Quadro 3.1 Leggere il paesaggio Siamo ormai nella parte meridionale della porzione montana del Comune, caratterizzata da pendenze decisamente più blande. L’elemento dominante è qui il torrente Cosia, che, provenendo dal territorio di Albavilla, riceve le acque del torrente Valloni in prossimità della piccola pianura attorno al Roccolo del Curato. In questa zona si può riconoscere inoltre una particolarità del reticolo idrografico, cioè del tracciato dei torrenti. Ad esempio il corso del torrente Cosia è qui caratterizzato da tratti con brusche curvature, che si intersecano formando angoli di 90° (reticolo cosiddetto ortoclinale). Ciò è legato al particolare assetto della stratificazione del substrato roccioso. Lungo la fascia pedemonana infatti si osserva la cosiddetta “Flessura Pedemontana”, ovvero il substrato va ad immergersi sotto i sedimenti della pianura (Vedi box La geologia del territorio di ). Questo determina la presenza di giacitura a franapoggio della stratificazione, ovvero gli strati immergono nella stessa direzione dei versanti, in questo caso verso Sud. Le valli quindi si impostano con tratti paralleli alla direzione degli strati (in questo caso Est-Ovest) e tratti lungo la linea di massima pendenza degli stessi strati (in questo caso Nord-Sud). Poco più a sud, il Cosia piega bruscamente verso ovest in corrispondenza di un affioramento di conglomerato detto Ceppo . Questa roccia è costituita da antichi depositi fluvioglaciali quaternari formati da ciottoli eterogenei, di origine varia, fortemente arrotondati, compattati e cementati da una matrice carbonatica. Fino al secolo scorso era molto attiva una forma di artigianato tipico locale, detto “mosaica”, che vedeva la realizzazione di apparati decorativi per giardini (grotte, fontane) attraverso la sapiente lavorazione di questo conglomerato. Il Cosia poi scorre in una valle profondamente incisa ad andamento E-O, quasi un vero e proprio canyon, fino al confine con il territorio di . Superato il corso del Cosia sono più evidenti le tracce di una presenza umana stabile nel corso dei secoli. Secondo un modello di insediamento comune alle località della fascia prealpina, gli insediamenti stabili e i passaggi si collocano tra montagna e pianura per ragioni che si possono facilmente intuire. Qui infatti è migliore l’esposizione solare e le pendenze sono meno proibitive; non mancano sorgenti d’acqua ed il terreno, per la sua natura, non tende ad impaludarsi come invece accade nelle zone pianeggianti. Tipica di questa fascia sono le sistemazioni a terrazzo, segno ancora evidente di una pratica colturale che sfruttava la favorevole posizione di questi terreni, trasformandone le dolci pendenze naturali in una serie di piccoli appezzamenti pianeggianti posti ad altezze diverse. Questi terrazzamenti erano ancora sistematicamente coltivati a vigneto, frutteto ed orto fino agli anni ’40- 50 dello scorso secolo.

Quadro 3.2 Il passato scomparso La promiscuità fra corsi d’acqua e strade era, in epoca passata, un fatto molto comune. In base all’abbondanza delle precipitazioni poteva accadere, specialmente alle strade di montagna, di essere percorse dalle acque che dalle pendici della montagna scorrevano verso il piano e per questo motivo tali percorsi erano attrezzati per limitare i danni di uno scorrimento spesso impetuoso che avrebbe potuto erodere con gravi danni la sede stradale. Prima della costruzione di una rete di captazione delle acque piovane, avvenuta nel XX secolo, erano frequenti i casi di strade come quella che in passato era detta di Incasate, che per metà della sua larghezza faceva da collettore per le acque provenienti dalla montagna. Lo stesso compito era affidato alla cosiddetta valletta che scende sul margine orientale del nucleo storico di Albese

Quadro 3.3 I nomi dei luoghi Priello della zocca il primo termine potrebbe derivare da pradel, che secondo Pietro Monti stava ad indicare nel dialetto comasco un piccolo prato; zocca si riferisce ad un luogo infossato. Ponsavello il toponimo richiama alla mente il latino pons, ponte e avello, ovvero tomba. I massi avelli sono misteriose tombe a forma di vasca scavate nei massi erratici, che costituiscono una singolarità della zona che va da al Canton Ticino, dalla alla Valtellina. Recenti studi li datano all’arco temporale che va dalla fine del V al termine del VI secolo d.C. Nella zona non è però presente attualmente nessun masso avello.

