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Annali 2003-2004.Pdf ANNALI del CENTRO PANNUNZIO TORINO Anno XXXIV - 2003/04 1 Giovanni Agnelli 2 ANNALI del CENTRO PANNUNZIO CENTRO PANNUNZIO TORINO 2003/04 3 4 SOMMARIO Primo piano p. 7 Riforma della scuola: gli effetti negativi di novità devastanti di Pier Franco Quaglieni 9 Giovanni Agnelli e le arti di Willy Beck 17 Ciò che è vivo del liberalismo giolittiano di Valerio Zanone 23 “Cultura della tolleranza” o “cultura della resa”? di Girolamo Cotroneo 25 Mario Pannunzio, “Il Mondo” e la tradizione della libertà di Igor Man 33 “Il Mondo” e gli epigoni abusivi di Pierluigi Battista 35 Il meglio del pensiero liberale di Enzo Bettiza 37 Un liberale senza equivoci di Cesare De Michelis 41 Pannunzio, un liberale visto da un liberale di Stefano De Luca 45 Liberali “alla Pannunzio” e presunti liberali di Pier Franco Quaglieni 49 Quattro lettere di Alberto Moravia a Mario Pannunzio di Loris Maria Marchetti Giolitti e l’età giolittiana cent’anni dopo (1903-2003) 55 Le radici famigliari e cavouresi di Giovanni Giolitti di Ettore Peyron 75 Giolitti e il Piemonte di Bruno Babando 91 Giolitti e i cattolici di Cosimo Ceccuti 99 Giolitti e i socialisti di Francesco Gozzano 113 Giolitti e i nazionalisti di Francesco Coppellotti 137 Giolitti e la questione meridionale di Luigi Compagna 143 Giolitti visto da Gobetti di Carlo Porrati 149 Giolitti, la guerra di Libia e la Grande Guerra di Oreste Bovio 159 Giolitti scrittore di Giovanni Ramella 171 Giovanni Giolitti di Alfredo Frassati 205 Ricordo di Giolitti di Filippo Burzio 213 La letteratura nell’età giolittiana di Giovanni Ramella Il giardino delle Muse 217 Conservazione e rinnovamento nell’”idealismo militante” di Giuseppe Prezzolini di Guglielmo Gallino 5 259 Giovanni Getto: la critica come formazione spirituale di Loris Maria Marchetti 269 La terrena stanza. La poesia pascoliana della terra, dell’a- more e della morte... di Filiberto Ferro 295 Una questione “metafisica” di Tiziana Conti 301 Il “Leonardo” cent’anni dopo di Giovanni Ramella 307 Internet e relazioni interpersonali di Luciano Peirone Archivi della Libertà 313 Le passioni di Tocqueville di Mario Pannunzio 341 Un illuminista “radicale” di Alberto Ronchey 343 C’era un’intransigenza personale prima di quella politica di Franco Libonati 345 Guida ineguagliabile di Niccolò Carandini 349 La presenza di Pannunzio di Arrigo Benedetti 351 Un’assenza di Ugo La Malfa 353 Ricordo di Pannunzio di Indro Montanelli 357 Mario Pannunzio di Vittorio Gorresio 361 Gli anni in più di Nina Ruffini 363 Ricordo di un amico di Eugenio Scalfari 367 Pannunzio l’antifascista liberale di Leo Valiani 371 L’esempio di Pannunzio di Domenico Bartoli 375 L’uomo che ci faceva scrivere di Elena Croce 377 Con Pannunzio è scomparsa una coscienza di Vincenzo Talarico 379 Un vuoto incolmabile 383 Pannunzio e i comunisti di Maurizio Ferrara 385 Ricordo di Marcello Soleri di Vittorio Badini Confalonieri Il Centro “Pannunzio” 391 L’elegante semplicità di chiamarsi Paolo Conte di Paolo Fossati 397 “Liberi dal ‘68” Da Pannunzio al Centro “Pannunzio” di Giancarlo Borri 409 2 giugno tricolore 411 A Quaglieni il Premio Salvemini 413 Giovanni Giolitti tra storia e caricatura di M. Grazia Imarisio e Diego Surace 6 PIER FRANCO QUAGLIENI RIFORMA DELLA SCUOLA: GLI EFFETTI NEGATIVI DI NOVITÀ DEVASTANTI Da un governo di centro-destra ci si sarebbe aspettati, per ciò che riguar- da la scuola, riforme volte a porre rimedio in primis alla politica Berlinguer-De Mauro e soprattutto a ripristinare nelle istituzioni educative una normalità di gestione che andasse oltre l’ondata che, dal ’68 in poi, per un intero venten- nio, ha travolto la scuola italiana. La destra aveva dalla sua la grande storia risorgimentale dei De Sanctis e la stessa riforma Gentile che, comunque venga valutata, ha rappresentato una stagione importante della scuola italiana. Certo, non ci si poteva aspettare la bacchetta magica, perché i guasti arre- cati alla scuola hanno lasciato incrostazioni ineliminabili in poco tempo, ma difficilmente chi ha votato per il centro-destra due anni fa poteva ipotizzare un operato così negativo, come invece ci si trova a dover constatare, se si esami- nano da vicino i problemi incancreniti della scuola italiana. Un anno fa è stata eliminata la commissione esterna dell’Esame di Stato: questa “riforma”, passa- ta attraverso la Finanziaria, ha contribuito a distruggere quel poco di serietà che era sopravvissuta alle precedenti riforme dell’esame. Il fatto che non ci siano più controlli da parte di Commissioni esterne sul lavoro di docenti e discenti è riuscito a determinare, se fosse ancora possibile, un ulteriore clima di pressappochismo facilistico all’interno delle istituzioni scolastiche. Gli stessi insegnanti giudicano il loro lavoro e valutano gli allievi che hanno scrutinato pochi giorni prima. Un esame di Stato, come prescrive la Costituzione, ha ben altre caratteristiche. Si è fatto dell’esame di maturità un esame di scuola media dell’obbligo. Sarebbe stato più