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ARDENNO – CENNI STORICI

Massimo Dei Cas, dal sito www.paesidivaltellina.it

Ardenno è il primo paese della bassa che si incontra procedendo in direzione di Colico (cioè da est ad ovest), ed è posto presso lo sbocco della , sul versante retico, immediatamente ad est del punto nel quale il fondovalle valtellinese descrive una doppia curva, ad S, aggirando il caratteristico promontorio montuoso del Culmine di , o Colmen. Il suo nome è molto probabilmente connesso con la radice del verbo latino “ardere”, e quindi con il fuoco, ma il significato di questo nesso non è chiaro. Il diplomatico e uomo d'armi Giovanni Guler von Weineck, governatore per la Lega Grigia della Valtellina nel 1587-88, nella sua opera “Raetia” (Zurigo, 1616), così scrive, in proposito:“Alcuni ritengono che il nome di questo borgo sia derivato in antico dalla parola latina ed italiana ardere, perché durante l’estate il paese è tormentato da un caldo terribile; infatti è tutto esposto a mezzodì, né vi spira vento di sorte, a cagione della montagna di Pilasco che sorge a ponente. Quindi il clima è insopportabile, e perciò la nobiltà e la gente facoltosa, finché dura il caldo, cioè fino all’autunno, si trasferiscono in altri luoghi freschi e ventilati”. Le notazioni sul clima estivo sono, per la verità piuttosto esagerate, e l’ipotesi sul motivo della denominazione del paese non è l’unica. Il nome potrebbe, infatti, anche riferirsi al supplizio del santo patrono, S. Lorenzo, che fu martirizzato su una graticola, oppure alla presenza, nelle frazioni alte, di numerosi “piuàtt”, cataste particolari dalla cui lenta combustione interna si ricavava carbone di legna, o ancora, infine, da un episodio che risale ai tempi delle invasioni barbariche, quando una squadra di cavalieri che percorsero la valle tentò di dar fuoco alle case del paese, senza riuscirci, tanto che si udì gridare uno di loro “Arde-no, arde- no”. Lo storico settecentesco Francesco Saverio Quadrio così presenta il paese: “Ardeno (Ardena) Innocentemente si è scritto da alcuni essere stato tal luogo così nominato dall'Ardere per motivo del troppo caldo, che vi si prova. Diana è quella divinità, di cui gli Antichi resero il nome per Ardoina, Arduena, Artuenna. Arten, o meglio Harten in antichissima Lingua Teutonica voleva dire Foresta, come testifica il Wachter onde Hartuenna, o Hartuena, indi Harduenna, e Arduena veniva Diana appellata, quasi Dea delle Selve. Da ciò fu questo Luogo nomato, che trovo per antico latinamente essersi detto Ardena per contrazione di Arduena: perchè quivi quella Dea venir doveva adorata. La positura stessa di questo Luogo situato in un ridosso di Monte, dove forma quasi il collo d'un piede, dà a vedere, ch'ivi esser doveva ab antico Foresta. Nella Pianura ci era altresì un castello fabbricatovi dalla Famiglia de' Capitanei: e nel monte un altro ve n'aveva, chiamato il Castello di San Lucio. Le Contrade ad esso Ardeno congiunte in Comunità, nella schiena del Monte Gadio, Piazzalonga, Plota Biolo, Scheneno, la Fossa, e in Pianura il Masino, che trae dal Fiume il suo nome; e montando in sul Monte, si trova Pelasco, che di dietro gli resta.” Lo studioso Orsini, invece, ipotizza che "Ardenno" abbia la medesima origine del ben più celebre toponimo "Ardenne", in Belgio, e risalga ad "Arduinna", la dea celtica delle selve. Ciò testimonierebbe di insediamenti di matrice celtica. Il medesimo storico si spinge ad ipotizzare insediamenti ancora più antichi, risalenti all'ultimo neolitico o alla prima metà dell'età del ferro. Il luogo che giustifica l'ipotesi è il Caslàsc (Caslaccio), riportato su antiche carte pagensi, nei pressi

