UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN STORIA

Tesi di laurea in Storia dell’Italia contemporanea

IL SOCIALISMO DI SINISTRA E IL P.S.I.U.P. FRA ASPIRAZIONI, SFIDE E REALTÀ. LA STORIA DELLA FEDERAZIONE PROVINCIALE UDINESE TRA IL 1964 E 1972

Laureando: Relatore: Stefano Pol Prof. Gian Carlo Bertuzzi Correlatrice: Prof.ssa Annamaria Vinci

ANNO ACCADEMICO 2005 - 2006

..a Renato e Luciano..

2 IL SOCIALISMO DI SINISTRA FRA ASPIRAZIONI, SFIDE E REALTÀ. LA STORIA DELLA FEDERAZIONE PROVINCIALE UDINESE DEL P.S.I.U.P. TRA IL 1964 E 1972.

INTRODUZIONE...... p. 5

L’EVOLUZIONE DEL SOCIALISMO DI SINISTRA E I SUOI PROTAGONISTI 1. LELIO BASSO: LA FORMAZIONE DELLA SINISTRA SOCIALISTA DALLA LIBERAZIONE AL 1948……………………………………………………………p. 9 1.1. DAL MUP A BANDIERA ROSSA……………………………………….p. 11 1.2. IL RIENTRO NEL PSIUP……………………………………………….p. 12 1.3. IL PARTITO NUOVO DELLA CLASSE OPERAIA……………………….…p. 16 1.4. LA SCISSIONE DI PALAZZO BARBERINI………………………………..p. 19 1.5. LA SEGRETERIA BASSO……………………………………………….p. 22 1.6. LA SCONFITTA E LE ELEZIONI DEL’48…………………………………p. 26

2. RODOLFO MORANDI E L’EPOCA DEL FRONTISMO…………………………….p. 29 2.1. L’UNITÀ DI CLASSE NELL’AZIONE DI MASSA…………………………..p. 36 2.2. L’ORGANIZZAZIONE DEL PARTITO………………………………….…p. 40

3. IL LUNGO CAMMINO VERSO LA STANZA DEI BOTTONI………………………...p. 44 3.1. IL 1956, “IL GRANDE ANNO”…………………………………………...p. 45 3.2. VENEZIA 1957………………………………………………………...p. 48 3.3. RANIERO PANZIERI: DA MORANDI ALL’OPERAISMO…………………..p. 52

4. L’AUTONOMISMO SI AFFERMA A NAPOLI…………………………………..…p. 56 4.1. L’ASTENSIONE A FANFANI……………………………………………p. 57 4.2. TENSIONI PROGRAMMATICHE E TENSIONI INTERNE………………...…p. 60 4.3. UN CAMBIAMENTO DI PORTATA STORICA…………………………….p. 66

LA RICOSTITUZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO DI UNITA’ PROLETARIA DAL 1964 AL 1972 5. LA SCISSIONE E LA GENESI DEL NUOVO PARTITO………………..p. 68 5.1. LA NASCITA DEL P.S.I.U.P...... p. 72 5.2. IL PARTITO DI TRANSIZIONE………………………………………...…p. 74

6. L’ORGANIZZAZIONE……………………………………………………...p. 77 6.1. IL SINDACATO E I SINDACALISTI UNITARI……………………………...p. 80 6.2. LA DEMOCRAZIA INTERNA E IL PARTITO PLURALE…………………….p. 85 6.3. LA COMUNICAZIONE SOCIALPROLETARIA…………………………..…p. 87 6.4. I CONGRESSI: ROMA, 1965…………………………………………....p. 89 6.4.2. NAPOLI, 1968……………………………………………….p. 91 6.4.3. BOLOGNA, 1971…………………………………………….p. 93 6.5. ELEZIONI, PARLAMENTO E CAMPAGNE POLITICHE………………….…p. 94

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7. L’AUTOFINANZIAMENTO E LA “SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE”……………………………..p. 101 7.1. UN NUOVO INTERNAZIONALISMO PROLETARIO………………………p. 103 7.2. LA SVOLTA DELLA “PRIMAVERA DI PRAGA”………………………...p. 106

8. IL PROCESSO DI SCIOGLIMENTO……………………………….……p. 109 8.1. TRE STRADE PER UN PARTITO………………………………………..p. 110

LA STORIA DELLA FEDERAZIONE UDINE DEL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO DI UNITA’ PROLETARIA 9. IL CONTESTO ECONOMICO SOCIALE DEL FRIULI TRA GLI ANNI ’50 E PRIMI ANNI ’70………………………………………………………...p. 112 9.1. LA SINISTRA SOCIALISTA ARGINE DELLA SCISSIONE………………....p. 115 9.2. DAL 1964 AL 1965: DUE ANNI DI CONSOLIDAMENTO……………..….p. 117 9.3. IL 1965: L’ANNO DEI CONGRESSI………………………………….…p. 121 10. L’UNIFICAZIONE SOCIALISTA E GLI STUDENTI: DAL ’66 AL ’68………………………………………………………………...p. 125 10.1. IL MOVIMENTO STUDENTESCO SMUOVE LE ACQUE…………………p. 127 10.2. VERSO LE ELEZIONI DEL 1968……………………………………...p. 132

11. IL CONGRESSO DEL 1968 E IL RICAMBIO DEL GRUPPO DIRIGENTE………………………………………………....p. 135 11.1. L’ULTIMA ESTATE DEL PSIUP DI UDINE…………………………...p. 138 11.2. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE…………………………………….…p. 140

APPENDICI…………………………………………………………………....p. 141

BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………....p. 156

RINGRAZIAMENTI……………………………………………………….….p. 158

4 INTRODUZIONE

La scelta di intraprendere lo studio del socialismo di sinistra deriva innanzitutto dalla consapevolezza della particolarità di un tema che è stato finora poco affrontato dagli storici del movimento operaio e socialista italiano. Le principali attenzioni, com’è naturale che fosse, si sono sempre concentrate attorno al percorso intrapreso dal gruppo dirigente maggioritario, che ha guidato il PSI dalla sua fondazione, a Genova nel 1892, fino al suo scioglimento nel 1994. In questo secolo di vita si sono fuse molteplici esperienze e tradizioni che, per diverse generazioni, si sono tramandate come un bagaglio d’esperienze che cambia ed è aggiornato in continuazione. Quelle conoscenze, di cui il movimento socialista è protagonista, oltre ai dibattiti politici e teorici che a livello nazionale ed internazionale lo attraversano costantemente, ne arricchiscono la storia ma, indubbiamente, anche la complicano.

Come altre varianti interne, anche il socialismo di sinistra è stato sostanzialmente rimosso dal storia del Partito Socialista Italiano. La “rimozione socialista”1 ha interessato anche altre importanti formazioni e correnti attive tra i primi anni del Novecento e le due guerre mondiali, come ad esempio il Partito socialista riformista italiano, oppure il sindacalismo rivoluzionario, l’intransigentismo, il massimalismo e l’antistalinismo di sinistra, che sono state dimenticate nell’oblio della memoria di un partito, il quale ha privilegiato a lungo le contingenze del presente. A differenza della storiografia di ambito comunista, che ha affrontato nel dettaglio sia i fenomeni principali sia quelli secondari e minoritari della propria storia, quella socialista ha tralasciato la conoscenza organica di tutte quelle variabili, di destra e di sinistra, che hanno contribuito alla sua secolare e travagliata storia.

Ma il socialismo di sinistra è stato per un lungo periodo, almeno dalla ricostituzione del 1943 al congresso socialista di Milano del 1953, la politica maggioritaria che ha diretto l’organizzazione e orientato milioni di iscritti nei difficili anni del secondo dopoguerra. Per i protagonisti di quegli eventi si presenta l’opportunità della riunificazione socialista, intesa come il superamento della dicotomia riformismo/comunismo che aveva lacerato il partito negli anni Venti, favorendo l’ascesa del fascismo. Dopo la clandestinità e il fuoriuscitismo, una volta ricomposte le fila, e non senza difficoltà, i socialisti si trovano alle prese con gli stessi problemi di vent’anni prima. Ma l’esperienza resistenziale di massa a fianco dei comunisti, e il prestigio dell’URSS a livello internazionale, mantengono la collocazione del PSIUP all’interno del campo sovietico, portandolo alla rottura sia al suo interno, con il gruppo di Saragat nel 1947, sia con tutte le altre principali organizzazioni del socialismo occidentale, dopo l’espulsione dall’Internazionale Socialista.

Tutta la prima parte della mia ricerca si è concentrata in particolare sul dibattito politico, e sui suoi risvolti organizzativi, caratterizzanti il periodo della storia del PSI

1 F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione. Per una storia del PSIUP, in Viva il socialismo. Contributi sul socialismo di sinistra, Il Ponte, anno XLV, n.6, p. 186

5 dal 1943 al 1964, l’anno della scissione della Sinistra socialista che ricostituisce il PSIUP. Nonostante molta della storiografia politica oggi consideri prevalentemente gli aspetti organizzativi e associativi dei partiti di massa, rispetto alle scelte politiche ed ideologiche,2 l’aver ricostruito quel dibattito ventennale è risultato utile alla comprensione di quanto poi avverrà tra il 1964 e il 1972, l’anno dello scioglimento del PSIUP. Ciò è servito non solo per descrivere i passaggi ed i cambiamenti dei principali protagonisti, che sono gli stessi del 1943, ma soprattutto, per descrivere il contesto storico e politico all’interno del quale avvengono i fatti, che vanno dalla ricostruzione dopo la fine della seconda guerra mondiale, al boom economico degli anni Sessanta. Questo cambiamento si può leggere sia nelle analisi, sia nelle terminologie, che contraddistinguono i principali protagonisti che, a quasi vent’anni di distanza scrivono, dicono e fanno, quanto allora contestavano ai propri avversari. Nonostante questo contrasto apparente, credo che sia possibile spiegare, con adeguata chiarezza, i passaggi più controversi e problematici che si succedono nel tempo. Con il cambiamento del contesto internazionale, segnato dalla destalinizzazione e dall’avvio della contraddittoria politica della distensione, cambiano anche gli indirizzi e le scelte del PSI. Con un processo durato alcuni anni, che vede nel congresso di Venezia del 1957 il suo momento culminante, Nenni contribuisce alla fuoriuscita dall’epoca del frontismo del suo partito.

Questa eredità è raccolta da un’eterogenea composizione di tendenze, esperienze e singoli dirigenti, che formano la Sinistra socialista e che, da questo momento, lotta per almeno sei anni all’interno del PSI per non disperdere il filo rosso di Rodolfo Morandi. La maggioranza degli storici ha valutato questo schieramento come una tendenza all’arroccamento nostalgico, oppure una variante del movimento comunista che si appresta al ritorno presso la sua originale collocazione, liberando lo spazio per una politica veramente autonoma, e priva del “piombo nelle ali”. Un altro orientamento storiografico ha invece sostenuto che questo decennio non può essere identificato solo come un lungo inverno socialista, cui fa seguito la stagione autonomista, più feconda e dinamica, in quanto risulterebbe difficile la comprensione di un fenomeno di massa, il socialismo di sinistra appunto, che è stato legittimato anche all’interno della storia del movimento operaio.3

La ricerca della terza via,4 e la non rassegnazione a quella che è ritenuta l’integrazione nel sistema del PSI, porta la Sinistra socialista a rompere con il partito e a rifondarne un nuovo, ma con il nome di quello precedente. Anche in questo caso il peso dell’eredità e della tradizione ha un valore importante.

2 Vedi in P. MATTERA, Il partito inquieto. Organizzazione, passioni e politica dei socialisti italiani dalla Resistenza al miracolo economico, Carocci, Roma, 2004 3 vedi in S. MERLI, La politica unitaria tra antifascismo e guerra fredda, Il Ponte n.6 – giugno 1992 4 L. RAPONE, Discutendo sul socialismo di sinistra in Italia, in Storia e problemi contemporanei, n. 6, 1990, in S. MERLI, La politica unitaria tra antifascismo e guerra fredda, Il Ponte n.6, Vol. 2, giugno 1992, p. 251

6 Nella tesi mi soffermo su alcuni dei tratti peculiari del socialismo di sinistra che, nella variante operaista di Panzieri, non solo non si trasferisce in maniera organica dal PSI al nuovo PSIUP, bensì, tramite il suo fondatore e i suoi “allievi”, rompe definitivamente con le strutture organizzate per disperdersi come un fluido, che punta ad influenzare quei settori d’avanguardia del movimento studentesco e del movimento sindacale. Tramite altri percorsi, il socialismo di sinistra di matrice morandiana e leninista continua la sua esperienza anche nel PCI, misurandosi con una storia che ha molte similitudini, ma anche profonde differenze che ne faranno un’anomalia anche in quel partito. Per descrivere le dinamiche di questa nuova, ed allo stesso tempo tradizionale organizzazione, che fa a tutti gli effetti parte della tradizione del socialismo italiano, ho ritenuto utile un modello storiografico che permette di ampliare il raggio d’azione oltre la ricostruzione cronologica e politica degli avvenimenti.5 Ciò mi ha permesso di descrivere anche quegli aspetti organizzativi e sociali che guardano anche ad altre esperienze politiche, come quelle del movimento studentesco e sindacale degli anni Sessanta e Settanta.

I principali riferimenti alla storia del partito e dei suoi dirigenti provengono prevalentemente da un'unica fonte monografica6 e da alcuni brevi articoli presenti sulle riviste specializzate, insieme da altre pubblicazioni, anche giornalistiche, che hanno trattano l’argomento direttamente o indirettamente. I documenti originali che ho potuto reperire, provengono invece dal Fondo del PSIUP di Udine. Il tratto comune della memorialistica soffre anch’esso del problema della rimozione della memoria: per molti dei dirigenti o dei militanti infatti, la permanenza nel PSIUP è limitata a poche righe e a qualche breve accenno, se non a vere e proprie omissioni.7 E’ un problema generalizzato che coinvolge tutti, da coloro i quali confluiscono nel PCI, a coloro i quali continuano le proprie esperienze in altre organizzazioni extraparlamentari o nel PSI. Tutto questo tenderebbe a confermare quanti ritengono l’esperienza del PSIUP come una semplice anomalia del socialismo, il “Partito Scomparso In Un Pomeriggio”,8 come viene ironicamente ricordato dopo il rapido processo di scioglimento. Per questo sarebbe importante riuscire in futuro a continuare le analisi sia dei protagonisti, sia dei contesti e delle peculiarità che si mescolano durante quel periodo.

Nonostante queste difficoltà, la ricostruzione dell’esperienza organizzativa e politica del PSIUP che ho potuto fare punta alla descrizione di questa complessa struttura collettiva, che è dotata di una sua vita autonoma, scandita da tradizioni e modalità di funzionamento che provengono da un passato lontano, quello socialista, che si deve confrontare con un presente, quello degli anni Sessanta e del Sessantotto in particolare, che sconvolge tutte le prassi cui, molti dei protagonisti, sono abituati.

Tali contraddizioni si vedono in particolare lungo il corso del tempo che scandisce le vicende della federazione udinese del PSIUP, della quale ho consultato le carte del

5 Vedi in M. RIDOLFI, Il PSI e la nascita del partito di massa. 1892-1922, Roma-Bari, Laterza, 1992 6 Vedi in S. MINIATI, PSIUP 1964 – 1972. Vita e morte di un partito, Roma, Edimez, 1981 7 S. DALMASSO, Caro Giovana, non era tutto così negativo, in Il presente e la storia, n. 47 Giugno 1995, p. 207 8 G. GALLI, Piombo rosso, Baldini Castoldi e Dalai editore, cit., p. 30

7 suo archivio, conservate presso l’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, con sede a Udine. Ho potuto indagare questo piccolo e debole centro di partecipazione politica, che si insedia su un territorio difficile, nel quale è messo alla prova sia nella sua dimensione di base, sia nelle sue articolazioni sul territorio, oltre che nelle modalità di funzionamento; altrettanto interessante è stata la possibilità di studiare i cambiamenti che, in queste prassi consolidate da decenni di tradizione, introducono i movimenti di contestazione quando vi irrompono con tutta la loro carica di aspettative e radicalità. Da questo punto di vista devo ringraziare Renzo Marinig, le cui informazioni e testimonianze dirette mi hanno permesso sia di sciogliere i dubbi su alcuni degli aspetti specifici della vita del partito, sia di comprendere a pieno quelle dinamiche peculiari di cui, finora, avevo potuto solo leggere in alcuni spunti biografici.

8 L’EVOLUZIONE DEL SOCIALISMO DI SINISTRA E I SUOI PROTAGONISTI 1. LELIO BASSO E LA FORMAZIONE DELLA SINISTRA SOCIALISTA DALLA LIBERAZIONE AL 1948 “Io non credo all’eterna affermazione che il Partito socialista abbia una sua specifica funzione storica da svolgere, non lo credo nel senso che il Partito socialista isolato abbia una sua funzione che si proietti indefinitamente nel futuro, perché non è possibile che una sola classe per raggiungere le sue finalità di classe, la conquista del potere, debba avere due partiti. Il Partito socialista, come del resto il Partito comunista, isolati possono avere tutt’al più una loro funzione temporanea e contingente”.1

Dal punto di vista teorico e politico uno dei principali esponenti della sinistra italiana del secondo dopoguerra del socialismo di sinistra è Lelio Basso. Nato a Varazze, in Liguria, il giorno di natale del 1903, ma milanese d’adozione e di formazione, studioso di Lenin, Trotsky e , lavora alla formazione di un partito rivoluzionario della classe operaia, alieno dallo stalinismo e, che possa combattere, assieme al PCI, in termini di quadri ed entusiasmo, per l’edificazione del socialismo: una sorta di Saragat di sinistra degli anni ’30.2 Già dall’adesione al Partito socialista negli anni ‘20 vi è la convinzione, in contrasto con la destra riformista e con il PCdI, della superiorità politica socialista nel movimento operaio sia pure a determinate condizioni, come la capacità di difendere e affermare le proprie idee con coraggio dopo la sconfitta e l’avvento del fascismo. Una delle caratteristiche principali della sua battaglia politica, è la ricerca ostinata dell’unità con i comunisti a partire dalle organizzazioni sindacali, senza che questo comportasse la subalternità nei loro confronti.3 Durante il periodo della lotta clandestina nelle file del MUP (Movimento di Unità Proletaria per la repubblica socialista) si conferma la sua volontà di completare quel processo di rinnovamento ideologico del pensiero socialista che sin dalla metà degli anni ’20 lo vede impegnato in prima fila all’interno del Paese. A differenza di Nenni, Saragat e dei fratelli Rosselli, esuli all’estero, dal clandestino e controverso Centro interno Basso sente l’obbligo di dare risposte concrete sul piano dell’azione politica che partono da una formazione teorica basata sui classici del marxismo e sulle novità elaborate da Rodolfo Morandi. La formazione del MUP avviene nella convinzione che “i vecchi partiti sono morti, ben morti” e che “l’esigenza unitaria delle masse può essere soddisfatta solo da un partito nuovo che superi le vecchie divisioni e non ripeta le vecchie forme mentali”,4 ma nonostante le molte riserve, nell’agosto del ’43 aderisce col suo movimento al Partito socialista anche per non disperdere il molto lavoro fatto insieme a tanti militanti di formazione socialista che aveva organizzato, benché consideri il PCI il principale partito antifascista, con maggior consenso, prestigio e con le migliori forze per una “piattaforma di unificazione delle forze proletarie”.5

1 L. BASSO, Editoriale, cit. in n. 1, 30 gennaio 1946, in S. MERLI, Il “partito nuovo” di Lelio Basso (1945-1946), Marsilio editori, 1981, p. 33 2 Vedi in G. GALLI, Storia del socialismo italiano, Laterza, Bari 1980, p. 189 3 Vedi S. MERLI, Il “partito nuovo”, p. 5 4 L. BASSO, Unità proletaria, in “Avanti!”, Giornale del MUP, 1 agosto 1943, in Ivi, p. 15 5 LEBAS (L. BASSO), Rifare il Partito, in Quarto Stato, 30 gennaio 1946, in Ivi, p. 16

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Uno degli obbiettivi primari per il suo movimento consiste nel il superamento dell’antinomia storica socialdemocrazia/comunismo per la costruzione del “partito unico della classe operaia”, inteso non come fusione dei due partiti, il PSI e il PCI, ma come novità che vada oltre le diversità strategiche e di metodo delle passate esperienze della II e III Internazionale per costruire un “organizzazione rivoluzionaria imperniata sulla classe operaia”. Questa parola d’ordine entra, in seguito alle pressioni del MUP, anche nella dichiarazione politica di rifondazione del Partito socialista e definisce per un lungo periodo l’immagine culturale, ideologica e teorica di un organizzazione appena uscita dalla clandestinità, dopo vent’anni di fascismo, che si forma riunendo le varie fazioni ognuna delle quali è portatrice delle proprie specificità e tradizioni politiche. La predominanza ideologica del MUP all’interno del PSI è dovuta, per il momento, alla forza organizzativa di cui il gruppo può disporre in Lombardia e sulla quale anche Nenni può contare, tanto da poter permettere la stampa clandestina dell’edizione milanese dell’“Avanti!” già a partire dall’agosto del 1943.

10 1.1. DAL MUP A “BANDIERA ROSSA”. Con l’8 settembre e la nascita del CLN a Roma e Milano (CLN AI) è la struttura socialista romana a rafforzarsi, al punto tale da spostare gli equilibri a suo favore, intaccando l’influenza egemonica dei milanesi. La nuova linea ciellenista non convince Basso ed il suo gruppo che infatti escono polemicamente dalle fila del partito partecipando al Fronte Proletario rivoluzionario insieme al gruppo romano anti-CLN (eterogeneamente formato da repubblicani, socialisti, comunisti di base e dal Movimento cristiano sociale) raccolto attorno alla rivista “Bandiera Rossa”.6 La critica è innanzitutto alla struttura paritetica dei CLN che comprende anche i partiti borghesi, mentre è necessario che la rivoluzione proletaria sia combattuta dal proletariato italiano contro il nazismo e i suoi collaboratori fascisti che vengono identificati nella borghesia nazionale. Altrettanto critico egli rimane sia verso la così detta bomba Ercoli, cioè la svolta di Salerno voluta da Togliatti al rientro da Mosca, che perso l’atteggiamento “impotente”7 di Nenni, a metà strada fra il PCI e la sinistra estrema come semplifica il titolo dell’ “Avanti!” del settembre 1944: “Né Quirinale, né Aventino”. La sua posizione polemica non è priva di conseguenze perché nel PCI stalinizzato c’è anche chi, come Pietro Secchia, lo attacca direttamente, utilizzando tutto il livore minaccioso delle campagne antitrotskiste, nel duro ed esplicito articolo “Il maschera della Gestapo” e facendo architettare a qualche zelante militante il tentato omicidio di Basso che poi fallisce.8 Pur essendoci tutte le condizioni per fare del PCI il collettore delle forze rivoluzionarie, ciò non può essere praticabile – secondo Basso - in quanto il partito è privo di una reale democrazia interna, dato che al centralismo democratico leninista è stato col tempo sostituito un centralismo burocratico stalinista che comporta un automatico adeguamento ai vertici di tutto il corpo militante che subisce, senza apparenti reazioni, come egli afferma, il cambio di linea politica di pochi ed incontrollabili dirigenti manovrati e condizionati da Mosca. E’ quindi difficilmente praticabile la fusione in esso di tutte le forze della sinistra, anche minoritaria, che renderebbero il PCI più dinamico ed aperto anche ad un indirizzo politico che non fosse appiattito sulle direttive del COMINTERN.

6 Vedi in F. TADDEI, Il socialismo italiano nel dopoguerra. Correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947), Franco Angeli, p. 54 7 Ivi, p. 70 8 S. MERLI, Il “partito nuovo”, cit., nota p. 18

11 1.2. IL RIENTRO NEL PSIUP Nonostante il duro giudizio di “collaborazionismo” 9 verso la svolta di Salerno la sua esperienza nei due gruppi termina nel giugno del ’44 durante il primo gabinetto Bonomi (con al proprio interno anche ministri socialisti) che determina una prima e netta divaricazione interna al partito socialista tra i quadri del nord, sempre più orientati verso la strada “rivoluzionaria”, e quelli del sud, più disorganizzati e moderati (è infatti prevalente la presenza di ex socialisti riformisti) al traino dei comunisti, riproponendo l’antico e mai sopito conflitto fra l’anima riformista e quella rivoluzionario/massimalista del socialismo italiano. Contro queste tendenze interne, giudicate subalterne sia allo stalinismo che al riformismo (anche a quello democristiano dagli anni cinquanta in poi, in polemica sia con Morandi che Nenni), Basso caratterizzerà la sua battaglia politica e culturale elaborando numerose teorie e tesi all’interno delle organizzazioni di classe.10 La rinascita del PSIUP avviene con tanto spontaneo vigore da permettere l’inserimento in posizioni dirigenti la nuova leva proveniente dalla Resistenza; essa è a tal punto sorprendente da stupire anche chi, come Nenni, dalla fine degli anni ’30 aveva sostenuto una linea a tal punto unitaria da venir emarginato in quanto, di fatto, apertamente fusionisti.11

È Pertini, dopo la decapitazione della dirigenza in Alta Italia nel marzo del ‘44, a garantire a Basso gli spazi politici ed organizzativi utili a farlo rientrare nelle file socialiste: cooptato nell’esecutivo del Partito al nord, poi messo a capo dell’organizzazione in Lombardia e infine nominato capo socialista per l’Alta Italia contribuirà alla ripresa del PSIUP fino alla Liberazione. Nonostante le accuse di subalternità e riformismo rivolte alla direzione del partito a Roma, Basso pensa di poter imprimere ai socialisti una sterzata a sinistra per aprirsi uno spazio tra le masse rivoluzionarie e le minoranze dissidenti (in particolare quelle presenti nel PCI). Infatti il Partito Comunista rimane per lui la forza decisiva per la rifondazione del movimento operaio italiano, qualora però sai possibile innovarlo; per tale sfida a sinistra gli strumenti che Basso intende utilizzare nel PSIUP, che dirige, sono l’azione politica e quella ideologica attraverso un’interpretazione del leninismo e dell’eredità dell’ottobre sovietico. Dal suo punto di vista la natura del regime staliniano non è in discussione ma egli critica solo la pretesa di subordinare ai propri interessi diplomatici le politiche dei partiti comunisti occidentali. L’Urss rimane il “baluardo del proletariato internazionale ed il paese del socialismo” e c’è un filo rosso ininterrotto tra Lenin ed i suoi figli in lotta contro l’invasore hitleriano. Le limitate polemiche ideologiche sono compensate da altrettante critiche nei confronti delle correnti trotskiste. Il PSIUP rimane secondo lui la scelta migliore e naturale che può garantire, grazie ad un regime interno più democratico, quella libertà d’opinione e d’azione indispensabile per il progetto del Partito unico, rinnovato grazie all’apporto dell’esperienza e dei quadri provenienti dal MUP e da “Bandiera Rossa”. Inoltre la sensibilità verso i problemi della vita nazionale e il legame più stretto e cosciente tra lotta antifascista e rivoluzione socialista12 comporta quella libertà di manovra che

9 Ivi, cit., p. 19 10 Ivi, p. 3 11 Vedi in S. MERLI, La politica unitaria, da Il Ponte n.6, Giugno 1992, Vallecchi, Firenze, p. 252 12 Vedi in S. MERLI, Il “partito nuovo”, p. 50

12 permette al PSIUP di essere all’opposizione nel secondo gabinetto Bonomi (novembre ’44 - giugno ’45), sostenuto invece dai comunisti, in ottemperanza agli equilibri internazionali, caratterizzando la scelta con il famoso slogan “Tutto il potere ai CLN”.13 Già dal primo Consiglio nazionale del partito dopo la Liberazione nel luglio del 1945 a Roma, ha le caratteristiche di un congresso anche se non potrà dichiararsi tale per ovvi motivi organizzativi, il dibattito si focalizza sui rapporti col PCI, sul partito unico della classe operaia e sul ruolo del Partito socialista in quel contesto. In questo momento il PSIUP è visto, tra le forze della sinistra, come l’organizzazione più giovane e, contemporaneamente, più legata al passato in quanto rifondata dai giovani della Resistenza insieme ai vecchi dirigenti prefascisti. Le differenze emergono anche dal punto di vista geografico tra il centro-nord rinnovato con i quadri provenienti dalla guerra di resistenza e il sud, da dove provengono molti dei militanti della tradizione riformista. La caratterizzazione al dibattito viene data dall’intervento di Saragat, che si oppone all’ipotesi fusionista della maggioranza, in quanto foriera di una subalternità e dipendenza del proletariato italiano nei confronti di uno stato vincitore, cioè l’URSS. In tale polemica è supportato da esponenti di sinistra come Bonfantini e che contribuiscono a dare alla mozione antifusionista un peso pari a 156.063 voti rispetto a quella di maggioranza, firmata da Pertini, Nenni, Cacciatore, Morandi, Basso, Gaeta, Grisolia e altri, forte di 339.433 voti. All’interno della maggioranza emergono differenze significative sui tempi e sulla forma che dovrebbe avere il progetto del partito unico. Per Pertini il modello deve essere quello laburista con spazi per le minoranze, mentre Morandi e Nenni restringono il dibattito all’interno del patto d’unità d’azione per marciare insieme al PCI e ricondurre il socialismo “alla nozione di una politica di classe di cui ha perso l’abitudine”.14 Basso è il principale artefice del fusionismo al Consiglio nazionale, in continuità con il significato del nome di un partito per il quale l’Unità Proletaria era la prospettiva da cui partire per la costruzione del Partito unico e mette al centro del dibattito i punti di convergenza con i comunisti. Per Merli emerge la concezione di Basso sulla natura meramente transitoria del Partito socialista verso una nuova organizzazione ad impianto comunista. Solo dopo la sconfitta elettorale delle sinistre nel ’48, le posizioni cambieranno. 15 Nel luglio del ’45 Basso punta ad affrettare il processo di fusione tra le due organizzazioni per completare la formazione del Partito unico ed unificare la classe lavoratrice. Alla fine della riunione vengono eletti i vertici del Partito, con Nenni segretario generale, e tre vice-segretari, e due ex MUP, Lelio Basso, - il principale nemico di Pertini secondo Nenni16 -, e Luigi Cacciatore.

Nel ricco dibattito socialista le articolazioni delle posizioni si dipanano attorno a questioni sempre più dirimenti. E’ il caso dell’Assemblea Costituente, uno dei cavalli di battaglia di Nenni che, infatti, dà subito a questo istituto una valenza di significativo strumento di riforma della società, mentre sia per Morandi che per

13 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 27 14 Vedi in P. NENNI, Tempo di guerra fredda, cit. p. 135 15 Vedi in S. MERLI, Il “partito nuovo”, p. 12 16 Vedi in F. TADDEI, Il socialismo italiano nel dopoguerra, p. 233

13 Basso tutto ciò significa solo “astrattezza parlamentaristica”;17 l’ottica principale, a loro dire, deve rimanere lo sviluppo di organismi dal basso che democratizzino le masse dopo un ventennio di fascismo e che permettano al PSIUP di radicarsi nella classe. La linea fusionista dura solo alcuni mesi, perché bloccata dalle decisioni prese dal Comitato centrale dell’ottobre ’45 e del gennaio ’46 che portano alla spaccatura nella maggioranza, con Nenni e Morandi che frenano per evitare ulteriori tensioni interne. Basso e Cacciatore si sono tutelati grazie alla loro elezione a vicesegretari, ma sono costretti a venire allo scoperto dalle dimissioni di Pertini.18 Nonostante il sostegno dal PCI che, su “L’Unità” del 23 dicembre 1946 - in contemporanea alle dimissioni di Pertini - pubblica l’articolo di Luigi Longo “Per un partito unico della classe operaia”, la proposta non avanza ulteriormente in seguito allo scetticismo con cui è accolta dal gruppo dirigente togliattiano, e per ulteriori contrasti in seno al gruppo dirigente socialista.19 Basso, deluso dagli sviluppi della situazione, decide di dedicarsi alla propria corrente e fonda la rivista “Quarto Stato”. Pur portando alla luce il dissenso e rompendo l’apparente unità, Basso non si pone al di fuori del gruppo dirigente ma vuole isolare i fusionisti più tiepidi per ergersi a principale bandiera unitaria.

Altri problemi politici cominciano ad affacciarsi all’orizzonte dopo il fallimento della conferenza di Londra dell’ottobre del 1945 quando si fa più chiara la futura divisione in blocchi del mondo. Anche per il PSIUP “il partito più libero dalle sudditanze internazionali dei paesi vincitori”20 si profila la necessità di scegliere, ma tutto ciò sarà foriero di non poche contraddizioni e lacerazioni. Nenni è propenso al mantenimento del partito al di fuori e al di sopra delle diatribe e spaccature internazionali anche se la terza forza esistente, l’internazionale socialista in via di ricostruzione, avrebbe dovuto espungere i partiti comunisti attuando comunque una scelta di blocco evidente che per ora si tende a negare. Ci pensa la destra saragattiana a mettere in luce le differenziazioni interne costringendo tutte le correnti ad esprimere la propria posizione nei confronti del rapporto unitario con il PCI che sottintende anche una scelta di collocazione politica internazionale. Le manovre nenniane per ora riescono a dribblare gli ostacoli e a dare del PSIUP un’immagine tutto sommato unitaria, anche se ormai ufficialmente si ricostituiscono tutte le principali correnti interne, da quella riformista di “” (dicembre ’45) di Mondolfo vicina a Saragat, a quella bassiana di “Quarto stato”, alla sinistra della FGS con “Rivoluzione socialista” (organo ufficiale della federazione giovanile) che poi aderirà quasi interamente alla corrente di Iniziativa socialista.

A rimettere in moto queste dinamiche sono le differenziazioni politiche che emergono attorno ad altrettanti nodi che plasmano la fisionomia politica del partito socialista dopo la sua ricostituzione. E’ il caso del dibattito attorno alla questione dei ceti medi proletarizzati e della capacità di coinvolgerli insieme alla classe operaia. Lombardi, nel luglio del ’45,

17 Ivi, cit., pag. 162 18 Vedi in S. MERLI, Il “partito nuovo”, p. 30 19 Ivi, p. 74 20 F. TADDEI, Il socialismo italiano nel dopoguerra, cit., p. 168

14 individua nel passaggio dalla politica del massimalismo di frattura (riproposto da “Iniziativa socialista”) ad una linea di coinvolgimento più ampia intorno al patto d’unità del “Fronte democratico” con il PCI funzionale ad un governo tripartito insieme alla DC, quella maturità politica atta a portare avanti questo processo aggregativo. L’intervento di Basso, espresso nel primo numero di “Quarto stato” del gennaio 1946, si impernia sulla sottolineatura della continuità della linea dell’unità della classe lavoratrice attorno ai partiti operai e alla DC. Il ruolo del proletariato rimarrà di guida per i ceti medi, data la loro instabilità come classe; in questo senso Basso riprende gli spunti analitici di Trotsky e della terza internazionale che, a partire da questo spunto, dimostravano il fallimento della borghesia nazionale come classe sociale progressiva e di sviluppo e, di conseguenza, del riformismo come ideologia (che invece assegna un ruolo di direzione importante a questa classe sociale), in polemica anche con i giovani di Iniziativa socialista sostenitori della minoranza d’avanguardia di tipo leninista. Anche senza la funzione specifica dei socialisti verso i ceti medi, non cessa secondo Basso la loro funzione storica che rimane quella di strumento di unificazione del proletariato. Silone risponde invece affermando l’importanza politica del ceto medio che egli non considera una semplice classe alleata momentaneamente ed in modo tattico e subalterno al proletariato.

Ciò dimostra anche la difficoltà di analisi del gruppo dirigente socialista, da Morandi a Nenni, nei confronti del processo politico in atto che vede invece il partito cattolico in prima linea nella restaurazione degli equilibri sociali in funzione di contenimento rispetto alle sinistre, allineandosi anche a livello interno secondo assetti da futura cortina di ferro.

15 1.3. IL “PARTITO NUOVO DELLA CLASSE OPERAIA” Il partito è nel frattempo affollato da oltre settecentomila iscritti, senza un adeguato filtro e corrispondenza nei gruppi dirigenti, dove mancano le regole fondamentali di gestione e organizzazione che vengono lasciate alle libere interpretazioni delle federazioni locali o alle correnti e riviste, ognuna con proprie idee e interpretazioni spesso opposte e contrastanti. Per trovare una soluzione a questo problema si procede alla stesura dello Statuto che vedrà in prima linea lo stesso Basso con un progetto alternativo a quello di Faravelli, più vicino al vecchio modello riformista anteguerra. In questo occasione Basso sprigiona tutta la sua creatività per far emergere la sua idea sulla funzione del partito nuovo, un partito che sia in grado cioè di “rinnovare tutto quanto l’apparato dello Stato, di formare nuovi quadri per la socializzazione, di far vivere la democrazia sui luoghi di lavoro, di plasmare, in una parola, una nuova classe dirigente”21. Non più dunque solo un opposizione parlamentare, ma un grande partito nazionale di governo in grado di rinnovare tutto l’apparato dello Stato grazie alla nuova classe dirigente rivoluzionaria. La battaglia interna per il partito nuovo è condotta per costruire un’organizzazione forte, e quindi autonoma, in particolare per contrastare la “vecchia mentalità del 1926”22 che riacquista nuova forza nel partito. Lo scontro diventa inevitabile soprattutto per chi, come Lucio Luzzato, Giusto Tolloy, Giacinto Cardoni e altri giovani provenienti dal MUP e dalla Resistenza, aveva accettato la militanza socialista come traguardo intermedio per preparare l’unità proletaria e definiva con sarcasmo i vecchi capi del socialismo come dei naftalinai rimasti fermi alla contrapposizione politica a sinistra degli anni ’20.23 Per procedere in questo senso è fondamentale il legame ed il radicamento nella classe operaia che necessita di un partito ideologicamente compatto ed omogeneo ed organizzato in modo capillare ed articolato. Quindi la funzione del partito rimane essenzialmente pedagogica sia nei confronti dei nuovi militanti che nei vecchi partiti di quadri e di classe. Gli obbiettivi di maggiore omogeneità politico/organizzativa riducono inevitabilmente lo spazio di critica per le minoranze lasciando ad un ristretto gruppo di funzionari, stabili nel tempo, il potere decisionale. La bolscevizzazione del PSIUP, che Basso vorrebbe, è utile all’avvicinamento organizzativo con il PCI, per creare l’unità d’intenti, metodi e di spiriti funzionale alla fusione; a tal fine si batte e ottiene l’annullamento delle deliberazioni della FGS che era uscita dal Fronte della Gioventù. Ciò comporta l’introduzione del metodo della cooptazione per la scelta dei quadri (metodo che però rende burocratica la natura del gruppo dirigente e la perpetua nel tempo), e l’istituzionalizzazione della scuola di partito per la trasmissione dell’ortodossia marxista-leninista nella formazione dei quadri medi e intermedi che sono strumento fondamentale per orientare e disciplinare le masse; quando nel novembre ’45 tali scuole verranno istituite dalla Direzione, affidandole a Basso stesso, esse saranno seppellite sotto le macerie della lotta di tendenza che imperversava nel partito e che vedeva con

21 L. BASSO, Rifare il partito, Quarto Stato, a.I, n.1, 30 gennaio 1946, in F. TADDEI, Il socialismo italiano nel dopoguerra, Cit., p. 215 22 Vedi in S. MERLI, Il “partito nuovo”, p. 43 23 Ivi, p. 51

16 sospetto la possibilità di istituzionalizzare una struttura formativa sul modello comunista.24 Alla base dell’organizzazione ci dovrebbero essere comitati elettivi di delegati (di fabbrica o di sezione) con il compito di seguire ed interpretare la linea della maggioranza. Faravelli invece contrappone uno struttura più assemblearista dove maggiore ruolo decisionale è attribuito all’iscritto e meno al funzionario. Riprendendo il tema resistenziale dei CLN, che Basso vuole estendere alla fabbrica, si sviluppa la polemica sui NAS (nuclei aziendali socialisti), strumento decisivo per radicare il partito nella classe operaia. Utilizzati proficuamente in Lombardia durante l’occupazione nazista queste strutture, dal livello politico autonomo simile alle cellule comuniste, avevano ottenuto un buon risultato in alcune città lombarde controllate dai bassiani, rispetto al tracollo complessivo dei socialisti nelle elezioni delle Commissioni interne della FIOM nell’ottobre del ‘45. Questi organismi erano il cuore della bolscevizzazione del partito che avrebbe dovuto portarlo al di fuori della tradizione socialista classica (considerata negativamente) per farne un Partito comunista con quelle caratteristiche teoriche e politiche nuove che si proponeva da tempo.

Per Basso è essenziale un partito centralizzato di quadri, cioè funzionari ancorati alla classe operaia, in grado di far marciare tutta la struttura in modo efficiente e rapido sia verso l’esterno sia all’interno, mentre ai riformisti serviva un partito che garantisse al massimo la partecipazione interclassista. Le critiche alla formulazione proposta dai sostenitori di “Quarto Stato” sono di “Ducismo”, di “schema autoritario sul modello Parrocchia-Cellula-Fascio”, scomodando come riferimento ideologico la libertaria Rosa Luxemburg contro lo “stalinista” Basso.25 Quello che i critici volevano impedire era la reintroduzione di fatto del centralismo democratico tramite uno statuto “tendenzialmente autoritario, che sente l’esigenza della democrazia, ma vorrebbe organizzare il partito sul modello di una democrazia accentrata”.26 Entrambe le formulazioni risentono di influenze staliniste e socialdemocratiche ma saranno conciliate in una terza proposta, che verrà formalizzata dal gruppo dirigente solo dopo la scissione del 1947.

Il congresso di Firenze (11-16 aprile 1946) è il primo appuntamento congressuale socialista del dopoguerra e rappresenta tutta la frammentazione interna del partito; si parte con otto mozioni di base che si ridurranno a quattro in seguito a diversi accorpamenti tattico-politici.27

A quest’appuntamento la corrente bassiana, che per prima si era esposta presentando una mozione già dal gennaio sulla rivista e a febbraio in Direzione, arrivava cercando di smarcarsi dall’etichetta di fusionismo, rimasta solo al gruppo di Lizzadri, “Compiti

24 Ivi, p. 54 25 Ivi, p. 66 26 M. BONFANTINI, Rifare il Partito. Il problema dello Statuto, in Iniziativa socialista, 31 gennaio 1946, in Ivi, cit, p. 69 27 Le mozioni sono: quella così detta “genovese”, che ottiene l’1,9% dei voti; quella di “Critica sociale”, con l’11,4%; quella della sinistra denominata “di Base” sostenuta da Nenni, Morandi e Basso, con il 46,1% e quella “Unificata” del gruppo centrista composto da Pertini, Silone, FIAT Fonderie “Ghisa” e “Iniziativa socialista” con il 40,6%, in P. MATTERA, Il partito inquieto, Carocci, Roma, 2004, p. 101

17 nuovi”, che sposava la proposta di Longo di Federazione tra i due partiti ed era ancora più marcatamente filo-comunista e quindi difficilmente accettabile dal corpo del PSIUP. Anche grazie a Cacciatore, la mozione di “Quarto Stato” si avvicina alle posizioni di Nenni e Morandi, cercando di coagulare la Sinistra del partito attorno ad un’analisi tipicamente nenniana della situazione nazionale e con un programma basato sulla transizione al socialismo nella democrazia attorno al partito unitario di tutte le forze della classe lavoratrice. Sul campo internazionale questa mozione non segue il PCI e si dichiara contraria a qualsiasi egemonia di blocchi o di sfere d’influenza, ma si oppone alla ricostituzione dell’internazionale socialista voluta dagli altri raggruppamenti. E’ un documento che si presenta ai congressi di base chiuso verso la destra del partito ma aperto verso le componenti di centro-sinistra; inoltre presentandosi autonomamente si propone come soggetto per una futura maggioranza.28

Al congresso lo stesso Basso, conscio dell’asprezza di un percorso congressuale polarizzato e senza esclusione di colpi, auspica un ruolo di Nenni come arbitro del partito, riservandosi il compito di custode dell’ortodossia marxista-leninista contrapposta al revisionismo di Saragat. Durante lo svolgimento dei lavori emerge uno schieramento in cui Pertini è l’ago della bilancia, che rischia di spostarsi verso la destra dopo il bel discorso pronunciato da Saragat. Basso, nel tentativo di attrarre la platea dalla sua parte, pronuncia un intervento antitetico che, nel clima surriscaldato somatizza a tal punto la tensione, sua e della platea, da causargli un attacco cardiaco quando scende dal palco. Il discorso si caratterizza per modi espressivi e concezioni della politica unitaria che pochi anni dopo saranno utilizzati da Morandi e definiti la summa dello stalinismo nel PSI, ma in questo momento i ruoli tra i due sono invertiti.

Il blocco delle minoranze, formatosi anche grazie alle posizioni espresse da Basso, s’impone, seppur di poco, sulla mozione di maggioranza relativa; nell’imminenza delle elezioni e del referendum non può che proporre un compromesso unitario: nomina una segreteria debole assegnandola ad una figura di secondo piano e sconosciuta al partito come (neppure presente al congresso perché in viaggio in America) e con una Direzione paritetica di 7 membri alla Sinistra e 7 ai gruppi autonomisti. Questa scelta indica lo stallo fra le correnti organizzate, ma di fatto toglie la segreteria alla sinistra introducendo una diarchia di poteri con la nomina di a presidente del partito29. Il risultato di questo congresso è un partito ancora lacerato sul fusionismo, sul governo tripartito e sull’organizzazione interna; per Basso quest’appuntamento è stato solo una tregua in vista della prossima scadenza, che dovrà concludere in qualche modo la lotta tra le tendenze classiste e quelle piccolo borghesi. Chi esce sconfitto da questa assise è la tendenza di centro, che lavorava per trattenere anche la destra scissionista. Morandi, fuori dalla segreteria, si illude che il congresso abbia evitato la tendenza centrifuga recuperando un nuovo spirito unitario a partire da una rinnovata classificazione delle forze interne che ponga il PSIUP al centro dello schieramento politico.30 Gli eventi successivi dimostreranno il contrario.

28 Ivi, p. 79 29 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 66 30 Vedi in S. MERLI, Il “partito nuovo”, p. 93

18 1.4. LA SCISSIONE DI PALAZZO BARBERINI “Nel PSIUP e nella FGS tutto si mescola, dal marxismo di Ugo Mondolfo e Lelio Basso, dei trotskisti che vogliono un comunismo senza Stalin, delle teorizzazioni della politica unitaria di Morandi e delle esperienze politiche e storiche che Pietro Nenni si porta alle spalle.”31

Tra l’estate e l’autunno del 1946 le divaricazioni interne al partito socialista rispecchiano la crisi del tripartito a livello nazionale. Mentre Rodolfo Morandi, figura di primo piano nel governo, subisce una momentanea eclissi, gli attacchi della destra del partito ai fusionisti aumentano, approfondendo di conseguenza i rapporti fra la componente di “Quarto stato” e il partito di Togliatti. In questo scontro tra Basso e Saragat, Nenni si pone l’obbiettivo di sconfiggere l’opzione centrista, mentre vent’anni dopo sarà proprio lui al centro dello scenario di un governo con i socialisti senza i comunisti. Ma nel ’46, nonostante le tante differenze ideologiche, tra i due dirigenti c’è un’oggettiva convergenza politica determinata dall’obbiettivo di una ricomposizione unitaria del partito. Le differenze sono evidenti qualora si vadano a vedere le motivazioni espresse in relazione al rinnovo del patto di unità d’azione che per Nenni è la dimostrazione dell’impossibilità per la DC di governare senza i due partiti di massa che non sono disposti a dividersi, mentre per Basso è la coincidenza fra schieramento di classe e dei partiti che la rappresentano, cioè la differenza fra un’ottica di alternativa di governo e quella del partito che si prepara alla rivoluzione.32 Anche nella destra socialista le differenze evidenti erano note, come quella fra il direttore di “Critica sociale” Mondolfo, più vicino a Nenni, che a Saragat, ormai apertamente ostile ad un governo socialcomunista, mentre la sinistra aggregata in “Iniziativa socialista” era più in sintonia con lo slogan bassiano “dal governo, al potere” espresso dalla maggioranza socialista. Tutto questo dissenso, di destra e di sinistra, che circolava nel partito era tenuto assieme dalla figura di Sandro Pertini che aveva raccolto il 40% dei consensi al congresso di Firenze con la mozione unificata.

Nell’azione polemica interna influisce poi la volontà di chi come Nenni punta ad isolare solo la componente di Saragat (marginale senza Mondolfo) per recuperare gli altri, e chi come Basso (supportato dal PCI) si pone l’obbiettivo di conquistare tutto il partito, come avviene nella federazione milanese, mettendo in conto l’espulsione di tutte quelle frange giudicate irrecuperabili.

Ma sono i risultati delle elezioni amministrative del 10 novembre, che coinvolgono alcune delle principali città italiane come Roma, Napoli, Torino e Palermo, che danno il via al percorso scissionista facendo naufragare la linea di Nenni. Le consultazioni dimostrano che, con l’avanzamento complessivo delle sinistre, il PCI cresce in maniera decisa a discapito del PSI e di tutte le forze minori di sinistra . Ciò porta la DC a spostarsi a destra e nel PSIUP lo scontro si polarizza tra Basso e Saragat. Il futuro leader del PSLI comincia un lavora lento ma costante di erosione nei confronti della frazione di Mondolfo e quando fonda la sua corrente, denominata

31 G. ARFÈ, prefazione in F. TADDEI, Il socialismo italiano nel dopoguerra, cit., p. 12 32 Vedi in F. TADDEI, Il socialismo italiano nel dopoguerra, p. 305

19 “Concentrazione socialista” ha ormai acquisito la maggior parte dei dirigenti e militanti di “Critica sociale”. Il congresso di Roma è preceduto da una campagna polemica molto dura e volutamente personalizzata da Saragat che si erge a nume tutelare delle minoranze mentre mantiene sempre sfumato il suo progetto politico.

La battaglia contro i socialdemocratici, che sosterrà da protagonista ancora negli anni sessanta anche se in quel caso sarà schierato con la minoranza scissionista del ricostituito PSIUP, vede Basso impegnato nel vano tentativo di coinvolgere nella lotta interna la corrente di sinistra di “Iniziativa socialista”, che invece confluirà momentaneamente nel PSLI, che si poggia in particolare sull’ala giovanile del partito, guidata da Livio Maitan, Lucio Libertini, Giuliano Vassalli, insieme a Leo Solari, Giorgio Ruffolo, Zagari e Tanassi (i cui percorsi individuali saranno poi molteplici, dalla IV internazionale al PCI, da manager di Stato al PSDI) per rompere l’alleanza formata con Saragat vero protagonista alla scissione di Palazzo Barberini. Il 9 gennaio del 1947, all’apertura del XXXV congresso a Roma, presso l’aula magna dell’Università, la scissione era già decisa. La mozione congressuale della Sinistra “Dal governo al potere” che ottiene il 65,8% dei voti non viene sottoscritta da nomi importanti come quelli di Pertini, e Morandi (soprattutto per l’avversione a Basso) ma da importanti federazioni del partito. Se la prima parte del documento è tipicamente nenniana, incentrata sul ruolo “garante del contenuto democratico della lotta dei lavoratori”, la seconda è tipicamente bassiana in quanto esclude da organismi di direzione membri del governo. Inoltre dà centralità alla scuola di partito per l’insegnamento del marxismo e la formazione di militanti e quadri.33 La scelta dei delegati di “Concentrazione socialista” e di “Iniziativa socialista”34 di non partecipare con la propria platea di delegati al congresso socialista, ma di aggregarsi direttamente a quella di Saragat a Palazzo Barberini, è tale da confinare definitivamente i sostenitori delle opposizioni rimasti nel Partito socialista, in un ruolo marginale. Inoltre il risultato si rivela talmente schiacciante che non viene solo capovolto il risultato della precedente assise, ma vengono attratti nella maggioranza ampi strati dissidenti. La forza saragattiana, che si basa prevalentemente sul gruppo parlamentare (molti erano gli onorevoli in scadenza di mandato) e sui leader di corrente, piuttosto che sulla base e sui funzionari, attua una scissione preventiva che scompiglia i lavori puntando a portare il maggior numero di delegati delle opposizioni direttamente nella sede alternativa. Grazie agli appelli di Morandi e Pertini questo tentativo in parte fallisce; infatti dal primo giorno c’è ancora parecchia incertezza tra le fila dell’opposizione, tanto che lo stesso Nenni spera che rimangano nel partito i vecchi e titubanti esponenti riformisti D’Aragona, Simonini e Greppi.35 Il dramma e le tensioni che coinvolgono la base socialista si possono comprendere da numerose testimonianze, come quella raccontata da Nenni nei diari, che ricorda l’episodio di Angelica Balabanoff, la quale, salutata da un tripudio di applausi determinati dal suo passato di dirigente socialista e compagna di Turati, pronuncia un intervento caratterizzato dal tono livoroso e pieno di rancore nei confronti della

33 Ivi, p. 353 34 Ivi, p. 357 35 Vedi in P. NENNI, Tempo di guerra fredda, p. 325

20 Russia, di Lenin, Stalin e Nenni, e viene contestata a tal punto da provocare tumulti nella platea congressuale.36 I risultati finali del congresso sono ambivalenti. Tra i delegati le percentuali sono del 79,2% per la Sinistra, l’1,8% a ciò che resta di “Critica sociale” , lo 0,8 di “Iniziativa socialista” e il 5,5% ad una mozione locale su cui molti di Iniziativa confluiscono. Il 10% si astiene a dimostrazione del disorientamento ancora presente tra le fila del partito a conclusione di uno dei congressi più contrastati a soli due anni dalla Liberazione.

