeta preme di distinguere tra la pericolosità della carica episcopa- le, il ‘laccio teso’, e la buona coscienza di chi gliela propone, il papa, ap- punto. 87. Forze frali: lo stesso sintagma vagamente ossimorico e allitteran- te è nella Gerusalemme liberata, XX, 67: tutte le forze frali e tutte l’armi. 89-92. Chi sa… mi lime?: “Chissà [cosa sarebbe accaduto] se avessi accet- tato il grave incarico e mi fossi sottoposto, a Roma [gran città sublime], ad una preoccupazione logorante”. 101. Fuor di periglio a riva: la formulazione del verso ricorda quella di Inf. I 23: uscito fuor del pelago a la riva. 105-111. In queste strofe l’allocuzione alla Vergine passa dal ‘tu’ al ‘voi’, per poi tor- nare nei versi successivi al ‘tu’. 107-108. Di virginal candore… simbol: sul- l’interpretazione della neve come simbolo cristiano di purità, si veda M. C. BERTOLANI, Il corpo glorioso. Studi sui Trionfi del Petrarca, Roma 2001, pp. 103-120; l’immagine è tradizionalmente applicata alla Vergine (cfr. AH XXIV, p. 60: Nivis candori similis / virginitatis merito, o i versi di Venanzio Fortunato, In laudem S. Mariae Virginis: Vellere candidior niveo, rutilantior aura, PL 88, 284, o ancora Adamo di Persenia, Notae ac fragmenta maria- na: columbam rationalem et purissimam, ob divinum animae candorem nive candidiorem, PL 211, 775). 109-111. Tra’ sassi… gran Reina: la formulazio- ne di questi versi non è chiarissima; sembrano interpretabili in questo modo: ‘Esercitare tra sassi e ghiaccio una fermezza pronta alla morte è un punto di merito (‘nota’, con valore positivo) nel servizio a Voi’; il valore astratto del sostantivo ‘nota’ è deducibile dal parallelismo di questa strofa con la prece- dente, nella quale si trova il corrispettivo ‘simbol’. 112. Cui terra e Ciel s’in- china: locuzione ricorrente nelle laudi del Tempio, sempre in rima con Regi- na / Reina: Vergin, luce amorosa, v. 28: Vergin cui terra e Ciel’alto s’inchi- na; Or’eccoti presente, anima mia, v. 6: Vergin sempre, cui terra e Ciel s’in- china; O Vergine Reina, v. 2: Donna cui terra e mar’e ciel s’inchina; Come 152 ANNALES ORATORII fenice regni, al mondo sola, v. 2: a Dio simil, cui terra e Ciel s’inchina. 113- 14. Ma quel… speranza: i versi riecheggiano una delle Nuove laudi del- l’Abbate romano, Tra ghiaccio e ardente foco, str. 6: ma quel ch’ogn’altro avanza / di noia, è l’esser fuor d’ogni speranza. 115. È’l soffrir che mi dai col tuo Bambino: ‘Il fatto che tu mi conceda di partecipare alle sofferenze del tuo Bambino’. 122. Che sol non disacerba: “non temperata dal sole”. 125- 27. Ma ben… presepio angusto: la probabile fonte è Tasso, Rime, 1677, 51- 54: e ‘l parto adora, che promesso fue, / tra l’asinello e ‘l bue, / e vedrai do- ve un loco angusto il serra / miracolo a’ celesti eguale in terra. 129-30. Il bisticcio tra mondo e immondo è tradizionale, fin da S. Agostino, Ad fratres in eremo sermo XXXI, PL 40, 1290, tutto scandito dall’apostrofe O munde immunde; è diffuso anche nella tradizione poetica (da Sacchetti, O mondo / immondo / e di ben mondo a Tasso, Le sette giornate del mondo creato, 3° giorno, v. 73, della vita mortal nel mondo immondo) ed è impiegato in una celebre lauda filippina, Io ti lascio, o stolto mondo (sulla fortuna di questa lauda si veda G. ROSTIROLLA, La musica a Roma…, p. 151). 138. Forsi: for- ma antica per “forse”. 142. Per l’ozïose piume: RVF 9, 1: La gola e ‘l som- no et l’otiose piume, ripreso anche ne Il pellegrino errante, v. 59: Gola, son- no, otiose piume. 145-48. Tu in feste, in canti e ‘n riso… stenti, travagli e pe- ne: nella quartina si osserva la struttura chiastica, con il tricolon del v. 145 che si contrappone a quello del v. 148, e i due versi centrali contenenti i pre- dicati. 149-55. L’ottavo giorno, a legge… amor l’arde: l’interpretazione del sangue versato a causa della circoncisione come figura della Passione è tra- dizionale: cfr. Legenda aurea, XIII, De circumcisione Domini, 85: hodie enim sanguinem suum primo pro nobis effundere incepit qui ipsum postmodum pluries effundere voluit. 152. Da carne in dolor mersa: “dalla sua carne sub- issata dal dolore”; la precisazione che il sangue sia versato dalla carne non è, in questo caso, ridondante, ponendo una sottolineatura sull’Incarnazione di Cristo come origine dei suoi dolori sofferti per l’uomo. 155. Manda i pre- ludii inanzi, e par che tarde: ricorda la situazione di Par. XI 81: corse e, cor- rendo, li parve esser tardo. 158. A meza notte il verno: il verso è mutuato da RVF 189, 2: per aspro mare, a mezza notte il verno. 159. Teco: dopo l’apo- strofe al mondo, l’interlocutrice è tornata ad essere la Vergine. 165-68. Nar- ri di tal viaggio… in Oriente: preterizione: “il viaggio intrapreso dopo che i Magi, adorato il Bambino, tornarono subito in Oriente, lo racconti chi ne vis- se le fatiche”. 181. Il sintagma è piuttosto frequente nelle Rime di Tasso, spe- cialmente in clausola; ad esempio si veda 532, v. 12: né sprezza il puro af- fetto. 186. L’associazione di fuoco e dardi è in Tansillo, I canz. 3, 12, fa’ il E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 153 modo, il foco e i dardi, e in Madr. II 18 3,17: opra tu i dardi e il foco. 192. Mi ricette: “mi accolga. 195-96. Quel ch’Ignazio santo / sì desiò: il martirio; si tratta di S. Ignazio di Antiochia (e non S. Ignazio di Loyola, che sarebbe stato canonizzato solo nel 1609: R. G. VILLOSLADA, Ignazio di Loyola, in Bi- bliotheca Sanctorum, VII, Roma 1966, p. 698), che in una delle sue famose lettere ha lasciato parole di caldo desiderio per il martirio cui sarebbe stato sottoposto (G. BOSIO, Ignazio, vescovo di Antiochia, ibi, pp. 662-663). 198. E ‘l mio voler componto: “ ed [ecco] la mia volontà disposta al pentimento”.

II.

Ode con strofe di sei settenari aabbcc; rima inclusiva ai vv. 19-20 (ore: dolore); rima derivativa ai vv. 7-8 (corso: soccorso) e 23-24 (tempo: m’at- tempo, già presente in un contesto analogo nella lauda del Tempio armonico Vergin, luce amorosa, vv. 11-12); rima ‘fissa’ ai vv. 43-44 (bella: stella); al- litterazione al v. 21: veggio volar.

Dopo lungo viaggio, scorto dal tuo bel raggio, eccomi di ritorno al sacro tempio adorno: Vergin, a te m’inchino 5 errante pellegrino.

Ecco finito il corso, Madre, del tuo soccorso, per cui prospera via – felice sorte mia! – 10 ebbi per terra e mare, grazie pregiate e care.

Volgi i pietosi lumi agli empi miei costumi e nova luce effondi 15

9 prospera] felice 10 felice] o buona 154 ANNALES ORATORII

al cor, che più si mondi, e le tenebre mie fian sol di mezo die.

Già scarse e brevi l’ore con grave mio dolore 20 veggio volar, e sento sol quasi in un momento stretto ridursi ‘l tempo, mentr’ognor più m’attempo.

Tosto al mio primo nido 25 tornar conviemmi, e ‘l grido già di Roma si spande in queste e in quelle bande. Lasso! Che far mi deggio? Non so qual meglio o peggio. 30

Di Roma ancor paventa il cor, che non sia spenta l’ardente e viva fiamma ch’in me non lasciò dramma nel dipartir ch’i’ fei 35 per tempra ai dolor miei.

Ma pur venga che vole di quanto ha sotto il sole, ch’al fin megli’è ubbidire che lungo, aspro martire 40 soffrir di propria voglia ond’altri più si doglia.

Tu, dunque, o Vergin bella de l’ampio mare stella

42 ond’altri più si doglia] In parte che più doglia 43 bella] pia 44 de l’ampio mare stella] lum’e speranza mia E. Crema, L’altra voce del Pellegrino errante 155

non mi sottrar tua luce, 45 siami tu scorta e duce; guidami, prego, al porto, guidami vivo e morto.

Amen

Note: 4. Al sacro tempio adorno: Tasso, Rime, 1567, 6: l’una in questo a Dio sacro adorno tempio. 6. Errante pellegrino: il verso richiama il titolo de Il pellegrino errante. 13. Volgi i pietosi lumi: l’espressione ricorre più volte al- l’interno del Tempio armonico: nella lauda Luce de l’alma mia, fidata scor- ta, v. 13: Volgi i pietosi lumi, occhi divini; Quando rimiro ‘l Ciel cinto di lu- me, v. 19: volgi i pietosi lumi al ciec’orrore; Al tuo bel tempio santo, v. 5: volgi i pietosi lumi, anche qui in rima con costumi; S’al tuo felice sguardo, v. 13: volgi i pietosi lumi; Alma Vergin gentile, v. 37: volgi pietosa i lumi. 15. Nova luce: immagine ricorrente nel Tempio: Rifondi a l’alma mia, v. 2: no- va luce dal Ciel cortese e pia; Ond’è che l’aureo crine, v. 10: Nova luce le apporta. 29. Lasso! che far mi deggio?: lo stilema petrarchesco (RVF 268, 1: Che debb’io far, che mi consigli, Amore) è riecheggiato sia nel Tempio ar- monico (Vag’augelletto, v. 10: lasso, infelice me! Che far mi deggio?), sia nelle Nuove laudi dell’Abbate romano (f. 4, Fugge dagli occhi’l sonno, str. 3: misero, che far deggio, / poi che di mal in peggio). 32-33. Il cor… viva fiamma: sembra accostabile a questi versi V. Colonna, Rime, 194, 5-7: Il cor col santo foco / che serba dentro sé viva ed ardente / fiamma…. 33-34. L’ar- dente e viva… dramma: lo stilema petrarchesco (RVF 125, 12-13: et non la- scia in me dramma / che non sia foco e fiamma) è sfruttato anche nel Tem- pio armonico: S’al tuo felice sguardo, vv. 15-16: ch’in me non riman dram- ma / che non sia foco e fiamma. 39-42. Al fin megli’è… si doglia: “in ulti- ma analisi è meglio ubbidire, piuttosto che, di propria iniziativa, sobbarcarsi una lunga ed amara sofferenza che poi causi più dolore”; altri ha valore im- personale. 43. Vergin bella: il sintagma epitetico, consacrato da RVF 366, ri-

45 tua luce] tu’ aita 46 siami tu scorta e duce] s’io fo da te partita 47 prego] stella 156 ANNALES ORATORII corre tanto nelle Rime di Tasso quanto nelle laudi del Tempio: Alto principio e monte, v. 3 (in rima con stella), Luce de l’alma mia, v. 5, Vorrei, Vergine bella, v. 1 (in rima con stella), Alor ch’io penso a voi, v. 1. 44. De l’ampio mare stella: l’immagine proviene dall’antico inno Ave, maris stella (AH II, 29), da cui si è ampiamente diffusa nella liturgia e nella poesia sacra, ulte- riormente promossa dall’occorrenza in RVF 366, 67: di questo tempestoso mare stella.

Elisabetta Crema G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 157

CARDINALI E VESCOVI ORATORIANI LUNGO I SECOLI

La storia plurisecolare dell’Oratorio è stata segnata dalla santità, dalla dottrina, dall’apostolato di uomini degni di essere ricordati, la cui fama - nel- la cornice della realtà ecclesiastica e il susseguirsi degli eventi - ha superato confini ristretti per espandersi in molti luoghi e spingersi verso il futuro. Il presente lavoro prende in esame i membri dell’Oratorio di san Filippo Neri che sono stati elevati, lungo il corso dei secoli, alla dignità vescovile e cardinalizia, dando di loro brevi notizie. Una dignità che - è opportuno rile- vare - abbisogna della dispensa pontificia, secondo le Costituzioni oratoria- ne, le quali non consentono ai suoi membri di accettare le dignità ecclesia- stiche e che essi, spesso, hanno cercato in vari modi di evitare. Significativa e degna di ammirazione è la testimonianza del cardinale Ce- sare Baronio, uno dei primi e più illustri discepoli di san Filippo Neri, il qua- le, morente, confidò al padre Angelo Saluzzo: «Nessuna cosa affatto, nulla in questa vita mi ha recato maggior dolore e molestia del cardinalato. Fatelo sapere a tutti, guardatevi dalle insidie del demonio: solo vero onore è servi- re Dio con tutta umiltà. Ho vergogna di essere stato fatto cardinale, io che non sarei stato degno d’esser semplice sacerdote. Cercate Dio, cercate Dio!». L’Oratorio Filippino ha dato alla Chiesa dodici cardinali, ottantasette ve- scovi, un patriarca, due nunzi, un legato pontificio, quattro prefetti apostoli- ci di Ceylon, un prefetto del conclave e un inquisitore generale nel Regno di Portogallo, i quali si sono imposti all’attenzione universale non solo per il lu- minoso esempio di servizio alla Santa Sede, ma particolarmente per l’umil- tà, la pietà e la generosa carità pastorale, sulla scia dell’amabile padre Filip- po Neri. Di lui, con la loro testimonianza, hanno riproposto il monito sem- pre attuale: «Bisogna desiderare di far cose grandi per servizio di Dio e non contentarsi di una bontà mediocre». La redazione delle note riguardanti ciascun personaggio permette di ave- re un’idea, almeno generale, di coloro che, nell’ambito della famiglia filip- pina, vissero fattivamente lo spirito di servizio, umile e nascosto, proprio del- l’Oratorio, a Cristo e alla sua Chiesa. È auspicabile che la presente ricerca serva di stimolo agli studiosi per ul- 158 ANNALES ORATORII teriori e più approfondite indagini, allo scopo di pervenire ad una valutazio- ne completa della personalità e dell’azione pastorale dei prelati oratoriani, i quali, il più delle volte, hanno inciso in modo determinante nelle vicende re- ligiose, sociali e politiche del loro tempo.

CARDINALI sec. XVI sec. XIX Baronio Cesare, 1596 Caracciolo Filippo Giudice, 1833 Tarugi Francesco Maria, 1596 Newman John Henry, 1879 Visconti Alfonso, 1599 Capecelatro Alfonso, 1885 sec. XVII sec. XX Giustiniani Orazio, 1645 Herrero y Espinosa de los Monteros Colloredo Leandro, 1686 Sebastián, 1903 Petrucci Pier Matteo, 1686 Bevilacqua Giulio, 1965 sec. XVIII Belluga y Moncada Luis, 1719

VESCOVI sec. XVI Ferruzzo Giovanni Battista, 1655 Costa Cesare, 1572 Cancellotti Cesare, 1658 Visconti Alfonso, 1591 Monteiro Nicolau, 1670 Bordini Giovanni Francesco, 1592 Bonito Andrea, 1677 Tarugi Francesco Maria, 1592 Martinelli Francesco, 1680 Muscettola Tiberio, 1680 sec. XVII Guzzoni Tommaso, 1681 Ancina Giovanni Giovenale, 1602 Petrucci Pier Matteo, 1681 Bozzuto Troiano, 1608 De Pace Giovan Battista, 1684 Eustachio Giovan Tommaso, 1612 Do Sacramento Duarte João, 1685 Lanteri Vincenzo, 1616 Cei Giuseppe, 1695 Giustiniani Fabiano, 1616 Bijankovic Nikola, 1698 Binago Girolamo, 1637 Girgenti Francesco, 1699 Panzani Gregorio, 1640 Giustiniani Orazio, 1640 sec. XVIII Sperelli Alessandro, 1642 Dragonetti Giacinto, 1703 Foppa Giovan Battista, 1643 Belluga y Moncada Luis, 1705 Crespi de Borja Luis, 1651 Conventati Giovanni Battista, 1714 G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 159

Fuster Gaspare, 1714 García Abella Pablo, 1827 Marelli Tommaso Maria, 1716 Brandão de Sousa Leonardo, 1832 Orsini Mondillo, 1724 Xavier Francisco, 1834 Orsi Giovanni Battista, 1725 De Rosario Vincenzo, 1836 Ariberti Giovanni Battista, 1728 Naselli Pietro, 1838 Colloredo Fabio, 1731 Mulsuce Gaetano Antonio, 1843 Valguarnera Domenico, 1732 Bettacchini Orazio, 1845 De Oliveira Julio Francisco, 1741 Naselli Giovanni Battista, 1851 Coppola Giuseppe, 1742 Sánchez Cid y Carascal Antonio Baratta Giovanni Battista, 1748 María, 1852 Mora Giovanni Francesco, 1748 Orueta y Castrillón Francisco, 1855 Maculani Cosmo, 1748 Bolognesi Salvatore, 1871 Antinori Antonio, 1754 Acquaviva Giovanni, 1871 Caisotti Paolo Maurizio, 1762 Metti Giulio, 1872 Vecchioni Salvatore, 1778 Ferrante Aniceto, 1873 De Melo José Maria, 1787 Bagshawe Edward Gilpin, 1874 Do Avelar Gomes Francisco, 1789 Herrero y Espinosa de los Monteros De Magistris Simone, 1792 Sebastián, 1875 Minutolo Capece Enrico, 1792 Carrascosa y Carrión Pedro José, Canaveri Giovanni Battista, 1797 1875 Da Cruz Valério José, 1798 Capecelatro Alfonso, 1880 Jourdan de la Passardière Félix, 1884 sec. XIX De la Llosa Pietro, 1887 De Azevedo Pegado José, 1801 Mola Carlo, 1893 Pierleoni Florido, 1802 López y García Simón, 1815 sec. XX Tiberi Francesco Felice, 1818 Arista Giovanni Battista, 1904 Mazzoni João, 1818 Huix Miralpeix Salvio, 1927 Coppola Nicola, 1818 Spülbeck Otto, 1958 Ranaldi Ignazio, 1818 Manziana Carlo, 1964 Caracciolo Giudice Filippo, 1820 Bevilacqua Giulio, 1965 Colangelo Francesco, 1821 Tewes Ernst, 1968

ACQUAVIVA Giovanni, nacque a Tricarico il 14 febbraio 1818. Entrato nell’Oratorio napoletano, fu ordinato sacerdote il 12 marzo 1842. Il 22 di- cembre 1871 fu eletto vescovo di Nusco. Il 1° ottobre 1881 divenne assistente al soglio pontificio. Morì a Napoli il 26 gennaio 1893. 160 ANNALES ORATORII

ANCINA Giovanni Giovenale (beato), nacque a Fossano (Cuneo) il 19 ottobre 1545. Trasferitosi a Roma, il 1° ottobre 1578 entrò nella congrega- zione dell’Oratorio e il 9 giugno 1582 fu ordinato sacerdote. Inviato alla na- scente casa di Napoli (1586), si dedicò alla predicazione, promosse incontri d’interesse culturale e formativo, fondò l’oratorio dei principi per riportare un clima cristiano nella società partenopea. Attese alla composizione di poe- sie e di canzoni musicali a sfondo religioso popolare e pubblicò Il tempio ar- monico della Beatissima Vergine (1599). Ritornato a Roma nel 1596, Cle- mente VIII lo nominò vescovo di Saluzzo. Solo il 26 agosto 1602 accettò, a malincuore, l’elezione, ricevendo la consacrazione alla Vallicella. Il suo bre- ve episcopato fu caratterizzato da innumerevoli opere di pietà e di carità, di- rette alla riforma dei costumi del clero e del popolo, all’attuazione delle dis- posizioni del concilio di Trento, alla fondazione del seminario, all’incremen- to della pratica dei sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia. Morì, a seguito di un sospetto avvelenamento, il 30 agosto 1604. Il suo corpo riposa nella cat- tedrale di Saluzzo, sotto l’altare a lui dedicato.

ANTINORI Anton Ludovico, nacque all’Aquila il 26 agosto 1704. Col- tivò gli studi teologici, storici, archeologici e la poesia. Nel 1739 entrò nel- la Congregazione oratoriana dell’Aquila e il 19 dicembre dello stesso anno divenne sacerdote. Si diede alla diligente ricerca di fonti per la storia aquila- na ed abruzzese, acquistando in breve tempo gran fama di storico e d’epi- grafista. Fu in rapporti epistolari col Muratori, al quale fornì varie iscrizioni inedite da inserire nei suoi studi. Dottore in utroque iure alla Sapienza di Ro- ma (19 giugno 1745), il 21 giugno 1745 fu eletto arcivescovo di Lanciano, dopo che era stato nominato dal Re di Napoli il 20 maggio precedente. Fu consacrato a Roma il 27 giugno successivo dal cardinale Acquaviva. Il 22 aprile 1754 fu trasferito alla Chiesa d’Acerenza e di Matera. Governò le dio- cesi con gran saggezza ed evangelica carità. Il 24 aprile 1758 rinunciò al- l’ufficio pastorale, a causa di inquietanti scrupoli che affliggevano la sua de- licata coscienza, e ritornò in patria dove riprese gli studi prediletti, stimato «multiplicis litteraturae laude omnibus spectantissimo». Morì il 1° marzo 1778, lasciando una mole enorme di manoscritti, che vertono sugli argomenti più disparati; tra questi la Vita della b. Cristina di Lucoli (Roma 1740), che è un modello d’esattezza storica e di semplicità stilistica.

ARIBERTI Giovan Battista, nacque a Cremona il 10 maggio 1686 e di- venne sacerdote il 26 dicembre 1710. Dottore in utroque iure alla Sapienza G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 161 di Roma (13 gennaio 1728), entrò nella Congregazione oratoriana di Brescia l’11 ottobre 1711, dove eccelse per pietà ed eloquenza. Indusse il padre a do- nare alla nascente Congregazione cremonese il proprio teatro, che fu trasfor- mato in chiesa, dedicata a san Filippo Neri (1714), e l’attiguo palazzo dei marchesi Ariberti dove, in seguito, padre Giovan Battista divenne il superio- re. Recatosi a Roma, preceduto da notevole fama, il 26 gennaio 1728 fu elet- to da Benedetto XIII vescovo titolare di Palmyra, ricevendo la consacrazio- ne a Roma dal Papa il 22 febbraio successivo, e il 29 dello stesso mese di- venne assistente al soglio pontificio. Fu prefetto del conclave, dal quale uscì papa Clemente XII, e venne lodato per la vigilanza e l’esattezza e premiato con la nomina a commendatario dell’abbazia d’Ognissanti. Ritornò a Cre- mona nel 1740, nel palazzo della famiglia, dove allestì una cospicua biblio- teca, ricca di codici preziosi. Morì a Venezia nel 1746.

ARISTA Giovanni Battista (servo di Dio), nacque a Palermo il 2 aprile 1863. Ben presto la famiglia si trasferì ad Acireale, dove divenne sacerdote filippino il 25 giugno 1888, vescovo ausiliare nel novembre 1904 e vescovo della diocesi il 20 luglio 1907. Operò in tempi inquieti e difficili a causa del modernismo, impegnandosi ad essere il vescovo di tutti, per mezzo della ca- rità, soprattutto là dove si soffriva. Fu presente a Torre Archirofi nell’allu- vione del 1907; accorse, primo tra i vescovi dell’isola, a Messina per il ter- remoto del 1908, a Randazzo nel colera del 1910, a Solicchiata durante l’e- ruzione dell’Etna nel 1911, a Guardia-Mangano nello scontro ferroviario del 1912, a Linera nel terremoto del 1914. Fu anche il vescovo dei giovani per la passione, tutta filippina, con cui diede impulso al movimento giovanile. Sostenuto da una particolare devozione all’Eucaristia e alla Madonna, pro- mosse, assieme ad altri confratelli, la nascita della Confederazione oratoria- na, l’unione cioè delle congregazioni dell’Oratorio in un corpo giuridico, pur mantenendo la loro identità e l’originale autonomia. Colpito da grave e do- lorosa malattia, sopportata con esemplare forza d’animo, morì in concetto di santità il 27 settembre 1920. Il suo corpo riposa ad Acireale, nella chiesa del- l’Oratorio.

BAGSHAWE Edward Gilpin, nacque a Londra il 12 gennaio 1829. En- trato nell’Oratorio londinese il 24 ottobre 1849, fu ordinato sacerdote il 6 marzo 1852. L’11 agosto 1874 l’arcivescovo di Westminster, Manning, con l’approvazione unanime dei vescovi inglesi, lo presentò alla congregazione di Propaganda Fide per la sede vescovile di Nottingham con queste lusin- 162 ANNALES ORATORII ghiere parole: «Ha circa 46 anni di età. È di salute robusta, è un ecclesiasti- co veramente degno, di spirito sacerdotale egregiamente animato, di zelo pa- storale, sufficientemente dotto e per l’amministrazione di affari sperimenta- to ed amabile assai, ed è di indole affabile e dignitosa». Il 1° ottobre la Con- gregazione accolse la proposta, confermata dal papa Pio IX il 10 ottobre suc- cessivo. Fu consacrato il 12 novembre seguente dall’arcivescovo di West- minster. Ardente di zelo apostolico in ogni settore della vita religiosa, favo- rì l’erezione di numerose congregazioni religiose femminili e, nel 1883, fon- dò il seminario maggiore. Nel 1901, per motivi di salute, diede le dimissio- ni dall’ufficio pastorale, ritirandosi presso le Suore Blù a Hounslow. Il 27 gennaio 1902 fu eletto vescovo titolare di Hypaepa (Asia I), quindi il 17 gen- naio 1904 fu promosso arcivescovo titolare di Seleucia (Isauria). Morì a Hounslow il 6 febbraio 1915 e il 16 dicembre 1921 ebbe sepoltura definiti- va nella cripta della cattedrale di Nottingham.

BARATTA Giovanni Battista, nacque a Fossano il 27 agosto 1691. Fu ordinato sacerdote il 6 ottobre 1726 e il 9 settembre 1727 entrò nella con- gregazione dell’Oratorio romano. Dottore in utroque iure alla Sapienza di Ro- ma (14 dicembre 1747), il 29 gennaio 1748 fu eletto vescovo di Novara, ri- cevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Valente Gonzaga il 18 feb- braio successivo, insieme alla nomina di assistente al soglio pontificio. Non arrivò però a Novara, perché morì a Macerata l’11 aprile 1748, durante il viaggio verso la sede episcopale.

BARONIO Cesare (venerabile), nacque a Sora (Frosinone) il 30 ottobre 1538. Al desiderio del padre di una proficua carriera mondana, Baronio pre- ferì le pratiche di pietà nell’Oratorio e di carità negli ospedali, l’insegnamento del catechismo e lo studio della storia della Chiesa. Divenuto sacerdote il 27 maggio 1564, fu uno dei primi membri della comunità oratoriana costituita- si a San Giovanni dei Fiorentini, dedicandosi al ministero della predicazione e delle confessioni. Nel 1576 passò alla Vallicella, dove, per confutare i pro- testanti, attese alla stesura degli Annales ecclesiastici, in 12 volumi, prima storia organica e critica della Chiesa dall’anno 1° di Cristo al 1198. Colla- borò alla revisione del Martirologio romano, compilò il Tractatus de Mo- narchia Siciliae, scrisse alcune vite di Santi, qualche trattato di carattere sto- rico-giuridico e un numeroso carteggio. Dopo essere stato inviato, nel 1583, a Napoli per impedire un movimento ereticale ed essere stato nominato, nel 1595, protonotario apostolico, Clemente VIII, il 5 giugno 1596, lo creò car- G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 163 dinale col titolo dei santi Nereo e Achilleo e nel 1597 Bibliotecario di S.R.C. Nel conclave del 1605 riuscì a fatica, avendo ricevuto 31 voti, a evitare l’e- lezione al pontificato. Fu confessore e consigliere politico di Clemente VIII e lo indusse a patrocinare la riconciliazione di Enrico IV con la Chiesa. Mo- rì santamente il 30 giugno 1607 alla Vallicella e fu sepolto nella cripta sotto il presbiterio dell’altare maggiore. Viene considerato il padre della storia ec- clesiastica moderna.

BELLUGA Y MONCADA Luis, nacque a Motril il 30 novembre 1662. Dottore in teologia, fondò il 5 settembre 1699 la congregazione dell’Orato- rio a Córdoba e nel 1700 quella di Murcia. Proposto dal re Felipe V, il 9 feb- braio 1705 fu eletto vescovo di Cartagena e in seguito nominato capitano ge- nerale e viceré di Valencia. Fu consacrato nella cattedrale di Córdoba il 19 aprile successivo. Carità e zelo caratterizzarono la sua attività pastorale: isti- tuì quattro ricoveri per i poveri e un monte di pietà, fondò alcuni collegi e seminari per la formazione della gioventù e gli aspiranti al sacerdozio, pro- mosse gli studi del clero. Immischiato in vicende politiche, il Belluga aderì nel 1709 alle decisioni del papa Clemente XI e cercò di indurre Felipe V a desistere dall’atteggiamento antiromano e si prodigò per la pacificazione del- la nazione, specialmente nel 1712. Il 29 novembre 1719 fu creato cardinale col titolo di santa Maria in Traspontina. Nel 1723 procurò l’emanazione del- la bolla Apostolici ministerii, detta «Bolla bellugana», per la riforma della di- sciplina ecclesiastica. Nel 1724 rinunciò all’ufficio pastorale e si ritirò a Ro- ma, dove divenne protettore, presso la Santa Sede, del regno di Spagna. Si dedicò anche alla riunione dei copti con Roma. Fu autore di notevoli opere di carattere giuridico ed ecclesiastico, scrisse dissertazioni in difesa dei di- ritti della Santa Sede e dell’infallibilità pontificia, due volumi di pastorali, opuscoli vari e tradusse in arabo trattati per i missionari. Il Belluga, «praela- torum speculum», morì a Roma il 22 febbraio 1743 e fu sepolto alla Valli- cella, dinanzi alla cappella di san Carlo, dove fu posta un’epigrafe dettata dal papa Benedetto XIV.

BETTACCHINI Orazio, nacque a Piosina (Città di Castello) nel 1810. Oratoriano di Città di Castello, nel 1842 si recò come missionario apostoli- co a Ceylon. Ebbe l’incarico di riferire alla congregazione di Propaganda Fi- de circa lo stato della missione oratoriana di Ceylon. Tra dicembre 1842 e gennaio 1843, egli scrisse tre lettere negative sull’operato degli oratoriani e sulla situazione della missione. Nel maggio 1843, in altre due lettere, ritras- 164 ANNALES ORATORII se le informazioni sfavorevoli date precedentemente, confessando di essere stato tratto in errore. Confermando i molti bisogni della missione e l’opera preziosa degli oratoriani, propose come nuovo vicario apostolico il padre Gaetano Antonio Mulsuce. Il 6 maggio 1845 padre Bettacchini, apprezzato per aver fatto «missioni in vari luoghi con incredibile zelo e con mirabili suc- cessi», fu eletto vescovo titolare di Torone (Macedonia) e coadiutore del vi- cario apostolico di Colombo. Il 17 settembre 1847 fu nominato pro vicario apostolico per il nord dell’isola, rimanendo anche coadiutore del vicariato meridionale. Il 28 agosto 1849 fu nominato vicario apostolico di Jaffna, la- sciando il vincolo di coadiutore di quello meridionale. Morì, consunto dalle fatiche apostoliche, il 26 luglio 1857 e fu sepolto nella chiesa di Bolawatte. Lasciò manoscritta un’opera Histoire du Catholicisme à Ceylon (1852) do- ve, ricordando l’attività apostolica del padre José Vaz (ora beato), lo definì «restauratore del cattolicesimo a Ceylon».

BEVILACQUA Giulio, nacque ad Isola della Scala (Verona) il 14 set- tembre 1881. Perfezionatosi negli studi a Lovanio, tendenti ad un indirizzo politico-sociale e ad un impegno d’ispirazione cattolico-popolare, nel di- cembre 1905 entrò nella Congregazione oratoriana della Pace a Brescia e di- venne sacerdote il 13 giugno 1908. Ufficiale degli alpini durante la prima guerra mondiale, al termine di essa finì in un campo di concentramento, do- ve fu sostegno e guida dei compagni di prigionia, intrattenendoli in conver- sazioni spirituali, poi raccolte nel libro La luce nelle tenebre (Milano 1921). Di ritorno dalla prigionia, eletto preposito della sua Congregazione, iniziò un’aspra polemica contro il fascismo, che lo costrinse, nel 1928, ad andare «in esilio» a Roma. Nell’agosto 1932, ritornato a Brescia, riprese l’attività apostolica e di conferenziere, pur sottoposto alla vigilanza della polizia del regime. Durante la seconda guerra mondiale prestò servizio come cappella- no in marina. Congedato nell’agosto 1944, assieme al ministero sacerdotale, unì l’impegno culturale e fondò, con altri, la rivista Humanitas (1946), ispi- rata ai valori di rinascita morale, intellettuale, religiosa dell’uomo e del la- voro. Nel febbraio 1949, si trasferì alla periferia di Brescia, in una baracca che serviva da chiesa, trasformata poi in parrocchia e dedicata, nel 1952, a sant’Antonio, per esercitare l’apostolato tra i poveri e il proletariato. Diede un contributo notevole, durante il concilio Vaticano II, come membro delle commissioni per la preparazione e l’attuazione della costituzione sulla Litur- gia, frutto della sua lunga attività pastorale, incentrata sul senso cristologico del ciclo liturgico, culminante nel mistero eucaristico. Si caratterizzò pure per G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 165 una grande apertura al dialogo ecumenico e all’amicizia con i protestanti e gli atei. Il 25 gennaio 1965 fu nominato da Paolo VI, suo figlio spirituale, cardinale col titolo di san Girolamo della Carità. Il 15 febbraio successivo fu ordinato vescovo nella basilica dei Santi Faustino e Giovita in Brescia. Ot- tenne dal Papa il privilegio di conservare il suo ufficio di parroco, divenen- do così il primo cardinale-parroco nella storia della Chiesa. Morì, nella casa canonica della sua parrocchia, il 6 maggio 1965. Fu sepolto nella cripta del- l’altare maggiore della chiesa oratoriana della Pace in Brescia.

BIJANKOVIC Nikola (servo di Dio), nacque a Spalato il 15 agosto 1645. Compiuti gli studi di filosofia e di teologia in Italia, fu ordinato sacer- dote a Loreto il 15 giugno 1669. Svolse il primo ministero pastorale come parroco, poi come penitenziere in cattedrale, confessore di comunità religio- se, professore di grammatica e teologia ai chierici. Nel 1676 istituì a Spala- to la congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri con lo scopo della pre- dicazione del vangelo e la propagazione della religione cattolica, special- mente nelle regioni sotto il dominio turco. Il 7 novembre 1686 fu nominato vicario apostolico di Makarska e Scardona, in Dalmazia. Nel 1695 fu eletto dalla Repubblica Veneta vescovo di Makarska, confermato dal papa Inno- cenzo XII il 19 dicembre 1698. Nel ministero episcopale, intraprese lunghe e faticose visite pastorali, instaurò rapporti amichevoli con i Turchi, attuò nel- la diocesi il rinnovamento voluto dal concilio di Trento, creò nuove parroc- chie. Fu non solo un grande evangelizzatore, ma anche attivo nel campo del- la cultura e nell’ambito socio-caritativo. Morì, in concetto di santità, il 10 agosto 1730 e fu sepolto nel mezzo del coro della cattedrale di Makarska.

BINAGO Girolamo, nacque a Milano nel 1578. Entrato nella Congrega- zione oratoriana il 18 giugno 1595, si stabilì nel 1620 nell’Oratorio di Na- poli. Il 12 gennaio 1637 fu eletto vescovo titolare di Laodicea e ausiliare di Bologna. Morì a Bologna il 17 ottobre 1643, dopo tre anni d’infermità, e fu sepolto nella chiesa della Congregazione. Fu uomo di santa vita, dedito allo studio e alla poesia e assai valente nell’arte oratoria. Lasciò inedito lo scrit- to: De potestate Constitutionum Congregationis Oratorii.

BOLOGNESI Salvatore, nacque a Venezia il 30 gennaio 1814. Il 4 gen- naio 1832 entrò nella Congregazione oratoriana della Fava. Ordinato sacer- dote il 17 dicembre 1836, fu sapiente direttore spirituale e consigliere di va- sti ceti di persone, esempio di profonda vita interiore. Nel 1863 il patriarca 166 ANNALES ORATORII

Ramazzotti lo scelse suo teologo nel Concilio provinciale; nel 1866 il cardi- nale Trevisanato lo chiamò al Sinodo diocesano e nel 1869 fu incaricato del- l’insegnamento della teologia dogmatica e della storia ecclesiastica ai chie- rici del seminario, ai quali teneva settimanalmente delle conferenze religio- se. Pio IX, il 27 ottobre 1871, lo nominò vescovo di Belluno e Feltre. Rice- vette la consacrazione a Venezia il 10 dicembre successivo dal patriarca Tre- visanato e il 13 aprile 1893 divenne assistente al soglio pontificio. Visse in estrema povertà, semplicità e pietà. Sotto il suo impulso ebbero vita e incre- mento le istituzioni cattoliche raccomandate dai pontefici. Visitò quattro vol- te tutte le parrocchie, rinvigorendo i fedeli nella fede e spronandoli alla cari- tà operosa verso Dio e il prossimo. Testimoniano la sua attività di pastore i volumi delle Lettere pastorali, ricche di sapienza cristiana, feconde d’inse- gnamenti pratici, calde d’amore verso Gesù, la Chiesa, il Papa. Morì pia- mente a Belluno il 29 gennaio 1899.

BONITO Andrea, nato ad Amalfi nel 1619, entrò nell’Oratorio di Napo- li. Versato nelle lettere, negli studi filosofici e teologici, apprezzato per i ser- moni, il 14 giugno 1677 fu eletto vescovo di Capaccio, ricevendo la consa- crazione a Roma dal cardinale Alessandro Crescenzi il 20 giugno successi- vo. Si dedicò alla ricostruzione morale e materiale della diocesi, eresse varie parrocchie, restaurò la cattedrale e il palazzo vescovile, visitò l’intera dioce- si, senza timore delle bande di malviventi che l’infestavano, riuscendo a ri- scuotere dalle popolazioni le malviste “sovvenzioni” ecclesiastiche. Amma- latosi nel settembre del 1683, si ritirò a Napoli, dove morì il 2 febbraio 1684. Fu sepolto nella chiesa oratoriana dei Gerolamini.

BORDINI Giovanni Francesco, nacque a Roma circa il 1536. Letterato ed erudito, conosciuto nel maggio 1558 padre Filippo e l’Oratorio, fu uno dei primi aggregati nella comunità di San Giovanni dei Fiorentini. Ordinato sa- cerdote il 1° settembre 1564, fu richiesto da Carlo Borromeo per Milano, ma non lasciò la Congregazione, essendo egli «forse il più valente prete, che sia in Roma e la più forte colonna che sia nell’Oratorio». Di carattere duro e am- bizioso, dal 1° giugno 1588 al 27 maggio 1589 fece parte della delegazione guidata in Polonia dal cardinale Ippolito Aldobrandini, suo penitente, il qua- le, divenuto papa col nome di Clemente VIII, il 17 febbraio 1592 lo nominò vescovo di Cavaillon. L’11 marzo 1598 fu promosso alla sede arcivescovile d’Avignone. Fu un appassionato pastore del gregge, che governò attivamen- te, celebrando più sinodi e impegnandosi per la riforma del clero e del po- G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 167 polo, secondo le disposizioni tridentine. Morì nel gennaio 1609 e fu sepolto nella cattedrale. Nutrì una profonda devozione verso padre Filippo, di cui scrisse Philippi Nerii religiosissimi presbyteri vitae compendium (1596), dan- done una testimonianza filiale al processo di canonizzazione.

