Il Mio Interesse Politicox
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Storie di vita e di fede politica di Stefano Giungi Da ragazzo non mi sono mai interessato di politica fino al giorno che ho conosciuto Adelchi Calligaris, professore di educazione fisica. Frequentavo il Convitto Nazionale Longone dove in altri tempi avevano studiato illustri letterati. Miei compagni di scuola, Carlo Borsani junior, Gianni Nardi e Roberto Satti, il futuro Bobby Solo. Di loro parlerò più avanti. Adelchi Calligaro era un ex ufficiale degli alpini reduce dalla Russia. La prima mezz'ora della lezione era dedicata all'indottrinamento politico, poi soddisfatto ci faceva giocare a pallamano. Era un funzionario del MSI milanese, sempre candidato alle elezioni, mai eletto. Un bel personaggio, sempre in camicia nera sotto una giacca sdrucita e spesso accompagnato da un cagnolino tutto nero. Se qualcuno metteva in dubbio la fede del nero meticcio, dava il comando" Dux salut" e Dux si alzava lesto su due zampe con la zampa destra protesa. Cominciai a interessarmi un poco della Storia del nostro recente passato, ma lo sentivo distante, come si trattasse di un'epoca oscura, quasi medioevale. La svolta avvenne quando mio fratello mi condusse a un comizio in Piazza del Duomo. Mai vista una cosa simile. La piazza era gremita e migliaia di giovani si mescolavano orgogliosamente ai reduci della RSI al suono di " Sole che sorgi ". Provai una forte emozione, una scossa elettrica al cuore e al cervello. Compresi subito che mi trovavo in un clima entusiastico e patriottico. Sul palco, dopo le presentazioni di rito, comparve un uomo esile, ascetico che venne accolto da un delirio di applausi. Era l'onorevole Almirante. Si sfilò il cappotto blu e iniziò a parlare. Non era il Segretario del Partito, ma rappresentava l'anima del partito. In quella occasione ho visto gente piangere quando rievocò i trascorsi di Salò. Decisi di approfondire l'argomento e uscire dagli schemi scolastici, dove ci avevano insegnato che tutti i buoni stavano da una parte e i cattivi dall'altra. Decisi di parlare con Borsani, anche se non era propenso a rievocare la tragedia che lo aveva colpito dopo il 25 Aprile. Con Borsani, Gianni Nardi e altri compagni di scuola seguimmo la campagna elettorale del professor Calligaro. Partecipavamo ai comizi e distribuivamo volantini agli scarsi uditori. Purtroppo i risultati furono deludenti. Nonostante l'impegno di Almirante e di altri dirigenti nazionali si verificò il sorpasso del Partito Liberale appoggiato dalla stampa e sostenuto dalla Confindustria. Calligaro, nonostante l' impegno non venne eletto, ma non si abbatté e si dichiarò pronto a partire per una nuova avventura. La sera della chiusura della campagna elettorale ci recammo in una pizzeria in Largo Cairoli ospiti del nostro professore. Gianni, Carlo ed io rimanemmo nel locale fino all'ora di chiusura. Tra una birra e l'altro il discorso cadde sulla Guerra Civile in Italia e in questa occasione Borsani parlò del Padre, medaglia d'oro e grande invalido di guerra. Il 25 Aprile era ricoverato all' Istituto Oftalmico quando comparve un gruppo di brutti ceffi. Lo condussero brutalmente in una Scuola dove venne sottoposto a un processo farsa. Venne immediatamente passato per le armi, caricato su un carretto e additato al pubblico ludibrio del popolo rosso. Il giorno dopo venne gettato come un cane in una fossa comune. Questa è Storia, non le falsità partigiane sostenute dal fronte comunista. Carlo non sapeva odiare. Disse che non si sarebbe mai vendicato, sollevando le proteste di Nardi. Al figlio dell'Eroe interessava solo una cosa. Lo disse chiaramente. Chi aveva dato l' ordine ? ( continua ) Carlo Borsani venne trucidato a seguito di un Ordine del famigerato Comitato Liberazione Alta Italia, responsabile di efferati delitti. Chi era al comando di questo Comitato ? I nomi sono noti, ma uno si è distinto per l'inaudita crudeltà. Uno che ha fatto passare per le armi una donna all'ottavo mese di gravidanza con il solo torto di aver continuato la carriera di attrice durante la Repubblica Sociale. Uno che ha sempre mostrato odio nei confronti di un povero cieco, colpevole solo di essere rimasto al suo posto nonostante la grave infermità e di aver auspicato la pacificazione tra fascisti e antifascisti. Ricordo un'intervista rilasciata a Enzo Biagi negli anni 80, quando era il presidente di tutti gli italiani, ma non il nostro. Rievocava il passato partigiano.... citando quel cieco che lo ossessionava, ammesso che avesse una coscienza. Questa è stata la mia impressione, se esisteva qualche testimonianza è stata cancellata. In ogni caso a pensar male si fa peccato, ma qualche volta si azzecca. Come disse Andreotti. Nel 1965 ricorreva il ventennale della Liberazione. Frequentavo l'ultimo anno del Liceo Classico e arrivò l'ordine di scrivere il tema sulla Resistenza in concomitanza del 25 Aprile. Ci consultammo e a stragrande maggioranza decidemmo