Dalla scissione nasce un nuovo partito socialista il PSLI (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani) al quale aderiscono subito 52 dei 115 deputati socialisti alla Costituente e in confluiranno in seguito le correnti di destra rimaste nel PSI, capeggiate da Ivan Matteo Lombardo e Romita, uscite dal partito rispettivamente dopo il XXVI e XXVIII congresso del 1947 e 1949.37

36 Ivi, p. 326 37 La successiva fusione del PSU (Partito Socialista Unitario) romitiano con il PSLI darà vita al PSDI (Partito Socialista Democratico Italiano) nel 1952 con Saragat segretario. Fondato su un ambiguo sinistrismo che punta a far convivere i rivoluzionari e i socialdemocratici, il PSLI otterrà uno scarso risultato alle elezioni amministrative in primavera a Roma e in Sicilia (con risultati attorno al 4%) come al congresso della Cgil (solo il 2% dei voti) ridimensionandone la portata tanto da far abbandonare il neonato partito anche a molti giovani che successivamente si avvicinano al PCI, vedi in G. GALLI, Storia del socialismo italiano, p. 192

21 1.5. LA SEGRETERIA BASSO La scissione viene salutata positivamente da Basso tanto da definire il XXV congresso come quello della vittoria e dalla nascita di un partito veramente socialista,38 epurato dal piombo nelle ali dei socialdemocratici. Il congresso porta sulla scena una nuova giovane classe dirigente e mette in sordina anche alcuni dei leader come Morandi (che non interviene nemmeno durante l’assise ufficiale del congresso) e Pertini, il cui ruolo viene valutato come troppo morbido e poco attivo nell’opera di contenimento di una scissione giudicata ormai inevitabile; lo stesso giudizio varrà per Nenni durante la scissione del 1964.39 In questo momento la figura di leader incontrastato e protagonista assoluto è quella di Basso, acclamato segretario generale. Nel suo discorso, dal titolo “O dittatura borghese, o democrazia socialista”40 l’accento è posto sui limiti del riformismo, dopo le distruzioni prodotte dalla guerra con la conseguenza che, in assenza di una struttura economica atta a sopportare i costi della ricostruzione e nel vivo della lotta di classe, la borghesia sarà portata a detenere il potere in modo totalitario ed assoluto. Il nodo determinante che si devono porre i due partiti operai esistenti è quello del potere, perché gli altri gruppi riformisti hanno abbandonato quest’ottica per una strada di miglioramento interno al tessuto economico capitalistico. Anche da questa analisi si nota la distanza abissale tra il nuovo segretario e Nenni.

La progressiva divaricazione internazionale è sempre più determinante nelle scelta di politica interna di tutti i partiti italiani che, dalla DC al PCI, propongono una tattica ufficiale e ne praticano un’altra ufficiosa. La Democrazia Cristiana è per il rafforzamento del tripartito ma lavora per allargare la maggioranza ed estromettere le sinistre dal governo, mentre il PCI accetta il trattato di pace ed il concordato per non avversare le masse cattoliche, appoggia la scissione socialista omologandola alle proprie posizioni internazionali bruciandone ogni possibilità di autonomia; anche la cosiddetta “piccola alleanza”, composta da PRI, Pd’A e PSLI, è divisa fra la linea anticomunista e filosocialista.

La nuova segreteria si trova inoltre a dover fronteggiare a fine gennaio l’esclusione delle sinistre dal governo De Gasperi che contava tra le sue fila dirigenti socialisti di peso come Rodolfo Morandi al ministero dell’Industria e Nenni agli esteri. A seguito delle vicende governative, la segreteria delega il navigato Nenni, per il quale lo spostamento a sinistra del popolo, riconfermato anche dai buoni risultati delle elezioni regionali siciliane del 1948 (che vedono affermarsi il Blocco del popolo che aumenta il suo consenso di 100 mila voti), è da tempo la risposta ai propositi dell’apparato reazionario e burocratico dello Stato che vogliono creare una situazione d’emergenza nazionale. Da qui la sua polemica con De Gasperi giudicato incapace di orientare democraticamente la DC. Secondo i leader socialisti l’errore politico del capo del Governo dovrà concludersi con l’inevitabile coinvolgimento delle forze operaie; per far fronte a questa fase transitoria è necessario creare un fronte repubblicano aperto a tutti i partiti laici intermedi contro la violazione della legittimità repubblicana concretatasi nel tripartito successiva all’8 settembre.

38 ibid. 39 Vedi in P. NENNI, Gli anni del centro sinistra, p. 307 40 L. BASSO, O dittatura borghese o democrazia socialista, Quarto Stato, a.II, n. 24, gennaio 1947, in F. TADDEI, Il socialismo italiano nel dopoguerra, cit., p. 364

22 Per Togliatti ed il PCI invece in questo momento la leadership degasperiana viene assolta dalle responsabilità della cacciata delle sinistre dal governo, come scriverà il segretario comunista nel celebre articolo “Il tamburino ed il tamburo” pubblicato da “l’Unità” del 28 gennaio 1947, addossando la colpa agli americani. In questo senso l’azione comunista, legata all’allineamento ad est, che procede di pari passo con quello filo-atlantico dei democristiani, si orienta su una posizione difensiva che si basa anche sul rafforzamento organizzativo, erodendo il consenso socialista e la sua stessa forza organizzativa. La posizione mediana del neutralismo socialista è sempre più costretta negli angusti spazi della politica della contrapposizione in blocchi. Se per Nenni è il centrismo il fenomeno politico da battere, per Basso tale politica è già sconfitta in quanto, per governare, ci si deve basare già ora su forze di centrosinistra;41 di conseguenza egli avrà maggiormente a cuore l’aspetto extraparlamentare legato alla ricostruzione del tessuto organizzativo socialista. Già dalla fine di gennaio egli ritiene superata l’emergenza post-scissione e può dedicarsi alla rifondazione organizzativa del PSI (che ha riassunto il nome tradizionale per non lasciarlo ai socialdemocratici). Tre sono gli assi sui quali si muove: l’accentramento, l’estensione dell’organizzazione sul tessuto sociale e i rapporti unitari. Sul primo tema inizia con lo scioglimento della FGS, che era passata in massa con il PSLI a seguito della scelta di “Iniziativa socialista”, tentando con queste operazioni di fondere i principi leninisti di rigido controllo ideologico e politico con la ramificazione capillare nel territorio di stampo più movimentista-luxemburghiano.

Con la rottura governativa l’asse della direzione del partito in mano a Basso, Nenni e Morandi inaugura la stagione unitaria del Fronte popolare. Il principale terreno di manovra unitaria è quello del movimento sindacale nella Cgil dove la debolezza della corrente socialista è denunciata da tempo da Basso a partire dai risultati elettorali delle Commissioni Interne nelle fabbriche del nord. Ma nemmeno la sua gestione riesce ad intaccare gli equilibri degli accordi prestabiliti con i comunisti, che confermano la loro egemonia con il 55% dei voti alla mozione di Di Vittorio, mentre quella capeggiata da Santi si ferma al 22%. L’unica differenziazione politica che emerge nel dibattito è quella relativa al riconoscimento giuridico dei sindacati da parte dello Stato, che vede i socialisti discordi rispetto al giudizio favorevole dei comunisti, in quanto gli interessi delle organizzazioni proletarie vengono ritenuti inconciliabili con quelle statuali fino a quando la classe operaia non sarà al potere; da qui la necessità di mantenerle distinti evitando qualsiasi tipo di commistione con le strutture statali.

Anche nella Federterra l’egemonia indiscussa del PCI è sancita dai 1.360.000 voti raccolti al Congresso dell’organizzazione che, con il 60% delle preferenze, distanzia il PSI, che si arresta a soli 342.346 voti (DC, PRI e PSLI sono fortemente distaccati).42 Questa batosta politica nel feudo principale della tradizione socialista trova ragione in una piattaforma politica ferma a cinquantanni prima e nella vacuità organizzativa e d’apparato che con la fase unitaria non riesce a rafforzarsi, ma anzi si indebolisce a vantaggio della macchina organizzativa togliattiana.

41 Ivi, p. 397 42 Ivi, p. 384

23 Ma la sconfitta che determina in modo duraturo gli equilibri a sinistra, è quella che avviene a Reggio Emilia nel giugno del ‘47 al II congresso della Lega delle cooperative: il 58% ottenuto dal PCI, (che non occupa altrettanti posti nel Direttivo della Lega per scopi unitari) gli assicura comunque una posizione dominante tanto che lo stesso Togliatti può decidere il nome del presidente, nella figura di Giulio Cerretti, neofita del mondo cooperativo ma suo collaboratore fidato.43 Se il confronto con la macchina politica ed organizzativa del PCI risulta complesso e senza particolari risultati positivi, anche con le altre forze politiche intermedie il confronto non è facile. Pur potendosi porre in un’ottica integrazionista nei confronti degli azionisti e delle altre forze laiche e di sinistra, le posizioni politiche socialiste trovano numerosi ostacoli anche in fatti contingenti. Quando alla fine dell’estate del’47 il gruppo parlamentare socialista alla Costituente presenta una mozione di sfiducia al governo De Gasperi, che punta a ratificare in anticipo il piano di pace dal sapore filo-atlantico proposto dall’inglese Bevin (in quanto mancante dell’adesione sovietica), la situazione pare favorevole al PSI in quanto obbliga gli altri partiti, compreso il PCI fermo su posizioni attendiste, ad appoggiare tale mozione. Mentre la maggioranza degli azionisti confluiscono nel PSI dopo lo scioglimento del partito a fine agosto, il PSLI e il PRI, dinnanzi all’acuirsi dello scontro internazionale successivo alla nascita del Cominform, decidono di presentare mozioni proprie votando contro quella socialista. Si infrangono così tutti i tentativi di Nenni di costruire un fronte con questa parte della sinistra.

Della polarizzazione internazionale che in questa fase è ancora sottovalutata dai leader socialisti, mentre è già parte integrante della politica dalla DC e del PCI, rimane solo la possibilità dello scontro frontale fra blocchi, che imporrà al PSI quella scelta di campo giudicata da Nenni come “impossibile”,44 ovvero fra Occidente ed Oriente. Ma la celebrazione comune del XXX anniversario della Rivoluzione d’Ottobre nella basilica di Massenzio da parte dei capi della sinistra italiana sancisce la scelta di campo e la nascita del Fronte popolare.45 Una divergenza importante fra il segretario e l’ex ministro degli esteri emerge: se per Nenni la lista deve essere unitaria, per Basso si coniuga con lo slogan “Un forte PSI alla testa del Fronte” cioè con liste autonome e alleate. Il XXVI congresso nazionale al Teatro Astoria di Roma (19-22 gennaio 1948) è chiamato a decidere sull’impostazione delle liste nel Fronte che doveva avvenire per liste autonome ma alleate. La maggioranza netta va, con il 67% dei voti, alla mozione presentata da Achille Corona, all’interno della quale Cacciatore, Morandi e Basso ottengono più preferenze di Nenni, mentre quella Romita-Pieraccini per liste separate ottiene il 32,7%; Ivan Matteo Lombardo, fautore di una linea più in sintonia con il socialismo europeo con lo 0,5% del consenso esce e va con Saragat.46 E’ la sanzione dell’impossibilità di spazi reali per ogni ipotesi di terza via fra socialismo e capitalismo contrastata energicamente anche da Nenni, che si distingue in parte dai comunisti sostenendo il neutralismo e anche l’adesione al Piano Marshall

43 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 70 44 Vedi in P. NENNI, Tempo di guerra fredda, p. 389 45 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 91 46 Ivi, p. 95

24 qualora non implichi l’inevitabile dipendenza dagli americani ma sia organizzato all’interno dell’ONU.

25 1.6. LE ELEZIONI DEL 1948 E LA SCONFITTA DI BASSO Il PSI si appresta a partecipare alle elezioni del’48 con 800 mila iscritti; l’organizzazione, lacerata dalla scissione, porterà in dote al fronte il 10% dei voti (su un totale del 31%) che è la metà del consenso elettorale raccolto nel 1946. Inoltre, grazie all’efficienza della macchina organizzativa del PCI che riesce a dirottare in maniera oculata le proprie preferenze, il gruppo parlamentare socialista è ridimensionato da 114 a 42 deputati mentre quello comunista aumenta da 109 a 141 con un rapporto di voti tra il PCI e il PSI di 2 a 1, che per i rappresentanti parlamentari è di 3 ½ a 1; alle liste di Unità socialista andrà il 7%, che è il doppio di quanto ottenuto alle precedenti amministrative con significativi successi a Milano (15,3%), Torino, Udine, Venezia, Verona e Parma, ridimensionando il risultato elettorale socialista fra i ceti medi. Ciò accade mentre la DC sfiora la maggioranza assoluta dei voti e la ottiene in termini di seggi conquistando il centro dell’elettorato del Paese e apprestandosi a rafforzare il suo dominio nelle strutture statali e parastatali rafforzandone l’immagine di regime. L’analisi del nuovo assetto politico scaturito dalle elezioni del 1948 non è fatta con chiarezza dai dirigenti socialisti. Il binomio “ondata a sinistra, vittoria conservatrice” in entrambi i due dopoguerra, non è colto se non nella variante imperfetta dell’analisi di Basso che si caratterizza nel binomio “DC=Fascismo”. Anni dopo, quando questa politica sarà ormai solo un ricordo critico, le riserve di Basso non saranno solo per le sconfitte subite in quel periodo (la triplice sconfitta del ’48: con la DC, con il PCI e con “Unità socialista”) ma anche per l’errore strategico compiuto nei rapporti con la cultura dominante di matrice togliattiana che, ogni qualvolta il PSI riprendeva l’iniziativa aprendo possibili nuovi scenari alla sinistra del PCI, ne condizionava le scelte.47 In questo contesto si apre il congresso straordinario del giugno 1948, quello della sconfessione della dirigenza che ha guidato il partito alla sconfitta con il Fronte.48 Segretario diventerà il vecchio militante socialista Alberto Jacometti. La sconfitta di Basso è anche quella relativa all’idea di partito che si proponeva di realizzare nel PSI. Al XXVII congresso di Genova, Lombardi sostiene che è stata definitivamente ridimensionata la proposta di un partito “se non trotskista, di tipo leninista prima della rivoluzione d’ottobre [ed] antitetico a quella formula e con una sua fisionomia e con una sua tradizione incancellabile ed indistinguibile. Non c’è bisogno di un altro partito d’avanguardia, c’è già ed è il PCI. Il PSI è un partito che aspira alla successione di governo”.49

Il gruppo dirigente intanto accelera lo strappo con il socialismo occidentale perché mentre il “Comisco” sospende il PSI in attesa degli sviluppi del congresso Luzzato, pur artefice di una vibrata protesta alla riunione dell’internazionale di Vienna,

47 Vedi in S. MERLI, La politica unitaria, p. 256 48 Al congresso di Genova la mozione della Sinistra di Nenni, Basso e Morandi ottiene il 31,5% dei voti, quella denominata “Riscossa socialista” presentata dall’ex azionista di sinistra da appena un anno iscritto al PSI Riccardo Lombardi e da Sandro Pertini il 42%, mentre la mozione “Per il Socialismo” di Romita il 26,5%, in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 113 49 R. LOMBARDI, Intervento al congresso di Genova, “Avanti!” 22 ottobre 1947, in G. GALLI, Storia del socialismo italiano, cit., p. 198

26 partecipa anche alla riunione di Varsavia dei partiti socialisti di sinistra sottoscrivendone l’appello.

Rimangono aperti molti problemi per la nuova direzione centrista che punta ad una linea di maggiore autonomia dai comunisti ma che non vuole lacerare i rapporti con i partiti socialisti europei d’occidente puntando anche alla riunificazione delle forze socialiste italiane. La precipitazione delle vicende italiane successive all’attentato a Togliatti cambia il contesto nel suo complesso. La drammaticità dello scontro che ha portato alla scissione sindacale, ha compromesso la possibilità di avviare proprio dal sindacato quel progetto di recupero dell’identità perduta. Anche per volere di Santi, che è tra gli artefici della nuova linea congressuale, viene bloccata ogni azione politica che metta a rischio l’unità sindacale in seguito a gli attacchi che venivano sostenuti da forze esterne sostenitrici dei grandi monopòli, indebolendo di fatto anche il ruolo e la capacità di manovra dei socialisti nel sindacato. In agosto si procede con lo scioglimento del Fronte, formando una meno vincolante Alleanza democratica senza rinunciare alla politica frontista. Ma la ripresa organizzativa auspicata non avviene e le ipotesi di riunificazione con il PSLI si arenano. Inoltre la Sinistra, attaccando duramente la destra di Romita (con richieste di provvedimenti disciplinari per alcuni esponenti di punta), critica duramente anche la gestione Jacometti: se Morandi giudica frettoloso lo scioglimento del Fronte, Nenni rimprovera a Santi le linee sindacali e le critiche di Lombardi all’URSS, mentre si fanno sentire anche le dure prese di posizione dei comunisti che contribuiscono a creare un clima di forte contrasto. Si giunge al boicottaggio delle minoranze insensibili ad ogni richiamo che pretendono, per esempio, il finanziamento alle riviste di corrente mentre tutte quelle ufficiali del Partito o chiudono o vengono ridimensionate; è il prezzo che viene pagato alla Sinistra. Inoltre, dopo alcuni mesi di polemiche e minacce, il 24 febbraio del’49 il PSI viene ufficialmente espulso dal “Comisco” in quanto alleato di un partito appartenete al Cominform, nemico del socialismo democratico; ciò comporta l’ulteriore isolamento internazionale per la direzione Jacometti-Lombardi. Sotto pressione anche nel partito sia da parte della destra di Romita ormai prossima alla fuoriuscita, che dalla Sinistra, rafforzata nelle sue posizioni anche dal contesto sfavorevole alle terze vie, è convocato un nuovo congresso.

La XXVIII assise socialista nel maggio 1949 a Firenze, sarà quello della rivincita della Sinistra sostenuta da Basso, Nenni, Morandi, Pertini, Cacciatore, Mancini e De Martino che col 51% riconquisteranno il partito, mentre Lombardi scende al 39% e Romita al 9,5%. Nonostante la disponibilità della mozione centrista ad entrare in Direzione, la Sinistra ne assume totalmente la responsabilità, eleggendo Nenni segretario e Pertini direttore dell’“Avanti!”.50 Il Partito ereditato è diviso, disorientato, lacerato e dissestato finanziariamente. Il rilancio per una lunga e dura opposizione diventa essenziale. Con la logica della Guerra fredda comincia l’allineamento dei socialisti con i comunisti a difesa dell’Urss contro l’ipotesi di una III guerra mondiale supportando la politica di neutralità totalmente contro al partito della guerra che organizza dagli Stati Uniti l’aggressione contro i paesi del socialismo.

50 L’esecutivo è composto da Nenni, Pertini, Luzzato, Basso, Bottai, Cacciatore, Lizzadri, Morandi e Corona, vedi in P. MATTERA, Il partito inquieto, p. 159

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Tutto ciò, inserito nel nuovo riassetto organizzativo e politico che caratterizza lo stalinismo morandiano, comporta il restringimento dello spazio per la creatività politica che ha in Basso l’uomo di maggior cultura di cui possa disporre il PSI. E l’ex segretario nazionale dei momenti più difficili, come la scissione socialdemocratica e le elezioni del’48, è una delle prime vittime illustri. Tale trattamento è possibile anche grazie alle regole stabilite dallo Statuto, elaborato anni prima da Basso stesso, che sanciscono l’introduzione del principio del centralismo democratico. Dopo il congresso di Genova, nel quale, pur con delle divergenze, ha contribuito all’affermazione del documento di Nenni e Morandi, la tendenza all’omologazione al PCI (emergono anche i sospetti relativi alla pratica dell’infiltrazione e della doppia tessera da parte comunista) è tale da costringerlo a dimettersi dalla Direzione, e a non essere nemmeno eletto nel comitato centrale; è quasi sul punto di essere espulso dal partito. Tranne Lombardi, Santi, Nenni e Pertini, nessuno del gruppo parlamentare lo saluta e i funzionari morandiani sfondano i cassetti della sua scrivania nell’ufficio in Direzione nella speranza di trovare le prove di un carteggio con Rajk, l’ex segretario del PC ungherese impiccato nel 1949; a salvarlo, ricorda lo stesso Basso, furono gli interventi di Pajetta e Amendola. Dopo l’allontanamento dei suoi collaboratori come Ladaga (già segretario della FGS) e di Gianni Bosio (direttore di “Mondo Operaio” e difeso anche da Panzieri), Basso medita anche l’abbandono del partito che ha contribuito a ricostituire nel 1943 per passare al PCI.

28 2. RODOLFO MORANDI E L’EPOCA DEL FRONTISMO Dopo la scissione di Palazzo Barberini del ’47 ed il crollo elettorale del 1948 la ricostruzione del PSI riparte da “un collaboratore eccezionale, dalla grande tempra etica e dalla sicura vocazione da grande organizzatore, Rodolfo Morandi.”51 Un detto del tempo ripreso da alcuni commentatori diceva: “Nenni fa la politica; Morandi e i segretari di federazione fanno l’organizzazione”.52

Nato a Milano il 30 luglio del 1902, presidente del CLNAI, segretario del PSIUP, ministro del secondo e terzo governo De Gasperi, il suo nome è legato alle scelte della sinistra classista e alla tradizione del socialismo di sinistra italiano. La strategia della conquista del potere coinvolge aspetti compositi come la concezione dello Stato, il rapporto tra obbiettivi transitori e obbiettivi finali nonché la politica delle alleanze. Il contesto economico e sociale è la cartina di tornasole nella quale vengono immerse le elaborazioni prodotte dalla Liberazione in poi. Un passaggio importante è quello cruciale dalla legalità rivoluzionaria dei CLN al primo atto della restaurazione moderata segnato dalla caduta del governo Parri.

Pur condividendo la linea ufficiale della maggioranza della sinistra italiana, ovvero l’impossibilità di una rivoluzione che potesse instaurare un potere socialista sulle rovine del fascismo, stante la presenza delle truppe alleate d’occupazione, Morandi si pone l’obbiettivo di fare perno sui CLN, organismi di democrazia diretta espressi dalla lotta armata.53 Per il PCI la rinascita del vecchio Stato non è un ostacolo qualora l’asse di governo tra i partiti di massa sancisca uno spostamento dell’equilibrio sociale a vantaggio dei ceti popolari anche attraverso i normali meccanismi elettorali della democrazia liberale. I CLN rimangono strumenti di pressione, non antagonista, delle forze di sinistra. I socialisti, che ritengono le forze proletarie le uniche realmente in grado di favorire lo sviluppo, non hanno ancoro deciso quale strada imboccare, tra quella della rivoluzione democratico-borghese e quella socialista, e quindi quale politica delle alleanze stabilire. Per i dirigenti del Nord, legati alla classe operaia ed alla Resistenza, i CLN rimangono un valido strumento di democrazia diretta per la rottura del vecchio ordinamento sociale e per la costruzione di uno Stato nuovo, avanzato e aperto alla trasformazione socialista basata sull’autogoverno delle masse. Il condizionamento pesante dei comunisti e della direzione socialista di Roma determinano l’accettazione del nuovo governo De Gasperi per impedire una possibile svolta reazionaria, e la conseguente liquidazione dei CLN e delle istanze che rappresentano mal viste anche dagli americani che, con le truppe e gli aiuti economici, influenzano in maniera determinante lo scenario politico nazionale. La politica gradualista dei comunisti che, a partire dalla lotta antifascista e dalla caduta della monarchia puntano alle trasformazioni economico-sociali, è stata rifiutata durante la Resistenza ed è ora accettata come obbligo momentaneo e transitorio. Il passaggio ideologico si svolge partendo dalla concezione di una democrazia diretta

51 Vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione:per una storia del PSIUP, in “Il Ponte”, Firenze 1989, a. XLV, n. 6, p. 190 52 Vedi in S. MERLI, La politica unitaria tra antifascismo e guerra fredda, in “Il Ponte” n. 6, Vol. 2, giugno 1992, p. 253 53 Vedi in A. AGOSTI, Rodolfo Morandi, p. 415

29 basata sul rafforzamento del potere dei lavoratori all’interno delle strutture borghesi, a quello di una democrazia progressiva “aperta all’ascesa delle classi popolari”.54 Il banco di prova, dopo la caduta della monarchia, è la collaborazione con la Democrazia Cristiana. Il peggioramento delle condizioni economiche e materiali dell’immediato dopoguerra annullano gli avanzamenti e le conquiste ottenute durante l’insurrezione e la ricostruzione riparte da un programma di restaurazione e conservazione del potere capitalistico. La distruzione di un terzo circa del patrimonio nazionale, la significativa flessione della produzione e la contrazione del reddito del 50-60%, con la conseguente svalutazione monetaria, vanificano ogni tipo di prospettiva gradualista. In questo momento comunisti e socialisti non mirano ad una ricostruzione fondata su criteri diversi da quello capitalistico, ma piuttosto su un carattere ridistribuivo della ricchezza che colpisca le classi abbienti. Alla base della ricostruzione industriale si vorrebbero porre i Consigli di gestione, organismi in cui si ritrovano a collaborare tutte le forze e le categorie produttive, in grado di fornire alle imprese una struttura più solida e partecipata, senza nessun intento sovietizzante o antagonista. Tale prospettiva incontra comunque la resistenza dei governatori alleati, degli imprenditori e della DC e dei Liberali, che attuano un sottile sabotaggio, mentre il sistema produttivo e l’equilibrio delle forze sociali evolve verso una direzione che va al di fuori del controllo delle organizzazioni operaie. L’entrata al governo di Morandi come Ministro dell’Industria e del Commercio Interno si inserisce in un contesto dove l’apparato statale e le strutture economiche rimangono inalterate e saldamente in mano alla classe dominante, vanificando ogni tentativo del movimento operaio di far valere la propria forza; su di esso infatti saranno scaricate responsabilità ed errori conseguenti alla cacciata delle sinistre dal governo. Il suo breve impegno ministeriale è caratterizzato dalla lotta contro la speculazione e l’inflazione nel tentativo di produrre alleanze con i settori della borghesia produttiva indirizzando i finanziamenti industriali, intesi come una “regolamentazione a grandi linee, secondo certe direttrici date alla produzione e agli scambi [per assicurare] nelle forme più efficaci la partecipazione attiva e diretta delle classi lavoratrici”..55 Lo scontro con il grande capitale, avvenuto al Consiglio dei Ministri del 3 aprile del 1947 con la presentazione dei 14 punti di Morandi, porta alla rottura. Il disegno di legge sul piano generale della ricostruzione nazionale mira al riconoscimento giuridico dei Consigli di gestione per assegnare loro funzioni al di fuori dall’ambito aziendale inquadrati all’interno del processo di democratizzazione della vita economica. Nonostante non rappresentino affatto le linee di un piano economico generale, come tali esse vengono recepite dalle forze economiche più conservatrici che vi si oppongono fermamente. L’esperienza di governo si chiude quindi con una sconfitta, conseguenza di una politica all’insegna del compromesso e dell’equivoco. La rinuncia alla prospettiva socialista nell’analisi e nell’azione politica, per

54 R. MORANDI, Questioni davanti al Congresso, in Democrazia diretta e ricostruzione capitalistica, Opere, Vol. V, Torino 1960, Ivi, cit., p. 418 55 R. MORANDI, Discorso a Milano, 16 marzo 1947, Ivi, cit., p. 422

30 subordinarla a presunti interessi nazionali interclassisti, significa il cambiamento della strategia su cui si basa la democrazia progressiva.56

Il lavoro di Morandi si pone l’obbiettivo strategico di rafforzare il partito anche durante la sua permanenza al governo ribadendo l’idea togliattiana del partito di lotta e di governo come strumento di freno sia verso le tendenze riformiste interne che verso l’esterno, con l’inevitabile sbilanciamento del tripartito come conseguenza dell’aumento delle lotte e delle tensioni sociali. Evitare il rischio di guerra civile e delle possibili reazioni di destra era il problema principale che poneva il PSIUP in una condizione intermedia fra il PCI e la DC, logorandolo con una politica circoscritta prevalentemente ai ceti medi che rendeva i comunisti egemoni nella classe operaia e nei rapporti a sinistra.

A differenza di Nenni e Basso, che esaltano lo spostamento a sinistra delle masse durante tutto il 1947, Morandi parla già di cammino a ritroso dopo la Liberazione, tanto più che con la scissione di Palazzo Barberini si erano create le condizioni per l’estromissione delle sinistre dal governo. L’autocritica sulla linea della democrazia progressiva avviata dopo la crisi del tripartito è di fatto impedita dall’aggravarsi dello scontro tra blocchi a livello internazionale. L’analisi socialista riprende i riferimenti analitici dello stalinismo, che identifica gli interessi della classe operaia internazionale con quelli dell’URSS, e assegna ai partiti di sinistra il compito di contenimento delle istanze più reazionarie ed anticomuniste da condurre insieme alle forze democratiche.57 Adeguandosi alla linea staliniana, ogni riferimento socialista era mantenuto appositamente vago e generico senza che si caratterizzasse una possibile alternativa a quella proposta da Mosca.

In tale senso Morandi denuncia la DC come forza totalitaria ed involuta, in linea con l’analisi di Basso, ma cercando di inserire nella propaganda del Fronte le premesse per una politica offensiva, di rilancio delle posizioni classiste, con precise idee sulla democrazia operaia e sugli strumenti di potere. La politica internazionale secondo i socialisti, è caratterizzata dal rischio di catastrofe per l’umanità qualora prevalgano le forze capitaliste che, in accordo con la socialdemocrazia europea, riporterebbero l’Europa sulla soglia della terza guerra mondiale, mentre sul piano interno il principale obbiettivo polemico è la socialdemocrazia che, alleata alle forze del regresso, mette in discussione la democrazia conquistata con la Resistenza.58 Alla I conferenza economica del PSI nel novembre ’47, anche se le basi analitiche non si discostano dal passato, l’elaborazione del piano socialista è contraddistinto da una politica di transizione in cui le riforme strutturali, a differenza di quanto avverrà negli anni ’60, non vengono interpretate in chiave riformista, ma come elemento di rottura e discontinuità in sintonia con lo sviluppo delle forze operaie. Di conseguenza, i Consigli di gestione, accentuando l’aspetto conflittuale, diventano

56 Ivi, p. 423 57 Questa linea, elaborata dall’VII Congresso dell’Internazionale comunista nel 1935 è applicata anche dal PSIUP dal ’44, termina inseguito alle resistenze delle forze conservatrici; nel partito viene intesa come un insuccesso episodico che deve essere corretto ricostruendo le alleanze antifasciste lacerate. 58 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 123

31 strumenti antagonisti e di pressione piuttosto che limitati a sole funzioni tecnico- economiche. Il Fronte popolare, nato nel novembre come alleanza elettorale dopo le positive esperienze locali in Sicilia a Roma e Pescara (che avevano messo in luce però un’evidente egemonia comunista) diventa sia per Basso, sia per Morandi, un alleanza politica alla quale aderiscono anche la Lega delle Cooperative, il congresso dei consigli di gestione, la Costituente della terra (con le propaggini della Federazione nazionale dei coloni e dei mezzadri) oltre alla Lega dei Comuni democratici. Il 28 dicembre del ’47 al Planetario si tiene un grande convegno dei partiti di massa e degli organismi afferenti che consacra il Fronte popolare alla difesa di: “Pace”, “Lavoro”, “Libertà” e “Indipendenza nazionale”. L’istituzionalizzazione del Fronte comporta il consolidamento della pur vasta area della militanza dei partiti e il dissenso presente nelle varie organizzazioni finisce ai margini, in posizioni molto difficili, sottomesso alle generali richieste di fede nella causa.

La sconfitta elettorale del 18 aprile ’48, con il conseguente irrigidimento della situazione politica, non consente una chiarificazione nel PSI di fronte alla reazione e al riflusso del movimento operaio, che porta i partiti operai su una linea difensiva. L’obbiettivo prioritario è ora quello della difesa della pace e dell’URSS nello schieramento internazionale, e delle libertà costituzionali a livello nazionale che, nel concreto, significava lottare contro le chiusure delle fabbriche, i licenziamenti di rappresaglia, gli eccidi e le violenze poliziesche. La denuncia da parte della sinistra dello squadrismo di stato diventa una delle polemiche principali contro il governo De Gasperi, che impegna i gruppi parlamentari nel contrastare le leggi repressive e quelle cosiddette “polivalenti o antisciopero”, funzionali a colpire le sinistre che coglievano in ciò una deriva autoritaria e clericale alla Salazaar. Questa analisi è conforme alla definizione del governo democristiano come di un regime, piuttosto che sistema, in cui i tratti involutivi sono predominanti, e il ruolo di argine delle sinistre decisivo.

La sindrome da guerra fredda che colpisce tutto il gruppo dirigente (sia socialista, sia di matrice azionista) che ha lottato contro la scissione di Palazzo Barberini, lo convince della necessità dell’appoggio ai comunisti con un ruolo complementare, che impedisca il rinnovo delle divisioni avvenute all’inizio degli anni ’20. 59 Nonostante l’arretramento complessivo dei diritti della classe operaia all’interno del processo di sviluppo del capitalismo italiano durante la ricostruzione, continua la permanenza di un movimento di massa che si presenta sotto forme nuove e, rispetto al passato, con una variegata articolazione in momenti intermedi fatti da parziali conquiste per obbiettivi di lotta concreti. In un contesto difficile per la sinistra italiana ancorata prevalentemente all’analisi ufficiale della lotta democratica e nazionale per un programma di riforme in alleanza con i ceti medi, Morandi cercherà di dare il proprio originale contributo relativo al metodo dell’azione di massa.60 A tal fine è necessario radicare il Partito socialista nel movimento e nelle lotte per crescere all’interno dei rapporti di produzione, il che comporta un’elaborazione politica

59 Vedi in S. MERLI, La politica unitaria, p. 253 60 Vedi in A. AGOSTI, Rodolfo Morandi, p. 432

32 fortemente classista e contestativa, piuttosto che quella tradizionale imperniata quasi esclusivamente sul terreno parlamentare. Tra il ’48 e il ’53 l’impegno per il rinnovamento è forte, anche grazie allo spazio liberato dai socialdemocratici, che permette l’avvio del processo riorganizzativo in grado di dotare l’organizzazione di un robusto apparato, radicato nel sindacato e nelle cooperative, disciplinato e con un senso del partito tipicamente leninista ma che sa mantenere la libertà e la fantasia nella discussione, aperta e a tutto campo rispetto a quanto accade nel PCI. Il rapporto con i comunisti è improntato sull’emulazione tra partiti fratelli, in vista di una riunificazione socialista che, durante la guerra fredda, si può concepire solo a sinistra.61

Con le prime timide prospettive di distensione internazionale successive alla morte di Stalin e con i primi segni di crisi del centrismo in Italia, si avvia nel PSI un ripensamento di fondo. Ciò avviene in particolare dopo la lotta vittoriosa contro la legge truffa che accentua nel partito il carattere democratico e costituzionale aprendo la stagione dell’ Alternativa di sinistra, lo slogan coniato da Nenni per indicare una possibile iniziativa che portasse il movimento operaio fuori dalle secche dell’isolamento e delle posizioni difensive, sempre all’interno del sistema e non come alternativa di potere a quello esistente. In questa fase il pericolo principale è quello della restaurazione cattolica che porta Morandi, nel dicembre del ’51, a richiedere ai gruppi parlamentari l’apertura di una nuova politica che a precise condizioni, come la ricostruzione delle zone alluvionate del Polesine, il varo di specifiche leggi sociali e di difesa del sistema produttivo nazionale, nonché il blocco delle spese per il riarmo, si rivolga alla DC. A questa proposta segue quella di Nenni, al Comitato centrale del febbraio ’52, finalizzata alla rottura dell’isolamento della sinistra democristiana proposta, seconda lui, in grado si esasperare le differenze interne al partito cattolico, già riassorbite in vista delle elezioni, e di creare divisioni anche tra i partiti minori alleati grazie alla rinnovata capacità d’iniziativa autonoma. Mentre nella DC una parte del gruppo dirigente più legato alla Curia romana si accorda con ambienti di destra, il PSI fa dell’opposizione alla legge Acerbo l’asse della propria attività contro il rischio di cristallizzazione del quadro politico attorno alla DC che questa legge elettorale po’ introdurre, data la presenza di “elementi totalitari basati sull’anticomunismo”.62 La storiografia comunista ha individuato in questa scelta il momento in cui si cominciano ad intravedere i cambiamenti dei rapporti con il PCI per la modificazione delle alleanze e per l’apertura a sinistra della maggioranza di governo.63

Le caute scelte di Nenni alle amministrative del ’51-’52 e poi alle politiche del ’53 aprono un processo incerto, condizionato anche dalle reazioni del PCI e della DC. I risultati elettorali del 7 giugno ’53 non fanno scattare il premio di maggioranza grazie al netto recupero della Sinistra rispetto alla DC e al PSDI.64

61 Vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 190 62 M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, cit., p. 147 63 Vedi in A. AGOSTI, Rodolfo Morandi, p. 433 64 Alle elezioni il PSI ottiene il 12,7% e 75 mentre la DC passa dal 48,5% al 40,09% e il PCI, egemone a sinistra, ottiene il 22,46%. Nettamente in calo il PSDI che perde a scapito della DC passando dal 7,1% al 4,52%; in recupero sono le destre monarchiche e neofasciste con oltre il 12% dei suffragi.

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L’evoluzione socialista, nel solco della distensione anche in politica interna, viene vista come l’elemento di novità a sinistra in grado di riaprire lo scenario politico nazionale. Il migliorista Amendola qualche anno dopo avrebbe individuato le elezioni del 1953 come il momento della svolta autonomistica nel partito socialista che si basava sulla prospettiva sia sull’indebolimento del PCI, sia sulla sopravvalutazione dei margini riformistici interni alla DC.65

Su questo argomento Morandi pare orientato alla cautela e, la tormentata ricerca che comincia poco prima della morte prematura, troverà una tribuna importante anche nel XXXI Congresso di Torino dell’aprile 1955. In esso Morandi, a differenza di Basso, vede nella capacità di accettare il dialogo con i cattolici un nuovo rapporto che deve per forza passare anche tramite il partito che li rappresenta, cioè la DC, su cui tuttavia non nutre particolari illusioni. Non è la riproposizione del fronte unico che i comunisti suggerivano ai socialdemocratici per smascherare i loro dirigenti (in questo caso anche sindacalisti Cisl e delle Acli) ma forse la riproduzione del vecchio schema antifascista. Segnali importanti di apertura cominciano a pervenire anche dai periodici della sinistra democristiana come “La base” e “Prospettive”, alle quali collaborano Lucio Magri e Giuseppe Chiarante, nonché dalla corrente di Benigno Zaccagnini, che pare optare per nuove convergenze. Il congresso non scioglie tutti gli equivoci che si nascondono dietro la parola d’ordine del dialogo con i cattolici che Nenni vuole innanzitutto inserire nella cosi detta politica delle cose, nel convincimento che insieme alla distensione internazionale si progredisse verso la politica delle riforme e dell’applicazione della Costituzione. Per contenere il dinamismo di Nenni, Morandi si muove sul terreno che gli è più favorevole, cioè quello dell’apparato, e riesce a far assegnare all’interno della segreteria degli incarichi di responsabilità a suoi stretti collaboratori: Dario Valori è promosso alla sezione “Organizzazione”, Vincenzo Gatto è assegnato alla sezione “Lavoro di massa” e Lucio Luzzato alla sezione “Enti locali ed elettorale”. Oltre a questi tre settori chiave, è nominato Emo Egoli alla segreteria della FGS, Francesco Lami all’amministrazione e Raniero Panzieri all’attività culturale. Se esaminiamo questi eventi alla luce della scissione che dieci anni dopo darà vita al PSIUP, ritroveremo la maggior parte di questi dirigenti nel nuovo partito. E’ evidente il ruolo determinante avuto da Morandi nella ridefinizione degli assetti interni alla vigilia della sua morte. Le riserve nei confronti della strategia di Nenni e Morandi non mancano, visto lo scetticismo di Vecchietti, di Basso e di Emilio Lussu per ogni prospettiva di riforma del partito cattolico. A queste posizioni, ed in particolare a quella di Basso, Morandi replica accusandole sterile massimalismo.66 Nei mesi successivi alcuni risultati positivi sono rivendicati dai socialisti, come l’abrogazione della legge truffa, lo sganciamento delle aziende IRI dalla Confindustria e la presentazione del piano Vanoni, che viene salutato positivamente, anche se con qualche riserva, dallo stesso Morandi. L’elezione del democristiano di sinistra Giovanni Gronchi al Quirinale è unanimemente ritenuta un risultato della nuova politica d’apertura socialista.

65 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 190 66 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 196

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I risultati elettorali alle elezioni siciliane del 7 giugno 1955 paiono confermare la bontà della politica del partito che aveva confermato ed aumentato i propri consensi dal 7,5% al 9,7%, mentre il PCI scendeva dal 21’8% al 20,8% e la DC recuperava ai danni della destra costringendo alle dimissioni il governo Scelba.

35 2.1. L’UNITÀ DI CLASSE NELL’AZIONE DI MASSA Nel dibattito storiografico il frontismo morandiano viene definito anche come “l’inverno socialista”;67 tuttavia ha rappresentato l’espressione della volontà diffusa delle masse popolari verso un progetto sociale che ha portato ad avanzamenti reali del movimento operaio, trovando una sua legittimazione all’interno della tradizione storica della sinistra italiana. All’interno dei partiti che avevano assunto il modello stalinista, molteplici sono state le varianti che si sono espresse in modo peculiare anche rischiando l’accusa di eterodossia. Il frontismo non può di conseguenza essere liquidato sotto il marchio dello stalinismo internazionale68 nonostante l’indubbia solidarietà e contraddittorietà di una battaglia condotta sotto tutte le insegne di stretta osservanza sovietica. Già dai prima anni ’60 era distinguibile nell’analisi socialista la differenziazione tra il frontismo della prima fase durato dalla Resistenza al ’48 e quello della seconda fase con un partito più autoritario e soffocante, organizzato e strutturato secondo il conformismo tradizionale delle organizzazioni burocratiche influenzate dallo stalinismo del secondo dopoguerra.69 Anni dopo anche Foa, parlando a proposito di Cacciatore, sostiene l’importanza dell’apporto, alla fine degli anni ’40, della politica unitaria dei socialisti nei confronti del PCI influenzando e accompagnandone l’evoluzione: “l’organizzazione politica del Partito socialista ha perso, ma la sua politica ha vinto”.70

L’indipendenza nazionale della classe operaia e la scelta tattica del quadro democratico sono elementi altrettanto importanti al fine della ricostruzione storica e politica del socialismo di sinistra durante gli anni ’40 e ’50. In tale impostazione rientra la questione meridionale che, filtrata dall’interpretazione gramsciana, pone le lotte contadine meridionali all’interno di quel percorso che le forze avanzate del paese si erano date dalla Resistenza in poi per l’unificazione nazionale.71

La politica unitaria è vissuta da Morandi come asse di quella socialista, una fede72 radicata nell’animus più che nell’analisi. Il classismo, perno del suo ragionamento, non vuole essere confuso con l’annullamento delle differenze. Già dal Consiglio nazionale del luglio ’45, con Pertini, egli è fra coloro che fanno emergere le differenze e gli interrogativi rispetto alla linea fusionista di Basso, anche se ne sosterrà il documento. La preoccupazione è indirizzata, come per Nenni, nei confronti di un corpo del partito ancora debole, non abituato a marciare con gli alleati, dove sono presenti e forti le tendenze anticomuniste e antisovietiche. Si tratta di definire un rapporto unitario basato sul rinnovamento generale, frutto delle esperienze prodotte dalla lotta di Resistenza, che aveva prodotto anche il fenomeno dei Consigli. I comunisti preferivano strategicamente un PSIUP alleato esterno piuttosto che componente interna, ciò che per Morandi significava fare dei socialisti il ponte tra i due partiti di massa in un contesto politico dinamico. Quindi nel Partito

67 Tra i vari giudizi storici quello di Marco Revelli è molto netto sul socialismo di sinistra tra il 1949 e il 1953 considerato sostanzialmente indistinguibile dallo “stalinismo italiano”, vedi in S. MERLI, La politica unitaria tra antifascismo e guerra fredda, Il Ponte n.6 – giugno 1992, p. 248 68 ibid. 69 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 122 70 S. MERLI, La politica unitaria, cit., p. 255 71 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 123 72 Vedi in A. AGOSTI, Rodolfo Morandi, p. 436

36 socialista, che si presentava rivoluzionario nei fini ma democratico nei mezzi, si combatteva contro l’idea strumentale di autonomia che nascondeva una natura tendenzialmente anticomunista; ancora nel ’46 l’individualità socialista significava una diversa concezione dei rapporti con l’URSS e una diversità nella gestione interna dell’organizzazione. L’autonomia del socialismo si svelerà nella capacità unitaria con le masse comuniste, impedendo che vengano confinate nell’illegalità o nel ribellismo sterile, trascinando tutti i lavoratori all’interno dei confini democratici

La visione di Morandi è frutto dell’esperienza concreta piuttosto che di elaborazione teorica, e tende ad assumere connotati sempre più polemici nei confronti della destra interna, utilizzando la terminologia leninista per definire quello democratico come “un ramo secco del socialismo”.73 Con la scissione e le elezioni, si accentua il rischio di un blocco compattamente reazionario al quale si intende rispondere con un’alleanza organica e solida delle sinistre, riducendo di conseguenza le differenze con il PCI. Non vengono introdotte soluzioni meccaniche ma si vuol far maturare, nella lotta di massa, le condizioni per la costruzione della democrazia socialista che, a seguito della sconfitta elettorale del’48 e della Guerra fredda, accetta l’identificazione tra movimento operaio internazionale e blocco sovietico, come vuole la vulgata ufficiale dello stalinismo. Il diverso contesto internazionale è quindi l’elemento che mette in sordina gli aspetti caratterizzanti del Partito socialista. La polemica della sinistra del partito si indirizzerà anche verso il gruppo dirigente centrista guidato da Jacometti e Lombardi che, dopo la caduta della segreteria Basso, tenteranno di impostare una politica di equidistanza dal blocco socialista senza riuscirvi, data la rigida opposizione del corpo del partito che risente già della caratterizzazione morandiana. I meccanismi interni sono già riconducibili alle tipiche liturgie unanimistiche dello stalinismo, come un linguaggio dogmatico ed una frequente pratica burocratica. In particolare, al congresso di Bologna del 1951 sono introdotte le norme burocratiche che facilitavano le espulsioni dei non allineati normalizzando e bolscevizzando il corpo del partito (in particolare a livello locale) dando il segnale del nuovo corso che trovava nel morandiano emiliano Giusto Tolloy, nuovo responsabile organizzativo nazionale, la perfetta raffigurazione. A questo obbiettivo era sacrificata una parte di autonomia politica ed organizzativa, anche in campo sindacale, contribuendo alla creazione di un complesso d’inferiorità dei socialisti, formatosi in anni di militanza in organizzazioni di massa egemonizzati da altri, dalla Cgil al Movimento per la Pace, all’interno dei quali si sono formati tutti i quadri fondamentali del partito.74 Nonostante ciò, permane in Morandi la difesa della necessaria esistenza del partito affinché si inserisca nelle dinamiche sociali come una giovane forza rivoluzionaria, originale e rinnovata, anche se il corpo sociale del partito, non è pronto a questo cambio repentino, che non può imporsi senza un cambio radicale anche della mentalità.75

73 R. MORANDI, Il partito e la classe, in Democrazia diretta, in A. AGOSTI, Rodolfo Morandi, cit., p. 440 74 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 132 75 Vedi in A. AGOSTI, Rodolfo Morandi, p. 445

37 Ma la gestione della Sinistra, tra il congresso fiorentino del ’49 e quello milanese del ’53, teorizza sempre meno l’unità d’azione, praticandola invece in tutte le lotte nelle quali il PSI si inserisce.

Nel discorso fatto al IV congresso della FGS a Modena nell’aprile ’50, Morandi definisce la natura ideologica del socialismo, nella quale le differenze con i comunisti si limitano al solo piano identitario, e non pratico, rimarcando la politica nazionale come unico marchio distintivo dei socialisti. Sul fronte dottrinale è esplicita la rivendicazione dell’ideologia marxista-leninista, per alcuni strumentale, che assieme alle lotte sociali rappresenta l’antidoto dei socialisti durante la fase dell’anticomunismo e della Guerra fredda. In particolare esso è utile per marcare le differenze con la socialdemocrazia che fa dello antistalinismo la cornice ideologica della riacquistata autonomia di fronte alla borghesia. La caratterizzazione dell’internazionalismo e del partito, che lo allinea alla stragrande maggioranza della sinistra italiana, permette di ottenere una maggiore omogeneità interna anche se è la sua più volte ribadita concezione anticapitalistica della lotta di classe per il rovesciamento del sistema, che lo differenzia da Togliatti. Il frontismo assume, dunque, la funzione di risposta di classe alla borghesia nazionale.