BOZZUTO Troiano (venerabile), nacque a Napoli nel 1558. Frequentò fin da giovane la nascente Congregazione oratoriana napoletana, dove entrò il 25 dicembre 1587. Dottore in utroque iure, divenuto sacerdote eccelse so- prattutto nella predicazione. Recatosi a Roma nel 1600, fu invitato a tenere un sermone in San Giovanni in Laterano suscitando l’ammirazione di tutti, tanto che il papa Clemente VIII volle udirlo nella sua cappella pontificia e ne restò edificato. Il 17 marzo 1608 fu eletto vescovo di Capri. L’episcopa- to del Bozzuto fu illustrato da sincero zelo pastorale, che esplicò per mezzo della predicazione, il ministero della confessione, la visita agli ammalati ne- gli ospedali e l’assistenza dei poveri. Tema prediletto della sua predicazione fu Gesù Cristo crocefisso, modello e aiuto per quanti sono chiamati a porta- re la croce quotidiana. Questa non tardò a venire anche per lui, a causa di fal- se accuse e pubblici oltraggi, che gli procurarono enormi amarezze e delu- sioni e, dopo sedici anni d’episcopato, lo costrinsero a ritornare tra i suoi con- fratelli, ai quali chiese soltanto di amministrare, un giorno la settimana, la di- vina parola in chiesa. Morì, in concetto di santità, il 21 novembre 1625, al termine di un fervoroso sermone in onore di Maria Vergine.

BRANDÃO DE SOUSA Leonardo, nacque a Vinhó de Souto il 12 otto- bre 1767. Entrato nell’Oratorio di Braga, divenne sacerdote il 16 marzo 1793, dedicandosi all’insegnamento della teologia nella casa dell’Oratorio e nelle missioni popolari in varie parti del territorio portoghese. Fu confessore di D. Carlota Joaquina e dell’infanta D. Maria da Assunção. Rinunciato all’epi- scopato nel 1824, nel 1832 fu eletto dal Re vescovo di Pinhel e fu confer- mato da Gregorio XVI il 17 dicembre del medesimo anno, ricevendo la con- sacrazione il 10 febbraio 1833. Dopo appena cinque mesi del suo ingresso in diocesi, nel dicembre 1833, dovette ritirarsi nella sua terra natale, per sfug- gire alla persecuzione dei seguaci di D. Pedro, errando per varie città per ben cinque anni, celebrando l’Eucaristia di nascosto e facendo occultamente qual- che ordinazione sacerdotale. Ammalatosi in casa di suo fratello, non poté es- sere curato dai medici per non essere scoperti. Morì il 19 aprile 1838 e il gior- no seguente, di notte, fu sepolto nella chiesa di Várzea. 168 ANNALES ORATORII

CAISOTTI Paolo Maurizio, nacque a Torino il 1° dicembre 1726. Dot- tore in utroque iure (13 agosto 1746) e in teologia (12 giugno 1749), divenne sacerdote il 5 giugno 1751. Trasferitosi a Roma per perfezionarsi nelle scien- ze ecclesiastiche, entrò nell’Oratorio romano l’8 maggio 1754. Il re di Sarde- gna lo nominò, il 10 febbraio 1762, vescovo d’Asti e fu confermato dal papa Clemente XIII il 19 aprile dello stesso anno, ricevendo la consacrazione a Ro- ma dal cardinale Acciaiuoli il 23 maggio successivo. L’attività pastorale del Caisotti fu caratterizzata da una spiccata tendenza al rigorismo che, a volte, mise in contrasto i prelati di vecchia e di nuova formazione. Nel 1768 compì la visita pastorale dell’intera diocesi, curò il riordinamento della formazione ecclesiastica, costruì il nuovo seminario. Egli stesso, per i seminaristi pubbli- cò anonime Istruzioni alla gioventù ecclesiastica (Torino 1774). Favorì il sor- gere d’opere caritatevoli, come la Mendicità istruita nel 1775 e l’’Opera Cai- sotti nel 1784. Nel 1785 celebrò il sinodo e nel 1786 intraprese la seconda vi- sita pastorale. Morì nel palazzo vescovile, in Asti, l’8 agosto 1786.

CANAVERI Giovanni Battista, nacque a Mari (Albenga) il 25 settembre 1753. Dottore in teologia universa all’università di Torino (23 dicembre 1773), entrò nell’Oratorio torinese e il 21 settembre 1776 fu ordinato sacerdote. Fu valente oratore, cultore degli studi teologici e di musica, esaminatore sinoda- le e confessore della principessa Felicita, figlia del re Carlo Emanuele IV. Pro- posto dal Re come vescovo di Biella, fu confermato dal papa Pio VI il 24 lu- glio 1797, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Gerdil il 6 ago- sto successivo. In teologia fu antigiansenista, in politica avverso al giacobi- smo, durante la repubblica piemontese (1798-1799) antifrancese. Si impegnò (dal 1797 al 1804) a conservare il deposito della fede, la disciplina ecclesia- stica e l’unità col Papa. In mezzo a tumulti di guerra visitò la diocesi, predi- cò in vari luoghi, cercò di ravvivare i sentimenti religiosi, provvide alle ne- cessità emergenti. In seguito diventò filonapoleonico e filofrancese, a volte più fedele a Napoleone che al Papa, tanto che fu definito dai francesi il più va- lente dei vescovi piemontesi. Il 1° gennaio 1805 si recò a Parigi e un mese dopo, il 1° febbraio, Pio VII lo nominò vescovo di Vercelli, conservando il ve- scovado di Biella. Fu membro del consiglio della Grande Limoniseria del- l’Impero, cavaliere della Legione d’Onore, Limosiniere di Madama Letizia, madre dell’Imperatore, barone dell’Impero. Morì il 13 gennaio 1811 e fu se- polto, per sua espressa volontà, a Biella, nel sepolcreto dei vescovi sotto il bat- tistero. Il giudizio degli storici sulla personalità religiosa e soprattutto politi- ca di Canaveri è discorde. Dai più, però, è detto che egli fu «prelato di sin- G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 169 golare virtù, di rara scienza, destro ed accorto nell’amministrazione ed orato- re a pochi secondo. Resse con fermezza d’animo la vasta sua Diocesi, pro- mosse i buoni studi e indirizzò a virtù il suo numeroso clero».

CANCELLOTTI Cesare, nacque a San Severino il 26 marzo 1604. Dot- tore in utroque iure a Macerata, nel 1632 entrò nella Congregazione orato- riana di San Severino, dove si distinse per pietà e dottrina, tanto che il ve- scovo diocesano lo volle arcidiacono della cattedrale e successivamente vi- cario generale. Il 1° aprile 1658 fu eletto da Alessandro VII vescovo di Bi- sceglie, nel regno di Napoli, ricevendo la consacrazione a Roma il 7 aprile successivo dal cardinale Marco Antonio Franciotti. L’episcopato del Cancel- lotti si distinse per l’anelito riformatore, alquanto rigorista, come appare dai decreti del sinodo diocesano del 1659, che tuttavia manifestano il tentativo di disciplinare la vita del clero diocesano e l’organizzazione ecclesiastica lo- cale. Nello stesso anno pubblicò il decreto d’erezione della prebenda teolo- gale e del seminario diocesano. Il 26 giugno 1662 fu trasferito alla Chiesa di Montalto, che governò con grande zelo e umiltà. Animato da costanti pre- mure pastorali, celebrò un sinodo anche a Montalto, risolse felicemente un’e- stenuante controversia giurisdizionale col monastero di Farfa, ristabilì la pre- benda teologale e il seminario, condusse una visita pastorale. Morì il 27 giu- gno 1673 e fu sepolto, secondo la sua disposizione, in un angolo del coro del- la cattedrale. Lasciò varie opere, soprattutto di diritto canonico.

CAPECELATRO Alfonso, nacque a Marsiglia il 5 febbraio 1824. En- trato nell’Oratorio di Napoli il 1° aprile 1840, il 23 maggio 1847 fu ordina- to sacerdote. Uomo di vasta e profonda cultura, ebbe rapporti d’amicizia col cenacolo intellettuale di Montecassino e con molti dotti del suo tempo. In campo politico fu favorevole all’unità nazionale, all’intervento dei cattolici nelle elezioni politiche e alla ricomposizione del dissidio tra Stato e Chiesa in Italia. Il 15 maggio 1879 fu nominato vicebibliotecario di S.R.C. e il 20 agosto 1880 arcivescovo di Capua, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Raffaele Monaco la Valletta il 28 ottobre successivo. Il 27 luglio 1885 fu creato cardinale col titolo dei santi Nereo e Achilleo. Il 29 aprile 1890 fu nominato Bibliotecario di S.R.C., pur rimanendo vescovo di Capua. Res- se la diocesi per trentadue anni, svolgendo un’intensa attività pastorale. De- dicò particolari cure alla formazione culturale del clero, non solo teologica, ma inserita nella cultura del tempo, per non restare estranea ai problemi del- la società civile, nella quale deve operare come forza viva e partecipe. Aprì 170 ANNALES ORATORII al pubblico la biblioteca arcivescovile di Capua e quella del seminario. Creò un importante periodico La Campania sacra; istituì a Capua la scuola di re- ligione per sopperire ai limiti dell’insegnamento religioso praticato nelle scuole statali. Nel 1887 tenne un sinodo diocesano per meglio conoscere, dis- cutere e risolvere i problemi religiosi e sociali dell’archidiocesi. Creò nume- rose iniziative a carattere assistenziale e caritativo, come l’istituzione di cu- cine gratuite durante l’inverno e d’opere intese a proteggere e aiutare i gio- vani. Nel 1893 scrisse una lettera aperta ai parlamentari italiani, invitandoli a meditare sui rischi che avrebbe comportato sul piano sociale, morale e re- ligioso, l’approvazione del progetto di legge sul divorzio in discussione alla Camera. Affrontò i problemi relativi alla questione sociale, vista nei suoi aspetti religiosi e morali più che politici ed economici, ancor prima della pub- blicazione dell’enciclica leonina Rerum novarum (1891). Pubblicò opere d’e- rudizione, d’apologetica, biografie di santi, pastorali, discorsi, libri di pre- ghiere, lodate anche dal Carducci. Alla morte di Leone XIII, molti cardinali stranieri, l’imperatore di Germania Guglielmo II e il presidente del Consiglio italiano Zanardelli auspicarono la sua candidatura al soglio pontificio. Non vi riuscì per vari motivi, non ultimo l’età avanzata. Morì a Capua il 14 no- vembre 1912 e fu sepolto, per disposizione testamentaria, nella chiesa del monastero di Montecassino.

CARACCIOLO GIUDICE Filippo, nacque a Napoli il 27 marzo 1785. Entrato nell’Oratorio napoletano nel 1802, divenne sacerdote il 18 marzo 1809. Dottore in utroque iure (1816) e in teologia universa all’università di Napoli (1820), si distinse per dottrina e operosità. Presentato dal re di Sici- lia (2 febbraio 1820), il 21 febbraio 1820 Pio VII, dopo le peripezie del pe- riodo napoleonico, lo nominò vescovo di Molfetta, ricevendo la consacra- zione a Roma dal cardinale Lorenzo Litta il 27 febbraio successivo. Il 18 giu- gno 1824 divenne assistente al soglio pontificio. Nel ministero episcopale promosse l’esatta osservanza delle regole nel seminario, raccolse in una ca- sa le orfane, fondò un’accademia ecclesiastica per lo sviluppo culturale del clero, celebrò nel 1829 un sinodo. Gregorio XVI, il 15 aprile 1833, lo tra- sferì alla sede arcivescovile di Napoli, alla quale si dedicò con amore e ge- nerosità, iniziando, a sue spese, il restauro e l’abbellimento della cattedrale, e prodigandosi per i poveri e i sofferenti, specialmente in occasione del co- lera che colpì la città. Il 29 luglio 1833 fu creato cardinale col titolo di san- t’Agnese fuori le Mura. Morì a Napoli il 29 gennaio 1844 e fu sepolto nella sagrestia della cattedrale. G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 171

CARRASCOSAY CARRIÓN Pedro José, nacque a Manzanares il 5 no- vembre 1823. Dottore in utroque iure all’università di Madrid e licenziato in teologia universa all’università di Sevilla, nel 1862 entrò nell’Oratorio di Se- villa. Il 23 settembre 1875 fu nominato vescovo di Avila, dopo essere stato presentato dal Re il 15 settembre precedente. Ricevette la consacrazione a Madrid il 12 dicembre successivo dal cardinale Giovanni Ignazio Moreno. Fu eletto anche senatore del Regno, distinguendosi per l’eloquenza elevata e lungimirante nei dibattiti in cui prese parte, specialmente nella discussione sul secondo schema per il progetto costituzionale. Rinunciò all’ufficio pa- storale nel gennaio 1882. Il 30 marzo successivo fu promosso vescovo tito- lare di Zoara. Nel 1886 si ritirò dalla vita pubblica e andò a risiedere nella sua città natale, dove poco dopo morì.

CEI Giuseppe, nacque a Livorno nel 1640. Nel 1670 entrò nella Con- gregazione oratoriana di Roma. Dottore in utroque iure all’università di Pi- sa, il 28 novembre 1695 fu nominato vescovo di Cortona, ricevendo la con- sacrazione a Roma dal cardinale Bondino Panciatici il 30 novembre succes- sivo. Fu un pastore vigilante e zelante nella cura del gregge, generoso in ope- re benefiche, dedito a restaurare gli edifici sacri, specie il palazzo vescovile. Amante della disciplina, cadde talvolta in certi rigori di forma, mitigati dal- le premure verso il clero e dall’impegno per l’istruzione di quello più giova- ne. Portò a termine il seminario, incrementando gli studi sacri e profani, e ce- lebrò nel 1699 il sinodo diocesano, in cui fece vari decreti e costituzioni per un migliore regolamento della diocesi. Morì il 6 marzo 1704 e fu sepolto nel- la chiesa dell’Oratorio cortonese.

COLANGELO Francesco, nacque a Napoli il 26 novembre 1769. Entrò nell’Oratorio napoletano nel 1783, dove si costruì una solida preparazione fi- losofica e teologica e si dilettò nello studio dei classici latini e dei maggiori letterati italiani. Il 21 dicembre 1793 divenne sacerdote, dedicandosi alla pre- dicazione. Amico di letterati e uomini di cultura, si attestò, in coerenza con l’ambiente partenopeo, su posizioni di rigido conservatorismo e di difesa in- transigente dei valori della tradizione, in opposizione alla letteratura liberti- na e alle nuove filosofie d’oltralpe, considerate corruttrici della morale e sov- vertitrici dell’ordine politico. Nominato nel 1815 vescovo di Sora dal re Fer- dinando I, il Colangelo ricusò la dignità episcopale. Il 27 giugno 1821, pres- sato dalla Segreteria di Stato vaticana, dovette accettare il vescovado di Ca- stellammare di Stabia e Lettere, ricevendo la consacrazione a Roma dal car- 172 ANNALES ORATORII dinale il 29 giugno successivo. Fu scelto a far parte della commissione deputata per l’esecuzione del concordato del 1818, stipulato fra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie. Nel luglio 1824 fu eletto presi- dente della Pubblica Istruzione e, nel 1833, il re Ferdinando II lo nominò pre- sidente della Commissione amministrativa della stamperia reale. Nella dio- cesi, per il suo carattere forte e rigoroso, non si acquistò molte simpatie, non- ostante avesse avuto sempre a cuore la sua Chiesa e si fosse adoperato per aprire, nel 1823, un seminario, rifare l’episcopio e dotare la cattedrale di pre- ziosi parati. Ammalatosi di polmonite, fu trasferito nel liceo del Santo Sal- vatore a Napoli, dove morì il 15 gennaio 1836. Oltre numerose omelie, let- tere pastorali, orazioni funebri, scrisse parecchie opere, di cui la più prege- vole vide la luce a Napoli nel 1833 Istoria dei filosofi e matematici napole- tani, in due volumi, nella quale traccia la storia della cultura napoletana dai pitagorici fino al sec. XVII.

COLLOREDO Fabio, nacque a Colloredo (Udine) il 15 febbraio 1672. Dotto, elegante, titolare di un ricco patrimonio, il 16 luglio 1692 entrò nel- l’Oratorio di Roma, elargendo le rendite ad opere pie e in elemosine e bene- ficando la Congregazione con ricchi doni di biancheria, libri, oggetti d’arte, marmi preziosi. Il 7 aprile 1696 fu ordinato sacerdote. Si dedicò alla predi- cazione, in cui spiegava, in forma semplice e chiara, la Somma di san Tom- maso e le opere dei Padri della Chiesa. In contatto con la corte imperiale, viaggiò molto in Germania. Dottore in utroque iure alla Sapienza di Roma (7 novembre 1731), il 19 novembre 1731 fu eletto da Clemente XII arcivesco- vo di Lucca, ricevendo la consacrazione a Roma, alla Vallicella, il 16 di- cembre successivo dal cardinale Porzia. Il 24 dicembre seguente divenne as- sistente al soglio pontificio. Si dimostrò vero pastore, sollecito dei bisogni spirituali e materiali della sua gente, andando incontro ogni settimana ai bi- sogni di circa 300 poveri. Fece la visita pastorale (1734) e tenne un sinodo (1736). Infermatosi nel 1741, contrariamente al desiderio di ritirarsi, rimase a Lucca dove morì il 15 novembre 1742.

COLLOREDO Leandro, nacque a Colloredo (Udine) il 9 ottobre 1639. Profondamente religioso, il 3 gennaio 1657 entrò nella Congregazione ora- toriana di Roma, dove, nel 1663, fu ordinato sacerdote. Svolse vari incarichi, fra cui quello di bibliotecario, che gli permise di tessere diverse amicizie, in particolare col celebre Mabillon. Innocenzo XI lo nominò esaminatore dei vescovi e consultore dell’Indice (1682) e, dopo avere ripetutamente rifiutato G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 173 l’episcopato, il 2 settembre 1686 fu creato cardinale col titolo di san Pietro in Montorio. Ebbe la stima incondizionata del Papa che, il 28 febbraio 1688, lo nominò Penitenziere Maggiore e lo volle al suo letto di morte, stimando- lo un santo. Fece parte di varie Congregazioni vaticane (Propaganda Fide, Concilio di Trento, Affari dei Vescovi, Segnatura, Visita) e fu considerato un religioso esemplare, dotato di dottrina, di umiltà, di carità verso il prossimo. Molto si adoperò per evitare il pericolo gallicano. Compilò, assieme al car- dinale Pietro Ottoboni, la messa e l’ufficio per la Traslazione della Santa Ca- sa di Loreto. Partecipò a tre conclavi. Morì, in concetto di santità, l’11 giu- gno 1709 e fu sepolto alla Vallicella sotto il presbiterio, su cui figura il suo stemma.

CONVENTATI Giovanni Battista, nacque a Monte Granaro il 18 otto- bre 1667. Entrò nella Congregazione oratoriana romana il 26 novembre 1688. Dottore alla Sapienza di Roma (10 gennaio 1714), il 26 febbraio 1714 fu elet- to arcivescovo di Ragusa (Dubrovnik in Dalmazia), ricevendo la consacra- zione a Roma dal cardinale Fabrizio Paolucci il 4 marzo successivo e il 24 seguente fu insignito del pallio. Il 3 luglio 1720 fu trasferito alla sede ve- scovile di Terracina e quindi primo vescovo di Terracina, Priverno e Sezze dal 1725 al 1726, divenendo anche assistente al soglio pontificio (6 marzo 1725). Rinunciò all’ufficio pastorale il 27 novembre 1726. Morì nel 1739.

COPPOLA Giuseppe, nacque a Napoli il 21 agosto 1698. Divenuto sa- cerdote il 27 settembre 1721, entrò nell’Oratorio napoletano. Dottore in teo- logia, fu presentato dal re di Napoli (17 aprile 1742) ed eletto da Benedetto XIV vescovo dell’Aquila il 25 maggio 1742, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Acquaviva il 26 maggio seguente. Dotto e dedito agli stu- di, fondò l’accademia di storia ecclesiastica. Predilesse il seminario, dove istituì nuove cattedre di filosofia e teologia e aprì la scuola del canto grego- riano, secondo le norme del concilio di Trento. Nel 1748 fece venire a L’A- quila il frate Leonardo da Porto Maurizio (futuro santo) per predicare un cor- so di missioni alla città. Il 1° dicembre 1749, ammalatosi a causa della rigi- dità del clima aquilano, fu trasferito a Castellammare di Stabia. Compì due volte la visita pastorale della diocesi, celebrò un sinodo diocesano e si ado- però per l’erezione del seminario. Promosse la devozione a san Filippo Ne- ri, dedicandogli un altare con l’immagine nella cattedrale di Castellammare, che fece ingrandire, modificandone l’abside. Fu un vescovo vigilante, fermo di carattere, affabile, amante della povertà, prodigo verso i bisognosi. Pub- 174 ANNALES ORATORII blicò alcune opere religiose e poetiche. Morì l’8 agosto 1767 a Casamiccio- la (Ischia), dove risiedeva per cure termali, e fu sepolto nella chiesa di San- t’Antonio di quella città..

COPPOLA Nicola, nacque a Napoli il 20 gennaio 1758. Entrato nell’O- ratorio napoletano il 7 dicembre 1772 e asceso al sacerdozio il 23 dicembre 1780, si dedicò alla predicazione, al ministero della confessione e all’assi- stenza spirituale dei condannati a morte. Dottore in teologia all’università di Napoli, fu presentato dal re delle Due Sicilie (20 marzo 1818) e il 25 maggio 1818 fu eletto da Pio VII arcivescovo di Bari, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Bartolomeo Pacca il 31 maggio successivo. Nel 1820, a causa di sconvolgimenti politici, si ritirò a Napoli, dove, nel 1821, fece parte della Commissione di Scrutinio destinata ad esaminare la condotta degli ec- clesiastici. Non incontrò le simpatie del clero per aver chiuso il seminario, an- che se poi lo riaprì migliorandone le strutture, e per aver sospeso alcuni esa- gerati privilegi riservati al capitolo della cattedrale. A causa della avversa sa- lute, il 17 novembre 1823 fu trasferito a Nola. All’aggravarsi dell’infermità, rientrò a Napoli, nella casa dell’Oratorio, dove morì il 14 aprile 1828.

COSTA Cesare, di nobile famiglia originaria d’Assisi, nacque a Macera- ta nel 1530. Appassionato cultore degli studi classici e della lingua greca e in- signe giurista, fece parte dei «correctores romani» per la pubblicazione del Decretum Gratiani. Entrato in familiarità con padre Filippo, aderì alla Con- gregazione oratoriana, recandosi a Napoli, dove scrisse la sua opera più im- portante Variarum ambiguitatum iuris libri tres (Napoli 1573). Il 19 novem- bre 1572 fu nominato vescovo di Capua. Celebrò vari sinodi, curò la spiri- tualità nei monasteri e nel seminario, fondò una biblioteca, promosse l’inse- gnamento del catechismo, aiutò i poveri. Il 22 giugno 1585 Sisto V lo nomi- nò nunzio a Venezia, dove incrementò la collaborazione tra la Serenissima e la Santa Sede. Richiamato a Roma il 16 novembre 1587, rientrò nella sua dio- cesi. Morì a Napoli il 2 febbraio 1602 e fu sepolto nella cattedrale di Capua.

CRESPI DE BORJA Luis, nacque a Valencia il 2 maggio 1607. Asceso al sacerdozio nel 1631, si dedicò alla predicazione in chiesa e nelle pubbli- che piazze, non trascurando l’insegnamento nella università. Recatosi due volte a Roma con l’incarico di dirimere alcune questioni sorte nella Chiesa di Valencia, frequentò la Vallicella e conobbe l’Oratorio di san Filippo Neri. Ritornato in patria fondò a Valencia, nel 1645, la Congregazione oratoriana, G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 175 con la collaborazione d’altri zelanti sacerdoti, i quali iniziarono gli esercizi propri dell’istituto, unitamente ad opere caritative, specialmente quando la peste colpì la città di Valencia nel 1647. Il re Felipe IV, l’8 maggio 1651, lo nominò vescovo d’Orihuela, confermato dal Papa il 28 ottobre successivo. Fu consacrato nella cattedrale di Valencia. Governò la diocesi con dedizione e amore, acquistandosi la benevolenza di tutti, tanto da essere considerato co- me un padre. Il 2 settembre 1658 fu trasferito a Plasencia, dove visse pove- ro, dando tutto quello che aveva in opere di beneficenza, impegnato a ravvi- vare la fede e la testimonianza cristiana per mezzo delle missioni popolari. Il re Felipe IV lo inviò come ambasciatore a Roma, per implorare dal Papa la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Alessandro VII lo accolse con particolare benevolenza e, dopo maturo esame da parte della congregazione del S. Uffizio, confermò, con la bolla Sollecitudo om- nium Ecclesiarum, la dottrina dei romani pontefici circa la Vergine Immaco- lata. Ritornato in diocesi, sua prima cura fu di fondare un seminario per gli aspiranti al sacerdozio; ma, ormai consunto dalle fatiche, il 19 aprile 1663 morì. Solenni funerali furono celebrati a Madrid e in altre città della Spagna, lodato per la santità della vita, l’attività pastorale, la dottrina e gli scritti. Fu sepolto nella chiesa della Congregazione oratoriana a Valencia.

DA CRUZ VALÉRIO José, nacque a Covilhã il 19 dicembre 1749. En- trato nell’Oratorio di Lisbona, divenne sacerdote il 10 marzo 1781. Il 13 giu- gno 1798 fu presentato dalla Regina per il vescovado di Portalegre e fu con- fermato da Pio VI il 14 novembre successivo, ricevendo la consacrazione il 24 febbraio 1799 a Lisbona nella chiesa reale di Nostra Signora delle Ne- cessità. Si dedicò principalmente alla preghiera e allo studio. Visitò la dio- cesi, arricchì la biblioteca del palazzo vescovile di numerose opere di Santi Padri, fece ampliare l’ospedale e fondere una campana per la pubblica piaz- za, elargì cospicue elemosine ai poveri, distribuì pane in abbondanza agli operai durante la chiusura di una fabbrica di tessuti. Morì il 17 luglio 1826.

DE AZEVEDO PEGADO José, nacque a Lisbona nel 1751 e divenne sacerdote il 9 agosto 1778. Oratoriano di Lisbona, fu esaminatore sinodale, censore dei libri, giudice del tribunale ecclesiastico, professore di grammati- ca, filosofia, teologia e diritto, parroco. Presentato dal principe di Basilia, fu nominato da Pio VII vescovo d’Angra (Isole Azzorre nell’Oceano Atlantico) il 20 luglio 1801, ricevendo la consacrazione il 13 novembre successivo. De- dicò il ministero episcopale alla riforma morale del clero, principalmente dei 176 ANNALES ORATORII religiosi che attraversavano un periodo di deplorevole decadenza. Severo nel correggere gli abusi, incontrò l’odio di coloro che non sopportavano la sua rigorosa disciplina. Nel luglio 1810, amareggiato per questa situazione, si ri- tirò in un convento della città di Ponta Delgada, dove morì il 19 giugno 1812.

DE LA LLOSA Pietro, nacque a Sucre il 7 agosto 1829. Entrò nella Con- gregazione oratoriana di Sucre, dove l’11 luglio 1852 fu ordinato sacerdote. Dottore in diritto civile e in teologia universa all’università di Sucre (4 mag- gio 1852), ricoprì vari incarichi nella diocesi platense. Fu rettore del colle- gio del seminario di Sucre, decano della metropolitana di La Plata, vicario capitolare e per molti anni preposito dell’Oratorio. Il 14 novembre 1887 fu nominato vescovo di La Plata (Bolivia), ricevendo la consacrazione a La Pla- ta il 20 maggio 1888. Morì il 2 agosto 1897.

DE MAGISTRIS Simone, nacque a Sezze il 28 febbraio 1728. Venuto a Roma, il 22 novembre 1760 entrò nella congregazione romana dell’Oratorio. Ricevuta l’ordinazione sacerdotale il 18 dicembre 1762, continuò ad appli- carsi allo studio delle antichità ecclesiastiche, curando in particolare il cam- po della filologia biblica e delle lingue orientali e dedicandosi alla edizione d’antiche fonti sacre, secondo l’impostazione del celebre confratello Giusep- pe Bianchini, alla cui morte riprese la pubblicazione, nel 1772, delle versio- ni greche del libro di Daniele. Agli inizi del pontificato di Pio VI confermò la sua scelta rigorosamente romana e filocuriale, distinguendosi come avver- sario delle tendenze e simpatie giansenisteggianti, anche d’alcuni suoi con- fratelli. Tenuto in grande considerazione dal pontefice, fu chiamato a presie- dere la congregazione incaricata della revisione dei libri liturgici delle Chie- se Orientali e il 27 febbraio 1792 fu nominato vescovo titolare di Cirene in Libia, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Francesco Saverio de Zelada il 14 marzo successivo. Il 18 giugno dello stesso anno divenne assi- stente al soglio pontificio. Proseguì la sua attività d’erudito editore di testi e fonti di storia sacra, inserendosi nella ripresa del culto e degli studi sui mar- tiri. Durante la giacobina Repubblica romana propugnò l’obbedienza assolu- ta dovuta ad ogni decisione pontificia e l’infallibilità papale. Nel 1793 gli venne assegnata la direzione della tipografia poliglotta di Propaganda Fide, che tenne fino alla morte, avvenuta a Roma il 6 ottobre 1802. Nel 1805 la sua preziosa e ricca biblioteca venne posta in vendita. Nella biblioteca Valli- celliana a Roma si conservano, inediti, tre suoi grossi volumi manoscritti di Sermoni per le feste di santi e altre ricorrenze. G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 177

DE MELO José Maria, nacque a Lumiar il 10 settembre 1756. Dottore in diritto canonico all’università di Coimbra (24 ottobre 1776), il 29 giugno 1777 entrò nell’Oratorio di Lisbona e il 23 settembre 1780 fu ordinato sa- cerdote. Presentato dalla Regina (16 giugno 1787), il 23 aprile 1787 fu no- minato vescovo d’Algarve, ricevendo la consacrazione a Lisbona nella chie- sa di Nostra Signora delle Necessità il 3 giugno successivo. Dedicò la sua opera soprattutto al seminario. Nominato confessore della regina D. Maria I, il 16 gennaio 1789 si dimise dall’ufficio pastorale, pur conservando il titolo di vescovo di Algarve, e passò a corte, dove fu nominato presidente della giunta per la disciplina degli ordini religiosi e socio dell’accademia reale del- le scienze. Il 25 gennaio 1791 fu nominato Inquisitore generale del Regno. Nel 1808, in occasione dell’occupazione francese, fece parte della delega- zione recatasi in Francia a rendere omaggio a Napoleone I, tenuta in prigio- nia per sei anni a Bordéus. Il 4 maggio 1814 rientrò nella sua antica diocesi d’Algarve. Morì a Lisbona il 9 gennaio 1818.

DE OLIVEIRA Julio Francisco, nacque a Lisbona nel 1693. Entrato nel- la Congregazione oratoriana di Lisbona il 16 luglio 1707, divenne sacerdote il 28 marzo 1716. Insegnò filosofia, teologia e morale, fu censore del S. Uf- ficio (1728) ed esaminatore dell’ordine militare (1731); fece parte, nel 1736, dei cinquanta accademici dell’Accademia Reale di Storia ed ebbe l’incarico di scrivere la vita di D. João I. Presentato dal Re prima per il vescovado di Funchal, poi per quello di Viseu, fu confermato da Benedetto XIV il 2 gen- naio 1741, ricevendo la consacrazione a Lisbona il 5 marzo successivo. Fu un pastore zelante, dedito ad opere di religione e di carità. Curò la forma- zione spirituale dei chierici e dei sacerdoti, promosse l’istruzione catechisti- ca, visitò i carcerati e gli ammalati, portando personalmente il viatico agli in- fermi, incrementò la devozione alla Vergine Maria. Fece due visite pastorali (1744 e 1747) e celebrò due sinodi (1745 e 1748). Diffuse la devozione a san Filippo Neri. Nel 1758, a sue spese, fece restaurare e ampliare l’ospedale. Morì, ricco di meriti, il 26 dicembre 1765.

DE PACE Giovan Battista, nacque a Napoli nel 1627. Dottore in utro- que iure, entrò nell’Oratorio napoletano, impegnandosi nella predicazione ed in opere di carità. Il 16 maggio 1684 fu eletto da Innocenzo XI vescovo di Capaccio, ricevendo la consacrazione a Roma, alla Vallicella, dal cardinale Alessandro Crescenzi l’11 giugno successivo. Si distinse per il grande amo- re che nutrì per gli indigenti e per gli umili, e morì poverissimo, dopo aver 178 ANNALES ORATORII elargito le sue limitate risorse ai più bisognosi. Morì a Napoli, dove si tro- vava per curare i suoi mali, il 20 novembre 1698.

DE ROSARIO Vincenzo, dell’Oratorio di Goa. Il 23 dicembre 1836 fu eletto vescovo titolare di Taumaco (Tessalia I) e vicario apostolico di Cey- lon, ricevendo la consacrazione a Verapoli nel dicembre 1838. Morì a Co- lombo il 29 aprile 1842.

DO AVELAR GOMES Francisco, nacque a Calhandriz il 17 gennaio 1739. Entrato nell’Oratorio di Lisbona il 17 settembre 1757 e ordinato sa- cerdote il 26 febbraio 1763, ebbe la cattedra di retorica, filosofia, morale e sacra scrittura. Nel 1784 risiedette per quattro anni a Roma presso il nunzio Rannuzi, di cui era confessore. Ritornato in patria, il 3 febbraio 1789 fu no- minato dalla Regina vescovo d’Algarve e confermato da Pio VI il 30 marzo successivo. Ricevette la consacrazione nella chiesa della Congregazione il 26 aprile seguente. Entrato in diocesi, il 26 maggio, fece la visita pastorale con grande zelo e pietà, promuovendo opere religiose e sociali. Negli anni 1794 e 1795 fece una seconda visita pastorale, iniziando la costruzione della chie- sa d’Aljezur e dell’ospedale della Misericordia a Faro. Fece, inoltre, una ter- za visita pastorale. Il suo fu un episcopato eminentemente pastorale, dedito alla formazione del clero e del popolo, al decoro del culto divino e al mi- glioramento dei costumi, al progresso delle realtà pubbliche, specie dell’a- gricoltura e delle arti. Una delle sue principali cure fu il soccorso dei pove- ri, degli orfani e degli abbandonati. Nel 1814 il principe Reggente gli confe- rì, per i suoi grandissimi meriti, il titolo di arcivescovo. Morì a Faro il 15 di- cembre 1816, ricco di virtù e di benemerenze. Il suo biografo scrisse che pa- dre Francisco fu un padre amato, un pastore fervoroso, un maestro illumina- to e uno dei più illustri vescovi portoghesi.

DO SACRAMENTO DUARTE João (venerabile), nacque a Lisbona il 3 ottobre 1630, dove fu sagrestano, nel 1659, della cappella reale e nello stesso anno, il 7 giugno, divenne sacerdote. Entrato nell’Oratorio di Lisbona, ebbe per direttore spirituale padre Bartolomeu do Quental, il quale nutriva il desi- derio di evangelizzare la regione di Pernambuco, colonizzata per 24 anni dal- l’occupazione olandese. Nel 1662, padre Do Sacramento partì missionario per il Brasile, assieme al padre João Rodrigues Vitória. S’installò a Santo Amaro, in pieno bosco, vicino ad Olinda, dove iniziò a predicare le missioni per la ca- techizzazione degli Indi. Fondò la Congregazione oratoriana di Pernambuco, G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 179 approvata da Clemente X il 17 luglio 1671 col breve Ad pastoralis dignitatis fastigium. Il 12 maggio 1674 la congregazione di Propaganda Fide nominò padre Do Sacramento primo prefetto delle Missioni oratoriane in Brasile, con- cedendogli ampie facoltà nel territorio. Il 10 settembre 1685 fu eletto vesco- vo d’Olinda, nello stato di Pernambuco, con la bolla d’Innocenzo XI Gratiae divinae praemium. Non ricevette la consacrazione episcopale, perché la bolla pontificia arrivò proprio il giorno della sua morte, avvenuta il 10 gennaio 1686, a causa dell’assistenza agli ammalati di un male contagioso che colpì Pernambuco, provocando una grande strage. Fu sepolto a Recife, nella chie- sa oratoriana della Madre di Dio, che egli aveva fatto costruire nel 1679. Nel famoso libro Nova Lusitania fu chiamato «apostolo del Brasile».

DRAGONETTI Giacinto, nacque all’Aquila nel 1667. Entrato nella Congregazione oratoriana della sua città, divenne sacerdote il 4 giugno 1689. Dottore in filosofia e teologia, il 5 marzo 1703 fu eletto vescovo di Nusco. L’11 settembre 1724 fu trasferito alla sede vescovile di Marsi. Si dedicò al ministero pastorale con zelo e bontà. Fu pure un vescovo studioso e scritto- re, che – per umiltà – non pubblicò mai nulla. Morì all’Aquila il 20 dicem- bre 1730 e fu sepolto nella cappella gentilizia della famiglia, nella chiesa di san Bernardino da Siena.

EUSTACHIO Giovan Tommaso (venerabile), nacque a S. Bartolomeo sul Volturno il 7 marzo 1575. All’età di 18 anni venne a Napoli, dove il 10 ottobre 1592 fu accolto nella Congregazione oratoriana. Fu ordinato sacer- dote il 27 marzo 1599. Contro voglia e con grande dolore, il 9 gennaio 1612 fu eletto vescovo di Larino, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardina- le Roberto Bellarmino il 15 gennaio successivo. Il suo episcopato fu emi- nentemente riformatore. Celebrò un sinodo nel 1616, riaprì il seminario e lo provvide di dotti e pii maestri, si adoperò per la riforma del clero e dei co- stumi del popolo. A causa della malferma salute, il 10 novembre 1616 ri- nunziò all’ufficio pastorale e, dopo la permanenza di qualche mese a Roma, nel 1617 ritornò nella sua Congregazione di Napoli, vivendo come un sem- plice prete, dedito alla predicazione dei sermoni ai nobili e al popolo, ammi- rato per la santità della vita. Morì il 1° gennaio 1641. Lasciò, edite ed inedi- te, alcune operette ascetiche.

FERRANTE Aniceto, nato ad Atina (Frosinone) il 28 settembre 1823, entrò nell’Oratorio di Napoli il 28 agosto 1840. Fu ordinato sacerdote il 29 180 ANNALES ORATORII maggio 1847. Prefetto dei novizi per molti anni, confessore e predicatore ri- cercato, il 21 marzo 1873 fu eletto vescovo di Gallipoli, dove fece il possi- bile «per condurre la vita a modo di Filippino», governando da buon pasto- re la sua Chiesa, in povertà, umiltà e carità. Nel 1879 si ritirò, sofferente, ad Avito, ove continuò a dedicarsi all’attività di scrittore fecondo ed elegante, lasciando una produzione di una trentina di volumi, fra cui numerose bio- grafie di santi. Apprezzato dai letterati Pellico e Tommaseo e dai papi Pio IX e Leone XIII per la sua spiritualità e le doti pastorali, si spense piamente il 19 gennaio 1883.

FERRUZZO Giovanni Battista, nacque a Messina. Licenziato in utro- que iure e dottore in teologia, entrò nell’Oratorio messinese e divenne sa- cerdote il 7 marzo 1626. Ricoprì la carica di amministratore dell’ospedale de- gli italiani a Madrid e vi fondò, nel 1646, una Escuela de Cristo. Fu eletto da Alessandro VII vescovo di Trivento il 14 gennaio 1655, ricevendo la con- sacrazione a Roma dal cardinale Giulio Sacchetti il 20 giugno successivo. Di lui si sa solo che ottenne per la cattedrale la reliquia del cranio di san Valen- tino martire. Morì nell’agosto 1658.

FOPPA Giovan Battista, nacque a Roma nel 1603 ed entrò nell’Orato- rio romano il 14 settembre 1622. Il 18 marzo 1643 fu eletto arcivescovo di Benevento, dove propagandò il culto a san Filippo Neri, dedicandogli una cappella in episcopio e facendolo eleggere protettore della città. Pastore ze- lante, governò la diocesi per oltre un trentennio, promuovendo la vita cri- stiana con l’esempio e la parola. Il 22 giugno 1643 fu insignito del pallio. Morì il 16 dicembre 1673. Scrisse un commentario ai Morali di san Grego- rio Magno, la cui prima parte (l’unica prodotta) fu edita a Roma nel 1673.

FUSTER Gaspare, nacque ad Albocácer (Spagna) nel 1652. Oratoriano di Valencia, conseguì il dottorato in teologia all’università valentina (8 set- tembre 1673), dove in seguito fu professore. Divenuto sacerdote l’8 giugno 1675, fu beneficiario nella parrocchia di San Juan del Mercado e rettore del Colegio de la Ciudad. Presentato dal re di Spagna (27 agosto 1714), il 4 ot- tobre 1714 fu eletto arcivescovo di Sassari, ricevendo la consacrazione a Ro- ma dal cardinale Fabrizio Paolucci il 25 novembre successivo e il 7 dicem- bre seguente fu insignito del pallio. Di lui non si hanno molte notizie, perché fu costretto a vivere a lungo lontano dalla sua sede. Nel 1717 si rifiutò di can- tare in cattedrale il Te Deum per la conquista della Sardegna fatta da Filippo G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 181

IV. Per questo fu allontanato dal regno ed ebbe sequestrate le rendite. Ritira- tosi a Bonifacio, in Corsica, rientrò solo dopo la caduta della dominazione austriaca, quando il regno di Sardegna passò a Vittorio Emanuele II di Sa- voia, ma morì poco dopo, il 28 agosto 1720, e fu sepolto in cattedrale. Du- rante il suo episcopato fu inaugurata, nel 1715, la grande facciata della cat- tedrale.