Massimo Dei Cas Ardenno – Cenni storici – Dal sito www.paesidivaltellina.it 2 dell'attuale Scheneno, quindi ad una quota approssimativa di 520 metri, sullo sperone posto proprio all'imbocco della Val Masino. Il toponimo, secondo lui, come quello di Caslido (località sul versante meridionale della Colma di Dazio), rimanda al concetto di "castelliere", ben distinto da "castello" (che si riflette, invece, nelle voci dialettali "castèel" e "catég"). Un castelliere è, in un certo senso, l'antenato del castello: si tratta di un piccolo villaggio fortificato, costituito da una torre centrale e da una cerchia di mura, di cui sono rimaste tracce, che rimandano ad epoche preistoriche, nell'Istria e nella Venezia Giulia. In epoca romana queste strutture furono utilizzate come fortilizi, spesso trasformati, infine, in epoca medievale, nei più conosciuti castelli. Se l'Orsini ha ragione, dunque, la zona di Scheneno era abitata già sin dalla fine dell'età della pietra. Ma si tratta solo di un'ipotesi toponomastica.

La chiesa parrocchiale di San Lorenzo Ardenno

Se rimangono incerti l'etimo e la storia remota di Ardenno, certo, invece, è il suo illustre passato storico. Sempre il von Weineck scrive: “ …Segue il borgo di Ardenno, dove sorge la chiesa prepositurale di S. Lorenzo, che un giorno estendeva la sua giurisdizione a quasi tutte le chiese sulla destra dell’Adda, dal torrente che bagna Pedemonte sino al torrente Acquàa presso , e sulla sinistra dell’Adda dal di Forcola alla valle del Bitto…In Ardenno tengono la loro ordinaria residenza i Paravicini…” Assai antica ed importante fu la pieve di Ardenno. A metà del secolo XIII, infatti, l'intero territorio della media e bassa Valtellina e della Valchiavenna era suddiviso nelle pievi di , Berbenno, Ardenno, Olonio, e . La pieve di Ardenno, in particolare, comprendeva, almeno fino al 1363, oltre ad Ardenno, anche Buglio, Forcola, , , Albaredo, Bema, Campovico, Civo e Dazio: in sostanza l'intero Terziere inferiore della Valtellina (l'attuale bassa Valtellina) era suddivise fra le pievi di Ardenno ed Olonio. Ancora a metà del Quattrocento, dopo la defezione di Talamona e Morbegno, rimanevano legate alla pieve di Ardenno Biolo, Buglio, Dazio, Caspano (con Cevo, Civo e Cataeggio), Roncaglia, Campovico e Forcola (con la Val di ). L’importanza della pieve di Ardenno si spiega alla luce della sua collocazione strategica: si trovava, infatti, non solo all’imbocco della Val Masino, ma anche nei pressi di un importante approdo per i traffici commerciali che sfruttavano il fiume Adda, vale a dire il traghetto di S. Gregorio (nucleo di poche case ad ovest della Sirta, sul versante orobico). Qui sorgeva, ancora in epoca secentesca, una torre episcopale, eretta nel Quattrocento, e qui il Vescovo di Como, alla cui Diocesi appartengono Valtellina e Valchiavenna, riscuoteva le rendite dei beni in terra di Valtellina. La chiesa di san Lorenzo fu edificata, probabilmente prima del Mille, presso un'ansa dell'Adda vecchia, là dove questa piegava a sinistra per portarsi al porto di San Gregorio, sul lato opposto della piana. Non era al centro del nucleo abitato: nei suoi pressi sorgevano solamente un edificio fortificato con torri, che serviva come dimora ai nobili del casato dei Capitanei (o forse come residenza temporanea del Vescovo di Como), un rustico ed un edificio con il tetto in paglia. Le chiese di Ardenno e Berbenno dovevano versare alla mensa vescovile di Como 112 forme di cacio ogni anno. Di un castello di San Lucio, menzionato da testimonianze storiche, che venne eretto, probabilmente dai De Capitanei, nel 1049, nell'attuale località di San Lucio, o in località Castello (uno sperone chiuso ad ovest dal fosso del Gaggio), non restano ora, dopo la distruzione nel 1249, che scarsissime ed incerte tracce. Esso si inseriva in un sistema di fortificazioni che comprendeva anche una torre a Forcola ed una fortificazione a Buglio, di cui resta traccia solo nei documenti, ed un castello in Val Masino, che rimase in piedi fino al seicento.

