Carmen Alla Scala - Opera Lirica - Guida Di Supereva
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Carmen alla Scala - Opera lirica - Guida di SuperEva Carmen alla Scala A cura di daniulla Pubblicato il 05/07/2004 » Invia tramite EMAIL » Versione per la STAMPA » Le vostre opinioni Recensione di Sergio Albertini Carmen, opéra-comique in quattro atti di Georges Bizet libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, dalla novella omonima di Prosper Mérimée Personaggi ed interpreti: Don José, brigadier (ténor), Walter Fraccaro Escamillo, toréador (baryton), Ildar Abdrazakov Le Dancaïre, contrebandier (baryton), Francis Dudziak Le Remendado, contrebandier (ténor), Antoine Normand Moralès, brigadier (baryton), Fabio Capitanucci Zuniga, lieutenant (basse), Jean Pascal Introvigne Lillas Pastia, aubergiste (rôle parlé), Laurent Gerber Un guide (rôle parlé), Laurent Gerber http://guide.dada.net/opera_e_lirica/interventi/2004/07/166257.shtml (1 di 4)20/06/2008 14.07.39 Carmen alla Scala - Opera lirica - Guida di SuperEva Carmen, bohémienne (mezzo-soprano), Julia Gertseva Micaëla, paysanne (soprano), Angela Marambio Frasquita, bohémienne (soprano), Isabelle Cals Mercédès, bohémienne (mezzo-soprano), Carla Di Censo Une marchande des oranges (alto), Marzia Castellini Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, Milano Maestro concertatore e direttore d’orchestra Michel Plasson Maestro del coro Bruno Casoni Corpo di ballo del Teatro alla Scala diretto da Frederic Olivieri Coro di Voci bianche del Teatro alla Scala e del Conservatorio “G.Verdi” di Milano diretti da Alfonso Caiani Regia di Nicolas Joel Scene di Ezio Frigerio Costumi di Franca Squarciapino Luci di Vinicio Cheli Teatro degli Arcimboldi, Milano, 28 giugno 2004 Settima rappresentazione Si chiamano Gabriela Mihaela Ungureanu, Anastasia Souporavskaja, Svetlana Siridova, Nidia Palacios, Marina Domashenko, Dagmar Peckova, Graciella Araya, Andrea Szàntò, Karine Ohanyan, Ohana Andra, Jennifer Arnold, Caterina Novak, Michaela Mehring, Graciela Alperyn, Ildiko Komlosi, Hadar Halevy, Frederika Brillembourg, Irina Mishura, Cornelia Helfricht, Luisa Islam-Ali-Zade... No, non sono nomi d’invenzione, ma vere, autentiche mezzosoprano in carriera interpreti di “Carmen”. Onestissime professioniste, vincitrici di svariati concorsi, che calcano magari anche scene importanti, che ogni giorno, da qualche parte del mondo, vestono i panni dell’eroina di Bizet, che l’hanno magari incisa in cd, di cui esistono anche registrazioni in dvd. Ogni volta, in qualche parte del mondo, nasce una nuova “Tosca”, una nuova “Traviata”; qualche melochecca starnazza oltre misura, qualche critico storce eccessivamente la bocca. Ricordo il battage con cui, non molti anni fa, venne proposta a Palermo Beatrice Uria-Monzon, bellissima donna, cantante corretta; la sua “Carmen”, diretta in malo modo da un direttore appena defunto che solo certe ipocrisie post-mortem elogiano oltre ogni limite della decenza, finì in una gazzarra per attacchi sbagliati, e la polemica coinvolse per oltre un mese i vertici del teatro (il Massimo di Palermo), i due quotidiani cittadini, amici dell’opera, amici della Monzon, orchestrali, nani, ballerine e via discorrendo. Ora, la signora Borodina Olga, bellissima donna, timbro sensualissimo, Carmen prevista agli Arcimboldi, a pochi giorni dalla prima (ma le prove, erano previste in così poco tempo ?) ha dato forfait adducendo quale ragione il fatto che questa “Carmen” veniva data coi dialoghi parlati e nessuno (?!?) l’aveva avvertita. Dialoghi che poi non sono così lunghi e insostenibili per un apprendimento rapido, visti gli ampi tagli cui sono stati sottoposti. Mah! In primo luogo la “questione dialoghi” dovrebbe essere chiusa una volta per sempre. “Carmen” è opéra-comique, ergo alterna numeri musicali al parlato. Inoltre, chi sostiene la revisione Guiraud sostiene il falso (in “Carmen” si ritrovano così estratti da “L’Arlesienne” e da “La Jolie Fille de Perth”); men che meno la “nuova edizione critica” di Oeser in tre atti (figurarsi!). Ci piacerebbe, invece, ascoltare quel quarto d’ora di musica desaparecido, il canone nel “choeur des gamins” (al primo atto), l’episodio, sempre al primo atto, all’interno del coro delle sigaraie, o la scena e pantomima di Morales con il coro in eco, o la parte del duello/duetto tra Don José e Escamillo all’atto terzo. Borodina ha dato forfait, indisposta anche per una “leggera forma allergica” (ma si sono aggiunte le rinunce del tenore Clifton Forbis e del soprano Patricia Racette); http://guide.dada.net/opera_e_lirica/interventi/2004/07/166257.shtml (2 di 4)20/06/2008 14.07.39 Carmen alla Scala - Opera lirica - Guida di SuperEva et voilà, si è fatta avanti Madama Gersteva a salvar la situazione. Pietroburghese per nascita, ha interpretato la sua prima Carmen al Teatro Stanislavski di