GARCÍA ABELLA Pablo, nacque a Madrid il 5 marzo 1776. Divenuto sacerdote l’8 marzo 1800, nel 1803 entrò nell’Oratorio di Madrid, addotto- randosi in teologia universa ad Almagro (10 settembre 1803). Il 9 giugno 1808, a causa dell’invasione della Spagna da parte delle truppe di Napoleo- ne, fu deportato in Francia con altri confratelli, fino al 1814. Il 17 settembre 1827 fu eletto vescovo titolare di Tiberiopoli (Frigia Pacaziana II) e ausilia- re di Toledo, ricevendo la consacrazione a Madrid, nella chiesa di san Filip- po Neri, dal cardinale Pietro Inguanzo Rivero il 9 dicembre successivo. Pre- sentato dal Re (18 dicembre 1832), il 15 aprile 1833 fu promosso vescovo residenziale di Calahorra e La Calzada. La sua ferma difesa dei diritti della Chiesa e le proteste presentate alla regina Isabel II contro la riforma del cle- ro, la vendita dei beni ecclesiastici e la soppressione degli ordini religiosi, gli costò la degradazione civile e l’esilio a Mallorca da parte del governo libe- ral-massonico, che lo tenne in questo stato, esiliato in varie città della Spa- gna, fino al 1844. Presentato dalla Regina (2 gennaio 1848), il 17 gennaio 1848 Pio IX lo elevò alla sede arcivescovile di Valencia, insignendolo del pallio. Tanto crebbe il suo prestigio, che fu nominato membro della com- missione per la stipulazione del Concordato del 1850. Egli, tra l’altro, si ado- però affinché un regolamento del 1852 contemplasse espressamente la re- staurazione delle congregazioni dell’Oratorio in Spagna. Fu un pastore so- lerte del bene spirituale del suo popolo e del clero, ai quali predicò perso- nalmente nei periodi di avvento e di quaresima, visitò personalmente tutte le parrocchie, spronò i suoi diocesani alla preghiera e alla carità, specialmente nel 1854, quando il colera, le inondazioni e un terremoto colpirono il terri- torio di Valencia. La salute, precaria negli ultimi anni, lo portò, dopo breve infermità, alla morte avvenuta il 6 agosto 1860. Fu sepolto nella cappella del- l’Immacolata Concezione della cattedrale di Valencia, dove fu posta un’i- scrizione latina.

GIRGENTI Francesco, nacque a Palermo il 20 maggio 1639. Entrato nella Congregazione oratoriana palermitana, divenne sacerdote il 29 marzo 182 ANNALES ORATORII

1664. Dottore in utroque iure e in teologia, fu consultore e censore del S. Uf- ficio in Sicilia (1684) e vicario generale a Palermo (1695). Presentato dal re Carlo II, l’11 aprile 1699 fu eletto vescovo di Patti da Innocenzo XII, rice- vendo la consacrazione a Roma dal vescovo di Melfi il 12 aprile seguente. Nel breve periodo del suo servizio pastorale si distinse per la carità verso i poveri, gli sconsolati e i derelitti. Per beneficare i bisognosi esaurì più volte i redditi dell’abbondante patrimonio della mensa vescovile, prelevò denaro a mutuo per sollevare la miseria, si privò della biancheria e delle vesti per co- prire gli ignudi. Protesse gli studi e gli studiosi, aprendo nuove scuole e am- pliando il seminario. Morì di morte repentina il 25 settembre 1701 e fu se- polto in cattedrale.

GIUSTINIANI Fabiano, nacque a Terraferma (Genova) il 20 settembre 1578 da nobile famiglia. D’ingegno vivace, studiò brillantemente filosofia, teologia, aritmetica, astronomia, disegno e pittura. Entrò nell’Oratorio di Ro- ma l’11 gennaio 1597 e il 14 maggio 1606 divenne sacerdote. Si dedicò ad opere di carità e alla predicazione dei sermoni, su argomenti tratti dalla Bib- bia e dalla Patristica. Organizzò la biblioteca Vallicelliana, dotandola di un catalogo in due volumi, per autore e per materia. Paolo V, il 13 giugno 1616, lo nominò vescovo di Ajaccio. Intraprese un’intensa opera di riforma di usi e costumi, istituì il seminario, aprì un collegio per la gioventù, celebrò un si- nodo, restaurò, a proprie spese, la cattedrale e l’episcopio. Lasciò varie ope- re, edite ed inedite, di carattere scritturistico e bibliografico. Morì il 5 gen- naio 1627 e fu sepolto nella cattedrale di Ajaccio.

GIUSTINIANI Orazio, nacque da famiglia genovese nell’isola di Chio il 28 febbraio 1580. Nel 1604, recatosi a Roma, conobbe l’Oratorio dove en- trò, assieme al fratello Giuliano, il 30 agosto 1614. Urbano VIII lo nominò consultore del S. Ufficio (1630) e custode della Biblioteca vaticana. Il 13 set- tembre 1640 fu eletto vescovo di Montalto nel Piceno. Innocenzo X, il 16 gennaio 1645, lo trasferì – sembra per ragioni di salute – a Nocera Umbra dove, il 7 luglio successivo, fondò la Congregazione oratoriana nella chiesa di San Bernardo. Il 6 marzo 1645 fu creato cardinale col titolo di sant’Ono- frio al Gianicolo. Il 25 settembre 1646 rinunciò all’ufficio pastorale, al qua- le si era dedicato con grande impegno, curando soprattutto l’istruzione reli- giosa del popolo e quella liturgica del clero, essendo stato nominato Biblio- tecario di S. R. C. e Penitenziere Maggiore. Fu dotato di singolare bontà, dot- trina e pietà, tanto che molti lo ritenevano degno successore di Innocenzo X G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 183 nel papato. Se ne avvantaggiò il Papa, per le sue qualità e conoscenze, nelle vicende della Chiesa greca e della Chiesa di Chio, con gli Orientali dissidenti e, nel 1635, inviandolo ad Ancona per dirimere la questione dei tre prelati, i quali rivendicavano, ognuno, la dignità patriarcale di Costantinopoli. Diede alla luce parecchie opere, fra cui gli Acta sacri oecumenici Concilii Floren- tini; altre si trovano manoscritte nella biblioteca Vallicelliana di Roma. Nel 1646, a sue spese, fece erigere a Carbognano una chiesa dedicata a san Fi- lippo Neri. Morì a Roma il 20 luglio 1649 e volle essere sepolto alla Valli- cella.

GUZZONI Tommaso, nacque a Benevento nel 1632. Entrato nella Con- gregazione oratoriana di Perugia il 13 maggio 1653, divenne sacerdote il 18 settembre 1655. Dottore in utroque iure alla Sapienza di Roma, fu «ottimo soggetto nel sermoneggiare e fervoroso nell’osservanza dell’Istituto e perciò stimato nella discreta diretione delle anime, da tutta la città». Ebbe rapporti di spiritualità con la cortonese Lucia Tartaglini, fondatrice del Conservatorio delle zitelle perugine, morta in concetto di santità. Il 13 gennaio 1681 fu elet- to vescovo di Sora, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Ales- sandro Crescenzi il 26 gennaio successivo. Nel ministero episcopale brillò per la pietà e per l’amore verso il prossimo. Diede alle stampe la vita del car- dinale Baronio, in latino, e lasciò, manoscritta, quella di san Filippo Neri, stampata postuma nel Bollando. Il 5 dicembre 1702 rinunciò all’ufficio pa- storale. Morì a Roma l’8 novembre 1704.

HERRERO Y ESPINOSA DE LOS MONTEROS Sebastián, nacque a Jerez de la Frontera (Cádiz) il 20 gennaio 1822. Dottore in utroque iure al- l’università di Siviglia, dopo una giovinezza laboriosa, nel 1856, entrò nel- l’Oratorio di Siviglia. Ordinato sacerdote nel 1860, si dedicò alla predica- zione, alla direzione delle anime, all’assistenza dei condannati a morte e al ripristino della Congregazione oratoriana di Cádiz. Nel 1861 fu nominato ret- tore del seminario di Cádiz, nel 1864 canonico della Collegiale di Jerez de la Frontera, nel 1866 vicario generale di Cádiz e nel 1868 arciprete della cat- tedrale. Stimato per la sua cultura e integrità morale, fu proposto dal Re (23 gennaio 1875) e confermato da Pio IX, il 15 settembre 1875, vescovo di Cuenca, ricevendo la consacrazione a Cádiz il 30 novembre successivo. Un anno dopo, il 18 dicembre 1876, fu trasferito a Vitoria, dove costruì il semi- nario, lavorò instancabilmente per risolvere in termini pacifici le aspre con- tese politiche dei suoi diocesani e restituì ai gesuiti il santuario ignaziano di 184 ANNALES ORATORII

Manresa. Nel giugno 1880 rinunciò all’ufficio pastorale per motivi di salute. Ristabilitosi, il 27 marzo 1882 fu nominato vescovo di Oviedo e il 15 mar- zo 1883 fu trasferito a Cordoba, dove fece la visita pastorale alla diocesi, par- tecipò al concilio provinciale e al congresso eucaristico nazionale e fu eletto senatore, distinguendosi per la difesa dell’istruzione religiosa. Il 24 marzo 1898 fu promosso arcivescovo di Valencia. Il 22 giugno 1903 fu creato car- dinale, col titolo dei santi Bonifacio ed Alessio. Fu un pastore infaticabile, che si servì delle sue qualità pastorali e letterarie per la crescita spirituale e umana dei suoi diocesani, in tutti i luoghi dove fu chiamato ad operare. Mo- rì a Valencia il 9 dicembre 1903, dopo aver partecipato, pur malato, al con- clave dal quale uscì Pio X. Il suo corpo fu sepolto nella cattedrale di Valen- cia, nella cappella dell’Immacolata Concezione.

HUIX MIRALPEIX Salvio (servo di Dio, martire), nacque a Santa Mar- garita de Vellors (Gerona) il 22 dicembre 1877. Ordinato sacerdote nella dio- cesi di Vic il 19 settembre 1903, entrò quattro anni dopo nella congregazio- ne dell’Oratorio di quella città. Per vent’anni si dedicò ad un intenso apo- stolato: predicazione, confessione e direzione spirituale, pubblicazione d’ar- ticoli giornalistici, insegnamento in seminario, promozione d’associazioni femminili, specialmente delle congregazioni mariane. Era preposito dell’O- ratorio di Vic quando, il 15 febbraio 1927, fu nominato vescovo titolare di Salimbria e amministratore apostolico di Ibiza. La vita religiosa ebbe da lui uno straordinario impulso; gli obiettivi principali furono il seminario, il cle- ro, l’azione cattolica, gli esercizi spirituali, il culto all’Eucaristia e alla Ver- gine Maria. Fece il primo sinodo, eresse varie parrocchie, pubblicò il cate- chismo diocesano in lingua catalana. Il 24 gennaio 1935 fu promosso alla diocesi di Lérida, dove profuse la sua ansia apostolica a favore della gioventù e diede notevole incremento al catechismo, all’azione cattolica e alla celebre accademia mariana. Durante la rivoluzione, il 21 luglio 1936, i rossi assali- rono il palazzo episcopale ed egli il 23 successivo, dopo aver messo in sal- vo i familiari e i servitori, si presentò spontaneamente ad un corpo di guar- dia, dichiarando il suo ufficio di pastore della città. In carcere, con gli altri prigionieri, ci fu una vera gara di solidarietà e di spirito evangelico, culmi- nati nella comunione – che doveva servire da viatico – distribuita clandesti- namente dal vescovo tra la commozione generale. Il 5 agosto 1936, alle ore 4.30 del mattino, furono condotti al cimitero per la fucilazione. Monsignor Huix impartì a tutti l’assoluzione e chiese di essere sacrificato per ultimo per benedire i suoi compagni di martirio. Al momento dell’arresto consegnò la G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 185 croce pettorale ad un conoscente, perché fosse fatta pervenire al Papa, assi- curandolo della sua fedeltà alla Chiesa, per la quale offrì la vita.

JOURDAN DE LA PASSARDIÈRE Félix, nacque a Granville (Co- utances) il 21 marzo 1841. Il 10 giugno 1865 fu ordinato sacerdote e nel 1868 entrò nell’Oratorio di Roma, per fondare, nel 1877, quello di Draguignan. Sa- cerdote pio, dall’eloquenza spontanea e calorosa, si dedicò alla predicazione delle missioni in Francia, Italia, Spagna, Austria e Polonia. Istituì l’ Opera della Gioventù e la Cappella oratoriana, con lo scopo di condurre alla fede la classe intellettuale e quella popolare. Il 3 ottobre 1884 fu eletto vescovo titolare di Roséa e ausiliare di Grenoble, ricevendo la consacrazione il 12 ot- tobre successivo. Il 13 novembre 1885 fu trasferito come ausiliare a Lione, poi a Tunisi, quindi, dal 1893 al 1908, a Rouen, infine divenne ausiliare di Parigi. Nel 1910 rinunciò all’ufficio pastorale e si ritirò a Granville, dove mo- rì il 12 marzo 1913.

LANTERI Vincenzo, nacque a Ventimiglia. Entrò nell’Oratorio romano il 17 maggio 1597, con destinazione alla casa di Napoli, allora dipendente da Roma. Dottore in filosofia e teologia, il 18 maggio 1616 fu eletto arcivesco- vo di Ragusa (Dubrovnik in Dalmazia), insignito del pallio. Il 19 giugno 1628 fu trasferito da Urbano VIII alla Chiesa di Veroli. Disimpegnò con molta lo- de il ministero pastorale, celebrando nel 1630 il sinodo diocesano e dotando la cattedrale di due nuove cappelle e di un artistico pulpito ligneo. Restaurò il palazzo episcopale, dove eresse una cappella dedicata a san Filippo Neri. Fu particolarmente devoto di santa Francesca Romana, ponendo nel 1632 la prima pietra di una chiesa a lei dedicata. Provvide a regolare e a disciplina- re in maniera più rigorosa la vita delle monache e del monastero delle Be- nedettine. Donò alla biblioteca Vallicelliana il codice B. 32 del sec. XI, insi- gne monumento paleografico della città di Veroli. Qui morì il 3 ottobre 1649 e fu sepolto in cattedrale.

LÓPEZ Y GARCÍA Simón, nacque a Nerpio (Murcia) l’11 aprile 1744. Dottore in teologia, entrò nella Congregazione oratoriana di Murcia, dove si dedicò all’assistenza dei bisognosi e alla traduzione in castigliano d’opere d’autori religiosi di quel tempo. Amico del beato Diego José de Cádiz, assi- stette nel 1804, a Cartagena, gli appestati con pericolo della sua vita. Nomi- nato membro del senato di Cádiz, si distinse nella difesa dei diritti della Chie- sa e contro le riforme liberali. Il re Fernando VII lo preconizzò, nel 1814, ve- 186 ANNALES ORATORII scovo di Panamá, però il 18 dicembre 1815 fu eletto vescovo d’Orihuela, ri- cevendo la consacrazione a Valencia il 5 maggio 1816. Essendosi rifiutato di sottomettersi alla costituzione, durante il triennio liberale, fu allontanato dal- la Penisola. Si stabilì a Roma, dove Pio VII lo nominò prelato domestico, as- sistente al soglio pontificio e nobile romano. Nel 1823 ritornò in diocesi. Leo- ne XII, il 27 settembre 1824, lo promosse alla sede arcivescovile di Valen- cia, insignito del pallio. Nonostante l’età avanzata, compì la visita pastorale alla diocesi e, di frequente, per mezzo di lettere pastorali, mise in guardia i suoi diocesani dai pericoli delle idee laiciste, allora imperanti, esortandoli a compiere fedelmente i doveri cristiani. Nel 1824 creò la Giunta della Fede, per salvaguardare l’ortodossia contro gli eccessi e le contestazioni. Fu pro- tettore dell’ospedale generale, del seminario conciliare, dell’università lette- raria, della casa della misericordia e della beneficenza, dei conventi dei reli- giosi agostiniani e francescani. Completò, a sue spese, il restauro nella cat- tedrale, ed edificò il convento delle carmelitane e il collegio dei sacerdoti missionari di san Vincenzo de Paoli. Morì, carico d’anni e di fatiche, il 3 set- tembre 1831. Fu sepolto in cattedrale, nell’attuale cappella di san José.

MACULANI PERBENEDETTI Cosmo, nacque a Camerino il 12 no- vembre 1702. Entrato nell’Oratorio camerinese, divenne sacerdote il 21 di- cembre 1726, distinguendosi come predicatore e confessore. Dottore in teo- logia alla Sapienza di Roma (16 aprile 1748), il 6 maggio 1748 fu eletto ve- scovo di Terni, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Guadagni il 12 maggio successivo. Morì il 6 ottobre 1767.

MANZIANA Carlo, nacque ad Urago Mella (Brescia) il 26 luglio 1902. Amico sin dalla giovinezza di Giovanni Battista Montini, il 20 novembre 1923 entrò nell’Oratorio della Pace di Brescia, divenendo sacerdote il 2 gen- naio 1927. Fu docente di religione nei licei bresciani, fine cultore di belle arti e musica, ispiratore e sostenitore della resistenza al fascismo. Per la sua attività, fu arrestato il 6 gennaio 1944 e tradotto nel campo di concentra- mento di Dachau, in Germania, tra gli internati politici, dove coltivò amici- zie con cattolici, ortodossi e protestanti. Nel campo di concentramento die- de testimonianza di fede e di coraggio, attuando alla lettera quanto ebbe a dire: «Nei lager vinse l’amore». Il suo fragile fisico sopravvisse alle pesan- ti sevizie e alla dura detenzione. Liberato dalle forze americane il 29 aprile 1945, rimase in loco, dove si prodigò per il sostegno morale e materiale dei confratelli e dei compagni di prigionia. Rientrato in Italia, proseguì la mis- G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 187 sione d’educatore, specie fra i giovani studenti e gli intellettuali. Nominato da Paolo VI vescovo di Crema il 6 gennaio 1964 e ordinato il 2 febbraio dello stesso anno, s’impegnò con totale dedizione e amore alla vita pastora- le della diocesi e nella collaborazione alla riforma liturgica nazionale, ini- ziata col concilio Vaticano II. Nel settembre 1981 rinunziò all’ufficio pa- storale ritornando a Brescia, dove poté ancora svolgere quasi fino alla fine, il suo ministero spirituale e culturale. Morì il 2 giugno 1997, lasciando il ri- cordo di un appassionato amore a Cristo e alla Chiesa. Fu sepolto nella cat- tedrale di Crema.

MARELLI Tommaso Maria, nacque a Robassomero (Torino) il 23 lu- glio 1673. Entrato nell’Oratorio di Roma il 16 agosto 1692, divenne sacer- dote il 21 dicembre 1697. Dottore in teologia a Urbino (2 settembre 1716), il 7 dicembre 1716 fu eletto da Clemente XI arcivescovo d’Urbino, riceven- do la consacrazione a Roma dal cardinale Sebastiano A. Tanario il 21 di- cembre successivo, insignito del pallio. Il 23 febbraio 1739 fu trasferito alla Chiesa d’Imola. Il suo ministero episcopale fu un esempio luminoso ed edi- ficante di vita apostolica. Visitò più volte le diocesi, consacrò varie chiese, sopì antiche controversie, convocò il sinodo diocesano. Rimangono, splendi- do documento del suo zelo, gli Atti della Sacra Visita Pastorale, singolare «per ampia erudizione, per copia di documenti, per zelo indefesso e per di- sciplina di sacri canoni». Morì il 9 febbraio 1752.

MARTINELLI Francesco, nacque a Palermo da nobile famiglia. Dotto- re in diritto canonico e civile, in gioventù fu avvocato e giudice. Entrato nel- l’Oratorio palermitano, divenne sacerdote e nel 1677 vicario generale di Pa- lermo. Presentato dal re Carlo II di Spagna (26 marzo 1679), fu eletto da In- nocenzo XI vescovo di Patti il 22 gennaio 1680. Appena arrivato in diocesi cominciò la costruzione della chiesa di Santa Maria degli Agonizzanti, offi- ciata dalla confraternita dei Bianchi, che aveva lo scopo di cooperare alla sal- vezza spirituale dei condannati a morte. Gettò le basi per l’erezione della con- gregazione dell’Oratorio. Morì, dopo un anno appena di vescovado, il 3 apri- le 1681, lasciando erede di tutti i suoi beni patrimoniali la nascente Congre- gazione oratoriana.

MAZZONI João, si recò in Brasile al seguito della famiglia reale, come confessore della infanta D. Mariana, presso la corte di Rio de Janeiro. Ora- toriano di Bahia, il 13 maggio 1818 fu eletto dal re João VI arcivescovo di 188 ANNALES ORATORII

São Salvador da Bahia, ma egli ricusò la dignità episcopale, a causa dell’età avanzata e di mali fisici.

METTI Giulio, nacque a Firenze il 9 luglio 1816. D’umile origine, entrò nella Congregazione oratoriana di Firenze nel 1834 e fu ordinato sacerdote il 25 maggio 1839. Uomo d’elevato ingegno e di buona cultura, divenne l’a- nima della vita oratoriana in quella città. Nel 1848 gli fu affidato la direzio- ne dell’Oratorio e il 4 settembre 1867 l’ufficio di preposito. Per le sue qua- lità e meriti divenne l’esponente più autorevole della sua Congregazione, al- la quale prestò grandissimi servigi soprattutto nei tempi difficili della sop- pressione e dell’incameramento dei beni. Fu in relazione con uomini insigni del suo tempo, che gli tributarono, col calore dell’amicizia, l’omaggio d’alti riconoscimenti. Toccò a lui il privilegio di accogliere per la prima volta in Firenze, il 14 dicembre 1865, don Bosco, col quale era in corrispondenza epi- stolare, e di presentarlo alla città. Collaborò a periodici e lasciò varie pub- blicazioni: scritti d’occasione, drammi sacri per i giovani, versi, traduzioni, biografie. Il 29 luglio 1872 fu eletto vescovo di Livorno, ricevendo la con- sacrazione a Roma dal cardinale . Sempre un po’ cagione- vole di salute, dopo appena due anni, il 4 settembre 1874, morì, compianto da tutti.

MINUTOLO CAPECE Enrico, nacque a Napoli il 20 gennaio 1745. En- trato nell’Oratorio napoletano, fu ordinato sacerdote il 28 maggio 1768. Dot- tore in teologia universa all’università di Napoli (31 maggio 1792), fu pre- sentato dal re Ferdinando, il 13 giugno 1792, come vescovo di Mileto. Pio VI lo nominò il 18 giugno successivo, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Corsini il 24 seguente. Ebbe dal Papa l’espresso mandato di oc- cuparsi della ricostruzione della cattedrale, dell’episcopio, del seminario e del monte di pietà. Il decennio francese lo costrinse a restare fuori sede, mentre Mileto divenne campo di battaglia e quartiere dei francesi. Ritornato nel 1813, si dedicò alla ricostruzione morale e materiale della diocesi, eresse nuove parrocchie, ripristinò gli ospedali, fu prodigo verso i poveri, consacrò la cattedrale, visitò personalmente la diocesi. Morì a Mileto il 6 maggio 1824 e fu tumulato nella cattedrale.

MOLA Carlo, nacque a Napoli il 30 agosto 1832 e divenne sacerdote nel- l’Oratorio napoletano il 20 dicembre 1856. Laureato in lettere e scienze fi- losofiche, il 12 giugno 1893 fu eletto vescovo di Foggia, ricevendo la con- G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 189 sacrazione a Roma dal cardinale Lucido Maria Parrocchi il 18 giugno suc- cessivo. Nel ministero pastorale mostrò predilezione per i poveri, gli amma- lati e i detenuti. Ebbe a cura il seminario, si occupò dell’aggiornamento cul- turale dei sacerdoti, fece restaurare e riaprire al culto varie chiese. Nel 1898 invitò a Foggia le suore Marcelline per l’educazione della gioventù femmi- nile. Nel 1909, per ragioni di età e di semicecità, rinunciò all’ufficio pasto- rale e il 29 aprile dello stesso anno fu trasferito alla Chiesa titolare di Sasi- ma (Cappadocia). Morì a Napoli, dove si era ritirato, l’8 gennaio 1914. La- sciò vari scritti di carattere pastorale; tra questi sono ricordati La vita del sa- cerdote nei nostri tempi e una Vita della Madonna.

MONTEIRO Nicolau, nacque a Porto il 6 dicembre 1581. Dottore in di- ritto canonico e vicario generale di Coimbra, nel 1644 ebbe l’incarico di pre- sentare al papa Innocenzo X, per conto di D. João IV, lo stato della Chiesa portoghese, implorando la nomina dei vescovi in Portogallo. D. João IV lo nominò maestro del principe D. Alfonso e dell’infante D. Pedro e per due volte vescovo, prima a Portolegre poi a Guarda, ma non ebbe la conferma pontificia. Nel 1659 fu uno dei primi congregati, della Congregazione di Li- sbona, con il padre Bartolomeu de Quental, fondatore dell’Oratorio in Por- togallo. Il 15 dicembre 1670 Clemente X confermò la nomina a vescovo di Porto, fatta da D. Pedro. Ricevette la consacrazione a Lisbona, nella chiesa della Congregazione, il 31 maggio 1671 dal nunzio Francesco Ravizza. Il suo episcopato brillò per la grande carità verso i poveri, che ogni giorno accor- revano alla porta del palazzo vescovile, e nel soccorrere le famiglie bisognose e vergognose. Lasciò alla Santa Casa della Misericordia di Porto un legato per l’assistenza degli ammalati durante la convalescenza. Morì, a 91 anni d’e- tà, il 20 dicembre 1672, in concetto di santità.

MORA Giovanni Francesco, patrizio veneto, nacque a Venezia l’8 ago- sto 1706 e divenne sacerdote il 20 dicembre 1738. Oratoriano di Napoli e dottore in utroque iure alla Sapienza di Roma, il 19 febbraio 1748 fu eletto vescovo titolare di Famagosta (Isola di Cipro) da Benedetto XIV, ricevendo la consacrazione a Roma dal vescovo di Novara il 17 marzo successivo. Cle- mente XIII, il 2 ottobre 1758, lo promosse vescovo residenziale di Adria. Vi- sitò più volte la diocesi, si dedicò con particolare cura alla riforma del clero, difese strenuamente i diritti della sua Chiesa, fece ampliare il palazzo ve- scovile, beneficò la cattedrale donandole suppellettili e istituendovi tre man- sionerie perpetue. Caduto infermo, lasciò per testamento ogni suo avere, tran- 190 ANNALES ORATORII ne alcuni legati, al seminario. Morì ad Adria il 15 gennaio 1766 e fu sepolto nel presbiterio della cattedrale.

MULSUCE Gaetano Antonio, dell’Oratorio di Goa. Il 24 maggio 1843 fu eletto vescovo titolare d’Usula (Bizacem) e vicario apostolico di Ceylon, con decreto della congregazione di Propaganda Fide, approvato da Gregorio XVI. Ricevette la consacrazione a Pondicherry il 24 settembre dello stesso anno. Morì il 25 gennaio 1857.

MUSCETTOLA Tiberio, nacque a Napoli nel 1637. Membro dell’Ora- torio napoletano, il 13 maggio 1680 fu eletto vescovo di Manfredonia. Rice- vette la consacrazione a Roma dal cardinale Vincenzo Maria Orsini il 19 maggio successivo e il 27 maggio dello stesso mese fu insignito del pallio. Rinunciò all’ufficio pastorale il 25 febbraio 1708. Diede alle stampe varie opere, fra cui i Discorsi morali (Venezia 1670).

NASELLI Giovanni Battista, nacque a Napoli il 25 giugno 1786. Dot- tore in teologia universa, entrò nell’Oratorio di Palermo, dove divenne sa- cerdote il 23 dicembre 1809. Presentato dal re di Sicilia (20 giugno 1850), il 17 febbraio 1851 fu eletto vescovo di Noto, ricevendo la consacrazione a Ro- ma dal cardinale Antonio Francesco Orioli il 21 aprile successivo. Il 27 giu- gno 1853, presentato dal re di Sicilia il 26 maggio precedente, fu trasferito alla Chiesa arcivescovile di Palermo e insignito del pallio. Morì il 3 maggio 1870.

NASELLI Pietro, nacque a Palermo nel 1782. Entrato nell’Oratorio di Palermo, divenne sacerdote il 19 dicembre 1807. Presentato dal re di Sicilia (3 luglio 1837), il 15 febbraio 1838 fu nominato vescovo di Piazza Armeri- na, ricevendo la consacrazione a Monreale. Il 13 luglio 1840 fu trasferito, col titolo d’arcivescovo, alla Chiesa di Nicosia. Sebbene insignito di titoli e in- carichi prestigiosi: Principe di Aragona, Grande di Spagna, Cappellano Mag- giore di Sua Maestà, Gran Priore del Real Ordine Costantiniano, visse sem- pre umile, pio, fedele ai suoi doveri di oratoriano e di vescovo. Morì a Na- poli il 16 dicembre 1862.

NEWMAN John Henry (venerabile), nacque a Londra il 21 febbraio 1801. Educato nella religione anglicana, a 15 anni ebbe una prima conver- sione spirituale. Compiuti brillantemente gli studi all’università d’Oxford, nel G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 191

1824 divenne sacerdote nella Chiesa anglicana e, nel 1828, gli fu affidata la parrocchia di St. Mary. Nel 1833 fondò con alcuni amici il Movimento di Ox- ford, dove lo studio dei Padri della Chiesa e della storia del cristianesimo lo portò «guidato per mano di Dio» alla convinzione che la Chiesa cattolica ro- mana era «l’unico gregge di Cristo». Dopo una lunga lotta interiore, il 9 ot- tobre 1845 fu accolto nella Chiesa cattolica e il 26 maggio 1847 fu ordinato sacerdote a Roma. Tornato in patria, fondò a Birminghan l’Oratorio di san Filippo Neri, trovando in esso quelle caratteristiche di gioia, di libertà inte- riore, di carità che aveva sempre cercato. Lavorò instancabilmente per i po- veri, scrisse innumerevoli lettere e libri, soffrì moltissimo per incomprensio- ni, sospetti, opposizioni. Il 12 maggio 1879 Leone XIII lo creò cardinale. Vis- se ancora undici anni, umile e nascosto, nell’Oratorio di Birminghan, nella revisione dei suoi scritti – fra cui la celebre Apologia pro vita sua – in con- tinua preghiera, nell’attesa dell’ultima chiamata di Dio, che venne l’11 ago- sto 1890, giorno in cui passò «dalle ombre e dalle immagini alla Verità».

ORSI Giovanni Battista, nacque a Forlì nel 1668 e divenne prete del- l’Oratorio forlivese il 26 dicembre 1711. Addottorato in utroque iure a Par- ma (1689), il 21 marzo 1725 fu eletto vescovo di Cesena, ricevendo la con- sacrazione a Roma dal cardinale Fabrizio Paolucci il 25 aprile successivo. In precedenza (29 marzo), divenne assistente al soglio pontificio. Attuò con co- raggio e fermezza varie opere di carattere spirituale e umanitario, ottenne dal Papa che l’università cesenate potesse laureare in teologia, soppresse la com- pagnia del rosario dandone la chiesa ai domenicani e il convento di Casaca- rello donando i beni al seminario, fece rimettere al suo posto, nella cappella del Sacramento in cattedrale, l’immagine della Madonna del Popolo, entrò in possesso dell’ospedale di San Tobia e lo assegnò al seminario, celebrò il si- nodo (1728). Rimasto cieco, il 15 novembre 1734 rinunciò all’ufficio pasto- rale. Morì qualche anno dopo e fu sepolto in Cesena, nella chiesa dei Mini- mi di san Francesco di Paola.

ORSINI Mondillo, nacque a Solofra (Salerno) il 22 luglio 1690, dai du- chi di Gravina, feudatari di Solofra. Divenuto sacerdote il 24 giugno 1713, entrò nella congregazione dell’Oratorio di Napoli, dove si conquistò la stima di tutti per l’affabilità del carattere e l’esemplarità della vita. Laureatosi in utroque iure a Roma, il 26 giugno 1724 fu eletto arcivescovo titolare di Co- rinto, ricevendo la consacrazione a Roma dal papa Benedetto XIII, di cui era nipote. Il 23 settembre successivo divenne assistente al soglio pontificio e fu 192 ANNALES ORATORII insignito del pallio. Il 20 novembre 1724 fu trasferito alla Chiesa residenziale di Melfi e Rapolla. Visitò tutta intera la diocesi, dotandola di saggi decreti per incrementare la vita cristiana. A Melfi restaurò il palazzo vescovile, a Ra- polla portò a termine la fabbrica della cattedrale e riaprì il seminario. L’8 mar- zo 1728 fu nominato arcivescovo di Capua. Il 23 marzo 1729 fu promosso patriarca di Costantinopoli, pur rimanendo vescovo di Capua. Il 19 dicembre 1743 diede le dimissioni dall’ufficio pastorale. Fu un pastore prudente, cari- tatevole e zelante. Morì a Napoli nel gennaio 1750.

ORUETA Y CASTRILLÓN Francisco, nato a Lima il 4 ottobre 1804, divenne dottore in diritto canonico all’università San Marco di Lima il 21 ot- tobre 1827 e sacerdote l’11 ottobre 1829. Ricoprì l’incarico di cappellano, di vicario e di segretario di camera. In seguito entrò nell’Oratorio di Lima. Il 28 settembre 1855 fu eletto da Pio IX vescovo titolare di Ege, ricevendo la consacrazione a Lima il 23 dicembre successivo. Presentato dal presidente della repubblica peruviana (11 agosto 1859), il 26 settembre 1859 fu eletto vescovo residenziale di Trujillo. Il 21 maggio 1873 fu promosso arcivesco- vo di Lima ed insignito del pallio. Nel ministero episcopale si conquistò l’a- more dei suoi diocesani, dimostrando rara saggezza e profonda dottrina, tan- to da essere considerato il primo fra i vescovi del Sud America. Morì nel- l’ottobre 1886.

PANZANI Gregorio, nacque a Roma il 16 ottobre 1592, oriundo d’A- rezzo. Entrato nella congregazione romana dell’Oratorio il 7 marzo 1625, di- venne sacerdote nel 1626. Dottore in utroque iure, nel novembre 1629 fu in- viato da Urbano VIII in missione in Inghilterra, presso la regina Enrichetta Maria di Borbone. Più volte designato alla dignità vescovile, il 13 agosto 1640 fu eletto arcivescovo di Mileto. Visitò tutta la diocesi, riedificò il pa- lazzo vescovile distrutto dal terremoto, come pure quello di Monteleone e la chiesa di Sant’Agnese, fondò il monte di pietà, eresse un nuovo vicariato, una collegiata e varie parrocchie, tenne una decina di sinodi, difese l’immu- nità ecclesiastica dagli attacchi dei marchesi d’Arena e di san Giorgio-Poli- stena. Morì il 25 giugno 1660, lasciando oltre un migliaio tra libri e mano- scritti, che formarono il primo nucleo della biblioteca Alessandrina di Roma.

PETRUCCI Pier Matteo, nacque a Jesi il 20 maggio 1636. Dottore in utroque iure, il 2 febbraio 1661 entrò nella Congregazione oratoriana jesina, dove il 14 marzo successivo ricevette l’ordinazione sacerdotale. Si dedicò ad G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 193 un intenso apostolato come predicatore, catechista, direttore spirituale e allo studio della teologia, della Sacra Scrittura, delle lingue e alla lettura degli au- tori spirituali che meglio rispondevano alle sue tendenze mistiche. Innocen- zo XI lo nominò il 14 aprile 1681 vescovo di Jesi, ricevendo la consacrazio- ne a Roma, alla Vallicella, dal cardinale Alessandro Cybo il 20 aprile suc- cessivo. Dedicò l’attività episcopale alla predicazione, alle visite pastorali, alla celebrazione di due sinodi, dando l’esempio di una vita umile e povera, sollecito verso i bisogni del popolo e la riforma del clero. Il 2 settembre 1686 fu nominato da Innocenzo XI cardinale col titolo di san Marcello. Incorso, disgraziatamente, nelle erronee dottrine del Quietismo, nel 1687 fu proces- sato e le sue opere condannate (1688). Egli si sottomise pienamente e ritrat- tò tutto, conducendo in seguito una vita austera e santa, guidato dal preposi- to romano padre Francesco Marchesi. Nell’agosto 1694 fu nominato visita- tore nella diocesi di San Severino. A causa delle precarie condizioni di salu- te, nel 1695 si stabilì a Roma, chiamato a far parte di varie Congregazioni vaticane, compresa quella dell’Indice. Il 21 gennaio 1696 rinunciò definiti- vamente all’ufficio pastorale. Diede alle stampe molte opere religiose, poe- sie sacre e una raccolta di lettere pastorali. Morì il 5 luglio 1701, mentre era in visita a Montefalco, di cui era abate commendatario, e venne sepolto pres- so la tomba di santa Chiara, dove fu posto un epitaffio che lo definisce «or- natissimo di pietà e di dottrina».

PIERLEONI Florido, nacque a Città di Castello il 28 gennaio 1742. En- trato nell’Oratorio tifernate, divenne sacerdote il 20 settembre 1766. Si de- dicò all’insegnamento della filosofia e della teologia ai giovani e alla predi- cazione. Dottore in teologia (15 settembre 1802), il 20 settembre 1802 ac- cettò, per obbedienza, la nomina a vescovo d’Acquapendente, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Giulio Maria della Somaglia il 26 set- tembre successivo e divenendo il giorno seguente assistente al soglio ponti- ficio. Lo zelo profuso in quei tristissimi anni e la fedeltà al Papa gli procu- rarono l’amarezza di essere deportato in Francia. Dopo quattro anni, passata la bufera, ritornò nella sua diocesi dove, oltre l’impegno pastorale, rinnovò la cattedrale ed edificò un ampio seminario. Morì, compianto da tutti, il 29 dicembre 1829. Diede alle stampe opere di carattere religioso, fra cui le due lettere pastorali inviate ai sacerdoti durante il periodo francese. Fu anche, dal 4 giugno 1787, postulatore della causa di canonizzazione della serva di Dio (ora santa) Veronica Giuliani. 194 ANNALES ORATORII

RANALDI Ignazio, nacque a Macerata il 27 marzo 1772. Illustre per no- biltà e dottrina, il 23 luglio 1793 entrò nell’Oratorio di Roma , divenendo sa- cerdote il 19 dicembre 1795. Rimasto fedele alla Chiesa durante la persecu- zione napoleonica, dopo ripetuti rifiuti, il 25 maggio 1818 accettò da Pio VII il vescovado di Ripatransone, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardi- nale il 31 maggio successivo. Il 23 agosto 1819 fu trasfe- rito all’arcivescovado d’Urbino e insignito del pallio. Leone XII, il 21 apri- le 1826, lo nominò visitatore apostolico nel regno di Sardegna, con l’incari- co di riordinare le diocesi, e delegato in Corsica per urgenti affari ecclesia- stici. Fu un pastore pio, umile, zelante, preoccupato soprattutto della riforma del clero e di rimettere in vigore la disciplina ecclesiastica, amante del se- minario e dei suoi chierici. Ottenne anche il ripristino della Università degli Studi. Un morbo violento, causato dalle fatiche e dalle sofferenze morali, lo sorprese a Sassari, dove morì il 2 gennaio 1827, lasciando «una fama im- mortale di sé». La morte addolorò molto il Papa, che attendeva il suo ritor- no a Roma per crearlo cardinale. Fu sepolto nella cattedrale di Urbino, da- vanti all’altare della Vergine della Misericordia.

SÁNCHEZ-CID Y CARRASCAL Antonio María, nacque a Fregenal de la Sierra (Badajoz) il 15 gennaio 1789. Dottore in filosofia e teologia al- l’università di Sevilla e sacerdote nel 1812, il 26 aprile 1813 entrò nella Con- gregazione oratoriana di Sevilla. Presentato dalla Regina (5 agosto 1852), il 27 settembre 1852 fu eletto vescovo di Coria. Amò grandemente la sua Con- gregazione, adoperandosi con tutte le forze per la sua restaurazione. In essa, anche da vescovo, trascorse vari momenti con i confratelli, che spronava a vivere «uniti, in pace e in carità» e ottenne uno di loro, che visse come fa- miliare con lui nel palazzo episcopale. Nel 1854 fondò il bollettino ecclesia- stico ufficiale della diocesi. Dal 13 settembre 1857 risiedette stabilmente nel- l’Oratorio di Sevilla, a causa di una gravosa infermità. Morì il 14 febbraio 1858 e fu sepolto nella chiesa della Congregazione.