Con il mutamento del quadro internazionale cambia anche la politica socialista, che rida maggior vigore agli aspetti distintivi dell’alternativa socialista del ’53 e del dialogo con i cattolici del ’55, dando nuovamente al PSI il ruolo di cerniera con le forze democratiche e piccolo-borghesi, al fine di sottrarre la classe operaia dall’isolamento. La proposta viene avanzata un anno dopo l’appello fatto ai “socialisti di sinistra dei partiti del Comisco per un’azione unitaria in difesa della pace nel mondo” 76 in occasione del sessantesimo anniversario del partito. Insieme ad altre forze minori, e a singole personalità del socialismo occidentale e nordeuropeo, si cerca di confrontare l’imminente congresso genovese dei socialdemocratici con quello della neocostituita Internazionale socialista, dalla quale si auspica un atteggiamento diverso rispetto alla recente frattura, grazie a dei segnali positivi giunti dagli ultimi congressi dell’SPD tedesca e del Labour Party inglese. Ma ciò non avviene. In osservanza al legame con lo stalinismo, in occasione della morte di Stalin, la Direzione nazionale paga il suo tributo alla guida ferma e sicura, inchinando le proprie bandiere di fronte alla salma del leader sovietico appena scomparso e Nenni guida insieme a Togliatti, la delegazione italiana ai funerali a Mosca. Danilo Ardia colloca proprio in questi anni, apparentemente di fortuna per il socialismo di sinistra e ancora contrassegnati dal rispetto delle liturgie filosovietiche, l’inizio della svolta di Nenni per quell’alternativa socialista che si inserisce nel processo di progressiva distensione internazionale.77 Così, se emergono i leaders dei paesi non-allineati, come il cinese Zhou Enlai e l’indiano Nehru, in Europa e in Italia è più complicata l’azione per quelle forze dell’atlantismo oltranzista sostenute da De Gasperi e Sforza, mentre viceversa i socialisti possono riacquistare il loro dinamismo neutralista. Pur con le parziali reticenze dell’apparato, ma con il sostegno di Lombardi e dei gruppi autonomisti, il partito assume le posizioni di Nenni, aprendo

76 M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, cit., p. 167 77 Ivi, p. 182

38 sia sulla NATO in funzione difensiva, sia astenendosi in parlamento sulla risoluzione dei problemi del confine orientale che accetta lo status quo con la Jugoslavia, e che saranno confermati in seguito dal Trattato di Osimo. Il dinamismo socialista continua a guardare ad est in politica estera: la richiesta di aprire relazioni commerciali e diplomatiche con la Cina popolare all’indomani della visita ufficiale alla fine del 1955, è finalizzata a consolidare la politica dell’apertura a sinistra. Inoltre, in conseguenza al XX Congresso del PCUS del febbraio ’56, e dopo lo scioglimento del COMINFORM nell’aprile del’56, si procede al progressivo disimpegno dal Movimento dei partigiani per la pace criticando e contrastandone diverse prese di posizione; il cordone ombelicale con lo stalinismo sarà definitivamente tagliato in occasione della crisi ungherese del’56, con la denuncia dell’invasione da parte delle truppe sovietiche, e con la donazione dei 15 milioni di lire del premio Stalin, ricevuto da Nenni, alle vittime della repressione sovietica.

Non sono del tutto chiare le conseguenze della linea intrapresa da Morandi e dalla maggioranza del gruppo dirigente nel rapporto con la DC e le masse cattoliche. La stretta collaborazione con il corso intrapreso da Nenni dal ’51 in poi e lo scontro vinto contro Basso, potrebbero indicare un’adesione al nuovo progetto autonomista, che puntava alla fuoriuscita dal frontismo, come sancito a Torino e concretamente applicato anche in Sicilia da Panzieri. Una visione dicotomica tra i due leaders socialisti rischia di essere una forzatura polemica contingente alla scissione del ’64. Anche studiosi critici dell’autonomismo riconoscono la continuità della politica di Morandi con quella di Nenni, che avvia così il passaggio verso la fuoriuscita dal frontismo, che non riuscirà a vedere compiuta, ma che contribuisce a preparare fin dal congresso torinese.78

78 Vedi in S. MERLI, La politica unitaria, p. 255

39 2.2. L’ORGANIZZATORE DEL PARTITO “Al di sopra del Partito ho sempre posto la causa dei lavoratori, la causa del popolo, nella convinzione che il Partito non avesse il diritto di chiedermi di più.”79

Le grandi capacità organizzative di Morandi per la ricostruzione del Partito socialista, sono unanimemente riconosciute dalla storiografia. La responsabilità organizzativa del partito gli viene assegnata già dal Consiglio nazionale del luglio ’45, in preparazione del congresso fiorentino; è il riconoscimento del prestigio accumulato per aver sempre dimostrato attenzione e sensibilità alle strutture dell’organizzazione che, salvo nella breve parentesi ministeriale, rimangono sempre nelle sue mani. Quella di Morandi è una riflessione che parte quantomeno dalla Resistenza, durante la quale l’afflusso imponente di masse di giovani e lavoratori che entrano sulla scena politica, dimostra la disponibilità alla militanza politica nei partiti di sinistra. Una “massa vagante”80 che, dopo il ventennio fascista, la guerra e le distruzioni avvenute, riflette le composizione di un paese e di una popolazione fortemente differenziata sia socialmente che geograficamente. Il PSIUP, partito con la maggiore esperienza e tradizione, non era stato concepito prima d’ora come un’organizzazione per la conquista del potere, ma solo come uno strumento d’agitazione, la cui macchina elettorale era subordinata all’azione parlamentare;81 ora si trovava a competere anche con il PCI che da partito di quadri si trasformava in organizzazione di massa, il partito nuovo. Inoltre la riorganizzazione su base territoriale era il portato di un organizzazione tipicamente elettoralistica. Ma nella concezione morandiana si voleva andare oltre la tradizione comunista e socialdemocratica, basate sulla presa del potere con l’appoggio delle masse, piuttosto che sull’esercizio del potere da parte delle masse. Dal ’44 in poi il dibattito rimarca queste differenze ma la frammentazione del partito, preso dalle controversie politiche aperte che relegano in secondo piano l’aspetto organizzativo, non contribuisce a mettere in pratica quanto stabilito.

Quindi i primi risultati della gestione Morandi sono legati allo sviluppo estensivo del Partito piuttosto che a quello intensivo, dove primaria è la circolazione delle idee e delle esperienze interne per aumentare le adesioni. Il metodo che si introduce è quello della collegialità e della responsabilità di fronte agli iscritti, che deve infondere il senso del partito in una struttura fortemente frammentata. Il suo modello organizzativo non era di tipo competitivo, ma distintivo, che ribadisse la sua adesione al marxismo non come ideologia universale ma come dottrina politica. E’ essenziale per Morandi rifuggire sia dal vecchio modello pre-fascista, che si basato sulla propaganda, sull’attività del gruppo parlamentare, su personalità prestigiose e su grandi sezioni cittadine, sia su quello basato essenzialmente sul centralismo democratico che riscontra numerose limitazioni della vita interna di partito.

79 R. MORANDI, Al partito, ai miei compagni, in Il Partito e la classe, in A. AGOSTI, Rodolfo Morandi, cit., p. 464 80 Ivi, p. 453 81 Vedi in M. RIDOLFI, Il PSI e la nascita del partito di massa.1892-1922, Laterza, Bari,1992, p. 17

40 Nel 1946 il modello morandiano, rifiutando fusioni, bolscevizzazioni e anticomunismo, mostra di andare autonomamente alla ricerca di forme originali, senza la tutela di chi medita di poter pensare ed agire per conto della base del partito, forzandola con delle formule rigide.82

L’esperienza governativa comporta il momentaneo passaggio di consegne a Ivan Matteo Lombardo. Durante questa fase, lo scontro interno si fa sempre più aspro in particolare con la destra, che antepone alla riforma statutaria di Basso, sulla quale si ritrova anche Morandi, quella di Faravelli. Ma questo dato di cronaca polemica passa in secondo piano rispetto allo smottamento che, in pochi anni, dalla scissione del ’47 fino al XXVIII congresso del maggio ’49, vede dimezzarsi della metà il numero degli iscritti al partito decretando così la sconfitta del progetto di riforma avviato d Basso.83 La segreteria centrista di Jacometti e Lombardi che a Genova ha prevalso sulla Sinistra esclude Morandi dalla Direzione, che si dedica al lavoro di elaborazione politica e ideologica della corrente; dopo la vittoria al congresso di Firenze è rieletto a responsabile della “Sezione organizzazione e quadri” e darà l’avvio alla svolta morandiana. In due anni circa il numero degli iscritti passa da 400 mila a 700 mila, con un’adeguata strutturazione in tutto il Paese, inclusi il Mezzogiorno e le isole, comprendendo la diffusione delle strutture operaie dei Nas; è adottato il disegno bassiano dei politici di professione che valorizza molti giovani quadri, tra i quali ci sono Raniero Panzieri, Venerio Cattani (negli anni 80 finirà nel PSDI) e Dario Valori, ultimo Segretario del PSIUP nel 1971. I risultati ottenuti non sono dovuti solo alle doti di grande organizzatore ma anche alla capacità con cui collega il partito all’azione di massa. Così facendo riesce a convertire la mentalità e il modo di essere del socialismo italiano, fino ad allora arroccato nelle tradizionali funzioni di guida di periodiche campagne, sia d’opinione, sia elettorali che parlamentari, rispetto a quelle nei movimenti di massa, dove è necessaria la spinta organizzata di tutte le forze vive che si possono mobilitare: sarà quel peso specifico che fa del Partito socialista “uno strumento di lotta, ossia come macchina che ingrana la materia concreta, viva dell’azione politica”.84 Grazie alla capacità di sedare le lotte intestine, ricostruendo il tessuto connettivo tra le varie strutture del partito, ridà alle sezioni e alle federazioni un ruolo attivo come strumento del partito sul territorio, dotato anche di dirigenti all’altezza. La ricerca si basa sul rigore interno a discapito del frazionismo degli ultimi anni: alla destra è lasciato il diritto di criticare la linea del partito, ma solo all’interno della solidarietà con i comunisti, pena la minaccia di espulsione dal partito; alla sinistra di Basso, che chiama pseudo-sinistra, è rimproverata una sorta di velleitarismo verbale che mette a rischio il legame con le organizzazioni di massa, e pertanto apertamente osteggiata.85 I risultati ottenuti sono il frutto di uno sforzo notevole che il gruppo dirigente compie, sia dal punto di vista economico, sia di ricollocazione di quei dirigenti legati a Morandi, come Panzieri che viene mandato in Sicilia, ma che permette il

82 Vedi in S. MERLI, Il “partito nuovo”, p. 70 83 Vedi in A. AGOSTI, Rodolfo Morandi, p. 457 84 R. MORANDI, Intervento conclusivo al convegno organizzativo sindacale lombardo, in Il Partito e la classe, in A. AGOSTI, Rodolfo Morandi, cit., p. 459 85 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 126

41 rafforzamento dell’apparato in quelle regioni che hanno risentito particolarmente della scissione, come il Veneto, l’Emilia, la Puglia, la Calabria e la Sicilia. Anche nel movimento giovanile si provvede alla creazione di nuovi nuclei di quadri (utili appunto anche in zone in difficoltà) assegnando la ricostruzione a Dario Valori, al posto dell’uomo di Basso, Luigi Ladaga sostituito dopo il IV congresso della FGS. Così nel 1953 si può contare su un aumento del 71% dei quadri organizzativi all’interno del partito e delle organizzazioni di massa con un’età media di poco superiore ai 30 anni. Dal ’50 al ’54 le sezioni territoriali aumentano da 5.936 a 7.385, mentre i NAS passano da 720 a 1.412; i nuclei territoriali da 566 a 2.741 ed i collettori socialisti (coloro che riscuotono i contribuiti del tesseramento), nel biennio ’50-’52, passano da 2.503 a 7.704 unità.86 Nonostante ciò rimangono le difficoltà nel movimento sindacale aggravate sia dalla scissione nella Cgil dei riformisti legati a Romita, che fondano la UIL, sia dagli effetti della crisi industriale che rende il Partito poco omogeneo a livello territoriale, con una concentrazione prevalente al Nord ed in particolare in Lombardia ed Emilia Romagna.

Sul rapporto tra il partito e le organizzazioni di massa il lavoro è costante e, differenziandosi dai comunisti, sostiene la capacità aggregativa degli impulsi unitari presenti nei movimenti di massa, rispetto all’idea del portatore esterno della coscienza rivoluzionaria.

Il limite principale che incontra Morandi è riconducibile alle difficoltà del partito, le cui strutture restano organicamente incapaci di far fronte ai nuovi compiti, in quanto persistono nel PSI le vecchie abitudini elettoraliste. A tutto ciò va aggiunta la non secondaria concorrenza di un PCI monolitico, ed insuperabile punto di riferimento per la classe operaia e per la maggior parte dell’elettorato di sinistra. Ciò comporta, almeno fino alla svolta successiva ai fatti d’Ungheria, l’adozione di una prassi burocratica che determina una parziale limitazione delle democrazia interna, in particolare dopo il collasso della fine degli anni ’40. Prevalgono le misure centralizzate che permettono alla Direzione il controllo sull’applicazione reale della linea politica, affinché non sia messa sistematicamente in discussione da un partito precariamente ancorato nella classe, che continua a mantenere anche le caratteristiche da movimento d’opinione con tendenze accademiche. Le dimostrazioni più vistose di tale atteggiamento sono le misure che emarginano Basso dagli organismi direttivi, nel periodo che va dal ’49 al ’51, quando è decisa la ricostruzione del tessuto organizzativo. Anche con queste metodi si forma nella memoria dei posteri il famigerato apparato morandiano, descritto come una macchina stalinista, ristretta e soffocante, che assume le caratteristiche di una casta burocratica. Per mezzo di questo egli è in grado di esercitare un’egemonia effettiva, tramite la tanto mitizzata dittatura dell’apparato. Anche se tale struttura era stata formata inizialmente da Basso, negli anni successivi l’eredità del lavoro fatto da Morandi è rivendicata sia dagli autonomisti, che ne vedevano la riacquistata libertà, sia dalla Sinistra. E’ difficile separare e contrapporre in questo periodo le figure di Nenni e Morandi, così diverse eppure così simbiotiche nel condividere gli aspetti principali della

86 Ivi, p. 127

42 politica frontista; il partito era tanto morandiano quanto nenniano, considerando che in questi anni il prestigio del segretario generale, anche all’estero, si espande e si consolida a tal punto da rendere impossibile una alternativa a lui, con una figura altrettanto autorevole che emerga tra le fila dell’opposizione di sinistra anche alla fine degli anni ’50.87 Nonostante ciò i frutti del suo lavoro comportano un approfondimento oggettivo del legame con la classe operaia, oltre che dello sviluppo politico del partito, a cominciare dall’istituzione dell’Istituto di studi socialisti, da lui diretto dal ’45 al ’49, quando poi gli succede Panzieri; l’istituto diventa la fucina del nuovo quadro socialista, distante dal modello avvocatesco del socialismo tradizionale, ma più sensibile alle esigenze concrete delle forze sociali. Ma la morte prematura gli impedirà di assistere a tutti i cambiamenti che, anche grazie ai suoi spunti ed alle sue elaborazioni, da lì a qualche anno avrebbero investito le forze politiche della sinistra lasciando molte tracce concrete del lavoro di Rodolfo Morandi.

87 Ivi, p. 123

43 3. IL LUNGO CAMMINO VERSO LA STANZA DEI BOTTONI I primi segnali concreti del cambiamento profondo della strategia socialista cominciano con la politica locale che nel partito è seguita da uno dei quadri morandiani per eccellenza, Lucio Luzzato. Dopo il varo della nuova legge elettorale proporzionale, favorevole alla politica autonomista la Direzione socialista propone ai partiti di Centro-sinistra un’intesa per la formazione di nuove amministrazioni locali in vista delle elezioni che si sarebbero tenute il 27 maggio 1956. Il risultato dei socialisti, alleati con il Movimento di Unità popolare di Bonacina e Calamandrei, è significativo tanto da diventare a Milano il secondo partito aumentando i consensi dal 14,1% al 20,1% a danno, tanto del PSDI, che del PCI. Il progetto di estensione delle giunte di Centro-sinistra era elaborato anche con il moderato consenso dei comunisti, i quali auspicano delle amministrazioni verso le quali potersi almeno astenere, anche se Togliatti individua in ciò il rischio del progressivo distacco ed isolamento del suo partito dal PSI. Il 7 e 8 giugno del 1956, il Comitato centrale del PSI stabilisce la linea per la composizione delle giunte locali individuando i partiti con i quali è possibile raggiungere intese. Si prospetta questa ipotesi comprendendo sia la DC che il PSDI, con l’esclusione della destra economica incarnata dai liberali; sono ritenute possibili sia delle coalizioni di minoranza, senza la DC, sia organicamente di Centro-sinistra. Alle deliberazioni di questa importante riunione, alle quali danno il beneplacito anche i dirigenti dell’Internazionale socialista che vedono in esse le prospettive per la riunificazione dei socialisti italiani, segue l’indisponibilità democristiana, ferma alla formula della stabilità democratica del quadripartito, che impediva l’attuazione di ogni possibile svolta. Ma i presupposti per il futuro assetto governativo sono stati gettati.

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3.1. IL 1956, IL “GRANDE ANNO” Il 1956 per la storia del movimento operaio internazionale è cruciale. A metà febbraio comincia la prima assise congressuale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica dopo la morte di Stalin, seguita per il PSI da Luigi Fossati dell’”Avanti!”. Le attenzioni della stampa internazionale iniziano a concentrarsi sulla critica della nomenklatura sovietica e di Chruscev al culto della personalità staliniana, che punta a favorire una maggiore collegialità dopo il periodo di accentramento nelle mani dello scomparso leader sovietico. Inoltre il dibattito congressuale apre alle prospettive di diverse vie nazionali e parlamentari al socialismo. A tale proposito Basso, intervenendo sul quotidiano di partito, cerca di dare una valenza ideologica coerente a tali novità mettendo in evidenza comunque la distinzione che, all’interno del movimento operaio esisteva, tra le vie al socialismo, senza che ciò comporti la messa in discussione dell’internazionalismo.88 Il dibattito del congresso moscovita è seguito con prudenza dai socialisti, anche se le prese di posizione di Nenni portano all’accelerazione della svolta autonomistica tanto che, alla Direzione convocata in marzo da Nenni e De Martino, è posto il problema dell’accettazione senza riserve del metodo democratico, anche se per ora è tenuto distinto dalla via parlamentare, per evitare le critiche da sinistra. Gli “unitari” della Sinistra hanno ricevuto rassicurazioni sulla non messa in discussione del patto d’unità d’azione da Mazzali, il braccio destro di Nenni. Ma tra le fila della Sinistra gli orientamenti si differenziano fra chi, come Panzieri, ritiene che un movimento in avanti si è innestato ed è necessario inserirvi coinvolgendo i comunisti, e chi come Lussu, preoccupato dell’anticomunismo che ciò può generare, si riavvicinava al PCI attaccando Nenni per le conseguenze e le forzature della sua svolta.89 Nenni cerca di storicizzare le accuse a Stalin e coglie ampiamente la portata della svolta; pone quindi al centro del dibattito il rapporto tra la democrazia e il socialismo, criticando e mettendo in discussione anche la scissione di Livorno, per valorizzare al massimo la via parlamentare che è quella da imboccare. La violenza rivoluzionaria è quindi marginalizzata dalla storia, e rimane plausibile solo per la difesa delle istituzioni democratiche, come avevano sostenuto i riformisti agli inizi del Novecento. Nel dibattito tra socialisti e comunisti, il “rapporto Chruscev” contribuisce ad aumentare le differenziazioni sul nodo centrale, che è il leninismo, come afferma il segretario socialista su “Mondo operaio” nel giugno del ’56.

Con l’articolo “Nessun revisionismo, nessuna capitolazione” in risposta a Fanfani che suggeriva ai socialisti la strada di Saragat, Tullio Vecchietti sostiene la posizione nenniana cercando di correggerne la portata, mentre Basso, in una lettera a Nenni, avanza una critica risoluta al sistema stalinista di cui condivide l’accantonamento del concetto di dittatura del proletariato per mettere al centro la via italiana al socialismo, di natura democratica e guidata dal PSI.90 Il 26 agosto ci sarà l’incontro di Pralognan, piccolo comune montano nella Savoia francese, tra Nenni e Saragat che si inserisce nel contesto collaborativo iniziato dopo le elezioni amministrative per la formazione delle giunte. La sorpresa

88 Ivi, p. 202 89 Ivi, p. 204 90 Ivi, p. 208

45 dell’avvenimento non annunciato, ma fortemente voluto da Pietro Nenni, è tale da aprire la strada all’unificazione socialista essendoci il supporto anche dall’Internazionale socialista. La diffidenza di Saragat, ed i reciproci problemi con le minoranze interne, contribuiscono a creare un clima di generale ostilità. Per il PSDI e l’Internazionale socialista è determinante forzare il distacco dai comunisti, mentre per la Sinistra socialista di Vecchietti, Valori, Luzzato, Malagugini e Lussu, qualora l’unità socialista si faccia nella prospettiva di contrastare la DC, si devono mantenere i rapporti unitari con il PCI senza mettere la sordina alle critiche verso la socialdemocrazia. Basso, che ha riacquistato di nuovo una posizione di rilevo dopo la scomparsa di Morandi, si presenta come uno dei più strenui oppositori della strategia nenniana, mentre a favore del segretario si schiera Riccardo Lombardi. Solo la persistenza della prassi unanimistica per ora non fa emergere i dissensi interni. Ma la prudenza dell’apparato morandiano si scontra sempre di più con le indicazioni di Nenni, che più volte minaccia le dimissioni qualora si interpreti con troppa prudenza la sua linea. Togliatti nel frattempo aumenta il tono della polemica nei confronti del segretario socialista, accusandolo di deriva socialdemocratica mentre anche dalla DC, riunita a congresso a Trento, non provengono significative aperture, ma solo gelo e diffidenza.

In questo quadro complesso si inserisce il precipitare della crisi ungherese che il 24 ottobre vede l’invasione delle truppe sovietiche a sedare la rivolta. Tra i socialisti le posizioni sono differenti e creeranno un solco profondo con i comunisti, i quali fin dall’inizio avevano sostenuto la tesi del “putsch controrivoluzionario”. Per Tullio Vecchietti, nella guerra civile ungherese non ci sono solo reazionari, ma anche e soprattutto studenti e intellettuali che richiedono più libertà all’irremovibile gruppo dirigente. Nel gruppo dirigente socialista si oscilla, tra la difesa della democrazia popolare tradita dagli stalinisti al potere e dall’URSS, e la condanna del sistema sovietico, che per Nenni si è trasformato da internazionalista a colonialista. Si critica la stampa ufficiale che specula sulla vicenda, ma si difendono i rivoltosi che si battono per una vera democrazia popolare. Per Basso è necessario recuperare il socialismo della libertà e non sottovalutare il portato della destalinizzazione.

All’interno della Cgil l’influenza delle posizioni critiche dei socialisti determina, da parte di Di Vittorio, una presa di posizione solidale con i lavoratori ungheresi, nella convinzione che non vi siano forze di popolo che vogliano il ritorno al capitalismo, anche se, pochi giorni dopo, i sindacalisti comunisti si uniformano alle direttive di partito.

Al Comitato centrale del novembre 1956 le posizioni divaricano fin dall’inizio, anche se alla termine la mozione è approvata unitariamente, secondo i canoni morandiani. Sul tema dell’unificazione socialista, l’ambiguità alla quale si costringe Nenni è sistematicamente utilizzata da Lombardi per forzare in senso autonomista le sue dichiarazioni, e per questo la Sinistra, tramite Panzieri, Petronio e Lussu, accusa il Segretario anche per l’incontro con Saragat a Pralognan.

46 La Sinistra sostiene l’impossibilità di accomunare lo stalinismo al comunismo, come fa Lombardi, e perciò ribadisce la solidarietà al movimento operaio internazionale e al mondo socialista, riconoscendo implicitamente il ruolo guida dell’Unione Sovietica sia nei paesi dell’est sia in quelli occidentali, dove i comunisti sono all’opposizione. Per tali posizioni Lussu, Pertini ed altri vengono etichettati come i “carristi”, cioè sostenitori espliciti dell’intervento dell’Armata Rossa. Per questa parte della Sinistra, è prioritaria la conferma della solidarietà e l’unità con il PCI. Basso, insieme a Brodolini, cerca di tenere ferma la propria posizione mediana, con l’aspirazione di diventare l’ago della bilancia negli equilibri interni. Raniero Panzieri, che tatticamente si affianca alla Sinistra, distingue la propria analisi contrastando sia quelle posizioni che ritiene settarie, sia quelle di natura riformista e anticomunista; il suo intento è di scrostare la politica unitaria del vetero-stalinismo, che ancora la contraddistingue, iniettando le innovazioni che emergono dai settori del neomarxismo e delle avanguardie presenti nel sindacato e nel Partito.91

La polarizzazione interna contribuisce a far avanzare la corrente autonomista che vede schierati oltre a Nenni, anche De Martino, Tolloy, Venturini, Cattani e Pieraccini, cioè buona parte della vecchia corrente centrista di Jacometti e dell’apparato morandiano.92 Questi strappi confermano la tesi di chi ritiene lo stalinismo nel PSI una caratteristica politica da cui il Partito si libera con una relativa facilità, mentre nel PCI è un fattore congenito ed implica maggiori difficoltà. Il processo di unificazione per ora si arrestata, e comincia per il PSI un lungo e travagliato processo che accomuna tutta la sinistra socialista europea, dato che, in Francia la SFIO, pur con un buon risultato elettorale è travolta dalla guerra d’Algeria, e i socialdemocratici tedeschi si trasformano in partito popolare dopo il congresso di Bad Godesberg, che elimina ogni riferimento, anche formale, al marxismo. Secondo Maurizio Degl’Innocenti il portato storico e politico di queste vicende imposta nuovi equilibri e schieramenti a sinistra, che si dispiegheranno successivamente nell’arco di una quindicina d’anni. Con il 1956 si chiude, per una parte della storiografia, la stagione del socialismo di sinistra, i cui ultimi colpi di coda si trascinerebbero fino al 1972, con lo scioglimento del PSIUP.93 Ma gli eventi successivi, fortemente contradditori e apparentemente opposti, difficilmente avrebbero permesso una affermazione così netta.

91 Vedi in S. MERLI, Prefazione, in S. MERLI (a cura di), Raniero Panzieri. Dopo Stalin, p. XXX 92 M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 218 93 Vedi in S. MERLI, La politica unitaria tra antifascismo e guerra fredda, p. 261

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3.2. VENEZIA 1957 Le ricostruzione strisciante delle correnti che prosegue assieme alle differenziazioni dei capi-frazione, nonostante l’unanimismo di facciata, impone una chiarificazione congressuale. La Direzione del luglio 1956 da inizio alla fase preparatoria del XXXII congresso incaricando un’apposita commissione, formata da Avolio, Menchinelli, Brodolini e Cattani, alla formulazione di una dichiarazione programmatica comune, da sottoporre agli iscritti. Nonostante l’iniziale intento, il dibattito si incentra sull’unificazione con il PSDI, sul dialogo con i cattolici e l’alternativa democratica. Quest’ultimo slogan riprende il progetto di una alleanza politica che argini il predominio democristiano, e apra alla costruzione del socialismo mediante il metodo democratico parlamentare. Si tratta della via italiana al socialismo rielaborata da Lelio Basso.

Il disgelo internazionale contrassegnato dalla coesistenza pacifica crea un clima di fervida aspettativa anche nel gruppo dirigente, che vuole evitare il pericolo di fare una scelta contingente, valida solo per la congiuntura sociale, che è ancora contrassegnata dal disagio e dalle sconfitte patite dai lavoratori, come quella della Cgil alle elezioni per le commissioni interne della FIAT.94 Nei giorni precedenti l’assise anche Angelo Roncalli, Patriarca di Venezia e futuro Papa Giovanni XXIII, saluta i congressisti con un messaggio spregiudicato e sorprendente, almeno sotto il regno di Pio XII.

Sia Basso che Vecchietti condizionano il cappello introduttivo sulla difesa dell’internazionalismo operaio, sulla conquista del potere per la liberazione dei popoli, sulla via pacifica al socialismo e sulla democrazia intesa come una conquista voluttuaria all’interno del capitalismo. Le argomentazioni della Sinistra socialista ribadiscono i concetti vicini alla tradizione frontista, piuttosto che quella autonomista; ciò avviene per vincolare il Partito nel rapporto con i comunisti, nella consapevolezza che l’iniziativa parlamentare, guidata da Nenni, si può caratterizzare per un indirizzo più autonomo.

Quello che maggiormente contrasta con la filosofia antisistema sono le proposte programmatiche sull’intervento pubblico, basato sulle nazionalizzazioni che siano in grado di orientare il sistema allo sviluppo economico e al mercato: queste, che diventeranno le parole d’ordine degli autonomisti e saranno contrastate aspramente dal futuro PSIUP, sono oggi la rivendicazione accetta da tutti.

Nel dibattito che si apre al teatro San Marco di Venezia il 6 febbraio 1957, il gruppo legato a Basso sviluppa le tematiche del programma per impostare l’alternativa democratica, mentre la maggioranza sottolinea con maggiore intensità il tema dell’apertura ai cattolici, intesa come un’apertura a sinistra per “una lotta democratica a lungo raggio, nella quale via via si possono porre le premesse

94 Vedi in G. AVOLIO, Venezia 1957: alternativa e unità. Un dibattito ancora attuale, in Il Ponte, Firenze 1992, n. 6, p. 333

48 economico-sociali del socialismo, in una logica sostanzialmente ancorata al collettivismo”.95 Un certo massimalismo nenniano presente nel dibattito e nei documenti, è il tributo interno a quella parte di apparato morandiano, necessario agli autonomisti, per preparare il passaggio del partito da forza d’opposizione, a forza di Governo. L’obbiettivo è chiaro per tutti, e significa completare la democratizzazione dello stato italiano disegnato nella Costituzione, pacificamente e senza insurrezioni popolari.

A fronte alla sfida autonomista la Sinistra sostiene, con argomentazioni talvolta contraddittorie, l’introduzione di importanti novità politiche anche se ancorate al frontismo unitario. Luzzato e Lussu chiedono maggiore collegialità per evitare altre Pralognan, mentre Foa propone la valorizzazione del sindacato e delle organizzazioni classiste per la costruzione della democrazia socialista. Anche per i socialisti critici, l’autonomia politica del Partito è necessaria per la salvaguardia della propria natura classista;96 non sono quindi posizioni puramente arroccate sulla riproposizione degli schemi frontisti ma, salvaguardando il rapporto con il PCI, puntano a spostare gli equilibri politici a sinistra.

Le correnti che si sono ricomposte (e che alloggiano in separati alberghi veneziani, contraddistinti da un continuo via vai di emissari), trattano con difficoltà perché, nonostante l’evidenza, permane la prassi del centralismo morandiano; nonostante ciò, quest’appuntamento, è ritenuto il primo del dopo guerra nel quale si sia votato con assoluta libertà e senza pressioni, grazie al voto segreto che sostituisce l’alzata di mano con le deleghe.97 Agli osservatori sono evidenti almeno quattro raggruppamenti correntizi: quello riformista che lega le riforme di struttura alla democrazia, riconducibile a De Martino e Lombardi; un altro istituzionale, che punta a rinnovare il ruolo dei socialisti nell’attuale assetto politico rispetto alla DC e al PCI; quello operaista,fautore dei consigli di Panzieri e Libertini e quello dell’alternativa democratica di Basso, Avolio, Santi e Brodolini (questi ultimi poi passano con gli autonomisti), ai quali si sommano i morandiani di Valori, Vecchietti, Menchinelli e Corallo, che prediligono gli aspetti organizzativi a quelli politici.98

Dal canto suo Pietro Nenni rilancia il tema della democrazia con una dichiarazione di fede che non lasciava spazio ne a equivoci o ambiguità, ne a distinzioni tra democrazia socialista o borghese, ne tra specie diverse di libertà. Dicendo democrazia non enuncia solo una finalità, ma un metodo ben preciso. In politica estera, in conformità con Costa, Treves e Turati, rilancia il neutralismo, si schiera sia per il rafforzamento dell’ONU, sia per il blocco dei paesi non-allineati e per un ruolo autonomo dell’Europa aprendo poi alla costituzione del MEC, con l’astensione votata in Parlamento nell’estate del 1957.

95 L. BASSO, Dibattito precongressuale, Mondo Operaio, gennaio 1957, in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, cit., p. 221 96 G. AVOLIO, Venezia 1957, p. 333 97 Ivi, p. 337 98 Ivi, p. 335

49 La priorità della politica interna è assunta dai problemi socio-economici: si punta all’incremento degli investimenti e dei redditi tramite il piano socialista, oltre che alla piena applicazione della Costituzione. La programmazione economica è quello strumento operativo che governa lo sviluppo e garantisce i valori di libertà, giustizia e uguaglianza, in un periodo nel quale, gli squilibri derivanti dalla competizione internazionale trovano soluzione sia con la politica del riarmo (anche nucleare), sia con un progressivo impegno dello stato che può colmare le carenze dei privati. E’ una strategia che risulta funzionale anche agli interessi della borghesia italiana.

La conclusione del congresso è alquanto difficile nella ricerca di un compromesso con la componente bassiana. Le difficoltà non si presentano tanto nelle concessioni di principio alla Sinistra, che non ostacolano le prospettive nenniane, quanto nelle ambiguità rimaste che permettono differenti interpretazioni.

La storiografia del secondo dopoguerra, e quella di matrice socialista, considera l’assise veneziana come un evento dalla portata storica in cui è stata consacrata la svolta autonomistica e il distacco definitivo dai comunisti, poi mutilata dall’elezione dei gruppi dirigenti frutto dei molti equivoci di fondo lasciati in sospeso, pur di concludere unitariamente il congresso.

La tesi dell’apparato ostile che s’ingegna un colpo di mano ai danni di un Nenni sprovveduto, è considerata poco credibile. Le concessioni agli autonomisti necessitano di una garanzia alla Sinistra nelle posizioni utili al controllo del partito, e della linea approvata: nelle votazioni per il Comitato centrale Nenni subisce lo smacco di essere eletto secondo nella lista, dopo Foa e prima di Santi, i due sindacalisti socialisti. Emilio Lussu sostiene che “[…] al congresso di Venezia la sconfessione del segretario del partito fu pubblica e clamorosa; ma talmente imprevista che la Sinistra […] sotto la preoccupazione di disorientare il partito mutandone il Segretario politico, disorientò se stessa e dovette alla fine accettare le condizioni che egli impose per rimanere alla testa della direzione del Partito”.99 Del precedente Comitato centrale, 23 membri non sono confermati. Dei nuovi, 12 sono autonomisti (tra i quali un giovane ), sei bassiani e sei della Sinistra così da dare a Nenni 30 voti, alla Sinistra 40 e a Basso 13. Per la composizione della Direzione Nenni invece riesce ad imporsi minacciando la sua indisponibilità ad assumere la Segreteria, costringendo a non farne parte tra gli altri a Pertini, Lussu, Tolloy, Luzzato e Panzieri. La Sinistra ottiene solo nove dei suoi uomini, mentre Basso, con tre membri, diventa l’ago della bilancia affianco agli undici nenniani eletti. La votazione finale per l’elezione del Comitato centrale, con 5 astenuti e il voto contrario di Cacciatore e Malagugini, rende bene il disagio complessivo per un equilibrio precario. Nella formazione dell’Esecutivo e nella ripartizione delle responsabilità Nenni impone il suo punto di vista, inserendo alcuni dei suoi fedelissimo tra i quali Mazzali e De Martino. Vecchietti, ormai leader della minoranza, lascia la direzione dell’“Avanti!” mentre Panzieri assume quella di “Mondo operaio” e l’incarico di ricostituire l’Istituto di studi socialisti; anche gli incarichi di Gatto, Valori e Matera

99 E. LUSSU, XXXV Congresso nazionale del PSI, Milano 1964, in G. GALLI, Storia del socialismo italiano, cit., p. 222

50 per la Sinistra sono mantenuti ma agli Enti locali, strategico per la formazione delle giunte comunali, è nominato l’autonomista Pieraccini. La suddivisione interna è quindi, più che un golpe contro l’anziano leader, una divisione dei posti secondo i reali rapporti di forza usciti dal congresso a favore di Vecchietti e Basso.100 La stampa è invece concorde nel dipingere Nenni in minoranza e prigioniero della Sinistra. Ma la conferma del carattere classista del Partito comprensivo dell’accettazione della solidarietà con il PCI - anche se ormai non si stipulano più quei patti, vissuti in modo subalterno, ma dei nuovi rapporti all’insegna della libertà d’azione sia in campo politico che sindacale – è una richiesta, oltre che dei nenniani, anche della Sinistra. Anni dopo, Dario Valori considererà questa come una vittoria di Pirro della sinistra socialista, guidata da dirigenti molto giovani, cresciuti nel Partito e non ancora in grado di contrapporsi frontalmente al capo indiscusso, soprattutto senza il chiaro sostegno dell’unica possibile alternativa di peso, cioè Lelio Basso.101 Con quel risultato, oltre a dimostrare i limiti della sinistra interna, si blocca il processo verso la fusione con il PSDI, mentre entrano nel Partito quelli dell’Unione Socialista Indipendente di Magnani, Cucchi e Libertini (ma solo quest’ultimo aderisce al PSI) oltre all’Unità Popolare di Tristano Codignola. Nonostante tutto Nenni individua nel congresso veneto la prima tappa del processo di unificazione, che si affermerà nove anni dopo.102 I risultati contradditori del congresso ridanno comunque slancio e vigore all’azione socialista, a tal punto da portare il Partito al 14,2% dei voti alle elezioni politiche del 1958, che rimane tra i miglior risultati raggiunti dai socialisti, dopo quello del 1946 per la costituente.

100 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 230 101 F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 192 102 Vedi in P. NENNI, Diari 1957-1966, p. 552

51 3.3. RANIERO PANZIERI: DA MORANDI ALL’OPERAISMO Dalla tribuna del congresso veneziano del 1957 si segnala per originalità e profondità analitica l’intervento di Raniero Panzieri. Partendo dall’analisi del XX congresso del PCUS e dell’URSS caratterizzate dalla staticità internazionale e dalla sicurezza interna garantite dalla disponibilità della bomba atomica e alla presunta competitività economica fornita dai piani quinquennali, Panzieri contrappone la dinamicità e originalità della rivoluzione cinese e dei processi di decolonizzazione che si andavano delineando, dopo la conferenza di Badung. La rivoluzione cinese è vista come il momento autenticamente rivoluzionario per il socialismo, senza le degenerazioni staliniste, grazie alla partecipazione consapevole e volontaria delle masse: è uno dei primi contributi alla creazione del futuro mito cinese (paese che Panzieri ha visitato con la delegazione socialista tra il settembre e l’ottobre del ’55, incontrando personalmente il Presidente Mao Tse-Tung), che si aggiunge a quello dell’autogestione jugoslava, e punta alla conseguente valorizzazione della politica estera dei paesi non-allineati. La critica di Panzieri alla dirigenza sovietica è di non sufficiente coerenza nell’interpretazione del XX congresso, del quale era necessario, a suo giudizio, portare fino in fondo le elaborazioni, abbandonando cioè l’ideologia del partito e dello stato guida a favore della piena autonomia dei movimenti, rievocata dalla formula del “ritorno a Lenin”.

Nell’analisi economica è tra i pochi che a sinistra, superato il tradizionale catastrofismo, riconosce al capitalismo la sua capacità espansiva e di assestamento anche a costo di importanti squilibri regionali. A tal proposito era possibile per il PSI, a differenza del PCI limitato in questo dalla sua tradizione ideologica, avere un ruolo incisivo grazie alla sua riacquistata autonomia nell’azione di classe e nella capacità di praticare, all’interno del sistema, l’azione rivoluzionaria per l’acquisizione del potere tramite la piena realizzazione delle forme democratiche. In ambito economico ciò significa inventare nuove forme di democrazia diretta, con organismi sul modello dei consigli operai di morandiana memoria. Sono i prodromi delle “7 tesi per il controllo operaio” che da li a poco saranno pubblicate su “Mondo Operaio”. Panzieri, pur richiamandosi come molti autonomisti all’eredità morandiana, sposta l’asse delle lotte al di fuori del Partito individuando in esso, come nel sindacato, un incapacità strutturale nel rispondere alle sfide che i nuovi meccanismi produttivi richiedevano. Il lungo ed innovativo processo teorico elaborato caratterizzerà, negli anni a venire, sia la sinistra socialista, sia diverse delle organizzazioni della futura sinistra extraparlamentare, accomunate dall’influenza delle nuove teorie operaiste .103

L’azione politica e teorica di Panzieri si inserisce, piuttosto che all’interno delle vicende che hanno contraddistinto la storia della Sinistra socialista come corrente organizzata, nel filone politico del socialismo di sinistra, inteso come la politica maggioritaria del PSI dal ’43 al ’56, di cui è uno degli interpreti più creativi ed innovatori.

103 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p .223

52 La sua figura è ancora oggi oggetto di studi e valutazioni, soprattutto tra le fila del socialismo e della vecchia sinistra extraparlamentare, per capire quale può essere la più autentica e completa, se quella della preistoria, cioè dei primi anni ’50 immersi ancora nel clima del Cominform, oppure quello degli anni sessanta.104 Ciò dimostra l’estrema originalità e spessore di un pensiero in forte evoluzione e anticipatore delle tendenze che emergeranno in anni a venire.

Con il XX congresso e lo scoppio della cosiddetta “bomba K” - il rapporto Krusciov - Panzieri, pur riconoscendo a Nenni la prontezza e il coraggio con il quale riorienta il Partito e chiudendo definitivamente la stagione delle doppiezze frontiste, critica il verticismo dell’operazione. La polemica riguarda l’unificazione con i socialdemocratici, interpretata come il passaggio della subordinazione dallo stalinismo al riformismo. Egli ritiene che non c’è nulla da scoprire, tanto meno fughe in avanti da avviare, ma solo un’imponente opera di ripulitura, riscoperta e aggiornamento di una linea politica che va costantemente verificata sul banco di prova della realtà dei fatti. Le priorità da affrontare in una cornice unitaria - non svilita dalla subalternità dell’unità d’azione proposta sia dalla Sinistra, sia dal PCI - sono l’alternativa di governo e di potere, la lotta all’interno delle strutture, il controllo operaio e l’autonomia della cultura. La politica unitaria è lo strumento che permette l’unità dei lavoratori, sia rispetto alla strada socialdemocratica intrapresa da Nenni, sia rispetto al frontismo riciclato dalla Sinistra “carrista” e dal PCI, che va recuperata nell’azione rivoluzionaria, ripulita e liberata dallo stalinismo e dai condizionamenti esterni, per ridare a tale politica la vitalità che l’aveva caratterizzata anche nei periodi più difficili del socialismo, sia tra il ‘43 e il ‘48, sia nel difficile periodo “morandiano” dal ‘49 al ‘53. Per Panzieri, così è possibile l’azione di lotta all’interno del sistema sociale e produttivo, per la costruzione di nuovi strumenti di conquista del potere. La politica unitaria dev’essere lo strumento per il superamento della divisione tra comunisti e socialisti, senza attese miracolose provenienti dall’esterno, siano quelle dell’URSS, o siano quelle dell’interventismo statale proposto dai riformisti presenti nel PSI e nel PSDI. La prospettiva ricercata da Panzieri è la terza via, né socialdemocratica né comunista, ma quell’alternativa di governo e di potere, in grado di immettere i movimenti di massa nelle organizzazioni operaie.

I suoi riferimenti politici sono, oltre a Lenin, Gramsci e la Luxemburg, soprattutto Rodolfo Morandi, del cui pensiero sottolinea, da un lato la portata storica dell’elaborazione della politica unitaria,, capace di preservare la compattezza e l’incisività delle principali organizzazioni della sinistra, e dall’altro di aver mantenuto il collegamento con l’URSS che permette la valorizzazione delle peculiarità nazionali del movimento operaio per la transizione al socialismo. In questo contesto si inserisce l’elaborazione delle tesi sul controllo operaio scritte con Lucio Libertini nel biennio 1957-58 e pubblicate su “Mondo Operaio”. Se il richiamo al leninismo di Libertini recepiva maggiormente i temi classici della dissidenza comunista di sinistra, con una dura critica allo stalinismo e alla degenerazione dello stato e del partito russo, quello di Panzieri aveva dei tratti

104 Vedi in S. MERLI, Prefazione, in Raniero Panzieri, Dopo Stalin., p. 10

53 contradditori e di certo non ortodossi. In più occasioni emerge una valutazione che non considera lo stalinismo una semplice deviazione, come facevano i comunisti per riproporre nella sua interezza il modello sovietico, per cui era sufficiente riproporre il “ritorno a Lenin”, ma che criticamente ritiene inadeguato il modello russo del primo dopoguerra alla situazione italiana della fine degli anni ’50. Se il modello leninista è quella dell’avanguardia di un ristretto gruppo giacobino che opera sulle masse, in Italia, grazie al contributo specifico dei socialisti, si caratterizza per la costruzione di istituti e obbiettivi socialisti nel corso delle lotte di massa. La terza via prende la forma della rivoluzione democratica che trova, nella piena applicazione della Costituzione, il suo naturale terreno di sviluppo grazie al ruolo dirigente della classe operaia. Anche dopo i fatti polacchi e ungheresi Panzieri porta avanti quello che ritiene il processo di rinnovamento necessario per sfuggire alle false mitologie, frantumando il collegamento rituale tra Marx, Lenin e Stalin, criticando la concezione del partito- guida e dello stato guida, polemizzando direttamente con i comunisti italiani. A differenza dell’estrema sinistra degli anni ’70, Panzieri distinguerà lo stalinismo dal marxismo inteso come critica all’ideologia, lavorando alla sua ripulitura dal dogmatismo di maniera e dalle conciliazioni che con esso ha subito.105 Il controllo operaio non ha la pretesa di essere una novità bensì la volontà di restituire all’autonomia dei movimenti di massa il ruolo di classe dirigente per la costruzione della via italiana al socialismo. La necessità è quella di elaborare una strategia duttile che permetta la lotta sia per le riforme “borghesi” che per quelle “socialiste” affiancate da istituti nuovi - e qui c’è il principale richiamo a Morandi - in un contesto economico come quello del capitalismo italiano caratterizzato da contradditori elementi di sviluppo ed arretratezza. Nelle tesi la cultura socialista e comunista dei due autori è presente e anche foriera di elementi di ambiguità, in particolare sul tema del dualismo tra potere e tradizione democratica, ma con molti anni di anticipo si analizza la fase espansiva del capitalismo e dei suoi intrecci con lo stato e con la sua mano pubblica e la necessità di una proposta politica a partire dalla concretezza della classe operaia, e ciò significava fare una piccola “rivoluzione copernicana”. 106 Nonostante le facili accuse di operaismo e sinistrismo socialdemocratico il dibattito ha ripercussioni evidenti nella Cgil del periodo della svolta nonché tra i settori della Sinistra socialista meno nostalgica del frontismo e nel PCI che, nonostante l’iniziale indifferenza, interviene criticamente dalle pagine de “L’Unità” e di “Rinascita” in particolare con Paolo Spriano e Alfredo Reichlin anche per ristabilire l’ortodossia107.

Da dirigente del Partito in Sicilia, Panzieri sperimenta la politica dell’alternativa socialista tra il ’53 e il ’55 con le elezioni dove abbandonando in occasione delle elezioni la lista del Blocco del popolo - dopo un lungo braccio di ferro interno al PSI e con il PCI - portando il Partito ad ottenere quasi il 10% dei consensi anche grazie al ruolo svolto nelle lotte contadine e dei minatori delle zolfatare dal 1951 in poi, da quando Morandi lo aveva inviato sull’isola. Dal ’53 in poi è anche responsabile della stampa e propaganda a cui si somma, dal maggio ’55 quella della “sezione studi e

105 Vedi in S. MERLI, Prefazione, in Raniero Panzieri, Dopo Stalin, p. 21 106 Vedi in Ivi, p. 36 107 Per un approfondimento sul tema e il dibattito aperto attorno alle “7 tesi sul controllo operaio”, vedi l’antologia di Gaetano ARFÈ, Mondo operaio 1956-1965, Landi, 1966, pp. 831-909

54 attività culturali”, per dare apposita visibilità all’elaborazione socialista in questi fervidi anni. Emblematico in tal senso rimane l’esito del convegno socialista di Bologna del settembre 1954 che rivendica la necessità dell’autonomia della cultura e della ricerca dai compiti del Partito separati ma non distinti, e che porta a uno scontro frontale con Mario Alicata del PCI (anche lui nominato alla Commissione culturale dopo un lungo tirocinio politico nel meridione) considerato un sostenitore dello zdanovismo italiano. L’idea che la cultura e gli intellettuali siano il piffero della rivoluzione - dice Vittorini - e quindi sottomessi al partito, non solo mortifica la creatività intellettuale ma anche le stesse lotte operaie impedendone l’aggiornamento con le nuove analisi marxiste. Secondo Merli lo scontro che si apre è tra la classica linea meridionalista togliattiana - che individua nel movimento popolare l’attore della rivoluzione democratica data la condanna alla stagnazione del blocco agrario- industriale - e quella che Emilio Sereni definisce dell’operaista Panzieri, che individua nel nuovo assetto dello Stato dei monopoli il soggetto contro il quale è necessario il ruolo conflittuale della classe operaia meridionale. Con il congresso di Milano del ’53 il PSI si orienta all’uscita dal frontismo e Panzieri si schiera tatticamente con la Sinistra. La rottura con Nenni avviene dopo l’incontro a Pralognan con Saragat mentre le tensioni con la corrente di Vecchietti non mancano a partire dalla sua esclusione dalla Commissione Cultura e dalla Direzione dopo il congresso veneziano. La sua conduzione di “Mondo Operaio” - la splendida cosa definita da Foa – rappresenta il simbolo dell’esplosione culturale e politica che dopo il ’56 riesce ad aprirsi alle molte voci critiche presenti nel panorama socialista. In seguito esse troveranno largo seguito tra le forze emergenti del sindacalismo, della federazione giovanile socialista e dei nuovi operai e neomarxisti che daranno vita ad una terza componente, minoritaria ma vitale, a cui Panzieri si accosta senza mai fondersi. Forse questo spiega perché egli non seguirà il percorso del ricostituito PSIUP o dei vari gruppi degli anni Sessanta di cui è stato il principale ispiratore. Dopo Napoli, Panzieri è costretto a lasciare la guida della rivista e, nonostante l’ingresso nel Comitato centrale per la Sinistra, comincia a pensare ad un futuro al di fuori dell’apparato del Partito anche per l’isolamento politico del quale è oggetto. Col passare del tempo, dopo la fine di Nagy in Ungheria e la crisi delle esperienze jugoslava, polacca e cinese, oltre alla fiducia nei confronti della riforma del comunismo, viene meno anche quella nei confronti del partito e della sua funzione tradizionale, mentre prende corpo la prospettiva del gruppo sperimentale autonomo108. Per Panzieri quindi la possibilità di coesistere nello stesso partito di Nenni viene gradualmente meno fino a diventare definitiva alla fine degli anni ’60.

108 Vedi in S. MERLI, Prefazione, in Raniero Panzieri. Dopo Stalin, p. 38

55 4. L’AUTONOMISMO SI AFFERMA A NAPOLI Dopo il congresso veneziano il dibattito interno si articola e differenzia ben presto sia sul MEC, sostenuto criticamente da Nenni e Lombardo ma criticato dalla Sinistra per bocca di Luzzato e Panzieri, sia sull’unificazione dopo la confluenza di Unità popolare uscita dal PSDI. In Parlamento le mosse sono all’insegna della cautela mentre a livello locale le sperimentazioni delle giunte di Centro-sinistra procedono speditamente, in particolare per la composizione delle amministrazioni di Rovigo, Firenze e Bari, fino all’equivoca costituzione della Giunta regionale siciliana dell’ex-DC Milazzo, sostenuta dalle sinistre ma anche dall’MSI con la DC all’opposizione per circa un anno.

I contrasti in seno al gruppo dirigente e la fine della prassi unanimistica morandiana comportano la messa in minoranza di Nenni in due riunioni del Comitato centrale e in quella della Direzione Nazionale tra settembre e ottobre del 1958; le dimissioni inevitabile sono respinte solo in vista della preparazione del nuovo congresso. Mentre la polemica interna procede all’esterno Togliatti e il PCI accusano Nenni di deviazionismo socialdemocratico. La vittoria della mozione “Autonomia” - che si afferma nettamente in tutte le grandi città - che porta alla riconferma di Nenni con De Martino vice-segretario, ottiene con 273.271 voti il 58,3% dei consensi, lasciando alla Sinistra di Vecchietti e Valori il 32,6% con 153.060 voti; la mozione di Basso con 41.000 voti si assesta all’8,7%, e non è più l’ago della bilancia. E’ significativo che tutti i principali sindacalisti socialisti della Cgil stiano o con la Sinistra (Foa) o con Basso (Santi, Boni, Brodolini) anche se quest’ultimo si unisce a Nenni poco dopo il congresso.

La divaricazione politica è sempre più ampia e strategicamente divergente. Per gli autonomisti la scelta del campo occidentale e della democrazia rappresentativa (per la quale richiamano una via italiana al socialismo) non è più mera tattica ma un fine ben preciso in linea con quanto è stato definito a Torino tre anni prima.