Quadro 3.4 Luoghi memorabili 3.4.1 La Cà del Curato Sorge in una piccola pianura alluvionale, in località Priello della zocca, quasi alla confluenza del torrente Valloni con il torrente Cosia. Nel 1857, risulta che il terreno su cui si trova era di proprietà dell’allora parroco di Albese, don Carlo Oggioni, il quale possedeva un roccolo in località Cornesello, poco distante, in posizione più elevata, verso il confine con Albavilla, che testimonia l’importanza della cattura degli uccelli di passo a scopo alimentare.

3.4.2 La grotta della Madonna del Cepp Un anfratto ricavato nell’affioramento di conglomerato ricrea, grazie all’abile tecnica dei componenti della FEDERCACCIA di Albese con Cassano, la grotta di Lourdes, con le statue della Madonna e di Bernardette, poste negli anni ’90 dello scorso secolo e tanto care alla devozione popolare della gente di Albese. All’interno è stato posizionato anche un altare per la celebrazione di S. Messe. La grotta si trova poco distante dal passaggio scavato nella roccia che consente di raggiungere la parte alta della valle di Albese. Luigi Riva nel suo manoscritto “Memorie storiche di Albese e (Cassano Albese)” scrive che nell’agosto 1853, in occasione dell’opera di canalizzazione delle acque fatta eseguire da Federico Pontiggia di Cassano per approvvigionare la sua filanda «fu abbassata la strada detta alla bocca di Ceppo , intagliata nella roccia per l’altezza di braccia tre».

3.4.3 Le sorgenti e le opere di captazione Il territorio di Albese e Cassano presenta numerose sorgenti presenti nella parte montana del territorio, a causa dell’esistenza di una faglia di notevole continuità che taglia con decorso Est - Ovest buona parte della fascia pedemontana del Triangolo Lariano. Le faglie sono zone lungo cui si è avuto movimento di masse rocciose, le quali si presentano pertanto in questi punti maggiormente fratturate. La presenza di zone più fratturate all’interno degli ammassi rocciosi costituisce una via preferenziale di sfruttamento delle acque. Tali sorgenti sono state in passato oggetto di sfruttamento a scopo idropotabile. Per quanto riguarda Cassano, le grandi ville patrizie, con le relative pertinenze, avevano risolto il problema dell’approvvigionamento idrico utilizzando le sorgenti presenti nei loro parchi, opportunamente convogliate. Una delle prime a dotarsi di un proprio acquedotto è stata Villa Odescalchi (l’attuale villa Santa Chiara), facendo realizzare nel 1614 un complesso sistema di captazione e distribuzione dell’acqua alla dimora e al giardino, con un casello, un vascone di raccolta e un sistema di condutture. Il Comune di Cassano tra i secoli XVIII e XIX acquistava l’acqua dai proprietari delle ville per alimentare le fontane pubbliche e il lavatoio, che era situato nell’attuale Via Bassi. Per quanto riguarda invece il Comune di Albese, il primo atto di formazione di un acquedotto pubblico risale al 1770; quest’opera fu resa possibile da una convenzione tra Antonio Crivelli, proprietario della fonte in località Fontanella? e il Comune, che dovette a proprie spese incanalare l’acqua, impegnandosi però a realizzare una diramazione del condotto fino alla Casa Crivelli, situata in centro paese. Questo acquedotto, subì successivamente modifiche e ampliamenti. Risale al 1820 il progetto comunale di utilizzo delle sorgenti della località Posca, poco più a monte dell’attuale Baita degli Alpini, curato dall’Ing. Giuseppe Albonico di Carcano. Le opere di convogliamento delle acque (visibili ancora oggi) però furono eseguite soltanto nel 1828-1829, sotto la direzione dell’Ing. Paolo Corti di Pomerio e Carlo Cadorna di Villalbese. Queste sorgenti alimentavano alcune fontane pubbliche nel centro storico di Albese, il lavatoio di Via Pulici (attualmente Museo Etnografico e dell’acqua “Lavandée”) e il lavatoio di Via Prato. Nel 1871 la rete dell’acquedotto subì un netto potenziamento ed un rifacimento delle tubature sotterranee, chiamate a fronteggiare una aumentata domanda determinata da una notevole crescita demografica. Le precarie tubature in cotto, facili a rompersi e non molto efficaci contro le infiltrazioni dei liquami, vennero sostituite con strutture impermeabili in…, più sicure e dalla maggior durata. Nel… fu …il nuovo acquedotto. Le acque vennero talvolta concesse ad uso esclusivo o cedute in modo perpetuo in cambio di somme ingenti o di lavori pubblici finanziati dai beneficiari delle concessioni. Nel 1853 Federico Pontiggia di Cassano ottenne di poter convogliare acque provenienti dalla montagna alla propria filanda situata nel centro storico, offrendo come corrispettivo per i vantaggi ottenuti lavori gratuiti di circa seicento metri di strada attraversati dal condotto, e soprattutto fu creato un passaggio agevole in località Bocca di Ceppo ( vedi Quadro 3.4.2 ). Quasi contemporaneamente ricco commerciante Francesco Turati che tra il 1853 e il 1854, per fornire di acqua la propria residenza estiva posta ad Orsenigo (l’attuale Villa del Soldo), offrì al Comune di Albese, in cambio di alcune sorgenti nella valle di Albese, una somma di tremila lire che consentì la costruzione del castello per le campane, la sistemazione di numerose strade e, per quasi un anno, il lavoro ad ottanta braccianti del posto impegnati nello scavo del condotto diretto alla villa. Successivamente i Turati vendettero la loro proprietà di Orsenigo ai fratelli Crespi, proprietari del “Corriere della Sera” e di numerose industrie tessili, che potenziarono l’acquedotto, fino a raccogliere acqua da 17 sorgenti lungo la valle di Albese. È per questo che oggi conosciamo il complesso delle opere idrauliche di captazione delle acque sorgive con il nome di Acquedotto Crespi. Il serbatoio principale, realizzato nel 1932, è in località Fontanella; nel 1999 fu recuperato, ristrutturato e trasformato in baita, attuale sede del Gruppo Alpini. Tracce dell’acquedotto sono visibili in tutta la valle: caselli di raccolta delle acque sorgive, chiusini, saracinesche, che rendono l’idea di un sistema ingegnoso e molto ramificato. L’acqua raccolta raggiungeva poi Orsenigo passando per la campagna di Albese nel cosiddetto Val de Ciappa, dove la rete di tubi in metallo per il trasporto dell’acqua è tuttora in parte visibile. Questo acquedotto, diventato poi di proprietà del Demanio Provinciale, nel 2009 è stato acquistato per una cifra simbolica dal Comune di Albese con Cassano.