SPERELLI Alessandro, nacque ad Assisi. Dottore in utroque iure, entrò nell’Oratorio di Perugia, dove manifestò ottime qualità nel sermoneggiare e grande generosità. Il 28 aprile 1642 fu eletto vescovo titolare d’Orthosias in Caria. Ricevette l’ordinazione a Roma il 4 maggio successivo dal cardinale Giulio Sacchetti, del quale divenne consultore. Il 14 marzo 1644 fu promos- so vescovo residenziale di Gubbio, dove eresse la Congregazione oratoriana e consacrò la nuova cattedrale. Dal 24 ottobre 1652 al novembre 1653 fu nun- G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 195 zio nel Regno di Napoli. Il 23 marzo 1656 divenne assistente al soglio pon- tificio. Morì il 19 gennaio 1672. Insigne pastore, lasciò un grato ricordo per lo zelo apostolico, testimoniato da varie istituzioni, da lui promosse. Riman- gono anche suoi scritti su argomenti morali, liturgici e pastorali. L’Ughelli lo definì «vir morum probitate, doctrina et eruditione celebris».

SPÜLBECK OTTO, nacque ad Aachen l’8 gennaio 1904. Entrato nell’O- ratorio di Lipsia, divenne sacerdote il 5 aprile 1930. Il 28 giugno fu eletto ve- scovo titolare di Cristopoli, ricevendo la consacrazione il 25 luglio successivo. Il 20 giugno 1958 fu nominato vescovo residenziale di Meissen. Si dedicò al- la cura delle vocazioni sacerdotali, alla costruzione di nuove chiese e all’istru- zione degli studenti, che incontravano grosse difficoltà frapposte dal regime co- munista. Organizzò la resistenza nelle valli alpine, mantenendosi vicino a mi- gliaia dei suoi giovani. Dedicò molta parte delle cure pastorali agli universita- ri e ai laureati. Fu membro della Commissione speciale per la riforma dei libri liturgici, istituita dopo il concilio Vaticano II. Morì il 21 giugno 1970.

TARUGI Francesco Maria (venerabile), nacque a Montepulciano (Siena) il 25 agosto 1525 da nobile famiglia. Dottore in lettere, legge e scienze, nel 1565 entrò nell’Oratorio romano, divenendo sacerdote nel 1571. Fu stimato per la sua eloquenza nel predicare (dux verbi), per lo spirito missionario, per le opere di carità e per l’organizzazione della Congregazione oratoriana. Nel 1586 fondò la casa di Napoli, che governò come rettore fino al 1592. Arcive- scovo d’Avignone (9 dicembre 1592) e poi di Siena (15 settembre 1597), si distinse come pastore pio, zelante e saggio riformatore, secondo lo spirito del concilio di Trento. Il 5 giugno 1596 fu creato cardinale da Clemente VIII col titolo di san Bartolomeo all’Isola. Morì alla Vallicella l’11 giugno 1608 e fu sepolto nella cripta, sotto il presbiterio dell’altare maggiore.

TEWES Ernst, nacque ad Essen il 4 dicembre 1908. Ordinato sacerdote il 16 febbraio 1934, fino al 1939 esercitò il ministero come cappellano a Dus- selford. Nel 1939 entrò nell’Oratorio di Lipsia. Dal 1940 al 1945 prestò ser- vizio come cappellano militare, poi per quattro anni fu prigioniero dei russi, catturato al fronte, ove svolgeva opera d’assistenza spirituale fra le truppe te- desche. Il 1° maggio 1950 fu inviato a fondare l’Oratorio filippino a Mona- co, dove per molti anni fu parroco della chiesa di San Lorenzo, canonico co- adiutore del capitolo metropolitano e incaricato della cura d’anime nella cu- ria diocesana. Il 3 luglio 1968 fu nominato da Paolo VI vescovo titolare e au- 196 ANNALES ORATORII siliare di Monaco e Frisinga, ricevendo la consacrazione il 24 settembre suc- cessivo. Morì il 16 gennaio 1998.

TIBERI Francesco Felice, nacque a Vasto (Chieti) il 19 ottobre 1763. Dottore in teologia e in utroque iure all’università di Napoli (3 febbraio 1798), fu ordinato sacerdote il 23 dicembre 1786 ed entrò nella congrega- zione romana dell’Oratorio il 2 luglio 1806. Fu oratore sacro e fecondo cul- tore della poesia italiana e latina. Presentato dal re di Sicilia (20 marzo 1818), il 6 aprile 1818 fu eletto vescovo di Valva e Sulmona, ricevendo la consa- crazione a Roma dal cardinale Alessandro Mattei il 12 aprile successivo. La sua opera più importante fu l’apertura, nel 1824, del seminario, per il quale scrisse il libro delle Regole e delle Preghiere, dotandolo di una ricchissima biblioteca. Regolò la disciplina degli ecclesiastici e dei religiosi, promosse varie manifestazioni liturgiche e il culto dei santi, istituì in tutte le chiese par- rocchiali le Quarantore e le Confraternite, ottenne che la cattedrale di san Panfilo fosse onorata col titolo di basilica minore. Fu legato da filiale amici- zia col Re di Napoli e col papa Pio VII. Morì il 22 aprile 1829. Una epigra- fe, posta nell’atrio del vescovado, ne celebra le virtù e i meriti.

VALGUARNERADomenico, nacque a Palermo il 3 novembre 1697. En- trato nell’Oratorio palermitano, divenne sacerdote il 20 ottobre 1720. Dotto- re in teologia alla Sapienza di Roma (15 novembre 1722), il 17 novembre 1732, presentato dal Re di Sicilia (13 agosto 1732), fu eletto vescovo di Ce- falù, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Francesco Barberini il 7 dicembre successivo. Morì il 2 maggio 1751.

VECCHIONI Salvatore, nacque a Napoli il 31 dicembre 1739 e diven- ne sacerdote il 18 dicembre 1762. Oratoriano di Napoli e dottore in utroque iure all’università partenopea (12 novembre 1778), si dedicò alla direzione spirituale e alla predicazione, specialmente del catechismo. Il 14 dicembre 1778 fu eletto vescovo d’Anglona-Tursi, ricevendo la consacrazione a Roma dal cardinale Conti il 20 dicembre successivo. Resse per 40 anni la diocesi in tempi difficilissimi. Sotto di lui il monastero di Carbone passò alla giuri- sdizione vescovile, essendo stati tolti nel 1783 i Commendatari. Morì il 28 ottobre 1818.

VISCONTI Alfonso, nobile milanese, venne a Roma nel 1573 al seguito del cardinale Carlo Borromeo. Penitente di padre Filippo, nel 1575 fu ordi- G. Tesserin, Cardinali e Vescovi oratoriani lungo i secoli 197 nato sacerdote e, pur essendo prelato, nel 1577, ottenne di entrare nella co- munità oratoriana di Roma. Padre Filippo non gli permise di lasciare l’abito prelatizio, prevedendo per lui alti compiti da parte della Santa Sede. Nel 1581 ebbe dal papa Gregorio XIII l’incarico di varie missioni diplomatiche a Mal- ta, in Spagna, in Portogallo e a Vienna. L’8 febbraio 1591 fu eletto vescovo residenziale di Cervia e il 3 marzo 1599 fu creato da Clemente VIII cardina- le col titolo di san Giovanni a Porta Latina. Il 10 settembre 1601 fu trasferi- to alla Chiesa di Spoleto e il 23 ottobre 1606 fu inviato come legato nelle Marche, in Umbria e in Polonia. Fu anche consigliere del duca di Transilva- nia e Valacchia nella guerra contro i Turchi e di Rodolfo II a Praga. Morì a Macerata il 19 settembre 1608. Fu sepolto nella basilica di Loreto.

XAVIER Francisco, dell’Oratorio di Lisbona. Fu ordinato sacerdote il 31 maggio 1806. Nel 1812 si recò missionario a Ceylon, entrò nella Congrega- zione oratoriana di Goa e divenne il superiore della missione ceylonese, ini- ziata nel 1696 dal padre José Vaz. Il 3 dicembre 1834 fu eletto vescovo tito- lare di Taumaco e primo vicario apostolico di Ceylon, ma ciò non ebbe at- tuazione per la sua morte avvenuta, ancora prima della nomina, l’11 gennaio 1834.

Gontranno Tesserin, C.O.

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A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 201

EL PADRE DR. DN. TEODOMIRO IGNACIO DÍAZ DE LA VEGA (1736-1805) DE LA CONGREGACIÓN DEL ORATORIO DE SEVILLA Y LAS CONGREGACIONES DEL ORATORIO EN ESPAÑA EN LA SEGUNDA MITAD DEL SIGLO XVIII

El 30 de julio de 2003 se cumplieron CCLXVII años del nacimiento del Padre Dr. Dn. Teodomiro Ignacio Díaz de la Vega -el Padre Vega para sus contemporáneos1. Aunque no se trata de un aniversario en cifras redondas, para resaltar con él algún acontecimiento memorable, nos sirve de recorda- torio de uno de los sacerdotes más notables del Oratorio en España, y para hacer alguna consideración sobre la historia externa de las Congregaciones del Oratorio en los años de la madurez personal y apostólica del Padre Vega, que corresponden a la segunda mitad del siglo XVIII, y en la cual las Con- gregaciones no pueden sustraerse a la situación general de la sociedad y de la Iglesia en España, que seguirá evolucionando en la centuria siguiente. Y por otra parte, en no pocas ocasiones ha podido parecer que nuestras con- gregaciones jurídicamente independientes y autónomas, se han fundado, han vivido y han desaparecido ajenas unas a otras, desconociéndose mutuamen- te, cuando la realidad de las fuentes y de la historia demuestra todo lo con- trario, unidas por íntimas relaciones y también por los acontecimientos ex- ternos en muchos casos. Queremos resaltar las tradiciones y las actividades apostólicas filipenses que confluyen en la vida del Padre Vega en la segun- da mitad del siglo XVIII, especialmente en Andalucía. Cuando el joven Teodomiro entra en la Congregación de Sevilla en 1754, se hallan fundadas en España 23 congregaciones2; de ellas 13 en capitales de provincia que son sedes episcopales y ocho en zonas rurales, grandes pue-

1 Lucas de Tomás y Asensio: Breve noticia de la exemplar vida del varón Apostólico P. D. Te- odomiro Ignacio Díaz de la Vega... Sevilla 1809. 2 Valencia, Villena (Alicante), Madrid, Soria, Granada, Cádiz, Barcelona, Zaragoza, Ciudad de Palma de Mallorca, Villa de Ezcaray (La Rioja), Carcabuey (Córdoba), Cifuentes (Guadalajara), Medina de Pomar (Burgos), Murcia, Molina de Aragón (Guadalajara), Baeza (Jaén), Cuenca, Má- laga, Baza (Granada). 202 ANNALES ORATORII blos, alguno de los cuales es también cabecera de diócesis. En Andalucía ha- bía 9 Congregaciones3, si bien alguna como la de Carcabuey no pasó de ser un intento.4 Como puede apreciarse, algunas Congregaciones eran de reciente creación y otras, las fundadas a finales del siglo anterior, ya estaban consolidadas. Las Congregaciones fueron creciendo como uvas de un mismo racimo, si nos ate- nemos a la dependencia fundacional. Así la Congregación de Valencia autóc- tona, creó las de Madrid, Cádiz, y Villena. La de Madrid la de Alcalá de He- nares, Ezcaray y Medina de Pomar (Burgos). Granada: Sevilla y Baza. Cór- doba: Carcabuey y Murcia. Baeza autóctona, Málaga. Sevilla: Écija. La de Cá- diz fundó, tal vez, la de San Roque en el Campo de Gibraltar. Todas ellas lo fueron con la correspondiente autorización de las autoridades locales, y esta- ban sometidas a la autoridad del Ordinario del lugar, aunque tuvieran la apro- bación de la Santa Sede mediante el correspondiente decreto, o “Decretum Laudis”. Y se regían interiormente por las Instituta5 aprobadas para la Con- gregación de Roma, con las adaptaciones necesarias al lugar y al tiempo. No se ha conservado la documentación de todas y cada una de las Con- gregaciones, o es, más bien, escasa. Ni tampoco todas han publicado su “his- toria”. Si la de Barcelona por José de C. Laplana6. Para Valencia nos servi- mos de Vicente Eximeno7; la documentación de Madrid se encuentra en el AHN.8 Para Cádiz9; para Ezcaray.10 Medina de Poma11 Granada.12 Sevilla.13

3 Baza (Granada) 1714, Granada 1671, Cádiz 1672, Carcabuey 1695, Sevilla 1698, Córdoba 1699, Baeza 1702, Málaga 1742, y Écija (Sevilla), que promoverá el Padre Vega. 4 Razón de la Congregación y escuela de XP nuestro Redentor fundada en esta [villa] de Car- cabuey año de mil i seiscientos i setenta y uno...Libro 1671. También Narciso Caracuel: Aproxi- mación a la Escuela de Cristo de Carcabuey a través de sus dos libros de actas en “Carcabuey” periódico local nn. 18 junio de 1988; 19 julio 1988; 22 octubre de 1988; 23 noviembre 1988; 26 febrero 1989. Y Madoz. Diccionario... Voz CARCABUEY. 5 Instituta Congregationis Oratorii Sanctae Mariae in Vallicella de Urbe. A B. Philippo Nerio Fundatae. Romae, MDCXII. 6 L’Oratori de Sant Felip Neri i el seu patrimoni artistic i monumental. Abadía de Montserrat, 1978. 7 Escritores del Reino de Valencia. Valencia 1747-1749; También de José Rodríguez: Biblio- teca valentina. Valencia 1747; E. Olmos Canalda: Los Prelados valentinos. Madrid 1948; Pascual Esclapes: Resumen historial de la fundación i antigüedad de la ciudad de Valencia... Valencia 1738; Sanchis y Sivera, J. La Parroquia de Santo Tomás de Valencia. Valencia 1913. 8 AHN. Sec. Clero. 9 Antón P.: La Iglesia gaditana en el siglo XVIII .Cádiz 1994; Belda Carreras, J.: Las Cortes de Cádiz en el Oratorio de San Felipe Neri. Notas históricas. Madrid 1912; Casanova y Padrón, S.: El Oratorio de San Felipe Nneri, Palacio de las Cortes en 1812. Cádiz 1917; Castro, A. de.: Manual del viajero en Cádiz. Cádiz 1859; Cobos Ruiz, de Adana, J.: El clero del siglo XVII. Es- A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 203

Baza.14 Carcabuey15 Murcia16 Baeza17 Málaga18 Córdoba19, Écija20, San Ro- que21. Para la de Palma de Mallorca22. La documentación de Cifuentes,(hoy Ermita del Beato), algo en la Parroquia y en el Arch. dioc. de Sigüenza; y Mo- tudio de una visita secreta a la ciudad de Córdoba. Córdoba 1970; Edictos en los que se relacio- nan los libros y papeles prohibidos por la Inquisición en los Amos 1776 a 1806. Colección Frai- le vol. 855. Págs 2-36; Espinosa de Godos, E.: Cádiz lonja europea en el siglo XVIII. Población y sociedad. Sevilla 1984; Guía de Cádiz para el año 1811... el estado eclesiástico. Colec. Fraile vol. 868;Morgado García A.: El clero gaditano a fines del antiguo régimen. Estudio de las órde- nes sacerdotales (1700-1834); Id.: El estamento eclesiástico en la diócesis de Cádiz.( 15.07.03) 10 José García de San Lorenzo Mártir: Ezcaray. Su historia. 11 García Saínz de Baranda: Medina de Pomar como lugar arqueológico y centro turístico de las Merindades de Castilla la Vieja. Burgos 1966; Inocencio Cadiñanos: Frías y Medina de Po- mar. Burgos . Instituto Fernan González 1978. 12 M. Lafuente Alcántara: Historia de Granada., Granada 1846; F. Hurtado de Mendoza: Fun- dación y Crónica de la fundación de la Congregación de San Felipe Neri en la ciudad de Gra- nada. Madrid 1698. El antiguo archivo de la Congregación se encuentra hoy en poder de los Pa- dres Pasionistas que adquirieron la casa y la iglesia. Han publicado varios datos en lo que ellos llaman Crónica doméstica. 13 Lucas de Tomás y Asensio: Breve noticia de la exemplar vida del varón apostólico P. D. Te- odomiro Ignacio Díaz de la Vega...Sevilla 1809; C. Fernández Cabello: El Oratorio de San Feli- pe Neri de Sevilla...Sevilla 1894; M. Martín Riego: El Oratorio de San Felipe Neri de Sevilla (1698-1893, en Isidorianum Vol. 7 (1998) 483-545. Conserva la Congregación parte de su impor- tante archivo, citado en las publicaciones como AGOSFNS. También Blanco White: Autobiogra- fía, publicada por la Universidad de Sevilla 1975. 14 Luis Magaña Visbal: Baza histórica. Edición preparada e ilustrada por Antonio García-Pa- redes Muñoz. T.II. p. 539 ss.; A. García Paredes Muñoz- F.J. Fernández Segura: Baza. Guía. His- toria y Monumentos. 15 Ver nota 4. 16 Idea de los Exercicios del Oratorio fundado por San Felipe Neri... Murcia 1795 (sólo por lo que se refiere a Murcia); J. González Huarquez: El obispado de Cartagena. 4 vols. Cartagena 1882; Marciano, J.: Memorias históricas... T. 5 p. 497; Censo de Aranda en el obispado de Car- tagena en el sexenio revolucionario (1868-1874). 17 T. de Cozar Martínez: Noticias y documentos para la historia de Baeza. Jaén 1884: La cues- tión de los Seminarios de la diócesis de Jaén, por un amante de la institución. Madrid 1899; Ra- fael Rodriguez-Moñino Soriano: Aproximación a la historia eclesiástica de la ciudad de Baeza (Jaén), del esplendor renacentista al barroco y la crisis liberal del XIX. ; R. Rodríguez-Moñino Soriano: Archivos en la ciudad de Baeza y catálogos para su historia eclesiástica .V. de la Fuen- te: Historia de las Universidades...T. III. Madrid 1887 p. 178. J. Rodríguez Molina: Historia de Baeza. 1985. 18 J.V. Zamora: Memorias de la Congregación de los Presbíteros seculares del Oratorio de San Felipe Neri de la ciudad de Málaga. Manuscrito de 1784. Copia del siglo XIX de la Biblio- teca del obispado de Málaga; Mª Soledad Santos Arrebola: La Málaga ilustrada y los filipenses. Málaga 1990; Anales Malagueños... de Díaz de Escobar: 23 de nov. de 174o y 15 de en. De 1743.; A. Rubio-Argüelles: Pequeña historia de Málaga del siglo XVIII. Málaga 1951. ;Oración Pane- gírica... el día 18 de diciembre de este año 1787 en la iglesia de San Felipe Neri a ... la Concep- ción Inmaculada. Dixo el P.D. Jose de Rute y Peñuela; Sermón que en las solemnes honras... por 204 ANNALES ORATORII lina de Aragón23 (hoy parroquia) se encuentran en el Arch. Dioc. de Sigüen- za; la de Alcalá de Henares, parte en su archivo, muy diezmado, y parte en páginas de historias locales. La de Cuenca fue fundada en 1738, y de ella nos informa M. López24. La de Vich en 1723 creada por la de Barcelona.

las almas que murieron en la enfermedad epidémica que padeció esta ciudad... dixo en 14 de fe- brero de este año de 1804 el P. D. José de Rute y Peñuela...; Sermón de la Concepción...dixo en la catedral de Málaga en este año de 1815 D. José de Rute y Peñuela Prepósito de los Presbíte- ros seculares del Oratorio de esta ciudad; J. Aguilar [ et al.] : Pinturas murales y elementos pé- treos del Instituto Vicente de Espinel de Málaga.; Oración fúnebre que dixo el P.D. Juan José So- riano, Prepósito de la Congregación del Oratorio de la ciudad de Málaga en las honras... de D. Cristobal Manuel de Roxas y Saldoval el día 18 de agosto de este año de 1747; Oración fúnebre en las honras que celebró la Congregación de sacerdotes del Oratorio de San Felipe Neri de Má- laga el día 13 de Agosto de este año de 1794, por la buena memoria del Padre D. Juan José So- riano y Guzmán... el P. José de Rute y Peñuela. 19J. Gómez Bravo: Catálogo de los obispos de Córdoba y breve historia de su Iglesia Cate- dral y obispado. Reimpresión de la primera parte e i presión de la segunda. Córdoba 1778. J. An- guita González: La desamortización eclesiástica en la ciudad de Córdoba (1836-1845). Córdoba 1984 ; Prodigios obrados por...San Felipe Neri en tiempos de terremotos, recogidos de diferentes relaciones auténticas...Córdoba 1804. ; P. del Busto: Oración panegírica... en la solemne fiesta con que la... ciudad de Córdoba celebró el triduo... que la Congregación del Oratorio hizo en la dedicación de su nuevo templo...Córdoba 1720; Idem: Oración panegírica de San Felipe Neri... en la fiesta de su Oratorio de la ... ciudad de Córdoba; J. Moreno Manzano: Contribución al es- tudio del barroco en Córdoba en BRAC nº 97 (1977) 31-56 + 6 lám. R. Ramírez de Arellano: Inventario monumental y artístico de la provincia de Córdoba, con notas de José Valverde Madrid. Córdoba 1982; Idem: Paseos por Córdoba, o sea Apuntes para su historia. Prólogo de Miguel Salcedo Hierro. Córdoba 1973. 20 J. Méndez Varo: La iglesia de San Felipe Neri de Écija. Sevilla 1993; María L. Candau Cha- cón: Iglesia y sociedad en la Campiña Sevillana . La Vicaría de Écija (1697-1723); J. Valenzue- la Candelario: Pobreza y asistencia benéfica, el Hospital de San Sebastián de Écija. 1996; Inven- tario artístico de Sevilla y su provincia. Vol I Partidos judiciales de...Écija...; J.M. Gómez [et al.]: Écija en la Edad Contemporánea .Écija 2000. 21 P. Antón Solé: La Iglesia gaditana en el siglo XVIII. Cádiz 1994; R. Caldelas López: La Pa- rroquia de Gibraltar en San Roque. También Lucas de Tomás: o.c. habla de las misiones predi- cadas por el Padre Teodomiro en el Campo de San Roque. El P. Cayetano o.c. de l,.os intentos del Padre Alonso y Elena por restaurar el Oraotio de Gibraltar en 1855, al comienzo del Vicariato Apostólico del Ilmo. Sr. Dn. Juan Escandela p. 72. 22 M. Vallori: La Congregació de l’Oratori a la Ciutat de Palma. Palma 2000; Idem: L’Es- glésia de Sant Felip Neri de Palma, Palma 2003. 23 Dice el Padre Laplana que en 1866, el Padre prepósito de Barcelona Padre Pere Miàs, el en- tusiasmo restauracionista de la congregación le impulsaba a acudir con otros dos sacerdotes a la recuperación de la Congregación de Molina de Aragón que se había extinguido. (o.c. p. 254) 24 Memorias históricas de Cuenca y su obispado. Madrid 1948 y 1953. A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 205

I LA SUPRESIÓN DE LA COMPAÑÍA DE JESÚS

Así las cosas, el primer acontecimiento de alcance que afectará a las Con- gregaciones del Oratorio en España, en la segunda mitad del siglo XVIII se- rá la supresión de la Compañía de Jesús, por el Rey Carlos III, en la noche del 2-3 de abril de 176725. En virtud del R. D., 2.700 Jesuitas salieron de los reinos de la Península, dejando casas, colegios e iglesias en el estado en que se encontraban dicho día aciago para la Compañía. Algunos años después, el papa Clemente XIV, acosado por los gobiernos regalistas de distintos países europeos, firmaría el breve de supresión total la Orden. Ya las luchas ideo- lógicas del siglo estaban planteadas en toda su crudeza: la filosofía de la ilus- tración, el enciclopedismo, josefismo, febronianismo, etc. se abrían camino en la sociedad civil y también en sectores de la Iglesia. La expulsión de los jesuitas había dejado abandonados muchos campos y actividades que tanto el gobierno de Carlos III, como la Iglesia deseaban recuperar, sobre todo en el campo de la enseñanza, tanto edificios como clientela y de la atención re- ligiosa del pueblo. De alguna manera las Congregaciones del Oratorio en Es- paña, van a recoger parte de esta herencia, lo cual dejaría su impronta tan- to en la vida interna, como en la consideración pública de la institución fi- lipense. Por un lado, dice el Padre Laplana, que “cuando la Compañía de Je- sús fue suprimida muchos de los fieles tradicionalmente vinculados a los je- suitas, pasaron al Oratorio, y en él se encontraron como en casa”26. Y por otro, en Madrid, el Rey Carlos III decidió entregar a los Padres del Orato- rio, que tenían su sede en la Plaza del Ángel, la casa y la iglesia de los je- suitas titulada de San Francisco de Borja, ubicada en la calle Bordadores, tránsito que hoy conserva el nombre de San Felipe Neri. A ella se traslada- ron los filipenses, con la obligación expresa de guardar el cuerpo del Santo Duque de Gandía, como lo hicieron mientras las circunstancias políticas lo permitieron27. También el Oratorio de Alcalá se vio relacionado con la expulsión de los jesuitas por lo que se refiere a determinadas fundaciones piadosas, que tenía

25 E. Giménez López: Y en el tercero perecerán. Gloria, caída y exilio de los jesuitas espa- ñoles en el siglo XVIII...Alicante 2002. 26 o.c. p. 133. 27 Encargo recibido con gusto, dadas las relacione mantenidas entre San Felipe Neri y Borja en los años que coincidieron en Roma. Luis Coloma: Historia de las Sagradas Reliquias de San Francisco de Borja. 1903. 206 ANNALES ORATORII que cumplir anualmente el Colegio Máximo de la Compañía de la universi- dad cisneriana, con la Congregación: ahora correspondería a la Real Hacien- da pagar las temporalidades, que antes pagaban los jesuitas28. Además acu- dió a la compra de los libros puestos en venta y que habían pertenecido a la Biblioteca del Colegio Máximo complutense. El Padre Vega tenía treinta y un años cuando los jesuitas fueron expulsa- dos de España; él se había educado con ellos en el Colegio de San Herme- negildo de su ciudad, y entre los Padres de la Compañía había tenido su di- rector espiritual; llevaba, apenas, seis años de sacerdote, dedicado a la pre- dicación y al confesionario, joven sacerdote entre los jóvenes estudiantes se- villanos. Pronto se echó de ver el vacío dejado por los ignacianos por lo que a los Ejercicios Espirituales se refiere, pues ninguna de las congregaciones religiosas con casa en la capital hispalense se dedicaba a este ministerio, y este fue el camino tomado por el Padre Vega con la fundación de la Casa de Ejercicios Espirituales, obra que hizo suya, no por unanimidad, la mayor par- te de la comunidad filipense, al parecer. Los cristianos piadosos de Sevilla vieron así continuada la obra de los jesuitas, aunque no a su mismo nivel29, cuando ya reinaba en España Carlos IV. Sobre el Padre Vega han escrito, el ya citado Padre Lucas30, el Padre Ca- yetano Fernández Cabello31, y otros indirectamente como Marín Riego32, Blanco White en su autobiografía33; y luego otros al tratar la historia de Se- villa34 , o el tema de la desamortización de las Órdenes Religiosas, en el si- glo XIX.35 Antes de tomar la decisión de la obra de la Casa de Ejercicios, el Padre Vega se informó del funcionamiento de otras casas del Oratorio, y lle- gó a la conclusión, con sus datos que “muchas congregaciones del Oratorio

28 Fundación de don Juan Pérez Merino Capitán General y Gobernador del nuevo Reino de León en México 29 Blanco White, o.c. 30 citado en nota 1. 31 C.Fernández Cabello: Historia de la Congregación del Oratorio de Sevilla y su Biblioteca Oratoriana...También : Avella Chafer, F.: El Padre Teodomiro Ignacio Díaz de la Vega. Contri- bución al estudio de la oratoria sagrada en Sevilla durante el siglo XVIII, en Archivo Hispalen- se nº 172 (1973) 1-18. 32 El Oratorio de San Felipe Neri de Sevilla (1698-1893), en Isidorianum nº. 7 (1998) 483- 545. 33 Moreno Alonso, M.: Blanco White. Una obsesión de España. Sevilla 1998; Blanco White: Autobiografía .Edición, traducción, ilustración y notas de Antonio garnica. Sevilla 1988. 34 Aguilar Piñal, F.: Historia de Sevilla en el siglo XVIII. 35 López Martínez, A.: La economía de las órdenes religiosas en el Antiguo Régimen. Sus pro- piedades y rentas en el reino de Sevilla. Sevilla 1992. A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 207 de dentro y fuera de España se habían decidido por abrirse a la práctica de los Ejercicios Espirituales en sus casas e iglesias”; camino emprendido ya con anterioridad por la Congregación de Málaga36. Por lo que hace a Alcalá, en efecto, siempre recibió “ejercitantes”, pero en número reducido, en una zona de la residencia destinada a ello y con un Padre dedicado a esta tarea, pero no fue su opera prima. Así, de alguna forma se va a considerar a los fi- lipenses como muy emparentados espiritualmente con los jesuitas. La obra del Padre Vega fue bien recibida por la autoridad diocesana y por los fieles educados por los hijos de San Ignacio. Carlos IV la tomó bajo su protección, pero con muchas limitaciones, hasta quedar sólo en una cuestión de mínimos, y más política que de alguna eficacia37. Por otro lado fue criti- cada por la parte de la sociedad ilustrada de Sevilla, enemiga de los religio- sos expulsados que rechazaban sus métodos ascéticos, morales y su ense- ñanza teológica. Pero fueron muchos los frutos espirituales que el pueblo, la juventud y la Iglesia de Sevilla sacaron de la Casa de Ejercicios del Orato- rio creada en la ciudad. Estas circunstancias, que hicieron ver a los filipenses como continuadores de los jesuitas, dieron lugar a algunas consecuencias, que se irían manifes- tando, a medida que la ideología liberal se fuera apoderando de la clase po- lítica española. Por un lado hay que señalar que en una época de revisión ide- ológica, como era la segunda mitad del siglo XVIII, algunas congregaciones habían comenzado un camino equilibrado de renovación, como la de Barce- lona, siguiendo las orientaciones de obispos más avanzados, como José Cli- ment, pero sin duda ninguna ortodoxos y fieles a la Santa Iglesia. Igual se puede decir de una parte de la congregación de Valencia, en la que el Padre Tomás V. Tosca proponía un nuevo método para el estudio de la Filosofía en las Universidades38, o en la de Alcalá de Henares, cuya biblioteca se com- pletaba con tratados teológicos, morales y de Derecho de los autores más avanzados introducidos incluso después en los Seminarios, a los que se les puede considerar jansenistas o filojansenistas. Igual sucedió en Sevilla: el Pa- dre Vega y el Padre Amorico son los mejores representantes de las corrien- tes conservadora y renovadora que los Oratorios vivieron en su seno39.

36 Optó más por hacer un Centro de Estudios. Cf. o. c. 37 ADT (Archivo Diocesano de Toledo) Documentos relativos al Padre Vega. 38 Carta de Don Gregorio Mayans y Siscar al Padre Doctor Don Vicente de Calatayud del Oratorio de Valencia. 1760. 39 Nos gustaría saber cual fue el desenlace final de la relación el P. Amorico con la Congre- gación de Sevilla. 208 ANNALES ORATORII

A este capítulo hay que añadir la relación de las Congregaciones con la devoción ascendente al Sagrado Corazón de Jesús, introducida en el Orato- rio, por un lado como devoción auspiciada por Roma, y por otro como algo jesuítico y español mediante el Padre Bernardo Hoyos40 y otros promotores jesuitas, los Padres Cardaveraz41 y Calatayud42. En el siglo XVIII esta devo- ción contaba con el apoyo de la Santa Sede, pero no tenía una extensión uni- versal; Clemente XIII había autorizado su culto, y en España los filipenses de Cádiz habían sido pioneros en introducirla43. Pío VI defendió esta devo- ción contra los jansenistas del Sínodo de Pistoya, en la Bula “Auctorem fi- dei” de 1794. El Padre Lucas dedica varias páginas a resaltar la devoción y la predicación del Padre Vega del Corazón de Jesús, y que fue una de las cir- cunstancias que más contribuyeron a las relaciones constantes con el Orato- rio de San Felipe Neri de la ciudad gaditana, donde predicó varios años esta fiesta litúrgica. Comenta el Padre Lucas que el Padre Teodomiro “procuró inspirar a los fieles la mas fervorosa devoción a este Corazón Sagrado, re- partió muchos libros, estampas y medallas... hizo colocar esta santa efigie en las puertas del tabernáculo y sagrario de la iglesia, también sobre la cú- pula de la capilla de ejercitantes, y en cuantas partes veía que podía tener adoración”. Otras Congregaciones, como la de Madrid, Málaga, y Alcalá de Henares también, acogieron este culto. Gran gozo sintió el P. Vega cuando la citada Bula papal fue convertida por Carlos IV en ley del reino, quedando libre de todos los ataques públicos que jansenistas y antijesuitas pudieran hacer. No fue sólo el Padre Vega el que sufrió esta persecución, también el fun- dador de la Congregación de Cuenca D. Isidoro Carvajal y Lancaster, luego obispo conquense, por protestar contra las regalías de Carlos III, en carta pri- vada al confesor regio P. Joaquín de Eleta. El Padre Vega estuvo en Cuenca y predicó el día de San Felipe Neri en el Oratorio44.

40 1711-1735. Primer apóstol del culto público al S. Corazón de Jesús en España. 41 1703-1770. Compañero del P. B. Hoyos. 42 1689-1773. Propagandista de la devoción al S. Corazón de Jesús en las misiones populares. 43 En Cádiz la fiesta del Corazón de Jesús se celebraba en el Oratorio de San Felipe. Aquí se había establecido la Asociación del S. C. apoyada por el prelado en 1736, y en la que trabajaba el Padre Pedro Francisco Calderón del Oratorio de Cádiz y predicador de cierto renombre, haciendo al mismo tiempo una obra de espiritualidad interior y práctica benéfica (cfr. Augusto Conte Laca- ve: Cádiz del setecientos. Cádiz 1978 pp. 155-162). 44 R. García Villoslada. Historia de la Iglesia en España T.IV 237 ss. BAC.1979. En el manuscrito del sermón pone la fecha de 1756, pero debe ser errónea, pues ese año el Pa- dre Vega tenía veinte no cumplidos, es el año 1757 cuando entra en los filipenses de Sevilla. A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 209

Otra consecuencia, digna de tenerse en cuenta, se pondrá de manifiesto años más tarde, cuando las Congregaciones de San Felipe Neri tendrán que hacer frente a los sucesivos decretos de supresión de las órdenes religiosas, entonces tendrán que defender su diocesaneidad y secularidad ante la ley. No resultó fácil convencer a los sucesivos gobiernos liberales de Isabel II de que las Congregaciones del Oratorio de presbíteros seculares de San Felipe Neri eran eso, seculares, sujetas al Ordinario, independientes unas de otras, no su- jetas a votos religiosos, ni a superiores provinciales ni generales. La lucha será larga, hasta 1851, y muchas casas desaparecerán ante la indefensión que padecen. Pero esto será ya objeto de otro estudio.

II EL ORATORIO Y LA INQUISICIÓN ESPAÑOLA

En la segunda mitad del siglo XVIII la Inquisición Española sigue vigen- te, pero con una presencia en la vida política y religiosa de distinto signo y con otro vigor que anteriormente tuvo. Hay nuevos elementos heterodoxos y nuevos materiales sobre los que se preocupa ahora. Ya no son procesos por judaismo, islamismo o protestantismo; ahora, como entonces, se censuran li- bros y publicaciones, pero especialmente los que apoyan la revolución fran- cesa; algunas beatas son condenadas por brujería y hechicería; se procesa tam- bién a algún filósofo por ateísmo. Y hay algunos procesos notables como los realizados contra Pablo de Olavide, Jovellanos45, Urquijo46, etc. Sólo cuatro personas fueron condenadas a la hoguera entre 1758 y 1808. Durante este tiempo se levantaron voces pidiendo la supresión del Tribunal de la Inquisi- ción, pero Carlos IV le mantuvo, utilizándolo como un elemento antirrevolu- cionario. En 1808 el rey José abolió en Santo Tribunal por decreto, las Cor- tes de Cádiz en 1813 por considerarlo incompatible con la nueva constitución del Reino de España47. La presencia del Padre Vega y de otros miembros del Oratorio español en este Tribunal y en esta polémica es muy notable. El Padre Lucas dedica varias páginas a la relación que tuvo el Padre Ve- ga con el Tribunal de la Inquisición de Sevilla y con la Suprema de España. Fue funcionario como calificador durante más cuarenta años, y como tal su

45 Gaspar Melchor de Jovellanos (1744-1811). 46 Mariano Luis de Urquijo (1768-1817). 47 DHEE. voz Inquisición. 210 ANNALES ORATORII misión era, entre otras, intervenir con el juez y el notario en la declaración de los testigos, lo que suponía una garantía para el reo. Estos funcionarios gozaron de gran autoridad48 En el último tercio del siglo, una preocupación permanente de este alto tribunal estuvo relacionada con la vigilancia de la entrada de libros prohibidos y no censurados por los puertos de Andalucía, especialmente por el de Cádiz y Sevilla. Cádiz contaba con una buena po- blación no católica, dedicada al comercio marítimo, que leía sin preocupa- ción todo tipo de publicaciones de sus países de origen. La autoridad civil y eclesiástica estaban muy al tanto de las fronteras, tanto del norte como del sur, con el fin de evitar en lo posible la entrada de obras de ideología políti- ca o religiosa de carácter revolucionario y heterodoxo, considerando lo que estaba sucediendo al otro lado de los Pirineos, y en Inglaterra y Holanda. Desconocemos casi todo lo que se refiere a la intervención del Padre Ve- ga como calificador de la Inquisición de Sevilla. Su citado biógrafo nos ha- bla de su intervención en algunos procesos inquisitoriales que acabaron con la condena de dos mujeres acusadas de hechicería y brujería, y muy velada- mente de la intervención del Padre Vega en el proceso o autillo contra el Asis- tente Pablo de Olavide. Seguimos en este delicado asunto a F. Aguilar Piñal49 y a M. Defourneaux50: Las reformas propuestas por Olavide y las que co- menzó a realizar chocaron con la mentalidad y las costumbres de las autori- dades locales, de la aristocracia, y de la religiosidad de gremios y cofradías. La religiosidad sevillana se vio atacada cuando el Asistente pidió su coope- ración económica para llevar a cabo las reformas sociales que pretendía. Igualmente fue atacado por el apoyo prestado al teatro51, a los artistas, y a ese sector de la sociedad hispalense que podemos llamar ilustrada. Olavide fue encarcelado durante 1776 y 1777. En 1778 en un auto se le declaró he- reje, infame, y miembro podrido de la Religión. Tal declaración ha sido con- siderada “como un ejemplo más de la intransigencia religiosa de los padres espirituales de la Sevilla dieciochesca”. Entre ellos el Padre Vega. Creemos que el siguiente párrafo del Padre Lucas se refiere a Olavide: “Fue – el Pa- dre Vega – uno de los primeros que penetró y descubrió la mala doctrine en punto de fe de uno de los principales personajes de Sevilla. No le detuvo el

48 A. Álvarez Morales: Inquisición e Ilustración 1700-1834. Madrid 1982. P. 60. 49 Sevilla en el sigo XVIII. Sevilla 1982 pp. 355 ss. 50 Pablo de Olavide, el afrancesado. 51 P. Barrera y Bolaños: “La labor teatral en Sevilla del peruano Pablo de Olavide” en An- dalucía y América en el siglo XVIII. Vol II. Sevilla 1985. A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 211 verlo en uno de los primeros puestos de la Ciudad para dejar de manifestar al Tribunal su dictamen, examinar por comisión de este sus cosas, y dar su calificación que después vio confirmada por sentencia pública contra él la Suprema Inquisición, con admiración de todo el reino.” Pero no debió de ser esta la opinión unánime del Oratorio sevillano, pues en la opinión opuesta encontramos al Padre Domingo Amorico. El padre Ca- yetano había hecho la presentación del Padre Amorico de la Congregación de Sevilla, al tiempo que Olavide tomaba posesión de su cargo de Asistente y Su- perintendente con plenos poderes para las reformas en Sevilla y en Sierra Mo- rena. El caso es que el rey Carlos III, directamente por medio de Olavide, ha- bía pedido al Padre Castaño Prepósito algo así como la exclaustración del Pa- dre Amorico, que gozaba de fama de excelente matemático, para que le ayu- dase en sus proyectos, y principalmente en la obra del hospital para pobres que pensaba levantar, y que atrajo sobre Don Pablo a tantos enemigos. La sa- lida del Padre Amorico fue del todo legal52. Amorico vivió con el Asistente en los Reales Alcázares al menos dos años, considerado como comensal ha- bitual. Compartía con Olavide la idea de hacer de Sevilla una ciudad nueva material e intelectualmente. Amorico fue uno de los testigos que declaró a fa- vor de Olavide en el proceso inquisitorial, sobre la rectitud que el Asistente trató de imponer en todas las ramas de la administración, lo cual le creó ene- migos. Amorico rechazó también la acusación de falta de religiosidad, defen- diendo que era buen religioso observante de los preceptos de la Iglesia, aun- que no se entregase a las innumerables devociones populares sevillanas. Las criticas a la oratoria sagrada del Asistentes eran justas porque había muchos predicadores detestables y los censuraba con franqueza. Los juicios del Padre Vega y del Padre Amorico sobre Olavide son irreconciliables: la Inquisición de Sevilla ve en el Asistente un enemigo que quiere dar superioridad al poder civil sobre el eclesiástico; el Padre Vega era opuesto a los proyectos de Ola- vide sobre el Teatro, sobre la reforma de los estudios universitarios, sobre las reformas sociales, etc. El apoyo de Olavide al teatro fue eficaz y consiguió abrir uno nuevo; se ocupó también de las diversiones públicas, de los bailes y del “seminario de comediantes”. El Alcázar se convirtió en un lugar de ani- madas reuniones, con lo más selecto de la población. El espíritu de la Ilustra- ción arrastraba a buena parte de la juventud que el Padre Vega consiguió di- rigir todavía algunos años, pasado el “temporal” de Olavide.