Contro la prospettiva di Nenni, De Martino e Lombardi, Basso caratterizza la sua Alternativa democratica con l’aperta opposizione sia verso la DC che verso il vecchio frontismo con il PCI, attirandosi le critiche della destra e dalla sinistra socialista anche se, con quest’ultima, avvia un processo di progressiva cooperazione creando il settimanale “Mondo Nuovo” che sarà l’organo ufficiale del futuro PSIUP. La fusione avverrà solo col XXXIV congresso nel 1961.

Per la Sinistra l’alternativa democratica assume un carattere antitetico e contrapposto a quello democristiano e l’autonomia dei socialisti si limita al movimento di classe e alla solidarietà internazionale con i Paesi socialisti, fino ad accentuare l’importanza delle lotte di liberazione del Terzo Mondo: si cominciano a delineare alcuni dei tratti che poi diventeranno le caratteristiche della politica internazionale del PSIUP.109

109 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 259

56 4.1. L’ASTENSIONE A FANFANI La ridefinizione degli assetti politici internazionali di questi anni segno un’evidente spostamento a sinistra, a partire dalla vittoriosa entrata a La Habana di Fidel Castro, Ernesto “Che” Guevara e Camilo Cienfuegos, dalle dinamiche politiche del Congo di Lumumba, dalla cacciata del governo filoamericano in Turchia, che fanno aumentare ulteriormente l’ascendente internazionale dell’Urss.

In questo scenario la prospettiva nenniana di inserirsi nella crisi dello stalinismo per rafforzare il partito a discapito del PCI (come proposto a Venezia e a Napoli) si vanifica perché già a partire dal lancio dello Sputnik nel 1957 (oltre ad altre conquiste tecnologiche) il prestigio dell’Unione Sovietica torna ad aumentare e di conseguenza anche quello dei partiti fratelli.

Secondo Galli il PSI cerca di raggruppare attorno a sé tutta la sinistra, da quella socialdemocratica110 fino ai trotskisti; ciò comporta l’aumento della divaricazione politica tra la via democratica e quella rivoluzionaria al socialismo evidenziata anche dal dibattito sul controllo operaio.111 Livio Maitan, per esempio, partendo dall’analisi delle diverse teorie sulla concezione dello Stato, parla di una via parlamentare e socialdemocratica opposta a quella rivoluzionaria, oltre che di strutture antagoniste di contropotere operaio diverse, sia dai Consigli di gestione morandiani, sia dall’idea delle nazionalizzazioni delle industrie di Stato, ipotesi che sono invece sostenute dalla maggioranza del gruppo dirigente socialista.112

La decisione di Nenni di respingere la richiesta di gestione unitaria proposta da Vecchietti è la sanzione che ormai le due correnti si comporteranno come due partiti nel partito.

Mentre procede il difficile avvicinamento di Nenni a Fanfani avviene la protesta contro l’impronta autoritaria assunta dal neonato governo Tambroni. Il leader della sinistra democristiana, a capo di un monocolore democristiano che dev’essere di transizione, ottiene in Parlamento anche il voto del Movimento Sociale. E’ un riflesso della resistenza dura da parte degli ambienti clericali, della Confindustria e della destra DC contro la prospettiva di Centro-sinistra. Mentre Moro lavora nella DC per predisporre la nuova alleanza, il Governo in carica cerca d’imporre la tregua sociale innescando invece uno scontro aperto che sfocia nella repressione da parte delle forze dell’ordine dei portuali in sciopero a Genova - città decorata dalla Medaglia d’oro alla Resistenza - che protestano contro l’autorizzazione prefettizia al Congresso nazionale dell’MSI. La Cgil indice anche lo sciopero generale mentre nei giorni successivi nelle piazze italiane si susseguono scontri con la polizia ed a Reggio Emilia sono uccisi 5 dimostranti. Se inizialmente il ruolo socialista è significativo - a Genova il capo della rivolta è Sandro Pertini- successivamente il

110 Il MUIS di Zagari, Matteotti, Bonfantini, Faravelli e Vigorelli (Ministro del Lavoro che con le sua uscita provoca le dimissioni del Governo) confluisce nel PSI nel giugno del 1959 con 5 parlamentari, 22 membri del Comitato centrale del PSDI e quasi 10mila iscritti. La maggioranza autonomista, con 46 voti contro 34, coopta nel Comitato centrale del PSI dodici membri dell’ex sinistra socialdemocratica con diritto di voto solo consultivo, Ivi, p. 260 111 G. GALLI, Storia del socialismo italiano, p. 234 112 L. MAITAN, Occorre distinguere tra via “democratica” e via “rivoluzionaria”, Mondo Operaio n.6-7, Giugno-Luglio 1958, in Gaetano ARFÈ, antologia a cura di, Mondo operaio 1956-1965, p. 856

57 peso organizzativo dei comunisti aumenta, e si riflette nel risultato delle elezioni amministrative.113

E’ ormai evidente che il Partito socialista, al di là delle previsioni nenniane, non riesce ad essere il centro di aggregazione delle nuove spinte ed istanze sociali. La giovane sinistra politicizzata rimane diffidente nei confronti dei vecchi capi di un partito diviso fra quello che appariva come un nuovo riformismo ed un vecchio filostalinismo, mentre per i settori meno politicizzati e per i lavoratori risulta maggiormente attrattivo un PCI che, anche grazie alla Cgil, sta riorganizzando le proprie strutture dopo la crisi del ‘56-’58.

Al Comitato centrale del dicembre ’60 è decisa la costituzione delle giunte di centro- sinistra anche nelle grandi città, come Roma, Milano, Genova, Venezia, Firenze e soprattutto nella giunta regionale siciliana. Per la Sinistra l’arresto della svolta a sinistra e la propensioni ad accordi subalterni con la DC era un errore perché non limitava ma perpetuava il centrismo, mentre la politica delle cose proposta da Nenni rendeva la prospettiva dell’alternativa un guscio vuoto per un’ipotetica svolta che non arrivava mai e che imponeva comunque l’accordo con i democristiani.114

Al XXXIV congresso di Milano (15-19 marzo 1961) il partito si presenta in difficoltà. L’incontro con i lavoratori cattolici si deve coniugare con la prospettiva dell’appoggio esterno dei socialisti ad un governo per le riforme, di pace e distensione. La mozione autonomista si impone con qualche consenso in meno rispetto a Napoli in seguito all’unificazione di Basso con la Sinistra di Vecchietti ed alla presentazione di una mozione unitaria di Pertini.115 Nenni e De Martino erano confermati nei loro ruoli, mentre Pieraccini diventa direttore dell’”Avanti!” e Lombardi si rafforza dirigendo la Sezione “Lavoro di massa” oltre alla commissioni agraria, economica ed internazionale.

Superata la formula di Moro del governo delle convergenze parallele Nenni pone al Partito il tema dell’entrata al Governo nel maggio ’61. Nella maggioranza autonomista si fa sentire Lombardi che sui limiti di metodo e di contenuto di un futuro programma incalza sia la DC che lo stesso Nenni. L’accordo tra i due principali dirigenti socialista c’è anche per la risoluta opposizione della Sinistra che è sempre di più ritenuta un partito più che una frazione; è un tema polemico ricorrente da parte autonomista che, al di là delle asprezze contingenti, segnala il peso e la consistenza dell’opposizione interna.

La DC riesce momentaneamente ad arginare le forti resistenze interne, che tramite la destra interna riflettono l’opposizione al centro-sinistra della Confindustria e della Curia Vaticana più conservatrice che, nonostante le prese di posizione di Giovanni

113 Il PCI ottiene il 24,5% dei voti (+1,3%), mentre per il PSI l’aumento è solo dello 0,3%; la DC perde consensi mentre il PSDI recupera il suo 5,7%. 114Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 267 115 Il CC è composto da 45 autonomisti, 29 della Sinistra e 6 “unitari”; la Direzione eletta con 13 membri per gli autonomisti e 7 per la Sinistra, assegna ai nenniani tutte le cariche più importanti.

58 XXIII (l’enciclica Mater et Magistra è di questi mesi e vede il giudizio positivo di Pieraccini), è chiaramente ostile alla collaborazione tra cattolici e marxisti. A livello internazionale, Fanfani riesce a superare la diffidenza del presidente statunitense John F. Kennedy solo dopo le intercessioni del consigliere per l’Europa Arthur Schlesinger Jr. attento conoscitore delle socialdemocrazie del vecchio continente e sostenitore dell’apertura in chiave anticomunista che supera le resistenze anche dell’ambasciatore USA in Italia Reinhardt; la polemica degli americani si intensifica in particolare contro Lombardi e la Sinistra interna.116 Al convegno di studi di San Pellegrino Fanfani e Moro elaborano la loro cornice ideologica utile all’accordo con i socialisti che si fonda sull’interventismo cattolico in ambito economico rivolto a cercare l’accordo con le parti sociali e ad accettare il quadro di riferimento della pianificazione economica.

Nel gennaio del ’62 Lombardi illustra il programma economico dei socialisti basato sulla politica di un piano per le riforme di struttura che, pur concedendo dal punto di vista di principio alle richieste anticapitaliste della Sinistra, si dichiara per la prima volta a favore del libero mercato. Al concetto di pianificazione si specificava che doveva essere democratica e si chiedeva tra le altre cose la nazionalizzazione dell’energia elettrica e lo Statuto dei lavoratori, richieste che entrambe le correnti utilizzeranno in chiavi diverse, per dimostrare la possibilità del confronto con la DC o l’esatto opposto. Quello che viene definito “il gioco delle parti” 117 tra le due correnti era iniziato e si sarebbe concluso con la scissione. Dopo il congresso democristiano di Napoli, si dimette il governo delle convergenze parallele guidato da Fanfani per preparare l’apertura a sinistra. Dopo alcune riunioni del Comitato centrale e della Direzione, nelle quali emergono differenziazioni da parte della Sinistra e di Lombardi, sono votate all’unanimità risoluzioni a favore del programma e dell’astensione nei confronti del governo Fanfani che sarebbe stato composto dalla DC, PRI e PSDI. L’astensione era il massimo possibile per ottenere l’unità del partito in un passaggio così delicato; ma l’astensione che aveva una valenza positiva e non di emergenza era tale da consentire al governo la maggioranza. Se la Sinistra ne usciva in parte disorientata anche il PCI dichiarava che avrebbe condotto un’opposizione di tipo particolare, riconoscendo quanto c’era di positivo nel programma, ma condizionava la sua azione polemica alla possibilità che si apra un percorso per il recupero dell’unità tra le grandi forze politiche nazionali come nel ‘45-‘46. Al PSI Togliatti assegna una sorta di ruolo di apripista che non escluda, in prospettiva, i comunisti dall’area di governo pena l’accentuazione delle ostilità anche all’interno delle comuni organizzazioni di massa, laddove il PCI è oggettivamente egemone ed in grado di mettere in forti difficoltà l’azione socialista.

Il governo Fanfani ottiene la fiducia il 10 marzo 1962 con 295 voti a favore, 195 contrari e 83 astenuti.

116 Vedi in P. GINSBORG, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino, 1991, II vol., p. 349 117 M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, cit., p. 283

59 4.2. TENSIONI PROGRAMMATICHE E TENSIONI INTERNE L’astensione parlamentare non dà i frutti sperati e non mette il PSI alla testa di uno schieramento democratico alternativo alla DC e nemmeno lo premia dal punto di vista elettorale, vista la crescita del PCI alle elezioni politiche del giugno 1963.

Le trattative programmatiche l’indomani della nascita del governo vedono Lombardi impegnato nell’avanzare le richieste, delineare i limite e le prospettive della politica delle cose. Alcuni provvedimenti sociali e sull’ordine pubblico sono valutati positivamente dopo i difficili e repressivi anni ’50 perchè ridanno parziali libertà ai lavoratori in fabbrica e nelle piazze dove la polizia sempre armata era la causa di numerosi eccidi. Anche nell’ambito scolastico le richieste dei socialisti trovano risposte positive, tanto da varare la riforma che istituisce la scuola media unica per il completamento dell’obbligo, l’istituzione della scuola media statale unica e lo stato giuridico per il personale che è varata entro la fine del 1962 dal Parlamento anche grazie al ruolo del socialista Tristano Codignola.

Un percorso più difficile trova la nazionalizzazione dell’energia elettrica e l’istituzione del piano di programmazione, che per Nenni hanno la valenza dello spartiacque politico. Per la sinistra è l’affermazione dell’interesse pubblico su quello privato. Riccardo Lombardi lo vedeva come una rottura dell’equilibrio economico tradizionale - ma non antisistema - che incontrava l’opposizione dichiarata dei grandi interessi privati; i comunisti dopo il voto parlamentare positivo avanzeranno innumerevoli riserve che ne negheranno molti degli aspetti di rottura politica. La destra economica e politica (fino a parti significative della DC) sostennero l’accusa di incostituzionalità e di subalternità ai socialisti ed anche il mercato reagì negativamente. Per Fanfani e Moro essa acquistava la valenza della rivendicazione del primato della classe politica sull’economia e sui diversi gruppi economici, principio che sarà invertito solamente a partire dagli anni ’80. Lelio Basso interviene nella tribuna dell’”Avanti!” individuando i limiti e i pericoli della politica del piano proprio nel suo essere funzionale alle necessità di sviluppo del capitalismo moderno e dell’imperialismo italiano che, coniugando una politica di riarmo e lavori pubblici, può dare risultati simili alla Francia del gollismo. E’ soprattutto il pericolo di osmosi tra potere economico e politico a preoccuparlo.

A questa impostazione giudicata di stampo leninista o “metafisica dei sistemi”,118 Giolitti contrappone la valutazione della politica del piano come un fattore positivo di sviluppo delle forze produttive, di controllo statale e democratico della classe operaia sulle forze produttive. La legge che nazionalizza l’energia elettrica e l’ENEL è approvata il 21 settembre.

Anche sul terreno della riforma delle campagne si giocano gli equilibri e la tenuta della nuova maggioranza. La riforma della Federconsorzi, bacino elettorale democristiano e strumento di controllo clientelare e monopolistico tramite la Coldiretti, perennemente indebitata, inefficiente e senza controllo da parte della Corte dei Conti, è posta come necessità

118 Ivi, p. 300

60 dai socialista ma dopo una feroce resistenza viene posticipata al dopo elezioni analogamente ai problemi dei braccianti e mezzadri. Alle elezioni del 1963 il PSI si sarebbe presentato con un programma agrario che avrebbe sciolto i nodi irrisolti sia con Fanfani che dallo stesso sindacato.119

Questi sono anche gli anni in cui è proposto per la prima volta il finanziamento pubblico dei partiti che trova il consenso dei democristiani, dei socialisti e anche della Sinistra che con Basso condivide tale scelta nel nome del riconoscimento pubblico del valore dei partiti sancito dalla Costituzione.

Il CC dell’ottobre del ‘62 che punta ad elaborare le condizioni per l’accordo di legislatura vede il giudizio negativo della Sinistra tranne che per la nazionalizzazione energetica, rimanendo intatte tutte le perplessità sulla finalità del centro-sinistra utile all’ammodernamento del sistema capitalistico a discapito della divisione a sinistra. In questo senso le loro posizioni critiche sono supportate anche dal PCI, che amplifica la critica contro Nenni, e dalla riprese delle lotte sociali dell’estate del 1962 che si inasprisce con la lotta dei metalmeccanici e i fatti di Piazza Statuto a Torino. Per i socialisti di sinistra è sempre più evidente che la presenza del Partito al governo era l’inizio della collaborazione all’interno del sistema e non un momento tattico per la prospettiva socialista. Inoltre risultava problematica la difesa dell’Alleanza Atlantica che, pur moderata, faceva comunque capo agli USA. Per Foa il rischio di cooperare alla costruzione di un regime con i democristiani che escludesse il PCI significava recidere i legami con le masse. Per Nenni i problemi si aggravano ulteriormente dopo il voto che mette in minoranza Fanfani al consiglio dei Ministri sul tema dei provvedimenti da adottare per l’attuazione delle regioni; se gli autonomisti, con diverse perplessità come quella di Santi, sostenevano la tesi della limitata battuta d’arresto, l’opposizione rilancia la formulazione del deterioramento della formula del centro-sinistra che si adattava a politiche centriste impedendo la svolta a sinistra mentre in politica estera il Governo aveva solidarizzato apertamente con il governo americano durante la crisi dei missili a Cuba. La richiesta di Vecchietti alla Direzione del 9 gennaio 1963 - siamo ad un anno esatto dalla scissione - è sfavorevole all’accordo di legislatura per mantenere solo quello sui singoli provvedimenti. La proposta viene bocciata con 35 voti a favore contro 45. Si va alle urne con lo slogan “Questa volta con i socialisti i lavoratori al potere”, mentre la polemica di Togliatti alterna riconoscimenti generici al programma del Centro-sinistra con duri attacchi ai due partiti per proporre un’alternativa che non li escluda.

Nella competizione elettorale a sinistra, le potenzialità erano favorevoli ai socialisti rispetto ai comunisti, data la crisi d’immagine dei sovietici nello scontro sui missili a Cuba come nel conflitto aperto con la Cina, tanto da costringere i comunisti a sostenere la loro attività legislativa. Nonostante ciò i risultati delle elezioni del 28 aprile sono deludenti con un modesto 13,8% alla Camera e il 14% al Senato, mentre il PCI saliva al 25,3% e il PSDI, con il 6,1%, otteneva il suo miglior risultato dal 1948. La DC perdeva consensi, mentre crescono i Liberali.

119 Ivi, p. 303

61 Le deficienze organizzative sono uno dei problemi principali perché, pur con 478.823 iscritti, la presenza nella classe operaia resta debole mentre con la ripresa il conflitto sindacale c’è il rafforzamento delle organizzazioni di sinistra e del PCI. Nel Partito gli operai sono il 30%, i contadini il 16%, i braccianti il 15%, i pensionati il 9%, le casalinghe l’8%, gli impiegati il 3%, i diplomati e laureati il 2% mentre non classificati sono il rimanente 10%. Gli uomini sono il 79% mentre i giovani tra i 18 e i 25 anni solo l’8%. E’ rimasta quindi un organizzazione di vecchio stampo (poche donne e giovani) con un numero di NAS stazionario dal 1954 e con un’attività limitata prevalentemente al tesseramento e ai momenti elettorali, concentrati prevalentemente in Lombardia ed Emilia Romagna (dove ci sono i cali elettorali più significativi) oltre a qualche altra grande federazione cittadina. Praticamente assenti dal mondo contadino le sezioni sono circa 8000 concentrate nelle grandi città e capoluoghi (2800) mentre sono del tutto assenti in 2832 comuni su 8003.120

Ad aggravare ulteriormente la situazione persiste la lacerante divisione frazionistica che comporta la presentazione su due liste di candidati ed apparati dello stesso Partito. Il corpo del partito pur abituato a votare e dividersi spesso si ritrova paralizzato dall’esasperato livello di divaricazione politica tra le due correnti. Nell’analisi politica successiva al voto Nenni sostiene insieme al problema della spaccatura interna anche l’incapacità di non aver posto la “questione agraria” come il tema elettorale centrale. Lombardi inserisce un elemento peculiare che sottolinea come il programma del PSI non era per il benessere, tema sposato dalla campagna elettorale del PSDI, ma per spostare gli equilibri dei sistemi monopolistici, risultato difficilmente ottenibile solo con il consenso elettorale. Le divisioni tra gli autonomisti aumentano anche in seguito alla presa di posizione della Banca d’Italia, che pone all’ordine del giorno la necessità di una politica di contrazione dei redditi per la stabilità monetaria che non risulta essere benaugurante per il varo di un centro- sinistra delle riforme. Su queste affermazione punta molta la Sinistra con Lussu, Foa e Valori per bocciare la proposta avanzata dal Segretario durante la riunione della Direzione ad inizio giugno. Non c’è un’esclusione a priori dell’accordo di governo con i democristiani ma si contesta prevalentemente l’esclusione del PCI e l’adesione all’atlantismo mentre tra la base dell’opposizione socialista la contrarietà a qualsiasi tipo di accordo con i democristiani è molto radicato.121

Ma Nenni prosegue con la sua linea di dialogo accettando la proposta di governo con i democristiani senza avere un piano di riforme, i dubbi cominciano ad emergere anche tra le fila della maggioranza autonomista. In particolare Santi, Codignola, Zagari, Giolitti, Jacometti e Lombardi faranno emergere le loro perplessità per la necessità di far emergere prima le condizioni politiche per l’incontro e poi definire gli impegni programmatici.

Quella che diventerà la corrente lombardiana, nella drammatica ed estenuante sessione notturna tra il 16 e il 17 giugno ’63 fa convergere i propri voti con quelli di Basso e Vecchietti mettendo in minoranza l’accordo di massima già siglato da Nenni e Moro.

120 Vedi in G. GALLI, Storia del socialismo italiano, p. 244 121 Vedi in S. MINIATI, Psiup1964-1978. Vita e morte di un partito, Edizioni Edimez 1981, p. 20

62 I voti dei gregoriani (così definiti i lombardiani che nella notte di San Gregorio bocceranno l’accordo) sommati a quelli della Sinistra costringono a posticipare di sei mesi il varo del primo governo di centro sinistra che ottiene la fiducia a novembre entrando in carica a gennaio del 1964. Nonostante ciò comporti le dimissioni di Nenni, Lombardi non rompe del tutto con lui e rifiuta la proposta di Foa per l’elezione di una nuova Direzione e viene indetto il congresso per il 25 ottobre. Il “marasma e smarrimento”122 dei socialisti porta al ritiro di Moro per affidare a Leone il compito di un governo di transizione con l’astensione dei socialisti, socialdemocratici e dei repubblicani.

Le linee degli Autonomisti, fautori di una via italiana al socialismo secondo la quale la partecipazione governativa è solo un momento nel percorso storico e non un alleanza permanente, ha l’obbiettivo di portare a termine una serie di riforme di struttura come richiede da tempo anche il PCI. Ma sulla modalità dell’applicazione c’è il vero scontro interno. La formula di delimitazione della maggioranza di Moro è accettata da Nenni, seppur con delle differenze, perché diventa impossibile sostituire in caso di necessità i voti della DC con quelli dei comunisti, mentre per la Sinistra prescindere dall’apporto del PCI è sbagliato e andrebbe ricercato il sostegno del partito di Togliatti qualora sul programma da applicare la DC si dividesse perdendo la parte più reazionaria e i franchi tiratori. Su questa ipotesi avviene la scissione.

L’idea di poter utilizzare la democrazia rappresentativa per costruire il socialismo è nel 1963 un tema che era già stato risolto dal movimento socialista europeo rimuovendo la prospettiva, perché aveva scelto l’integrazione al sistema capitalista dominante, mentre i socialisti italiani sono ancora alle prese con la sostanza di questo dibattito. Pietro Nenni riuscirà a far passare questa proposta con il 57% dei voti al XXXV congresso di Roma (25-29 ottobre), mentre la Sinistra si attesta al 39% e la mozione di Pertini al 2%, consentendo così il cambio della posizione del precedente congresso di Milano autorizzando la partecipazione diretta ad un governo di centro sinistra.

Per Basso se l’autonomia era condivisa da tutti ciò non poteva implicare la perdita della natura classista o accogliere le istanze anticomuniste indispensabili per gli altri partiti; inoltre la stanza dei bottoni prospettata da Nenni non esisteva, perché le decisioni sarebbero state oggetto di uno scontro permanente che vedeva il PSI in un ruolo subordinato. Per Foa la collaborazione suicida con la DC portava al distacco della destra socialista dal paese ancora alle prese con tutte le macroscopiche contraddizioni del miracolo economico, senza avere con se il movimento sindacale (cosa che accadeva invece ai laburisti inglesi). La posizione mediana di Lombardi è spiegata efficacemente con le parole espresse durante l’assise: ”La scelta sta dunque in questi termini: se abbandonare del tutto il processo di trasformazione alle forze del neocapitalismo e alla gerarchia dei valori

122 M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, cit., p. 317

63 alla quale esse obbediscono o se inserire efficacemente il movimento operaio nel processo di trasformazione, per contestare il modello di sviluppo del neocapitalismo. A questa esigenza e a questa finalità bisognerà richiamarsi per definire rigorosamente i contenuti concreti della politica di centro-sinistra. Il rifiuto dell’ideologia atlantica come scelta di civiltà è l’onore di questo partito e questo onore non si può deporre sulle soglie di nessun ministero.”123

Di fronte a queste apertura Foa propone che alcuni condizioni e discriminanti siano poste alla DC, che pur precludendo ai voti del PCI, subordinasse alla destra democratica per l’attuazione del programma, pena il distacco del PSI dalle masse e la tenuta unitaria del Partito. Il nuovo Comitato centrale conta 59 membri per gli Autonomisti, 40 per la Sinistra socialista e 2 per Pertini; circa le stesse percentuali compongono la Direzione.

Mentre le trattative (che vedono in Lombardi ancora uno dei principali protagonisti) sono in corso la Sinistra si riunisce il 21 settembre a Roma per annunciare che i limiti oltre i quali la maggioranza non doveva andare erano stati oltrepassati, preannunciando la scissione. Diversi esponenti della stessa Sinistra tra i quali l’ex comunista friulano Loris Fortuna prendevano le distanze dall’ipotesi annunciando che si sarebbero sottomessi alla disciplina di partito. Dopo il voto favorevole della maggioranza del Comitato centrale e dei gruppi parlamentari Lelio Basso preannuncia la decisa opposizione della Sinistra riprendendo la celebre frase di Martin Lutero “Non possiamo altrimenti!”.

Il 25 novembre il CC ratifica l’accordo con la DC con 59 voti contro 40 della Sinistra socialista che definisce tale scelta un capovolgimento di tutte le posizioni politiche ed ideologiche preannunciando un atteggiamento autonomo in Parlamento. Il 4 novembre 1963 il primo governo organicamente di centro-sinistra presieduto dal democristiano comprende anche Pietro Nenni nel ruolo di vice-presidente del Consiglio, l’ex comunista Giolitti al ministero del Bilancio e Programmazione (rifiutato da Lombardi), Pieraccini a quello dei Lavori Pubblici, Mancini alla Sanità, Arnaudi alla Ricerca scientifica e Corona al Turismo e Spettacolo. De Martino sarà eletto segretario del Partito e Brodolini vice-segretario. Lombardi è nominato direttore dell’”Avanti!”.

L’obbligo di risolvere il problema disciplinare anche dal punto di vista statutario per i parlamentari della Sinistra che, tramite Lelio Basso e Fernando Schiavetti rispettivamente alla Camera e al Senato, votano contro la fiducia al governo da il via formale alla scissione. La Sinistra accuserà Nenni di essere stata costretta ad organizzarsi anche in seguito all’esclusione dai gruppi dirigenti successiva al congresso di Napoli. Sia Lombardi che Nenni sottovalutarono la portata ed i rischi di scissione (di cui accuseranno sia il PCI che Fanfani) che mette in crisi, ancora prima di iniziare, le possibilità di successo del progetto del vecchio leader socialista.124 Prevale in Nenni la valutazione sull’assenza di una strategia alternativa della sinistra

123 R. LOMBARDI, Intervento al 35° congresso del PSI, Edizioni Avanti!, Milano 1964, Ivi, cit., p. 321 124 Vedi in G. GALLI, Storia del socialismo italiano, pag. 248

64 scissionista rispetto alla suo effetto quantitativa che, anche grazie al suo contributo, si è rafforzata in vent’anni di alleanza con il PCI.125

125 Vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 192

65 4.3. UN CAMBIAMENTO DI PORTATA STORICA Il centro-sinistra è la svolta - unanimemente riconosciuta dagli storici pur con giudizi differenti sugli esiti - per il socialismo italiano e per la sua cultura, da forza di opposizione a forza di governo, da partito classista ad organizzazione dalla natura popolare. La scissione di quella che viene definita come la corrente classista, erede della tradizione morandiana più ortodossa, rende i legami con la socialdemocrazia europea più solidi, nonostante il fallimento dell’unificazione con il PSDI. Il giudizio sulla svolta da parte di Vecchietti e Valori è quello del cedimento politico ed ideologico al riformismo socialdemocratico sulla scia di quello elaborato dal PCI, mentre le componenti di Basso e Panzieri esalteranno gli aspetti della ricerca di una strada “autonomistica” ma in un ottica caratterizzata in modo fortemente antisistema. Inoltre è giudicata impossibile la convivenza tra politiche non più soltanto divergenti ma che ritenevano la divisione come il male minore utile a riacquisire la capacità di “fare politica”.126

Il processo che porta a riassorbire l’anomalia del socialismo italiano, che si era caratterizzato sia dal lato ideologico che nel corpo sociale dei suoi militanti e dirigenti, trova nel centro-sinistra la sanzione del passaggio alla prevalenza degli aspetti “di rafforzamento dei fattori di coesione della comunità nazionale”.127 Inoltre con la fine di questa anomalia la DC riesce ad assicurarsi uno spazio di manovra più ampio e al contempo mantenere ferma la discriminante anticomunista che il PSI garantisce.128 Le contraddizioni di certo non mancano è sono oggetto di valutazione da parte degli storici e non solo che - ancora oggi - nonostante siano passati alcuni decenni ed il mondo sia profondamente diverso da quello descritto, si interrogano in particolare sullo spazio politico e sociale per i riformisti. La tradizione del massimalismo, “dell’operaismo rivoluzionario” di Morandi e del socialismo di sinistra, complicano la ricerca dello spazio e dei referenti sociali per quel riformismo classico che rimane minoritario e che non riesce ad indebolire il ruolo del PCI come forza egemone dell’opposizione costituzionale al sistema. La cesura con una parte significativa della storia della sinistra italiana, che porta il PSI ad inserirsi nel percorso del socialismo europeo, ha avuto anche l’effetto di stabilizzare il sistema politica basato ormai sull’asse tra cattolici e socialisti che esclude i comunisti. E’ la democrazia bloccata sulla quale molti analisti, commentatori e storici si sono soffermati negli anni, ma che da Nenni viene vista come strumento di equilibrio della democrazia italiana contro quelli che lui riteneva essere i pericoli di una deriva autoritaria. Le trasformazioni economiche, politiche e sociali degli anni sessanta sono il contesto complesso nel quale avviene la trasformazione del Partito che si ritrova alla sua destra una forte DC ed alla sua sinistra il più forte partito comunista occidentale; le inevitabili pressioni lo rendono quindi un soggetto esposto a turbolenze interne continue e scissioni come quella socialproletaria.

Nonostante ciò la svolta fu vissuta da parti importanti del Partito come il frutto politico conseguente alla svolta del ’55-’56 contrapposta all’inverno frontista. Ma il

126 Vedi in S. MINIATI, Psiup, p. 16 127 M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, cit., p. 269 128 Vedi in A. MARGHERI, A “Mondo Nuovo” e nel PSIUP, in Enzo Santarelli, Lucio Libertini. 50 anni nella storia della sinistra, Liberazione Libri, 1993, p. 36

66 passaggio alla pragmatica politica delle cose porta alla rimozione del passato e solo molti anni dopo la capacità critica di alcuni dei protagonisti, tra i quali Giuseppe Tamburrano, sarà in grado di segnalarne il sostanziale fallimento anche se la polemica contingente, contro la gestione clientelare e consociativa dell’era Craxi della fine degli anni settanta, comporterà l’attenuazione degli aspetti più controversi.129

Per la Sinistra socialista si apriva la sfida per la rifondazione strategica e organizzativa di una nuova esperienza che andasse oltre il fallimento dell’esperienza socialdemocratica e che superasse anche quella comunista.

129 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 270

67 LA RICOSTITUZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO DI UNITA’ PROLETARIA DAL 1964 AL 1972 5. LA SCISSIONE E LA GENESI DEL NUOVO PARTITO Con la citazione luterana pronunciata da Lelio Basso alla Camera dei Deputati “Non possiamo fare altrimenti!” prende avvio la scissione della Sinistra del Partito Socialista Italiano. Rapidamente, tra il 15 dicembre 1963 e il 10 gennaio 1964, cioè tra la manifestazione di solidarietà ai parlamentari sospesi al teatro Brancaccio di Roma e il convegno all’EUR della Sinistra socialista, nasce il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, riprendendo la denominazione che il Partito socialista aveva utilizzato dal 1943 alla scissione socialdemocratica del 1947.

Per molti osservatori e protagonisti, la scissione non è un evento imprevisto dopo anni di battaglia interna; le divergenze tra gli schieramenti e le frazioni sono antagoniste a tal punto da giungere alla rottura organizzativa dopo il difficile passaggio che inizia con l’astensione al governo Fanfani e termina con la fiducia parlamentare al primo esecutivo organicamente di Centro-sinistra guidato da Moro e da Nenni, nel 1963.

La componente della Sinistra socialista non è politicamente omogenea al proprio interno perché raccoglie le varie tendenze politiche che si erano sviluppate nel corso della lunga battaglia interna al Partito socialista.

Al congresso di Venezia nel ‘57 si costituiscono almeno quattro tendenze: il gruppo che ha difeso l’intervento delle truppe sovietiche in Ungheria e che è stato denominato dalla stampa in maniera dispregiativa “carrista”. Questi dirigenti, tra i quali si annoverano Targetti, Malagugini, Lizzadri, Lussu, insieme a centinaia di altri militanti individuano la solidarietà verso l’URSS e l’unità con il PCI come una discriminante rispetto ad ogni altra scelta.

Un ruolo importante è svolto da quella parte dell’apparato formatosi durante la Resistenza e cresciuto attorno alla figura di Rodolfo Morandi del quale però non condividono l’interpretazione del dialogo con i cattolici che ritengono sia stata strumentalizzata dagli autonomisti. I principali leader della corrente sono Tullio Vecchietti,130 Dario Valori, Lucio Luzzato,131 e Vincenzo Gatto. Alcune analisi storiografiche descrivono gli aspetti tipici di un gruppo dirigente cresciuto all’interno del Partito e abituato alle battaglie interne a colpi di

130 Tullio Vecchietti (1914-1999) fa la Resistenza a Roma ed è tra i giovani fondatori del Partito socialista a Roma. Dirigente del partito, membro della Direzione e Segreteria, Deputato del PSI, PSIUP e Senatore del PCI. Direttore di “Mondo Operaio” dal 1950 al 1952 e de “L’Avanti!” dal 1951 al 1956. E’ il principale dirigente della corrente di Sinistra e dopo la scissione è eletto Segretario nazionale del PSIUP, vedi G. ARFÈ, (a cura di) Mondo operaio 1956-1965, Landi, Firenze 1966, 2 vol. 131 Lucio Luzzato (1913-1986) dirigente con Rodolfo Morandi del Centro interno durante gli anni della clandestinità, poi fondatore del PSIUP e per molte volte membro della Direzione del Partito socialista. Nel PSIUP è uno dei principali dirigenti del dipartimento Esteri. Parlamentare è capogruppo alla Camera del PSIUP, vedi G. LANNUTTI, Lucio Luzzato. L’attività politica e l’impegno di costituzionalista, IFSML, Udine 1996

68 regolamento, statuto e tesseramento ma anche con il tipico approccio autoritario e burocratico che veniva rimproverato agli autonomisti.132

Il gruppo di Lelio Basso, organizzato attorno alla redazione di “Problemi del socialismo”, in occasione del congresso di Milano del 1961 si fonde organizzativamente con la sinistra morandiana dando vita al periodico “Mondo Nuovo”. Nello scontro in corso, il prestigio dell’ex segretario del PSI è utile per sostenere ideologicamente le battaglie politiche interne. Nonostante ciò, Basso, dà un interpretazione fatalista e tendenzialmente pessimistica della scissione, vista sia come un fenomeno connaturato al dualismo tra riformismo e rivoluzione, sia come la sua sconfitta personale per la mancata egemonia sul Partito che aveva contribuito a rifondare.133

All’esterno e nelle organizzazioni di massa, il ruolo dei sindacalisti della sinistra socialista ed in particolare quello di Vittorio Foa, risulta cruciale, data la centralità politica assegnata alla classe operaia che, dall’interno dei luoghi di produzione deve estendere la propria esperienza anche nella società superando la divisione tra lotta democratica e socialista fatta propria invece dal PCI. In questi primi anni Sessanta il sindacato attraversa un periodo di profondo rinnovamento che fa dei metalmeccanici l’asse portante di una linea fortemente conflittuale che contribuisce all’affermazione di una diversa politica salariale e dei diritti. Le fabbriche diventano il fulcro del progressivo cambiamento dei rapporti di forza a livello sociale e gli effetti di tali novità sono le richiesta di una maggiore autonomia rivendicativa da parte dei lavoratori e di una rinnovata democrazia sindacale che si riflette nel superamento delle vecchie Commissioni Interne. Da questa categoria provengono sia Vittorio Foa che il comunista Trentin futuri leader di quella sinistra sindacale che contribuirà ad aprire il dibattito sulla connessione tra lotta sindacale e politica per il potere e il controllo, anche al di fuori delle sole sfere produttive. Per questo motivo i settori più influenzati dalle teorie di derivazione operaista (presenti in forza nel sindacato ma anche nel PSI e nel PCI) saranno al centro della polemica in particolare da parte delle correnti autonomiste e miglioriste dei due partiti che mettono in primo piano la lotta istituzionale per l’ingresso nella stanza dei bottoni. I sindacalisti sono, con il gruppo di Basso, il cardine di quella sinistra del PSIUP che, influenzata largamente dalle teorie elaborate da Panzieri, costituirà uno dei settori più dinamici e di raccordo con la contestazione giovanile ed operaia esplosa nel 1968.

Panzieri rimane il convitato di pietra del PSIUP, la cui assenza è scontata ma comunque importante. Se da tempo è politicamente isolato nel PSI, l’ex pupillo di Morandi non gode di particolare sostegno nemmeno all’interno della Sinistra socialista che lo esclude dall’elenco dei candidati al Comitato centrale socialista già al congresso di Milano del ‘61. La scarsa fiducia nella possibilità di riformare il partito socialista e la critica al burocratismo nei confronti del gruppo dirigente morandiano non rendono facile il percorso comune; lo scontro interno alla stessa Sinistra socialista si risolve con l’esclusione di Panzieri interpretata come un segnale della volontà di disciplinare le

132 vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 9 133 vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 196

69 anime più irrequiete e conflittuali presenti nell’eterogenea compagine. Oltre a Panzieri il bersaglio polemico sarebbero le federazioni di Torino e Biella, la Sinistra veneta e il gruppo dei giovani sindacalisti che fanno capo a Foa. E’ certo che, nonostante l’ostracismo subito da parte del gruppo dirigente, le sue teorie influenzano in maniera significativa anche parte della politica del partito, almeno nella prima fase, che va dal ‘64 al ‘67-’68. Le teorie operaiste che successivamente troveranno larga eco a sinistra, in quegli anni sono considerate al limite dell’eresia rispetto alle tesi ufficiali sostenute dai principali partiti operai. Lo sviluppo dei ragionamenti elaborati insieme a Lucio Libertini nelle “7 tesi sul controllo operaio” lo conduce a negare l’attualità delle tradizionali forme organizzative della sinistra italiana, per le quali ritiene invece necessario un lungo processo di rigenerazione tramite l’azione di base di gruppi e collettivi che fossero da essi autonomi, mentre per il gruppo di Vecchietti e Valori è decisiva la maggioranza che governa il partito. La distanza tra le due posizioni è quindi notevole.

Contestare la linea della coesistenza pacifica ,valorizzando i movimenti rivoluzionari e le lotte di liberazione nazionale, significa ridimensionare il ruolo di stato-guida dell’URSS e la validità delle vie parlamentari al socialismo che ad esso si richiamavano. Nonostante ciò, la linea ufficiale della politica estera del PSIUP si richiama a molti dei principi terzomondisti che in questa fase cominciano ad avere largo seguito anche in Italia. Sul piano ideologico Panzieri individua nella struttura dei rapporti di produzione e nell’organizzazione dello Stato la radice della degenerazione dello stalinismo facendone derivare la critica alla politica estera sovietica, in quanto indirizzata alla difesa esclusiva dei propri interessi statuali piuttosto che allo sviluppo rivoluzionario internazionale. I rapporti con la base del PSIUP saranno più intensi verso quelle realtà attive nell’impegno rivolto ai problemi sociali, ed in particolare con la Federazione torinese guidata da Pino Ferraris,134 che è una delle strutture conosciute per la notevole influenza tra gli operai,135 oltre che per l’analisi dei meccanismi produttivi e degli strumenti di lotta, che fanno del PSIUP locale “il partito più attivo nelle fabbriche torinesi”.136

Ciò che tiene unite tutte queste differenze è la convinzione che le critiche di Nenni, sia verso le novità emerse al XX congresso del PCUS, sia all’invasione ungherese, fossero funzionali al raggiungimento dell’unificazione per trasformare definitivamente il PSI un partito socialdemocratico integrato con il sistema predominante e, per raggiungere tale obbiettivo strumentalizzava anche un certo risentimento presente nella base socialista rispetto alle prevaricazioni subite in passato da parte del PCI. La specificità del socialismo italiano, rispetto alle varianti europee, è sentita come irrinunciabile da parti consistenti del partito, anche di area lombardiana, che non

134 Segretario della federazione torinese è anche membro della Direzione nazionale del PSIUP. Aderisce poi al PdUP e a Democrazia proletaria. Docente universitario di sociologia, collabora con il sindacato metalmeccanico Fiom-Cgil, vedi P. FERRERO, ( a cura di) Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, Edizioni Punto Rosso/Carta, Milano 2005 135 Vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 9 136 A. CAZZULLO, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, Mondadori 1988, Cit., p. 68

70 vogliono “fare la fine di Saragat”137 per anni definito unanimemente come un traditore del socialismo e un’agente dell’imperialismo. Significative sono le pressioni che la massa di giovani attivisti fanno sulla direzione del Partito per rivendicare la necessità di un nuovo partito, anticipando il fenomeno analogo a quello che avviene durante e dopo la contestazione studentesca con la formazione di un notevole numero di organizzazioni politiche indipendenti.138 Inoltre la convinzione della necessità di mantenere unita la sinistra italiana (cioè con il PCI) prevale sulle differenze strategiche, almeno per il momento. Anche l’alternativa morale al centro-sinistra, intesa come opposizione alle pratiche clientelari che distinguevano la gestione dei rapporti tra partito cattolico e Stato, contribuisce ad alimentare l’ostilità all’accordo organico di Governo. Forte era stata la denuncia, sia di Libertini che di Lussu,139 nei confronti delle modalità con le quali gli autonomisti, una volta penetrati nella stanza dei bottoni, si cimentavano con la spartizione del potere. Nel clima politico degli anni precedenti al Sessantotto, che vedono gli Stati Uniti in difficoltà a Cuba, lo scoppio della Rivoluzione culturale del Presidente Mao Tse- Tung in Cina e la rivolta di massa contro il gollismo e l’autoritarismo del maggio parigino, le analisi sono particolarmente dilatate. Se da un lato aderiscono forze giovanili che si differenziano da quello che viene denunciato come il carrierismo rampante presente nel vecchio PSI, dall’altro si moltiplicano le tendenze al massimalismo “da osteria […] e all’astrattezza perenne”140 che vanifica le risorse pur importanti che il partito riesce a coinvolgere al suo interno.

Le difficoltà della battaglia interna al PSI, l’azione attrattiva del PCI, oltre alle contraddizioni presenti nelle varie anime della Sinistra, logorano la sua stessa base militante che si avvia alla scissione senza essere riuscita a spaccare la maggioranza autonomista che aveva nei lombardiani la parte più sensibile alle tematiche avanzate dall’opposizione interna. Con la convocazione del XXXV congresso il dissenso della sinistra lombardiana viene riassorbito e, nel clima rovente dell’EUR a Roma, si consuma l’ultimo atto formale prima della scissione a quel punto è solo questione di poco tempo.

La Sinistra socialista da vita al PSIUP ma non tutto il socialismo di sinistra vi entra.

137 F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, Cit., p. 196 138 Ivi, p. 198 139 Vedi in A. MARGHERI, A “Mondo Nuovo, p. 38 140 F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, Cit., p. 200

71 5.1. LA NASCITA DEL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO DI UNITÀ PROLETARIA Anche la scissione del PSIUP produce i tipici drammi che le cronache riportano con curiosità: dalle liti per definire l’appartenenza dei fondi e delle sedi (o la non estromissione laddove si è minoranza) qualora la maggioranza sia della Sinistra, a notturni cambi delle serrature di uffici e sedi, alla sparizione di attrezzature e di elenchi di indirizzi degli iscritti del vecchio PSI, oltre che alle inevitabili lacerazioni personali che influiscono anche sulla politica del partito.

Il limitato numero di riunioni fatte per definire l’appartenenza all’uno o l’altro partito indica la profonda e sedimentata rottura che ormai diventa una semplice conta. Solo laddove la situazione è incerta e il controllo dell’apparato debole, sono convocate riunioni che spesso si concludono con comunicati che confermano o smentiscono avvenuti passaggi di iscritti al nuovo partito. Nonostante le defezioni importanti e clamorose di alcuni dirigenti di punta dell’opposizione socialista come Vincenzo Balzamo, Nello Mariani e Giorgio Veronesi ed altre scontate, come quella di Panzieri, la scissione è vissuta dagli stessi protagonisti come “una grande tensione morale e ideale e anche un forte senso di liberazione”141 che permette di mettere in secondo piano le difficoltà.

L’analisi di fondo proposta dal nuovo partito si concentra in particolare sui limiti della strategia del PSI e del Centro-sinistra. Sono limiti di natura economica, sia nazionale sia internazionale, che vanificano - a loro dire - ogni possibilità di successo della politica di riforme proposte; inoltre, con l’accettazione dell’esclusione dei comunisti dal governo, gli equilibri politici rimangono sfavorevoli alla sinistra, che rischia invece di ritornare alle polemiche che avevano diviso i socialisti ed i comunisti dopo la nascita della Terza internazionale. Il PSIUP vuole porsi come “la presenza di una forza socialista [nel] movimento di classe [che propone un] contributo indispensabile e originale […] alle lotte per il socialismo.” 142

Dal PSI aderiscono 7 membri della Direzione nazionale, 35 (su 40 della corrente) del Comitato centrale, 25 (su 33) degli 87 deputati, 12 (su 13) dei 46 senatori eletti. Inoltre si stima che 1/3 dei sindaci socialisti, 1500 tra consiglieri comunali e provinciali, la maggioranza dei membri della Sinistra nei Comitati direttivi delle federazioni e la maggior parte della Federazione Giovanile Socialista entri nel partito dei socialisti unitari. Molto importante è l’adesione al PSIUP di quadri sindacali socialisti nella Cgil che comporta un’ulteriore indebolimento per il PSI nei confronti dell’egemonia dei comunisti. Negli organismi dirigenti del Movimento cooperativo,143 della Lega dei comuni democratici, dell’Unione delle Province e dell’Alleanza Contadini (le altre importanti organizzazioni di massa della sinistra) la presenza del PSIUP non è trascurabile anche se comunque non riesce a sostituire quella del PSI. Le adesioni nel luglio del’64 di Oreste Lizzadri, Castagno, Mancinelli, Oro Nobili, Tibaldi e Picchiotti (dirigenti con un forte seguito elettorale) sono un segnale della forza attrattiva del nuovo partito verso parte della base socialista scontenta che così

141 S. MINIATI, PSIUP, Cit., p. 29 142 Dal documento programmatico del PSIUP, maggio 1964, in E. BIZZARRI, L’organizzazione del PSIUP, cit., p. 1034 143 Per il PSIUP il referente nella segreteria della Lega Coop è Ivo Gherpelli

72 conclude la difficile fase di insediamento e consolidamento dei primi mesi di vita dell’organizzazione. 144

L’attenzione del partito non si risolve solo nei confronti del tradizionale popolo di sinistra, ma anche nei confronti di quella base della sinistra cattolica evocata da Morandi e che in questi anni è cominciato un percorso molto impegnativo, che trova la sua massima espressione nel travagliato dibattito interno alle ACLI. Per questo motivo in occasione delle votazioni per il Presidente della Repubblica i parlamentari del PSIUP sostengono fino alla fine la candidatura di Fanfani, che riesce a spezzare in parte la DC che comunque riesce ad eleggere Saragat con i voti della sua destra interna insieme al PSDI. Emerge la differenza d’analisi del partito cattolico e di approccio verso la sua politica interclassista rispetto anche al PCI che aveva sostenuto la candidatura di Nenni, che è riassunta da Libertini su “Mondo Nuovo”: in risposta alla candidatura di Saragat, proposta da Moro per dividere la sinistra e dare un segnale di continuità con i governi di Centro-sinistra, la risposta della candidatura Fanfani obbliga i democristiani a mortificare il capo della sinistra cattolica. La discriminante non è più tra laici e cattolici, ma tra progressisti e conservatori.145 Nella DC questa componente va divisa e saldata ad un futuro schieramento di sinistra.

144 Vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 40 145 Documento della Direzione del partito, gennaio 1965, PSIUPUD, B3/A, F1

73 5.2. IL PARTITO DI TRANSIZIONE Una delle contraddizioni principali del PSIUP riconosciuta da molti storici, è di presentarsi sia come l’alternativa al vecchio PSI, ritenuto ormai preda di una inevitabile deriva socialdemocratica, e con il quale si pone in maniera apertamente concorrenziale, sia come l’organizzazione in grado di aprirsi alle nuove istanze politiche che non si riconoscono o non trovano spazio nel PCI. Inoltre esso è visto come un laboratorio politico che permette sia ai giovani, sia ai lavoratori, la possibilità di sperimentare le nuove pratiche politiche che emergono dai movimenti di contestazione. In questo senso il partito riesce inizialmente a sintonizzarsi con gli umori sociali delle avanguardie e dell’elettorato che, anche con l’appoggio di piccole forze quali il Partito Radicale, il movimento dei Cristiano sociali e della IV internazionale, permette di ottenere un buon risultato alle elezioni del maggio 1968, contrassegnate in particolare dal fallimento dell’unificazione socialista e dall’avanzamento del PCI.146 Ma questa immagine aperta si scontra con quella rappresentata da chi si identifica nelle forti “strutture di apparato composte dai routiniers del passato <>”147 di origine morandiana. Lo scontro fra quelle che potremmo semplificare come le istanze contestatrici e la tradizione frontista fa traghettare verso le formazioni dell’estrema sinistra molti iscritti, militanti e dirigenti del PSIUP provenienti dalle realtà “di movimento”. La “doppia anima”148 del PSIUP mette costantemente in minoranza lo spirito rivoluzionario e nonostante i tentativi di conciliazione tale equilibrio si trasforma rapidamente in incomunicabilità. Luciano della Mea,149 Pio Baldelli e Gian Mario Cazzaniga150 sono tra i principali dirigenti della federazione pisana, e saranno loro che, dopo un periodo travagliato e conflittuale con la Direzione nazionale,

146 Vedi in S. DALMASSO, Trent’anni fa: il PSIUP, in Il presente e la storia n. 44, dicembre 1993, p. 237 147 Vedi in M. GIOVANA, Appunti per una storia del PSIUP, in Il presente e la storia, n. 47 - giugno 1995, Cit., p. 197 148 F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, Cit., p. 201 149 Luciano Della Mea (1924-2003) soldato durante la II guerra mondiale, deportato in Germania e partigiano con la IX Brigata "Giustizia e Libertà" nel canavese e a Torino, milita nel PSI dal 1949 scrivendo sulla pagina culturale dell’”Avanti!", con Franco Fortini e con Gianni Bosio, di cui è uno stretto collaboratore ed insieme al quale rilancia le “Edizioni Avanti!”. Collabora anche Raniero Panzieri, al quale lo lega una lunga amicizia. Alla fine del 1958 esce dal PSI per dissenso politico. La sua attività di pubblicista militante lo vede redattore di "Mondo Operaio", poi di "Mondo Nuovo", nonché fra i fondatori dei "Quaderni rossi", dei quali cura la redazione milanese fino al 1962. Inoltre, insieme a Bosio e ad Antonio Costa, fonda e dirige il giornale "La Classe". Nel 1962 si trasferisce a Pisa, dove entra in contatto con Sebastiano Timpanaro, Paolo Crostofolini e Claudio Bolelli. Nel 1964, uscito dal PSI, aderisce al PSIUP, dal quale si distacca nel 1968, iniziando un itinerario in vari gruppi dell'estrema sinistra e collaborando fino al 1974 ai loro organi di stampa, quali "Giovane Critica", "Lotta continua", "Nuovo impegno", "Potere Operaio" (di cui è direttore dal ’67 al ’69) e "Unità proletaria". Nel 1976 si iscrive al PCI e collabora con "Paese Sera" e con "L'Unità", dal sito internet della Fondazione F. Turati, http://www.pertini.it/TURATI/a_dellamea.html 150 Docente di filosofia, laureato alla Normale di Pisa, dirigente della sinistra socialista e poi del PSIUP è tra i fondatori del Sindacato Scuola della Cgil nel 1966 di cui diventa uno dei Segretari nazionali; militerà nei gruppi dei Quaderni Rossi , di “Potere Operaio” a Pisa e nel Centro “”, poi Organizzazione dei Lavoratori Comunisti. Aderirà al PCI e al PDS, Ivi, http://www.pertini.it/TURATI/gm_cazzaniga.html

74 fonderanno gruppetti e circoli influenzati dall’operaismo dei “Quaderni Rossi”,151 coinvolgendo parte del locale dissenso interno al PCI, pratica che in precedenza era apertamente osteggiata dai vertici nazionali del partito.152 In questa, come in altre realtà del paese, il PSIUP esercita un effetto attrattivo in particolare verso le componenti della sinistra del PCI e anche del gruppo de ”Il Manifesto”, radiato nel 1969. Ma né con questi settori, né con la base delle federazioni ingraiane - in crisi dopo la sconfitta politica del leader della sinistra del PCI all’XI congresso del gennaio 1966 - si avvia alcun tipo di intervento politico che possa coinvolgerle o avvicinarle al PSIUP. Sono invece scoraggiate tutte le ipotesi che possono confliggere con gli interessi del PCI con il quale c’è un’ accordo esplicito per evitare passaggi verso la nuova formazione socialista.153 Sulle adesioni individuali e di gruppi organizzati la Direzione del partito produce una circolare interna contenente alcune delle regole di base che devono essere rispettate: oltre ad invitare alla cautela verso presunti provocatori che si possono infiltrare, si esplicita il divieto al tesseramento di comunisti che hanno rotto con il PCI, e di estremisti “operaisti e cinesizzanti”,154 anche se in molte realtà periferiche le distinzioni e le scomuniche, in particolare per un partito in formazione e plurale come il PSIUP, vengono nei fatti disattese.