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Ardenno vista da Piazzalunga

La dipendenza feudale di Ardenno alternò, in età medievale, il predominio di Como (più precisamente, dal vescovo di Como, come testimoniato dalla presenza di una "turris ecclesiae episcopalis" nel paese), nel secolo XI, scalzato provvisoriamente da Milano, dopo che questa l'aveva sconfitta nella decennale guerra del 1118-27, e di nuovo affermato nella seconda metà del secolo XII grazie al favore dell'imperatore Federico I di Svevia, il Barbarossa. Nel 1015, infatti, l'imperatore Enrico II aveva donato all'abbazia di S. Abbondio di Como molte terre dall'alto Lario fino ad Ardenno. Ma già nel 1013 egli aveva donato al monastero (fondato nel 1010 dal vescovo Alberico) il diritto di pesca su buona parte del corso dell'Adda, decime e terre nei territori di Olonio e Samolaco ed un reddito di 100 caci fiscali sugli alpeggi di Ardenno e Berbenno, tutti diritti già appartenuti alla mensa vescovile di Como. Poi, dopo il 1127, cioè dopo la distruzione di Como, come detto, vi fu una temporanea padronanza dei militi milanesi: Gaggio, Piazzalunga, Pioda e Comperto, nel territorio di Ardenno, pagavano decime ai de Pesci ed ai de Turate di Milano, e su Ardenno vantavano diritti feudali anche i Muralto ed i Restelli, famiglie di Locarno. Poi, la rinascita di Como: nel 1181 i militi milanesi rinunciavano, a favore di Como, dei loro diritti feudali "sul castello, la villa e la pieve di Ardenno" (Orsini, op. cit.). Su Ardenno, così come su Berbenno e Sondrio, continuò, però, ad esercitare il proprio predominio un'altra famiglia originaria di Locarno, i de Capitani (o Capitanei): a loro apparteneva il già menzionato castello di San Lucio, distrutto nel 1249.

Specchio d’acqua all’alpe Granda di Ardenno

Una menzione particolare merita anche la famiglia dei Parravicini, originaria della pieve di Incino, in Brianza, che sarà molto legata alla storia di Ardenno nei secoli successivi e che proprio da qui si diffuse in diversi altri paesi della valle. "Nella Valtellina si stanziarono forse primieramente nel 1095 ad Ardenno, ai tempi del vescovo intruso di Como Landolfo da Carcano che... fu causa della guerra decennale fra Milano e Como..., ma forse vi erano già venuti un secolo prima... La leggenda, invece, racconta che verso il 1250, Domenico, figlio di Strazzia, profugo da Incino durante le guerre fra Guelfi e Ghibellini, si sarebbe rifugiato sul monte allora abitato soltanto da pastori, dove poi sorse Caspano. Quivi la stirpe si propagò prodigiosamente... a , a Dazio,

Massimo Dei Cas Ardenno – Cenni storici – Dal sito www.paesidivaltellina.it 4 a Civo, a Mello, a , a Morbegno, ad Ardenno, a Buglio, a Berbenno, a Sondrio, a ..." (Orsini, op. cit.). E' interessante notare che nel medio-evo dipendeva dal comune di Ardenno anche il borgo di Campo Tartano, sulla soglia della valle omonima. Alla fine del XIII secolo, infine, nella chiesa plebana e prepositurale di San Lorenzo di Ardenno il collegio canonicale era composto dal preposito e da due canonici. Nel 1335 iniziò il dominio dei Visconti di Milano sulla Valtellina e, negli Statuti di Como, nei quali si riordinava amministrativamente la valle, figurava il "comune loci de Ardenno”. Contro il ghibellino Galeazzo Visconti, nel 1369, si sollevarono i guelfi di Valtellina, capeggiata dal sondriese Tebaldo de Capitanei, cui si unirono diversi comuni, fra i quali Ardenno. Sei anni dopo, però, la signoria viscontea venne riaffermata con la pace generale del 1373, cui seguì un'amnistia per i ribelli. La riaffermazione del predominio del partito ghibellino portò alla temporanea signoria feudale su Ardenno della potente famiglia Quadrio.