52 Congregación celebrada por la comunidad en 1 de junio de 1768. AGOSFNS., citada por el P. Cayetano. 212 ANNALES ORATORII

La unión del Padre Vega al Tribunal de la Inquisición de Sevilla le llevó a tomar parte, pocos años después, en otro proceso sonado, en 1781, cuya víctima fue la beata María de los Dolores, conocida como la “beata ciega”, acusada de herejía y condenada a la hoguera. El historiador F. Aguilar Piñal encontró una relación bastante completa del caso, por lo que ha podido re- construirse en gran parte la personalidad de esta señora y su proceso. Pasó dos años en las cárceles de la Inquisición en Triana, y parece ser que sólo al final, el Padre Vega pudo obtener la confesión y la abjuración de la reo. Fue ejecutada el 24 de agosto de 1781 y arrojada a la hoguera después de ajusti- ciada.53 Aunque los hechos siguientes sobrepasen la vida del Padre Vega,(+1805) hemos de decir también que la postura de los miembros más destacados del Oratorio en España fue partidaria de la permanencia del Tribunal de la In- quisición en los años siguientes. El Padre Simón López del Oratorio de Mur- cia54 participó como diputado por Murcia en las Cortes de Cádiz. Conocidas son las circunstancias históricas que dieron lugar a la convocatoria de las Cortes extraordinarias en Cádiz en 1810. Parte de los debates de esta asam- blea se celebraron en la iglesia del Oratorio de Cádiz, cedida por los Padres de aquella congregación, simpatizantes con el espíritu liberal que animaba a los diputados55. La residencia de los Padres dio acogida al filipense López, mientras otros buscaban alojamiento en otros conventos. El diario de las Cor- tes recoge las intervenciones del Padre López oponiéndose rotundamente a la tolerancia con el Teatro. Contra el teatro, argumentaba, estaban no sólo los autores paganos desde Platón a Ovidio sino los Padres de la Iglesia, los teó- logos, predicadores, etc56. En las Cortes de debatió el tema del Tribunal de la Inquisición, si debía mantenerse o abolirse. Aquí intervino también el Pa- dre filipense de Murcia Simón López, defendiendo la permanencia del San-

53 Tratado de la vida y hechos de María de los Dolores, llamada comunmente la Beata, natu- ral de la ciudad de Sevilla, y del exemplar castigo que se executó en ella el 24 de agosto de 1781 por el Santo Tribunal por hereje, apóstata, iludente, ilusa, faxelante, finjidora de rebelaciones(sic) negativa y pertinaz, y de su milagrosa conversión a la hora de su muerte. 46 fols. En el fondo Saavedra de la Facultad de Teología de la cartuja, en Granada, lib. 1º). 54 Doctor por la universidad de Baeza, fue luego obispo de Orihuela en 1816 y de Valencia 1824-1831. 55 R. Solís: El Cádiz de las Cortes. La vida en la ciudad en los años de 1810 a 1813. Cádiz 1987. 56 S. López: Colección de discursos en las Cortes generales Extraordinarias de Don Simón López presbítero y diputado por el Reino de Murcia. Cádiz. Imp. Gómez de Requena 1813. Col. Fraile. Vol. 147. A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 213 to Tribunal por los beneficios que aportaba a la sociedad, y por que las Cor- tes no tenían poder alguno para suprimir una institución de la Iglesia. Las discusiones fueron largas y al final por mayoría de votos fue abolida. El Pa- dre López siguió peleando por su restauración todavía muchos años, después del retorno de Fernando VII.57

III REPERCUSIÓN DE LA REVOLUCIÓN FRANCESA EN LOS ORATORIOS DE ESPAÑA

España estaba ligada a la monarquía francesa por los llamados “Pactos de Familia” establecidos por las dos ramas de la dinastía borbónica, ya desde los tiempos de Felipe V. Los acontecimientos revolucionarios que conmo- vieron a todas las naciones en 1789, movieron a España a mostrarse hostil a la Revolución, luego, según los acontecimientos trató de mantenerse neutral y al final entró en guerra con la Convención, entre tanto que Luis XVI era decapitado en 1793. Las primeras medidas tomadas en España para hacer frente a la ideología revolucionaria, fue la de impedir su propagación por los territorios españo- les, a cuyo empeño podía cooperar también la Inquisición, sobre todo en lo que se refiere a impedir la entrada de libros y folletos revolucionarios. El Go- bierno y la Santa Inquisición estuvieron de acuerdo en interponer estos con- troles y censurar y recoger cuanto material entrase por las fronteras o puer- tos españoles, según lo establecido por el Inquisidor General Rubín de Ce- ballos. Otras medidas fueron suprimir las Academias de francés y la salida de estudiantes españoles a Francia, constatando ya que muchos intelectuales estaban afectados por las nuevas ideas. El Padre Vega vivió esta política en su centro, porque como dice el Padre Lucas su biógrafo, fue calificador del Tribunal de Sevilla, aunque es un tema poco estudiado, y ocupó más de cua- renta años de su vida. No se ha investigado suficientemente la presencia del Padre Vega en los papeles de la Inquisición. La significación religiosa y política del Padre Vega, movió al arzobispo

57 Ver: J. Caro Baroja, El Señor Inquisidor. Madrid 1994. Sobre las intervenciones de S. Ló- pez en las Cortes de Cádiz: Colección de discursos en las Cortes Generales Extraordinarias de Don Simón López, presbítero y diputado por el Reino de Murcia. Cádíz. Imp. Gómez de Reque- na 1813. Col. FRAILE. Vol. 147. 214 ANNALES ORATORII hispalense a encargarle el elogio fúnebre del monarca francés, en las exequias que se celebraron en Sevilla el 8 de junio de 1793; sermón que se imprimió. Está clara su oposición a la ideología revolucionaria, por su espíritu irreli- gioso y la falta de moralidad en los principios que la guiaban. Ya en la Cua- resma de 1798 se dirigía a todos los españoles avisándoles de los peligros ex- teriores y de la infiltración de las ideas revolucionarias entre las clases inte- lectuales y políticas de la nación; de los peligros que suponían para la fe, la religión, la libertad y las costumbres españolas. Insistía en lo que él conocía muy bien, en la lectura de libros y folletos introducidos clandestinamente. A la altura de 1798 sus avisos eran proféticos y cumplidos pocos años después, cuando Napoleón dispuso a su antojo de los reyes de España y quiso hacer lo mismo con el pueblo. No fue fácil, como vemos, el diálogo del Padre Ve- ga con la sociedad sevillana de su tiempo. Pero además, ahora tenía contra él al sector oficial, que a toda costa quería mantener en vigor el Tratado de San Ildefonso firmado con el Directorio en 1796, la entrada de España como aliada de Francia en la batalla de Trafalgar. De aquí la intervención del Con- sulado francés en Sevilla y de la Embajada en Madrid, y de las notas cruza- das con Manuel Godoy para vigilar al predicador de Sevilla58. Estas son ma- terias de investigación que anuncia el Padre Lucas, pero que hasta el presente no han sido estudiadas con profundidad. El Padre Vega tomó también con- ciencia del desvío de tantos jóvenes sevillanos, que ahora se mostraban ha- bidos de la nueva literatura francesa y organizaban reuniones literarias sobre las nuevas ideas. Jóvenes como Blanco White, Arjona, Lista, etc. que en 1793 fundaron la Academia de Letras Humanas de Sevilla de talante liberal y en- ciclopedista. Si al Padre Vega le preocupaba la juventud sevillana en general de una manera especial se deja sentir su sentimiento por los sacerdotes jóve- nes atraídos por las nuevas ideologías59. La caridad sacerdotal del Padre Te- odomiro aparece en las páginas del Padre Lucas, ya tantas veces citado60. En 1790 la Asamblea Nacional decretó que todos los eclesiásticos fran-

58 Francisco Avellá Cháfer lo califica de sermón antifrancés e inoportuno, dadas las relacio- nes políticas que tenía en ese año el Reino de España con la República francesa. Cfr: El clero fran- cés emigrado en Sevilla... Archivo Hispalense 46-47 (1967) p. 17. 59 Pp. 160-165. En el Sermón de N. P. S. Phelipe... que predicó en la Congregación de Cuen- ca el año 1756(¿), el Padre Vega manifiesta su profundo sentir por la alta dignidad del sacerdote y del sacerdocio. Cf. Institución Colombina. Biblioteca Arzobispal. Sevilla Sig. 61/203. 60 cfr. F. Martí Gilabert: La Iglesia en España durante la Revolución Francesa. Pamplona 1971; L. Sierra: La inmigración del clero francés en España (1791-1800). Estado de la Cuestión, en Hispania 28(1968) 393-421. A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 215 ceses jurasen la Constitución Civil del Clero, muchos no aceptaron y prefi- rieron el destierro. Así comenzaron a llegar a España en 1791 muchos sa- cerdotes no juramentados, condenados a la pena de destierro y deportación. Entraron por cualquier frontera o puerto, de cualquier edad y rango, hasta un total que se calcula en 6322, de los cuales 5.888 sacerdotes y 434 religiosos. La autoridad real dio algunas disposiciones para hacer frente a las urgencias que planteaba esta inmigración: recomendaba a los obispos que acogieran a los clérigos en conventos, que les diesen algún empleo para que no estuvie- sen ociosos y pudiesen subsistir sin ser una carga para el Estado. La acogi- da por parte del clero y del pueblo cristiano fue muy cordial y generosa61; los párrocos de pueblos grandes acogieron al menos a uno de aquellos en su com- pañía ofreciéndole al menos el estipendio de la misa. Fijándonos en aquellas diócesis en las que estaba establecida la Congregación del Oratorio señala- remos que en Valencia fueron acogidos 700, de los cuales 200 mantenía el palacio arzobispal; en Barcelona fueron recibidos 311, en Cádiz 23, en Tole- do 810, en Córdoba 18, en Cuenca 118, en Granada 121, en Guadix 8, en Jaén 78, en Málaga 40, en Mallorca 113, en Sevilla 63, en Sigüenza 42. En Alcalá de Henares había 139 en 1796, de los cuales más de 24 venían a decir misa al Oratorio diariamente por espacio e más de tres años, 1792- 1795 y dos de ellos eran comensales habituales de la casa. La Comunidad les atendió caritativamente, a pesar del coste económico que suponía. En com- pensación se les pidió que dejaran para la sacristía tres estipendios al mes62. También tenemos noticias documentadas de la acogida que prestaron los Pa- dres de la Congregación de Palma a estos refugiados63. Lo mismo podemos decir de la Congregación de Málaga: el 23 de enero de 1793 llegaron al puer- to 34 sacerdotes, de los cuales 24 se quedaron a residir en un primer mo- mento en el Oratorio malagueño, luego de modo permanente se encontraron allí don Juan Marín, don Guillermo Reinaud y don Esteban Rinand Vicario General, todos de Languedoc. Fueron así acogidos por la comunidad y el pre- pósito Padre J. Rute y Peñuela64. De este tema se ha ocupara para la archi- diócesis de Sevilla Avellá Cháfer, el cual no cita en ningún caso la casa de

61 Acuerdo de 29 de diciembre de 1795. 62 información que agradecemos al P. Marcos Vallori, historiador de la Congregación e Palma 63 Cfr. Memoria de la Congregación de presbíteros seculares del Oratorio de San Felipe Ne- ri de la ciudad de Málaga , copia de 1888. p. 120. 64 F. Avellá Cháfer: El clero francés emigrado en Sevilla durante la Revolución, en Archivo Hispalense 46-47 (1967) 101-146. 216 ANNALES ORATORII los filipenses como acogedora de algún sacerdote emigrado65. El tema de los sacerdotes emigrados no se resolvería hasta la firma del concordato de 1801 entre Napoleón y el Papa Pío VII. El Padre Vega murió en 1805, pero la di- námica de los acontecimientos bélicos y políticos siguió afectando a las Con- gregaciones. En 1808 comenzaron las tropas francesas a entrar en España y los miembros de las distintas congregaciones se posicionaron con libertad an- te los acontecimientos. Así del Oratorio salieron sacerdotes guerrilleros66, pa- triotas67, otros fueron más timoratos y colaboracionistas por evitar mayores males a la propia casa; otros fueron deportados a Francia68. Muchas iglesias y casas del Oratorio fueron ocupadas por las tropas francesas, saqueadas y robadas sus alhajas ¿Hubo con las congregaciones represalias por la acogida prestada a los sacerdotes emigrados en España años anteriores? Nos falta do- cumentación en estos momentos para afirmarlo con rotundidad.

IV EL PADRE TEODOMIRO DÍAZ DE LA VEGA Y LAS CONGREGACIONES DE ANDALUCÍA

Como hemos indicado anteriormente, fueron nueve las congregaciones es- tablecidas en Andalucía, geográficamente en todas las provincias, salvo Huel- va y Almería, si bien Huelva pertenecía eclesiásticamente a la gran archi- diócesis de Sevilla. En la segunda mitad del siglo XVIII subsistían todas, aunque con distinto grado de actividad. Dice el Padre Lucas que “a la muerte del Padre Vega todas las congre- gaciones del Oratorio, aunque independientes por su instituto unas de las otras, hicieron tanto aprecio del mérito y virtud del Padre, que apenas hay alguna que no le consultase y muchas siguieron con él una continua corres- pondencia”. Correspondencia, decimos nosotros, que nos gustaría encontrar en los archivos de las congregaciones. “La de Málaga le veneró siempre co- mo un modelo de santidad, y cuando a su Prepósito se le participó su muer- te escribió que la noticia de ella había sacado las lágrimas de todos los in-

65 En el Oratorio de Barcelona. Cfr Laplana o.c. 66 Alcalá de Henares cfr. Diario de un patriota complutense en la Guerra de la Independen- cia. 1894. 67 Los padres de la Congregación de Madrid. Cfr. Historia del clero español. 68 Cf. Historia de las Diócesis españolas 10 Bac. P. 284. A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 217 dividuos de aquella casa, que jamas dejaría de sentir su falta” Las de Gra- nada, Córdoba, Cádiz y Valencia, admiraron siempre su celo, su sabiduría, su santidad”. El Padre Vega conoció las raíces granadinas de su congregación hispa- lense, destacando dos tradiciones importantes de aquella institución: los fili- penses de Granada siempre se habían distinguido por ser unos excelentes mi- sioneros populares, no sólo en la capital sino por los pueblos de la archidió- cesis. Otra tradición granadina fue la devoción a la Virgen de los Dolores, impulsada en Andalucía desde la primera fundación filipense, luego por la de Baza y Córdoba. Hablando de las devociones marianas de Sevilla en el siglo de las Luces dice Martín Riego que “la devoción mariana es la piedad po- pular sevillana por excelencia” y en particular a la Inmaculada, a la Divina Pastora y al Rosario69 y no menciona la devoción de los sevillanos a la Vir- gen de los Dolores que desde la fundación recibía culto en su iglesia de Ma- ría Santísima de los Dolores y congregación del Oratorio del glorioso Pa- triarca San Felipe Neri70. Contemporánea del Padre Vega fue la construcción de la iglesia del Oratorio de Granada. En la Congregación granadina apren- dió el Padre Vega el espíritu de misionero apostólico que cultivó en Sevilla, pues se desplazaba Cádiz, Río Tinto, San Roque y a otros pueblos y lugares a dar misiones. Recuerda el Padre Cayetano en su Historia del Oratorio de Sevilla, que el Padre Navascués fue a la Congregación de Cádiz, a los pocos días de llegar a Sevilla, tratando de encontrar apoyo y consuelo y que “allí hallaron ma- yores desapegos y desengaños”. La historia nos dice las dificultades por las que atravesaba el Oratorio gaditano por los años 1697, pues aunque fundado en 1671, sólo en 1701 habían podido comenzar a construir su casa e iglesia. Pero estos inicios no fueron obstáculo para que durante la vida del Padre Ve- ga las relaciones entre ambas comunidades fueran continuas y fraternas: mu- chas veces predicó en el Oratorio de Cádiz el Padre Vega, como ya hemos comentado; otras veces con motivo de la construcción de la Santa Cueva, que edificaba Don José Sáenz de Santa María Marqués de Valde-Íñigo, se hizo

69 Cf. Septenario Doloroso ejercicio útil y breve de los principales dolores de María Santísi- ma nuestra Señora. Sácalo a luz y lo consagra a María Santisima en su milagrosa imagen de los Dolores que se veneraba titular en la iglesia del Oratorio y Congregación del Glorioso Patriar- ca S. Felipe Neri de Sevilla un presbítero de dicha congregación. Reimpresión del año 1889. Se- villa.- Imp. Colón. 70 Cf. Historia de las diócesis españolas 10 BAC. P. 661. 218 ANNALES ORATORII también presente en esta capital andaluza; y otras con motivo de apoyar la creación de un Centro de Enseñanza, siguiendo la inspiración ilustrada de la sociedad gaditana y los proyectos de pastoral del señor obispo Dn. Francis- co Javier de Utrera. Enb el último decenio del siglo XVII, el Oratorio de Cá- diz se convirtió en el centro de las conferencias morales destinadas a la for- mación de los eclesiásticos gaditanos a cargo de la congregación filipense.71 En este campo pastoral el Padre Vega realizaba también tareas que los obis- pos habían encomendado encarecidamente a los filipenses de Cádiz, como era ocuparse de la asistencia religiosa y de la formación cristiana de los sol- dados de las guarniciones de la plaza. El padre Lucas recuerda la presencia del Padre Vega entre los soldados en el último sitio de Gibraltar. A este pro- pósito dice el Padre Lucas: “Para que conozcamos la intensidad de su celo, basta decir que hallándose en el Campo de San Roque, durante el último si- tio de Gibraltar a donde había ido por ciertos fines piadosos, se consagró a asistir y auxiliar a los heridos; predicó a la Plana Mayor antes de verificarse el asalto de los empalletados72, los animó a morir por su rey y Patria, y aún los hubiera seguido a la empresa para animarlos más, a no habérselo impe- dido el General, temiendo el riesgo a que se exponía el Padre.”73 Pero sin duda ninguna lo que más unió a las congregaciones de Andalucía fue la epi- demia de peste que se declaró en Cádiz en 1800 y luego se extendió por to- da Andalucía, por Málaga y Sevilla, causando innumerables víctimas, entre ellas el propio Padre Teodomiro. Posteriormente comprobaremos del mismo modo el aprecio de la Con- gregación de Sevilla por la de Cádiz cuando el Prepósito de Sevilla D. Alon- so Elena en 1859 intente restaurar aquella enviando dos sacerdotes de Sevi- lla. Pero esto cae ya fuera de los límites de nuestro marco histórico en este trabajo. La noticia de la muerte del Padre Vega se comunicó al Prepósito de la

71 Especie de colchón que con la ropa de los marineros se formaba en el constado de las em- barcaciones antes de entrar en combate. 72 No olvidemos que los Padres de Cádiz, con toda probabilidad habían abierto una casa en San Roque. Se refiere el P. Lucas al cuarto sitio de Gibraltar que tuvo lugar en 1782, sin que las tropas mandadas por el duque de Crillón lograran tomar el Peñón. 73 Viva Jesús. Oratorio Sacro de la vida del hombre y su reparación que se ha de cantar en la iglesia de María Santisima de los Dolores, Congregación del Patriarcha San Phelipe Neri des- ta ciudad de Córdoba, en la tarde del día 19 de marzo en que se celebra la festividad de los Do- lores de esta Señora Titular y Patrona de dicha congregación, este año de 1723. Puesto en co- mento músico por el Licdo. D. Pedro Rabassa Maestro de Capilla de la Santa Iglesia Metopoli- tana de la ciudad de Valencia... Impreso en Córdoba en casa de Esteban Cabrera... A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 219

Congregación de Málaga, que lo era el Padre José de Rute Peñuela. Encon- tramos también aquí motivos para relacionar la personalidad del Padre Teo- domiro con la comunidad malagueña. El Padre Cristóbal de Rojas y Sando- val restaurador de la comunidad había fallecido en 1757 y pronunció su ora- ción fúnebre el Padre filipense de Málaga Dn. Juan José Soriano. El Padre Soriano gobernó la comunidad hasta 1794, en sus honras fúnebres predicó el Padre José de Rute que vivió hasta 1822. Ambos Padres malagueños reali- zan los mejores proyecto de su Oratorio, respondiendo a las directrices pas- torales, primero del Cardenal Molina obispo de Málaga y sus sucesores. Los Padres de Málaga fundaron una Casa de Ejercicios y otra de Estudios públi- cos, tal vez una facultad de Teología, para lo que consiguió una Bula ponti- ficia de Benedicto XIV, con intención de elevar el nivel cultural de los ecle- siásticos malagueños. A lo largo de la segunda mitad del siglo XVIII, Mála- ga sufrió varios ataques epidémicos que costaron muchas vidas: tanto en 1755 con el tabardillo, como en 1800 y 1804 con la fiebre amarilla, los pa- dres filipenses se entregaron desinteresadamente a prestar ayuda a los afec- tados, en cuya obra se contagiaron también y murieron víctimas del servicio generoso y caritativo. Por todas las víctimas ofreció la congregación a la ciu- dad de Málaga múltiples misas y sufragios, con presencia del obispo y de las autoridades civiles y militares. Compartieron con el Padre Vega la práctica de la Escuela de Cristo, instalada en la propia iglesia, aunque en capilla pro- pia, y crearon el Oratorio Seglar; fueron los malagueños propulsores también de la devoción al Sgdo Corazón de Jesús, como lo fue siempre el Padre Ve- ga. Tanto en Sevilla como en Málaga aparece la solicitud pastoral de la Igle- sia por lo que se refiere a la atención particular a los encarcelados y conde- nados a muerte. Consta que el Padre Vega en Sevilla practicaba este aposto- lado, tratando de acercar a Dios a los habían de ser ajusticiados, en Málaga los Padres de San Felipe atendían a los piratas apresados y condenados a la última pena, en muchos casos extranjeros, a los que se trataba de preparar para el bautismo y el arrepentimiento si no eran cristianos, o a la abjuración de sus errores si eran herejes. Según Díaz de Escovar (sic), el Padre José de Rute Peñuela predicó un sermón el día 28 de marzo de 1772 por la tarde junto a la horca de unos ajus- ticiados, sobre la educación de los hijos. El Padre Juan Álvarez, según el mismo Díaz de Escovar, predicó un ser- món el 6 de julio de 1782, con motivo de la ejecución de varios piratas. El 6 de junio de 1782 fueron ahorcados los piratas Ams Fisson dinamar- qués, Juan Guzmán americano y Jaime Rodi... En la capilla se hicieron ca- 220 ANNALES ORATORII tólicos. Junto a la horca predicó una plática el Padre Juan Alvarez de la con- gregación del Oratorio. En la misma residencia y casa de Málaga ya el Padre Cristóbal de Rojas había dispuestos determinados aposentos para dedicar parte de la vivienda a Casa de Ejercicios, especialmente para sacerdotes, pues era una de las pri- meras intenciones del Cardenal Molina cuando promovió la fundación mala- gueña. Los filipenses fueron en buena medida confesores y directores espi- rituales del clero. Otros Padres malagueños contemporáneos del Padre Vega fueron el P. Nicolás de Arjona, Senior de la Comunidad en 1794 y el P. Ma- nuel Casamayor, Secretario en la misma fecha. La comunicación de la muerte del Padre Vega a la Congregación de Cór- doba, fundada en 1699, y de la que conocemos hasta ahora pocos documen- tos, pone de manifiesto los temas más importantes de la tradición cordobesa filipenese. Su fundador Don Luis Belluga y Moncada había sido estudiante en Sevilla, donde alcanzó el doctorado en Teología luego fue canónigo de Córdoba y alcanzó el obispado de Cartagena y el cardinalato. Desde las más altas instancias del Estado promovió los planes para la reforma del clero en tiempos de Felipe V, con la Bula “Apostolici ministerii” (1723) de Inocencio XIII, confirmada por Benedicto XIII en 1724. Si nos fijamos detenidamente en los planes de reforma del cardenal veremos plasmados estos en muchas de las realizaciones pastorales de las congregaciones del Oratorio en la se- gunda mitad del siglo XVIII, (el cardenal murió en 1743). El impulso dado por Don Luis Belluga a la práctica de los Ejercicios Espirituales y a la for- mación del clero lo hemos visto de una manera destacada realizado por el Padre Vega en Sevilla y los la Congregación de Málaga; el problema del cle- ro joven educado en los seminarios y en las universidades, contagiado de ja- nenismo y secularismo, sobre todo en las facultades de Derecho canónico y civil; el tema de la predicación y de las misiones populares, etc. etc. El Ora- torio de Córdoba que el Padre Vega conoció se distinguió también por su sen- sibilidad hacia la música oratoriana, pues en su iglesia se representaban dis- tintos Oratorio musicales de los compuestos en Valencia74. ¿La composición de Oratorios musicales fue una reacción contra el auge del teatro profano75? Siguiendo la tradición que venía del Oratorio de Granada, Don Luis Belluga fomentó la devoción a la Virgen de los Dolores, que continuó en la comuni-

74 María T. Ferrer Ballester: El Oratorio barroco español: aportación de nuevas fuentes. Cf. Revista de Musicología V. XVI 1993 nº 5P.[9] ss. 75 J. Rodríguez Molina: Historia de Baeza. P 225 s. A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 221 dad de los filipenses de Sevilla y también en la de Baza. Incluso esta advo- cación fue la titular de la iglesia del Oratorio en Sevilla, para algunos histo- riadores. Por otra parte podemos decir que si el Padre Vega buscaba mode- los de arquitectura para la construcción de su Casa de Ejercicios bien podía inspirarse en las de Granada, Cádiz y Córdoba. Sea lo que fuere sobre este tema hay que constatar que la casa de Sevilla tal como fue levantada en la collación o barrio de Santa Catalina vino a chocar con los planes urbanísti- cos de Pablo de Olavide y acabó por desaparecer, aunque concurrieran tam- bién otras circunstancias históricas. El Padre Vega conoció también el desarrollo de la Congregación de Bae- za (Jaén) en la primera mitad del siglo XVIII: el Obispo de Jaén D. Fernan- do Andrade y Castro, procedente de la diócesis de Palermo, donde conoció a los filipenes, fundó en el mismo Oratorio el Seminario Diocesano, o Cole- gio mayor, con aprobación del Papa Alejandro VII76. Luego el Obispo de Jaén Don Manuel Isidro de Orozco puso como Rector al Padre Cristóbal de Ro- jas que lo fue durante cuatro años, y según las crónicas los mejores espiri- tual e intelectualmente de la institución. Ya hemos hablado de la ayuda pres- tada por la Congregación de Baeza a la de Málaga para su reorganización. La historia de la Congregación de Baeza recoge la fama de estos filipenses como misioneros apostólicos por todas las ciudades y pueblos de la diócesis de Jaén y otras provincias. De qué modo la experiencia de vida filipense biatiense pudo informar la vida sacerdotal y la obra del Padre Vega, es un tema que necesitaría mayor investigación. En líneas generales se puede decir que la tradición filipense de la Congregación de Baeza resaltaba el espíritu de San Juan de Ávila, a quien se llama “predicador insigne de la Palabra de Dios”; y con eso el servicio a los sacerdotes y a la predicación misional. A esta constante tradición sa- cerdotal avilista se unía ahora, en la primera mitad del siglo XVIII los pla- nes reformistas del clero impulsados por Don Luis Belluga y Moncada, fili- pense de Córdoba y obispo de Cartagena, recogidos por la Iglesia en la Bu- la Apostolici Ministerii de 1723, promulgada por Inocencio XIII y confor- mada por Benedicto XIII al año siguiente, como ya dijimos: formación de los sacerdotes, la pastoral y la predicación y enseñanza del catecismo era lo que más se urgía al clero, especialmente al parroquial. La Congregación bae- ziense se había dedicado a la educación de la juventud especialmente en el

76 Contaba la Cong. de Baeza con 9 sacerdotes y 4 legos o.c. p. 242. 222 ANNALES ORATORII

Seminario Mayor del Santo Reino, y a la juventud universitaria de Baeza77, apostolado o ministerio que vemos luego también en el Padre Vega con la ju- ventud sevillana. En relación con Don Pablo de Olavide hay que decir que esta Congregación de la Alta Andalucía admiraba la obra de repoblación y creación de nuevos pueblos llevada a cabo por Don Pablo; en Baeza vivió su familia y allí murió el mismo Olavide en 1803. Pensemos también que esta tradición filipense del Alto Guadalquivir pasó a la Baja Andalucía a través de la congregación de Málaga desde 1743. El Padre Vega murió el 6 de diciembre de 1805 antes que comenzase la invasión francesa en España y en Andalucía, con la interminable serie de ca- lamidades de todo orden. Me reitero en mi apreciación primera y creo que el padre Teodomiro es el más alto representante del Oratorio en España duran- te la segunda mitad del siglo XVIII.

EPÍLOGO

La vida de las Congregaciones en la segunda mitad del siglo XVIII fue magnífica, la de mayor esplendor y extensión, contribuyó a que tanto la Igle- sia de España, como la sociedad civil y el pueblo cristiano tomaran concien- cia de la identidad propia de estas comunidades, tanto de una forma indivi- dual, local, como de una forma colectiva. Es admirable el servicio prestado a las diócesis por las congregaciones del Oratorio, y por otra parte hay que reconocer el aprecio que el episcopado español mostró a la institución, abriendo la diócesis a sucesivas fundaciones. Se puede decir que el episco- pado español del siglo XVIII fue el primer valedor de los filipenses para sus programas de reforma del clero y del pueblo considerándolos diocesanos sin ninguna distinción. A muchos obispos el Oratorio español les debe eterna gra- titud. Sus intervenciones en la vida interna de las comunidades fue además positiva, en todos los casos que conocemos en España. El Padre Vega fallecido santamente en 1805 no pudo ver las consecuen- cias de la Guerra de la Independencia entre 1808 y 1814. Pudieron mante- nerse florecientes varias comunidades de filipenses hasta la muerte del rey Fernando VII en 1833. Pero después, los gobiernos liberales de Isabel II y

77 J. Sánchez Rubio: Juicio imparcial y comentarios sobre el concordato de 1851. Madrid 1853. También: Historia Contemporánea del clero español correspondiente a 1851 y 1852. Ma- drid 1853. A. Alba, El padre Dr. Dn. Teodomiro I. Díaz de la Vega, ... 223 los sucesivos decretos de supresión de las ordenes religiosas y la desamorti- zación eclesiástica, obligó a los Oratorios a defender sus derechos y su pro- pia personalidad en el seno e la Iglesia, hasta la firma del nuevo concorda- to entre la Reina Católica y el papa Pío IX en 185178. Pero, en el entretanto, muchas comunidades se extinguieron y sus bienes parason a manos de la igle- sia diocesana, de particulares y del Estado. De las que sobrevivieron, unas encontraron los medios jurídicos para burlar la ley y siempre permanecieron y otras que han llegado a nuestros días pudieron recuperar sus bienes y co- menzar de nuevo, cumpliendo las exigencias establecidas en los acuerdos en- tre la Iglesia y el gobierno de España. Ángel Alba, C.O.

78 J. Sánchez Rubio: Juicio imparcial y comentarios sobre el concordato de 1851. Madrid 1853. También: Historia Contemporánea del clero español correspondiente a 1851 y 1852. Ma- drid 1853.

F. Colás Peiró, Antonio Gaudí, el arquitecto de Dios, ... 225

ANTONIO GAUDÍ, EL ARQUITECTO DE DIOS, Y EL ORATORIO DE SAN FELIPE NERI

En Gracia, dónde Antonio Gaudí vivió durante veinte años, y en sus alre- dedores se encuentra la mayor parte de la obra más esplendorosa del arqui- tecto de Dios (la Casa Vicens, primera casa construida por él; la Casa Milà o “Pedrera”; el Parque Güell; la Sagrada Familia). No nos debe extrañar, pues, que como vecino de Gracia visitase de vez en cuando nuestro Oratorio de Gracia, más teniendo en cuenta su amor por la liturgia y también por la música1 En este punto de contacto con el Oratorio de Gracia debemos men- cionar que seguramente se estableció con su amigo y discípulo Francesc Be- renguer, autor de los dos altares del crucero de nuestra iglesia, dedicados al Sagrado Corazón de Jesús i a San Felipe Neri, como también la reconstruc- ción del altar mayor, destruido por el saqueo que sufrió la iglesia en la lla- mada Semana Trágica (julio de 1909); desgraciadamente las obras del maes- tro Berenguer se perdieron en gran parte durante la guerra civil (1936-1939)2. Desde 1906 hasta poco antes de su muerte la parroquia de Gaudí, vecino

1 Atestiguan que tenía “oído profesional”, lo que se pudo comprobar cuando, a las cinco de la madrugada, dicen, escuchaba las pruebas que se hacían con las campanas de la Sagrada Familia y comparaba su sonido con el sonido de las campanas de otras iglesias: “…Gaudí, desde su casa del Parque Güell, después de haber tocado la campana tubular unos minutos antes para conocer el sonido, escuchó cuando tocaron todas y observó que el sonido que se compenetraba más era el de la Concepción. Entonces comparó todos los detalles referentes a las dos campanas, como dis- tancias a la casa de Gaudí (2.300 metros a la Concepción y 2.000 metros a la Sagrada Familia), peso y otras circunstancias, y encontró que el peso de la de la Concepción era doble del de la Sa- grada Familia y los efectos iguales, ésto que supone muchas y mejores condiciones vibratorias en la forma tubular”. Cf. Martinell, C., Gaudí i la Sagrada Família. Aymà, Editores, Barcelona, 1996 2 Colás. F., L’Oratori de Sant Felip Neri de Gracia. Cent anys de vida, Barcelona, 1996. Fran- cesc Berenguer parece que fue el hombre que más conoció Gaudí y vivió intensamente la etapa en Gracia del maestro; también colaboraba con otro arquitecto, Miquel Pasqual. Con éste trabaja- ba por las mañanas, y por la tarde iba al obrador del templo de la Sagrada Familia. Pasqual y Be- renguer construyeron en 1895 el templo-santuario de San José de la Muntanya. Además de esta obra, también hay que destacar como obras importantes de Berenguer: la capilla del Santísimo de la parroquia de San Juan Bautista de Gracia, que algunos atribuyen al mismo Gaudí; la sede del Centro Moral e Instructivo de Gracia; casas particulares como: los números 13, 15 77 y 237 de la calle Gran de Gracia o bien los números 92 y 94 de la Rambla de Catalunya, entre otros. 226 ANNALES ORATORII de Gracia del Parque Güell, fue el templo de san Juan Bautista (plaza de la Virreina). El arquitecto, que dormía de un tirón toda la noche3, se levantaba a las siete de la mañana y en ayunas iba a dicha iglesia. Mn. Vendrell, pres- bítero beneficiado de esta parroquia dirá de la conducta religiosa de Antonio Gaudí en aquellos años: “No he encontrado jamás un hombre tan piadoso, tan fiel a su parroquia y tan humilde. Nos edificaba, él a nosotros, con su actitud. Siempre salíamos ganando, con su presencia. Era una alma enamo- rada de Dios. Me sentía pequeño ante su grandeza y su modestia. Durante veinte años le administré cada día la Sagrada Comunión”. Gracias a su re- ligiosidad, ascetismo y a los estudios constantes de la liturgia4, sabía y sen- tía lo que es la parroquia para un feligrés. Gracia, podemos afirmar que tuvo la buena suerte de presenciar la trans- formación física y espiritual del gran arquitecto Antonio Gaudí i Cornet. Las calles silenciosas de la parroquia de San Juan Bautista fueron en aquellos años testigo de la metamorfosis del arquitecto. En la época que comenzó a vivir con los suyos en el Parque Güell, conservaba todavía el aire de su an- tigua elegancia y de su ser señor en el vestir. Su ascetismo ni era total ni acen- tuado como lo fue años más tarde. No había renunciado a las pompas mun- danas ni al comercio de los hombres. Por las noches, por ejemplo, se retira- ba a su hotel con una tartana. Pero, Gracia vio como lentamente fue renun- ciando a todo bien terrenal para mayor gloria de Dios. Muchos vecinos fueron testigos de cómo se desprendía de todo para dar- lo todo. Quizá tenía presente aquello de San Agustín: “Dónde no hay caridad no puede haber justicia”. Lo regalaba todo. Estaba tan convencido de no te- ner un no para nadie, que hasta para ahorrar retrasarse en sus cuentas, entre- gó la administración y el cuidado de su dinero a una persona de confianza, pidiéndole él el dinero necesario para comprar el periódico de la tarde, La

3 “...puedo citar, por ejemplo, que su almohada, en vez de lana, la tenía rellena en la parte fi- brosa de unas pequeñas calabazas, obtenidas luego de dejarlas secar, las cuales aprovechaba pa- ra diferentes usos y que para descansar la cabeza nada tenían de blandas. Otras veces ponía es- tas plantas fibrosas dentro de los zapatos, descansando en ellas los pies, suprimiendo los calce- tines, cosa que, según él pretendía, era para avivar la circulación defectuosa de la sangre. Pero por esos detalles y otras observaciones hechas por mí, me hace pensar en que podían servirle de cilicio usándolas por espíritu de penitencia”. (Gaudí cristiano, Conferencias pronunciadas por Mosén Gil Parés, Subdirector de la Asociación de Devotos de San José, capilla del temple de la Sagrada Familia). 4 Las obras más queridas por Gaudí y de las que frecuentemente hacía referencia en sus con- versaciones eran: Anné liturgique, de Dom Gueranger; Eucologi; Missal quotidiภy últimamente no se separaba del Misale Romanum de Desclée en la edición de bolsillo. F. Colás Peiró, Antonio Gaudí, el arquitecto de Dios, ... 227

Veu de Catalunya, así como para poder coger el tranvía. Seis meses antes de su muerte, había renunciado a vivir en la casa del Parque Güell y se había mal instalado en el obrador del templo de la Sagrada Familia. Siguiendo el principio de causalidad, según el cual todo efecto tiene su causa, esta metamorfosis tuvo sus causas. En primer lugar, la muerte de su padre, el señor Francesc Gaudí, antiguo calderero de Riudoms, que había contagiado a su hijo su amor por la forma, por la creación5. Por otra parte, el contacto cotidiano con las cosas de Dios como arquitecto de la Sagrada Fa- milia y de otras obras siempre impregnadas de presencia religiosa. En resu- midas cuentas todo hizo crecer en él el fervor religioso y el misticismo, que, al intuirlo y comprenderlo, nos puede ayudar a penetrar en el corazón de su obra6. Sin embargo, debemos decir que las noticias que se pueden recoger sobre el carácter de Gaudí son contradictorias. Mientras algunos lo tachan de ge- nio presto e irascible, otros hablan de su amabilidad y del interés con que es- cuchaba a la gente y se preocupaba por sus problemas. Con su modestia bus- caba la compañía de los demás, más que su amistad, ya que según él es muy difícil de encontrar. Siempre defendía a sus amigos, más si no estaban pre- sentes, con más fuerza que si se hubiese defendido a sí mismo. Si se encon- traban enfermos, no dejaba pasar un día sin visitarlos. Se dice que no cono- cía el rencor, y parece cierto. Son muchas las amistades que cultivó alrede- dor de la parroquia de San Juan y en el barrio de Gracia7. La gran oportunidad de su vida se le presentó cuando Antonio Gaudí te- nía treinta y un años8. En Barcelona se había iniciado la construcción de un gran templo, el de la Sagrada Familia. Fue una idea de la asociación de De-