A Torino molti dei nomi di punta della sinistra rivoluzionaria come Massimo Negarville (nipote del sindaco e dirigente comunista Celeste), Guido Viale, Luigi Bobbio,155 e Mauro Rostagno, lavorano a stretto contatto con Pino Ferraris, contrassegnando quel sodalizio politico tra settori consistenti di operai e di studenti unificati dal clima di contestazione, radicalizzazione e politicizzazione che porta alla realizzazione di eclatanti azioni di protesta, come l’occupazione della sede dell’Università a Palazzo Campana, e dell’Ospedale delle Molinette nel 1967.156 Tutti questi giovani nell’arco di pochi mesi passeranno dal PSIUP a “Lotta continua” come il giovane militante sardo iscritto all’università Statale di Milano Luigi Manconi, negli anni novanta sarà parlamentare dei Verdi e nel 2006 sottosegretario al Ministero della Giustizia nel governo Prodi. Altri personaggi come Marco Donat-Cattin - figlio del potente ministro democristiano Carlo - prendono la tessera del partito aderendo successivamente a coloriti gruppetti stalinisti fino ad organizzazioni protagoniste degli anni di piombo come Prima Linea.157 Anche se la linea filo-sovietica del gruppo dirigente non coincide a lungo con le istanze di una base giovanile contestataria di matrice guevarista e maoista, il PSIUP diventa per un pò il “luogo di contatto”158 tra due sinistre molto divergenti. E’ la riproposizione del partito aperto che punta a diventare il contenitore politico di esperienze diverse e opposte, sulla scia di quella che fu la stagione più creativa del PSI alla fine degli anni ’50.

151 Vedi in A. CAZZULLO, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, p. 10 152 Ivi, p. 47 153 Vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 88 154 T. VECCHIETTI, Documento sul tesseramento, gennaio 1964, AFPSIUPUD, B1, F1, sf1 155 Vedi in A. CAZZULLO, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, p. 23 156 Ivi, p. 62 157 Vedi in M. GIOVANA, Appunti per una storia del PSIUP, p. 204 158 S. DALMASSO, Caro Giovana, non era tutto così negativo, Cit., p. 209

75 Ma il contesto politico e sociale, i riferimenti ideologici e le esperienze politiche sono molto diverse da quelle del decennio precedente e, di conseguenza, anche il percorso intrapreso è breve quanto la storia del PSIUP.

76 6. L’ORGANIZZAZIONE L’iscrizione al partito prevede una domanda, controfirmata da una persona già iscritta che dev’essere sottoposta all’approvazione del Direttivo della Sezione o Nucleo Aziendale. Le strutture di base sono il Nucleo territoriale e il Nucleo aziendale socialista (NAS) che organizzano piccoli gruppi di iscritti e possono far parte della Sezione territoriale, che a sua volta è il principale strumento politico del partito nelle varie località e fa parte della Federazione provinciale. Il comitato direttivo della Federazione provinciale può formare Comitati di zona, che raggruppano determinate sezioni e nuclei territoriali di diverse zone per migliorarne il funzionamento e l’efficacia. Le sezioni e i nuclei aziendali di uno stesso comune si coordinano in un apposito Comitato comunale. Questo strumento è obbligatorio per i comuni capoluogo e utilizzato in particolare per quelli di grande dimensione.

La Federazione è il massimo organismo provinciale del Partito; è composta da un Comitato Direttivo provinciale che elegge il Comitato esecutivo provinciale il quale a sua volta nomina il Segretario della Federazione e l’eventuale vice.

Ad un livello superiore c’è il Comitato regionale, non eletto ma costituito dai membri regionali del Consiglio nazionale, dai membri regionali delle principali organizzazioni di massa e degli enti locali più importanti nominati direttamente dalle Federazioni. Esso risponde del suo operato alla Direzione del partito.

Il Comitato centrale è il massimo organismo politico del PSIUP ed ha tra le sue funzioni quella dell’elaborazione, interpretazione e attuazione della linea politica elaborata dai Congressi oltre che della nomina delle commissioni nazionali ed elegge la Direzione del Partito, la Segreteria e il Segretario Nazionale che rappresenta politicamente e legalmente il partito. La Direzione è l’organismo intermedio tra il Comitato centrale e la Segreteria ed ha il compito di elaborare e rendere esecutiva la linea politica espressa dal Comitato centrale. All’interno della Direzione sono organizzate le sezioni di lavoro e le Commissioni nazionali. Al primo congresso del PSIUP nel 1965 sarà individuata la carica di Presidente del Comitato centrale (assunta da Lelio Basso) con importanti funzioni che tendono a limitare quelle del Segretario del partito e a favorire la collegialità interna.

Il principale organismo consultivo del PSIUP è il Consiglio Nazionale che affianca il CC nelle più importanti iniziative e lotte politiche; si riunisce almeno una volta l’anno ed è composto dai membri del CC, della Direzione e della Federazione giovanile, dai segretari regionali e di federazione, dai principali dirigenti del sindacato, dai parlamentari e consiglieri regionali, dai redattori delle riviste del Partito, dai membri delle sezioni centrali di lavoro e da tutti gli invitati che il CC ritiene possano essere utili. Sarà il primo organismo ad essere costituito durante la scissione dal PSI.

I giovani dai 14 ai 21 anni sono organizzati nella Federazione Giovanile Socialista (FGS) che è interna al partito ma permette la partecipazione dei giovani anche all’attività del PSIUP dopo i 18 anni. I dirigenti nazionali e periferici della FGS sono membri di diritto della Direzione e dei direttivi locali senza diritto di voto.

77 La FGS fa il suo primo congresso solo nel 1967. A lungo è rimasta paralizzata a causa delle forti divisioni interne in particolare sulle questioni internazionali, tra sostenitori dell’antimperialismo terzomondista e tradizionalisti filosovietici, oltre che sul piano organizzativo tra una parte influenzata dalle teorie dello spontaneismo - un partito leggero e poco strutturato - provenienti in particolare dal movimento e chi vorrebbe un’organizzazione strutturata interna al partito. Anche il rapporto unitario con le altre organizzazioni giovanili (dalla sinistra cattolica alla FGCI) è al centro della polemica è per un certo periodo rende difficili i rapporti con le stesse. Il suo percorso è quindi contraddistinto da una paralisi quasi permanente divisa tra chi si sente più vicino alle istanze della FGCI, e chi invece sposa le rivendicazioni fatte proprie dai gruppi extraparlamentari; inoltre già dall’aprile del ’67 sono segnalate le prime espulsioni di gruppetti di giovani militanti filocinesi che aderiscono in seguito alle varie formazioni marxiste-leniniste.159 Tra il ’68 ed il ’69 avviene la riorganizzazione della FGS tramite l’ingresso dei responsabili giovanili all’interno degli organismi dirigenti del partito, sulla falsariga di quanto accade anche nella FGCI che, dopo il convegno di Ariccia del dicembre ‘68, viene normalizzata ridimensionando le spinte radicali legate all’influenza del movimento di contestazione.

La volontà di rappresentare la continuazione della tradizione del vero socialismo tradito da Nenni, porta il PSIUP a ricostruire un partito sul modello organizzativo precedente. Lo schema si basa su strutture territoriali che già nei primi venti giorni riproducono tante quante le federazioni, le sezioni e i nuclei aziendali quanti ne aveva il PSI. La priorità rimane l’insediamento in ogni provincia, comune, quartiere e luogo di lavoro di una presenza del PSIUP che, anche con pochi e testimoniali iscritti, riesca a far intravedere l’alternativa di sinistra alla base rimasta nel vecchio partito. In circa trenta province, dove la Sinistra ha la maggioranza, l’insediamento procede facendo proprie sia le sedi del PSI, sia i funzionari che i debiti, con l’onere di ricostruire solo le poche sezioni perse o non più attive. La vere difficoltà emergevano in tutte le altre zone dove è necessario costituire il nuovo partito: entro l’anno, una sessantina di sedi provinciali, quelle regionali e circa 2.900 sezioni con la sede; inoltre bisogna provvedere al sostentamento di circa 500 funzionari tra la periferia ed il centro nazionale, che ha la sede situata su tre piani di un palazzo in via della Vite 13 a Roma, dove vi lavorano a tempo pieno per la Direzione, per il settimanale del partito “Mondo Nuovo” e per “L’Agenzia socialista”, circa trenta funzionari, oltre ai parlamentari.

Il modello ereditato dal socialismo tradizionale permette di praticare il lavoro propagandistico ed elettorale come si faceva nel PSI, ma rende problematica l’attività di radicamento sociale che il PSIUP si pone come obbiettivo. Strutture territoriali sperimentali, in grado di integrarsi con le lotte dei lavoratori e dei movimenti di massa, sono proposte da Foa in più occasioni ma si sperimentano solo in qualche realtà periferica.160 Anche per Lelio Basso la strutturazione si deve articolare diversamente, basandosi su gruppi di lavoro tematici in grado di “ricreare la

159 Rapporti con altre organizzazioni, AFPSIUPUD, B8, F30 160 Vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 199

78 strumentazione adatta alle esigenze di oggi”;161 su questa proposte concorda anche Libertini che, pur accentuando alcuni aspetti ripresi dal modello organizzativo leninista, sottolinea la necessità di privilegiare l’operatività delle sezioni rispetto alla loro diffusione capillare sul territorio.162

161 L. BASSO, Proposte di nuove esperienze organizzative, Problemi del Socialismo, settembre- ottobre 1965, in E. BIZZARRI, L’organizzazione del PSIUP, in C. VALLAURI (a cura di), I partiti italiani tra declino e riforma: struttura, organizzazione, finanziamento, base sociale, quadri, stampa, bibliografia, natura giuridica, movimenti femminili e giovanili, risultati elettorali dagli anni sessanta agli anni ottanta. Saggi e documenti. II volumi – Roma Bulzoni, 1986, cit., p. 1040 162 Vedi in L. LIBERTINI, Tesi sul partito di classe, in Dieci tesi sul partito di classe, Samonà e Savelli, 1968, in E. SANTARELLI (a cura di), Lucio Libertini. 50 anni nella storia della sinistra, p. 100

79 6.1. IL SINDACATO E I SINDACALISTI UNITARI Il ruolo del sindacato per l’impostazione dell’azione unitaria è ritenuta essenziale per il PSIUP. Sia negli anni ’50 che negli anni ’70 i socialisti e la sinistra si batteranno per contrastare ogni tentativo legislativo che regolamenti i rapporti del sindacato con lo Stato o con i suoi apparati. L’autonomia dai poteri istituzionali del movimento sindacale permette ad esso la continuazione del ruolo di principale soggetto dell’opposizione sociale mentre, alle organizzazioni politiche spetta il ruolo di interprete complessivo di quelle istanze, all’interno del Parlamento.

La fase economica italiana negli anni del boom è caratterizzata da molteplici processi di trasformazione. In particolare si rafforzano i monopoli privati e l’industria di stato, mentre cominciano ad affermarsi, piuttosto rapidamente, le piccole e medie imprese al centro e in parte del nord Italia, in grado di guadagnare rilevanti spazi di mercato rispetto a quei settori del capitalismo tradizionale, che continua a basarsi su vecchie concentrazioni economiche private, e su un sistema di gestione autoritario. Inoltre, mentre negli anni ’50 c’è una stabilità economica sostanziale, dal ’61 al ’70 i prezzi all’ingrosso aumentano ad un tasso annuo del 2,6%, mentre i salari industriali passano dal 4,1% al 10% e l’inflazione dal 2,7% al 4,1% sempre tra i due decenni. La produzione lorda delle manifatture, la produttività operaia e gli investimenti hanno cifre altrettanto notevoli, alimentando l’impetuoso sviluppo industriale che trasforma il panorama economico e sociale dell’Italia.163 Da questa condivisione di base parte il dibattito socialista sulle riforme di struttura che si articola e differenzia anche tra le forze di sinistra.164

Per Libertini, e parte dei sindacalisti, l’attenzione rimane diretta sulle forme di contropotere che si possono sviluppare all’interno delle strutture produttive, richiamando le tesi sul controllo operaio elaborate con Panzieri. L’opposizione molto forte che i sindacalisti della Sinistra socialista conducono contro l’integrazione governativa del PSI, è dovuta anche al rischio concreto di una frattura interna alla Cgil, com’era avvenuto nel 1948 dopo l’attentato a Togliatti e l’esclusione delle sinistre dal Governo. La necessità di normalizzare il sindacato tramite questa divisione politica era legata all’applicazione del nuovo modello di sviluppo sociale che mal si concilia con un conflitto così aspro. Con gli anni Sessanta, segnati dai fatti di Piazza Statuto a Torino, inizia la ripresa sindacale grazie ad una nuova classe operaia, in larga parte immigrata, che riaccende il confronto e lo scontro interno ai partiti e ai sindacati.165 La vertenza dei metalmeccanici e quella degli elettromeccanici, che inizia subito dopo, aprono il ciclo vertenziale del 1962-’63. Il Centro-sinistra può essere lo strumento in grado di conseguire il controllo e la disciplina delle lotte operaie: dopo il coinvolgimento dei socialisti, parte del Governo è interessata ad attuare la stessa operazione anche con i comunisti, ma tramite la Cgil, per cercare di regolamentare uno sviluppo economico che è ritenuto caotico e poco equilibrato.

163 Vedi in V. FOA, Sindacati e lotte operaie. 1943-1973, Loescher, Torino 1976, p. 118 164 Vedi in A. MARGHERI, A “Mondo Nuovo” e nel PSIUP, p. 38 165 Vedi in G. ALASIA, Socialisti e sinistra socialista nel sindacato, in “Il Ponte”, n.6, Firenze,1989, p. 175

80 Gli strumenti adottati per la riduzione del conflitto e l’aumento dei guadagni sono la deflazione e la recessione che colpiscono il paese tra il ’64 e ’65, che comportano perdite del 20% annuo degli investimenti e la creazione di disoccupazione, ma consentono la ripresa della produttività mediante un maggiore sfruttamento della manodopera. Di fronte alle manovre economiche e bancarie guidate dai principali apparati dello Stato, il sindacato è in difficoltà tanto da uscire sconfitto nelle successive vertenze contrattuali del 1966 che ne mettono in discussione anche la credibilità tra i lavoratori. Le lotte studentesche coinvolgono i settori altamente avanzati dei tecnici e degli specializzati in alcune grandi aziende moderne. Successivamente il governo di Centro-sinistra avanza la proposta di riforma pensionistica che ritira per qualche mese riproponendola a febbraio. Questa volta la Cgil, dopo una consultazione con le strutture territoriali, respinge la proposta e convoca lo sciopero generale. Inizia l’autunno caldo.166

Le correnti nella Cgil sono permesse per statuto, date le particolarità della composizione sindacale, che dopo le scissioni di quella democristiana e socialdemocratica permangono, ma sono rigidamente inquadrate all’interno della politica difensiva del frontismo. Con il passaggio del PSI nella maggioranza di governo, la necessità di non alimentare le forze scissioniste degli autonomisti, favorevoli al sindacato dei socialisti 167 e quello dei comunisti, interrompe il meccanismo partito-corrente a favore di una maggiore collegialità nelle scelte e condivisione nei contenuti, anche se il ruolo dei comunisti nell’indirizzo politico e organizzativo è indiscusso. Gli sviluppi delle lotte sociali e le dure battaglie introducono nuove pratiche che cambiano parzialmente alcuni metodi del funzionamento sindacale.

Con la nascita del PSIUP si forma anche la corrente sindacale nella Cgil denominata “Autonomia e unità sindacale”. Vittorio Foa, vice-segretario Nazionale della Cgil dal 1957 con Santi, Brodolini e Montagnani (in sostituzione di Lizzadri e Spessi dopo la morte di Di Vittorio), rappresenta con Nicosia la punta di diamante dei socialisti unitari, la cui scissione colpisce particolarmente il settore sindacale: oltre ai 2 dei 5 vicesegretari nazionali della corrente socialista della Cgil, 10 membri dell’Esecutivo Nazionale,168 19 dei 25 membri del Comitato centrale della Fiom, compresi i due vicesegretari Piero Boni (poi sostituito da Elio Giovannini alla vice-segreteria nazionale FIOM) ed Elio Pastorino,169 oltre ad Ansanelli e Antonizzi, rispettivamente segretari responsabili delle categorie degli alimentaristi e autoferrotranviari, e 10 dei 12 membri socialisti alle Commissioni interne della Fiat. Migliaia di altri dirigenti nelle Camere del lavoro, nelle categorie di fabbrica (tranne alcune del pubblico impiego e dei servizi dove la maggioranza rimane con gli autonomisti), tra i ferrovieri170 e nelle Leghe, formano la nuova corrente sindacale denominata

166 Vedi in V. FOA, Sindacati e lotte operaie, p. 124 167 Nel luglio del 1966 i socialisti dell’Alleanza contadini abbandonano l’associazione unitaria della sinistra per fondare l’Unione contadini italiani che si colloca a sinistra della democristiana Coldiretti. 168 Sono: Alasia, Ansanelli, Antonizzi, Biondi, Fabbri, Foa, Giulianati, Guerra, Minichini e Nicosia. 169 Vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 196 170 Al congresso nazionale dello SFI, nell’aprile ’64 sono 16 i membri PSIUP, 49 del PCI, 24 al PSI e 7 a minoranze. In Segreteria nazionale entrano per il PSIUP Giuseppe De Blasio e Giovanni Valentinuzzi.

81 “Autonomia e unità”, dopo il fallimento del tentativo di mantenere unita quella socialista.171 Grazie alla mediazione e all’accordo tra Santi e Foa i danni della separazione sono limitati e le lacerazioni contenute. I rapporti interni agli organismi dirigenti, che vedevano nei comunisti i pacificatori tra le due fazioni, si risolvono con una proporzione di 1 a 2 a favore della componente del PSI. La presenza socialproletaria è sensibile in tutte le principali realtà industriali del paese con il fulcro proprio nella Torino della FIAT: Gianni Alasia è il Segretario generale della Camera del lavoro di Torino e con Guerra, Andriani, Barbadoro e Giovannini nel centro-Italia, Sclavi a Milano, Biondi a Firenze, Pumpo a Napoli, e Militello in Sicilia, darà prestigio e sostanza alle battaglie della sinistra unitaria nel sindacato. Da subito i sindacalisti sono un punto di riferimento per ampi strati di delegati, che comporranno il nerbo fondamentale della nuova sinistra sindacale nata dall’autunno caldo.

Le lotte coinvolgono anche quei settori pubblici per i quali anche il PSI ha sempre prestato attenzione, come quello della scuola, coinvolto massicciamente nelle lotte di metà anni Sessanta. Da quell’esperienza nasce nel giugno del ‘67 il Sindacato Nazionale Unitario Scuola aderente alla Federstatali della Cgil che vede i socialisti del PSIUP fortemente impegnati nella costituzione di un soggetto sindacale confederale dopo decenni di corporativismo clientelare nel Sindacato Nazionale Scuole Medie.

Se storicamente le componenti sindacali socialiste hanno spesso rappresentato l’ala moderata dei partiti,172 nel PSIUP questo dinamica si inverte, perché essi non solo rappresentano una delle componenti principali dell’area della sinistra ma, nelle federazioni del nord Italia industrializzato, danno un contributo molto importante alla rapida organizzazione del partito. Inoltre contribuiscono a diffondere la pratica dell’inchiesta e della presenza costante nelle fabbriche come strumento per la conoscenza approfondita delle realtà che si intendono rappresentare. 173 I gruppi dirigenti, sia quello nazionale che quelli locali, sono composti da molti sindacalisti, a dimostrazione della forte presenza del Partito nella classe operaia organizzata, che viene contrapposta a quella del PSI che vede i sindacalisti sottoposti a forti pressioni, atte a ridimensionarne l’influenza. Ma anche il “pansidacalismo del PSIUP”,174 cioè la convinzione che l’apporto critico delle idee e delle lotte sociali fossero lo strumento determinante per il cambiamento della linea maggioritaria dell’organizzazione, è ridimensionato in quanto, né in occasione delle scadenze elettorali, durante le quali prevale lo spirito frontista con i comunisti, né durante il dibattito sull’invasione della Cecoslovacchia, riesce ad incidere a causa dell’insufficiente influenza nel corpo del partito. Con la crisi successiva al congresso di Napoli, molti di essi si rifugiano nel sindacato nel tentativo di trovare quella soluzione politica ricercata. Il sindacato della seconda metà degli anni sessanta è un’organizzazione che contratta nel suo complesso tutti gli aspetti della vita del lavoratore fuori e dentro la fabbrica e

171 G. ALASIA, Socialisti e sinistra socialista, p. 177 172 Vedi in M. RIDOLFI, Il PSI e la nascita del partito di massa. 1892-1922, Laterza, Roma-Bari, nota 48, p. 174 173 Vedi in E. BIZZARRI, L’organizzazione del P.S.I.U.P., p. 1037 174 S. MINIATI, PSIUP, Cit., p. 81

82 riesce ad interloquire e a rapportarsi con quelle realtà molto spesso trascurate dai partiti politici. Se tra le avanguardie, soprattutto studentesche, il collegamento con queste vertenze punta allo sviluppo autonomo delle lotte ricercando anche quello politico, per il PSIUP questa è una posizione minoritaria; l’idea prevalente è che tramite le lotte sindacali si possa influire nelle politiche di trasformazione trovando l’adeguata e coerente risposta dei partiti della sinistra.

Le tematiche che caratterizzano la battaglia sono quelle legate alla democrazia sindacale, al rapporto con le nuove aree sociali, alla collocazione e al rapporto con il governo nonché alle proposte di politica economica. Su quest’ultimo aspetto si consuma il principale scontro della corrente con la maggioranza della Cgil quando in Parlamento si profila il voto sul Piano Pieraccini nel 1965. L’analisi non lascia spazi a mediazioni. Secondo Foa, Giovannini, Guerra e Nicosia, il piano propone sul tema della politica salariale il legame tra i salari e l’aumento della produttività, nonché la politica dei redditi (che significa il contenimento delle rivendicazioni salariali); inoltre sulla politica agraria e su quella delle partecipazioni statali, sui trasporti, come sulla scuola e nella politica previdenziale si propongono contenimenti particolarmente svantaggiosi per i redditi da lavoro dipendente e per il Mezzogiorno. L’inflazione, provocata dall’azione speculativa dei grandi capitali, vuole essere calmierata dal piano tramite l’incentivazione dei profitti. L’analisi dei sindacalisti psiuppini individua nel tentativo, dell’integrazione, del coinvolgimento e della subordinazione del sindacato ad esigenze considerate improprie, il pericolo in corso. A conclusione di tale analisi anche il voto di astensione, proposto dai comunisti e dai socialisti autonomisti nella Cgil, è considerato un errore in quanto “può risultare equivoco e può indebolire l’impegno di lotta per una diversa politica economica”.175

La rottura sul voto parlamentare rientra anche nel dibattito del VI congresso di Bologna nel marzo-aprile del’65. Foa e Nicosia sono critici sia verso l’andamento del percorso congressuale, contraddistinto da una limitata partecipazione degli iscritti, sia dai compromessi tra la componente comunista e socialista, che ingessano il dibattito e i processi di rinnovamento del gruppo dirigente. La battaglia politica di AUS si caratterizza dalla lotta contro il sostegno al piano Pieraccini, contro i tentativi proposti in alcuni ordini del giorno (voluti dagli autonomisti) per l’uscita della Cgil dalla Federazione sindacale mondiale (FSM), e contro le opzioni di inquadramento non egualitaro nelle piattaforme contrattuali che diventerà una delle battaglie dell’autunno caldo.176

L’indipendenza e l’autonomia del sindacato dai partiti coinvolge direttamente la Cgil la cui dirigenza nazionale è fortemente rappresentata in parlamento fin dalla Liberazione. In particolare per Foa questi temi sono rilevanti al fine di contribuire allo sviluppo politico delle lotte e per questo è tra i primi a proporre l’incompatibilità tra le due cariche e rinuncia a quella di parlamentare. A ciò va aggiunto l’importante presa di posizione in tal senso anche da parte di Piero Boni e del comunista Bruno Trentin (segretario Generale della FIOM) che avanzano la proposta ufficiale

175 Ivi, cit., p. 75 176 Documento della corrente di AUS, marzo 1965, AFPSIUPUD, B3, F3, sf9

83 sull’incompatibilità tra le diverse cariche già nel settembre del 1966, anticipando la Cgil. L’affermazione di questo principio statutario avviene al VII congresso della Cgil a Livorno nel 1969, l’ultimo al quale partecipa la componente del PSIUP “Autonomia e unità” che poi si dissolve con la scomparsa del partito.

84 6.2. LA DEMOCRAZIA INTERNA E IL PARTITO PLURALE Fin dall’inizio nel Partito si coagulano delle aree politiche che seppur non organizzate in maniera permanente, come vieta lo statuto, successivamente daranno vita alle correnti com’è avvenuto in passato nei partiti socialisti, caratterizzati da una democrazia interna più aperta e libera rispetto a quella dei partiti comunisti.

Tullio Vecchietti, Dario Valori, Francesco Lami, Lucio Luzzato, Vincenzo Gatto e Giuseppe Avolio, sono i principali dirigenti della ex Sinistra socialista che nel PSIUP esprime sia il Segretario generale che il vice Segretario, mantenendo saldamente nelle loro mani tutte le principali strutture del partito, dalla direzione del giornale, alla tesoreria, fino alla stragrande maggioranza dell’apparato, composto da circa 500 funzionari. Le fratture e le divergenze principali emergono durante la crisi che precede lo scioglimento del partito per determinare, e governare, il passaggio del maggior numero di militanti o nel PCI, o nel PSI.

La sinistra interna sarà una corrente critica composta al proprio interno da molti nomi importanti, anche se soffrirà della mancanza di un radicamento territoriale omogeneo. Essa si costituisce stabilmente nel 1968 dopo l’accordo elettorale stipulato con il PCI, che viene contrastato senza successo per i timori legati al possibile ridimensionamento della propria autonomia politica rispetto alle scelte del Partito Comunista Italiano. Tra i suoi sostenitori compare il nome del prestigioso presidente del Comitato centrale del Partito, Lelio Basso, che mantiene dei collegamenti politici importanti con parecchi quadri intermedi tramite la redazione di “Problemi del socialismo”, che assume la funzione di una tribuna costante per il confronto tra le avanguardie della sinistra socialista e comunista. Lucio Libertini dall’aula del Parlamento, Pino Tagliazucchi, Pino Ferrarsi e Gastone Sclavi in Piemonte, Silvano Miniati in Toscana, Francesco Indovina a Milano oltre a Andriani, Guerra, Giovannini, Lettieri e Asor Rosa, sono tra i principali dirigenti ed intellettuali che, su posizioni critiche e conflittuali, animano il dibattito interno e successivamente costituiscono l’ossatura della corrente di sinistra. Nel mondo sindacale, Vittorio Foa e Gianni Alasia (Segretario generale della Camera del Lavoro di Torino), sono i dirigenti di quest’area più autorevoli ed ascoltati anche al di fuori del partito.

Le tensioni interne non si verificano solo tra le correnti, ma anche all’interno delle strutture territoriali. Un esempio, che investe anche i rapporti tra il PSIUP ed il PCI, sono le espulsioni che colpiscono numerosi dirigenti della federazione di Bologna tra il ’65 ed il ‘66. Dopo un lungo lavoro d’indagine e d’inchiesta condotto da vari militanti e sindacalisti del PSIUP locale, viene diffuso un testo critico nei confronti del metodo amministrativo di alcuni enti locali importanti come la Regione, la provincia e molti altri comuni dell’Emila-Romagna. chiamato comunemente il modello emiliano. La messa in discussione di questo modello, che è ritenuto l’esempio migliore dell’amministrazione virtuosa del PCI rispetto a quella democristiana e che punta a dimostrare la maturità del partito comunista per la guida anche del Paese, provoca delle dure reazioni sia all’interno che all’esterno del PSIUP.

85 Il rapporto elaborato critica sia quella che è ritenuta la subalternità dei socialisti unitari verso il PCI nella spartizione del potere nelle regioni rosse (il PSIUP è infatti parte integrante della maggioranza regionale), sia la politica del sindacato che non contrasta con la veemenza che attua invece a livello nazionale, gli analoghi accordi con le piccole e medie aziende sottoscritti con numerosi enti locali dell’Emila- Romagna. Anche i rapporti di produzione interni alle cooperative non vengono risparmiati dal punto di vista critico, e mettono in luce le differenze tra la loro ispirazione sociale e la loro condizione reale di sfruttamento, simile a quello delle imprese, nonché di mero strumento clientelare dei partiti di sinistra. Lo studio diffuso durante la fase preparatoria del congresso della Cgil del 1965, contribuisce a rianimare il latente conflitto presente nelle federazioni emiliane del PSIUP di Bologna, Piacenza e Reggio-Emila, nei confronti del PCI e del sindacato da esso egemonizzato. La vicenda che si conclude con l’espulsione dal Partito dei contestatari, è utilizzata per spiegare i limiti politici entro i quali è possibile criticare, e quelli oltre i quali ci si pone al di fuori del Partito.177 Questo esempio si colloca nel dualismo autonomia/unità che aveva contraddistinto anche il rapporto tra il PCI ed il PSI e che ora si ripropone in termini simili anche con i socialisti unitari.

Ma il caotico funzionamento interno è una costante che vanifica molte delle potenzialità: Vittorio Foa nel ’68, sostiene senza reticenze che, l’acuirsi delle divergenze interne al PSIUP, rischiano di vanificare tutte le opportunità offerte dalla momentanea crisi del processo di unificazione del PSI con il PSDI, che permetterebbe ai socialisti unitari di radicarsi nella società infierendo un duro colpo a quella che definisce la “bestia nera”178 socialdemocratica; ma l’organizzazione pare invece comportarsi con le stesse modalità interne del partito dal quale, solo pochi anni prima, si sono staccati. Dal ’71 in poi, per cercare di arginare la crisi organizzativa dilagante, la Direzione diffonde un documento per circoscrivere e limitare le numerose prese di posizione pubbliche delle correnti, indicando alle federazioni territoriali l’attuazione di “adeguate misure disciplinari”.179

Il PSIUP ripropone quella tradizione democratica ed aperta del vecchio PSI, che è inevitabile data l’eterogeneità interna ma successivamente, di fronte alle difficoltà di varia natura, tenta di rispondere recuperando quella tradizione morandiana che negli anni ’50 aveva fatto del PSI un partito organizzativamente solido. Ma alla fine degli anni sessanta, con la messa in discussione dei modelli organizzativi monolitici e disciplinati, che anche la Sinistra socialista aveva contribuito a ridimensionare durante la precedente lotta di frazione nel partito di Nenni, diventa pressoché impossibile contenere con le solo regole statutarie il dissenso che, alla fine, vedrà nel PSIUP emergere in poco tempo ben tre correnti nazionali.

177Vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 89 178 F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, cit., p. 202 179 Documento della Direzione sui casi di indisciplina, 28 luglio 1971, AFPSIUPUD, B12, F1, sf3, s2

86 6.3. LA COMUNICAZIONE SOCIALPROLETARIA Lo strumento tradizionale e più diffuso è il settimanale “Mondo Nuovo”. Già organo ufficiale della Sinistra nel ’59, dopo la fusione tra le correnti di Vecchietti e Basso nel 1961 è diretto da Lucio Libertini dopo il suo distacco da Raniero Panzieri. E’ il mezzo utilizzato per la polemica contro il nascente Centro-sinistra ma riesce ad ospitare numerosi collaboratori esterni, come Leonardo Sciascia, Alberto Asor Rosa, Adelio Ferrero e Stefano Merli che rendono la pagina culturale molto vivace.180 I direttori che si susseguono nel corso degli anni, scandiscono anche il travaglio del dibattito interno del Partito. Franco Galasso, vicino a Libertini, critico nei confronti dell’URSS, è sostituito nei primi mesi del ‘64 da Piero Ardenti, più vicino a Vecchietti e Valori. Gli succederanno alla direzione Andrea Margheri e Gianfranco Lannutti,181 che traghetteranno l’esperienza all’interno del PCI e de ”L’Unità”. Unica tra le riviste di partito, “Mondo Nuovo” si caratterizza per le vendite più numerose tramite le edicole, rispetto a quelle diffuse tramite gli abbonamenti: al congresso del 1968 saranno denunciati solo 4200 abbonamenti a fronte delle 20 mila copie di tiratura settimanale. La tradizione della vendita militante persiste ma trova dei buoni risultati solo durante le campagne elettorali o nelle grandi occasioni di massa come la festa dei lavoratori il I maggio (per il quale c’è solitamente un’edizione straordinaria con una tiratura di 50 mila copie) e del 25 aprile, festa della Liberazione. Il settimanale è lo strumento del partito più diffuso ma ci sono anche altre produzioni editoriali. La rivista fondata da Basso nel 1958, “Problemi del Socialismo”, da spazio a quegli approfondimenti teorici aperti anche a quei soggetti esterni al partito. Passata con il suo fondatore al PSIUP, seguirà costantemente i percorsi del leader socialista piuttosto che quelli dei partiti dei quali fa parte. Accanto a queste pubblicazioni c’è anche il bollettino interno del partito, “Rassegna socialista”, diretto da Giulio Scarrone che è destinato sia ai militanti sia ai simpatizzanti e che affronta soprattutto le tematiche organizzative e politiche, soffermandosi in particolare sulle campagne che il partito sostiene o promuove. In molte occasioni sono riportati i rapporti elaborati dagli organismi dirigenti del partito che possono essere resi pubblici, come i resoconti di conferenze internazionali, sindacali ecc. Tutta l’elaborazione politica, organizzativa ed amministrativa si diffonde mediante lettere e circolari interne tra le varie strutture territoriali del partito.

Per la formazione dei quadri dirigenti il partito pubblica i “Quaderni socialisti” che, riprendendo l’originale spunto bassiano, sono ritenuti uno strumento indispensabile anche per preservare la natura classista dell’organizzazione dai rischi dell’influenza delle idee riformiste. In alcuni casi sono pubblicati sia resoconti sulle inchieste182 elaborate dai militanti, sia resoconti sulle lotte che vedono protagonista il partito, nel tentativo di renderle patrimonio comune della sinistra. Dai dati diffusi durante il congresso del 1968, si apprende che sono circa 12 mila le copie dei quaderni diffuse

180 Vedi in A. MANGANO, Le riviste degli anni Settanta. Gruppi, movimenti, conflitti sociali, Massari, 1998, p. 186 181 Giancarlo Lannutti (1931-2006). Redattore-capo e Direttore di “Mondo Nuovo”, corrispondente dagli esteri de “L’Unità” e di “Liberazione”, viene annoverato tra i “carristi non pentiti” del PSI, Liberazione 9 maggio 2006 182 Vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 202

87 e spedite nel corso dell’anno alle varie federazioni, a dimostrazione della marginalità che continua a rivestire questo ambizioso progetto, risalente alla tradizione del PSI morandiano e che, anche allora, aveva vissuto notevoli difficoltà. L’”Agenzia socialista” è l’organo di stampa mediante il quale il partito può quotidianamente far sentire la propria opinione sull’attualità politica e comunicare con le altre strutture informative. Nonostante le sole 5.000 copie giornaliere diffuse è lo strumento privilegiato per la comunicazione a mezzo stampa anche tra il partito, i suoi gruppi parlamentari e le strutture locali, che possono disporre dei comunicati per diffonderli tramite la stampa locale.

88 6.4. I CONGRESSI: ROMA, 1965 Il primo congresso del PSIUP (16-19 dicembre 1965) risente del clima di rinnovamento che si respira nella società, oltre che del buon risultato nel primo appuntamento elettorale alle regionali in Friuli Venezia-Giulia e quindi, le tesi elaborate sono “decisamente a sinistra”.183 “Per la pace e la libertà dei popoli contro l’imperialismo”, “Per il socialismo contro lo sfruttamento e il potere del capitalismo” “Rafforziamo nella lotta l’unità dei lavoratori” sono gli slogan delle tesi congressuali pubblicati su “Rassegna socialista”. Gli iscritti ufficialmente denunciati dalle 101 federazioni provinciali del 1964 (comprese quelle estere del Belgio e di Parigi) sono 151.322 su 190.492 voti ottenuti dalla mozione al congresso socialista del ’63, anche se persistono dubbi sull’attendibilità delle cifre. Nel ’65 gli iscritti diminuiscono e il bilancio sul primo anno di attività oltre a descrive la presenza del PSIUP nel paese ne mette in luce i limiti. Iscritti totale Nord Centro Sud 1964 151.322 50.551 34.108 66.657 1965 145.179 53.837 33.881 57.461 diff. - 6.143 +3.280 -227 - 9.196

Il partito continua a crescere dov’è più radicato, mentre rimane debole dove lo era in precedenza. 184 Le sezioni raggiungono il numero di 4.176 (+293) mentre i Gruppi di fabbrica sono 418 (+29); 30 mila sono gli iscritti persi compensati in parte dal 20% di nuove adesioni. Al nord, e in particolare in Lombardia che è la regione con più iscritti, c’è un’ulteriore aumento degli iscritti, mentre in Piemonte la situazione è statica; le federazioni emiliane continuano ad avere dimensioni ridotte come quelle in Veneto; al centro Italia sono segnalate delle difficoltà che persistono da tempo come nelle federazioni del Mezzogiorno, che rimane il punto debole del partito dalla scissione in poi.185 I funzionari sono 300 oltre ai 400 nelle organizzazioni di massa; la coincidenza tra il ruolo di funzionario e quello di dirigente del partito, al centro come in periferia, è ritenuta una scelta obbligata anche se, la pratica dei bassi salari loro corrisposti, condiziona la qualità del rapporto con la base del partito.

Dal punto di vista politico è ribadita l’attualità del socialismo in tutto il mondo e nei paesi a capitalismo avanzato. L’opzione socialdemocratica è stata sostenuta dai poteri forti per cercare di limitare le pressioni del movimento operaio; ma esso non trova delle alternative politiche all’altezza dei compiti. Non le trova nel PSI, integrato nel sistema, né nel PCI, criticato per una politica eccessivamente parlamentarista. L’attenzione principale per il PSIUP, rimane all’interno delle realtà produttive, il luogo del conflitto tra capitale e lavoro. Appare evidente, ai congressisti, un processo economico espansivo che

183 Ivi, cit., p. 204 184 Documento di analisi del tesseramento del 1965, AFPSIUPUD, B3, F2, sf1 185 Vedi in E. BIZZARRI, L’organizzazione del P.S.I.U.P., p. 1039

89 pone le organizzazioni della sinistra tra il bivio della subordinazione e l’integrazione al sistema, oppure la rottura rivoluzionaria.

La tradizione verbale del socialismo massimalista investe pienamente queste tesi congressuali, rimarcando il senso dell’esistenza del partito rispetto al PSI, in difficoltà già dal luglio ’64 dopo la rottura tra la maggioranza autonomista e i lombardiani, che vede vincere Nenni anche nel congresso che prepara la strada all’unificazione con il PSDI. Dopo le elezioni amministrative del 1966, segnate dal parziale successo delle linea politica moderata e dalla crescita dei socialdemocratici, l’unificazione continua il suo percorso186 fino alla nascita del PSU che avviene a Roma il 30 ottobre. Per il PSIUP questa è la conferma del cambiamento della natura politica del PSI voluta dai suoi vertici, senza però che la base ne sia particolarmente coinvolta: secondo Parri questo cambiamento è vissuto passivamente, come un rituale.187 La polemica nei confronti del partito socialista è quindi spietata, mentre modulata è quella nei confronti del PCI. Il documento congressuale psiuppino si sofferma sulla DC concentrando l’attenzione verso le frange del dissenso di sinistra, modificando e delimitando la teoria morandiana sul dialogo con i cattolici, con l’esclusione della prospettiva governativa con il partito cattolico. Sul terreno della programmazione economica (che poi si esplicita nell’atteggiamento assunto nei confronti del Piano Pieraccini) e sul ruolo nelle amministrazioni locali e nella cooperazione, le differenze per ora non vengono evidenziate. Si ribadisce la differenza dal Partito comunista ma con un atteggiamento all’insegna della solidarietà e unità.

186 Sul percorso e sugli effetti organizzativi dell’unificazione tra il PSI ed il PSDI vedi in particolare C. VALLAURI, Genesi, corso e caduta dell’unificazione socialista, in C. VALLAURI (a cura di), I partiti italiani tra declino e riforma, pp. 985-996 187 L. BASSO, L’approdo socialdemocratico, Problemi del Socialismo, novembre-dicembre 1966, in E. BIZZARRI, L’organizzazione del PSIUP, cit., p. 1044

90 6.4.1. NAPOLI, 1968 Il congresso si apre all’insegna della guerra in Vietnam, con la platea congressuale che si prodiga in un’ovazione di diversi minuti nei confronti della delegazione di Vietcong provenienti dal paese asiatico. Tuttavia il tema predominante è quello dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia avvenuta pochi mesi prima. Se Vecchietti, durante la fase preparatoria del congresso, si impegna ad indirizzare il partito verso una fase di rinnovamento profondo, sia nell’autonomia dal PCI, sia nel ricambio generazionale e di forze nuove che ridimensionino la vecchia guardia morandiana e siano in grado di sintonizzarsi con i movimenti di contestazione, la lettura della sua relazione d’apertura del congresso gela molte di queste aspettative. Nonostante l’accoglimento delle istanze provenienti dai vari movimenti sociali, il rapporto con il PCI è orientato ancora “da molte cautele e diplomatismo”188. Il dibattito è molto intenso e le cronache riportano in particolare gli interventi molto di Lelio Basso e di Lucio Libertini. Quest’ultimo, che dal palco tenta di conquistarsi la leadership della sinistra interna189 con un vibrato e polemico intervento, sottolinea sia l’importanza dei movimenti di contestazione e del dissenso in ambito operaio e studentesco, sia la necessità di una maggiore autonomia dal PCI;190 sul piano internazionale, le sue critiche a Vecchietti vengono utilizzate da parte della stampa per individuare nell’opposizione interna una fazione di “maoisti e cubani”191. Foa incalza la platea a partire dalla Cecoslovacchia e sulla fine degli Stati-guida, mentre Dario Valori concentra la sua analisi sulle lotte di massa finalizzate al tentativo di modificare gli assetti dei partiti di sinistra, in polemica con la nuova strategia del PCI.192

Gli effetti della vicenda cecoslovacca dilatano le tesi politiche che accentuano il filo- soviettismo da un lato e le tematiche operaiste dall’altro. L’attualità del socialismo è ritenuta estranea ormai al contesto europeo, mentre viene valorizzata nei Paesi del blocco sovietico e per i paesi post-coloniali. Al tempo stesso sono confermate sia la centralità rivoluzionaria della classe operaia occidentale, sia la valutazione tipicamente leninista della natura dello Stato, sia la strategia dei contropoteri, in polemica con la linea comunista sulla nuova maggioranza parlamentare.193 Il massimalismo verbale della tradizione socialista si lega al radicalismo diffuso tra le fila del partito che, come segnala la stampa, è presente in numerosi interventi dei delegati che sollecitano un forte legame con i movimenti.

Molti altri delegati interverranno ma un fatto inaspettato ruba la scena agli intervenuti permettendo alla presidenza, e alla maggioranza, di riprendere il controllo della situazione dopo il parapiglia che si scatena nella sala durante l’intervento di Lelio Basso. In questa occasione specifica il PSIUP sale agli onori della cronaca televisiva quando il giornalista in collegamento del TG1 della RAI, Gianni Crovato è centrato, in

188 S. MINIATI, PSIUP, cit., p. 98 189 Vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 210 190 G. CROVATO, Linea maoista di Libertini, “Messaggero Veneto”, 20 dicembre 1968 191 Il PSIUP sta cercando di accaparrarsi le forze della protesta,“Messaggero Veneto”, 20 dicembre 1968 192 G. CROVATO, Valori non crede possibile una nuova maggioranza, “Il Gazzettino di Venezia”, 21 dicembre 1968 193 Vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 210

91 diretta, da una torta alla panna in pieno volto. La “contestazione della panna” indirizzata per protesta da un giovane socialproletario udinese194 sia nei confronti del giornalista,195 sia delle televisioni colpevoli, a suo dire, di ignorare sistematicamente il PSIUP, è riportata da tutti i giornali nazionali e locali del giorno successivo con titoli a numerose colonne. Questo gesto, oltre a scatenare la caccia al giovane “capellone”, spacca la platea congressuale tra chi vuole una punizione esemplare e chi la considera una gogliardata; alla fine, in un clima molto teso, viene letto il comunicato di condanna e di solidarietà al giornalista Rai (che aveva reagito con stile e tranquillità), caratterizzato da toni molto duri nei confronti di tutti i giovani, ad indicare anche il solco generazionale sempre più ampio che si sta creando nel Partito.196

Sulle conclusioni congressuali le dichiarazioni di voto critiche sono molte, ma non mettono in discussione la vittoria politica oggettiva che il gruppo dirigente ha riportato, anche grazie all’accordo in extremis tra Foa e Vecchietti che salva l’unità, in questo caso di facciata, del partito.197 Inoltre, dopo la fine del congresso il 21 dicembre, chiunque criticava l’URSS richiedendo maggiore autonomia politica, era pubblicamente descritto come antisovietico e in privato attaccato come disgregatore del Partito. Dalla commissione esteri viene rimosso Tagliazucchi e la responsabilità passa direttamente a Vecchietti.198 Le tensioni interne tra le anime rivoluzionarie e quelle pragmatiche (che ricordano quelle del PSIUP degli anni quaranta) portano all’abbandono di molti giovani quadri che non si adattano facilmente alle regole d’apparato, né tantomeno intendono condurre una battaglia di minoranza di lungo periodo interna al Partito, ma abbandonano il PSIUP, per approdare alle numerose sigle dei gruppi extraparlamentari. Anche da parte di chi allora era stato a favore della Segreteria del Partito, riconosce che in quel contesto storico, per un partito d’opinione come il PSIUP, la crisi cecoslovacca era stata sicuramente uno dei principali motivi della crisi che segnò l’inizio della fine.199

194 Tra i giovani sospettati della contestazione vi è anche il delegato udinese Andrea Dean che riporta al partito la testimonianza del duro trattamento subito da parte dei responsabili del servizio d’ordine, destando le proteste della sezione locale, Congresso di Napoli, PSIUPUD, B9, F2/B, sf3; sulla conferma dell’autore materiale del gesto, dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 195 Dalla stampa locale si apprende che la cronaca del giornalista sul congresso del PSIUP e il suo Segretario nazionale (definito “uomo di estrazione piccolo-borghese, professore di storia e filosofia che tenacemente persegue il disegno di tenere agganciato il PSIUP al PCI”) è ritenuta sprezzante e offensiva da parte di numerosi militanti, “Il Gazzettino di Venezia”, 19 dicembre 1968, AFPSIUPUD, B9, F2/B, sf3, ins.3 196 Vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 100 197 Vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 211 198 Vedi in G. LANNUTTI, Lucio Luzzato, p. 54 199 Vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 206

92 6.4.2. Bologna, 1971 La preparazione del III congresso che si tiene a Bologna tra il 22 e il 25 marzo del 1971, comincia durante l’inverno del ’70 con la costituzione della “Commissione tesi” di cui fanno parte i principali referenti delle correnti del Partito. Per la sinistra sono presenti Foa, Libertini, Andriani e Ferraris, le cui scelte provocano una differenziazione critica da parte di alcuni dei dirigenti toscani e milanesi presenti nel Comitato centrale, che si opporranno al documento congressuale. Il risultato deludente delle elezioni amministrative del giugno ‘70 incide profondamente nella psicologia del gruppo dirigente tanto da far supporre che per la maggioranza del gruppo dirigente la prospettiva di vita del PSIUP sia a breve termine. La Tesi elaborate spiegano il calo elettorale solo sulla base di motivazioni organizzative, senza formulare particolari analisi sulla fase sociale e politica; dalle teorie sui contropoteri, enunciate con vigore solo un paio d’anni prima, si ripropongono le riforme di struttura in collaborazione con tutte le forze progressiste, dalla sinistra cattolica al PSI oramai sganciato dai socialdemocratici.200 La crisi politica denunciata anche da Foa assume il connotato della consapevolezza del ruolo testimoniale che il PSIUP sta assumendo. Le difficoltà sono sentite anche dalla sinistra interna che nella sua maggioranza cerca di accordarsi con il gruppo dirigente di Vecchietti e Valori. Ma sia Foa che Libertini, che è il candidato dalla sinistra interna a Segretario del partito, non vengono successivamente coinvolti negli organismi esecutivi nazionali. In particolare Libertini, dirigente apprezzato sia a livello nazionale sia dalla base per la sua riconosciuta disponibilità, è criticato duramente dal PCI, che lo definisce spesso, per le sue posizioni filo-operaiste e la sua critica all’URSS, “un provocatore” 201 così come Asor Rosa e Tronti. La sinistra si astiene sulla conferma di Tullio Vecchietti a Segretario nazionale, mentre vota a favore di Dario Valori. Sia verso i dirigenti favorevoli alla riapertura del dialogo con il PSI, come Giulio Scarrone, sia nei confronti di quelli più propensi verso “Il Manifesto” come Indovina, c’è l’ostracismo della maggioranza che ne impedisce l’ingresso negli organismi dirigenti nazionali. Nei primi mesi del 1972 Indovina, oltre al piemontese Tomiolo, al veneto Ramella e ad alcune centinaia di militanti, aderisce al gruppo di Rossanda e Pintor, mentre Scarrone e Menchinelli torneranno in anticipo al PSI.202 La composizione del Comitato centrale diventerà determinante un anno dopo, quando le varie mozioni saranno chiamate a portare il massimo del consenso loro possibile nei rispettivi nuovi partiti di appartenenza o in formazione.203

200 Vedi in E. BIZZARRI, L’organizzazione del P.S.I.U.P., p. 1058 201 S. MINIATI, PSIUP, cit., p. 65 202 Ivi, p. 117 203 Ivi, p. 115

93 6.5. ELEZIONI, PARLAMENTO E POLITICA SOCIALPROLETARIA. I ripetuti momenti elettorali sono nel PSIUP motivo di discussione e tensione. La tradizione del socialismo nell’urna204 comporta anche per i socialisti unitari il confronto con il voto. Già Lelio Basso, tra gli anni ’40 e ’50, si era espresso più volte in maniera critica contro la tendenza parlamentarista ereditata dalla tradizione pre-fascista del PSI, che concentra la usa azione politica prevalentemente attorno al calendario elettorale a discapito di quella sul territorio e nelle organizzazioni di massa. Il processo di istituzionalizzazione nel PSI rafforza gli autonomisti che controllano completamente l’azione parlamentare di cui Nenni è il principale regista. Con lo spostamento del baricentro politico nel Parlamento, anche i principali dirigenti della Sinistra socialista sono candidati ed eletti e contribuiranno in maniera significativa al funzionamento, anche economico del nuovo partito. Con la scissione il nuovo partito porta con se anche parte di quel consenso socialista presente nei così detti collegi rossi che ora sono terreno di scontro con il vecchio partito dal quale si intende raccogliere l’eredità. Ma i dibattiti e le scelte che si determinano dopo ogni scadenza elettorale, chiariscono l’importanza decisiva di questo aspetto che, nonostante tutte le precisazioni e le differenziazioni rispetto alla tradizione precedente, si rivelerà decisiva a tal punto da decretarne la fine.

