Il Pericolo Angloamericano in Albania
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ENVER HOXHA Il pericolo angloamericano in Albania Memorie dalla Lotta di Liberazione Nazionale «IL PERICOLO ANGLOAMERICANO IN ALBANIA» è un nuovo libro della serie di Memorie del compagno Enver Hoxha riguardanti l'epoca della Lotta di Liberazione Nazionale. Vi sono riflesse le vicende vissute e le impressioni personali dell'autore accompagnate da conclusioni, che sono di insegnamento in qualsiasi tempo, sull'attività ostile, aperta e nascosta della borghesia angloamericana contro il Movimento di Liberazione Nazionale, contro la rivoluzione popolare e l'Albania socialista. In questo scontro appaiono evidenti da una parte i piani diabolici, i tentativi, le manovre e le azioni concrete dell'imperialismo angloamericano volti a mettere l'Albania sotto il suo dominio e, dall'altra, la vigilanza e la lotta ad oltranza del Partito Comunista d'Albania, del suo Segretario Generale, compagno Enver Hoxha, dirigente dell'Esercito e del Fronte di Liberazione Nazionale di tutto il popolo patriota albanese, per scoprire, denunciare, far fallire ed annientare le tattiche e la strategia imperialistiche contro l'Albania. Queste Memorie sono state scritte nel 1975 e vengono pubblicate ora in albanese e in diverse lingue straniere. UN PO' DI STORIA L'Albania, merce da baratto per il <<Leone britannico>>. Disraeli e Bismarck: <<Non c'interessano quelle poche capanne albanesi>>. Zogu e la politica delle «porte aperte». Chamberlain e l'occupazione fascista dell'Albania. La coalizione antifascista. La vigilanza del PCA. L'Intelligence Service prepara i contingenti da spedire in Albania. La sezione «D» e lo SOE. Allarme a Londra. Nuovi piani, vecchi obiettivi. Nel corso dei secoli passati e fino ad oggi, il popolo albanese è stato il bersaglio permanente degli attacchi di tutti i governi di Gran Bretagna, sia di quelli precedenti imperiali che di quelli monarchici odierni. I tories e le varie correnti politiche che tenevano in piedi l'impero e, in seguito, i due partiti, il partito conservatore e il partito laburista, che si sono alternati al governo, nelle loro innumerevoli trattative con le altre grandi potenze per conservare l'egemonia mondiale del <<leone britannico>>, hanno sempre considerato l'Albania una merce da baratto. I governi inglesi, che hanno tutti sempre avuto cura di conservare il dominio del capitale britannico sul mondo e sui popoli, non solo non hanno riconosciuto l'Albania, come del resto anche molti altri paesi, come uno Stato e una nazione che, con i suoi sforzi e i suoi enormi sacrifici ha lottato nei secoli contro i vari occupanti per essere libera e sovrana, ma hanno per giunta considerato gli abitanti di questo «paese delle aquile» come un popolo selvaggio, barbaro, privo di cultura, nel momento in cui esso, benchè numericamente piccolo, aveva dato prova di essere indomabile e non meno colto dei popoli di Scozia o di Cornovaglia. Doveva passare molto tempo prima che qualche raro pubblicista, qualche studioso dilettante o qualche grande poeta dell'epoca del romanticismo, come Byron, venissero a chiarire un po' al popolo inglese chi fossero l'Albania e gli albanesi, quali fossero la loro cultura, il loro carattere risoluto e generoso, la loro ospitalità e la loro affabilità verso gli ospiti, come pure il loro spirito battagliero, fiero e irriducibile, che li ha sempre caratterizzati di fronte a nemici feroci e innumerevoli. L'Inghilterra, attraverso la sua politica imperialistica asservente, colonialistica, esercitava il proprio dominio su molti paesi e popoli. Essa faceva ricorso ad ogni astuzia per mettere mano sulle ricchezze del mondo, per impinguare lords e baroni, per accrescere la «gloria» e la potenza dell'impero. L'Inghilterra, come la malerba, si diffondeva in moltissimi paesi. Essa spediva, nella veste di scienziati, delle missioni per scoprire l'Africa ed altre regioni, e questi <<scienziati>> inglesi vi piantavano la bandiera di John Bull, poi sopraggiungevano i reggimenti dei lords, che schiacciavano le rivolte dei Cipai e occupavano l'India, venivano i Kitchener, che sterminavano i Boeri col ferro e col fuoco. Anzi lord Beaconsfield (Disraeli) e Gladstone aggiunsero ai numerosi titoli della regina Vittoria, anche quello di imperatrice delle Indie. Questo era un colonialismo che depredava le favolose ricchezze dell'India, le pietre preziose della Birmania e del Sudafrica, che saccheggiava questi paesi del loro oro ed asserviva spiritualmente, economicamente e fisicamente i loro popoli. L'Inghilterra si serviva delle popolazioni di questi paesi soggiogati come di carne da cannone per il conseguimento dei propri disegni. Anche nelle sue guerre coloniali contro le altre potenze imperialiste, l'Inghilterra mandava in prima linea le formazioni indiane, come quelle dei lancieri del Bengala, gli Afghani ed altri popoli asserviti, come si mandano le pecore al macello. E queste guerre coloniali venivano condotte affinchè le pianure d'Inghilterra fossero trasformate in campi di golf per i lords, affinché il pane e tutte le materie prime necessarie alla sua industria potessero affluire dalle colonie, da tutto