5 “Yo tengo esta calidad de ver el espacio, porque soy hijo, nieto y bisnieto de caldereros. Mi padre era calderero; el abuelo, también; el bisabuelo, también; en casa de mi madre eran caldere- ros; mi abuelo era botero (que es lo mismo que calderero); un abuelo materno era marinero, que también son personas de espacio y de situación. Todas estas generaciones de personas de espacio, dan una preparación. El calderero es un hombre que de una plancha plana da un volumen. Antes de comenzar el trabajo tiene que haber visto el espacio. Todos los grandes artistas del Renaci- miento florentino eran cinceladores, que también crean volúmenes de un plano; aunque los cince- ladores no se separan mucho de las dos dimensiones. Los caldereros abrazan las tres, y ésto crea, inconscientemente, un dominio del espacio que no todos poseen”. Cf. Martinell, C., Gaudí i la Sa- grada Família. Aymà, Editores. Barcelona 1951. 6 Un buen amigo, un tal Ràfols, decía: “Gaudí, visto fuera de la fe, quedará siempre incom- prensible. Será quizá un aspecto de su obra que el incrédulo amará, pero no su síntesis”. 7 Llopis, A., Gaudí en la villa de Gracia; en el Album historico y gráfico de Gracia. Barce- lona, 1950. 8 Mir, J., Antoni Gaudí, arquitecto. Barcelona 1977. 228 ANNALES ORATORII votos de San José9, fundada el 1886 por el librero Josep M. Bocabella i Ver- daguer. Esta obra había sido iniciada por otro, el arquitecto diocesano Fran- cisco de Paula del Villar Lozano, pero éste no se puso de acuerdo con los promotores y abandonó el proyecto. Entonces alguien pensó en aquel arqui- tecto joven, lleno de ideas nuevas, y le encargaron su realización. Es casi imposible encontrar en toda la historia del arte un paralelismo con la construcción de esta iglesia. “Al hablar de un artista, lo normal es citar una obra a modo de culminación; en Gaudí ésto resulta imposible, ya que la Sagrada Familia, su obra maestra, le habría de ocupar durante toda su vi- da”10. Ni él mismo había pensado en ello, cuando en noviembre de 1883 aceptó la dirección de las obras Por aquellos tiempos, Gaudí no tenía muy arraigada su fe, pero parece que la responsabilidad que le habían conferido causó un gran impacto en su es- píritu y enseguida se hizo el propósito de dedicarse plenamente y trabajar con todos los sentidos para ampliar y mejorar el proyecto inicial. Como arquitecto responsable que era, se planteó a fondo los temas reli- giosos, evangélicos y litúrgicos que tenían que ser la base de la idea. Conci- bió el templo como un lugar dónde el hombre acude a ponerse en contacto con Dios por medio de los sacramentos y de la oración y se propuso que la obra respondiese a esta noble finalidad. Quiso penetrar al máximo en el sentido de las funciones litúrgicas para que el temple fuese una gran plasmación. Es lógico, pues, que en un espíri- tu sensible como el suyo, estas meditaciones se transformasen en la semilla de una fe y de una austeridad que ya tenían que durar toda su vida. Así, si por una parte, con un estudio consciente y una inspiración genial supo dar grandiosidad a su obra, también, por otra, tuvo compensación con el alcance, debido a ella, de unas virtudes que tenían que enaltecer su gran personalidad. Él solía decir que todo en aquel templo dedicado a la Sagrada Familia era providencial y debemos creer que fue esta misma providencia que le orientó el espíritu por los caminos de la fe. En cuanto a la espiritualidad de Gaudí, ¿hay alguien que pueda pensar - si conoce con un poco de detalle su obra - que todo lo que allí se contempla, cautivado no sólo per la grandiosidad sino por la gran cantidad de detalles

9 Esta asociación, des de 1867 publicaba una revista titulada El Propagador de la Devoción de San José, que, con el título de Temple todavía es publica bimensualmente. 10 Camprubí, F., Die Kirche der Heiligen Familie in Barcelona. Munich 1959. F. Colás Peiró, Antonio Gaudí, el arquitecto de Dios, ... 229 que hay llenos de sentido, ha sido todo ello elaborado sólo por un pensa- miento frío para intentar realizar una obra vistosa o que se ha fijado en qué es lo que puede provocar admiración para con su obra? No eran éstos los cri- terios y las aspiraciones de Gaudí. Sin una contemplación profunda y habi- tual de los misterios de la fe, ni la fachada del Nacimiento, ni ninguna otra, no habrían llegado a ser concebidas tal como él las quiso y a nosotros nos conmueven11. Y también es lógico pensar que buscase un lugar apto donde vivir la li- turgia y su relación con Dios. De todos es sabido que Gaudí alimentaba y ce- lebraba su fe en el Oratorio de San Felipe Neri de Barcelona. Sabemos que iba, a pie y puntualmente todas las tardes, cuando salía del trabajo en su Ca- tedral de los Pobres —así llamaba él al templo de la Sagrada Familia—, a hacer la visita por la tarde al Oratorio, “a decir unas palabras a María”12 y sin duda también a ver a su director espiritual y confesor, el P. Mas. Y sin duda: así como los “felipenses” de Gracia influyeron, años más tarde” en la vida espiritual de otro gran hombre de la Iglesia como fue el Dr. Pere Tarrés; los del Oratorio de Barcelona lo hicieron con la de Gaudí. Es más, todos aprobaron la mayoría de noticias que se publicaron a raíz de la muerte de Gaudí, al hacernos sabedores de que la muerte lo sorprendió, al ser atropellado por un tranvía y sin que nadie lo reconociese, mientras ha- cía el trayecto de la Sagrada Familia al Oratorio de Barcelona, un lunes de junio de 192613. Son muchos los testigos sobre la presencia de Gaudí en el Oratorio de Bar- celona. Así en unos apuntes del P. Comas Mundet se encuentra esta noticia: “El arquitecto Sr. Gaudí, el pintor Sr. Graner, acompañados del Sr. Francis- co Figueras, P. Prepósito y P. Sacristán han visitado la Iglesia y determina- do colocar dos grandes lienzos pintados por el Sr. Graner. Sustituirán el pin- tado del presbiterio sobre la sillería. Los asuntos eran: Oración de Cristo en el Huerto de Getsemaní y Sinite parvulos venire ad me”14. Sin embargo, el testigo más apreciado es ver el retrato “del más ilustre y más venerable barbudo que se podía encontrar en el Oratorio todos los días

11 Carles, R. M., Cap a la beatificació de Gaudí. BAB 138 (juliol-agost 1998). 12 Pujols, F., La visió artística i religiosa de Gaudí. Barcelona 1968. P. 13. Consta también por testigos presenciales que Gaudí acudía diariamente al atardecer San Felipe Neri a la oración y a las letanías y los viernes al via crucis, cf. Piera, V., La liturgia en las casas de San Felipe Neri; en “Revista Litúrgica” 10 (1948), p. 78. 13 Cf., por ejemplo, “Vida cristiana” 12 (1925-1926) pp. 329-330. 14 ACOB, Apunts del P. F. Comas Mundet (1896-1912), 12 de enero de 1909. 230 ANNALES ORATORII en la función vespertina”15, en la fisonomía del San Felipe Neri de los dos cuadros que J. Llimona pintó y que, todavía hoy, los podemos contemplar, restaurados, a lado y lado del crucero de la iglesia del Oratorio. Los padres del Oratorio encargaron al pintor J. Llimona dos cuadros sobre San Felipe Neri: uno, en éxtasis, celebrando la misa, y otro, con los chicos y jóvenes en el Gianicolo de Roma. Al pintor, parece ser - y podemos dar por cierto, da- da la amistad existente entre ambos artistas16 - no se le ocurrió mejor idea que plasmar el rostro del arquitecto17 amigo y admirado en la persona del santo patrón del Oratorio Teniendo presente esta relación y la influencia de San Felipe Neri en su vida, no nos ha de extrañar que el mismo Gaudí dejara establecido que el Santo romano tenía que estar presente en su obra arquitectónica más impor- tante e incluso dónde tenía que ser colocada.

Ferran Colás Peiró C.O.

15 Laplana, J. de C., L’Oratori de Sant Felip Neri de Barcelona i el seu patrimoni artístic i monumental. Publicacions de l’Abadia de Montserrat, 1978. p. 286. 16 Martinell, C., Gaudí, su vida, su teoría, su obra. Barcelona 1967. pp. 57-59. 17 Cuando Llimona pinto las telas de San Felipe Neri, Gaudí contaba con cincuenta años de edad; con todo, si son dignos de fiabilidad los retratos y las caricaturas que le hizo Ricard Opis- so en el 1894 i en el 1900, el arquitecto ya tenia la barba blanca que lo caracterizaba, con la que el parecido con el Santo en esos cuadros se confirma. A. Monzon i Arazo, El Beato Manuel Torró i García, ... 231

EL BEATO MANUEL TORRÓ I GARCÍA (1902-1936), MÁRTIR, DEL ORATORIO PARVO DE VALENCIA

Los mártires en la Iglesia de Valencia

La Iglesia valentina está edificada, como tantas otras Iglesias particulares, sobre un fundamento martirial: se trata del testimonio del diácono Vicente, ministro de la Iglesia de Zaragoza, que, llevado a Valencia, soportó durísi- mas torturas hasta morir el año 304, durante la persecución de Diocleciano. La confesión de fe de Vicente —de la que se cumple el XVII centenario en 2004— fue tan célebre que el protomártir de Valencia se convirtió muy pron- to en “gran mártir” de toda la cristiandad, venerado de Oriente a Occidente. Su sangre derramada ha sido en Valencia, según el conocido adagio de Tertuliano, semilla de nuevos cristianos, es más, de gran número de santos y santas y, entre ellos, de abundantes mártires a lo largo de la historia, por ejem- plo, bajo domino musulmán o en las misiones en las Indias. Sobre todos des- tacan, sin embargo, los testigos de la fe martirizados durante los últimos años de la II República española (1936-1939). Esta persecución, por su magnitud y también a veces por su crueldad, bien puede ser comparada con las más te- rribles de la antigüedad pagana. El papa Juan Pablo II beatificó en Roma, el 11 de marzo de 2001, a un to- tal de 233 mártires que en aquellas difíciles circunstancias dieron el supremo testimonio; la gran mayoría eran valencianos o se encontraban desarrollando sus respectivos ministerios o actividades apostólicas en estas tierras. Nos en- contramos ante una beatificación especialmente significativa, por varias razo- nes. Primeramente, es la más numerosa de la historia. En segundo lugar, ha tenido lugar al inicio del III Milenio de la era cristiana, como recordando, en clave de superación y de esperanza, todas las persecuciones, guerras y atroci- dades que han ensangrentado el pasado s. XX. Por último, se trata de la pri- mera vez que las diferentes vocaciones y carismas eclesiales han quedado uni- dos en el martirio común: junto a muchas religiosas y religiosos han sido be- atificados miembros del clero secular y laicos de ambos sexos. Su conmemo- ración litúrgica conjunta ha sido fijada el día 22 de septiembre. 232 ANNALES ORATORII

Raíces locales y oratorianas

Entre estos nuevos beatos figura el bienaventurado Manuel Torró i Gar- cia, que fue Hermano del Oratorio Parvo de San Felipe Neri, de Valencia. Nació el 2 de julio de 1902 en Ontinyent, municipio de la comarca valen- ciana de la Vall d’Albaida, donde recibió los sacramentos, estudió las pri- meras letras y ejerció posteriormente una gran actividad apostólica. Dicha comarca se ha caracterizado históricamente por la religiosidad de sus habitantes. De hecho, bastantes de los mártires ahora beatificados eran naturales de ella. También fueron oriundos de la misma algunos de los miem- bros de la Congregación del Oratorio de Valencia, fundada en 1645 y cuya influencia se extendía a todo el Reino. Citemos solamente a dos de los Pa- dres más insignes. Uno de los oratorianos de la primera generación fue el P. Gaspar Blai Arbuixech (1624-1670). Nacido, como el beato Manuel Torró, en Ontinyent, fue profesor y vicerrector de la Universidad de Valencia —don- de era considerado “padre y maestro de la juventud”— y notable predicador en lengua vernácula. Modelo de virtudes, destacó también como propagador de la doctrina inmaculista, muy característica de la Congregación valentina —a los esfuerzos de los Padres se debe, en parte, el Breve del papa Alejan- dro VII Sollicitudo omnium Ecclesiarum, de 1661, uno de los antecedentes de la definición dogmática de 1854—, y la tradicional devoción de Ontinyent a la Purísima Concepción, de la que participó vivamente nuestro beato, le de- be mucho. A finales de siglo vio la luz en la villa de Albaida otro ilustre miembro de la Congregación, el P. Vicent Calatayud (1693-1771), pavorde de la Catedral metropolitana y también profesor de la Universidad de Valencia, donde fue el principal representante de la teología tomista de la época. El P. Calatayud nunca abandonó sus vínculos familiares y espirituales con Albaida. La tradi- ción filipense constituye, pues, una de las raíces espirituales que, en aquel entorno local y a través de la sucesión de las generaciones, nutrieron la fe del beato Manuel Torró.

Hermano del Oratorio y apóstol seglar

Aunque la Congregación de Valencia desapareció en 1837, a consecuen- cia de los decretos desamortizadores, el Oratorio Parvo de San Felipe Neri, por un cuidado especial de la Providencia, ha continuado existiendo ininte- rrumpidamente hasta hoy: los Hermanos —y también las Hermanas, esta- A. Monzon i Arazo, El Beato Manuel Torró i García, ... 233 blecidas en el s. XVIII— han seguido reuniéndose, a imitación del Oratorio romano, para los ejercicios de piedad (oración en común, veneración de la Virgen María bajo la advocación particular “de la Luz”) y de misericordia (atención a los enfermos y ancianos). El beato Manuel Torró, que fue miem- bro de otras asociaciones laicales como la Acción Católica y la Adoración Nocturna, conoció a los Hermanos durante su época de estudiante de perito aparejador en Valencia y entró a formar parte del Oratorio Parvo, estableci- do entonces en el Hospital: allí ejerció la caridad siguiendo el ejemplo de N.P. san Felipe y de sus compañeros e hijos espirituales. En 1926 contrajo matrimonio con Rosario Romero Almenar; tuvieron un hijo, que falleció prematuramente. Los diez años siguientes vivió con espíri- tu evangélico su condición de esposo y de aparejador en Ontinyent. Los tes- tigos del proceso de beatificación afirman que Manuel Torró era educado, tra- bajador, fiel cumplidor de sus deberes. Bondadoso y pacífico de carácter, su- po permanecer humilde y amable, servicial y caritativo. Ayudaba cuanto po- día en las actividades de la Iglesia (por ejemplo, en la enseñanza del Cate- cismo), pero no dudó en trabajar por el bien de la sociedad (colaboró en al- gunas ocasiones con el Sindicato obrero católico). Su intensa actividad apos- tólica surgía de una profunda vida de piedad: participaba en la Misa y co- mulgaba diariamente, rezaba el Rosario en familia. La precipitación de los acontecimientos políticos hizo que en 1936 esta- llara la revolución, que conllevaba la persecución religiosa. Todas las igle- sias y ermitas de Ontinyent fueron saqueadas, profanadas, quemadas y des- truidas, a veces por completo. La imagen patronal de la Purísima Concep- ción, que había sido remodelada a instancias del P. Arbuixech, antes citado, fue deshecha. Doce presbíteros, hijos de Ontinyent o que ejercían su minis- terio en esta ciudad, fueron asesinados junto con noventa seglares, en su ma- yoría cristianos militantes. Entre estos se encontraba el beato Manuel Torró.

Persecución y martirio

En la última vigilia de la Adoración Nocturna antes de la revolución, un alguacil enviado por el alcalde pidió la lista de los adoradores a Manuel To- rró, que era el Presidente. Este lo notificó a los reunidos y la mayoría dieron el nombre. Todos serían asesinados. Aquella misma noche, el beato ofreció su vida en defensa de la fe. Comenzada la revolución, no quiso esconderse, sino que recogió los ob- jetos religiosos de su parroquia, la de San Carlos, y guardó con él el Santísi- 234 ANNALES ORATORII mo Sacramento. Todos los domingos por la mañana, reuniendo a su esposa, sus padres y sus tres hermanos, leía la Misa del día y al final comulgaban to- dos. En aquellos días amargos mantuvo el ánimo sereno, confiando su vida en las manos de Dios. Afirmaba que, si le perseguían, era solamente por su condición de católico, pues nunca había intervenido en política. La víspera de su tránsito, rezó el Rosario con su esposa, y le dijo que tenían una opor- tunidad única para pedir al Señor la gracia del martirio. A las doce de la noche del 20 de septiembre fue detenido. Se puso el me- jor traje que tenía y que su mujer acababa de limpiar; cuando ésta le dijo: “Con lo que me ha costado limpiarlo”, le contestó él: “a donde voy debo ir bien limpio”. Seguidamente la invitó a perdonar a todos como él los perdo- naba, la animó para que estuviese contenta y le dio un beso de despedida. En el trayecto hacia el lugar de la ejecución, que tuvo lugar en el térmi- no de Benissoda, dió unos cigarrillos a uno de los que habían ido a por él, lo abrazó y le dijo que estaba muy contento; aquel hombre no los pudo fumar y días después los devolvió a la viuda. Antes de morir junto con otros dete- nidos, y tras los atropellos, insultos y blasfemias de los asesinos, pidió a és- tos que les dejasen cantar la Salve y que les disparasen de frente, pues, de- cía, los católicos mueren de cara. Hacia las dos de la madrugada del día 21 entregaba su espíritu. Después del fusilamiento se encontraron unos rosarios en tierra, ensangrentados. Su cuerpo fue echado en una fosa común, sin caja o ataúd, tal como él había deseado.

* * *

Manuel Torró unió una vida de sencillez evangélica, orientada según su específica vocación laical, a una muerte martirial ofrecida por amor a Dios y a los hombres: encarnó, pues, los más altos ideales que N.P. san Felipe pro- ponía a los seglares. Ojalá que el ejemplo de nuestro beato brille para todos con luz potente y su amable intercesión se experimente cada vez más cerca- na por los miembros del Oratorio secular y de la entera familia filipense.

August Monzon i Arazo A. Monzon i Arazo, El Beato Manuel Torró i García, ... 235

Bibliografía sumaria

Cárcel Ortí, Vicente / Fita Revert, Ramón, Mártires valencianos del siglo XX, Edicep, Valencia, 1998. Delegación Diocesana para las Causas de los Santos de la Archidiócesis de Valencia, Manuel Torró García, Valencia, 1999. (Recoge fundamental- mente los datos de la Positio). Llin Chàfer, Arturo, Modelos de vida cristiana. Semblanzas biográficas de la Iglesia de Valencia, Edicep, Valencia, 1999. L’Osservatore Romano, La beatificazione dei 233 martiri della persecuzione contro la Chiesa nella Spagna repubblicana, suplemento para el 11 de marzo de 2001. (Incluye: homilía de Juan Pablo II; alocución a los pere- grinos; elenco de los 233 mártires).

E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ... 237

PADRE LUIGI PICCARDINI (1812-1893). UN APOSTOLO DELLA DEVOZIONE ALLA MADONNA

1. La Congregazione dell’Oratorio di Città di Castello, fucina di santi e di dotti

La Congregazione dell’Oratorio di Città di Castello1 fu fondata dal padre Cristoforo Cherubini. Mentre questi si trovava a Roma, e stava pregando nel- la basilica vaticana sulla tomba di san Pietro, sentì l’impulso di tornare a Cit- tà di Castello e di fondare presso la chiesa dedicata al principe degli aposto- li la Congregazione dell’Oratorio. Ottenuto l’assenso del vescovo, ebbe l’ap- provazione pontificia col breve Ex quo Divina Majestas del 7 gennaio 1622. Il breve fu pubblicato il 22 luglio dello stesso anno, ed il 18 ottobre seguen- te fu aperta la Congregazione dell’Oratorio presso la chiesa di San Pietro del- la Scatorbia. La prima comunità oratoriana tifernate era composta dai sacer- doti Cristoforo Cherubini, Niccolò Manassei, Lorenzo Guerrini, Onofrio Onofri, Domenico Leomazzi e dal chierico Vincenzo Restori. L’antica chiesa di san Pietro, secondo la leggenda fu eretta sul luogo do- ve si trovava il carcere in cui fu imprigionato san Crescenziano, soldato ro- mano evangelizzatore dell’Alta Valle del Tevere, martire a Pieve de’ Saddi nell’anno 3032. Dopo essere stata priorato dei monaci camaldolesi di Borgo Sansepolcro, la chiesa divenne beneficio semplice ammensato al seminario vescovile. Con una transazione i padri dell’Oratorio vennero in possesso di questo luogo, pagando un canone annuo al seminario. Grazie alla traslazio- ne di numeose preziose reliquie ed a numerose opere d’arte, la chiesa diven- ne ben presto, assieme all’annesso convento, uno dei più importanti luoghi

1 Notizie sulla Congregazione dell’Oratorio di Città di Castello si trovano in A. CERTINI, Ori- gine delle chiese e monisteri di Città di Castello, 1726, ms in Archivi Storici Diocesani di Città di Castello (ASDCC), Archivio Capitolare; G. MANCINI, Istruzione storico-pittorica per visitare le chiese e i palazzi di Città di Castello, Perugia 1832, I; G. MUZI, Memorie ecclesiastiche di Città di Castello, Città di Castello 1842-1843, V, pp. 22-26; E. CIFERRI, Luigi Piccardini e il suo tem- po, Città di Castello 1993, pp. 58-70 e passim. 2 A. CERTINI, Vita di san Crescenziano, Foligno 1709. 238 ANNALES ORATORII di fede e di cultura della diocesi. Anche l’oratorio degli Angeli, annesso alla chiesa, era uno scrigno di opere d’arte. Nei secoli la Congregazione tifernate ebbe fra i suoi membri numerosi per- sonaggi illustri per santità e dottrina. Padre Pietro Paolo Guazzini, figlio del famoso giurista Sebastiano, divenne notissimo per aver pubblicato un Tracta- tus moralis ad defensam animarum advocatorum, iudicum et reorum, dato al- le stampe a Venezia nel 1650, quasi a complemento spirituale dell’opera più famosa del padre, Ad defensam reorum. Rimase famoso per una sua predica- zione a Roma nella chiesa della Vallicella, per il grande afflusso di gente che vi concorse3. Padre Stefano Cappelletti invece rimase celebre per la sua de- vozione alla Madonna di Belvedere, e per la sua generosià verso i poveri. Mo- rì nel 1784 in concetto di santità. Padre Domenico Agatoni, laureato in teolo- gia presso l’Università Gregoriana, fu preposto dell’Oratorio e direttore spiri- tuale richiestissimo, morto anch’egli in gran concetto di santità nel 1805. Mol- ti dei confessori di santa Veronica Giuliani appartennero alla Congregazione dell’Oratorio: fra questi si ricordano Francesco Maria Ripa, Tommaso Bandi- nelli, Girolamo Bastianelli, Ubaldo Antonio Cappelletti, Vincenzo Segapeli, Raniero Maria Guelfi, Valerio Canauli ed il padre Caromi4. Il personaggio più insigne per santità legato all’Oratorio tifernate, fu la Serva di Dio Sulpizia Lazzari (1648-1717)5, una nobile dama, che, messasi sotto la direzione spirituale dei Filippini e oblata a San Filippo Neri, ebbe esperienze mistiche straordinarie. Dopo la sua morte le furono trovati nel cuore segni ritenuti miracolosi, per un fenomeno di stigmatizzazione plasti- ca simile a quello verificatesi in santa Veronica Giuliani e nella beata Flori- da Cevoli, sue contemporanee. La Lazzari morì nel 1717 e fu sepolta con grande onore presso l’altar maggiore della chiesa di San Pietro. Di lei fu com- pilato il processo di beatificazione, che si trova ancor oggi nell’archivio ve- scovile di Città di Castello, perché nonostante il suo felice esito, non poté trovar seguito a Roma per mancanza di un finanziatore. Degni di un ricordo particolare sono anche: il padre Cesare Moretti (1773- 1844)6, insigne predicatore, notissimo per la sua bontà; Giovanni Battista Ri-

3 E. CIFERRI, Tifernati illustri, Città di Castello 2000-2001, I, pp.132-136. 4 Si veda in proposito: L. IRIARTE, I confessori di santa Veronica Giuliani, in “L’Italia Fran- cescana” , LXIV, 4, pp. 389-416. 5 F. M. GALLUZZI, Vita della Serva di Dio Sulpizia Lazzari, vergine secolare di Città di Ca- stello, Roma 1730; E. CIFERRI, Tifernati illustri, cit., I pp. 146-149. 6 A. BELLI, Per la morte del padre Cesare Moretti preposto della Congregazione dell’Orato- rio di Città di Castello, Città di Castello 1844; E. CIFERRI, Tifernati illustri, cit., II pp. 182-186. E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ... 239 gucci (1806-1847)7, scrittore, sacerdote, fondatore della locale Cassa di Ri- sparmio, precursore della moderna speleologia, che volle entrare nella con- gregazione in punto di morte; mons. Florido Pierleoni (1742-1829)8, vesco- vo di Acquapendente e mons. Orazio Bettacchini (1810-1857)9, vescovo ti- tolare di Torone e primo vicario apostolico di Jaffna nell’isola di Ceylon.

2. Luigi Piccardini

Luigi Piccardini10 nacque il 5 novembre 1812 da una famiglia di contadi- ni al Palazzone della Villa dei Piotti, nelle campagne di Città di Castello. Do- po gli studi nel seminario vescovile, nel 1836 fu ordinato sacerdote dal ve- scovo Giovanni Muzi. Nel 1837 entrò nella Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri di Città di Castello, nella quale svolse un multiforme apo- stolato. Fu fra l’altro confortatore dei condannati a morte, promotore del cul- to del Cuore Immacolato di Maria ed assistente spirituale nelle scuole. Nel 1847 seguì, in qualità di segretario, l’amico e confratello oratoriano Orazio Bettacchini, divenuto vescovo nell’isola di Ceylon, in un viaggio per l’Italia e l’Europa, durante il quale a Parigi si consacrò al Cuore Immacolato di Ma-

7 P. T OMMASINI MATTIUCCI, Commemorazione di Giovanni Battista Rigucci, Città di Castello 1896; E. CIFERRI, Tifernati illustri, cit, II pp. 187-195. 8 G. MUZI, Memorie ecclesiastiche di Città di Castello, cit., V p. 227. 9 A. BELLI, Elogio biografico di mons. Orazio Bettacchini, Città di Castello 1868; E. CIFERRI, Tifernati illustri, cit., I pp. 42-46; N. M. SAVERIMUTTU, The life and times of Orazio Bettacchini, the first Vicar Apostolic of Jaffna, Ceylon (1810-1857), Roma 1980; E. CIFERRI, Luigi Piccardini e il suo tempo, cit., passim; E. CIFERRI, La Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri di Spoleto nell’epistolario di Orazio Bettacchini, in “Spoletium”, XLI, 40, 1999, pp. 46-48; E. CI- FERRI, La Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri e la Biblioteca Federiciana di Fano nell’epistolario di Orazio Bettacchini, in “Nuovi Studi Fanesi”, XV, 2001, pp. 45-50. 10 Su Padre Luigi Piccadini si veda: E. CANCELLIERI, Necrologia del fondatore del Santuario di Canoscio Padre Luigi Piccardini e del zelante suo cooperatore Don Francesco arciprete Vol- pi, Umbertide 1893; G. BONGINI, Cenni del defunto Padre Luigi Piccardini recitati prima della sua tumulazione nel cimitero di San Secondo il dì 15 febbraio 1893, s. n. t.; A. GIANNINI, Padre Luigi Piccardini, Selci 1955; L. GIACCHI, Padre Luigi Piccardini apostolo e profeta della devo- zione al Cuore Immacolato di Maria, Città di Castello 1988; E. CIFERRI, Luigi Piccardini e il suo tempo, op. cit.; E. CIFERRI, Padre Luigi Piccardini e il Santuario di Canoscio, in “La Madonna di Canoscio” anno LVIII n. 1, gennaio/marzo 1993, pp. 16-17; G. TESSERIN, Sulle orme di Filippo Neri, santi di ieri e di oggi, Chioggia 1994, pp. 128-130; E. CIFERRI, Tifernati Illustri, cit., I, pp. 177-181; E. CIFERRI, Luigi Piccardini, santo a furor di popolo, in “L’altrapagina” anno XVIII n. 1, gennaio 2001, p. 45; E. CIFERRI, Contatti con il Montefeltro nella corrispondenza di padre Lui- gi Piccardini, in “Studi montefeltrani”, 22, 2001, pp. 101-108. 240 ANNALES ORATORII ria e prese speciali facoltà per la diffusione di quella devozione11. L’attività che però lo contraddistinse sempre, fu quella di predicatore. Come predica- tore egli fu in gran parte d’Italia, acclamato ed osannato dalle folle. Durante una di queste predicazioni, il 15 agosto 1854, sul colle di Cano- scio a sud di Città di Castello, in occasione della festa della Madonna As- sunta, ebbe l’ispirazione di chiedere che si facesse una chiesa più degna per contenere la bella immagine venerata in quel luogo. L’opera, per la genero- sità dei presenti e delle generazioni a venire, prese pian piano corpo, fino a diventare l’attuale santuario-basilica. Fatti prodigiosi si raccontarono su di lui, ed uno in particolare, legato alla predicazione del luglio 1852 nella chie- sa tifernate della Madonna delle Grazie, ne tramandò la fama come quella di una sorta di “mago della pioggia”12. Morì sul far della sera del 13 febbraio 1893, venerato dal popolo come un santo, ed il suo corpo, dapprima deposto nel cimitero di San Secondo, venne traslato nel 1895 presso il Santuario di Canoscio con grande solennità e con- corso di popolo. Nel 1955 l’allora vescovo di Città di Castello Filippo Maria Cipriani volle aprire un processo informativo per la sua beatificazione.

3. La devozione mariana del Piccardini

Scrivere in poche righe della devozione mariana del Piccardini è come cercare di racchiudere i raggi fulgenti del sole in una campana di vetro: non si potranno mai trovare parole sufficienti per descrivere il fuoco ardente di questo apostolo di Maria. Tutta la sua vita appare donata a Cristo per mezzo di Maria, ella é presenza costante e vivificante in ogni atto, anche minimo del Piccardini. Già nel 1843 scrisse: “Al Cuor di Maria…Oh! A quel dolcissimo Cuore, Cuore amabile, pieto- so e caro tanto che proprio innamora, e tutti consola i suoi devoti… Eh! Sì, o carissimi, a quell’immacolato e santissimo Cuore della pietosa madre di tutti i fedeli, conviene oggimai ricorrere per ottenere copiose grazie dal Cie- lo. Per la tenera e potente intercessione di quel Cuore augusto, Iddio miseri-

11 Il Piccardini ottenne da mons. Desgenettes, parroco di Nostra Signora delle Vittorie di Pa- rigi, le facoltà di aggregare all’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, avente sede in quella chiesa, le confraternite del Cuore Immacolato di Maria presenti nel centro e nel nord Italia che ne avessero fatto richiesta. 12 La “pioggia prodigiosa” del 1852 riempì le pagine dei giornali dell’epoca, fra i quali “L’Os- servatore Romano” del 23 luglio 1852 ed il “Vero amico” di Bologna del 21 luglio 1852. E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ... 241 cordioso, conforme prega la Chiesa pe’ suoi ministri, concede presidio all’u- mana fragilità, conforto alla debolezza de’ giusti, che Elgi per cotal mezzo rafforza nel bene, e gli franca da nuove cadute: e a’ peccatori elargisce pie- toso la grazia efficace a risorgere dal miserevole stato de’ lor peccati, e ral- luminati e contriti ricondursi a Lui, che è Padre buono a tutti, e tutti vuol sal- vi per sua bontà. Dappoiché il Divino Figliuolo Cristo Gesù, che è vero au- tore e arbitro assoluto di tutte le grazie, con troppa abbondanza aprì ai dì no- stri il Cuore Santissimo di Sua Madre Maria, e col fatto già disse a tutti: «Da ora innanzi chi vuol mie grazie picchi a questa porta, ricorra a questo Cuo- re, tutto simile al mio, ne implori il patrocinio, ne invochi la tenera commi- serazione, e sarà appien soddisfatto, ché voglio io così a gloria di mia Ma- dre, e salvezza di voi, che fratelli mi siete per mio amore. » Oh! Consolate- vi dunque o giusti, ché Gesù vi dona ogni bene pel Cuor di Maria. E i pove- ri peccatori? Ah! Voi anzi rallegratevi, e fate cuore o traviati figliuoli di sì buon Padre; perché Gesù specialmente per voi aprì a grazie e misericordia il Cuor di Maria…” 13 Questa devozione mariana venne confermata e rafforzata durante il viag- gio a Parigi del 1847. Mentre l’amico Bettacchini si recò a Londra in inco- gnito per questioni riguardanti la sua missione a Ceylon, il Piccardini rima- se a Parigi, dove si consacrò al Cuore Immacolato di Maria nella chiesa di Santa Maria delle Vittorie, celebre centro di diffusione di questa devozione. Lasciò scritto un memoriale in proposito: “Nel giorno 27 luglio 1847, ultimo degli undici giorni nei quali, con sin- golare gioia dell’anima e del cuore, rimasi a Parigi davanti all’altare del San- tissimo e Immacolato Cuore della Madre di Dio, nella chiesa delle Vittorie, prostrato a pregare più fervidamente la stessa Vergine, dietro ispirazione del- la stessa tenerissima madre mia, mi sono obbligato con voto perpetuo di pro- pagare con tutte le forze e in tutti i modi possibili, fino alla morte, e di rac- comandare e promuovere ovunque, a ogni ceto di fedeli, un culto speciale al Santissimo e Immacolato Cuore della medesima Vergine madre, per la con- versione dei peccatori, come da più anni con proposito già facevo, con l’ag- giunta di questa condizione: anche se, per adempiere questo grande voto, mi dovesse sopraggiungere una grandissima persecuzione e anche la morte, cioè il martirio. Magari lo volesse Dio e la Santissima Madre mia Immacolata ma-

13 L’originale manoscritto di questo discorso si trova, assieme a molti altri scritti del Piccardi- ni, in ASDCC, Archivio Vescovile, Cartelle Piccardini (3261, 3262, 3263, 3264, 3265, 3266, 3267, 3271, 3272, 3273, 3295, 3296). 242 ANNALES ORATORII dre di Dio!. Espressamente promisi, anche con voto, che a qualunque cate- goria di persone mi avverrà di fare almeno tre discorsi, ne farò uno, o in uno almeno farò menzione su detta devozione all’Immacolato Cuore della Beata Vergine Maria, specialmente se al medesimo gruppo di persone mi accada di parlare la prima volta. Dopo il mio ritorno in patria, nel primo discorso fa- miliare, tenuto, come al solito, in questa nostra chiesa, ho dato notizia del vo- to fatto, come sopra, in relazione alla stessa devozione del Santissimo Cuo- re. In seguito, fra le più sante vergini di Cristo chiuse in monastero, promossi come una specie di apostolato per una facile diffusione della devozione al- l’Immacolato Cuore della Madre di Dio per la conversione dei peccatori, sug- gerendo alle medesime di emettere il voto perpetuo, di recitare l’antifona Sub tuum praesidium, l’Ave Maria con l’orazione di S. Bernardo Memorare Sanc- tissima Virgo; inoltre di raccomandare, con particolare insistenza, come ulti- ma salutare esortazione, la devozione santissima del Cuore della Beata Ver- gine Maria a chiunque si troverà presente alle ultime ore della vita di cia- scuna medesima vergine. Anch’io nel mio voto emesso a Parigi inclusi que- ste due cose: cioè promisi che le avrei fatte, in parte con espresse parole (co- me ultima raccomandazione), parte aggiunsi il 16 gennaio dell’anno 1850. Io Luigi Piccardini.”14 Un uomo con tali intenzioni nel cuore, non poteva non rivelarsi in prati- ca un vero apostolo di Maria, come fu il Piccardini. Tali intenzioni crebbero e si rafforzarono nel tempo: nello stesso pro me- moria, il padre le riconfermò nel 1872 e nel 188015.