Alla prima scadenza elettorale, quella delle regionali in Friuli-Venezia Giulia, il risultato è soddisfacente in quanto, con il 2,1%, frutto di circa 20mila voti, permette l’elezione di un consigliere regionale l’ex deputato socialista Mario Bettoli.

Alle amministrative del 22 novembre 1964 il risultato del 2,9% è valutato positivamente perché si inserisce in uno spostamento a sinistra che vede in particolare il PCI guadagnare dal 24,7% al 26 % dei voti anche se diminuiscono le giunte di sinistra, per il prevalere dell’impostazione nazionale di Centro-sinistra con la DC.205 La campagna contro il “Piano Pieraccini” cioè il primo progetto di programmazione economica voluta dall’omonimo Ministro del Bilancio socialista, è osteggiata apertamente solo dal PSIUP, che vota contro mentre il PCI e i parlamentari della Cgil si astengono, tranne Foa che è contrario. La campagna che precede il voto, è molto intensa per il partito che considera tale progetto ministeriale velleitario e subalterno al capitale anche sul terreno sociale. La programmazione infatti oltre a non trovare soluzione agli obbiettivi che si pone (politica sanitaria, agricoltura, edilizia, urbanistica e meridione) non incide negli equilibri industriali, che rimangono sotto il controllo della DC, comunque favorevole ai settori della borghesia a lei legati all’interno della competizione per il controllo delle holding di Stato nell’industria e nel credito.206

204 Vedi in M. RIDOLFI, Il PSI e la nascita del partito di massa, pp. 63-106 205 Il responsabile degli Enti locali del partito Dosio, comunica l’elezione di 59 consiglieri provinciali e 716 consiglieri comunali di cui 71 nei capoluoghi di provincia, oltre ad un notevole numero di amministratori di aziende municipalizzate, Documento della Direzione, sezione Enti Locali, Dicembre 1964, AFPSIUPUD, B4, F6,sf1 206 Vedi in G. GALLI, Storia del PSI, p. 258

94 La conclusione politica si ha nell’importante convegno operaio di Genova, introdotto da Libertini, che cerca di inquadrare dal punto di vista nazionale le lotte operaie emerse durante gli ultimi anni

Alle elezioni del 7 ed 8 maggio del 1968 il Partito giunge dopo una proficua presenza interna ai principali movimenti di lotta che hanno caratterizzato il biennio precedente. Tutto ciò avviene mentre la DC è alle prese con il travaglio delle sue correnti interne, il PSI stenta a far decollare l’unificazione con il PSDI ed il PCI, pur in crescita di consensi, non riesce a porsi come riferimento assoluto dei movimenti di lotta, creando le condizioni per un risultato che supera le aspettative degli stessi militanti.207 Alle potenzialità espresse dai movimenti, il partito ha dedicato molta attenzione, come dimostrano le molte pagine dedicate a quest’argomento sui suoi giornali; i frutti di quest’attenzione e dell’impegno politico nelle università e nelle fabbriche, permette il raggiungimento di un buon risultato politico che, in generale, premia la sinistra: se il PSIUP ottiene un significativo 4,5% ed elegge 23 deputati, il PCI avanza dal 25,3% del 1963 al 26,9%; al Senato il risultato della lista unitaria PCI-PSIUP, contro la quale si erano espressi molti esponenti della sinistra interna, come Basso e Libertini,208 è del 30%, con 101 senatori eletti, di cui una dozzina del PSIUP. Il PSU subisce una dura sconfitta elettorale ottenendo solo il 14,5% (-5,4%) alla Camera ed il 15,2% al Senato con un calo del 5,1%, che segna una battuta d’arresto determinante, sia al processo di unificazione, sia alle aspettative di diventare la terza forza politica nazionale avente un forte peso contrattuale nei confronti della DC. L’analisi dei dati elettorali dimostra che, a catalizzare il voto in uscita dei socialisti, è in particolare il PCI che, nelle grandi città e nelle zone industriali, aumenta i propri consensi anche rispetto al PSIUP.209

All’interno del movimento degli studenti, la rapida evoluzione politica comporta l’unificazione dei loro intenti con quelle dei lavoratori a tal punto da renderli la “sezione staccata del movimento operaio italiano sul terreno universitario”.210 L’autunno caldo, di cui si diventerà il principale interprete il sindacato, incide nell’organizzazione del PSIUP con effetti interlocutori. Rispetto al 1967 i dati del tesseramento sono riconfermati, anche se il turn-over degli iscritti è del 10%; si rafforzano le federazioni più deboli a differenza di quelle più numerose, che sono quelle nel nord e al centro del Paese, con la Lombardia prime fra queste. Al sud continua la criticità e la perdita di iscritti;211 anche nel 1969 la situazione rimane immutata nei numeri, ma cambia la composizione sociale degli iscritti che vede aumentare i giovani, gli operai e i braccianti. Della metà delle strutture di base è denunciata l’inattività o il non funzionamento, mentre sono generalizzate a tutti i livello le difficoltà nel reperire risorse per l’autofinanziamento.212

207 Vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 93 208 Vedi in G. LANNUTTI, Lucio Luzzato, p. 54 209 P. ARDENTI, Socialismo e socialdemocrazia attraverso il voto, in Problemi del Socialismo, maggio-giugno 1968, in E. BIZZARRI, L’organizzazione del P.S.I.U.P., p. 1051 210 A. ASOR ROSA, Lotte studentesche e movimento operaio, in Problemi del Socialismo, marzo- aprile 1968, cit., Ivi, p. 1047 211 Documento di analisi del tesseramento del 1968 della Direzione del partito, AFPIUPUD F9, sf1 212 Documento di analisi del tesseramento del 1969 e di lancio della campagna per quello del 1970, Dipartimento centrale Organizzazione, AFPSIUPUD, B12, F2, sf1, s1

95 Anche il PSIUP si attrezza per entrare in sintonia con le lotte che si diffondono, sia per tentare di riconquistare il dissenso della sinistra interna emerso con chiarezza al congresso di Napoli. In tal senso va il “Convegno nazionale sulle lotte di massa” dell’aprile del ’69, nettamente orientato a sinistra dal relatore, il vice-segretario Dario Valori. Al centro del suo discorso introduttivo al partito, pone l’obbiettivo dello sviluppo del movimento di lotta contro ogni ipotesi governativa (in polemica con il PCI e il PSU), affinché maturino le condizioni per uno sbocco politico autonomo, richiamandosi ai concetti della democrazia operaia e dei contropoteri nei quali, pur con qualche perplessità, la sinistra operaista si ritrova. Non bisogna dimenticare che in quel periodo la dirigenza Fiat è costretta a numerose concessioni ai lavoratori e che riuscirà a riprendere il controllo completo della disciplina di fabbrica solo nel decennio successivo. L’idea del “movimento politico di massa, inteso come unificazione delle lotte dal basso per contatto tra organismi operai al di fuori dei partiti e dei sindacati […] nel quadro di un processo rivoluzionario di lunga durata ma reale e visibile sin dall’inizio”213 è piuttosto diffusa, mentre sottovalutate sono sia la capacità di ripresa delle forze riformiste, ed in particolare del PSI, sia la possibilità di una deriva autoritaria. Il dialogo tra le forze di sinistra al governo e quelle all’opposizione è di fatto impossibile e persino l’approvazione della legge del 1969 sullo “Statuto dei lavoratori” voluta del Ministro del Lavoro, il socialista Brodolini definito “il ministro dalla parte degli operai”,214 è contestata dal PSIUP, analogamente alle formazioni dell’estrema sinistra, anche se sarà approvata dai referendum nelle fabbriche con una maggioranza quasi assoluta di 285mila voti.

La tensione sociale ha un seguito anche nelle aule giudiziarie in quanto, dopo un biennio di dure lotte ricordato appunto come “l’autunno caldo”, sia le sedi delle organizzazioni politiche e sindacali di sinistra e di estrema sinistra sono oggetto di molteplici perquisizioni da parte delle forze dell’ordine, sia migliaia di militanti, dirigenti e lavoratori sono oggetto di denuncie, e in alcuni casi anche di condanne al carcere, in seguito ai reati commessi durante gli scioperi e le agitazioni. Nel gennaio del 1970 di fronte alle rinnovate azioni di controllo da parte delle forze di polizia, successive alla strage di Piazza Fontana, il Comitato centrale del Partito si autodenuncia per solidarietà politica con coloro i quali vengono colpiti dai provvedimenti restrittivi, dichiarando che “se la lotta di classe è un reato il PSIUP ne è corresponsabile”.215 Quest’azione che rientra all’interno della campagna contro la repressione giudiziaria impostata dal Partito, è determinata dal rapporto politico costituito con ampi strati dei movimenti di contestazione, che paiono invece sottovalutati sia dal PCI che dal PSI. Assume una valenza simbolica ulteriore l’assunzione della difesa legale dell’anarchico Pietro Valpreda, indiziato della strage alla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano del 12 dicembre ’69, da parte del responsabile nazionale del Partito nel settore della Giustizia, il giovane avvocato Guido Calvi, futuro senatore dei DS e dell’Ulivo dal 2001 in poi. Con l’affievolimento della tensione sociale, per il PSIUP aumentano le difficoltà in quanto in molte realtà territoriali risulta sprovvisto di adeguate strutture che, tutt’al

213 F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, cit., p. 216 214 M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, cit., p. 396 215 Vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 106

96 più, svolgono azioni di testimonianza e solidarietà, senza reali collegamenti con quelle istanze che vorrebbero rappresentare.216

Tra le principali battaglie parlamentari del partito, quella sul cosiddetto “Decretone” del 1970 ha larga eco nel Paese. Il governo presieduto dal DC Colombo vara in piena estate un decreto legge, motivandolo con la necessità di coprire il disavanzo pubblico e i buchi di bilancio, che comporta il significativo innalzamento di numerose tasse indirette (in particolare l’IGE, imposta governativa sulle entrate) che colpiscono in particolare i ceti meno abbienti e i lavoratori dipendenti. Sono evidenti manovre inflazionistiche che colpiscono i redditi dipendenti a favore dei grandi gruppi economici danneggiati dalle lunghe agitazioni operaie. Grazie all’ostruzionismo in Parlamento, fortemente voluto e attuato in particolare da Lucio Libertini e dai parlamentari eletti nelle liste de “Il Manifesto”, il decreto decade una prima volta e quindi il Governo lo ripresenta e lo approva con un voto di fiducia il 28 novembre alla vigilia del voto parlamentare che, il 1 dicembre, vara la prima legge sul divorzio. La manovra parlamentare congegnata dai deputati socialproletari è criticata, anche in modo paternalistico, dall’Ufficio politico del PCI ostile a questi metodi e a questo tipo di polemiche verso il Centro-sinistra, in quanto ritiene che venga fatto lo stesso gioco della destra, dato l’utilizzo dell’ostruzionismo anche da parte dell’MSI. La competizione a sinistra, in un periodo di ripresa del conflitto sociale e di lotta di massa, aumenta la polemica tra le due forze, a dimostrazione dell’ampio margine di manovra del PSIUP, il quale utilizza alcune campagne per mettere in difficoltà il governo attirandosi anche le simpatie della base sindacale e comunista.217 Per Libertini in particolare è necessaria, contro il rischio che l’integrazione dei socialisti nel governo si consolidi, subordinandone anche gli interessi di classe, un’azione di contrasto molto dura che il PCI, a suo dire, non pratica in quanto si affanna ancora alla ricerca della solidarietà costituzionale, contenendo la forza antagonista delle lotte di massa. In questo senso per i settori del PSIUP che condividono invece l’analisi del PCI, è necessario sviluppare le giuste alleanze e tattiche per impedire sia l’isolamento che la deriva corporativa delle lotte di fabbrica, con l’azione incisiva anche nelle contraddizioni politiche ed istituzionali che si creano all’interno degli apparati statali. Si tratta di un’opzione simile a quella che oltre vent’anni prima aveva diviso i socialisti nella scelta della priorità tra le lotte democratiche per l’alternativa di governo, o quelle di fabbrica per la trasformazione sociale.218 Ma gli eventi e l’involuzione del Centro-sinistra supereranno i termini del dibattito.

Il primo segnale evidente di crisi del consenso appare con le elezioni regionali del 7 giugno 1970 che vedono il PSIUP perdere circa un terzo dei propri voti, che ritornano nell’alveo del Partito socialista dopo la scissione, nel luglio del 1969, della destra socialdemocratica di Tanassi, Ferri e Cariglia che ricostituiscono il PSDI. Il PSI ottiene il 10,4% e il PSDI il 7%, mentre il PSIUP passa dal precedente 4,4% al 3,2%. Il Movimento Sociale Italiano aumenta i propri consensi dal 4,3% al 5,2% conquistando consensi in particolare nel sud Italia.

216 Vedi in E. BIZZARRI, L’organizzazione del P.S.I.U.P., p. 1055 217 Vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 102 218 Vedi in A. MARGHERI, A “Mondo Nuovo” e nel PSIUP, p. 39

97 Con quella che viene definita “la tipica tendenza massimalista che tende a veleggiare secondo il vento”,219 il gruppo dirigente prende atto del risultato elettorale, e recupera la fraseologia e le proposte del PCI, abbandonando molti dei discorsi politici dei precedenti due anni. C’è chi come Vittorio Foa ritiene che “una fase si è chiusa[…]e in sette anni di vita il PSIUP ha fatto assai poco per riconfermare e verificare nell’iniziativa politica le ragioni della sua nascita […] che non esce dallo schema iniziale del 1964”.220

Ma ciò non contribuisce ad invertire la tendenza: le amministrative del 13 giugno del 1971 in Sicilia, a Genova, Roma, Bari e altre località minori del Mezzogiorno, confermano la battuta d’arresto del PSIUP e del PCI, mentre clamoroso è il successo dell’MSI e più contenuto quello del PSI e del PSDI. Dopo il risultato elettorale negativo i segnali di disgregazione anche organizzativa si moltiplicano e nel partito si apre il dibattito sul futuro e sulla sua stessa esistenza. Nella riunione del Comitato centrale vengono presentati due documenti alternativi, uno dalla maggioranza e uno dalla sinistra. Se la maggioranza di Vecchietti e Valori rilancia l’unità con il PCI, la sinistra intende allentarla a favore di una maggiore convergenza - come già avviene nelle piazze221 - con quei settori alla sua sinistra, come “Il Manifesto” e il Movimento Politico dei Lavoratori di Livio Labor; dal punto di vista dei rapporti interni la minoranza denuncia l’uso delle misure disciplinari che, a livello locale, si moltiplicano da parte della maggioranza contro gli esponenti critici. La richiesta della convocazione del congresso straordinario, è respinta dalla maggioranza dei voti del Comitato centrale. Il resoconto inviato alle federazioni riporta anche la dichiarazione di voto di Menchinelli che configura la presa di posizione dei futuri sostenitori del rientro nel PSI.222 Nonostante il cambio al vertice tra Tullio Vecchietti, nominato Presidente del partito, e Dario Valori nuovo Segretario nazionale - Vincenzo Gatto diventa vice-Segretario - eletti per dare un segnale di rinnovamento dei gruppi dirigenti, richiesto da tempo,223 si comincia a delineare anche l’ipotesi dell’approdo organizzativo dell’esperienza socialproletaria verso altre esperienze: c’è chi parla di un’ipotetica confederazione, come quella proposta da Amendola,224 ma anche chi profila il passaggio organico nel PCI. Su queste ventilate ipotesi si stagliano le critiche in particolare di Foa e Basso, che non appartengono alla tradizione morandiana e che non si identificano nel PCI. Certamente l’evoluzione degli eventi travolge buona parte del gruppo dirigente e del corpo intermedio del partito accelerando bruscamente un processo che in parte era già cominciato.

All’insuccesso delle amministrative si aggiunge quello della raccolta di firme per l’abrogazione delle norme del Codice penale, approvate durante la dittatura fascista,

219 F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, cit., p. 217 220 Vedi in V. FOA, Una fase si è chiusa, in Problemi del Socialismo, novembre-dicembre 1970, in E. BIZZARRI, L’organizzazione del P.S.I.U.P., cit., p. 1058 221 A dicembre del ’71 la manifestazione conclusiva della lunga campagna politica contro il leader della DC Fanfani, è organizzata da “Il Manifesto”, l’MPL, e la FGS del PSI e del PSIUP, vedi M. BORGHI, L. MARIANI, F. ROMANO’, A. VOLTOLIN, ’68-78: dalla critica alla transizione. Analisi di un decennio, Ottaviano, Milano 1978, p. 74 222 Resoconto del Comitato centrale del PSIUP, luglio 1971, AFPSIUPUD, B16, F4, sf3 223 Vedi in E. BIZZARRI, L’organizzazione del P.S.I.U.P., p. 1056 224 Ivi, p. 220

98 che colpivano particolarmente le libertà politiche e sindacali. Nonostante l’appoggio dei gruppi dell’estrema sinistra, come “Il Manifesto” e l’MPL, e quello della Cgil, la raccolta firme non raggiunge l’obbiettivo per il disimpegno del PCI e del PSI; la dimostrazione della difficoltà di un’azione autonoma del PSIUP per iniziative politiche di massa, provoca ulteriori tensioni interne e polemiche tra gli schieramenti.225 Inoltre dall’estate in poi si moltiplicano i casi disciplinari che portano ad espulsioni e provvedimenti per tentare di ristabilire il controllo, da parte della maggioranza del gruppo dirigente nazionale, sulle federazioni “ribelli” tra le quali spiccano, per importanza, quelle di Milano, Genova e Modena.226

Il parziale ridimensionamento delle agitazioni sindacali e studentesche, l’avanzamento nel sud Italia della destra, oltre alle tensioni interne alla maggioranza di governo, rendono di difficile attuazione le riforme programmate tanto da indurre anche il PRI al ritiro della usa delegazione di ministri. Dopo la crisi del governo Colombo, la DC in marcia verso il recupero del suo elettorato moderato, che secondo alcuni si è indirizzato verso l’MSI, proponendo un monocolore presieduto da Andreotti, con il sostegno del PLI, non trova la maggioranza al Senato e va in minoranza. Al neoeletto Presidente della Repubblica Giovanni Leone (esponente della destra DC, dopo un duro scontro interno sia al PSI che alla DC, tra Moro e Fanfani, viene eletto il 24 dicembre del 1971 prevalendo su Nenni) non resta che la convocazione delle elezioni anticipate per il 7 maggio 1972.

Per la sopravvivenza elettorale del Partito è decisivo il raggiungimento del quorum minimo alla Camera, ed è ritenuto possibile almeno nel collegio di Milano in quanto, l’alleanza con il PCI, come nel ’68, garantisce comunque un certo numero di senatori; l’apparentamento con il PCI anche alla Camera, proposto da Vecchietti non sarà fatto proprio dal partito.

Il 14 marzo, in piena campagna elettorale, muore tragicamente l’editore comunista e capo dei GAP Giangiacomo Feltrinelli nell’accidentale esplosione dinamitarda su un traliccio di Segrate (Milano): il 26 marzo il giornale “Potere Operaio” titola “Un rivoluzionario è caduto”. Tre giorni prima, una corposa manifestazione dell’estrema sinistra a Milano si scaglia contro la sede del “Corriere della Sera” a colpi di bombe molotov.227

La campagna elettorale è contrassegnata dalla volontà di entrambe le forze della maggioranza governativa di porsi sul terreno identitario per riguadagnarsi il proprio elettorato. La DC vuole recuperare a destra come forza autorevole che si contrappone agli “opposti estremismi” di destra e di sinistra; nel PSI la lotta tra De Martino e Mancini si caratterizza per i toni decisamente a sinistra di quest’ultimo per recuperare il voto giovanile.

225 Lettera di R. MARINIG alla Direzione nazionale, sezione Lavoro di Massa, fine 1971, AFPSIUPUD, B12, F4, sf3, ins.2 226 Documento della Direzione a tutte le Federazioni provinciali, agosto 1971, AFPSIUPUD, B13, F1/C1 227 Per un approfondimento sulle tensioni della campagna elettorale del 1972, vedi anche G. GALLI, Il Partito armato, Kaos edizioni, 1993

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I risultati segnano il tracollo dei consensi del partito che, nonostante i circa 648mila voti raccolti, non riesce a far scattare il quorum per l’elezione dei deputati. L’1,9% del PSIUP, lo 0,7% de “Il Manifesto”, lo 0,4% del Movimento politico dei lavoratori (MPL) dell’ex leader delle ACLI Livio Labor e lo 0,2% dell’Unione dei Marxisti- Leninisti, porta alla dispersione di circa un milione di voti a sinistra. Il PCI è stazionario con il 27,2%, mentre il PSI ottiene il suo minimo storico al 9,6% ( e Mancini in Calabria dopo una forsennata campagna scandalistica della destra contro la sua persona passa da 109mila a 64mila preferenze).228 La DC ottiene il 38,1%, il PSDI il 5,1% e l’MSI l’8,7%.

Rapidamente gli organismi dirigenti convocano un congresso straordinario che discuta del futuro e dell’esistenza stessa del Partito .

228 Vedi in M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 409

100

7. L’AUTOFINANZIAMENTO E LA “SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE” In merito al problema del finanziamento del partito, il reperimento dei fondi è delegato dalla Direzione al segretario Tullio Vecchietti, sul quale pende tutta la responsabilità, per la volontà stessa del gruppo dirigente. La storiografia e la memorialistica si soffermano con insistenza su questo aspetto per dimostrare la non totale indipendenza politica del PSIUP rispetto all’URSS ed al PCI, dai quali è sostenuto per affrontare gli ingenti costi per il mantenimento delle strutture e dell’apparato. I finanziamenti provengono anche da fonti indirette, in quanto sono numerosi i funzionari socialproletari (ma anche socialisti) stipendiati dalle associazioni di massa dirette dai comunisti. Nenni accuserà direttamente Fanfani e il PCI per la scissione, e la propaganda autonomista utilizzerà questa polemica a lungo per dimostrare come la scelta della sinistra socialista fosse determinata da delle forze esterne per indebolire il PSI che si apprestava ad entrare al governo. Tali accuse non sono mai state comprovate e sono per lo più frutto della polemica contingente.

Al di là della propaganda è considerata attendibile, anche da dirigenti del PSIUP, la natura non disinteressata del PCUS e dei partiti dei paesi dell’est nell’elargizione di fondi utili ai partiti fratelli in occidente, grazie ai quali si potevano coprire le ingenti somme che il partito, fino dalla sua fondazione, doveva supportare. Questa scelta condiziona anche la formazione del gruppo dirigente che rimane sempre saldamente nelle mani del vecchio apparato morandiano, che più stretto ha il legame con il Cremlino. Nel clima degli anni sessanta ciò assume una valenza particolare, in quanto date le rotture e le differenziazioni nel campo socialista internazionale (prima con i cinesi, e poi anche con quelli italiani), per i dirigenti moscoviti è importante avere degli strumenti di pressione; nel PSIUP prevale l’idea di potersi così smarcare a sinistra dal PCI e, comunque, di poter fare rinunciare al contributo internazionale in qualunque momento.229 Ma solo le spese affrontate nel primo anno di vita per l’insediamento nazionale e locale dell’organizzazione, per l’apparato, per la redazione di “Mondo Nuovo” e dell’Agenzia di stampa, oltre ai costi sostenuti per la prima campagna elettorale in Friuli Venezia-Giulia, furono di circa due miliardi di lire a fronte di sol circa 150 milioni di lire raccolte tramite il tesseramento, il contributo dei parlamentari e le sottoscrizioni. Negli anni apparivi sempre con maggiore chiarezza come le entrate del tesseramento, tradizionale forza dei socialisti, costituiva ormai una voce poco consistente nel bilancio del partito a tutti i livelli. Inoltre il meccanismo d’indebitamento economico per sostenere le spese in diverse occasioni viene coperto dal PCI o dalle sue strutture di massa con una probabile ricaduta politica.230

Non giova a far chiarezza su questo problema politico la mancanza di dibattiti ufficiali anche negli organismi più importanti del partito, all’interno dei quali anche le voci critiche più autorevoli sono orientate a cautela e imbarazzo.231 La memorialistica sul PSIUP riporta i commenti privati fortemente critici di Tullio Vecchietti verso l’Unione Sovietica, senza che ciò comportasse una presa di

229 Vedi in S. MINIATI, Psiup, p. 57 230 Sul tema dei finanziamenti sono riportati i dati relativi alla federazione di Firenze, vedi in S. MINIATI, Ivi, pp. 69-71 231 Ivi, p. 59

101 posizione ufficiale in tal senso: in questo senso l’incidenza o le accuse di subalternità nei confronti anche del PCI sono chiare.232 Se tutti sapevano e nessuno protestava apertamente è perché, insieme alla valutazione sulla natura socialista dell’URSS, che la stragrande maggioranza del Partito condivideva (compresa la maggioranza della sinistra interna), il contributo economico è accettato nella logica del sostegno tra partiti fratelli. Le riserve paiono emergere sul livello di solidarietà richiesta dalla dirigenza sovietica dopo la caduta di Kruschiov e sull’incapacità di moderare tali pretese ad ogni livello.233 Tutto ciò dà luogo, nel partito e al di fuori di esso, a polemiche e pettegolezzi che sono continuati fino ai giorni nostri, approdando anche nelle aule parlamentari tramite apposite commissioni d’inchiesta.234 La gestione finanziaria del partito è centralizzata e permette di ottenere fondi per le strutture periferiche ma comporta quello che alcuni ricordano come un controllo burocratico da parte del “padrone della cassa”,235 Francesco Lami che, per conto della Segreteria, neutralizza ogni spinta centrifuga, sia delle aree critiche interne, sia all’interno delle strutture territoriali influenzando anche con questi strumenti le scelte dei gruppi dirigenti in periferia.236

232 Vedi in M. GIOVANA, Appunti per una storia del PSIUP, in Il presente e la storia, n. 47 - giugno 1995, p. 198 233 Vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 207 234 Le cronache giornalistiche si sono occupate tra il 2000 e il 2006 dei presunti finanziamenti provenienti dagli ex paesi socialisti dell’est europeo e dall’ex Unione Sovietica, dopo le rivelazioni del cosi detto “Dossier Mitrokhin” sulla cui attendibilità e veridicità sono stati espressi molti dubbi. In questo testo e nella relazione della commissione parlamentare bicamerale d’inchiesta approvata dalla maggioranza di Centro-destra si fa cenno a presunti finanziamenti dati dal KGB a Francesco Lami per il PSIUP tra il 1969 e il 1972 per circa 3.775.000 dollari; si veda il link della Commissione parlamentare d’inchiesta: http:// www.parlamento.it/parlam/bicam/14/Mitrokhin/documenti/documentoconclusivo.pdf, p. 72 235 M. GIOVANA, Appunti per una storia del PSIUP, cit., p. 198 236 Vedi in S. MINIATI, Psiup, p. 60

102 7.1. UN NUOVO INTERNAZIONALISMO PROLETARIO. La politica estera del partito viene vista in modi diversificati. C’è chi sostiene la differenza tra la prima fase nella quale sono assunte importanti prese di posizione a sostegno delle lotte di liberazione nei paesi africani e dell’America Latina come nel contrasto emerso tra il Partito comunista dell’Unione sovietica e della Repubblica popolare cinese che porta a dure critiche e condanne da entrambi i fronti, e una seconda che avrebbe inizio con l’intervento armato delle truppe del Patto di Varsavia a Praga.237

Nel 1964 il PSIUP si inserisce anche nel dibattito legato al movimento comunista internazionale prendendo apertamente le distanze dal metodo della scomunica che il PCI attua nel confronto dei comunisti cinesi che a loro volta, attaccando il partito di Togliatti, vogliono polemizzare duramente con il nuovo corso del revisionista Krusciov. Nella “Lettera aperta ai compagni comunisti cinesi” il PSIUP ammette l’esistenza e la necessità di un dibattito plurale interno al movimento comunista e critica la teoria degli stati-guida che tendono a far prevalere i loro interessi nazionali rispetto a quelli dei movimenti di massa.238 Ma l’unità con i Paesi socialisti, l’URSS (su cui permane un giudizio nettamente positivo) e con i paesi ex coloniali “nella lotta per la pace e la rivoluzione”,239 viene ribadita nelle tesi del primo congresso, anche se è affermata l’esigenza di nuove vie occidentali al socialismo.

Nel documento di analisi del “Maggio francese”, cioè la rivolta di massa che scoppia in tutto il paese ed in particolare a Parigi dopo la crisi della guerra d’Algeria, si sofferma in particolare sull’analisi del gollismo francese (dimostrando l’attenzione per l’evoluzione peculiare della destra francese, guidata da Charles De Gaulle, il cui progetto, alcuni in Italia pensano possa essere emulato da Amintore Fanfani). L’analisi di Pino Tagliazucchi240 (che elabora il documento per la sezione esteri) si sofferma sulle divisioni della sinistra francese e sulla politica delle alleanze, che ritiene debbano essere studiate attentamente, anche da parte della sinistra italiana per evitare la ripetizione di tali errori.

Molta attenzione è posta nei confronti delle lotte di liberazione dei paesi ex coloniali tra le quali spicca per importanza quella del Vietnam in Indocina, dei palestinesi e dei siriani in Medio oriente, oltre che del Fronte di liberazione nazionale (FLN) in Algeria. Il Fronte di Liberazione algerino è costantemente al centro dei rapporti con il PSIUP che sostiene apertamente le forze antimperialiste dei paesi non-allineati; Luzzato (che nei primi anni sessanta fa parte del collegio difensivo di militanti algerini processati a Parigi) e Vecchietti sono ad Algeri poco dopo la caduta del

237 Ibid. 238 Ivi,, p. 39 239 Vedi in F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione, p. 205 240 Pino Tagliazucchi (1921-2005). Operaio dell’Olivetti, milita nel PSI dove è uno dei collaboratori di Panzieri durante la direzione di “Mondo Operaio” e di Lelio Basso a “Problemi del socialismo” che segue nel PSIUP; è successivamente impegnato nel dipartimento internazionale della Fiom-Cgil e dell’FLM durante gli anni che segnano il passaggio dell’organizzazione sindacale dalla Federazione sindacale mondiale (FSM) filo-socialista alla FISM-CES avvenuta nel 1980. Curatore del Bollettino sindacale “Notizie Internazionali” è stato anche dirigente nazionale dell’Associazione Italia-VietNam, “Il Manifesto” 5 febbraio 2005

103 leader dell’indipendenza Ahmed Ben Bella con il quale avevano da tempo intessuto rapporti politici molto stretti. L’attenzione per le forze antimperialiste e progressiste è messa in luce dall’importante conferenza organizzata a Roma nell’aprile del 1968, con la relazione introduttiva di Lucio Luzzato, che rilancia la lotta contro la NATO e la solidarietà con le forze che combattono contro l’esercito USA in Vietnam. Differenze emergono nei confronti della delegazione Jugoslava al potere nel suo paese che, per interessi specifici, punta a valorizzare anche le forze nazionaliste tra le quali ritiene di inserire sia i gaullisti, sia la socialdemocrazia francese al governo, che altre forze nazionali arabe. Ma il dissenso sull’analisi della natura di queste forze permane, e quindi gli jugoslavi si astengono sul voto del documento finale. Sul conflitto palestinese la posizione del PSIUP è di favorire le forze antimperialiste presenti sia in Israele, che è riconosciuto come Stato, sia il diritto di autodeterminazione dei palestinesi; le delegazioni di entrambi i paesi non sono state invitate, anche se il partito ha rapporti ufficiali con le principali forze dell’OLP e in particolare con il marxista Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP).241 Anche con il Partito Baas, al potere nella Siria del dopo RAU (l’esperimento di unità panaraba voluto dall’egiziano Nasser), sono intessuti rapporti ufficiali. Lo spirito dell’assemblea preparatoria di Roma è ben esemplificato dal titolo che gli dedica il settimanale “Mondo Nuovo”: “Unità mediterranea”.242 Le delegazioni dei socialisti unitari sono ricevute da molti leader non allineati, come ai tempi del PSI di Morandi: dall’egiziano Nasser a Ben Bella, dal leader jugoslavo Tito al cipriota Makarios, da Boumedien al siriano Assad, gli incontri si susseguono, dimostrando il sostegno politico ai processi rivoluzionari e di liberazione in tutto il mondo, senza troppi scrupoli diplomatici ma, con la spregiudicatezza e il coraggio che molto interesse e attenzione creano attorno al partito.

La campagna contro l’aggressione americana in Vietnam vede il PSIUP, insieme ad altre forze politiche, impegnato per tutta la durata del conflitto a favore della pace in Indovina, a partire dalle mozioni parlamentari contro la recrudescenza dei bombardamenti, fino al sostegno dato all’Assemblea mondiale per la pace e l’indipendenza dei popoli d’Indocina, durante le trattative tra gli USA e il Governo Rivoluzionario Provvisorio del Vietnam.

Il 3 novembre 1967, Vecchietti, Basso, Luzzato e Schiavetti, sono i membri della delegazione ufficiale del partito che presenzia alle celebrazioni ufficiali del 50° anniversario della Rivoluzione d’ottobre al Cremlino. Dal ’68 in poi i rapporti con i partiti comunisti al potere sono più intensi, e la svolta provoca notevoli malumori anche tra le fila del partito, che vedono in quest’allineamento sulle posizioni del movimento operaio internazionale, cioè di Mosca, un ulteriore pericolo per l’autonomia del PSIUP.

Nell’estate del 1970 la politica terzomondista del partito continua a far notizia: la Conferenza internazionale di solidarietà con i popoli delle colonie portoghesi organizzata a Roma dal PSIUP con i principali leaders anticolonialisti, da Marcelino Dos Santos ad Agostino Neto e Amilcar Cabral, oltre ai rappresentanti di circa 50

241 Relazioni internazionali, AFPSIUPUD, B10/B, F8 242 Vedi in G. LANNUTTI, Lucio Luzzato, p. 53

104 paesi, è ricevuta in delegazione dal papa Paolo VI, provocando l’irritazione del Portogallo guidato dal dittatore Salazaar; Luzzato, in particolare, interviene anche all’Assemblea generale dell’ONU per sostenere le ragioni dei popoli delle colonie.

L’impegno del partito nella politica internazionale contro l’imperialismo, rispecchia il percorso che anche negli altri campi contraddistinguono la parabola socialproletaria, divisa tra innovative e coraggiose azioni di sostegno alle forze antimperialiste del mondo, con una particolare attenzione agli esperimenti socialisti in molti dei paesi ex-coloniali, e con la tradizionale riproposizione dei rapporti molto stretti anche con i partiti del Patto di Varsavia sostenitori della coesistenza pacifica. La ricerca del nuovo internazionalismo proletario è dunque stretta tra le aspirazioni terzomondiste, e la fedeltà a Mosca, che costerà al partito un prezzo politico che, secondo alcuni, sarà fatale.

105 7.2. LA SVOLTA DELLA “PRIMAVERA DI PRAGA”. Come successe nel 1956 con l’invasione ungherese, anche la fine di quella che viene ricordata come la Primavera di Praga, cioè il movimento di autoriforma guidato dal segretario del Partito comunista cecoslovacco Alexander Dubcék nel 1968, provoca nei partiti e nei movimenti di sinistra un ampio dibattito e profonde lacerazioni. Se molti esponenti socialisti e non solo vedono in questo evento la conferma delle loro tesi, sulla natura non riformabile dei paesi del cosi detto “socialismo reale”, e sull’assenza di libertà nei paesi dell’est, anche nei partiti tradizionalmente solidali con il blocco sovietico ci sono significative differenze rispetto a quanto era accaduto dodici anni prima con l’invasione in Ungheria. Il Partito comunista italiano è inizialmente favorevole alla “Primavera di Praga” e si adopera per mediare tra l’Urss e le frange più estreme del movimento. Con l’invasione del 20 agosto da parte dei carri armati sovietici, polacchi, tedeschi e magiari, è sancito il concetto di sovranità limitata” dei paesi del campo socialista: la posizione ufficiale del PCI è, per la prima volta, di riprovazione verso l’azione sovietica anche se non arriva fino alla rottura completa dal movimento comunista internazionale. Il giornale del gruppo de “Il Manifesto” titolerà il proprio editoriale dopo l’invasione con l’eloquente “Praga è sola” segnalando il dissenso emerso in ampi settori della sinistra comunista che poi, come nel caso del gruppo guidato da Pintor, Natoli, Parlato e Rossanda, sarà radiato dal PCI.243

Anche nel PSIUP il dibattito è intenso e lacerante. Durante la campagna elettorale per le elezioni politiche, il PSIUP utilizza il nuovo corso intrapreso a Praga come dimostrazione dell’attenzione verso i movimenti di contestazione da parte del governo e del gruppo dirigente del partito, mentre in Italia e nei paesi occidentali i movimenti sono repressi. L’intervento dei carri armati a Praga provoca un effetto ambivalente, di sdegno e rassegnazione, ma anche di consenso in una parte della base chiaramente filosovietica che, anche nel ’56 all’interno del PSI, difese l’analogo intervento in Ungheria.244 Il comunicato espresso dalla Direzione a maggioranza il 22 agosto, recepisce questi umori della base per rifiutarsi di elaborare un giudizio di netta condanna, e si limita solo a polemizzare contro la strumentalizzazione anticomunista del Governo; da parte della sinistra del partito, ciò è interpretato come la perdita di quell’autonomia politica che già da tempo è messa in discussione a causa dei fondi provenienti da est. Così facendo, il PSIUP è ritenuta un’organizzazione utilizzata al fine di condizionare la posizione dei comunisti italiani per modificarla, e attenuarne le critiche. Tra le contraddizioni del PCI, quella principale rimane la potenziale presa che, tra gli 80mila militanti del “corpo intermedio” del partito, può avere la propaganda neostalinista dei gruppetti che premevano sulla sua base. Data l’assenza di un attacco veemente da parte delle forze di Centro-sinistra (che in parte plaudono alla parziale differenziazione da Mosca), il principale problema per Luigi Longo rimane alla sua sinistra.245 E con questi umori anche parte del PSIUP intende interloquire, anche se la

243 Vedi in A. AGOSTI, Storia del PCI, Laterza 1999, p. 99 244 Vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 95 245 Sulle dinamiche interne al “corpo intermedio” del PCI e sull’influenza dei gruppi extraparlamentari, vedi G. GALLI, Storia del PCI, Bompiani 1976, p. 422

106 capacità e la forza del gruppo dirigente del Partito comunista è in grado di riassorbire in poco tempo i dissensi espressi e le perdite, di fatto, sono ininfluenti.

All’interno del Comitato centrale una parte del gruppo dirigente capeggiata da Basso, Foa, Libertini, Sclavi, Dosio, Avolio, Alasia, Andriani, Pupillio, Lettieri, Andriani, Giovannini e Tagliazucchi, che conta sul sostegno del 40% dei consensi, richiede una condanna netta della politica voluta da quella che è descritta come la “burocrazia accentratrice del vecchio corso politico cecoslovacco”.246 Anche la seconda dichiarazione della Direzione del 11-12 settembre e quella del Comitato centrale riunito sette giorni dopo, paiono destinate ad essere modificate durante i lavori del II Congresso convocato a Napoli convocato in dicembre, secondo alcune testimonianze rilasciate da Vecchietti durante alcune riunioni interne. Ma dopo le rassicurazioni preventive, il testo della risoluzione letto dal palco napoletano non rettifica la posizione sull’allineamento del Partito con l’URSS, nonostante alcuni richiami alla democrazia, all’indipendenza dei popoli e ad un nuovo internazionalismo proletario. Si esprime solo il non gradimento dell’invasione senza nessuna solidarietà per Dubcek e il suo nuovo corso, che è invece stigmatizzato per i limiti spontaneisti e tecnocratici. Inoltre le delegazioni straniere più critiche verso l’Unione sovietica invitate al congresso, sono relegate in secondo piano, e vengono privilegiati gli interventi di quei gruppi o partiti che potevano creare meno problemi. Secondo i critici, questa linea è determinata sia dalle pressioni dei dirigenti moscoviti interessati a condizionare il PCI, sia dalla ricerca di uno spazio autonomo tra le crepe apertesi fra i comunisti italiani e quelli russi. Anche tra la base operaia, e persino nelle federazioni del partito tradizionalmente della sinistra, gli umori sono contradditori: a Torino, mentre “Lotta continua” diffonde alla FIAT dei volantini polemici verso quello che è ritenuto il mito revisionista della Primavera di Praga -“Né con Dubcék né con i carri armati del socialimperialismo”-, gli operai di Mirafiori del PSIUP, al grido di “Giù le mani dalle conquiste del socialismo!”, contestano duramente i giovani extraparlamentari che nel testo solidarizzano con il giovane praghese Ian Palach divenuto il simbolo della protesta antistalinista.247 Emerge anche nella minoranza di sinistra una posizione sfumata che non abbraccia le frange apertamente antisovietiche, perché si rivendica l’URSS comunque come la patria del socialismo, evitando le analisi che possono apparire come anticomuniste. Anche Foa ritornerà su questo aspetto, quando è evidente la fine del PSIUP. La mancata differenziazione dai comunisti, che avviene sul terreno più complesso che è quello della solidarietà internazionalista, è ridotto ad una astratta richiesta di fedeltà dogmatica che rischia di alimentare l’opposto settarismo.248 Lelio Basso intitolerà l’editoriale della sua rivista “Problemi del socialismo” con l’eloquente titolo “Cecoslovacchia: una sconfitta del movimento operaio” condannando senza appelli l’intervento differenziandosi dai carristi.249 E’ il suo decisivo e personale strappo, dopo un lento e progressivo allontanamento politico dal

246 Documento della Direzione del partito alle Federazioni provinciali, settembre 1968, AFPSIUPUD, B10, F8, sf2 247 A. CAZZULLO, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, cit., p. 40 248 Vedi in S. MINIATI, PSIUP, p. 197 249 Vedi in A. MANGANO - A. SCHINA, Le culture del Sessantotto, Massari editore 1998, p. 181

107 partito che ha contribuito a rifondare, e che lascerà ufficialmente solo nel gennaio del 1970. Non chiederà mai più la tessera a un partito, ma sosterrà il dibattito tra le forze della sinistra a favore della loro unità.

Nonostante la posizione ufficiale che lacera il partito, quando nel 1971 Lucio Luzzato porterà al congresso del Partito comunista cecoslovacco i saluti del PSIUP, essi saranno censurati e non letti dalla Presidenza per i riferimenti all’invasione dei carri armati del Patto di Varsavia.250

250 Vedi in G. LANNUTTI, Lucio Luzzato, p. 55

108 8. IL PROCESSO DI SCIOGLIMENTO Come le elezioni del ’68 hanno segnato la fine del nuovo Partito Socialista (unificato), il risultato di quelle del 1972 è altrettanto spietato con la sorte del giovane Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Dopo il traumatico esito che priva il partito di una autonoma rappresentanza alla Camera, mentre al Senato sono eletti 11 parlamentari, è convocato dal 13 al 16 luglio il congresso straordinario.

La riunione della Direzione introdotta da Valori il 9 maggio si sofferma sulle motivazioni della sconfitta per motivare la necessità di confluire nel PCI data la fine dello spazio politico e delle ragioni d’esistenza stessa dell’organizzazione. Il siciliano Vincenzo Gatto e il napoletano ed ex bassiano Giuseppe Avolio si dichiarano favorevoli al ritorno nel PSI, mentre un’altra minoranza, guidata da Giovannini, Lettieri, Sclavi e Miniati alla quale si associa successivamente anche Vittorio Foa, propone il congresso straordinario e, in subordine, la continuità dell’esperienza socialproletaria. Nel successivo Comitato centrale del 13 e del 14 giugno, la discussione si conclude con la convocazione dell’assise che deciderà lo scioglimento confermando le posizioni emerse in Direzione con la presentazione ufficiale dei tre documenti.

109 8.1. TRE STRADE PER UN PARTITO Quando il 13 luglio all’EUR di Roma si apre il congresso tutto è già stato deciso e i delegati si ritrovano per ribadire le proprie scelte. Infatti se il primo giorno tutti si sono riuniti nello stesso luogo, dalla seconda le varie mozioni si dividono, anche fisicamente, in diverse sedi congressuali presenti nella capitale.

Per molti la scelta più naturale è la confluenza nel PCI in quanto, oltre ad essere stato un partito alleato in molte battaglie politiche, rappresenta la continuità con le principali posizioni politiche per le quali il PSIUP era nato, dall’opposizione al centro-sinistra, al contrasto alla socialdemocrazia, che li aveva molto spesso visti uniti nelle piazze ed in parlamento. Inoltre, molte delle differenze ideologiche si erano negli ultimi anni notevolmente ridotte, sia in seguito alle revisioni critiche di alcune scelte politiche da parte del PCI, sia grazie al comune percorso elettorale, che ne avevano favorito l’avvicinamento. Anche sulle difficili questioni dei rapporti internazionali sono evidenziate, anche da Libertini, le novità e le convergenze con il PCI comparse sia nel Memoriale di Yalta di Togliatti, sia nelle prese di posizione ufficiali del partito durante il conflitto tra i comunisti sovietici e quelli cinesi, sia nelle dichiarazioni di Berlinguer e Longo alla Conferenza internazionale dei partiti comunisti, che tendono complessivamente a rivendicare una maggiore autonomia dei comunisti italiani dal blocco sovietico.251 Anche la figura di Rodolfo Morandi è recuperata come riferimento ideologico per identificare, nella confluenza nel PCI, il completamento di quella pratica unitaria che aveva contraddistinto l’azione del defunto leader socialista.252

Per i sostenitori della confluenza nel PSI invece, il fallimento dell’unificazione socialdemocratica ed il sofferto dibattito interno al Partito socialista, aprono delle possibilità per il recupero di quel partito a posizioni di sinistra, per un futuro schieramento unitario con i comunisti e i cattolici di sinistra. Inoltre si contesta la tesi principale della mozione di maggioranza, che ritiene il PCI il partito che assorbe tutta la tradizione storica del movimento operaio italiano e che, di conseguenza, individua in esso l’unica organizzazione dei lavoratori italiani. A detta dei firmatari, il rischio della polarizzazione tra le forze politiche, qualora prevalessero la tesi maggioritarie, rischierebbe di indebolire la sinistra nel suo complesso e di irrigidire gli schieramenti. Questa “manifestazione di fiducia nei confronti del PSI”253 rappresenta la riproposizione delle posizioni della Sinistra socialista prima della scissione del 1964, senza che nel PSI però, dopo i primi otto anni di partecipazioni governative a tutti i livelli, apparisse la volontà di interrompere questo percorso di collaborazione con la DC.

Per i delegati che propongono la continuità del partito, la crisi del PSIUP è uno dei segnali delle difficoltà generali della sinistra che finirebbero per diluirsi, senza poter

251 Vedi in L. LIBERTINI, 1972. L’Adesione al PCI, in E. SANTARELLI (a cura di), Lucio Libertini. 50 anni nella storia della sinistra, p. 115 252 Vedi in M. LIVIGNI, Dal PSIUP al PCI. Le ragioni della confluenza, Opuscolo stampato dalla Federazione Regionale dell’Emilia-Romagna del PCI, marzo 1973, p. 8 253 Per continuare nel PSI la milizia di classe, Documento di minoranza dei membri del CC del PSIUP, in E. BIZZARRI, L’organizzazione del P.S.I.U.P., cit., p. 1098

110 trovare nel PCI le adeguate soluzioni. Inoltre l’attenzione è da loro rivolta in particolare verso le forze dell’estrema sinistra, come “Il Manifesto” e l’MPL, con le quali è possibile avviare un percorso di “continuità e di rilancio del partito, attraverso un suo profondo rinnovamento politico ed organizzativo”.254 Questa opzione da molti ritenuta velleitaria, intellettualistica e d’elite si concretizza, il 16 luglio, nella fondazione del ”Nuovo PSIUP” che, insieme a quella parte dell’MPL che non confluisce nel PSI (come invece farà il suo fondatore Livio Labor), darà vita al PdUP che, nel 1974, quando si fonde con i gruppi de “Il Manifesto” e del Movimento studentesco di Mario Capanna, diverrà il “PdUP per il comunismo”; nel 1984, dopo un travagliato percorso, confluirà anch’esso nel PCI.255

La stragrande maggioranza dei delegati al IV congresso decide per la confluenza collettiva nel PCI. Saranno 16 i membri del Comitato centrale del PSIUP che saranno cooptati nello stesso organismo dirigente del PCI, mentre due, Avolio e Gatto entreranno nell’analoga struttura del PSI, che aveva nel frattempo già integrato l’ex consigliere comunale napoletano Locoratolo256 nel 1967, e Menchinelli pochi mesi prima delle ultime elezioni. Il nome del vecchio partito rimane in possesso della maggioranza per almeno altri 5 anni, mentre i debiti accumulati e i funzionari saranno coperti dalle nuove organizzazioni alle quali ognuno farà d’ora in poi riferimento.257

Così, mentre finisce la storia ufficiale del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, comincia quella dei militanti, frantumata in molteplici e diverse storie individuali, che ad ogni livello hanno contribuito a scrivere un capitolo importante della storia del socialismo di sinistra italiano.