l'impero, dove, come cantava Kipling, autore del <<Jungle Books>>, questo ardente paladino dell' espansione e del colonialismo britannico, chantre* *(in francese nel testo: cantore) dell'impero, «il sole non tramonta mai». Infatti in quest'impero vigeva la legge della giungla. Tutto era e doveva essere posto al suo servizio. La borghesia inglese si spinse fino al punto di invocare la teoria scientifica di Darwin per giustificare i suoi crimini mostruosi. Distorcendo questa teoria, essa inventò il «darwinismo sociale» per <<giustificare>> la soppressione o l'assimilazione di un piccolo popolo da parte di un popolo più numeroso e più potente, sostenendo cosi la concezione reazionaria secondo la quale «i grossi pesci divorano i pesci piccoli». In queste condizioni e con questi metodi, l'impero britannico, anche attraverso l'Intelligence Service (SIS), penetrava ovunque, scopriva giacimenti di petrolio, occupava la Persia ed altri paesi, contrastava le mire della Russia zarista, pigliava le difese dell'impero ottomano, persino quanda questo divenne effettivamente <<il malato del Bosforo>>; si associava alla Germania di Bismarck al Congresso di Berlino nel 1878, attaccava, per i suoi interessi, il Trattato di pace di Santo Stefano, badava con estrema gelosia al suo dominio nel Mediterraneo, alle sue posizioni strategiche nei Dardanelli, a Suez, a Gibilterra, manteneva il controllo del Golfo Persico e, divenuta «regina dei mari», si faceva la promotrice della politica delle cannoniere. E' cosi che provocò l’«incidente di Fashoda» e molte altre vicende del genere. In quest'Inghilterra, divenuta una delle principali potenze colonizzatrici, dove i duchi nuotavano nell'oro e le duchesse avevano il petto, la testa e le mani coperti di gioielli, si può ben immaginare la scarsa importanza che si poteva dare all'Albania, alla sua eroica lotta per la libertà e l'indipendenza. Ad ogni momento chiave della nostra storia, e particolarmente quando il popolo albanese si batteva eroicamente, con le anni in pugno, contro l'impero ottomano, l'Inghilterra pigliava sempre le difese della Turchia. Al Congresso di Berlino, il primo ministro inglese, favorito dell'imperatrice Vittoria, lord Beaconsfield, il quale, al suo ritorno a Londra, avrebbe dichiarato pomposamente di aver apportato una <<pace onorata>>, come pure il cancelliere tedesco, principe Bismarck fondatore del II Reich, non si degnarono nemmeno di ascoltare la delegazione albanese che la Lega di Prizren* *( Alla vigilia del Congresso di Berlino che doveva rivedere le decisioni dei Trattato di Santo Stefano, il 10 giugno 1878 si riunirono nella città di Prizren i delegati convenuti da tutte le regioni albanesi e decisero di creare l'unione politica e militare che prese il nome di «Lega Albanese di Prizren-. Tale lega s'impegnò a lottare per l'autodeterminazione, per l'unità nazionale e la difesa dell'integrità territoriale dell'Albania, minacciate dalle mire sciovinistiche dei paesi vicini.) aveva inviato a Berlino per rivendicare e difendere i diritti del nostro popolo. In questi momenti difficili, mentre il nostro popolo tanto provato aveva impugnato le armi ed era insorto contro i turchi e gli sciovinisti serbi, questi cagnotti al servizio degliFimperialisti, per combattere contro lo smembramento della sua Patria fra serbi, montenegrini, turchi edaltri, per conseguirse l'autonomia, Bismarck e Disraeli rispondevano con disdegno ai nostri gloriosi antenati: <<Non c'interessano quelle poche capanne albanesi>>. Più tardi, i gloriosi delegati del nostro popolo, Ismail Qemali e Isa Boletini, si recavano a Londra e chiedevano al ministro degli esteri Edward Grey di sostenere l'Albania. «Noi, gli disse il nostro grande diplomatico Ismail Qemali, non permetteremo lo smembramento dell'Albania. Impugneremo le armi, come abbiamo sempre fatto, e combatteremo». Il ministro inglese fece orecchi da mercante. I predecessori di Lloyd George a Londra, e più tardi lui stesso e i suoi caudatari a Versaglia, smembrarono l'Albania e i nostri padri dovettero, come sempre, impugnare le armi per lottare contro gli occupanti. Anche dopo la Prima Guerra mondiale, gli inglesi furono in prima fila quando si trattò di ordire intrighi contro il nostro paese, cacciando il naso e le loro spie dell'Intelligence Service in Albania. Ma non riuscirono a sviare dal suo scopo l'insurrezione di Vlora nel 1920, quando le truppe italiane di occupazione furono gettate in mare. L'Intelligence Service insieme al ministro di Gran Bretagna in Albania, Eyres, fecero di tutto per indebolire il Governo democratico di Fan Noli nel 1924 riuscendo a strappargli una concessione per ricerche petrolifere a Patos, Ardenica e altrove. Ahmet Zogu, il quale, dopo la sua ascesa al potere con l'aiuto degli imperialisti, si era fatto proclamare re degli albanesi, praticò con la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, ed anche con altri paesi, la politica delle «porte aperte» e concluse con loro trattati ed accordi. Questi due Stati imperialistici perseguivano lo scopo di assicurarsi il controllo del canale di Otranto, volevano fare dell'Albania una testa di ponte per penetrare nel Balcani e sfruttare le loro risorse naturali.