4. Il Santuario di Canoscio

Narrano le antiche cronache16, che nel 1348, anno in cui la peste flagella- va l’Italia, un certo Vanne di Jacopo da Canoscio legò in testamento quaran-

14 Il testo originale, in latino, si trova in L. PICCARDINI, Documenta Vitae Spiritualis, Città di Castello 1955, pp. 35-37. 15 L. PICCARDINI, cit., pp. 38-39. Nel 1854 (op. cit, pp. 12-13), scrisse: “Sempre ricorderò l’ot- to dicembre 1854 per la speciale grazia ottenuta dall’Immacolata Madre di Dio, cioè di essere an- dato a Roma, ed essere stato presente alla solenne definizione dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Questa definizione avevo desiderata ardentissimamente e di essa spesse vol- te per cinque anni ho parlato al popolo in diversi luoghi. Perciò nel tempiodi San Pietro ricevetti grande consolazione e letizia dalla Beata Vergine Immacolata. Di questa solennità e letizia ho par- lato spesso agli altri fedeli”. 16 Si veda fra l’altro E. BIAMONTI RAIMONDI, Canoscio, Città di Castello 1938; A. ASCANI, Ca- noscio, Città di Castello 1974. E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ... 243 ta soldi di denari, perché si dipingesse una maestà con l’immagine della Bea- ta Vergine nel castello di Canoscio. Tale immagine viene comunemente iden- tificata con quella della Madonna del Transito, raffigurante la Vergine diste- sa al momento del transito, circondata dai dodici apostoli. Di squisita fattu- ra, attribuita ad un pittore di scuola senese, l’immagine si attirò nei secoli la fama di portentosa nel liberare dall’epilessia. Ricorrevano ad essa da nume- rosi luoghi di Umbria e Toscana, donando gioielli e denaro, grazie al quale nel 1406 fu costruita una bella chiesa, affidata alle cure dell’arciprete della vicina pieve dei Santi Cosma e Damiano. Fin dai tempi antichi si usava ce- lebrare due feste in onore della Vergine del Transito: la prima per l’Assun- zione di Maria il quindici agosto, e la seconda nella domenica in albis. La chiesetta eretta nel 1406, seppur bella, era assai piccola ed incapace a contenere i devoti che vi accorrevano da ogni parte. Ampliata alla metà del Seicento, fu ristrutturata nel 1844. Quando il Piccardini giunse a Canoscio, per predicarvi nella festa del- l’Assunta, il 15 agosto 1854, trovò la chiesa piena di gente all’inverosimile. Questa la testimonianza che egli rese ad un contemporaneo: “Subito entrai in chiesa a salutare quella cara immagine che per la prima volta vedevo. Mi rapivano, è vero, i giulivi cantici dei pastori e delle sem- plici zitelle; mi rapiva la pompa dei sacri apparati che erano del maggiore sfoggio, ma sopra ogni altra cosa mi rapiva la soavità del S. Volto di Maria del Transito! Quegli occhi atteggiati a dolce sonno, quelle labbra di porpora, tutto il profilo di quel volto, mi entusiasmarono e mi portarono col pensiero su nell’Empireo ai pié della Madre di Dio. Naturalmente me ne venne un con- fronto. Colassù circondata dall’immensità dei Cieli, quaggiù recinta dalle an- guste muraglie di una piccola chiesa. Colassù dovunque attorniata d’oro e d’argento, quaggiù dalla nuda sabbia di rozze pareti. Oh! Dov’era il decoro della mia Madonna? E poi era tanto bella! Sì, sì, erano da bandirsi nuove e più generose offerte, era da predicarsi l’erezione di un nuovo tempio, più bel- lo, più splendido, più grande, secondo la maestà di Maria, e foggiato anche ai modelli che offriva la civiltà del secolo. Tal pensiero improvviso mi s’af- facciò alla mente, né potendo frenarlo, mi proposi manifestarlo nella predi- ca che stava per cominciare. Immensa essendo la folla dei popoli da tutte le parti accorsi, il pulpito si dové innalzare nel piazzale dinanzi la chiesa. Salii, e tutto infervorato nel mio pensiero cominciai di slancio a parlarne ai devo- ti. Provai qual tesoro era per essi la candida effigie di Maria, e che bisogna- va mostrarsi non degeneri dagli avi, ma operar molto a gloria della Vergine. Dissi che le grazie sparse da Maria sopra i suoi figli meritavano maggior ri- 244 ANNALES ORATORII compensa. E qual era quel popolo, anzi quella piccola borgata, cui non fos- se conta per esperienza l’efficacia del suo patrocinio? Qual mai epilettico era a Lei ricorso e ne era partito sconsolato? Deh! Per amor della loro Madre, pensassero a rifabbricare un novello tempio, dessero cominciamento alle of- ferte, si sforzassero più del possibile, ché la Provvidenza li avrebbe aiutati. Io stesso col mio benché piccolo obolo vi avrei concorso, io stesso avrei aiu- tato a lavorare di buona lena; purché si ponessero all’opera, ché infallibil- mente riuscirebbero17”. Non aveva ancora terminato il suo discorso, che un tale di Castiglion Fio- rentino gettò sul pulpito mezzo francescone, mentre la folla, commossa, pro- ruppe in alte grida ed esclamazioni, promettendo di voler contribuire all’im- presa. Per la festa della domenica in albis del 1855, il Piccardini tornò a Ca- noscio, presentando al popolo accorso un primo abbozzo di disegno della nuo- va chiesa. Sarebbe stata quella la prima chiesa al mondo dedicata all’Imma- colata dopo la proclamazione del dogma da parte di Pio IX. Il vescovo di Cit- tà di Castello Letterio Turchi costituì un’apposita commissione per dirigere i lavori della “Fabbrica di Canoscio”, nella quale il vescovo figurava per pre- sidente, ed il Piccardini per promotore. Con una apposita notificazione ema- nata in data 25 giugno 1855 il presule raccomandava l’ardita impresa alla ge- nerosità dei fedeli. I lavori proseguirono a fasi alternate, l’entusiasmo popo- lare fu grande, ma quello del clero a volte mancò: fatto sta che più volte il clero secolare, fra cui lo stesso arciprete di Canoscio, giunsero a qualificare il Piccardini esaltato o pazzo, e a chiedere al vescovo di interrompere l’ardi- ta impresa per non far debiti. Ma Padre Luigi volle sempre continuare, non- ostante tutto, confidando nella sua Madonna. Fatti che hanno del prodigioso vengono narrati dalle cronache: buoi che non ce la fanno e vengono aiutati dalla sola pressione del bastone o dell’ombrello dell’oratoriano a salire per il ripido pendio dove si trova la nuova chiesa, muratori caduti da altezze incre- dibili e rimasti prodigiosamente illesi, oblazioni che arrivavano all’ultimo mi- nuto quando nessuno più sperava di poter proseguire nei lavori. È in questo frattempo che si collocano le vicende della soppressione del- la Congregazione dell’Oratorio di Città di Castello: per l’estensione delle leggi piemontesi sulla soppressione degli ordini religiosi, nel luglio 1861 i Padri Filippini dovettero lasciare la loro bellissima chiesa, ricca di opere d’arte e di splendidi arredi sacri. Il Piccardini, eletto nell’ultimo capitolo adunatosi preposito in perpetuo fino alla ricostituzione della Congregazio-

17 G. L. , Un viaggio al Monte di Canoscio, Città di Castello 1888, pp. 9-11. E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ... 245 ne, si trasferì con i suoi confratelli presso il nuovo santuario. La nuova chiesa fu consacrata l’8 settembre 1878 dal cardinale Raffaele Monaco La Valletta, inviato da Leone XIII, quel Gioacchino Pecci che, già arcivescovo di Perugia, amico del Piccardini, proprio perché eletto papa, non poté mantenere la promessa di venire a Canoscio a consacrare il nuovo tem- pio. Mandò col cardinale la Cappella Sistina ad eseguire quelle che all’epo- ca furon chiamate “musiche di paradiso”. Il santuario fu dedicato alla Vergi- ne Immacolata Assunta in Cielo. Nel gennaio 1888 il Piccardini assieme all’arciprete di Canoscio ebbero un’udienza dal papa Leone XIII allo scopo di chiedere al pontefice l’incoro- nazione della taumaturga immagine della Madonna del Transito. Il Capitolo di San Pietro, interpellato dal pontefice, accolse benevolmente la richiesta, con decreto del 15 agosto 188818. Il 16 settembre avvenne la solenne ceri- monia, officiata dal cardinale . Il concorso di gente fu tan- to, che il Piccardini ebbe a dire: “Stavolta la Madonna ha predicato per me!” Un solo grande desiderio del Padre non poté trovare attuazione: quello di vedere ricostituita presso il santuario di Canoscio la Congregazione dell’O- ratorio di Città di Castello. Il Piccardini desiderò ardentemente questo, ma le molte richieste fatte da lui stesso, trovarono ostacoli insormontabili soprat- tutto da parte del clero secolare, oramai indisposto a cedere la cura del san- tuario ai religiosi19. Il Padre se ne rammaricò sempre, ed operò tutto quello che poté a questo scopo, fino alla morte20. Per completezza si deve dire che il Piccardini non fu benemerito solo del santuario di Canoscio, ma anche di altre chiese specialmente dedicate alla de- vozione mariana, quali il santuario della Madonna delle Grazie, per il quale

18 Santuario di Canoscio. Le feste solenni per la consacrazione del nuovo tempio nel settem- bre 1878 e per la solenne incoronazione della Taumaturga Immagine nel settembre 1888. Memo- rie, Città di Castello 1888. 19 Un tentativo per la verità fu fatto, anche se incontrò molte opposizioni, per opera del vene- rabile Carlo Liviero, vescovo di Città di Castello dal 1910 al 1932, che affidò il santuario agli Oblati di Padova nella persona del padre Giovanni Battista Bussoni. L’esperimento non ebbe i ri- sultati sperati, e dopo qualche tempo il clero secolare tornò ad occuparsi di santuario e parrocchia. Il santuario sopravvisse anche ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, che lo devasta- rono. L’otto settembre 1998 papa Giovanni Paolo II lo ha insignito del titolo di basilica minore. 20 Prova ne fu, oltre gli accenni nelle lettere di risposta che rimangono fra le carte del padre, il fatto che numerosi arredi appartenuti alla Congregazione dell’Oratorio passarono al santuario di Canoscio, sfuggendo Dio sa come alle grinfie dell’amministrazione pubblica, che destinò il rima- nente patrimonio artistico alla pincacoteca ed alla biblioteca comunale. A Canoscio furono porta- ti i reliquiari dei santi Alberto, Brizio e compagni martiri, di santa Candida martire, e numerosi al- tri. Fra le reliquie giunse presso il santuario mariano anche una scarpa di san Filippo Neri. 246 ANNALES ORATORII promosse lavori di restauro ed un nuovo altare, sul quale volle mettere un cuore d’argento con dentro tutti i nomi degli offerenti, il piccolo santuario della Madonna di Corlo presso Montone, della costruzione del quale fu pro- motore, e la cappella della Madonna della Speranza nella chiesa della San- tissima Annunziata di Lerchi, per la quale ottenne l’altare privilegiato quoti- diano. Un segno speciale della sua devozione mariana fu l’immagine dei Sa- cri Cuori, da lui commissionata al pittore Vincenzo Barboni, e posta dappri- ma nella chiesa dei filippini, fu donata dal Piccardini nel 1890 alla cattedra- le, dove ancor oggi riscuote una speciale venerazione da parte dei fedeli.

5. Padre Piccardini predicatore

Col titolo di missionario apostolico, il Piccardini percorse gran parte del- l’Italia centrale, chiamato ovunque a predicare, per feste locali, per la quare- sima, per il mese di maggio. Rimangono ancora fra le sue carte molti inviti che riceveva anche dall’Italia settentrionale. Di certo fu a predicare a - gia, Camaldoli, Firenze, Pisa, Carrara, Foligno, Roma, Pistoia, Terni, Arez- zo, Bologna, Castiglion Fiorentino, Bagnorea, Subiaco, Livorno, Urbania, Todi, Orvieto, ed in molti altri luoghi. Spesso riceveva inviti dai vescovi per gli esercizi al clero. Un esempio degli argomenti da lui trattati, lo possiamo leggere nel programma del ciclo di predicazioni tenuto a Pisa nel 1866, rin- venuto manoscritto fra le carte del Padre: “Mese mariano in Pisa, 186621.

6. Padre Piccardini scrittore

Un aspetto poco noto del Piccardini sono i suoi numerosi scritti. Oltre al- le prediche, delle quali solo alcune furono stese per intero, mentre per la mag- gior parte delle altre il sacro oratore si limitò a semplici appunti, vi sono le lettere ed alcuni volumi editi quando egli era ancora in vita.

21 Purtroppo non viene specificato, come in altri casi, in quale chiesa si tenne il corso di predi- cazioni. L’importanza del predicatore e l’analogia con altre città può far tuttavia supporre che Pic- cardini predicasse in cattedrale, o in un’altra chiesa di primaria importanza. Prima conferenza, 30 aprile. Introduzione. La vera divozione a Maria è vero amore riverente come a Madre di Dio; tene- ro e grato come a madre nostra: l’uno e l’altro operativo. Seconda conferenza, 1° maggio. Maria Madre di Dio. Terza conferenza, 2 maggio. Maria madre nostra. 3 maggio. Trionfo di Gesù Cristo per la Croce. Il suo Regno Divino, regno di amore che santifica in terra e glorifica in Cielo. 4. La Chiesa regno di Gesù Cristo, è la incarnazione permanente del Figliuol di Dio. 5. La Chiesa è una come uno è Dio, una la persona divina in Gesù Cristo. 6. Discorso intermedio, perché festa. La eter- nità a cui dobbiamo tutti andare come a vera nostra Patria: le due eternità, le due famiglie, etc. 7. Si E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ... 247

In realtà di libri veri e propri egli ne scrisse solo uno, le Memorie sopra la prodigiosa immagine della Madonna delle Grazie, principale patrona dei tifernati, stampato a Città di Castello presso la tipografia Lapi nel 1886. Si tratta di una pregevole opera storica, nella quale il Piccardini, devoto di Ma- ria, si rivela anche attentissimo storico, ripercorrendo i numerosi scoprimen- ti della sacra immagine della Madonna delle Grazie, con un certosino lavo- ro d’archivio. La sua attenzione per le scienze storiche, che da giovane gli ri- manevano ostiche, si rivelò sempre più col passare degli anni: egli amava di- re che “in storia non si improvvisa”. Sul medesimo soggetto il Piccardini ave- va pubblicato nel 1875 un opuscolo dal titolo Della immagine di Maria San- tissima delle Grazie di Città di Castello: piccole notizie pel popolo pubbli- cate a cura della Società per gli interessi cattolici della medesima città. Que- sto opuscolo, a differenza del primo, ha un carattere divulgativo. Padre Piccardini scrisse anche un Manuale pei devoti del Cuor di Maria, opera della quale non sono riuscito a reperire nemmeno una copia. Del Piccardini si conserva anche una simpatica composizione poetica, scritta in occasione della prima fotografia fatta alla sua cara Madonna di Ca- noscio.

7. Fama di santità

Padre Piccardini godette di grande fama di santità sia da vivo che dopo la sua morte. Certamente fu uomo del suo tempo, legato politicamente al go- ritornò alla Chiesa, e se ne mostrò le altre note di santità e di cattolicità e apostolicità che sole col- la unità si trovano nella Chiesa Romana, la vera istituita da Gesù Cristo. 8. Si cominciò a trattare della Carità Teologica, che è come l’anima, lo spirito della Chiesa, la ragione formale della nostra figliuolanza con Dio. Si spiegò il massimo e primo precetto dell’amore di Dio, e si notò che senza l’amor di Dio è impossibile avere la Gloria in Cielo, né la pace e la felicità possibile in terra. 9. Si trattò dei motivi di amar Dio: Dio sommo bene, e sommamente amante. 10. I caratteri o gli effetti del vero amor di Dio. 11. L’amore al prossimo. Si spiegò il precetto: “Secundum autem, simile…”. 12. I doveri della Carità in famiglia. 13. Doveri della Carità da famiglia a famiglia, etc. 14. La ca- rità ed i respettivi doveri verso gli nemici. 15. La Confessione, il Sacramento. 16. L’esame. 17. L’ac- cusa dei peccati, confessione particolare. 18. La confessione generale. 19. La contrizione. 20. Lo Spirito di Dio e lo spirito del mondo (era la Pentecoste). 22. Le due Bandiere. 23. La morte dolce e preziosa dei giusti, che portano la Bandiera di Gesù Cristo. 24. Maria Santissima mediatrice e av- vocata, Auxilium Christianorum. 25. La vera e la falsa divozione alla Madonna. 26. La divozione al Cuor di Maria, refugio dei peccatori: opera di misericordia e provvidenza divina nel secolo deci- monono. 27. La Santissima Eucaristia, istituzione: Gesù dimorante con noi, etc. 28. Gesù nel Sa- crificio della Santa Messa. 29. Gesù nella SS. Comunione. 30. Gesù tradito in tutti i principali di- segni dell’amore del Santissimo Sacramento: l’amico tradito. 31. Comunione generale la mattina, sera vacanza. 1° giugno. Avvertimenti cattolici, etc. 3. Ultimi ricordi, etc. Benedizione papale. 248 ANNALES ORATORII verno pontificio. Da giovane, l’amico Bettacchini gli rimproverava scherzo- samente un certo attaccamento al denaro. Egli fu un amministratore oculato, ma col tempo finì col gettarsi anima e corpo nell’impresa della costruzione del santuario di Canoscio, tanto da sollevare critiche per quel suo ottimismo nella Provvidenza da parte di alcuni membri del clero locale, invidiosi dei suoi successi. Per questo suo scopo, predicava quale missionario apostolico in mol- te località d’Italia, raccogliendo così offerte per la costruzione del sontuoso tempio, al cui fine versava anche tutto quanto riceveva come compenso. La sua fama di santità fu così grande in vita, da attrarre folle enormi alle sue predicazioni. Alcune di queste fecero grande scalpore, per quei prodigi che egli prometteva e puntualmente si avveravano, quali quelli meteorologi- ci. Si racconta di varie “piogge prodigiose” da lui invocate, la più nota delle quali avvenne in tempo di grande siccità nel 1852, dopo che il Piccardini ne aveva puntualmente predetto il giorno e l’ora, contro ogni previsione. Un epi- sodio simile si verificò durante la costruzione del santuario di Canoscio, ed un altro ancora durante una predicazione nel 189022, ambedue ben docu- mentati dalla stampa dell’epoca e da numerosi testimoni. Innumerevoli furono gli incarichi affidatigli dal Pecci allorquando era ar- civescovo di Perugia, e dal altri vescovi italiani. Per il Pecci fu anche convi- sitatore nel Conservatorio delle Orfane di Foligno, dove fu chiamato a ri- portare pace e tranquillità fra le religiose, divise da rivalità e scandali, otte- nendo risultati insperati. Pur dovendo subire terribili persecuzioni da parte della stampa anticlerica- le e dei massoni locali, egli riuscì a conquistarsi col tempo la stima di tutti, tan- to che dopo la sua morte, avvenuta nel 1893, quando si pensò di traslarne la salma dal cimitero di San Secondo dove era stata tumulata, fino al santuario di Canoscio, il comune volle mettere il carro funebre per la cerimonia, svoltasi nel settembre 1895, con grande concorso di popolo. Tutti coloro che interven- nero, lo fecero convinti di venerare le spoglie di un santo23. Del resto Leone XIII aveva detto al vescovo di Città di Castello: “Quel povero Piccardini eh!… E’ morto!… Quegli era realmente un apostolo, un vero uomo di Dio!” Collocato presso il monumento all’Immacolata, opera dello scultore Gaetano Bonanni di Carrara, il sepolcro del Piccardini è da sempre meta dei visitatori di Canoscio, che non mancano di sostare a leggere la bella

22 Atti del processo di beatificazione di Luigi Piccardini, in ASDCC, Archivio Capitolare, 1116. 23 Padre Luigi Piccardini, numero unico, Città di Castello 15 settembre 1895. Al Padre Pic- cardini fu intitolata anche una via, in località Fabbrecce, non lontana da Canoscio. E. Ciferri, Padre Luigi Piccardini, ... 249 epigrafe postavi dall’abate Giovanni Battista Storti, amico del Padre. Nel 1935 il vescovo Filippo Maria Cipriani fece eseguire una prima rico- gnizione dei resti mortali, che furono posti in una nuova elegante urna dora- ta. Nel 1938 venne posto sulla tomba un busto bronzeo, opera dello scultore tifernate Romolo Bartolini24. Nel 1955 lo stesso vescovo aprì, con editto del 26 novembre 195525, il processo informativo diocesano per la beatificazione del Servo di Dio Luigi Piccardini, e scrisse nella sua lettera pastorale L’an- no mariano di Canoscio: “Vi è anche un’altra bella realizzazione in vista, tanto vicina alla storia del Santuario, e tanto auspicata dai fedeli di Canoscio: la progressiva valorizza- zione pubblica e solenne della figura gigantesca (rimasta troppo tempo nel- l’ombra!) dell’ideatore e costruttore del Santuario: il Padre Luigi Piccardini! In questo anno, primo centenario della costruzione del Santuario, il Padre Luigi Piccardini uscirà, redivivo, dal suo sepolcro, per parlarci dell’opera sua, come nessun altro riuscirebbe a fare… Chi sa che la Madonna, nel suo pri- mo centenario di Canoscio, non ci renda possibile dielevare al Cielo, insie- me alla bella cupola progettata, la figura di un nuovo santo da venerarsi un giorno entro le stesse mura del Santuario da lui costruito!”26 Si cominciarono a raccogliere le testimonianze, si distribuirono immagi- ni con preghiere per ottenere grazie per l’intercessione del Servo di Dio, ma tutto si interruppe con la morte del vescovo Cipriani, avvenuta nell’ottobre 1956. Agli anni ’50 risale anche la guarigione prodigiosa di un fanciullo, at- tribuita all’intercessione del Piccardini. Nel 1992, in occasione dell’imminente centenario della morte del Padre, l’allora rettore del santuario di Canoscio, mons. Luigi Robellini, mi chiese di scrivere un’accurata biografia del Servo di Dio, che vide la luce per i festeg- giamenti del 1993, a chiusura dei quali il vescovo diocesano Pellegrino Toma- so Ronchi celebrò una messa sulla tomba del Piccardini. Da allora tutto tace, ma una ripresa del processo è auspicata da molti, anche perché nel cuore dei suoi concittadini e dei tanti che vanno a Canoscio, il Piccardini è già santo.

Elvio Ciferri

24 E. GIOVAGNOLI, Padre Piccardini e l’avvenire di Canoscio in “La Madonna di Canoscio, set- tembre 1838 pp. 2-4; E. GIOVAGNOLI, La rievocazione di Padre Piccardini fondatore del bel San- tuario, in “La Madonna di Canoscio”, gennaio-aprile 1939; L. PEDRAZZA, Il monumento sepolcrale di Padre Piccardini, in “La Madonna di Canoscio”, febbraio 1951, p. 4. 25 In Bollettino diocesano, Diocesi di Città di Castello, 1955. 26 F. M. CIPRIANI, L’Anno Mariano di Canoscio, in “Bollettino diocesano”, Diocesi di Città di Castello, 1955.

M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova 251

Il P. EDOARDO BOUVIER, DELL’ORATORIO DI GENOVA

Il 7 luglio 2003 il Santo Padre ha riconosciuto un miracolo ottenuto per l’intercessione del Beato Don Luigi Orione, fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza. In occasione della ormai prossima canonizzazio- ne del grande sacerdote tortonese, sembra essere opportuno far emergere dal- l’immeritato oblio la figura di un padre filippino, che fu con lui in rapporto e da lui ricevette significativi attestati di stima: il Padre Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova1.

La vocazione

Poco sappiamo della sua infanzia e giovinezza e in quali circostanze si sia trasferito nel capoluogo ligure, venendo da Torino, dove era nato nel 1867; “rimasto orfano d’entrambi i genitori in età giovanissima, si trovò capo di numerosa famiglia”2 e compiuti studi di diritto commerciale3 divenne impie- gato della Navigazione Generale Italiana, di cui fu uno dei vice-segretari. Maturata la vocazione sacerdotale lasciò l’impiego e dopo circa un anno, il 19 maggio1894, fu ordinato sacerdote, celebrando la prima Messa nella Ba- silica di San Siro il giorno seguente.4 Il suo apostolato si svolse nel centro della città di Genova, prima nel quar-

1 Un caloroso ringraziamento è dovuto a Don Flavio Peloso, Postulatore Generale della Pic- cola Opera della Divina Provvidenza, per la solerzia e l’accuratezza della documentazione forni- ta sui rapporti tra Don Orione e i Padri della Congregazione dell’Oratorio di Genova e per il per- messo accordatomi di pubblicarne degli estratti. Sono poi profondamente riconoscente al carissi- mo Padre Edoardo A. Cerrato, Procuratore Generale della Confederazione dell’Oratorio, per ave- re reso disponibili i documenti conservati presso l’archivio della Procura. Un grazie infine a Pa- dre Luciano Acquadro, archivista dell’Oratorio di Biella, che si è mostrato come sempre amico, e al quale devo l’accesso alle notizie conservate presso la sua Congregazione. 2 Il Padre Edoardo Bouvier d.O., in Il Cittadino (Genova 18 agosto 1926) n° 196, p.4. 3 cfr. ibid. Si dice che frequentò l’Università di Genova, ma non risulta abbia conseguito la Laurea. 4 In quell’occasione amministrò la prima comunione ad una sua sorella. Si noti che la Con- gregazione dell’Oratorio di Genova sorge nel territorio della parrocchia di San Siro. 252 ANNALES ORATORII tiere di Castelletto, presso la Chiesetta-Santuario di Gesù Nazareno, poi, dal 1900, come Cappellano dell’Ordine di Malta, che officiava allora il Battiste- ro della Cattedrale di San Lorenzo, noto all’epoca col titolo di Santa Maria della Vittoria. Le scarse notizie su questo periodo permettono tuttavia di farci un idea dell’uomo: sacerdote serio e zelante, attento alla dimensione spirituale e apo- stolica, particolarmente impegnato nella predicazione5. Mancano documenti precisi di come, dopo 12 anni di vita nel clero dio- cesano, in Don Edoardo sia maturato il desiderio di entrare tra i Filippini. Una tradizione conservata nella Congregazione di Biella, dice che egli avreb- be voluto rivolgersi a un istituto religioso di vita contemplativa, ma che ven- ne indirizzato alla Congregazione dell’Oratorio dall’allora Arcivescovo di Genova, Mons. Edoardo Pulciano. Pur non avendo potuto trovare prova documentaria, questa notizia sembra plausibile: innanzitutto il ricordo di Padre Edoardo che lì fece il suo novi- ziato e la presenza nella Congregazione biellese del fratello di lui, Giuseppe, entrato come fratello laico nel 1908 e morto nel 1952, fa presumere che no- tizie significative possano essersi conservate oralmente; inoltre una tale ri- costruzione è perfettamente consona alla situazione della Congregazione ge- novese e del documentato interesse che Mons. Pulciano6 manifestò per essa. Per meglio capire la vicenda del Bouvier è quindi necessario evidenziare la situazione della Congregazione dell’Oratorio di Genova, che agli inizi del XX secolo si trovava in profonda crisi. L’incameramento dei beni da parte dello stato nel 1867, se non aveva por- tato alla fine della vita comunitaria7, l’aveva però resa fragile sotto diversi aspetti.

5 Ad esempio nel maggio 1907, alla vigilia del suo ingresso in Congregazione, predicò le mis- sioni all’isola di Capraia, allora facente parte dell’archidiocesi di Genova (Cfr lettera a Adele Ri- vet del 23 maggio 1907, in Archivio dell’Oratorio di Genova [d’ora in poi abbreviato AOG], Epi- stolario Bouvier). Le lettere alla cugina Adele Rivet, conservate presso AOG, pur trattando prin- cipalmente di questioni di coscienza della giovane o dando notizie sulla famiglia, talvolta per- mettono di conoscere qualcosa dell’attività del Bouvier e dei suoi intimi sentimenti. 6 Mons. Edoardo Pulciano, arcivescovo di Genova dal 1902 al 1911, “crebbe alla scuola di quel santo figlio dell’Oratorio che fu il P. Carpignano” e “celebrò la prima Messa il 23 maggio [1875] nella Chiesa di san Filippo” di Torino (Ludovico GAVOTTI, In morte di Mons. Pulciano, in Rivista Diocesana Genovese (Genova 1912) p. 5). 7 I Padri poterono ricominciare ad officiare la Chiesa già nel 1868, ma un piccolo gruppo ave- va continuato la vita comunitaria anche durante il periodo di chiusura della Chiesa (cfr. Antonio BOGGIANO PICO, Memoria. Sulla vertenza tra la Congregazione dei R.R.P.P.dell’Oratorio di Genova e il Comune di Genova, 1938, dattiloscritto conservato in AOG – Casa. M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova 253

In particolare era venuto meno il tipico apostolato filippino dell’Oratorio, per il quale non si avevano più spazi; la sistemazione dei Padri nei locali la- sciati in uso era molto disagevole e precaria, in quanto di fatto lasciata al- l’arbitrio del Municipio; l’ingresso di nuovi membri si era interrotto e la Con- gregazione sembrava destinata ad estinguersi alla fine dell’Ottocento8. L’arrivo negli anni Novanta di nuove vocazioni non aveva interrotto lo stato di crisi della Congregazione, sia per una lite giudiziaria con il Comune che aveva portato allo sfratto e alla dispersione della comunità9, mettendone a rischio la sopravvivenza, sia per le tensioni tra i membri della comunità stessa, profondamente divisi tra di loro, nonostante il loro numero esiguo10. Sembra difficile che in simili circostanze l’ambiente filippino potesse in se stesso essere molto attraente né risulta una qualche relazione del Bouvier con i Padri nei primi anni del suo sacerdozio: l’Arcivescovo di Genova, Mons. Pulciano, invece, conosceva e amava l’Oratorio filippino e il suo spi- rito, essendo cresciuto a Torino all’ombra della locale Congregazione, tra i preti di Sant’Eusebio11. Evidentemente Mons. Pulciano riconobbe nei desiderata del Bouvier gli elementi di una vocazione, quella filippina, che egli apprezzava. Lasciando quindi impregiudicata la questione se don Bouvier inclinasse per una vita più contemplativa, è sommamente probabile che sia stato l’Arcivescovo ad indi- rizzarlo all’Oratorio. In questo modo Mons. Pulciano otteneva anche due ri- sultati a lui convenienti: Don Edoardo, per la stabilità propria dei Filippini, non avrebbe lasciato Genova, e il Vescovo, sia pure ormai indirettamente, non avrebbe perso la collaborazione pastorale di quello che stimava essere uno

8 In occasione della morte del padre Antonio Cima (1892) un necrologio commentava: “forse colla sua dipartita dovrà spegnersi il genovese oratorio già albergo di eletti ingegni e giardino di più elette virtù” (G.B.R., Necrologio di p. Antonio Cima, in La Settimana Religiosa (Genova 1892) pp. 359 – 360). Due anni prima la Congregazione era detta “piccola e cadente” (Necrologio del Padre Giambattista Brignole, in La Settimana Religiosa (Genova 1890) p.225. 9 cfr. A. BOGGIANO PICO, o.c.,p. 7-8. 10 Rimanevano cinque padri, ma la vita comunitaria lasciava a desiderare, soprattutto per le divergenze e i contrasti, anche caratteriali, dei diversi membri. Le notizie su questo periodo so- no ricavate soprattutto dai Diari, principalmente quello del 1902, di Arturo Coletti, allora mem- bro della Congregazione, che sono conservati presso la Biblioteca del Seminario Arcivescovile di Genova. 11 Fu ascritto al “clero di Sant’Eusebio” il 5 novembre 1872 (L. Gavotti, o.c,. p.18). Si tratta- va di una comunità di chierici, che pur rimanendo diocesani, vivevano a stretto contatto con i Fi- lippini di Torino.; il nome era infatti quello della parrocchia unita all’Oratorio. 254 ANNALES ORATORII

“dei suoi migliori sacerdoti” 12; inoltre l’ingresso di una persona capace e fi- data nella turbolenta Congregazione genovese dava speranza di porre effica- ce rimedio alle difficili condizioni di essa. Corretta o meno che sia questa ricostruzione, è comunque certo che nel 1907 vi era completo accordo tra il vescovo e il suo prete circa l’indirizzo da dare alla sua vita sacerdotale. Rimaneva il problema di garantire al Bouvier una adeguata formazione oratoriana, cosa che la Congregazione genovese, per i motivi esposti, non era ovviamente in grado di assicurare; si chiese quindi la collaborazione della Congregazione di Biella13 che accettò di accogliere il Bouvier, in vista della sua aggregazione alla Congregazione genovese. Don Edoardo si trovava a Biella già all’inizio del mese di novembre del 190714 e “avendo fatto bene il suo mese di prova”15 fu ammesso al noviziato.

Nella Congregazione di Genova

Dopo l’ultima annotazione del 25 gennaio 190816, nella quale si concede- va la qualifica di “triennale”, non si parla più del padre Edoardo Bouvier a Biella. Pochi mesi dopo quella data si trasferì definitivamente nella Congre- gazione genovese17, di cui il 2 giugno 1909 risulta eletto Preposito18, carica

12 Così nei verbali della Congregazione di Biella si riferisce la presentazione fatta da Mons. Pulciano (Decreti di Congregazione dal 1884 al 1924, 19 agosto 1907, p.232, in Archivio dell’O- ratorio di Biella [d’ora in poi citato AOB]). 13 Sarebbe naturale pensare che Mons. Pulciano si rivolgesse alla Congregazione di Torino, che certo doveva conoscere meglio, piuttosto che a quella di Biella. Certo è che nello stesso 1907 l’Arcivescovo si era già rivolto alla Congregazione biellese pregandola “di inviare un soggetto a Genova per riordinare colà la Congregazione dei Filippini” Decreti…cit., 20 febbraio 1907, p. 226). Fu mandato il padre Zumaglini, “per riattivare in quei padri lo spirito dell’istituto” (ibid, 2 marzo, p. 226), e si fermò alcuni giorni a Genova (cfr. ibid. 2 marzo, pp. 226-27 e 20 marzo, p. 228). La richiesta di Monsignor Pulciano fu discussa nella Congregazione Generale a Biella nel- l’agosto del 1907 (cfr. ibid. 19 agosto, p. 232) 14 ibid. 16 novembre 1907, p. 235. 15 ibid. 30 novembre 1907, p. 236. 16 Della stima e dell’affetto che il Padre Bouvier ebbe per i Padri biellesi è testimone il fatto che indirizzò a quella Congregazione suo fratello Giuseppe, che entrò quale fratello laico nello stesso anno 1908 nel quale Edoardo aveva concluso la sua formazione presso i padri di Biella (cfr. ibid., 4 settembre 1908, p. 246). 17 Questo dovette avvenire tra l’aprile e il maggio del 1908 (cfr. lettera a Adele Rivet del 17 febbraio 1908 in AOG- Epistolario Bouvier). 18 Congregazione dell’Oratorio di Genova, Libro verbali [dal 1909 al 1996], 2 giugno 1909, p.1 [d’ora in poi semplicemente abbreviato Verbali] in AOG. Mons. Pulciano risulta essere pre- M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova 255 a cui fu rieletto ogni triennio, fino alla morte sopravvenuta nel 1926. Questa elezione segnò l’inizio di una ripresa della Congregazione geno- vese, che riportata a più regolare osservanza delle Costituzioni, affronta con rinnovato vigore questioni apostoliche e logistiche fino ad allora trascurate. Il libro dei verbali riporta con relativa abbondanza le iniziative materiali e spirituali intraprese dall’Oratorio di Genova tra il 1909 e il 191819; propria- mente non si può attribuire tout court ognuna di queste iniziative al Bouvier: ma la differenza col periodo precedente e con quello successivo alla sua mor- te e il fatto che spetta al Preposito preparare l’ordine del giorno delle riunio- ni di Congregazione danno sufficiente garanzia per attribuirgli se non le sin- gole proposte, il nuovo dinamismo da cui fu animato l’Oratorio genovese. In due fatti, in particolare, è impossibile non riconoscere il decisivo im- pulso del Preposito: il ripristino dell’Oratorio Secolare, soprattutto nella se- zione giovanile, e la consacrazione al Sacro Cuore della Congregazione, av- venuta il 7 giugno 191820. Questo atto è innanzitutto conforme alla devozione personale del padre Edoardo, come testimoniato da un epistolario spirituale conservato presso l’Archivio della Congregazione di Genova21; inoltre è da notarsi che la Con- gregazione di Biella, dove il Bouvier aveva ricevuto la sua formazione, ce- lebrava (e tuttora celebra) con grande solennità il triduo del Sacro Cuore, espressione della misericordia divina, che deve guidare una comunità sacer- dotale profondamente impegnata nella celebrazione del sacramento della Ri- conciliazione. Per quanto riguarda l’apostolato oratoriano, si noti invece che una delle prime decisioni assunte dopo l’elezione del Bouvier, nel 1909, fu “ridurre la cantina in una sala di ricreazione per i ragazzi dell’Oratorio” 22. Il 14 dicem- bre dello stesso anno si approvò la spesa per l’acquisto “di un cinematogra- sente a questa elezione come Visitatore Apostolico della congregazione. Il P. Bouvier venne elet- to al terzo scrutinio. 19 I lavori riguardano sia la casa che la chiesa. Interessante, come segno di apertura alle inno- vazioni tecnologiche la delibera del 28 febbraio 1910 (Verbali, p. 11) di installare in casa un tele- fono. Le annotazioni sul libro dei Verbali cessano dal gennaio 1919 senza che sia possibile darne plausibile spiegazione. 20 Verbali 3 giugno 1918, p. 23. 21 I riferimenti al S. Cuore di Gesù sono frequenti nelle lettere inviate alla cugina Adele Ri- vet, conservate presso AOG. Anche nel testamento, datato 17 dicembre 1915, egli raccomanda la sua anima “alla misericordia infinita del S. C. di Gesù” (Testamento Olografo in AOG - Padri - p. Bouvier). 22 Verbali, 13 agosto 1909. Il 31 agosto si approva la spesa per abbassare il suolo della sala di ricreazione (id.). 256 ANNALES ORATORII fo per la ricreazione dei ragazzi” 23. Nel luglio 1910 si inaugura “una biblio- teca circolante annessa all’Oratorio piccolo” 24. Tutto questo conferma che, “per quanto il ministero suo si svolgesse fra ogni ceto, amò e predilesse singolarmente i giovani, ed ebbe il vanto di ri- aprire e far singolarmente prosperare l’Oratorio secolare, travolto dalla bu- fera del 1866 colla Congregazione filippina” 25. Il numero dei componenti di quest’ultima rimase invece sempre esiguo: l’uscita del Padre Sanguineti26 e la morte del Padre Cereseto27 non furono compensate da nuovi ingressi28 e questa fragilità della Congregazione si ma- nifestò pienamente dopo la morte del Bouvier, particolarmente negli anni ’30. Il libro dei verbali nulla permette di arguire circa i rapporti interni nella co- munità; una nota conservata presso l’archivio della Procura generale ci dà no- tizia di problemi di disciplina da parte del Padre Mattia Federici29, uomo di notevoli capacità intellettuali, ma di tendenze moderniste e piuttosto indipen- dente nell’organizzazione della vita; per questo fu necessario ricorrere, in an- no imprecisato, all’Arcivescovo di Genova30 per una ammonizione canonica. Nel 1917 si ebbe invece una nuova convenzione col Comune circa la chie-

23 ibid, 14 dicembre 1908, p. 7. 24 ibid. luglio 1910, p. 13. 25 Il Padre Edoardo Bouvier d.O., cit. 26 Verbali, 12 gennaio 196, p. 20. 27 Il decesso avvenne il 28 dicembre 1920, ma la sua salute era già da tempo compromessa e già nel giugno del 1918 risultava “quasi sempre assente” (Verbali, 3 giugno 1918, p. 22). 28 Due sacerdoti furono ammessi alla prima probazione, rispettivamente nel 1913 (Verbali, 3 novembre p. 17) e nel 1915 (ibid. 20 novembre, p. 20) ma evidentemente non perseverarono non essendoci altra notizia circa la loro permanenza in Congregazione. 29 Sulla vita e l’opera del Padre Mattia Federici è stato recentemente pubblicato un articolo (LORENZO BEDESCHI, Il biblista costretto allo pseudonimo, in Vita Pastorale (marzo 2001) n° 3, pp. 96-99, alquanto impreciso nel ricostruire le difficoltà dello stesso nella vita in Congregazione e i motivi che portarono alla sua uscita. 30 Presso l’archivio dell’oratorio di Genova non risulta traccia di questa ammonizione. Di es- sa si parla in un Pro-memoria datato 4 novembre 1934, firmato dall’allora preposito Padre Andrea Lertora (in Archivio della Procura Generale della Confederazione dell’Oratorio [d’ora in poi ab- breviato APG], Genova I), ma di fatto redatto dal Padre Lorenzo Michelini; si dice testualmente del Federici: “I RR. PP. Buvier (sic!) e Soracco, ora defunti, lo tollerarono sempre pro bono pacis e per carità, però provvidero a farlo ammonire dall’Ordinario, sebbene con esito negativo”. Il fat- to dell’ammonizione per aver frequentato assiduamente una sala di lettura, giudicata disdicevole al carattere sacerdotale del Federici, senza però nessun riferimento né al tempo in cui avvenne né alla persona del Padre Bouvier, venne confermato dal Vicario generale di Genova al Padre Carlo Naldi in occasione della visita canonica da questi effettuata il 15 febbraio 1935 (P. Carlo Naldi, Relazione sulla S. Visita Apostolica alla Congregazione dell’Oratorio di Genova, a data 15 feb- braio 1935, in APG, Genova I). M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova 257 sa e i locali di abitazione, convenzione, indubbiamente favorevole ai Padri, che normalizzava le relazioni col Municipio dopo le dispute di inizio secolo31. Nel 1918 il Padre Bouvier, partecipò alla riunione dei Prepositi delle Con- gregazioni italiane, tenutasi a Roma il 20 novembre presso la S. Congrega- zione dei Religiosi. Nella congregazione generale in cui si discusse tale par- tecipazione “si deliberò di mantenersi contrari al progetto di unione” che sa- rebbe stato presentato da “un nucleo di Case Filippine d’Italia, capitanata da Monsignor Arista, vescovo di Acireale” 32. Tale atteggiamento non deve fare pensare a una opposizione preconcetta alla collaborazione tra le diverse case, ma al desiderio di garantirne l’autono- mia primigenia. Infatti la Congregazione di Genova, che già aveva sperimen- tato nella persona del Bouvier, nel tempo del suo noviziato, l’importanza del- la collaborazione tra le diverse Congregazioni ,fu tra quelle che si resero dis- ponibili ad aiutare la Congregazione romana. Non risulta inoltre alcuna op- posizione alla decisione che “conservando ogni Congregazione la propria au- tonomia, sia designato un Padre della casa di Roma, con incarico di ricevere i quesiti e le questioni che le diverse Congregazioni desiderano risolte presso i Dicasteri ecclesiastici, mediante un fraterno interessamento” 33. Non venendo accolto il progetto Arista, “venne invece approvata all’una- nimità la proposta del Preposito di Genova di una Adunanza triennale di tut- ti i Prepositi delle Congregazioni d’Italia in S. Maria in Vallicella – Roma, per prendere fra di loro gli accordi che potessero occorrere pel ben dell’Isti- tuto Filippino in generale come pure delle singole case, potendosi pur fare in tale occasione la relazione alla S. Congregazione dei religiosi”.34 La scelta della Congregazione genovese, senz’altro conservatrice e nega- tiva verso progetti di unione, potrebbe apparire infeconda e segno di un’in- capacità nel valutare le nuove condizioni in cui nel XX secolo si è trovato a vivere l’Oratorio. Gli elementi emersi35 mostrano invece come nella dialettica delle vi-

31 Tale convenzione, pur superata dalle vicende del concordato e dalle successive restituzioni, rimane tutt’oggi la base del rapporto tra la Congregazione e il comune di Genova circa la gestio- ne della chiesa, che continua ad essere proprietà di quest’ultimo. 32 Verbali, 14 settembre 1918, p. 25. Circa la riunione cfr. EDOARDO ALDO CERRATO, S. Filip- po Neri. La sua opera e la sua eredità, Pavia 2002, p.201. I documenti relativi in APG – Con- gressus Generales. 33 Verbali, 24 novembre 1918, p. 27. 34 ibid., p. 27-28. 35 Per meglio comprendere le fasi della costituzione dell’Istituto sarebbe interessante un’ana- loga ricerca negli archivi delle Congregazioni che si opposero al progetto Arista, per verificare se 258 ANNALES ORATORII cende che hanno portato alla formazione dell’Istituto Filippino (ora Con- federazione dell’Oratorio) questo atteggiamento restio abbia contributo alla riflessione e alla ricerca di un maggior equilibrio tra le apparente- mente contrastanti necessità della collaborazione e della salvaguardia del- l’autonomia, equilibrio che si deve riconoscere essersi magistralmente realizzato nell’opera del Padre Arcadio Larraona, con gli Statuti Genera- li del 1943. In occasione del viaggio a Roma il Bouvier ebbe anche incontri con dei canonisti36 circa un contenzioso con la Curia di Genova: infatti, in seguito al- la promulgazione del Codice di Diritto Canonico fu tolta alla Congregazio- ne la direzione del Conservatorio delle Figlie della Misericordia, note come Suore Filippine37. Nonostante la reazione dei Padri38, poco venne mutato del- l’originario progetto di trasformazione e di fatto l’istituto delle Suore venne staccato da ogni rapporto giuridico con la Congregazione, lasciando ad essa solo il diritto di incamerarne i beni, in caso di estinzione, conforme alla vo- lontà del fondatore39.