254 Per il rilancio del PSIUP per il rinnovamento e l’unità della sinistra, Documento della minoranza dei membri del CC del PSIUP, in S. MINIATI, PSIUP, cit., p. 270 255 Per una storia del PdUP, vedi in R. PELLEGRINI, G. PEPE, Unire è difficile. Breve storia del PdUP per il comunismo, Savelli, 1977 256 Lettera di K. Ulderico a Guglielmelli sulla crisi nella federazione di Napoli, AFPISUPUD, B8, F22, sf.6 257 Vedi S. MINIATI, PSIUP, p. 123

111 LA STORIA DELLA FEDERAZIONE UDINESE DEL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO DI UNITÀ PROLETARIA. 9. IL CONTESTO ECONOMICO SOCIALE DEL FRIULI TRA GLI ANNI ’50 E PRIMI ANNI ‘70 L’economia provinciale del secondo dopoguerra è caratterizzata dalla prevalenza del settore agricolo che impiega quasi il 40% degli occupati. Questo modello è caratterizzato sia dalla forte concentrazione contadina a natura familiare, in cui i braccianti salariati sono poco più del 10% (rispetto ad una media nazionale del 32,3%), sia per la prevalenza dei fazzoletti di terra coltivati, ovvero la piccolissima proprietà. Insieme ad essa la piccola proprietà agricola, pur contando oltre il 95% delle proprietà terriere complessive, comprende appena il 6% del territorio agrario, mentre le medie- grandi il 46% e le grandi proprietà terriere il 44% delle terre coltivabili: la concentrazione in poche mani è la caratteristica predominante, sebbene la prevalenza numerica sia delle aziende di piccola e piccolissima dimensione. La proprietà agraria, che si fonda sul sistema colonico basato sull’impiego di salariati, prevalente nella zona pianeggiante del Friuli occidentale dal Cellina al Tagliamento, per tutto il periodo della ricostruzione post bellica investe i capitali in settori più redditizi. In montagna ed in collina prevalgono le colture di granturco e frumento nonché l’allevamento, in particolare bovino. Gli anni cinquanta sono contraddistinti dalla persistenza del modello precedente che accenna a qualche modificazione, in particolare nelle dimensioni delle terre coltivate che diminuiscono a fronte di un aumento della produttività, grazie a parziali innovazioni tecnologiche, mentre il settore delle colture industriali è tralasciato da questi investimenti a favore della viticoltura e del settore della frutticoltura. A tali modesti cambiamenti qualitativi non seguono miglioramenti significativi per le classi rurali, colpite dal calo dei prezzi agricoli; ciò consolida e diffonde le difficoltà economiche in larghi strati della popolazione rurale della provincia che, ancora a metà degli anni ’50, vive in precarie condizioni igieniche, alimentari e, tra i beni fondamentali la bicicletta - indispensabile per consentire il raggiungimento di altri luoghi di lavoro – è diventato un simbolo di povertà piuttosto che di benessere.1 La mancanza di lavoro nel mondo agricolo colpisce particolarmente i giovani che non vengono assorbiti nell’industria e l’indice di disoccupazione rimane a livelli superiori alla media nazionale del 44,5%, con il 58,1%. Il fenomeno della deruralizzazione avviene, quindi, mediante il forte aumento delle attività artigianali, commerciali e del terziario, seguendo le caratteristiche di un’economia territoriale priva di un forte apparato industriale. Il maggior numero di nuovi posti di lavoro proviene infatti dall’edilizia e ci vorranno altri dieci anni per spostarli a favore dell’industria e del manifatturiero. A ciò va aggiunta la diffusione delle piccole aziende agricole di tipo familiare che spesso sono parte integrante del reddito del singolo lavoratore. Nel 1961 la popolazione a Udine è per il 29,73% attiva nell’agricoltura e per il restante 70,27% in attività extra agricole, mentre in provincia l’impiego agricolo sale al 37,24%.2 Il movimento cattolico, sostenitore del modello dell’impresa familiare, si spende per il suo sostegno economico, al quale riconosce una valenza economica, sociale e civile e tramite la giunta regionale ed in particolare con l’assessore democristiano Comelli.

1 D. ANDREOZZI, L. PANARITI, L’economia in una regione nata dalla politica, in R. FINZI - C. MAGRIS - G. MICCOLI ( a cura di ), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. Il Friuli – Venezia Giulia, 1 vol., Tomo secondo, Einaudi, p. 860 2 Documento sulla programmazione economica regionale del 1967, AFPSIUPUD, B7, F5

112 Tra gli anni sessanta e settanta questo settore è sottoposto ad importanti trasformazioni che, seppur senza radicali modifiche, comportano l’attenuazione di alcuni dei suoi aspetti più problematici. La disoccupazione diminuisce, anche grazie all’inurbamento e all’emigrazione e le aziende contadine, inserite in attività complementari, sono favorite sia dal boom economico, che ne amplia gli affari, sia dagli ingenti finanziamenti statali e regionali, che seppur con risultati parziali, permettono il miglioramento complessivo del tenore di vita. Nell’arco di dieci anni la situazione economica è rovesciata, con l’agricoltura che diventa un’attività secondaria. La pluriattività3 persiste ma l’industria, ed i servizi hanno soppiantato il primato del settore primario. La crescita avviene secondo un modello basato sulla parcellizzazione in piccole dimensioni, che si intreccia con i nuovi modelli di sviluppo successivi alla crisi del modello fordista. Durante gli anni cinquanta e sessanta crescono le aziende di medie dimensioni a discapito di quelle piccole, mentre si consolidano quelle di media dimensione e compaiono anche i grandi gruppi, primo fra tutti la Zanussi, importante impresa del settore degli elettrodomestici che a fine anni sessanta giungerà ad occupare migliaia di lavoratori negli stabilimenti in provincia di Pordenone. La crisi ridimensiona invece il settore tessile, che tra le due guerre occupava la metà degli addetti nel manifatturiero, mentre il comparto della meccanica e del legno si presentano come i principali settori dell’industria friulana. Durante gli anni sessanta il reddito pro-capite delle province friulane aumenta a tal punto da permettere il raggiungimento degli standard nazionali all’inizio del decennio successivo, recuperando il divario e affermandosi stabilmente ai primi posti nazionali negli anni successivi. Inoltre l’estinzione del fenomeno migratorio, che aveva caratterizzato per decenni l’intera regione ed era ritenuta una delle principali cause dell’impoverimento del Friuli,4 è rafforzato anche da una forte domanda di lavoro interno che trasforma la regione meta di flussi migratori. In circa vent’anni di sviluppo sono cresciuti prevalentemente i settori tradizionali dell’industria, la meccanica e il mobile, basandosi sul decentramento produttivo e sulla riduzione dei costi. Sono nati dei distretti industriali, come quello della sedia tra San Giovanni al Natisone, Manzano e Corno di Rosazzo, o del coltello a Maniago, che hanno plasmato attorno a se il territorio, senza per questo favorire le concentrazioni operaie, ma mantenendo lo stretto contatto dei lavoratori con le loro terre d’origine: campagna urbanizzata che conserva quella “mentalità e identità rurale” 5 che può contenere il conflitto sociale e favorirne la stabilità. Il consolidamento di questo modello avviene anche con il contenimento e la riduzione degli oneri sociali individuali e collettivi, dirottati prevalentemente sull’incentivazione delle imprese sostenuta costantemente dalle istituzioni. E’ il modello Friuli, una fusione di tradizione e modernizzazione, che rivendica alcuni degli impianti culturali legati alla tradizione contadina che cercano di ridurre la crisi e le disarmonie.6 Il fenomeno del decentramento produttivo, successivo alla crisi della grande industria contribuirà alla creazione di quel modello nordest che, costituitosi nei decenni precedenti

3 D. ANDREOZZI, L. PANARITI, L’economia in una regione nata dalla politica, p. 863 4 L. FORTUNA, Il Friuli. Tesi per uno sviluppo economico, Del Bianco, Udine, 1963, p. 173 5 D. ANDREOZZI, L. PANARITI, L’economia in una regione nata dalla politica, cit., p. 872 6 G. VALDEVIT, Un dopoguerra e un lungo dopoguerra. Il Friuli e la Venezia Giulia dalla fine della guerra alle soglie del Duemila, in Friuli e Venezia Giulia. Storia del ‘900, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli-Venezia Giulia, Libreria Editrice Goriziana 1997, p. 430

113 con forme e modalità complesse, successivamente sarà al centro dell’attenzione delle forze economiche, politiche sociali fino ai giorni nostri.

In questo decennio così importante, quello tra l’inizio degli anni sessanta e settanta, si sviluppa il percorso della Federazione udinese del PSIUP che si propone sulla scena politica locale per confrontarsi con una schiera di forze che già da tempo prospettano soluzioni e si misurano con le contraddizioni del territorio. Come a livello nazionale anche a livello locale, i socialisti che si oppongono a quella che considerano l’integrazione e l’adeguamento al sistema esistente di una partito nato con l’obbiettivo della trasformazione in senso socialista della società, si inseriscono nel dibattito politico e sociale dopo molti anni di lotta tra correnti e leaders che ormai non sono più in grado di militare nella stessa organizzazione. Inoltre siamo alla vigilia della prima importante consultazione elettorale per l’elezione del primo Consiglio regionale, dopo l’approvazione della legge che il 24 luglio del 1962 ha istituto l’entità amministrativa a statuto speciale, che molti contrasti e polemiche ha suscitato sia tra le forze politiche anche al loro stesso interno, per dare attuazione ad un principio sancito nella Costituzione del 1946.

114 9.1. LA SINISTRA SOCIALISTA ARGINE DELLA SCISSIONE I risultati del XXXV congresso dei socialisti friulani del 1963 affermano la netta vittoria della mozione della Sinistra socialista su quella degli Autonomisti.7 A differenza di quanto avviene a livello nazionale, dove la conferma con il 57% dei voti della mozione di Nenni, De Martino e Lombardi pone le basi per l’entrata organica al governo del PSI, la composizione del Comitato Direttivo provinciale del PSI di Udine sembra porre nelle migliori condizioni la Sinistra socialista di Vecchietti, Valori, Basso, Foa e Libertini che si prepara alla scissione dal PSI per ricostituire il PSIUP.

Ma le adesioni al nuovo partito dei dirigenti locali del PSI sono limitate: solo 8 dei 21 membri della Sinistra nel Comitato direttivo, le quattro sezioni territoriali di Enemonzo, Ragogna, Villa Santina e Villa Vicentina, 11 segretari di sezione, il presidente dell’ANPI di Udine, Francesco Rampolla, e alcuni sindacalisti delle ferrovie, decidono di rompere con il vecchio partito per costituire la Federazione provinciale di Udine del PSIUP.8 Anche a Udine come in altre federazioni socialiste i lealisti ed i lombardiani limitano gli effetti della scissione.9 Dopo un paio di mesi di iniziale assestamento sono organizzati anche i primi organismi dirigenti: la segreteria provinciale è composta dal Luigi Rugo Segretario provinciale, Guglielmelli vice-Segretario, Luciano Tion e Antonio Pravisani. Il Comitato direttivo provinciale10 si riunisce la prima volta il 27 gennaio nella sede del partito situata nei pressi della stazione cittadina, in via Leopardi n.118.

La maggioranza dell’apparato e diverse personalità di spicco della componente dei “lealisti”, capeggiata dall’ Onorevole Loris Fortuna (ex dirigente del PCI friulano uscito dal partito nel 1956), dal Segretario federale Giansilverio Giacometti oltre che da Fermo Solari e Bonacina, contiene in maniera significativa l’azione degli scissionisti. A livello nazionale la componente definita Sinistra unitaria chiede la revoca dei provvedimenti per quei membri della Sinistra socialista che non hanno aderito alla scissione e, nel convegno nazionale del 26 gennaio 1964 a Roma, chiede il superamento delle correnti. Ottenuta facilmente la revoca, Fortuna e altri esponenti sono eletti nel direttivo del gruppo socialista alla Camera e altri esponenti vengono cooptati nella nuova Direzione nazionale e nel Comitato centrale del PSI, integrando i posti lasciati vacanti dagli scissionisti. Si crea il nerbo della futura sinistra socialista guidata da Lombardi e Santi11. La sinistra “unitaria” alleata a quella “lombardiana” mantiene un’influenza significativa nel PSI regionale, tanto da impedire a Trieste la formazione di una giunta comunale di Centro-sinistra.12

7 I votanti sono 3.401; di questi, 2.270 voti pari al 66,8% vanno alla Sinistra socialista, 1.101 (il 29,4%) agli “autonomisti”, mentre alla “Lettera aperta di Pertini” i restanti 130 voti (3,8%), vedi E. BIZZARRI, L’organizzazione del P.S.I.U.P. (1964-1972), in C. VALLAURI, I partiti italiani tra declino e riforma, Vol. 2, Bulzoni editore, Roma 1986, p. 1064 8 Gli ex membri del CD del PSI sono: Giovanni Guglielmelli, Flaminio De Cecco, Querino Franz, Giuseppe Visentin, Luigi Rugo, Antonio Pravisani, Primo Blarzino e Luciano Tion, Lettera di Guglielmelli alla Direzione del PSIUP, 27 gennaio 1964, AFPSIUPUD, B2, F21, sf1, s3 9 P.NENNI, Diari 1957-1966. Gli anni del centro sinistra. Sugarco, Milano 1982, p. 322 10 Vedi Appendice 4 11 M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI, p. 333 12 Vedi Voce Unitaria, Bollettino della Federazione udinese del PSIUP, n.2, giugno 1964, AFPSIUPUD B1, F2, sf1

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Il gruppo socialista in Consiglio provinciale (che raggruppa le città di Udine e Pordenone) si spacca: i lealisti Lepre e De Sante e l’autonomista D’Antoni rimangono nel PSI mentre l’avvocato Alfino Toscano (futuro segretario del partito a Pordenone) e Luigi Rugo, secondo la stampa locale, aderiscono al PSIUP nonostante qualche incertezza iniziale. I consiglieri socialisti eletti al Comune di Udine, sorretto da una maggioranza DC e PSDI, sono tutti della sinistra “unitaria” mentre 16 consiglieri comunali di alcuni comuni minori passano con il PSIUP.13 Molti iscritti abbandonano il vecchio PSI che, in provincia, è soggetto a spaccature personalistiche tali da culminare in risse tra i militanti delle diverse correnti.

La documentazione raccolta nell’archivio mi ha permesso una ricostruzione dettagliata dell’attività dei primi tre anni di vita della federazione provinciale che risulta un utile strumento d’indagine delle dinamiche interne e del funzionamento di un partito che, seppure di piccole dimensioni e collocato in una provincia a prevalenza democristiana, fa parte a pieno titolo della tradizione socialista come il PSI e il PSDI che sul territorio sono due forze politiche consistenti e influenti.

13 I consiglieri PSI sono Giacometti, Castiglione, Fresco, Bucco, Chiaruttini, oltre all’indipendente Cosattini, Incertezze e perplessità dopo la creazione del PSIUP, “Messaggero Veneto” del 14 gennaio 1964, AFPSIUPUD, B2, F19, sf2

116 9.2.DAL 1964 AL 1965: DUE ANNI DI CONSOLIDAMENTO La federazione udinese del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria è ufficialmente costituita il 26 gennaio del 1964 con una cerimonia pubblica ed un comizio sul tema della “Fedeltà al socialismo” tenuto dall’onorevole Lucio Luzzato al cinema Cecchini di Udine.14 Il tema dell’identità socialista tradita dai dirigenti della destra del PSI è il tratto distintivo rivendicato dal PSIUP che a Udine, in particolare, assume una valenza decisiva. Le peculiarità del PSI provinciale, che a differenza del partito nazionale, è egemonizzato da esponenti della corrente lombardiana come Fermo Solari e da dirigenti importanti come Loris Fortuna, riducono lo spazio politico e la visibilità del PSIUP in quanto mantengono tra i socialisti un maggior radicamento sul territorio, nelle istituzioni e nel sindacato.

Giovanni Guglielmelli,15 se ne rende conto fin dall’inizio e, insieme agli altri due membri dell’esecutivo provinciale Luigi Rugo e Luciano Tion, indirizza l’attività del partito in particolare attorno alla polemica diretta con il PSI, del quale punta a cogliere l’eredità politica e conquistare lo spazio elettorale. Lo scontro è molto aspro e gli effetti che indirettamente producono, in particolare nel Pordenonese e nella Bassa Friulana, provocano le reazioni dei nenniani che definiscono i propri ex compagni come “dei provocatori che dispongono di molti soldi”,16 anche se i debiti, accumulati durante la campagna elettorale sono ingenti e sono saldati solo grazie ad un contributo nazionale.17

Ma l’obbiettivo che si pone la federazione provinciale è di riuscire in questi primi mesi ad affrontare le due imminenti scadenze elettorali e di impostare l’organizzazione e l’attività politica a livello territoriale. Con le prime 500 tessere inviate sono costituite le sezioni di Udine e Pontebba, mentre in via di costituzione quelle di Villa Santina, Forni di Sotto, Ampezzo, Prato Carnico, Enemonzo, Cercivento, Lauco (oltre ai nuclei nelle frazioni di Avaglio e Vinaio), Bicinicco, Ragogna, Majano, Artegna, Buja, Cividale, Pozzuolo, Pradamano, Torreano, Mortegliano, Cervignano, Villa Vicentina, Palmanova, Carlino, Ronchis, Rivignano e Pocenia. La carnia, la Val del Ferro e il Medio Friuli, oltre ad alcune località della Bassa friulana, sono le principali zone d’insediamento nel solco della tradizione socialista. La sezione cittadina situata presso la sede della federazione è guidata da Nello Visentin, Querino Franz (che è il segretario), Chiandoni e Nereo Pocecco. L’attività del primo anno è indirizzata quasi esclusivamente alla campagna elettorale, ma successivamente si pone l’obbiettivo di intervenire nelle numerose realtà produttive del suo ampio mandamento operativo esteso anche ad altri 11 comuni adiacenti. Durante il primo anno di attività organizza una serie di conferenze di formazione politica sul tema “Partito e classe”.

L’imminente appuntamento per l’elezione del Consiglio Regionale del Friuli Venezia- Giulia, programmato per il 10 maggio 1964, è il principale obbiettivo politico della neocostituita federazione, nonché il primo appuntamento elettorale anche per il partito a livello nazionale.

14 Volantino PSIUP “Fedeltà al socialismo”, 23 gennaio 1964, AFPSIUPUD, B1, F1, sf2 15 Membro del Consiglio nazionale del PSIUP è stato, nella segreteria provinciale e regionale del PSIUP, il referente della corrente di sinistra, vedi Silvano Miniati, PSIUP 1964-1972. Vita e morte di un partito, Edimez 1982, p. 146 16 P. NENNI, Diari 1957-1966, cit, p. 353 17 La spesa complessiva è di £. 4.012.595

117 Date le difficoltà organizzative a livello locale18 e gli sforzi politico-organizzativi messi in campo in poco tempo, il risultato conseguito è ritenuto soddisfacente: i circa 20mila voti (il 2,6%) a livello regionale (7800 voti raccolti nei due collegi di Udine e Tolmezzo) permettono il raggiungimento dell’obbiettivo minimo della presenza in Consiglio regionale19 grazie all’elezione del prestigioso sindacalista regionale ed ex deputato socialista Mario Bettoli, ritenuto anche da Nenni un pericolo per il consenso che può sottrarre ai socialisti locali.20 La giunta regionale, presieduta dall’ex deputato democristiano moroteo ed ex direttore del Mediocredito Alfredo Bearzanti, è formata dall’alleanza tra la DC e il PSDI, che solo nel 1966, e dopo parecchie pressioni a livello nazionale,21 è estesa ai socialisti di Nenni, prima tramite l’unione tra socialisti e socialdemocratici nel PSU, al termine della quale è riproposto lo schema governativo nazionale.22 Quello che evidenzia la competizione elettorale è la corrispondenza tra il risultato elettorale e la presenza sul territorio di una sezione o di un candidato forte che manca al partito che è svantaggiato anche sul numero di attivisti che è stimato in uno ogni 5-6 del PSI. Nei due collegi provinciali, il PSIUP raccoglie rispettivamente 5.485 voti ( il 2,1%) a Udine e 2.383 voti (il 3,9%) nel collegio di Tolmezzo in Carnia a fronte di un calo (-2,98% e – 2,13%) del PSI dimostrando ancora la corrispondenza tra i due partiti,23 che a livello elettorale è stimata in circa il 10% dei voti.24 L’attenzione verso il vecchio partito di provenienza è prioritario per tentare di estendere il radicamento su base territoriale, che procede in modo contenuto e costante25 anche se i socialisti, nonostante la scissione, denunciano una crescita di 200 iscritti rispetto al 1963. Il peso della sua tradizione elettorale, nonché di quella democristiana e socialdemocratica, oltre ai persistenti limiti organizzativi dei socialisti unitari, sollecita i dirigenti locali a investire ancora sul terreno politico/elettorale in vista delle amministrative del 22 novembre ’64 che vedono il partito impegnato con alleanze diversificate tali da permetterne la presenza nel numero più elevato di amministrazioni comunali. Il partito ottiene il 3,29% tutto a discapito del PSI che comunque entrerà in diverse giunte con la DC e il PSDI che si sono rafforzati oltre che nel Consiglio provinciale, anche altrove, conquistando 2 piccoli comuni che erano amministrati dalla sinistra. Questa invece conferma le proprie amministrazioni solo nei suoi tradizionali insediamenti di Aquileia, Terzo D’Aquileia e Fiumicello. 26

18 vedi appendice n.1 19 Altri risultati: DC 43,1% e 28 consiglieri; PCI 18,5%, 11 consiglieri; PSI 10,7% e 7 consiglieri; PSDI 9,3% e 6 consiglieri; PLI 6,2% e 3 consiglieri; MSI 6,1% e 3 consiglieri; Unione Slovena 1,3% e 1 consigliere; PRI 0,9 e 1 consigliere. 20 P. NENNI, Diari 1957-1966, p. 353 21 Ivi, p. 372 22 Per approfondimenti relativi alla nascita ed allo sviluppo dell’Ente regionale Friuli- Venezia Giulia, vedi in M. DEGRASSI, L’ultima delle regioni a statuto speciale, in R. FINZI - C. MAGRIS - G. MICCOLI ( a cura di ), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. Il Friuli – Venezia Giulia, 1 vol., Tomo primo Einaudi, p. 759-768 23 Lettera di P. VACCA e E. VESCOVO alla Direzione del PSIUP, AFPSIUP, B1, F2, sf1, s5 24 P. NENNI, Diari 1957-1966, p. 354 25 Vedi appendice 2 26 Luigi Rugo è confermato nel Consiglio provinciale; nei comuni di Buja, Pozzuolo, Majano, Villasantina, Prato Carnico, Rivignano e Nimis è eletto 1 consigliere; a Ragogna ed Enemonzo ne sono eletti 2; a Lauco 4 consiglieri

118 Dopo le elezioni si costituisce il Comitato regionale che comprende gli udinesi Rugo e Guglielmelli, oltre a Bettoli e Toscano di Pordenone, Piero Giordani e Rinaldo Rizzi di Gorizia, Vito Jercog ed Ezio Martone di Trieste, che è eletto anche Segretario regionale.27

L’attività politica sul territorio durante tutto il ’64 è demandata a volantinaggi presso aziende in crisi e nelle principali fabbriche nei pressi della città, come le acciaierie Bertoli- SAFAU, la Solari (azienda di proprietà del lombardiano Fermo Solari), ed i cotonifici udinesi. Anche durante gli scioperi legati alle vertenze dei rinnovi contrattuali o su iniziative a sfondo sociale e antimilitarista, l’azione prevalente è il volantinaggio di appoggio o solidarietà per cercare di creare quei rapporti che mancano quasi del tutto con le realtà di movimento cittadino. Dalla documentazione rinvenuta c’è un attenzione particolare verso le aziende del settore energetico ed elettrico al centro del dibattito che ha visto i socialisti tra i promotori della nazionalizzazione dell’elettricità per individuare i margini d’intervento politico che poi non paiono realizzarsi.28 Uno dei primi sforzi editoriali è la produzione del giornalino della federazione che periodicamente viene inviato agli iscritti e a tutti i socialisti rimasti nel PSI di cui si conoscono gli indirizzi postali; il periodico fino al 1966 si chiamerà “Voce Unitaria” per poi cambiare in “Riscossa socialista”. Il settimanale del partito “Mondo Nuovo” vende dalle 150 alle 300 copie settimanali oltre ai circa 110 abbonamenti sottoscritti tra la città di Udine e la sua provincia. Questi risultati sono ritenuti insoddisfacenti dai dirigenti locali che cercano di rilanciare la diffusione nonché la raccolta di sottoscrizioni per il periodico senza riuscirvi: a fronte della campagna nazionale per raccogliere 200 milioni di lire per il giornale, a Udine il risultato ottenuto è di sole 274mila lire su un obbiettivo stimato in un paio di milioni di lire. Nonostante le diffusioni speciali, come alla tradizionale occasione della festa dei lavoratori del 1° maggio che vede nella tradizionale edizione speciale diffusa in 188 copie solo a Udine, “Mondo Nuovo”, come le altre pubblicazioni della sinistra socialista, non trova mai una diffusione pari alle aspettative.29

L’indirizzo operativo, come a livello nazionale, è determinato dalla volontà di radicarsi tra i lavoratori, dato lo scarso peso del partito nella classe. I principali dirigenti sono Querino Franz, membro della segreteria provinciale della Cgil legato a Vittorio Foa,30 e Ivo Toppano, morandiano, funzionario sindacale, membro del Direttivo provinciale della Camera del Lavoro e della segreteria provinciale della FILZIAT, la categoria degli alimentaristi. Nel Direttivo provinciale della FIOM non ci sono esponenti del PSIUP anche se c’è il tentativo di coinvolgere i 3 del PSI nel lavoro con il partito; 24 sono del PCI e 4 indipendenti.31 L’egemonia del PCI udinese sulla Cgil è assoluta e in alcuni casi sottodimensionata per lasciare dello spazio agli altri, in particolare ai socialisti. Anche nel settore della cooperazione la presenza del PSIUP è limitata, mentre il PSI esprime anche il presidente provinciale della Federcoop, l’avvocato Loris Fortuna.32

27 Comitato regionale, AFPSIUPUD, B2, F26, 28 Commissione economica, 1964, AFPSIUPUD, B2, F27, 29 Documento della sezione “Stampa e propaganda” della Federazione provinciale udinese alla Direzione nazionale, giugno 1965, AFPSIUPUD, B3, F4, sf5 30 Dichiarazione di Renzo Marinig rilasciata all’autore 16 giugno 2006 31 Lettera di Guglielmelli alla Direzione, AFPSIUPUD, B1, F10, sf1, s5 32 Nel direttivo della Fedrcoop ci sono 2 esponenti del PSIUP, Primo Blarzino e Vittorio Manzon (membro dell’esecutivo), Lettera di Primo Blarzino alla Federazione udinese del PSIUP, 1 giugno 1965,

119 Tra le commissioni tematiche attivate dal partito fin dai primi tempi c’è quella sulla scuola che punta a coinvolgere gli insegnanti del PSIUP attorno ai problemi della riforma “Gui” che tante proteste da parte del movimento studentesco susciterà negli anni successivi. Inizialmente la sua partecipazione è limitata ai 5 iscritti del partito. In provincia il sindacato unico della scuola medie (l’S.N.S.M) è egemonizzato da socialdemocratici e liberali che dominano anche sui cattolici;33 i socialisti unitari e il PCI si organizzano nella quarta mozione che negli anni successivi darà vita, a livello nazionale, al Sindacato scuola Cgil.

A fine anno il PSIUP della provincia di Udine può dichiarare la costituzione di 29 sezioni, 27 nuclei territoriali e 1 gruppo di fabbrica. Ma sia il Comitato direttivo provinciale, sia molte delle sezioni che dei Nuclei territoriali, hanno difficoltà nel funzionamento regolare e mantengono un’attività reale solo nei momenti elettorali. Nonostante i tentativi del gruppo dirigente di attivare le sezioni durante l’estate, dopo il difficile impegno delle elezioni regionali, ciò non avviene e sono poche le strutture che riescono ad essere presenti anche con azioni di mera testimonianza.

AFPSIUPUD, B4, F11, sf2, s4 33 Circolare interna della 4 mozione, 19 dicembre 1964, AFPSIUPUD B2, F28, sf4

120 9.3.IL 1965: L’ANNO DEI CONGRESSI Il primo anniversario del PSIUP, celebrato con diverse iniziative locali,34 è aperto all’insegna dell’andamento positivo del proselitismo del partito che, sull’onda dello scontento che anima le file del PSI provato dalle difficoltà governative e dall’avvicinamento a Saragat, supera gli 800 iscritti aumenta le sezioni territoriali di cui due con la sede di proprietà.35 La sede della federazione dopo poco più di un anno e mezzo è sfrattata dall’appartamento di via Leopardi e il 12 ottobre si stabilisce in via Vittorio Veneto n.43, nel centro storico del capoluogo. Il cambio è segnalato con orgoglio, in quanto la nuova sede è “ampia sala da 100 posti, 2 sale e 4 stanze per uffici 8 finestre; 55mila lire al mese di affitto e 500mila lire di lavori di sistemazione scalati dall’affitto”.36 Per un piccolo partito, anche se in espansione è uno sforzo economico considerevole, come segnala il bilancio della federazione, ma grazie all’intervento della Direzione del Partito, che ha maggiori entrate in seguito all’aumento delle indennità dei propri parlamentari, è possibile far fronte all’investimento.37 L’anno si presenta impegnativo sul fronte congressuale in quanto è prevista la celebrazione sia di quello dell’Alleanza coltivatori a febbraio, sia della Cgil tra marzo ed aprile che, per finire a dicembre, con la prima assise del partito. Grazie alla frequente sollecitazione e presenza di Guglielemelli e Rugo le sezioni si riuniscono con regolarità nel tentativo di consolidare la presenza nel territorio. Iniziative propagandistiche, riunioni unitarie con il PCI per l’organizzazione delle consulte popolari nei quartieri di Udine, consentono l’avvicinamento e l’iscrizione al PSIUP di molti lavoratori, in particolare stagionali, contadini, operai, ferrovieri e postini che non provengono dal PSI. Anche nelle situazioni d’emergenza che colpiscono la Carnia e il paese di Latisana con le alluvioni di settembre, il partito si mobilita per portare sia soccorso che aiuti e successivamente può vantare anche una crescita organizzativa nelle zone disastrate. 38

Al congresso di marzo dell’Alleanza contadini (l’associazione dei coltivatori che si contrappone alla fortissima Coldiretti del potente democristiano Comelli), sono eletti 5 membri nel Direttivo provinciale e uno nell’esecutivo, anche se la maggioranza del PCI e PSI con 23 e 21 posti ciascuno è schiacciante; per il PSIUP il principale appuntamento con cui misurarsi rimane il VI congresso provinciale della Cgil, e la preparazione di questa scadenza parte dal rinnovato impegno verso i luoghi di lavoro. Al fine di ottenere un buon risultato politico ed organizzativo il partito programma delle riunioni preparatorie nel medio Friuli e nella Bassa friulana a partire dal mese di gennaio.

Il congresso provinciale che si svolge dal 13 al 14 marzo, vede la presenza di 160 delegati in rappresentanza dei 14mila iscritti alla Cgil.

34 L’iniziativa principale è a Udine il 17 gennaio presso l’hotel Cristallo con la partecipazione di 200 persone tra le quali il vice-presidente della Regione ed ex del senatore PCI Giacomo Pellegrini, oltre a rappresentanti di altre forze politiche e associative della sinistra. 35 Vedi appendice n. 5 36 Lettera alla Direzione del partito-Sezione amministrazione, dicembre1965, AFPSIUPUD, B3, F2/A, sf2 37 Vedi appendice n. 6 38 Tramite l’On. Lucio Luzzato eletto nella circoscrizione Udine-Pordenone-Belluno, il partito promuove una serie di interrogazioni parlamentari per sollecitare gli aiuti, nonché specifiche richieste di interventi civili e di sostegno per le famiglie colpite dallo straripamento del fiume Tagliamento, AFPSIUPUD, B5, F6, sf5- sf6

121 La principale categoria è quella degli edili seguita dai metalmeccanici e ferrovieri; 100 sono i delegati della corrente comunista, 32 dei socialisti, 12 indipendenti e 16 del PSIUP. A fronte di oltre il 60% dei voti del PCI, il PSIUP ottiene il 10% che permette l’elezione di tre membri nel Direttivo confederale e uno nella segreteria.39 Gli interventi dei delegati di “Autonomia e Unità” sono all’insegna della polemica aspra verso il governo di Centro- sinistra regionale e nazionale. Ma critiche sono rivolte anche agli accordi di vertice tra le correnti del PCI e del PSI che prestabiliscono le quote negli organismi dirigenti con valutazioni diverse da quelle del consenso realmente ottenuto nei luoghi di lavoro.40 La corrente di partito è rappresentata anche nelle categorie dei ferrovieri, alimentaristi, statali, dalle quali entra anche nella segreteria, oltre che nei direttivi dei metalmeccanici, del commercio, edili, pensionati e parastatali, contando infine un iscritto nel mandamento distaccato del sindacato a Cervignano.

Il risultato segna quindi un piccolo avanzamento della rappresentanza negli organismi dirigenti della Cgil, dominati in maniera indiscussa dal PCI, rispetto al 1964. Dopo il congresso si costituisce la commissione lavoro del Partito, il cui responsabile è Nereo Pocecco “giovane sindacalista di notevoli capacità”41 della sezione “Rodolfo Morandi” di Udine, e il primo Nucleo Aziendale Socialista (NAS) tra i ferrovieri capitanati da Giuseppe Visentin e il giovane Dino Boezio; anche questa struttura che si attiva su tematiche sociali e politiche legate in particolare alla politica della giunta comunale che comprende anche il PSI, è intitolata a Morandi. Ma il ‘65 vede la fondazione di altre sezioni in Carnia a Sutrio, Tolmezzo e Trasaghis, nel Medio Friuli a Tricesimo, nella Bassa Friulana ad Aquileia (bastione comunista) e Lignano oltre che a Tavagnacco. Sono inaugurate due sedi di sezione, a Carlino e Cividale. Quest’ultima, a dimostrazione dell’immutato atteggiamento polemico nei confronti del PSI è intitolata a “Riccardo D’Atena” dirigente storico della sinistra socialista friulana e segretario regionale del PSI morto nel 1963 in un incidente stradale. Come per Morandi, i psiuppini udinesi si approprieranno a posteriori del nome del dirigente, suscitando una polemica molto dura con la locale sezione socialista la quale, anch’essa su posizioni di sinistra, ne rivendica la paternità.42

La prima crisi politica vede protagonista la sezione di Pozzuolo e il suo segretario, nonché membro dell’esecutivo provinciale del partito e della Uil udinese, il commerciante Luciano Tion. Secondo quanto ricostruito dal corrispondente de “L’Unità” Rino Maddalozzo, nella complicata vicenda locale della crisi del comune di Pozzuolo del Friuli (piccolo paese a pochi chilometri da Udine) il consigliere comunale Tion si presta, pare con il sostegno di Loris Fortuna, ad un’audace manovra per formare una nuova giunta che comprende parte della DC, del PSI, il PSDI e il PSIUP, che potrebbe ottenere anche la carica di sindaco, con

39 I membri del Direttivo sono Toppano (FILZIAT), Giuseppe Visentin (Pubblico impiego) e Franz (Federstatali) che entra anche in segreteria. La componente comunista con 14 membri su 27 nel direttivo e 4 su 7 nella segreteria ha la maggioranza assoluta anche se ridotta rispetto ai risultati congressuali. Querino Franz è con Mario Bettoli di Pordenone membro anche del Direttivo regionale della Cgil che vede Segretario generale il comunista Arturo Calabria. 40 Corrente di Autonomia e unità, IV congresso Cgil, Udine marzo 1965,AFPSIUPUD, B3, F3, sf9, Ins.3 41 Documento costituzione della commissione provinciale “Lavoro di massa”, settembre 1965, AFPSIUPUD, B3, F3, sf1 42 Lettera di Guglielmelli al segretario della sezione del PSI di Cividale, 21 febbraio 1965, AFPSIUPUD, B3, F2/A, sf3

122 il PCI all’opposizione. Ma contro questa ipotesi, e dopo lunghe trattative, la federazione provinciale interviene espellendo il segretario della sezione di Pozzuolo con l’accusa di “milazzismo, qualunquismo, antipartitismo e anticomunismo” sciogliendo anche il Comitato direttivo dopo le bastonate date al commissario che la federazione aveva mandato nella sezione per un tentativo di conciliazione.43

L’estate vede in primo piano le vertenze dei lavoratori dell’edilizia per il rinnovo del contratto e dei braccianti mobilitati contro la regione verso i quali oltre ai volantini di solidarietà non c’è molto altro. Ben diverse tensioni suscita l’agitazione che sia il PSIUP che il PCI attuano,con la FIOM, nei confronti della vertenza contro i licenziamenti alla Solari, di proprietà dell’omonimo ex capo partigiano azionista, e famoso dirigente del PSI. La polemica che i partiti organizzano è fondata sull’accordo che Solari ha sottoscritto con la Pirelli e che comporta i licenziamenti preventivati. Ciò provoca la reazione indignata dell’ex senatore lombardiano che se la prende con le organizzazioni che lo accusano, inscenando un insolito contrasto tra tendenze e partiti che si rifanno alle varie anime dell’estrema sinistra parlamentare, sinistra PSI, PSIUP e PCI, oltre che la Fiom. La polemica continuerà anche nel corso dell’anno successivo e si attenuerà, almeno da parte del PCI, solo quando Solari rompe con il PSI fondando l’MSA. L’attività locale vede il partito aderire e partecipare anche ad alcune iniziative e manifestazioni contro la guerra in Vietnam44 e contro i ritardi governativi nella ricostruzione dopo la tragedia del 1963 nel Vajont, con un corteo a Longarone. Ma sono iniziative marginali per un partito che catalizza la sua attività ancora nella polemica verso il PSI: sono numerosi i volantinaggi presso la base socialista per denunciare in ogni occasione la deriva socialdemocratica del partito di Nenni.

Il primo congresso della federazione provinciale di Udine si tiene presso la sala conferenze dell’Hotel Cristallo dal 4 al 5 dicembre. È stato preceduto dai congressi in tutte le 31 sezioni e 42 nuclei territoriali che hanno eletto i 90 delegati in rappresentanza dei circa 900 iscritti del 1965. La sezione più numerosa è quella di Ragogna, segretario Flaminio De Cecco, con 9 delegati (ogni delegato rappresenta dai 7 ai 15 voti), seguita da Udine45 con 6, Majano e Carlino con 4 delegati. La natura totalmente maschile del partito udinese è confermata dall’assenza totale di delegati congressuali donne che anche al congresso locale dell’Unione donne italiane (UDI) del ’64 era intervenuto tramite il proprio segretario provinciale. Gli inviti sono stati estesi anche a diversi iscritti del PSI, oltre che alle rappresentanze dei partiti, associazioni e sindacati e ad alcuni avvocati di spicco di orientamento socialista. Alla presidenza, oltre al segretario nazionale dell’Alleanza Contadini in rappresentanza della Direzione nazionale del partito, Renato Tramontani, ci sono tutti i principali dirigenti locali: Mario Bettoli e Guglielmelli, del Consiglio nazionale, Ezio Martone, Segretario regionale, Primo Blarzino, presidente dell’Unione provinciale degli Artigiani, Francesco Rampolla, ex presidente dell’ANPI di Udine, e Luigi Rugo, Segretario provinciale a

43 AFPSIUPUD, B3, F2/A, sf6 44 Ad aprile e ad ottobre sono organizzati due corteo in concomitanza con le mobilitazioni nazionali che vede la partecipazione del PSI, PCI, PSIUP, FGCI, FGS (PSIUP), ANPI, ANPPIA, UDI, CGIL, Alleanza contadini, UGI, il Circolo culturale “Calamandrei”e quello “Rinascita”. Per la campagna “Un ospedale da campo per il Vietnam” il PSIUP di Udine raccoglie 82mila lire. 45 La sezione di Udine elegge Franco Comuzzi segretario che, insieme a Chiandone, Chiandoni, Visentin, Gandin, Lenoci e Pocecco forma il direttivo della sezione”R. Morandi”.

123 rappresentare la veste attuale dei socialisti unitari, oltre a due anziani tesserati “socialisti da 50 anni” per ricreare anche visivamente il legame con la tradizione del socialismo. Dopo i rituali saluti degli ospiti46, il dibattito procede fino alla giornata successiva in modo regolare seguendo il programma elaborato meticolosamente che prevede interventi dei delegati sulle tematiche elaborate dalle tesi congressuali nazionali. Alla fine sono votati alcuni ordini del giorno di solidarietà con il Vietnam, con gli studenti udinesi che protestano per richiedere la facoltà di medicina e che si sono scontrati in città con la polizia, oltre che sulla crisi della miniera di Cave del Predil47 e su alcune modifiche proposte allo Statuto del partito. Con la votazione degli organismi dirigenti48 e dei delegati al congresso nazionale si conclude il primo congresso provinciale49.

L’intensa attività del partito è svolta prevalentemente da Guglielmelli e Rugo, che si dividono il seguito del lavoro delle sezioni di Udine della provincia, oltre a Blarzino in Carnia e De Cecco nel Medio Friuli, per rendere operative le strutture di base nel tentativo di consolidare l’organizzazione. Gli iscritti, pur aumentando di circa 250 unità in particolare grazie al ruolo di Blarzino e De Cecco, nella maggior parte dei casi continuano ad essere poco attivi sia per motivi personali, in quanto molti sono prevalentemente lavoratori stagionali ed emigranti poco presenti nelle zone dove sono iscritti, sia per l’impianto organizzativo che rimane quello territoriale ed elettorale ereditato dal vecchio PSI. Nonostante gli sforzi, il PSIUP di Udine rimane un partito d’opinione ancorato alla tradizione dalla quale proviene senza nemmeno il consenso e la forza politica che tuttora è ancora saldamente nelle mani dell’organizzazione capeggiata da Loris Fortuna.

46 E’ segnalata la presenza di Baracetti, segretario del PCI di Udine, Angeli del PSI, Venir per la Camera del lavoro, Ruffino per l’ANPI e Orsettig per la Federazione Friulana Cooperative e Mutue. 47 Le sezioni della montagna seguono con particolare attenzione la vertenza sindacale che coinvolge i minitori delle cave a rischio di licenziamento dopo l’assegnazione ad una ditta privata della concessione di gestione delle miniere, AFPSIUPUD, B6, F27 48 Il comitato direttivo è composto da Luigi Rugo (Segretario provinciale), Giovanni Guglielmelli (vice- segretario), Primo Blarzino (membro dell’esecutivo provinciale) che sono delegati al Congresso nazionale; inoltre sono eletti Dino Boezio, Franco Comuzzi, Lorenzo Cozianin (FGS) Guido D’Andrea, Flaminio De Cecco, Giulio De Conti, Querino Franz, Italo Grattoni, Antonio Lenoci, Elio Martinis, Cesare Nagostinis, Antonio Pascolini, Romeo Persello, Aldo Pivotti, Licio Revelant, Giordano Sovrano, Emilio Stefano, Silvano Taboga, Ivo Toppano, Ennio Valusso, Giuseppe e Nello Visentin. 49 AFPSIUPUD, B3, F2/B, sf1

124 10. L’UNIFICAZIONE SOCIALISTA E GLI STUDENTI: DAL ’66 AL ‘68 La situazione sociale della provincia continua ad essere contrassegnata da forti disuguaglianze e contrasti sociali che derivano dalla precaria distribuzione delle risorse; gli stessi socialisti unitari denunciano il persistere di elementi di crisi legati sia all’emigrazione, che alle difficoltà in cui versano i vari complessi industriali della provincia. Nell’ultimo anno oltre 4.000 licenziamenti, 2.200 riduzioni di orario e salario, 660 sospensioni e la cassa integrazione per 6.900 lavoratori hanno contraddistinto la grave crisi dei settori dell’industria tessile, meccanica e dell’edilizia in seguito alla mancanza di commesse per le imprese provinciali dopo la recessione che investe il paese tra il 1964 e il 1965.50

Dopo i primi due anni di attività e consolidamento, la piccola federazione provinciale udinese del PSIUP cerca di rilanciare la sua attività inserendosi nelle lotte studentesche e operaie che si innescano a livello provinciale che provocano ripercussioni anche all’interno del Partito socialista friulano.

Gli effetti organizzativi del dibattito sull’unificazione socialista si fanno sentire già dai primi mesi dell’anno: a marzo il responsabile organizzativo denuncia il raggiungimento del 100% dell’obbiettivo del tesseramento con la conferma di quasi tutti gli iscritti e riceve un telegramma di plauso da parte del Segretario nazionale Tullio Vecchietti;51 a fine anno, oltre al numero dei tesserati, sono aumentate anche il numero delle sezioni territoriali.52 Mentre i dirigenti locali puntano ad avviare nel modo più capillare possibile il dibattito nelle sezioni sul tema dell’unificazione tra il PSI ed il PSDI per continuare l’azione di proselitismo tra la base socialista, un consistente gruppo di lombardiani guidati da Fermo Solari, in dissenso con l’unificazione, rompe ad ottobre con il PSI e forma il Movimento dei Socialisti Autonomi (MSA) che si ricollega all’omonimo movimento nazionale. Fermo Solari è seguito anche da alcuni consiglieri socialisti al comune di Udine come Castiglione, Azzo Rossi e Luciano Morandiani, oltre a Giorgio Tulisso della segreteria Fiom e Riserio Chiappino della segreteria Cgil. La componente lombardiana del PSI, che controlla anche la Federazione giovanile socialista, subisce un duro colpo che rafforza il controllo di Angeli, Bonacina e Fortuna, ormai leader incontrastato del PSI. A Cividale escono dal PSI il 40% degli iscritti della sezione per fondare, con due consiglieri comunali, il gruppo cividalese del MSA; successivamente insieme a Renzo Marinig ed Elio Nadalutti, diversi di questi militanti seguono la traiettoria del gruppo di lombardiani del MAS, guidati da Fausto Bertinotti, che nel settembre del ’67 decidono la confluenza nel PSIUP. 53 Nadalutti entra anche nel Comitato provinciale del partito.

La formazione del MSA, le cui avvisaglie sono evidenti a partire dall’inizio dell’anno, si rivela un problema per il PSIUP, in quanto anche questa organizzazione può inserirsi nello suo stesso spazio politico. Di questo il nuovo54 gruppo dirigente eletto dopo il congresso

50 Rapporto alla Commissione economica del PSIUP sulla situazione provinciale, 19 febbraio 1965, AFPSIUPUD, B3/C, F5, sf1-2 51 Telegramma di T. Vecchietti al segretario G. Guglielmelli, 12 marzo 1966, AFPSIUPUD, B5, F9, ins.1 52 Vedi appendice n.7 53 Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 54 Oltre alla Segreteria, è eletto il Comitato esecutivo con le rispettive responsabilità: Comuzzi e Franz (Lavoro di massa), Nello Visentin (Commissione economica), Lenoci (Stampa e propaganda), Blarzino (Enti locali), De Cecco (Scuola) e D’Andrea (FGS).

125 discute con attenzione. Dai resoconti delle frequenti riunioni della Segreteria, sono segnalati sia i passaggi di gruppi di iscritti al PSIUP provenienti dalle fila socialiste, come nel caso dei trenta iscritti di Tarcento, Cividale e Tolmezzo, ma anche dell’influenza del PCI sul MSA. Per cercare di allacciare i rapporti con il gruppo autonomo, Guglielmelli contatta Solari per avviare una campagna di denuncia del comportamento ostile all’ANPI da parte di Loris Fortuna accusato di difendere in tribunale un fascista che ha aggredito un partigiano. Dopo l’avvio della procedura disciplinare contro Fortuna, l’avvocato socialista per ritorsione fa ritirare tutti i membri socialisti dal direttivo provinciale dell’associazione partigiana. Alla fine dell’anno la collaborazione tra il PCI, il MSA ed il PSIUP porta ad un lavoro unitario di polemica contro la politica sociale dell’amministrazione comunale.55 Ma la tensione nell’arco del tempo si acuisce. Infatti nel MSA la tendenza di Luciano Morandini moltiplica le occasioni di unità elettorale con il PCI richiamando gli elettori al voto indifferente alle proteste del PSIUP che si sente vittima dell’ostilità degli ex compagni lombardiani oltre del PCI che tramite il suo segretario provinciale, il futuro Onorevole Baracetti, utilizza le stesse argomentazioni del MSA contro i socialisti unitari.

55 Volantino unitario, AFPSIUPUD B8, F13, sf.3, s3

126 10.1. IL MOVIMENTO STUDENTESCO SMUOVE LE ACQUE Verso la fine del gennaio del 1967 sul settimanale “La Vita Cattolica” di Udine c’è una presa di posizione contro la guerra americana in Vietnam a cui danno ampio risalto sia “L’Unità” sia i quotidiani nazionali. A dicembre seguirà la famosa “Lettera aperta di protesta di 529 preti” che da voce ad un movimento che contesta i gruppi locali della DC accusati di trascurare le esigenze friulane.56 L’autonomismo prende forma a partire da rivendicazioni contro le presunte pretese egemoniche di Trieste piuttosto che verso lo Stato centralista57e da tratti antimodernisti che vogliono contrapporsi ai processi di secolarizzazione.58 Le richieste del movimento sono di una maggiore attenzione da parte dell’amministrazione regionale e del Governo nazionale verso i problemi locali, legati all’emigrazione, al ruolo dell’IRI per lo sviluppo economico locale, alle richieste di agevolazioni economiche per le zone danneggiate dalle servitù militari, alla revisione del piano di sviluppo regionale, per la costruzione dell’autostrada Udine-Tarvisio e per l’istituzione dell’Università a Udine. Sull’edizione di fine gennaio di “Mondo Nuovo” compare un trafiletto che critica la lettera aperta dei preti, mentre la federazione udinese ha una valutazione opposta a quella della Direzione. Lo scontro che si è aperto tra questo movimento e il principale partito della regione mette in difficoltà anche il PSU che, secondo Guglielmelli, “alza una cortina fumogena per coprire le rivendicazioni che vengono avanzate che sono analoghe a quelle della sinistra”.59 Il PSU infatti interviene con un documento firmato da Martino Scovacricchi (parlamentare del PSDI), Giacometti e Fortuna (eletto segretario regionale del PSU) che appoggiando genericamente le rivendicazioni, contesta le critiche “strumentali e qualunquiste”60 contro il Centro-sinistra. Nonostante la caratterizzazione campanilistica del movimento l’adesione di molti preti antifascisti, che hanno determinato questa discriminante politica al movimento e permette sia al PCI che al PSIUP di interloquire politicamente con questa nuova realtà, mentre l’articolo di “Mondo Nuovo” può rivelarsi controproducente. Ad aprile il movimento studentesco friulano elabora un documento che richiede la nascita della Facoltà di Magistero anche a Udine con lo sdoppiamento dei corsi rispetto all’Università di Trieste: è la prima istanza a favore della creazione di un polo universitario in Friuli che nascerà solo 10 anni dopo; il partito, che presta molta attenzione alle proposte degli studenti, oltre difendere gli attivisti colpiti da misure punitive,61 si associa alle richieste del documento che è invece accolto con riserve dal PCI (che successivamente lo sosterrà) e dalla DC.

Ma non c’è solo il movimento legato al mondo cattolico – che con la capillare presenza di sacerdoti e parrocchie ha un ruolo che va al di là dell’ambito strettamente religioso62 -, perchè dall’inizio dell’anno scolastico del 1967 ce ne è un altro formato da studenti delle scuole tecniche e liceali che fa proprie molte delle rivendicazioni del documento del 1966. Il mondo cattolico, segnato dalla crescita al proprio interno da un profondo dissenso

56 529 preti si uniscono alla protesta per il Friuli, L’Unità, 3 dicembre 1967, AFPSIUPUD, B7, F4, sf1, s5 57 M. DEGRASSI, L’ultima delle regioni a statuto speciale, p. 769 58 G. VALDEVIT, Un dopoguerra e un lungo dopoguerra, p. 429 59 Lettera di Guglielmelli alla Direzione del PSIUP, AFPSIUPUD, B7, F4, s.3 60 La prima assemblea dei socialisti udinesi, Il Gazzettino, 17 aprile 1967, AFPSIUPUD, B8, F19 61 Volantino unitario contro la repressione, AFPSIUPUD B6, F28, sf6, s2 62 M. DEGRASSI, L’ultima delle regioni a statuto speciale, p. 769

127 sociale, trova molti punti di contatto con la sinistra, e contribuisce a dare incisività alla protesta giovanile anche in provincia.63

Con l’entrata in scena del Movimento studentesco nazionale a cui si collega anche quello degli studenti udinesi, c’è una prima divisione politica sul tema della lotta alla NATO: una parte legata a Sandro Comini, approfondirà la scelta autonomista dando vita al Movimento Friuli, mentre la parte del movimento studentesco che proviene dall’esperienza del Comitato Vietnam si orienta decisamente a sinistra. In tale contesto, molti giovani aderiscono alle organizzazioni comuniste ed altri al PSIUP.