3.4.4 Le cave nella parte orientale di Albese Nella parte orientale del Comune, a nord del vecchio centro storico di Albese, sono tutt’ora presenti le tracce ben visibili di tre cave di pietra da costruzione. La prima cava ad essere sfruttata in ordine di tempo è stata la quella detta di Rundinina, di proprietà della famiglia Torchio. Secondo alcune testimonianza, questa cava fu probabilmente attivata in occasione della nuova Chiesa Parrocchiale di S. Margherita, nella seconda metà del 1700 e fu dismessa verso la metà del secolo successivo. Verso la metà del secolo XIX, dopo la chiusura della cava di Rundinina, venne aperta la seconda, posizionata al confine con la proprietà Seveso. Nella stessa proprietà, per la costruzione della casa, venne utilizzata la pietra ricavata dallo scavo delle fondazioni. Infine, dopo l’abbandono della seconda cava, venne dato avvio allo sfruttamento della terza, detta di Fusana (o Fossana), abbandonata definitivamente nei primi anni ’60. Lo spettacolo è imponente: il fronte di cava, semicircolare, è alto circa… m, da un interstrato a circa metà altezza della parete si verifica uno stillicidio costante di acque (in periodi di forti piogge è particolarmente impressionante e cospicuo) che favorisce la crescita di una vegetazione particolare di muschi. Da queste cave venivano estratti soprattutto blocchi di Calcare di , di colorazione dal grigio al beige, con liste e noduli di selce, in genere ben stratificati e separati da sottili livelli argilloso-marnosi. I blocchi ricavati, dal peso di circa 30-40 Kg e dalle dimensioni di circa 20-25 cm di altezza per 30-40 cm di lunghezza, venivano caricati su robusti carri, i “Car” e trasportati a valle; dopo aver attraversato le vie del centro storico, pesati sulla pesa pubblica ancora oggi esistente in Via Vittorio Veneto - angolo Via IV Novembre. In alcuni giorni transitavano per la “pesata”anche 15 carri carichi; da qui i carri intraprendevano il viaggio verso i paesi del circondario, in particolare Cantù. Questi blocchi venivano usati, fino alla metà del secolo scorso, per lo più come materiali da costruzione. Le pietre meno pregiate dal punto di vista estetico servivano per realizzare i piani superiori degli edifici e successivamente intonacate. Molti sono gli edifici realizzati in Albese con le pietre di queste cave, come pure i muri di cinta o di contenimento presenti per le vie del paese.