Padre Bouvier e Don Orione

L’intensa attività del padre Bouvier quale superiore della comunità filip- pina, non lo allontanò però dall’abituale missione confessore di religiose e di

anche in altre le motivazioni del diniego si mescolino a sentimenti di apertura alla collaborazio- ne, come a Genova, o si tratti di una chiusura totale. Tale ricerca illuminerebbe forse anche sulle difficoltà pratiche ad accettare le forme di collaborazione stabilite, che continuano in alcune Con- gregazioni in questi 60 anni di unione. 36 Si trattava di del Padre Enrico Quatroccolo e dell’Avvocato D’Alessandri (cfr, Verbali, 30 novembre 1918, p. 29). 37 Le Figlie di N.S. della Misericordia furono fondata dal Padre Antonio Maria Salata dell’O- ratorio di Genova nel 1705 per l’istruzione della gioventù femminile povera e da lui talmente im- pregnate dello spirito dell’Oratorio da essere popolarmente chiamate “le Filippine”. Nel suo te- stamento il Salata dava precise disposizioni circa la competenza dei Padri per la direzione spiri- tuale e il controllo amministrativo del nuovo istituto. Cfr. Simonetta ROSSI, Antonio Maria Sala- ta, fondatore delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia, in CLAUDIO PAOLOCCI (a cura di), La Congregazione di S. Filippo Neri. Per una storia della sua presenza a Genova, Quaderni Fran- zoniani, Genova 1997, n° 2 38 In AOG, cit., pp. 23-30 passim, si conservano varie deliberazioni dei Padri circa il conten- zioso che sorse con la Curia arcivescovile di Genova, ma nulla circa il modo in cui esso venne ri- solto. 39 Questa regolamentazione giuridica dei rapporti tra i due istituti, nonostante la trasformazio- ne delle suore Filippine in un istituto religioso con voti, avvenuta nel 1958-59, è tuttora vigente. M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova 259 predicatore40. In particolare sappiamo che fu più volte a predicare a san Ber- nardino di Tortona41 ai membri della Piccola Opera della Divina Provviden- za, con tale soddisfazione del beato Don Orione, che in un’occasione questi ebbe a spostare la data del corso di esercizi pur di averlo presente. I rapporti tra i due avevano avuto probabilmente inizio, verso il 1912, a motivo di una giovane signorina genovese, Giuseppina Valdettaro42, che di- venne collaboratrice di Don Orione nella fondazione del ramo femminile del- la sua opera e che si trovava sotto la guida spirituale del Padre Bouvier; se, forse, non vi fu immediatamente piena comprensione di cosa comportasse la vocazione orionina43, tuttavia la stima che Ddon Orione maturò nei confron- ti del filippino genovese fu senza riserve, se così poteva scrivere alla Val- dettaro: Lei dica al suo Direttore di spirito che veda un po’ lui se Vostra Signoria non debba essere una piccola pietra di quel povero Istituto del quale le par- lai… Ma ella stia pienamente al suo Direttore; poiché nulla voglio di ciò che non è da Dio, e per me sono lietissimo tanto sia sì come sia no44 La Valdettaro effettivamente collaborò con Don Orione, divenne una del- la prime Piccole Suore Missionarie della Carità, dove “per un decennio fun- gerà da Superiora Generale” 45. I rapporti del Padre Bouvier con Don Orione non si fermarono solo alla questione della Valdettaro: presso l’Archivio Don Orione, che conserva i do- cumenti della Piccola Opera della Divina Provvidenza, si trovano alcune let-

40 Oltre ai corsi di esercizi tenuti per gli Orionini e di cui si riferirà sotto, siamo informati, sia pure in maniera discontinua, della sua attività di predicatore tanto da avvisi pubblicati sulla Setti- mana religiosa quanto dal citato epistolario con la cugina Adele Rivet. 41 Così, ad esempio, nel luglio 1917 (P. Bouvier a Don Sterpi, 21 luglio 1917 in Archivio Don Orione [d’ora in poi abbreviato ADO]). 42 cfr. ANTONIO LANZA (a cura di), Una famiglia a lungo desiderata. La fondazione delle Pic- cole Suore Missionarie della Carità, Messaggi di Don Orione, Quaderno 89°, Piccola Opera del- la Divina Provvidenza, Tortona - Roma 1995. Fino dal primo incontro con la Valdettaro don Orio- ne infatti “aveva pensato che un apporto femminile qualificato per l’impresa che da tempo medi- tava, poteva essergli fornito da quella giovane che aspirava alla vita religiosa, ma fino ad allora più di una circostanza aveva congiurato contro le sue aspettative” (ibid. p.58). 43Secondo il Lanza (o.c., p. 159, n. 133) il Bouvier, “ uomo veramente di Dio … non aveva avuto modo di conoscere a fondo il carisma orinino e pertanto non potè guidare con sicurezza e fermezza la sua figlia spirituale nelle difficoltà che incontrerà per adeguarsi allo spirito di umiltà e semplicità orionina” . 44 Don Orione, lettera del 14 aprile 1914, riportata in Antonio LANZA, o.c., p. 61. 45 ibid. p. 70. 260 ANNALES ORATORII tere di Padre Bouvier a Don Orione e a Don Sterpi46, diretto collaboratore di questi. Si tratta di biglietti brevi, che non toccano argomenti di coscienza, ma piuttosto casi concreti di carità, soprattutto giovanetti che il Filippino geno- vese raccomanda perché siano accolti negli istituti della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Gli accenni a questioni più delicate rimandano ai colloqui personali, che risultano avvenuti più volte, anche presso la dimora dei Filippini di Geno- va47. Di questa breve corrispondenza48, piace riportare per il suo carattere fre- sco e spontaneo il ringraziamento per un piccolo dono offerto da Don Orio- ne al P. Bouvier e alla sua comunità. Reverendissimo, Carissimo d. Orione, Quasi non bastassero tutte le attenzioni di cui volle colmarmi in occa- sione dei Santi Esercizi, ricevo ancora un bel canestro di frutta stu- pende (!), colle quali vuole deliziarmi anche qui in Genova. Non so co- me ringraziarla per tanta bontà, come attestare la mia riconoscenza. La- scio al Signore di ripagarla di tutto, ed intanto continuo ad abusare di quella stessa bontà… E al termine nel post scriptum Devo ringraziarla per le belle pere anche a nome dei miei RR. Padri che la ossequiano49. Più interessanti risultano invece gli accenni al nostro Oratoriano negli scritti di Don Orione, cenni brevi, ma che testimoniano una grande stima di lui. Alla Valdettaro scrive il 21 gennaio 1916: “Faccia tranquilla ciò che il Padre filippino dice” 50; in una lettera del 21 gennaio 1917 afferma: “Se P. Bouvier conosce personalmente il ragazzo, lo accetto senz’altro” 51.

46 Si tratta precisamente 9 brevi lettere e un biglietto indirizzati a Don Orione tra il 1 luglio 1916 e il 30 settembre 1922; di due cartoline postali indirizzate a Don Carlo Sterpi e di tre biglietti il cui destinatario, un ecclesiastico, non è possibile identificare. 47 Cfr. lettera del Bouvier al “veneratissimo Don Orione” del 24 luglio 1916 (in ADO ): “Una sua visita però sarà sempre per me un gran regalo, che oso appena sperare, anzitutto perché ho tanto piacere di parlare con Lei, poi perché La sentirei volentieri anche a riguardo a quella fi- gliuola, di cui c’interessiamo…” E il primo agosto successivo: “Se ritorna a Roma presto, pas- sando da Genova, e si può fermare qualche ora favorisca avvertirmi del giorno e dell’ora, affin- ché possa trovarmi in casa o, s’Ella lo preferisce, venirle a parlare alla stazione”. 48 Non ci sono purtroppo conservate lettere di Don Orione al Padre Bouvier. 49 Lettera del Padre Bouvier a Don Orione del 10 settembre 1919 (in ADO). 50 Epistolario di Don Luigi Orione, 65, 117 in ADO. 51 ibid. 65, 119. M. De Gioia, Il P. Edoardo Bouvier, dell’Oratorio di Genova 261

Di capitale interesse è soprattutto il ritratto che don Orione ne fa, essen- dogli stato richiesto di segnalare a Roma qualche sacerdote da prendere in considerazione per la nomina a vescovo. “Qui [a Campocroce] il padre Bouvier fa molto bene… Molto distinto per pietà, dottrina, amministrazione, prudenza e predi- cazione sacra… Di questi uomini che conoscono bene il mondo, che non hanno mai cercato che Gesù Cristo e le anime, anche messi al governo di qualche Diocesi, mi pare di poter dire nel Signore che servirebbero la Chiesa di Dio “non in sermone tantum”, sed et in virtute et in Spiritu Sancto, et in plenitudine multa…52” Ed ancora: “Dopo la morte di mgr. Arista, sarebbe l’unico vescovo filippino in Ita- lia53”.

Gli ultimi anni

La proposta di Don Orione non ebbe seguito e il Padre Bouvier non la- sciò la sua Congregazione di Genova, proseguendo la sua ordinaria attività; siamo però meno informati sugli anni successivi al 1918, mancando ogni an- notazione nel Libro dei verbali della Congregazione. In questo periodo emerge unicamente la celebrazione nel 1922 di un so- lenne ottavario per il terzo centenario della canonizzazione di san Filippo; il programma ricco di celebrazioni liturgiche e di conferenze54 è segno sicuro della vitalità dell’Oratorio genovese e della fecondità dell’apostolato del suo Preposito. È questa l’unica nota significativa nella vita della Congregazione negli an- ni ’20; una malattia cardiaca55, portò il Padre a una morte prematura, a soli

52 ibid. 83, 124. 53 ibid. 87, 23. 54 Cfr. il programma in La Settimana Religiosa (Genova 1922) p. 158. Interessante lo sfogo del Bouvier alla cugina Adele Rivet: “Le nostre Feste pel Centenario di S. Filippo … riuscirono assai bene, quantunque abbia avuto a tribolare per i predicatori, che mi mancavano in ogni istante… Fortuna che qualche buon Sacerdote, veramente eroico, supplì me- ravigliosamente e Monsig. Pini che venne proprio gli ultimi giorni fece prediche stupende” (lette- ra del 2 agosto 1922 in AOG - epistolario Bouvier). 55 Il 21 gennaio 1926 il Bouvier scrive alla cugina Adele di essere “quasi sempre ammalato pel mio indebolimento di cuore. Basta un po’ di fatica, o qualche cibo che non possa ben digeri- re che subito faccio ricaduta (!)” (AOG - epistolario Bouvier) 262 ANNALES ORATORII cinquantanove anni di età, il 15 agosto 1926; il decesso avvenne in San Lo- renzo della Costa56, una frazione di Santa Margherita Ligure, dove si trova- va come ospite presso una famiglia amica, “dove aveva cercato lenimento ad un male, che inesorabilmente lo minava” 57. I funerali si tennero nello stesso paese il giorno 17 agosto a Genova nel- la chiesa di San Filippo il giorno successivo: qui intervenne Don Orione58 la cui presenza alle esequie costituisce, al di là della retorica dei necrologi, che sottolineano comunque “il gran concorso” 59 dei partecipanti, il più bell’elo- gio funebre che il padre Bouvier ricevette e forse la miglior chiave di giudi- zio sulla sua nascosta, ma feconda vita sacerdotale.

Mauro De Gioia, C.O.

56 In questo paese della riviera il Padre trascorreva da anni le sue vacanze, come testimonia- no numerose lettere da lì inviate alla cugina Adele. 57 Il Padre Edoardo Bouvier d.O, in Il Cittadino, cit. 58 Lettera di Don Luigi Orione a Don Pensa (ADO 20, 164): “È morto ieri P. Bouvier e i fu- nerali, ai quali andrò, saranno forse mercoledì. Dillo a Don Sterpi, e pregate per l’anima di lui”. 59 Don Edoardo Bouvier dei Filippini in La Settimana Religiosa (Genova 1926) p. 405. L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro 263

EL VENERABLE PADRE LUIS FELIPE NERI DE ALFARO

Muy escasas son las noticías biográficas que disponemos para formar una completa semblanza dal venerable P. Luis Pelipe Neri de Alfaro1 que abar- que todas las épocas de su vida a través de 67 años que vivió en la Nueva España durante el siglo XVIII, en el apogeo del barroco con sus deslum- brantes retablos dorados de pilastras estípites balbasianos, con sus tesoros tra- ídos de oriente por la nao de China cargada de sedas, marfíles y porcelanas, con sus palacios en cuyas fachadas se ostentaban orgullosamente blasones nobiliarios, y a la vez se proclamaba el Patronato da la Sma.Virgen de Gua- dalupe sobre la Ciudad de México (27-04-1737), para ser apaciguada la ne- fasta peste del matlazahuatl que diezmaba la población de la capital del Vi- rreinato y de otras ciudades aledañas; extendido también nueve años después sobre el Reino de la Nueva España. Siglo de epopeyas misioneras de los co- legios de Propaganda Fidei como el de Fray Antonio Margil de Jesús, mi- sionero andariego en las vastas soledades de Texas, y el del P. Eusebio Fran- cisco Kino apóstol infatigable de las Californias, Sonora y Arizona. Dentro

1 Veanse: AVILA BLANCAS, Luis, Las Casas de Ejercicios Espirituales de Encierro en los Ora- torios de San Felipe Neri de México, siglos XVIII, XIX y XX, en “Segundo Encuentro Nacional de Historia Oratoriana”, México, 1986; CARPIO, Juan, Apuntes Históricos y Estadísticos del Santua- rio de Atotonilco. Noviembre 28 de1882, en “Segundo Encuentro Nacional de Historia Oratoria- na”, México, 1986; DE SANTIAGO SILVA, José, Presencia espiritual de Luis Felipe Neri de Alfaro en el Arte del Santuario da Atotonilco, Guanajuato”, en “Segundo Encuentro Nacional de Histo- ria Oratoriana”, México, 1986; DE SANTIAGO SILVA, José – RAZO OLIVA, Juan Diego, Atotonilco Visión mística y libertaria, Gobierno del Estado de Guanajuato, 1985; Id., Atotonilco, Artistas de Guanajuato, 1996; DIAZ Y DE OVANDO, Clementina, La poesía del Padre Luis Felipe Neri de Al- faro, en “Segundo Encuentro Nacional de Historia Oratoriana” México, 1986; DIAZ DE GAMARRA Y DAVALOS, Juan Benito, El Sacerdote Fiel y Según el Corazón de Dios. Elogio Fúnebre, Impren- ta de la Biblioteca del Lic. D. Joseph de Jáuregui, México, 1776; PORTILLO, Ildefonso, Breves apun- tes de la vida del Siervo de Dios Luis Felipe Neri de Alfaro, Herrero Hermanos Sucesores, Méxi- co, 1912; RUIZ VALENZUELA, Antonio, Noticia Histórica de la Causa de Beatificación del Venera- ble Padre Alfaro, en “Segundo Encuentro Nacional de Historia Oratoriana”, México, 1986; TAPIA TOVAR, Reynaldo, El Ven. P. Luis Felipe Neri de Alfaro y el Oratorio de San Miguel de Allende, Gto. en “Segundo Encuentro Nacional de Historia Oratoriana”, México, 1986. 264 ANNALES ORATORII de este marco del siglo XVIII se ubica la humilde figura del P. Alfaro desde su celda del Santuario de Atotonilco. La escasez de noticias biográficas del P. Alfaro se debe en parte por ha- ber mandado recoger toda clase de noticias inéditas o impresas referentes al P.Alfaro el primer Obispo de León, Gto., Dr. José María de Jesús Díaz da So- llano y Dávalos en 1869, para incluirlas en el legajo - solicitando ante la San- ta Sede poder iniciar el Proceso de Beatifícación - quedando como fuente principal de información el Elogio Fúnebre que pronunció el P. Dr. Juan Be- nito Díaz de Gamarra en el Santuario de Atotonilco a los treinta días del fa- llecimiento del P. Alfaro, que por haberlo hecho ante un auditorio que había conocido y tratado al Padre, es un documento de valor verídico íncalculable. En este breve trabajo sobre el P. Alfaro podemos hacer cuatro apartados: l. Semblanza, 2. Santuario y Casa de Ejercisios, 3. Poesía, 4. Estado actual del Proceso de Beatificación.

SEMBLANZA

Nacido y criado en el seno de una noble y rica familia avecindada en la Ciudad de México capital del reino de la Nueva España, fue llevado a la pi- la bautismal del Sagrario Metropolitano el 4 de septiembre del año del Señor de 1709, por sus padres el Capitán D. Estéban de Alfaro y D. María Velás- quez y Castilla, y padrino D. Ambrosio Uribe y Larrea, recibiendo el nom- bre de Luis Felipe Neri: Luis por haber nacido el 25 de agosto, festividad de San Luis Rey de Francia, y Felipe Neri por devoción de sus progenitores al glorioso fundador de la Congregación del Oratorio de Roma. El haber sido bautizado diez días después del nacimiento nos hace pensar que se debió al estado delicado de salud, pues se acostumbraba entonces hacerlo de inme- diato. No se sabe que la señora D.María Velásquez haya tenido otros hijos2. Los padres de Luis Felipe se dedicaron a impartir a su hijo desde su más tierna infancia los só1idos cimientos de la fe cristiana inculcándole el santo temor de Dios y aborrecimiento al pecado mortal. D. María le leía diaria- mente vida de santos y sobre todo la Pasión de Cristo Ntro Señor produ- ciéndole tal impresión que quedaría para siempre grabada en su mente y co- razón en forma indeleble, cuyo resultado de esta formación sería la tempra-

2 “Libro de Baptismos de Españoles de esta Santa Yglesia Catedral de Mexico que empieza desde 1° de abril de 1709 en adelante”, No. 35, Foia 59, vuelta. L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro 265 na práctica de la mortificación corporal usando ásperas camisas debajo de su fina ropa, propia de su clase social, como posteriormente, siendo sacerdote, se cubriría el cuerpo debajo de la sotana con cilicios. Guardando siempre asi gran respeto y amor a sus padres mandó pintar sus retratos en las jambas de entrada al camarín de la capilla del Rosario del Santuario de Atotonilco, an- te cuyas efigies se descubría la cabeza y de rodillas besaba sus manos.

Llegado a una edad adecuada y bajo la piadosa tutela de sus padres, in- gresó al Seminario del Arzobispado da México para cursar latín, Filosofía y Teología, y a la Real y Pontificia Universidad de México donde se graduó de bachiller en Teología. Corría el año de 1729, y Luis Felipe contaba con vein- te años de edad y era el momento de tomar una decisión respecto al futuro de su vida cuando determina seguir el ejemplo del santo de su nombre Feli- pe Neri que siendo joven como él, viviendo al lado de su tío Rómulo Neri, rico comerciante de San Germán, población entre Roma y Nápoles, renuncia a la vida placentera que le brindaba y a la.herencia que le prometía por ca- recer de descendencia y parte para Roma pobre y desconocido; así también, nuestro Luis Felipe renuncia a las comodidades de su rica casa paterna y a la probable posesión de cargos civiles o dignidades eclesiásticas reservada solamente para peninsulares o criollos con limpieza de sangre; y se dirige a la Villa de San Míguel el Grande (hoy de Allende, Gto.), para pretender in- gresar a la Congregación del Oratorio en la que fue recibido el 26 de mayo de 1730, festividad de San Felipe Neri, superando con humildad las pruebas inherentes al noviciado y permaneciendo siempre unido a ella basta el fin de su vida, a la que llamaba “mi Madre, mi amada y venerable Congregación”. El Oratorio de San Felipe Neri al que se había sentido llamado a pertene- cer, se fundó en la Villa de San Miguel el Grande, en el Obispado de Valla- dolid (hoy Morelia), por el Br. Juan Antonio Pérez de Espinosa en 1712, y a la sazón gozaba de fama por su “obsevancia y literatura”: esto es de obser- var fielmente los estatutos del Oratorio Romano, fundado por San Felipe Ne- ri, y dedicarse a la educación de la juventud por medio del Colegio de San Francisco de Sales que regentaban sus miembros. Ya en el Oratorio sanmigueleño se dedicó de lleno a la oración y a la mor- tificación “edificando con sus ejemplos y virtudes a la Villa de San Miguel el Grande” - nos refiere el Dr. Gamarra en el Elogio Fúnebre - además de es- tudiar a fondo la Teología Moral llegando a escribir un extracto de la volu- minosa obra de los Salmantinos para estar apto a las confesiones y dirección espiritual cuando se le confiriese el orden sacerdotal. Como en la Congrega- 266 ANNALES ORATORII ción del Oratorio no obligan los votos religiosos de pobreza, castidad y obe- diencia (sólo el celibato por ser sacerdotes), el P. Luis Felipe pudo disponer de sus bienes patrimoniales construyendo una hermosa capilla dedicada a Ntra. Sra. de la Salud ante cuya imagen quedaba a tal grado arrobado que sus confesores le prohibieron contemplarla, ubicada en medio de la residencia de los padres y el Colegio de San Francisco de Sales. Ya de sacerdote, adelan- tándose a lo que habría de conseguir por medio de la Casa de Ejercicios Es- pirituales de Atotonilco, funda en el templo de San Rafael Arcángel de la mis- ma población la Santa Escuela de Cristo, cuyo fin es formar seglares en el “cumplimiento de los preceptos y consejos evangélicos del divino Maestro Cristo, caminando a la perfección con enmienda de vida, penitencia y con- trición de los pecados, mortificación de los sentidos, oración, frecuencia de sacramentos y obras de caridad.” 3 (Const., cap. 1.). Todo esto muy de acuer- do con el espíritu del P. Luis Felipe que buscaba la forma de combatir la su- perficialidad del pueblo creyente de aquella época. Tal institución la fundó también en las ciudades do León y Sta. Fé de Guanajuato.

SANTUARIO Y CASA DE EJERCICIOS DE ATOTONILCO

San Miguel el Grande, ciudad que en el siglo XVIII había alcanzado gran renombre por su crecimiento económico basado en sus industrias y hacien- das, y en donde el P. Luis Felipe había ingresado al Oratorio buscando su propia perfección espiritual y el crecimiento de la población en su fé y bue- nas costumbres. Sucedió que habiendo llegado a sus oídos que en un lugar distante de San Miguel dos leguas y media (14 Kms.), camino a la Congre- gación de Ntra.Sra. de los Dolores (hoy Cd. de Dolores, Hidalgo, Gto.), lla- mado Atotonilco (que quiere decir “Lugar de agua caliente”: de atl, agua, to- nil, caliente, y co, lugar) se prestaba a homicidios y asaltos por parte de gru- pos marginados y a faltas a la moral por aquelles que iban a disfrutar de las aguas termales del lugar, le hizo tomar la decisión, casi por inspiración divi- na, de convertirlo en sitio de oración y penitencia. Por lo tanto, hubo de con- seguir primero el permiso del Oratorio sin dejar de pertenecer a él, luego la licencia del párroco y Ayuntamiento de San Miguel, y la del Obispado de Mi-

3 Constituciones de la Congregación y Escuela de Cristo Señor Nuestro, fundada bajo la pro- tección de María Santisima Señora Nuestra y del glorioso San Felipe Neri, en el Hospital de los Italianos de Madrid, Villa y Corte de Madrid, 1653, p. 75. L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro 267 choacán y Gobierno Virreinal, y por supuesto de la Corona española. Todo lo cual sin duda lo consiguió con gran trabajo y penalidades. Luego proce- dió a la compra del lugar perteneciente al hacendado D. Ignacio García pa- gándolo con su propio dinero. El producto de la hacienda le ayudaría en al- go a la construcción de las capillas.

El 3 de mayo de 1740, se bendijo y colocó la primera piedra del Santua- rio llegando a concluirse la construcción ocho años después bandiciéndola el Párroco de San Miguel el 20 de julio, celebrando la misa y predicando el P. Martín Zamudio y el P. Antonio Ramos de Castilla respectivamente, siendo los dos del Oratorio, habiendo sido colocada la imagen de Jesús Nazareno ese mismo día enel altar mayor.

De inmediato, después, se puso manos a la obra en la construcción de las capillas anexas de Ntra. Sra. de Loreto, del Santo Cenáculo y de la Soledad entre 1748 y 1759. Poco descansó el P. Alfaro, pues el 24 de diciembre de este año trazaba la planta y comenzaba los cimientos de la capilla de Belén, y para el mes de abril del año siguiente los de la capilla del Santo Sepulcro, habiendo hecho la bendición de ambas el 18 de marzo de 1763, víspera de la festividad del Sr. San José. La prolongación y ampliación de la capilla del Sto. Sepulcro con el título del Calvario se verificó entre los años de ‘64 a ‘66 coincidiendo en este año con la conclusión de la Capilla del Rosario y su ca- marín en 1766. En los veintisiete años que el P. Luis Felipe Neri de Alfaro permaneció en Atotonilco, además de su actividad constructora y decorativa del Santuario, se ocupó en escribir algunas obra piadosas en prosa y en verso que fueron publicadas por él mismo, y otras después de su muerte, permaneciendo al- gunas inéditas que pasaron a formar parte del “Summarium” integrado por el obispo Díaz de Sollano que envió a Roma. Las que conocemos con ampulo- sos títulos gongorianos publicadas en México son las siguientes: 1.“Reyno piadosísimo….”: novena a Ntra. Sra. del Refugio, 1751; 2. “A la mas her- mosa y salutifera Flor de los Campos…”: novena a Jesús Nazareno, 1752; 3. “Las doce puertas abiertas de la celestial Sion…”: docenario a Jesús Naza- reno y a María Nazarena, 1765; 4. “Guirnalda de Flores…”: novena a Ntra. Sra. de la Salud, 1765; 5. “Cadena de Oro…”: meditaciones sobre la Pasión de Cristo en verso, 1766; 6. “Camino Doloroso…”, dispuesta en verso para acompañar a Ntra Sra. de los Dolores del Calvario al Cenáculo, reimpreso en 1773. 7. “Refrigerio de enfermos y ancianos…” obra para confortar a enfer- 268 ANNALES ORATORII mos y ancianos, reimpresa en 1775; 8. “Sendero del cielo…”, obra dedicada al Sagrado Corazón de Jesús Nazareno, reimpresa en 1778; 9. “Método Bre- ve y utilísimo para rezar el Santo Viacrucis…”: lo sacó a luz pública el Dr. Juan Benito Díaz de Gamarra, en 1778. En todas esta obras se nota la gran madurez espiritual y riqueza lírica del P. Alfaro. La estructura arquitectónica del Santuario es muy sencilla pues consta de una sola nave con seis bóvedas de arista, muros de diez metros de altura apro- ximadamente, siete retablos neoclásicos y uno barroco, y seis capillas cuyas entradas dan hacia el Santuario. El altar mayor, la capilla del Rosario y la de Loreto tienen sus propios camarines. El Santuario carece de crucero y cúpu- la, y la que ostenta de forma esférica pertenece al camarín del Altar Mayor; mientras que en la Capilla del Calvario la cúpula con tambor octagonal des- cansa sobre al crucero. La torre de tres cuerpos que no queda al paño del mu- ro exterior, nos indica hasta donde llegaba al principio el Santuario antes de construirse las capillas del Sto. Sepulcro y de Belén, por lo que tuvo que aña- dirse otro tramo del coro. Las otras dos torres no pertenecen al tiempo del P. Alfaro. La fachada del Santuario se muestra totalmente exenta de ornato, y só1o tiene una ventana rectangular sobre el arco mixtilíneo de la puerta de entrada. El conjunto de capillas que rodean al templo principal o Santuario obe- dece a una idea maestra dal P. Alfaro: ubicar al ejercitante en los lugares don- de nació, vivió, padeció y murió Ntro. Señor Jesucristo para consumar la re- dención y salvación del género humano, sirviendo el Santuario de recinto pa- ra que los ejercitantes oyeran misa, rezaran, escucharan la predicación, y to- maran parte en las prácticas propias de la Casa de Ejercicios instituidas por el P. Alfaro. Esta es la razón de las capillas de Belén, de Loreto, (ciudad de Italia donde fue trasladada la Casa de Nazareth en el siglo XIII), del Cená- culo, del Calvario, del Sto. Sepulcro, de la Soledad y de Pentecostés en el ca- marín del Altar Mayor. La Capilla del Rosario se debe a la devoción especial del P.Alfaro, conmemorando el triunfo del cristianismo en la batalla de Le- panto sobre el islamismo, por el rezo del Sto. Rosario en el s. XVI. La decoración del interior del Santuario en muros y bóvedas se debe al deseo del P. Alfaro de ilustrar con pinturas al temple y cartelas alusivas en verso, los temas propios de los Ejercicios espirituales que San Ignacio de Lo- yola (1491-1556) compuso en forma de lecturas y meditaciones sobre las ver- dades eternas contenidas en las Sagradas Escrituras, para que el creyente de cualquier estado y condición trate de hacerlos, sea “o para enmendar la vida mala, o mejorar la buena que tenía”, como advierte el P. Pedro Rivadeneira, L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro 269 biógrafo del santo. Como por su estrechez y pobreza la Casa de Ejercicios de Atotonilco que apenas podía albergar entro 40 a 60 personas dedicadas en ocho días a la oración, meditación y penitencia, no pudiendo el P. Alfaro de- corar sus muros y dependencias - como lo habían hecho los PP.del Oratorio de México en la Casa de Ejercicios de Encierro para Hombres anexa al tem- plo de la Profesa valiéndose de los mejores pintores del s.XVIII, como Ví- llalpando, Cabrera, Alcíbar, Islas, y otros - logró plasmar en el Santuario los grandes temas de los Ejercicios de San Ignacio como el Ultimo Fin del Hom- bre; Muerte, Juicio, Infierno y Gloria; Muerte del Justo y del Pecador; las Pe- nas del Infierno y la Gloria de los Bienaventurados; y sobre todo el tema más querido del P.Alfaro: la Pasión y Muerte de Jesucristo nuestro Redentor. To- do esto lo llegó a lograr mediante el pincel de Miguel Antonio Martínez de Pocasangre, pintor desconocido hasta la fecha, de méritos indiscutibles, que dejó una obra pictórica barroca, asombro de los visitantes, desde la entrada del santuario en los paneles del cancel de madera, en que están pintados aba- des, santos y santas, pasajes bíblicos y alegorias de la purificación del cora- zón, aunque estas pinturas sufrieron repintes posteriores de J. Ma. Baraja, así como otras más.

OBRA POETICA DEL P. ALFARO

No podemos dejar de referirnos, aunque sea brevemente, sobre la obra po- ética del P. Alfaro producto genuino de su intenso amor de Dios, de Jesús y María y de las almas. “No hay en la poesía del P. Alfaro - dice la Dra. Cle- mentina Díaz y de Ovando - hondos problemas teológicos o filosóficos, ni graves asuntos políticos como en el combativo fray Luis de León; sino sola- mente la deliciosa divulgación de enseñanzas, dogmas y prácticas de vida cristiana”: todo lo cual quedó escrito en novenas y en las paredes y bóvedas del Santuario de Atotonilco, pues su poesía es expresión de su vida y del in- menso amor que profesaba a Cristo y a la Sma.Virgen, haciendo uso de oc- tavas, décimas y sonetos. Vayan de ejemplo los siguientes:

Dos coronas te ofrecen dos señores mira, alma, con cuidado, a cual te inclinas; si a la que el mundo ofrece que es de flores, o a la que Cristo ofrece que es de espinas: la de flores remata en sinsabores, 270 ANNALES ORATORII la de espinas en glorias peregrinas: escoge pues la de mayor nobleza, que es la que carga Cristo en su cabeza.

Las décimas que siguen nos recuerdan el himno Akathistos bizantino:

AVE, Virgen y Preñada. AVE, Refugio sagrado. AVE, Doncella Parida. AVE, Libro misterioso. AVE, de Dios Poseida. AVE, Bálsamo precioso. AVE, de Dios más Amada. AVE, Ciprés encumbredo. AVE, Madre Inmaculada. AVE, Alcázar adornado. AVE, por quien mi alma pena. AVE que al dragón refrena. AVE, Lus clara y serena. AVE, graciosa morena. AVE, que Dios nos envía. AVE, en quien Dios se gloría. AVE, mil veces María. AVE, graciosa María. AVE, Ave gratia plena. AVE, Ave gratia plena.

La mejor de sus composiciones poéticas es el siguiente soneto:

¡Pasto y Pastor! ¡Qué raro ofrecimiento el cielo te presenta, oh peregrino! ¡Pasto y Pastor! dichoso tu destino si sabes apreciar tal llamamiento.

Pasto y Pastor a un tiempo: ¡qué portento! Divino el Pasto, si el Pastor divino. Con tal Pastor, ¿quién perderá el camino? Con el Pasto tal, ¿quién perderá el aliento?

Mi Pasto y mi Pastor sois, Jesús mío: que así vuestra palabra me lo advierte, reprendiendo mi loco desvarío, y anunciándome en todo feliz suerte. Sois mi Pastor, no temo ya extravío. Sois mi Pasto: no temo ya la muerte. L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro 271

No debemos pensar que el P. Alfaro, por haber tenido que dirigir primero la construcción del Santuario junto con las capillas y luego la decoración con las cartelas alusivas en verso, haya descuidado sus deberes como sacerdote y director de la Casa de Ejercicios Espirituales donde se retiraban al rededor de sesanta personas casi siempre pobres, con el minimo de comodidades, pa- ra tratar sobre su conversión y salvación durante ocho días atendiéndolas per- sonalmente; sino por el contrario su vida diaria dedicada a la oración y pe- nitencia se distribuía - según lo refiere el Dr. Gamarra en el Elogio Fúnebre - de la forma siguiente: “Pasaba la mayor parte de la noche en oración men- tal para prepararse a la celebración de la Misa (durmiendo los últimos años de su vida en un ataúd que llamaba festivamente ‘chalupas’); por la mañana confesaba, celebraba la Misa y terminando practicaba con los fieles la Visi- ta de los Cinco Altares continuando con una exhortación de aborrecimiento de los vicios y cumplimiento de los Consejos evangé1icos. Así hasta las 11 de la mañana cuando se ponía a rezar el Oficio divino de rodillas ante el Sa- grario, repasaba el estudio de Moral practicaba algún trabajo manual como hacer flores artificiales, como San Pablo Apóstol que confeccionaba tiendas de campaña (Hch.18,3); en seguida se rezaba el Via-Crucis que é1 mismo ha- bía compuesto, seguía el examen de conciencia y se terminaba con alaban- zas a Ntro. Divino Redentor, sacadas de las Escrituras sin faltar el Angelus. Después pasaba al Refectorio para servir personalmente la mesa a los Ejer- citantes, reservándose para sí un poco de alimento que por lo general mex- claba con algún líquido amargo. Por la tarde a las 4 p.m., se visitaba al Smo. Sacramento haciendo uso del devocionario compuesto por él mismo, pidien- do a Ntro.Señor por las necesidades de la Sta. Iglesìa. Y a las 7 p.m., se re- zaba al Sto. Rosario de 15 misterios seguido de una explicación de las de- claraciones del Catecismo de Ripalda, concluyendo con un Responso por los difuntos de ese día”. Debemos añadir las prácticas penitenciales y flagelaciones que se impo- nía a sí mismo - conforme a las palabras da San Pablo: “Castigo mi cuerpo y lo esclavizo, no sea que habiendo predicado a otros, venga yo a ser repro- bado” (Gal. 9,27) - en tiempo de Cuaresma y Semana Santa y en particular el Viernes Santo, cuando con una soga al cuello, corona de espinas en la ca- beza y cargando una pesada cruz de mezquite, se hacía caer tres veces re- cordando lo que “su Jesús había hecho por é1”, en una solemne procesión. Por fin, tras de haber sufrido penosas y langas enfemedades con ejemplar re- signación, diciendo: “Hágase en todo, y por todo la santísma Voluntad de Dios; más es lo que merezco, menos es lo que padezco”, así confiado en la 272 ANNALES ORATORII

Misericordia de Dios entregó plácidamente su alma a Ntro. Señor el 22 de marzo de 1776, a las 6 de la mañana, mientras pronunciaba el nombre de Je- sús. Luego se extendió la noticia de su fallecimiento acudiendo cientos de personas de todas las clases sociales a venerar su cadaver siendo sepultado en el muro del presbiterio del altar mayor del Santuario de Atotonilco, don- de permanecen sus restos, y cuya fama de santidad continúa viva y es el imán para las miles de personas que acuden anualmente a tomar los Ejercicios Es- pirituales en el Santuario de Atotonilco, Gto. Las solemnes Honras Fúnebres se celebraron al mes de su fallecimiento en el Santuario, predicando el Elo- gio Fúnebre el Dr. Juan Benito Díaz da Gamarra ante un gran auditorio4

CAUSA DE BEATIFICACION DEL VEN. PADRE

1. - El Dr. y Mtro. D. José María de Jesús Días de Sollano y Dávalos (1820-1881) - primer Obispo de la Diócesis de León, Gto., dentro de cuya jurisdicción quedaba el Santuario de Atotonilco, que conocía por ser origi- nario y vecino de la ciudad de San Miguel de Allende, y sabía de la fama de santidad del P. Alfaro - se movió a introducir la Causa de Beatificación en Roma valiéndose del Dr. D. Ignacio Montes de Oca y Obregón entonces Pá- rroco de Santa Fe de Guanajuato, llevando consigo el “Summarium” o lega- jo compuesto por los manuscritos, testimonios de los Padres del Oratorio de San Miguel, e impresos del Ven. Padre Alfaro. Se inició entonces el Proceso de Beatificación en 1869, reinando el Papa Pio IX.

2. - El Sr. Obispo de la Diócesis de León, Dr. Emeterio Valverde y Tellez, (1864-1948), interesado por el Proceso envía a Roma al Pbro. D. José Mer- cadillo Miranda, Párroco de San Miguel de Allende, en 1948, a investigar el estado del Proceso regresando con la buena noticia de que se encontraba en el lugar indicado desde Pio IX.

3. - Cuando es creada la nueva Diócesis de Celaya con parroquias de las diócesis de Morelia y León, el Santuario de Atotonilco pasa a pertenecer a Celaya, por lo que el nuevo Obispo D. Victorino Alvarez Tena deseando dar- le impulso al Proceso nombra como Promotor de la causa a Mons. José Mer- cadillo Miranda y como Miembros de la Comisión de Historia al Pbro. Mtro.

4 DIAZ DE GAMARRA Y DAVALOS, J.B., El sacerdote fiel…, cit., p. III. L. Avila Blancas, El venerable Padre Luis Felipe Neri de Alfaro 273

Silvino Robles Gutiérrez de León, Gto., al R. P. José Bautista del Oratorio de San Miguel y al Sr. Antonio Ruiz Valenzuela de la misma ciudad, por ofi- cio del 6 de marzo de 1976. Como ya han fallecido el Sr.Obispo y los dos sacerdotes el único viviente es el Sr.Valenzuela.

Al terminar esta breve semblanza del P. Alfaro me parece que debemos recordar que la santidad siendo obra del Espíritu de Dios en las almas que docilmente siguen sus inspiraciones por el camino que tenga a bién llevarlas, como puede ser el camino de la cruz hacia la inmolación del Calvario; el P. Alfaro comprendía muy bién que las maceraciones corporales no tenían va- lor en sí mismas, por eso todas las unía a los sufrimientos de Cristo en su Sma.Pasión, según aquello de San Pablo: “Puesto que no me he preciado de saber otra cosa entre vosotros, sino a Jesucristo y este crucificado” (2 Cor.2.2), cuya imagen quiso contemplar, como buen enamorado, por los lu- gares principales del Santuario en los distintos pasajes de la Pasión y Muer- te del Salvador. Por eso desde niño sabiendo que la ascesis, dentro del cristianismo no es más que un medio para evitar los tropiezos que la carne puede ofrecer, re- cordando “que los que son de Cristo - dice San Pablo - tienen crucificada su carne con los vicios y pasiones” (Gal.5.24), quiso seguirlo con su propia cruz de ayunos y flagelaciones correspondiendo a la invitación del mismo Jesús cuando dijo: “si alguno quiere venir en pos de mí, niéguese a sí mismo, to- me su cruz y sígame” (Mt.16,24), a tal grado de generosidad que sus peni- tencias son comparables a las de un San Pedro de Alcántara (1499-1562), que con las suyas asombró a la España del siglo XVI, como acá a México el P. Alfaro en el s.XVIII. Luis Avila Blancas, C.O.