La chiesetta di San Rocco

Nel secolo successivo, cioè nel Quattrocento, due sono gli eventi che meritano di essere ricordati. Nel 1442 Ardenno passò dalla signoria dei Quadrio a quella dei Parravicini, originari di Caspano, che ricevettero dal Vescovo di Como l'investitura feudale su un terzo circa dei territorio del paese e che vi assumeranno un ruolo dominante per i successivi secoli, lasciando diversi segni della loro presenza, fra cui il bel palazzo Parravicini-Savini, nel quale si può ancora vedere il loro stemma, con un cigno bianco in campo rosso, ed il motto “Agitado sed semper firmo” (cioè “attivamente, ma sempre con fermezza”). Nell'ultimo quarto del secolo la storia di Ardenno si incrociò con quella delle Tre Leghe Grigie, costituitesi sul finire del Medio-Evo: la Lega Caddea, con capitale Coira (1367), la Lega Grigia, con capoluogo Ilanz (1395) e la Lega delle Dieci Giurisdizioni, con capoluogo Davos (1436). Le Tre Leghe si unirono nel 1471 in un’unica Repubblica indipendente (solo molto più tardi, all’inizio dell’Ottocento, confluirono nella Confederazione Elvetica). Pochi anni dopo il loro sguardo cadde sul versante retico che guarda a meridione, cioè sulle valli della Mera e dell’Adda, possesso del Ducato di Milano. Era per loro di fondamentale importanza economica, oltre che militare, poter controllare quelle valli, e con esse i commerci fra la pianura Padana ed i territorio di lingua tedesca. Così si appigliarono ad un preteso lascito dei Visconti al vescovo di Coira e reclamarono per sé le valli. L’esercito grigione, dunque, calò dall’alta Valtellina, fra il febbraio ed il marzo del 1487, saccheggiando sistematicamente i paesi della valle da a Sondrio. Le truppe ducali si erano mosse per fermarne l’avanzata e, dopo alcuni episodi sfavorevoli, erano riuscite a sconfiggerlo, il 16 marzo, proprio nella piana di (battaglia di Caiolo), in un punto imprecisato fra i torrenti Livrio e Merdarolo, approfittando della natura del terreno che, a quel tempo assai più di oggi, si prestava ad imboscate ed azioni di sorpresa. Non si trattò, però, di una vittoria decisiva e netta, come dimostra il fatto che le milizie grigione si disposero a lasciare la valle solo dopo la pace di Ardenno, che prevedeva il cospicuo esborso, da parte del Moro, di 12.000 ducati a titolo di risarcimento per i danni di guerra. Le Tre Leghe Grigie, però, ben presto tornarono in possesso della valle, nel 1512, dopo 12 anni di odiatissima occupazione francese: iniziò in quest'anno la loro dominazione di quasi tre secoli in terra di Valtellina).I nuovi signori proclamavano di voler esercitare un dominio non rapace e prepotente, ma saggio e rispettoso delle autonomie dei valligiani, chiamati "cari e fedeli confederati" nel misterioso patto sottoscritto ad Ilanz il 13 aprile 1513 (di cui si conserva solo una copia secentesca, sulla cui validità gli storici nutrono dubbi); ma per mettere bene in chiaro

Massimo Dei Cas Ardenno – Cenni storici – Dal sito www.paesidivaltellina.it 5 che non avrebbero tollerato insubordinazioni, nel 1526 abbatterono tutti i castelli di Valtellina e Valchiavenna, compreso quello di Chiavenna (anche perché non li potevano presidiare ed avevano dovuto subire, l'anno precedente, il tentativo, fallito, di riconquista della Valtellina messo in atto mediante un famoso avventuriero, GianGiacomo Medici detto il Medeghino). Sulla natura di tale dominio è lapidario il Besta (op. cit.): "Nessun sollievo rispetto al passato; e men che meno un limite prestabilito alla pressione fiscale. Nuovi pesi si aggiunsero ai tradizionali... I Grigioni... ai primi di luglio del 1512... imponevano un taglione di 21.000 fiorini del Reno pel pagamento degli stipendiari del vescovo di Coira e delle Tre Leghe.... Per quanto si cerchi non si trova al potere dei Grigioni altro fondamento che la violenza. Sarà magari verissimo che i Grigioni non fecero alcuna promessa ai Valtellinesi; ma è anche vero che questi non promisero a loro una perpetua sudditanza". Scrive poi Maurizio Monti, nella “Storia di Como”, edita nel 1831: “Notano i cronachisti che da Traona ad Ardenno la preda in vino giunse a mille cinquecento brente. Le larghe promesse fatte prima dell’invasione si tramandarono, tutto volse a un duro governo, si riempirono le prigioni e si stabilì la pena di 250 scudi contro chi avesse detto male del Vescovo di Coira o delle eccelse tre Leghe.”