di non presentarci a Scuola il giorno fatidico. Grande soddisfazione allora, oggi dico che abbiamo fatto male, anzi malissimo. Cosa scriverei ? Una guerra fratricida non si celebra, si commemora. Le guerre civili, la Storia insegna, sono sanguinarie e quella superò ogni limite di violenza, di vendetta. Se avessi avuto la ventura di dovermi schierare di sicuro non sarei andato in montagna coi partigiani. Ammiro i combattenti della RSI, ma nell'ora del pericolo solo con la Fede ci si può schierare dalla parte dei perdenti che sanno di perdere. Così si spiega la mia ammirazione nei riguardi di quelli che hanno combattuto dalla parte " sbagliata". Uomini come Carlo Borsani, Pavolini, Bombacci, il generale Graziani e i giovani Almirante e Pino Romualdi. Chiedo venia se non li cito tutti, ma l'elenco sarebbe troppo lungo e doloroso. Da ultimo cito il Conte Urbano Rattazzi, conosciuto nella mia farmacia. Non era mai stato fascista, ma di fronte allo sfascio si schierò con Borghese nella x Mas. Si salvò miracolosamente grazie all'intervento della futura moglie Susanna Agnelli. I particolari li trovate nel libro " Vestivamo alla marinara ". Una autobiografia che non giudica, racconta la Storia. Nel 1965 ho conseguito la Maturità Classica. Con noi non c'era Gianni Nardi. Si era ritirato in polemica con la Professoressa di Filosofia e superò gli esami da privatista in un altro liceo. Tutti noi eravamo al corrente delle idee politiche della professoressa ma non entravamo in polemica. Lui no, aveva il coraggio di contestare e difendere la figura di un filosofo come Giovanni Gentile. A seguito di un contraddittorio molto acceso e irriverente, decise di lasciare la Scuola per coerenza e si preparò da solo. Alternava un'ora di motocicletta a due ore di studio tutti i giorni. Grazie alla straordinaria intelligenza venne promosso con pieno merito. Io pure me la cavai, senza infamia e senza lode. Un mesetto prima di diplomarsi venne arrestato sotto casa per detenzione abusiva di armi da fuoco. Rimase una settimana in isolamento a San Vittore, poi venne liberato in attesa del processo. Seguiranno altri arresti e altri processi. In quel periodo eravamo molto legati, posso assicurare che si trattava di un bravo ragazzo un poco egocentrico introverso ed esaltato. Ci siamo persi di vista quando decisi di iscrivermi a Urbino alla Facoltà di Farmacia. O meglio, decise mio padre visto che possedeva col fratello una Azienda di medicinali. Urbino è una città meravigliosa, ma viverci nella seconda metà degli anni 60 non è stato facile. Alloggiavo al College, di nuova costruzione, sul Colle dei Cappuccini, tanto caro al Poeta. Perché Urbino? Perché a Milano non era presente la Facoltà di Farmacia e l'alternativa era tra Pavia e Urbino. Scelsi Urbino perché sono un marchigiano nato per Caso a Milano. Trascorrevo le vacanze a Pesaro e lì avevo gli amici con cui ero cresciuto. L'impatto con la Città Ducale fu negativo. Mi resi conto che ero capitato nella località più rossa d'Italia. Quando venne in visita il Magnifico Rettore Carlo Bo, ci radunammo in Sala Conferenze e vennero proposti i quotidiani e le riviste per la nostra biblioteca. Decisero di inserire l'Unità, l'Espresso, e simili fogliacci. Mi ribellai e dissi, rivolto alla corte comunista che accompagnava il Magnifico " A questo punto inserite anche il Borghese " ! Fui sommerso da critiche e naturalmente mi diedero del fascista. Risposi che ero nato nel dopoguerra da famiglia non fascista, ma deciso a rispettare quel che di buono aveva fatto il fascismo. Si misero a ridere come matti e un piccoletto col sigaro in bocca, a imitazione del Rettore, mi chiese a quale facoltà ero iscritto, con l' intenzione di farmela pagare. Quando risposi, Farmacia, ci rimase malissimo. Compresi di esser capitato in una Cittadella comunista, dove la nostra facoltà e Giurisprudenza rappresentavano un'oasi in un deserto rosso. A Urbino mi sono innamorato e fino al 68 ho pensato solo alla splendida fanciulla conosciuta al College. Mi sono dedicato a lei, dimentico del mondo che ci circondava. Non seguivo neppure la mia squadra e le uniche distrazioni le riservavo agli amici d'estate. La politica non poteva interessarmi di meno, tanto più che il Partito, saldamente nelle mani di Arturo Michelini, si era imborghesito e faceva acqua da tutte le parti. Ma il 68 lo vissi da protagonista. La mia ragazza cercava di tenermi a freno senza riuscirci. Avevo conosciuto un manipolo di Patrioti ed eravamo additati al pubblico ludibrio. Annalisa, a un dato momento per tenermi sotto controllo mi assecondava, ma spesso ci riunivamo a casa di Gabriele Limido, dirigente del Fuan, per studiare i piani di Azione. Eravamo pochi, pochissimi se raffrontati agli antagonisti rossi che potevano contare sugli studenti delle materie letterarie e sulla popolazione comunista e partigiana. L' occasione per una manifestazione si verificò quando venne a Urbino l' onorevole Grilli per un comizio del MSI.