logico ed onesto abolire, come proponeva Luigi Einaudi, il valore legale del titolo di studio perché, in queste condizioni, la scuola è stata ridotta ad un banale diplomificio senza verifiche di nessun tipo. Quasi non fosse bastato il colpo assestato lo scorso anno, recentemente il ministro Moratti ha varato dei provvedimenti altrettanto devastanti. L’abolizione del limite massimo di 25 allievi per classe porterà a conse- guenze dequalificanti del lavoro dei docenti, così l’imposizione a tutti i pro- 7 fessori (senza modificare preventivamente la struttura delle cattedre) dell’ora- rio “frontale” di 18 ore settimanali avrà come conseguenza la creazione di cat- tedre anomale per tutti gli insegnanti che dovranno completare l’orario su spezzoni creati artificialmente, spesso con discipline parallele alle vigenti clas- si di concorso. Si tratta di un risparmio effimero perché già tutti i docenti erano tenuti a completare l’orario di insegnamento con ore a “disposizione” della scuola per supplenze brevi. Peraltro, lo stesso ministro ha disposto che i docenti sostituibili con un supplente siano solo quelli assenti per più di 15 gior- ni. Tutto ciò creerà nella scuola un disservizio di notevoli proporzioni, perché, con l’innalzamento di tutti a 18 ore, vengono abolite le ore in cui i docenti erano tenuti a sostituire i colleghi temporaneamente assenti. La signora Moratti aveva promesso di sburocratizzare il lavoro dei docenti: mai come in questi ultimi tempi abbiamo assistito ad imposizioni burocratiche vessatorie che limi- tano la stessa libertà d’insegnamento. Dirigenti scolastici ottusi, con lo stile di un caporale, hanno avuto terreno fertile per imporre le loro scelte. Anche in questo caso si devono rimpiangere e i vecchi presidi spesso colti e capaci, coraggiosi e tolleranti. Per altri versi, la cosiddetta Riforma Moratti della scuola si rivela senz’ani- ma, priva cioè di un asse culturale che dia un senso alla riforma stessa. Gentile, con tutti i suoi limiti, aveva una certa idea di scuola e di società, la Moratti si riduce ad usare la lesina, dimenticando che Quintino Sella, il ministro di ferro della destra, mai avrebbe usato la scure contro la scuola, sentendola come un patrimonio nazionale inalienabile della nuova Italia nata dal Risorgimento. I liberali veri inorridiscono di fronte alla situazione creata da un incolto, malin- teso e selvaggio liberismo economico. Oltre che senz’anima, è una riforma che tende ad omologare alle leggi del mercato la scuola, quasi essa fosse un’azienda. La scuola è, o almeno dovreb- be essere, innanzi tutto custode del patrimonio culturale e morale di un popo- lo; nella sua funzione, unica ed insostituibile, non può essere apparentata ad una attività imprenditoriale, comunque sia. Essa è, o almeno dovrebbe essere, una grande risorsa nazionale, perché investire sui giovani è un’esigenza civile di primaria importanza. Si può e si deve risparmiare sui vari circenses, di cui invece abbiamo grande abbondanza, ma non si può affrontare il problema della scuola solo nella dimensione dell’ottuso risparmio. E’ una logica miope, sbagliata, ai limiti di una visione poco civile della società. I docenti si stanno ribellando, come sanno e possono, ad una situazione mortificante. Essi hanno oggi bisogno dell’appoggio, non soltanto a parole, di chi ritiene che la scuola non debba essere la cenerentola di turno. Dar loro sostegno è un dovere di tutti i democratici che sentono l’importanza della scuola di Stato come un servizio che la Repubblica dà ai suoi cittadini di domani, fornendo le condizioni di una formazione dignitosa ed adeguata a tutti “i capaci e i meritevoli”, come sancisce la nostra Carta Costituzionale. 8 WILLY BECK GIOVANNI AGNELLI E LE ARTI* Una ricerca sul rapporto fra Giovanni Agnelli e “le arti” (il plurale, come si vedrà, non è usato casualmente) è un lavoro ancora tutto da compiere: non mi risulta che esistano studi in proposito, né generali, né parziali, e rari sono gli accenni a questo tema nelle biografie e nelle interviste da lui rila- sciate. Enzo Biagi, ad esempio, ne Il signor Fiat del 1976 (ristampato nel 2003) cita solo incidentalmente Henry Moore, Alberto Giacometti, gli espressionisti tedeschi e Mario Schifano tra le predilezioni del suo colle- zionismo. Bisogna attendere l’inaugurazione della Pinacoteca del Lingotto nell’au- tunno 2002 e la pubblicazione del relativo catalogo per avere un testo di riferimento ed un punto di partenza. Mi riferisco in particolare a Il piacere dell’arte, lo scritto di Gianni Riotta che riporta il colloquio con l’Avvocato svoltosi di qua e di là dell’Atlantico nei mesi che precedettero l’evento; esso introduce quel volume ed è viatico alla visita dello “Scrigno” di Renzo Piano e delle opere in esso contenute. In questa sede non pretendo certo di svolgere compiutamente quella ricerca, ma ne individuerò le premesse ed una prima traccia generale. Il suo svolgimento dovrebbe intanto tenere conto di molti aspetti diver- si complementari fra loro.
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