Ardenno, vista dal tratturo Calchera-Scheneno

I grigioni sentirono il bisogno, per poter calcolare quante esazioni ne potevano trarre, di stimare la ricchezza complessiva di ciascun comune della valle. Furono così stesi gli Estimi generali del 1531, che offrono uno spaccato interessantissimo della situazione economica della valle (cfr. la pubblicazione di una copia secentesca del documento che Antonio Boscacci ha curato per il Bollettino della Società Storica Valtellinese). Nel "communis Ardenni" vengono registrate case e dimore per un valore complessivo di 1263 lire (per avere un'idea comparativa, Forcola fa registrare un valore di 172 lire, Tartano 47, Talamona 1050, Morbegno 3419); i prati ed i pascoli hanno un'estensione complessiva di 4391 pertiche e sono valutati 2745 lire; campi e boschi occupano 3569 pertiche e sono valutati 2525 lire; gli alpeggi, che caricano 150 mucche, vengono valutati 30 lire; vengono rilevate due fucine, per un valore di 8 lire; i vigneti si estendono per 1576 pertiche e sono stimati 2364 lire; vengono torchiate 66 brente di vino (una brenta equivale a 90 boccali), valutate 66 lire; il valore complessivo dei beni è valutato 9140 lire (sempre a titolo comparativo, per Tartano è 642, per Forcola 2618, per Buglio 5082, per Talamona 8530 e per Morbegno 12163). Pochi anni dopo le cronache del paese fecero registrare una tremenda tragedia: il 9 giugno del 1538, vigilia di Pentecoste, una grande frana investì il centro del paese, colpendo anche la chiesa parrocchiale. Ne riferiscono il von Weineck: “Il 9 giugno del 1538 Ardenno acquistò una triste nominanza, perché molte case, sette persone e molti bei poderi, con grandissimo danno dei miseri abitanti, vennero travolti e rovinati da una frana”, e la Cronaca di Stefano del Merlo: "Nota come alli 9 giugno 1538 venne una ruina in Ardenno, che ruinò molte case, ed posessioni qual ruina fece grandissimo danno. Morirono sotto detta rovina 7 persone." Ecco come viene descritto il tragico evento dallo storico Enrico Besta, nell'opera "Le valli dell'Adda e della Mera nel corso dei secoli - vol. II: "Il 9 maggio 1538 una tremenda frana travolse diverse case, disertò campi e vigne, uccise sette persone, e quella che si riteneva la terra dell'arsura subì il flagello dell'acqua torrenziale". La chiesa venne però ricostruita: la riedificazione ebbe termine nel 1584. Erano, quelli, anni di clima piuttosto perturbato per l'intera Valtellina: se piogge intensissime misero in modo la distruttiva frana del 1538, di lì a poco venne

Massimo Dei Cas Ardenno – Cenni storici – Dal sito www.paesidivaltellina.it 6 uno dei più lunghi periodi di siccità che la storia valtellinese ricordi: non cadde dal cielo goccia d'acqua o fiocco di neve per cinque interi mesi, dal 7 novembre 1539 al 7 aprile 1540 (e questo valga per chi si lamenta sempre che oggi il clima...non è più quello di una volta!).