Mosca nel 2000, lo sarà ancora nelle prossime stagioni a Roma (Accademia di Santa Cecilia, con Georges Pretre) e alla Semperoper di Dresda. In Italia la Gersteva s’era vista e sentita la prima volta a Roma, nel 2002 (“Lady Macbeth di Mtsenk”), poi a Palermo come doppio della Freni ne “La Pulzella d’Orleans”, Varvara della “Kata Kabanova” a Venezia, la cantata “Alexander Nevskij” a Catania (città dove tra due stagioni sarà Laura ne “La Gioconda”), Charlotte massenettiana a Bologna (presto in cd e dvd), produzione che andrà nel 2005 in tournée in Germania. Insomma, una cantante in pieno sviluppo di carriera. Ma che Carmen è stata, la Gersteva ? Bella lo è. Il phisique du role, quello c’è. La voce appartiene a quell’anfibia terra di confine che si avvicina al genere “soprano corto” (dalla von Stade alla von Otter, via Baltsa), divenuto per necessità “mezzosoprano”. Non è particolarmente seducente il timbro, e Dio solo sa quanto stiamo aspettando quel timbro “sombre” e roco dei “sonidos negros” del canto andaluso che la partitura richiede. Solo le voci “coulored” di Leontyne Price, Grace Bumbry e Shirley Verrett ci hanno restituito appieno la vera essenza timbrica di Carmen, a mio avviso. La Gersteva funziona, ma non entusiasma. Mette fuoco ai cuori (in scena), meno alle orecchie (in sala). Soprattutto, nella fatidica “Habanera” o nel canto del secondo atto, ho notato una certa difficoltà nel legato, nelle lunghe arcate di fiato; il fraseggio della “Habanera” ha perso in seduzione, in languore, in erotismo. Per il resto, come dicevo, la prova è stata corretta, ma a tratti scolastica; nel finale, ad esempio, questa Carmencita pare muoia d’infarto alla vista del coltello di Don Josè, piuttosto che pugnalata. La Gersteva, comunque, non so quanto abbia provato e quanto sia invece da addebitare alla regia di Joel; una Carmencita che giunge, come da copione, a piedi scalzi, che passa gran parte del suo tempo a sollevare (timidamente, in stile vedo-non-vedo) la gonna e a mostrare la caviglia; che salta sul tavolo della taverna di Lillas Pastia, che lancia per aria la seggiola... Solita roba. Peccato, perché l’allestimento disegnato da Ezio Frigerio (lo stesso proposto nella “Carmen” palermitana di pochi mesi fa, diretta da Alain Lombard), proveniente da Tolosa, ha una sua cifra personalissima, efficace, non scontato (tranne che nel solito quarto atto); al primo, un bel praticabile alto, sul proscenio, segna l’uscita dalla fabbrica delle sigaraie, mentre sul fondo una assolata architettura bianchissima fa da contrasto a luttuosissimi e drammatici costumi e divise nere (sembra, invero, più “Cavalleria rusticana” che “Carmen”, a ben pensarci...), siglati Squarciapino. Secondo atto bellissimo, con la taverna di Lillas Pastia in legno illuminata da lanterne e lumini; vero e proprio “palcoscenico” della seduzione. Terzo atto suggestivo: si apre con nebbia e neve su cime montagnose (resta da capire come mai Carmencita si trovi a suo agio con le espadrillas ai piedi e come la povera e insopportabile Micaela è vestita come al primo atto e non abbia sentito il bisogno, con tutta quella neve e a quelle alture e a notte fonda di mettersi almeno uno scialle in testa...). Quarto con arena e inevitabile alto muro bianco che isola il duetto finale dei due protagonisti. Bianco/Nero con qualche spruzzata di rosso in Carmen. Walter Fraccaro era Don José. In carriera da dieci anni, è stato Don Josè già a San Francisco e ad Amburgo, mentre in Italia lo si è potuto ascoltare a Napoli (“Aida”), all’Arena di Verona (“Aida” e “Tosca”), a Genova (“Aida”), a Firenze (“Macbeth”), a Roma (“Tosca”); tra i suoi prossimi impegni italiani, “Fanciulla del west” e “Forza del destino” a Genova, “Trovatore” a Roma, “Aida” a Torino. Un tenore di buone qualità: timbro aperto, comunicativo, zona acuta sicura (sia pure leggermente spinta), ma tendenzialmente confinato tra il mezzoforte e il forte (ne “La fleur” mamca di languore, e il ricordo di Gedda o Bjoerling, l’uno algido ma perfetto, l’altro imperfetto ma che straziava il cuore, dovrebbero abitare nelle orecchie d’ogni tenore che affronta Don José). Tra i quattro protagonisti dell’opera, Don Josè è l’unico che vive una mobilità emotiva: passa dal coup de foudre iniziale alla scoperta delle proprie emozioni, dal sopraggiungere delle prime nubi all’esasperazione, dal parossismo all’omicidio, in perenne bilico tra il diserdate e l’obbedire, tra l’essere soldato e figlio o fuorilegge. Tutto questo, vocalmente, in Fraccaro, non c’è. Ildar Abdrazakov è quel che ha da essere. Un torso irrisolto, Escamillo. Borioso e vanesio, assomma tutti gli spasimanti presenti nella novella originale di Merimée. Bel basso, Abdrazakov (marito della Borodina), e Escamillo a senso unico, giusto (lo riproporrà prossimamente a New York), come ha da essere. Micaela, figura assente in Merimée, inserita