Le tragiche vicende della guerra in Vietnam sono seguite con attenzione anche nella provincia dove è attivo un comitato che da molti anni raggruppa numerosi giovani e tutte le forze politiche e associative che si oppongono all’aggressione americana. L’attività è molto intensa ed aumenta con la recrudescenza del conflitto che accentua i suoi effetti sui civili vietnamiti. Le occasioni di protesta in piazza avvengono in collegamento con gli altri comitati a livello nazionale: nel gennaio del ’66 c’è una manifestazione a Udine, mentre a marzo il partito organizza una conferenza per raccogliere fondi con la presenza di un suo militante medico di professione, di ritorno dalla penisola indocinese, che si rivela un successo per il gran numero di pubblico affluito. Le mobilitazioni continuano e la partecipazione popolare e giovanile aumenta in tutta Italia ed anche in regione. L’attenzione dei partiti per l’organizzazione degli eventi è molto attenta e gli equilibri diplomatici sono sempre a rischio. La manifestazione regionale del 9 luglio del’66 a Trieste è uno di questi esempi. La disponibilità dimostrata dal PCI regionale a concedere il relatore del comizio principale al PSI, partito che esprime il Ministro degli Esteri Pietro Nenni che negli stessi giorni dichiarava la sua comprensione per i bombardamenti americani, provoca la reazione del PSIUP che non vede con favore la distinzione politica attuata dai comunisti tra nenniani cattivi e nenniani buoni. La Senatrice Tullia Carrettoni della corrente della sinistra lombardiana, inizialmente proposta, è bloccata dal veto socialproletario che comporta il ripiego su relatori locali.64

L’8 ottobre, con un crescendo dell’intensità della contestazione, è organizzata l’importante manifestazione contro la NATO a Vicenza dove c’è una base militare statunitense. Questo evento si inserisce anche nella campagna che il PSIUP e gli altri partiti di estrema sinistra portano avanti contro il rinnovo del Patto Atlantico e per l’uscita dell’Italia da quell’accordo: lo slogan è il celebre “Fuori la NATO dall’Italia! Fuori l’Italia dalla NATO!” che campeggia nei manifesti di convocazione dell’iniziativa. La federazione udinese è impegnata con l’organizzazione di un pullmann che trasportino almeno 60 partecipanti a Vicenza per la riuscita di quella che ancora oggi è ricordata come una delle due manifestazioni di protesta contro la guerra più importanti di quegli anni65. La seconda è quella presso l’ importante base aerea di Aviano in provincia di Pordenone. Il clima politico che porta al 3 novembre, giorno della manifestazione, è molto teso e alcuni protagonisti di quei giorni ricordano la puntigliosità con la quale il PCI ha organizzato l’evento per evitare tensioni e pericolosi sconfinamenti non legalitari della

63 Vedi A. VALCIC, Ma non vedete nel cielo..., p. 23 64 Vedi Relazioni internazionali, AFPSIUPUD, B5, F8, 65 Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006

128 protesta.66 Il percorso voluto dal Partito comunista si è articolato con l’azione congiunta delle forze politiche di sinistra negli organismi regionali e nazionali a supporto degli amministratori locali che, tramite l’apposito “Comitato permanente dei comuni contro le servitù militari”,67 puntano a contrastare gli insediamenti bellici presenti sul territorio tramite la via istituzionale. Ad Aviano, la massa di manifestanti, trasportata anche dalle 15 corriere del PCI e da quella del PSIUP, è composta da giovani studenti della provincia, molti dei quali hanno la tessera dalla FGCI e dalla FGS (PSIUP) e non condividono del tutto gli inviti alla calma e i ragionamenti degli organizzatori; la tensione cresce fino a sfociare in duri scontri con le forze dell’ordine dopo la fine dei comizi del deputato comunista Lizzero e della cattolica di sinistra Lidia Menapace.68 Le dinamiche conflittuali della manifestazione segnano un primo spartiacque politico tra i giovani radicali e i partiti istituzionali; il PSIUP continua ad appoggiare le lotte e le rivendicazioni giovanili senza rompere con il PCI, che ha tra i suoi giovani iscritti i principali attivisti, ma ponendosi l’obbiettivo di fare da collegamento tra le varie istanze. La politica comunista a livello regionale è orientata al dialogo con il governo democristiano, con il quale raggiungerà anche degli accordi su materie importanti,69 e quindi le tensioni alimentate dai giovani radicalizzati entrano in contrasto con tale orientamento. Alla ripresa dell’anno scolastico del 1968 le proteste e gli scioperi si moltiplicano durante tutto l’autunno sulle parole d’ordine nazionali, che reclamano il diritto all’assemblea nelle scuole e la fine della “repressione contro gli studenti in agitazione” da parte dei dirigenti scolastici e delle forze di polizia70. Inoltre i gruppi che dirigono la contestazione studentesca provano a trovare dei punti d’unione con i lavoratori di alcune delle principali aziende cittadine in agitazione per i rinnovi contrattuali, come alle acciaierie Safau e ai grandi magazzini della Standa, ma la collaborazione non andrà oltre. Sia i giovani socialisti, che sono una delle parti attive di questo movimento,71 sia l’intero partito solidarizzano e supportano le azioni di protesta dei giovani udinesi, nella prospettiva di poter diventare un loro punto di riferimento politico.

Dopo il boom delle iscrizioni del 1966, il consenso del PSIUP si estende anche durante il 1967 ma non secondo le previsioni o gli auspici dei principali dirigenti. Tra le motivazioni individuate dalla Direzione, una delle principali è individuata nella disillusione che cresce tra le fila del PSI: dopo tanti anni di forti tensioni interne e scissioni, la riunificazione con il PSDI è vista come il risultato della linea moderata al governo e del conseguente avvicinamento politico a Saragat, che per molti anni è stato additato come il principale nemico del PSI e della classe operaia. Il risultato di quest’evoluzione porta molti socialisti ad abbandonare completamente l’attività senza aderire a nessun altro partito della sinistra. Per la Direzione un altro segnale negativo è quello della crisi dei NAS che nelle fabbriche non si diffondono come previsto.72

66 Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 67 Servitù militari, AFPSIUPUD, B9, F3, sf10 68 Andrea Valcic, Ma non vedete nel cielo..., p. 28 69 Vedi M. DEGRASSI, L’ultima delle regioni a statuto speciale, p. 772 70 Andrea Valcic, Ma non vedete nel cielo…,p. 54 71 Documento preparatorio manifestazione contro la guerra, ottobre 1968, AFPSIUPUD, B9, F3, sf 11 72 Valutazioni generali sul tesseramento della Federazione di Udine, 1966, AFPSIUPUD, B5, F9, sf3

129 A Udine invece il tesseramento durante il 1967 si contrae significativamente e alla fine dell’anno si contano circa un’ottantina di iscritti in meno, da 975 a 892 tessere sottoscritte. La crisi politica della federazione è eloquente: il funzionamento e le riunioni del Comitato direttivo e di quello esecutivo cala d’intensità e la partecipazione è scarsa, tanto da annullare più volte gli incontri a causa della mancanza del numero legale dei componenti; a settembre sono sostituiti due membri del Direttivo provinciale tra i quali Lenoci, che fa parte della segreteria ed è un funzionario dell’Alleanza contadini di Udine, e Valusso segretario della Sezione di Martignacco. Nei loro confronti sono adottati dei provvedimenti disciplinari in seguito ad un conflitto politico73. A tali tensioni interne si aggiunge la permanente difficoltà di numerose sezioni nelle quali la crisi politica è dovuta soprattutto all’inattività del gruppo dirigente al di fuori degli appuntamenti elettorali. Anche la sezione cittadina nel corso dell’anno ha ridotto la sua attività74 a causa dei problemi di salute del segretario Nello Visentin, fondatore del partito a Udine e del gruppo dei ferrovieri socialisti unitari, che successivamente si dimette da tutte le cariche politiche e sindacali.75 Il lavoro impostato dalla sezione e dai dieci ferrovieri iscritti al NAS è caratterizzato dall’azione unitaria con il PCI che si concentra prevalentemente sulle problematiche dell’amministrazione comunale. Il segretario che lo sostituisce, Franco Comuzzi continua il rapporto unitario con la locale sezione “Antonio Gramsci” del PCI nota per le sue posizioni ingraiane e dopo gli innumerevoli impegni elettorali del 1968 cercherà di rilanciare l’attività moltiplicando gli appuntamenti politici su tematiche sia locali che internazionali anche in rapporto all’imminente congresso del partito, il secondo, che comincia a novembre.

Alle elezioni provinciali dell’11 giugno del 1967 il partito arriva diviso, in quanto la candidatura inizialmente proposta dall’esecutivo di Luigi Rugo è osteggiata da numerose sezioni che gli contrappongono Primo Blarzino, segretario della sezione carnica di Lauco. Rugo minaccia e poi presenta le dimissioni all’esecutivo che le rifiuta e gli ribadisce la fiducia. Dopo averle ritirate ed aver accettato la candidatura, il segretario del partito partecipa alla campagna elettorale ed è confermato alla carica di consigliere provinciale. Ma le tensioni persistono e sono solo rimandate ai successivi impegni.

Il Comitato direttivo provinciale, una volta sostituiti i membri poco presenti con altri più disponibili, costituisce, nel febbraio del 1968, il Comitato carnico con sede a Tolmezzo, e il Comitato del Medio Friuli con sede a Tarcento.76 Se da un lato alcune delle sezioni prevalentemente attive durante le campagne elettorali si riorganizzano in vista delle scadenze imminenti, dall’altro la situazione organizzativa complessiva rimane deludente e il tesseramento si chiude con un ulteriore abbassamento del numero degli iscritti a soli 787.77

Dalla fine dell’anno inoltre la sede della federazione cambia di nuovo indirizzo e passa da via Vittorio Veneto n.43 a piazza 1°Maggio n.38, la più importante piazza cittadina punto

73 Mozione di critica all’Alleanza contadini di Udine della sezione di Cividale al III congresso provinciale, AFPSIUPUD, B9, F2/B, ins.5 74 Attività sezione cittadina “R. Morandi”, 1967, AFPSIUPUD, B8, F13 75 Comitato direttivo provinciale, Lettera di G. Visentin, 13 marzo 1968, AFPSIUPUD, B11, F21 76 Costituzione comitati di zona, dicembre 1967, AFPSIUPUD, B9, F2/A, sf5 77 Vedi Appendice n.8: tabella tesseramento e composizione sociale degli iscritti, AFPSIUPUD, B9, F2/A, sf1

130 di partenza delle principali manifestazioni e cortei; dopo questo cambiamento il partito si deve dotare anche di un magazzino in affitto nella periferia della città. Con il trasloco c’è pero una perdita importante del materiale d’archivio della federazione.

131 10.2. VERSO LE ELEZIONI DEL 1968 In vista delle consultazioni regionali e politiche del maggio 68, all’interno del PSIUP aumenta la tensione per l’individuazione delle candidature. Le contrapposizioni portano alle dimissioni di Querino Franz dalla Segreteria regionale con oltre un anno di anticipo sulla scadenza elettorale, a causa di quella che ritiene la mancata candidatura dell’udinese Rugo a segretario regionale al posto del triestino Ezio Martone, sostenuto da Menchinelli e dal gruppo dirigente nazionale. Per Franz il segretario spetterebbe a Udine sia per riequilibrare le responsabilità, che risultano a suo dire sbilanciate nei confronti delle federazioni di Trieste e Pordenone, sia per il numero di voti assoluti che possiede il collegio elettorale friulano. L’impasse del Comitato regionale, determinata anche dalle divisioni interne, è in parte superata dall’integrazione della Segreteria regionale dell’unico consigliere del partito Bettoli e poi, nel marzo dello stesso anno, dall’accordo raggiunto tra le federazioni alla presenza di Alessandro Menchinelli78 della Direzione, che prevede la candidatura di Primo Blarzino al Consiglio regionale e Luigi Rugo alla Camera dopo Luzzato.79 Ma la riconferma di Ezio Martone a Segretario regionale avviene solo dopo la presentazione ufficiale delle candidature a dicembre; in questa occasione sono richiesti stanziamenti aggiuntivi per sopperire alle difficoltà organizzative delle federazioni di Udine e Trieste, al fine di poter assumere altri funzionari da utilizzare durante la campagna elettorale. L’impegno propagandistico è significativo e riesce a raggiungere anche i numerosi lavoratori emigranti che usufruiscono della gratuità del biglietto ferroviario per potersi recare ai seggi: alle stazioni di Tarvisio e Pontebba, dal 30 aprile al 18 maggio, trovano regolarmente i militanti delle sezioni psiuppine che distribuiscono i volantini eludendo i controlli della polizia grazie all’azione informativa dei ferrovieri del partito.80 L’attenzione del partito nei confronti degli emigranti rientra nel tradizionale interesse verso questo fenomeno di massa che contraddistingueva in particolare le regioni povere come il Friuli. Parte importante dell’attività socialista dell’inizio del secolo era dedicata proprio al lavoro di organizzazione e mutuo soccorso tramite il Segretariato per l’emigrazione diretto da Giovanni Cosattini con sede a Udine.

Se l’accordo per le candidature regionali è condiviso, quello sottoscritto con il PCI al Senato è invece apertamente osteggiato da molti dirigenti nazionali, come Basso e Libertini, e da quelli locali come Marinig81 e Martone (che voterà contro quest’accordo alla riunione del Comitato centrale), per i rischi del condizionamento politici del PCI.82 Le liste comuni indicano il nome di Aurelio Albarello nel collegio di Gorizia al Senato (Fermo Solari dell’MSA è candidato in Carnia per una dura sfida contro il candidato del PSU) mentre alla Camera il PSIUP sostiene Lucio Luzzato, “oratore vigoroso se non avvincente”,83 e Luigi Rugo nell’ampio collegio di Belluno-Udine-Pordenone-Gorizia. 84

78 Incontri Comitato regionale,AFPSIUPUD, B8, F22, sf.2 79 Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 80 Lettera di Guglielmelli alla Direzione, sezione Stampa e propaganda, AFPSIUPUD, B9, F4, sf.5 81 Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 82 Vedi in F. SOLARI, Per un nuovo schieramento politico, Del Bianco, Udine 1968, p. 49 83 Vedi in P. NENNI, Diari 1957-1966, cit., p. 634 84 Nel collegio di Pordenone è candidato Alfino Toscano, negli altri collegi senatoriali della regione ci sono 4 comunisti e un indipendente, AFPSIUPUD, B10, F6, sf.3

132 Se l’MSA è sostanzialmente escluso da candidature potenzialmente eleggibili85 in regione, a livello nazionale può anch’esso eleggere 6 senatori che sono candidati nelle fila del PCI; a differenza di quanto avviene nel PSIUP, l’MSA si avvicina alle posizioni del PCI e Fermo Solari, in particolare, converge politicamente con la federazione comunista86 udinese che è diretta da esponenti vicini alla linea nazionale dei “miglioristi” di Amendola.87

I risultati delle elezioni politiche del 19 e 20 maggio 1968 segnano il successo nazionale e regionale del PCI e del PSIUP, ed il fallimento del PSU che, solo in Friuli Venezia-Giulia perde circa 40mila voti ottenendo il 18,65% rispetto al 23,71% del 1963 dei due partiti separati. Il PSIUP a livello regionale aumenta dai 20mila voti del 1964 ai 33.369 (4,2%) delle politiche; a Udine il consenso aumenta da 1.112 (2,6%) a 2.515 voti (3,78); in provincia da 7.725 voti a 13.935 (4,43%) con percentuali che vanno dal 4,81% della Carnia al 5,38% del Friuli occidentale, al 4,63% dell’hinterland udinese al 3,62% del bastione democristiano (53,64%) delle Valli del Torre e Natisone. A Pordenone, che da quest’anno è anche un ente amministrativo autonomo dopo il distacco da Udine, il partito ottiene dal 5,75% della pianura pordenonese al 6,45% della pedemontana, a nord del capoluogo, che si attesta al 6,31%.88 Risultano eletti sia Luzzato alla Camera, che Albarello al Senato89.

Il 26 maggio, a pochi giorni di distanza dal voto per le politiche, l’elettorato del Friuli Venezia-Giulia è chiamato ad eleggere il secondo Consiglio regionale: l’esito delle consultazioni premia ulteriormente il partito che migliora anche il risultato ottenuto sette giorni prima. Con il 4,7% il sono eletti 3 consiglieri regionali: Mario Bettoli, riconfermato nel collegio di Pordenone, Rinaldo Rizzi, maestro elementare di Ronchi dei Legionari in provincia di Gorizia e Flaminio De Cecco della sezione di Ragogna che con il suo contributo partecipa all’aumento significativo delle entrate economiche per la federazione udinese.90 Nella competizione a sinistra, il PSU crolla ulteriormente dimezzando il suo consenso dal 20% al 10% ed eleggendo solo 6 consiglieri rispetto ai 13 che i due partiti separati, e senza il PSIUP, avevano nel 1964; il PCI aumenta di oltre un punto e mezzo percentuale (dal 18,5% al 20,1%) e passa da 11 a 12 consiglieri. Non va dimenticata la peculiarità della provincia di Udine che ha visto l’assenza, a causa di un errore tecnico, della lista del PSU e l’affermazione del Movimento Friuli che diventa la seconda formazione della provincia con il 17,8% con 3 consiglieri eletti.91

Dopo le amministrative92 la presenza del partito, si rafforza anche all’interno della Lega dei comuni democratici dove elegge 5 membri nel direttivo provinciale, come l’MSA di Solari.93

85 Elenco candidature al Senato nel collegio del Friuli Venezia-Giulia, AFPSIUPUD, B8, F26 86 Vedi il dibattito riportato in F. SOLARI, Per un nuovo schieramento politico, Del Bianco, Udine 1968 87 Lettera del CEP alla Direzione sui rapporti con l’MSA, febbraio 1968, AFPSIUPUD, B11, F29 88 Per i risultati elettorali in regione vedi S. ZILLI, Geografia elettorale del Friuli-Venezia Giulia, IFSML, 2000 89 Successo strepitoso del PSIUP in Friuli , volantino, AFPSIUP, B10, F6, sf4 90 Il contributo di 150mila lire è destinato interamente alla Federazione di Udine, “Contributi dei compagni” AFPSIUPUD, B10/B, F7, sf4, ins2 91 M. DEGRASSI, L’ultima delle regioni a statuto speciale, p. 769

133 Il risultato dei consiglieri regionali e dei parlamentari eletti divide ulteriormente il gruppo dirigente della federazione udinese; Luigi Rugo ritiene il numero di preferenze significativamente contenuto a dimostrazione, secondo lui, del mancato supporto dell’intero partito; anche Primo Blarzino, candidato al primo posto della lista dei candidati, è sconfitto dal maggior numero di preferenze raccolte da Flaminio De Cecco94 e, di conseguenza, entra in conflitto con la segreteria.95 A luglio Guglielmelli è affiancato da Franco Comuzzi come vice-segretario. Gli effetti possono spiegare in parte la diminuzione del tesseramento ed il persistere della crisi organizzativa anche durante l’estate aggravata dalle tensioni politiche prodotte dall’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia. Il dibattito nel Comitato direttivo oscilla tra chi condivide la linea della maggioranza del Comitato centrale, come Guglielmelli e De Cecco96 e chi, come Comuzzi e Marinig, la contesta rendendo pubblico il dissenso.97

92 Elenco dei consiglieri comunali del PSIUP eletti alle amministrative, AFPSIUPUD, B23, F6 93 Lettera di T. Baldo alla Direzione, sezione Enti locali, 1969, AFPSIUPUD, B15, F2, sf1 94 Verbale del Comitato esecutivo provinciale, giugno 1968, AFPSIUPUD, B11, F21 95 Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 96 Verbale riunione CDP, AFPSIUPUD B11, F21, sf1 97 Volantino della sezione di Udine, AFPSIUPUD, B10, F13, sf.2

134 11. IL CONGRESSO DEL 1968 E IL RICAMBIO DEL GRUPPO DIRIGENTE Il Congresso del partito, aperto agli studenti e ai lavoratori conosciuti nel corso dell’anno, si tiene a Udine tra il 14 e il 15 dicembre del ’68 alla presenza di Erasmo Boiardi della sezione centrale Organizzazione, in rappresentanza della Direzione. Nonostante il calo degli iscritti, il numero delle sezioni, 33, è confermato come quello dei Nas, che rimangono insediati tra i ferrovieri, al cotonificio di Udine e tra gli operai delle Officine Bertoli-Safau sempre in città. Permangono le difficoltà di funzionamento nelle sezioni carniche e il risultato dei due comitati di zona è giudicato negativamente. Le elezioni sono il principale successo rivendicato dal gruppo dirigente uscente in un quadro politico locale dominato dal PSU, forte di un gruppo dirigente autorevole ed esperto, e dalla difficoltà dei rapporti unitari con il PCI che predilige il dialogo con i socialisti rispetto alla polemica socialproletaria. Dai 7 documenti conclusivi approvati si denota l’influenza politica della sinistra del PSIUP: dalla critica all’invasione della Cecoslovacchia, a quella verso i governi di Centro-sinistra in regione e a livello nazionale, fino ai piani di programmazione economica, si ripropongono molte delle analisi e delle proposte operaiste e della sinistra più ortodossa di Libertini.. Il linguaggio tipicamente massimalista segnala il cambio della maggioranza politica, più orientata a sinistra, dovuto all’ingresso di molti dei giovani provenienti dal movimento studentesco in particolare nelle sezioni di Cividale, S. Giorgio di Nogaro, Udine, Tarcento, Majano e altre della Carnia. Anche i due funzionari part-time, Marinig e Andrea Dean, sono iscritti alla FGS.98 Il congresso termina unitariamente e Guglielmelli è confermato Segretario e delegato al congresso di Napoli insieme a Marinig e Blarzino; ma dopo alcuni mesi il Segretario è sostituito da Franco Comuzzi che, insieme a Renzo Marinig, Querino Franz, Elio Nadalutti, Guido D’Andrea e Andrea Dean, sfiducia la linea politica dei morandiani ritenuti troppo vicini al PCI, e ancora divisi al proprio interno dai contrasti legati agli esiti delle elezioni regionali.99

La nuova maggioranza accentua significativamente l’attenzione sul movimento studentesco e su quello dei lavoratori. Dopo la contestazione di quelli che vengono definiti gli eccessi consumistici del Natale udinese, che un volantino del PSIUP definisce una “festa borghese” 100, il tradizionale “Ballo delle debuttanti” organizzato dalle più importanti e altolocate famiglie della città è spostato presso una discoteca della località balneare di Lignano; gli organizzatori, dopo gli scontri avvenuti nel locale della Versilia “La Bussola”, preferiscono evitare il rischio di un’analoga contestazione che gli studenti hanno già preannunciato contro quello che loro chiamano in maniera dispregiativa “il Ballo delle ributtanti”.101 Il tentativo si conclude con degli incidenti con la polizia e l’arresto di alcuni giovani del PCI e del socialista unitario Renzo Marinig che passano una notte nel commissariato di Latisana. Solo il PSIUP si dichiara solidale e difende pubblicamente gli arrestati;102 il movimento studentesco, che è ormai anche una forza politica,103 collabora in maniera continuativa con il partito che ne

98 Verbali del III congresso provinciale, AFPSIUPUD, B9 F2/B, sf2, ins. 4 - 5 99 Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 100 Volantino Natale, festa borghese, AFPSIUPUD, B9, F3, sf14 101 Andrea VALCIC, Ma non vedete nel cielo..., p. 71 102 Volantino Dissenso-Repressione-Lotta politica, vedi in A. VALCIC, Ma non vedete nel cielo..., p. 113 103 Volantino del Collettivo politico studenti medi, AFPSIUPUD, B12, F10, sf2

135 supporta le iniziative in piazza104 e concede la propria sede per le loro riunioni almeno fino al 1971.105

L’attività della commissione provinciale del Lavoro di massa, tramite il metodo dell’inchiesta di studio tra i lavoratori di alcune delle principali fabbriche della provincia, avvicina ed organizza alcuni nuclei di lavoratori della fabbrica chimica della Snia Viscosa a San Giorgio di Nogaro e del mobilificio Snaidero di Majano. Ad aprile la federazione convoca a Majano un convegno sulla condizione operaia con l’obbiettivo di coordinare e collegare tra di loro sia i nuovi e vecchi operai del partito che gli studenti, riproponendo la tematica dei contropoteri operai cara a tutte le federazioni egemonizzate dalla sinistra del PSIUP, corrente che ormai è presente a tutti i livelli dell’organizzazione. 106 Inoltre, tramite alcune delle sezioni locali, il partito può avanzare le sue proposte durante la crisi occupazionale sia del cascamificio di Bulfons di Tarcento e quello udinese – all’interno del quale è attivo un NAS del PSIUP - sia intervenire nella vertenza contrattuale dell’ITALCEMENTI di Cividale, traendo ulteriori consensi tra i lavoratori. 107 Ma l’attivismo dei pochi dirigenti e funzionari impegnati nel lavoro politico ed organizzativo, non riesce a limitare la crisi del partito che subisce il crollo delle adesioni passando dai 780 iscritti del 1968 ai soli 420 iscritti del 1969. 108

L’andamento complessivo non cambia nemmeno nei mesi successivi caratterizzato dal moltiplicarsi degli appuntamenti politici sia su tematiche internazionali, come il conflitto vietnamita e israelo-palestinese, che quelle interne, con le elezioni amministrative del giugno 1970. Nonostante il fitto programma elaborato dalla Segreteria molte delle sezioni rimangono inattive o quando organizzano qualcosa i risultati sono deludenti, tanto da far segnalare ai dirigenti che “è necessario studiare alcune iniziative locali per ridare entusiasmo ai compagni” 109

I bombardamenti americani nella penisola indocinese, ripresi dopo il fallimento della vietnamizzazione del conflitto (cioè il tentativo di disimpegno statunitense dal conflitto delegando maggiori responsabilità militari all’esercito autoctono del sud, loro alleato) comportano il rilancio dell’attività di protesta dei comitati per la pace, sull’onda dell’indignazione dell’opinione pubblica internazionale. Il comitato di Udine, all’interno del quale ci sono anche i socialisti unitari, si riattiva in concomitanza con le scadenze nazionali contribuendo alla realizzazione delle due manifestazioni per la pace del 9 maggio e del 26 settembre. Ad ottobre il partito interviene sulla repressione dei moti a Danzica, in Polonia, condannando duramente l’azione della “burocrazia stalinista degenerata” e polemizzando contro quelle che ritiene le speculazioni politiche sulla vicenda polacca da parte del Governo di Centro-sinistra.110 A novembre l’attenzione si sposta sulla Palestina tramite l’organizzazione, in collaborazione con il Circolo culturale “Camilo Cienfuegos” di Udine, di una mostra di

104 A. VALCIC, Ma non vedete nel cielo..., p. 86 105 Richiesta della sede per riunione degli studenti, AFPSIUPUD, B19, F7, sf4 106 AFPSIUPUD, B23, F2, sf2 107 In Riscossa Socialista, Bollettino della Federazione di Udine del PSIUP, novembre 1969, AFPSIUPUD, B12, F1-2 108 Carteggio 1970, AFPSIUPUD, B12, F2, sf2 109 Rapporto della riunione del CEP del gennaio 1970, AFPSIUPUD, B12, F4, sf1 110 Documento dell’Ufficio politico della Federazione del PSIUP di Udine, AFPSIUP, B12, F3

136 manifesti presso la sede del partito e di un corteo con il comizio di tre attivisti delle formazioni palestinesi.111 Anche la politica estera della federazione si sofferma particolarmente sulle campagne a sostegno delle lotte di liberazione coloniale dimostrando la palese ostilità verso i paesi del blocco sovietico: l’orientamento guevarista dei giovani è sposato pienamente dalla Segreteria.112

Le elezioni amministrative del giugno del 1970, sono per il PSIUP il primo segnale della crisi di consensi successiva al fallimento dell’unificazione socialista e alla scissione che riporta sulla scena sia il PSI che il PSDI. Il PCI e i partiti governativi a sinistra della DC si rafforzano mentre il partito cattolico perde consensi. A Udine che conta circa il 40-45% dei voti regionali del partito, ci sono candidati del partito in 11 dei 23 comuni sopra i 5000 abitanti e 14 su 114 comuni sotto i 5000 abitanti;113 il risultato è negativo rispetto alle politiche del 1968 con un calo dell’1,23%, mentre rispetto alle amministrative del ’64 segna un aumento di pochi decimi di punto percentuali. Nelle altre federazioni il calo è altrettanto significativo. Complessivamente l’aumento di votanti premia le forze di governo e il PCI a discapito dei partiti minori e di estrema destra.114 Il PSIUP, con il 2,82% elegge un consigliere provinciale nel collegio di Pontebba, Giordano Sovrano. Per il Comitato direttivo la soluzione va ricercata nel rinnovo organizzativo che sia in grado di applicare la linea dell’Alternativa di sinistra, e la Segreteria propone la costituzione di otto Comitati di zona.115 Nonostante il fallimento anche di questa proposta, al partito si avvicinano comunque diversi giovani studenti ed operai orientati a sinistra, critici sia verso il PSI che verso il PCI, grazie ai quali sono costituiti dei nuovi nuclei territoriali; il tesseramento si chiude con un leggero aumento, dal disastroso 420 del 1969, a 484 iscritti in 49 sezioni del 1970. A dicembre, per far fronte alle difficoltà continue, Comuzzi propone la costituzione di un Ufficio politico che integra Rugo e Blarzino, della corrente di Vecchietti e Valori per condurre il partito al congresso provinciale.116 Ma anche questo percorso non è privo di tensioni a dimostrazione della precarietà complessiva degli equilibri interni. Infatti da quando la Direzione nazionale ha inviato a Udine il funzionario Tullio Baldo, cui è stata affidata la responsabilità dell’organizzazione, le tensioni si sono moltiplicate. Il timore della normalizzazione in vista del congresso, come sta accadendo in molte altre federazioni con posizioni critiche rispetto alla Segreteria nazionale, preoccupa i dirigenti locali che dopo alcuni mesi estromettono il funzionario senza troppe formalità.117

111 Problemi palestinesi, AFPSIUPUD, B12, F9, sf.1-2 112 Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 113 Verbale riunione Comitato regionale, AFPSIUPUD, B13/B, F1, sf, 2 114 Riscossa Socialista, n.2 giugno 1970, Vedi appendice n. 10a, b 115 Riscossa Socialista, n.3 agosto 1970, AFPSIUPUD, B12, F2, sf2 116 Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 117 Caso T. Baldo, AFPSIUPUD, B12, f2, sf2, ins2

137 11.1. L’ULTIMA ESTATE DEL PSIUP DI UDINE Dopo la rapida chiusura del “Caso Baldo” il partito, che nel frattempo ha di nuovo cambiato la sua sede - da piazza 1°Maggio in viale Volontari della Libertà n.18 (nella zona nord di Udine) - si divide sul rapporto con il PCI. Con la federazione comunista udinese guidata da Silvano Tarondo,118 futuro sindaco di Tavagnacco, la divaricazione è sempre più evidente e si ripropone anche nei confronti del governo di Centro-sinistra guidato da Colombo, bocciato dal PSIUP di Udine, mentre per il PCI il giudizio è più articolato ed aperto.119 In sede congressuale questa posizione è supportata anche da alcuni dei delegati che accusano la maggioranza di avere un atteggiamento non unitario anche nel sindacato e di agire ormai in maniera totalmente separata dal PCI. 120 Lo scontro al congresso del marzo del 1971 affronta prevalentemente questi temi confermando la proposta della sinistra di Comuzzi che indica la strada della rifondazione del PSIUP, contrapposta a quella del partito unico, vista come subalterna al PCI. Il primo Comitato direttivo rielegge Comuzzi e l’esecutivo con 17 voti contro 6. 121

La situazione è molto compromessa e dalle carte risulta che il Comitato direttivo si riunisce solo sei volte dal congresso alle elezioni politiche del 7 e 8 maggio del 1972. In queste riunioni vengono discusse ed approvate risoluzioni molto dure, come nel caso della mozione firmata da Elio Nadalutti che richiede le dimissioni della Segreteria nazionale e della Direzione, oppure per votare le candidature.122 La crisi e la disgregazione organizzativa è ormai diffusa; le denunce dei dirigenti e i dati dei rapporti organizzativi confermano le preoccupazioni: gli iscritti del ’71 sono 468 ma le sezioni del Comitato carnico, conteggiate nel computo generale, ormai non rinnovano le tessere e le sezioni con più di 10 iscritti sono solo una decina. 123 Si accorpano le sezioni più piccole nel tentativo di organizzare la campagna elettorale coinvolgendo il numero maggiore di elementi attivi, ma il risultato delle urne, il 2,01% in regione, condanna il PSIUP a non avere la propria rappresentanza alla Camera a causa del mancato raggiungimento del quorum. Ma è soprattutto il meccanismo che si innesta subito dopo a far precipitare la situazione e a dare inizio alla smobilitazione organizzativa.

Al congresso di scioglimento del 9 luglio 1972 a Udine partecipano solo 21 delegati, in rappresentanza formale dei 468 iscritti, 24 sezioni, 19 nuclei denunciati. In Carnia, per protesta, gli iscritti non hanno organizzano né partecipato ai congressi; dalle altre sezioni partecipano i singoli iscritti in quanto non sono stati eletti delegati. Solo le sezioni di Udine, Pontebba, Cividale, Pradamano e San Giorgio di Nogaro, le uniche attive in maniera continuata nel corso degli anni, hanno regolarmente svolto i congressi di base. Se sono tre le mozioni votate che individuano in altrettanti percorsi diversi il futuro dell’ormai ex PSIUP. 124

118 Rapporti con il PCI, AFPSIUPUD, B18, F1, sf3 119 Documento dell’Ufficio politico, gennaio 1971, AFPSIUPUD, B12, F3 120 Relazione del segretario sulla preparazione 3 congresso, AFPSIUPUD, B12, F L/5, sf3 121 L’Esecutivo provinciale è composto da Comuzzi, Riccato, Marinig, Nadalutti, Gentilizi, Rugo, D’Andrea, Carteggio 1971, AFPSIUPUD, B19, F5, sf3 122 Mozione di E. Nadalutti, Carteggio 1971, AFPSIUPUD, B12, F6, sf3, ins3, s1 123 Ordine del giorno del Comitato esecutivo di Udine al Comitato regionale, AFPSIUPUD, B13, F2, sf3 124 Congresso della federazione di Udine, 9 luglio 1972, AFPSIUPUD, B12, F1,sf2

138 Per la confluenza nel PCI si schierano 13 delegati, tra i quali Franco Comuzzi125, Guido D’Andrea, Nello Visentin, il consigliere regionale Flaminio De Cecco, Angelo Viscovich e Loris Ferini della sezione di San Giorgio di Nogaro, Nereo Pocecco e Ivo Toppano. Per la continuità del PSIUP votano 6 delegati tra i quali Renzo Marinig126, Elio Nadalutti,127 Marcello Aronna e il consigliere provinciale Giordano Sovrano. Primo Blarzino e il ferroviere Dino Boezio sono già confluiti nel PSI. Ma quella che alcuni definiscono la quarta componente, che sarebbe composta da coloro i quali decidono di lasciare l’attività vita politica, non esprime delegati al congresso nazionale, ma solo gli unici due astenuti a quello provinciale: Querino Franz e Luigi Rugo, gli ultimi due fondatori del partito rimasti fino alla fine.128

125 Franco Comuzzi sarà eletto Consigliere regionale e del Comune di Tavagnacco per il PCI, Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 126 Renzo Marinig, che al 3 congresso di Bologna nel ’71 è uno dei 41 delegati dell’estrema sinistra del partito legata al segretario regionale Silvano Miniati che a Napoli aveva rotto anche con la componente di Libertini, al congresso di Roma del ’72 decide di non aderire al progetto di ricostituzione del PSIUP. Successivamente al suo rientro a Udine decide, dopo una fase di rielaborazione politica individuale, decide di iscriversi al PCI e si riconosce nelle posizioni della corrente migliorista di Amendola e Napolitano. Attualmente è Presidente della Lega Coop del Friuli Venezia-Giulia, Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 127 Elio Nadalutti, insieme a Giorgio Cavallo dell’MPL, fonda il PdUP a Udine e nei primi anni ’80 aderisce al PCI, Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006 128 Dichiarazione rilasciata da Renzo Marinig all’autore il 16 giugno 2006

139 11.2. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE Come a livello nazionale, anche a Udine il percorso dei socialisti di unità proletaria si interrompe nell’estate del 1972 dopo otto anni di intensa attività. Sia nella prima parte della sua breve storia, dal ’64 al ’67, che nella seconda parte, dal ’68 al ’72, i nuclei di attivisti e dirigenti che si sono susseguiti hanno tentato di inserirsi nello spazio politico che si frapponeva tra le due principali forze presenti, il PSI ed il PCI. Sia il gruppo dirigente di tradizione morandiana, sia quello di formazione sessantottina, pur militando nello stesso partito hanno tentato due strade diverse per uscire a guadagnarsi quella visibilità e quell’influenza politica che era invece un patrimonio consolidato dei socialisti autonomisti e dei comunisti. La polemica ed il confronto/scontro con il partito di Fortuna, o con quello di Baraccetti e Lizzero, si è concluso con la sconfitta politica ed organizzativa di entrambe le linee socialproletarie che si sono succedute alla guida del partito udinese. Si è avverata alla fine la previsione di Nenni che nei suoi diari individuava per il PSIUP il ruolo di un vaso di coccio che oscilla tra i due vasi di pietra, il PCI e il PSI, con il rischio di frantumarsi.

Se la presenza all’interno dei nuovi partiti di confluenza o formazione dei principali esponenti nazionali ha comportato, dopo l’implosione del PSIUP, la continuazione del confronto su alcune delle principali idee ed intuizioni prodotte da quella tradizione ed esperienza, a livello locale i singoli percorsi meriterebbero un analisi ed uno studio approfondito per capire quanto ciò abbia influito nel dibattito e nell’azione della sinistra della provincia che, dopo le travagliate esperienze degli anni sessanta, si apprestava a vivere quelle altrettanto importanti del successivo decennio.

140 Appendici

1) Udine 10 marzo 1964 - tesseramento

Adulti 444 Giovani 62 Sezioni costituite 18 Gruppi di fabbrica / Comuni con presenza partito 80 Iscritti non ex PSI 50

Sindaci PSIUP / Consiglieri comunali 16 Comuni con presenza PSIUP 9

2) Udine settembre 1964 – situazione organizzativa e tesseramento

Adulti 592 Giovani 94 Sezioni costituite 29 Nuclei territoriali 27 Gr. Di fabbrica 1 Comuni con presenza partito 86

Iscritti non ex PSI 75

Sindaci PSIUP 0

3) Presenza elettorale ottobre 1964 Numero collegi provinciali Udine: 25; Pordenone: 11. Nessun candidato indipendente

Comuni sopra i 5mila abitanti: (23)

Liste PSIUP 8 Liste PCI-PSIUP 1 Liste con indipendenti 3

141 Comuni sotto i 5mila abitanti

Liste PSIUP-PCI-PSI 41 Liste senza PSI 10 Liste con candidati PSIUP 51 Liste PSI 6 Liste PSI-PSDI 3

4) Comitato direttivo provinciale gennaio 1964: componenti e composizione sociale

Guglielmelli Giovanni Comitato esecutivo PS I- Pensionatodell’ esercito Rugo Luigi Cons. prov.le, Comitato Direttivo PSI, veterinario Franz Querino Comitato direttivo PSI, Cgil Federstatali De Cecco Flaminio Segr .sez. Ragogna, maestro elementare Blarzino Primo Sindaco Unione Reg.le Artigiani, Lauco Tion Luciano Conigliere comunale PSI di Pozzuolo,Commerciante Visentin Giuseppe Direttivo prov.le SFI Cgil Visentin Nello FGS, Impiegato Boezio Dino FGS, Ferroviere Pitassio Armando Insegnante scuole medie Toppano Ivo Segr. prov.le FILZIAT-Cgil Pivotti Aldo Segr. sez. Enemonzo Nagostinis Cesare PSI Villasantina Toboga Silvano Esercente, ex segr .sez. PSI Buia Valusso Ennio Disegnatore, ex segr. sez. PSI Martignacco Passudetti Ennio Studente universitario, segr .sez. PSI Ampezzo Pico Luigi Sindacato autoferrotranviari Pascolini Antonio Insegnante scuole medie Persello Romeo Responsabile sinistra PSI Majano Di Bernardo Giuseppe Ferroviere, responsabile sinistra PSI Pontebba Tomasin Guerrino Operaio, Castions di Strada Rampolla Francesco Insegnate scuole medie, ANPI Udine De Conti Giulio Cercivento di sotto Revelant Licio Insegnate, segr. sez. PSI Artegna Stefani Emilio Operaio, segr. sez. PSI Prato Carnico Piccaro Ennio Artigiano, segr. sez PSI Torreano Faidutti Franco Operaio Mortegliano Pravisani Antonio Comitato direttivo PSI Udine Sala Luigi Operaio ,segr. sez. PSI di Forni di sotto

142 5) Tesseramento novembre 1965

Adulti 845 (161) Giovani 73(20) Sezioni costituite 31 Nuclei territoriali 42 GDF 3

6) Bilancio federazione PSIUP Udine Gennaio 1965

Funzionari PSIUP: Giovanni Guglielmelli – Vice segretario della federazione provinciale Responsabile Organizzazione – Compenso mensile di £. 70 mila Ivo Toppano – Segreteria Prov.le e funzionario FILZIAT Cgil – nessun contributo integrativo

Bilancio mensile ENTRATE USCITE Contributo direzione 250.000 Contributo cp. vari 40.000 Tesseramento 30.000 Affitto sede 50.000 Affitto magazzino 6.000 Compenso impiegata 30.000 Rate auto 30.000 Rate mobili ufficio,ecc 90.000 Benzina 20.000 Stampa (manifesti, volantini) media 30.000 Spese d’ufficio 20.000 varie(pulizie, quotidiani, libri, luce, tel, ecc) 25.000 Sconto debito tipografo FULVIO 50.000 per campagna elettorale oltre 1 milione Sconti debiti per elezioni, oltre 2,5 milioni 50.000 TOTALI 320.000 401.000

143

7) Tesseramento 1966 ed elenco sezioni

Adulti 901 (190) Giovani 74(21) Sezioni del partito 34* Nuove sezioni 1966 3** GDF 3

* Ampezzo, Artegna, Avaglio, Bicinicco, Buia, Carlino, Cercivento, Cervignano, Cividale, Enemonzo, Faedis, Lauco e Vinaio, Majano, Pocenia, Pontebba, Pozzuolo del Friuli, Prato Carnico, Ragogna, S.Giovanni al Natisone, Sutrio, Udine, Villasantina, Villavicentina, Martignacco, Ovaro, Palmanova, Pradamano, Remanzacco, Rivignano, Torreano, Tolmezzo.

**Tarcento, Latisana e Nimis

8) Tesseramento 1968 e composizione sociale degli iscritti della Federazione provinciale

Adulti 729 Giovani 58 Sezioni del partito 33 Iscritti sez. Udine 40 GDF 3 Iscritti NAS 42

Composizione sociale

Professione Numero % operai 470 60 Contadini 193 25 Professionisti 10 1,3 Studenti 10 1,3 Impiegati 15 1,8 Pensionati 16 2 altro 66 8,5

144

9) Amministrative del 17 novembre 1968

Amm. Polit. Amm. 1964 1968 1968 Voti % Seggi Voti % Voti % Seggi PSIUP 23.756 3,52 49 31.985 4,43 31.998 4,62 65 PCI 156.781 23.25 329 184.687 25.62 162.999 23.54 324 PSI 113.185 16.79 173 101.242 14.04 93.129 13.45 145 DC 272.800 40.47 381 298.358 41.39 287.273 41.48 398 PRI 29.658 4.39 24 31.423 4.35 44.785 6.46 41 PLI 27.724 4.11 21 30.791 4.27 22.465 3.24 14 MSI 18.048 2.67 24 23.994 3.32 18.601 2.68 25 altre 5.554 - 9 - - 4.572 - 9 destra altre 24.249 3.59 13 12.715 - 24.110 3.48 12 TOTALE 674.064 720.836 692.406

10) a - Elezioni amministrative del 7 giugno 1970 nella provincia di Udine

Partito Voti 1970 % Voti 1964 % Diff. % PCI 52.912 16.19 44.402 14.32 +9.510 +1.87 MSI 17.106 5.25 14.732 4.85 +2.434 +0.4 PRI 7.197 2.20 - - +7.197 +2.20 PSI 42.692 13.06 39.970 12.50 +4.722 +0.56 PLI 11.607 3.55 16.207 5.34 -5.600 -1.79 PSU 39.994 12.23 37.029 12.21 +2.965 +0.02 PSIUP 9.230 2.82 7.670 2.53 +2.560 +0.29 DC 146.075 44.69 143.075 47.40 2.409 -2.71 PDIUM - - 2.408 0.85 -2.408 -0.85 totale 326.813 100 303.084 100 - -

145 b - percentuali comparate del PSIUP in Friuli Venezia-Giulia

1970 1964 Diff. 1968 Diff. Udine 2.82% 2.53% +0.29 4.05% -1.23 Trieste 2.05% 2.20% -0.15 2.55% -0.5 Pordenone 4.69% 5.06% -0.37 6.50% -1.81 Gorizia 3.67% 3.30% +0.37 4.38% -0.7

146 MANIFESTI DEL PSI E DEL PSIUP

147

Pagine 147-148: le tessere del PSI dal 1945 al 1964 ed alcuni manifesti socialisti dagli anni ’40 agli anni ’60.

148

Aprile 1945 - Comizio di Sandro Pertini a Milano

26 aprile 1954 Sandro Pertini, comizio a Milano

149

1947. Lelio Basso ed Ignazio Silone

1947. Pietro Nenni e Lelio Basso 150 Pietro Nenni e Rodolfo Morandi

Dal centro a destra: Pietro Nenni, Sabdro Pertini, Alberto Jacometti e Riccardol Lombardi

151 1963. Il primo governo di Centro-sinistra con Aldo Moro, Pietro Nenni e

1964. Manifesto del PSIUP contro il governo di Centro-sinistra.

152

153

1964. Comizio del PSIUP con Lelio Basso

1992. Lucio Libertini

1962. Raniero Panzieri alla porta due dello stabilimento FIAT di Mirafiori.

154

155 BIBLIOGRAFIA A. AGOSTI, Rodolfo Morandi. Il pensiero e l’azione politica, Roma-Bari, Laterza, 1971 A. AGOSTI, Storia del PCI, Laterza, Roma-Bari, 1999 G. ARFÈ (a cura di), Mondo operaio 1956-1965, prefazione di P. NENNI, 2 volumi, Firenze, Landi, 1966 M. BORGHI - L. MARIANI - F. ROMANÒ - A. VOLTOLIN, ’68-78: dalla critica alla transizione: analisi di un decennio, Milano, Ottaviano, 1978 A. CAZZULLO, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, Milano, Mondatori, 1998 M. DEGL’INNOCENTI, Storia del PSI. Dal dopoguerra ad oggi, Roma-Bari, Laterza, 1993 P. FERRERO ( a cura di), Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, Milano, Edizioni Punto Rosso/Carta, 2005 V. FOA, Sindacati e lotte operaie (1943-1973), Torino, Loescher, 1976 G. GALLI, Storia del PCI, Milano, Bompiani, 1976 G. GALLI, Storia del socialismo italiano, Roma-Bari, Laterza, 1980 P. GINSBORG, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Dal miracolo economico agli anni 80, 2 volumi, Torino, Einaudi 1991 M. GIANNI, Analisi dell’archivio del PSIUP di Udine, in “Storia contemporanea in Friuli”, n.33, anno XXII-2002 R. FINZI - C. MAGRIS - G. MICCOLI, a cura di, Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. Il Friuli – Venezia Giulia, 2 volumi, Torino, Einaudi, 2002 G. LANNUTTI, Lucio Luzzato – L’attività politica e l’impegno di costituzionalista, Udine, IFSML, 1996 M. LIVIGNI, Dal PSIUP al PCI. Le ragioni della confluenza, Opuscolo stampato dalla Federazione Regionale dell’Emilia-Romagna del PCI, marzo 1973 A. MANGANO - A. SCHINA, Le culture del Sessantotto. Gli anni sessanta, le riviste, il movimento, Massari editore, 1998 A. MANGANO, Le riviste degli anni Settanta. Gruppi, movimenti, conflitti sociali, Massari editore, 1998 P. MATTERA, Il partito inquieto. Organizzazione, passioni e politica dei socialisti italiani dalla Resistenza al miracolo economico, Roma, Carocci, 2004 S. MERLI (a cura di), Raniero Panzieri. Dopo Stalin. Una stagione della sinistra, Venezia, Marsilio editori, 1970 S. MERLI (a cura di), Raniero Panzieri. L’alternativa socialista. Scritti scelti 1944-1956, Einaudi Torino, 1982 S. MERLI, Il “partito nuovo” di Lelio Basso 1945-1946, Venezia, Marsilio editori, 1981 S. MINIATI, PSIUP 1964 – 1972. Vita e morte di un partito, Roma, Edimez, 1981 G. NENNI – D. ZUCARO ( a cura di), Pietro Nenni, Diari – 1957-1966 – Gli anni del centro sinistra. prefazione di G. TAMBURANO, Milano, Sugarco, 1982 R. PELLEGRINI – G. PEPE, Unire è difficile: breve storia del PdUP per il comunismo, Roma, Savelli, 1977 M. RIDOLFI, Il PSI e la nascita del partito di massa 1892-1922, Roma-Bari, Laterza, 1992 E. SANTARELLI, (a cura di) Lucio Libertini. 50 anni nella storia della sinistra, Roma, Liberazione Libri, 1993 F. SOLARI, Per un nuovo schieramento politico, Udine - Del Bianco, 1968 F. TADDEI, Il socialismo italiano nel dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947), Milano, Franco Angeli, 1984

156 A. VALCIC, Ma non vedete nel cielo…, San Daniele del Friuli (Udine), Edizioni Grillo, 1981 C. VALLAURI, I partiti italiani tra declino e riforma: struttura, organizzazione, finanziamento, base sociale, quadri, stampa, bibliografia, natura giuridica, movimenti femminili e giovanili, risultati elettorali dagli anni sessanta agli anni ottanta. Saggi e documenti. 2 volumi – Roma, Bulzoni, 1986 Sergio ZILLI, Geografia elettorale in Friuli-Venezia Giulia. Consenso, territorio e società (1919-1996), IFSML, 2000

Riviste Da “Il presente e la storia - Rivista dell’istituto storico della resistenza in Cuneo e Provincia” S. DALMASSO, Tanti anni fa: il PSIUP, n. 44 - Dicembre 1993 M. GIOVANA, Appunti per una storia del PSIUP, n. 47 – Giugno 1995 S. DALMASSO, Caro Giovana, non era tutto così negativo, n. 47 – Giugno 1995 F. LIVORSI, Ancora sul PSIUP, n. 48 – Dicembre 1995

Da “Il Ponte” n. 6, 1989: F. LIVORSI, Tra carrismo e contestazione: per una storia del PSIU G. ALASIA, Socialisti e sinistra socialista nel sindacato

Da “Il Ponte” n. 6, 1992 S. MERLI, La politica unitaria tra antifascismo e guerra fredda G. AVOLIO, Venezia 1957: alternativa e unità. Un dibattito ancora attuale A. GIOLITTI, Dal frontismo al centrosinistra A. PEPE, I socialisti e l’unità sindacale

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Ringraziamenti

E’ doveroso ringraziare coloro i quali, in tutto questo tempo, hanno contribuito affinché questo lavoro arrivasse a compimento; innanzitutto i miei genitori, Carla e Sergio, che hanno pazientato molto a lungo senza mai perdere la fiducia; al professor Bertuzzi per la disponibilità e l’attenzione con la quale mi ha seguito; inoltre desidero ringraziare l’Istituto Friulano di Storia del Movimento di Liberazione di Udine per il materiale librario e d’archivio messo a disposizione, ed in particolare Monica, la cui gentilezza e pazienza non sarà dimenticata; Nadia Mazzer per la cortesia e disponibilità; non posso infine dimenticare gli amici che mi sono stati vicini in questi anni universitari vissuti intensamente, da Deborah a Betta, da Venusia al Dona, da Patrick a Vanessa, a Samantha, Antonietta, Alessandro, Jer…

…ma soprattutto devo ringraziare Elisa, alla quale dedico questo lavoro, per il sostegno, la motivazione e l’aiuto che ha saputo darmi per superare tutti i momenti difficili.

Stefano Pol, luglio 2006

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