La chiesetta di San Giuseppe

Sul finire del secolo (1589) la Valtellina fu visitata dal Vescovo di Como, di origine morbegnese, Feliciano Ninguarda, che diede della sua visita pastorale un'importante relazione. Il quadro che ne risulta, in riferimento ad Ardenno, è assai interessante. Il nucleo centrale del comune risultava piuttosto modesto (40 fuochi soltanto, vale a dire 200-240 anime). Ma attorno a questo nucleo si registrava un'importante costellazione di frazioni: Cavaleri (oggi Cavallari), Masino, Arsizio (oggi Gaggio), Scheneno, Biolo, Pioda, Piazzalunga, Gaggio (oggi S. Rocco). Nel complesso, 2500 abitanti, tutti cattolici, affidati alla cura spirituale del prevosto don Vincenzo Paravicini: se consideriamo che la popolazione attuale è di 3018 abitanti, possiamo concludere che, nei secoli successivi, non è aumentata di molto. In particolare, significativa risultava la vitalità dei nuclei di Biolo e Piazzalunga, entrambi con 60 fuochi (300-360 abitanti). Ecco il dettaglio complessivo del numero delle famiglie registrate dal vescovo per ogni frazione: Ardenno (40), Cavaleri (16), Masino (20), Arsizio (l'attuale Gaggio, 8); Scheneno (40); Biolo (60); il Ninguarda annota anche la richiesta degli abitanti di Biolo di avere un prete che ne serva le esigenze); Pioda (25); Piazza Lunga (60); Gaggio (a monte dell'attuale Gaggio; 25). Il Ninguarda registra Morbegno come pieve a sè sotto cui ricadono le parrocchie di Valle, Albaredo, Sacco, Talamona, le vicecure di Bema, Campo e Tartano. Nella pieve di Ardenno, invece, rientrano le parrocchie di Dazio, Caspano, Civo, Buglio. Durante la visita pastorale la popolazione di Biolo avanzò istanza, accolta dal vescovo, che la chiesa del paese fosse separata dalla matrice di San Lorenzo; solo nel 1592, però, Biolo divenne parrocchia autonoma.

Dipinto nella “Gesa vègia” di Piazzalunga

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Ma cediamo a lui la parola: "Ardenno che si trova al di là dell'Adda dista cinque miglia dall'acqua di Clivio dove finisce la pieve di Olonio. Si stende ai piedi del monte e il centro è piccolo non contando più di quaranta famiglie. Alla sua comunità spettano otto frazioni delle quali sarà fatta menzione. In Ardenno c'è l'artistica chiesa parrocchiale dedicata a S. Lorenzo; benchè ci sia il prevosto a memoria d'uomo non ci furono mai canonici, sebbene ci sia una prebenda canonicale, il cui provento annuo (come dicono) non supera i nove o dieci condi, che viene raccolto dalla comunità e destinato per i restauri della chiesa matrice. Attuale prevosto è il sac. Vincenzo Parravicini, nativo di lì. In fondo al paese esiste una chiesa diroccata che in altri tempi chiamavano delle Olive. Distante mezzo miglio dalla matrice c'è Cavaleri con sedici famiglie, con la chiesa dedicata a S. Antonio. Discendendo il piano verso l'acqua di Clivio e Traona si trova Masino con circa venti famiglie, distante dalla matrice un miglio, dove è un'altra chiesa dedicata ai SS. Apostoli Pietro e Paolo. Da un'altra parte c'è Arsizio con otto famiglie distante dalla matrice un miglio e mezzo. Sul declivio del monte vi è Scheneno con quaranta famiglie, ed un'altra chiesa dedicata a S. Pietro Apostolo, distante due miglia dalla Matrice. Sullo stesso monte trovasi Biolo con sessanta famiglie, con la chiesa dedicata all'Assunzione della B. Vergine Maria, distante dalla matrice due miglia e mezzo. Sempre sul monte c'è Pioda con venticinque famiglie, dove, distante tre miglia dalla matrice, trovasi la chiesa dedicata a S. Gottardo. Su un altro lato dello stesso monte c'è Piazza Longa con sessanta famiglie, distante due miglia dalla matrice, dove c'è la chiesa dedicata a S. Abbondio. Nella parte più alta del monte c'è Gaggio con venticinque famiglie, con la chiesa di S. Rocco, distante dalla matrice quattro miglia. Sui confini della chiesa matrice si trovano altre due chiese alpestri distanti l'una dall'altra un miglio. Una di esse è stata edificata in onore di S. Leonardo e l'altra di S. Lino vescovo. Nelle predette frazioni che contano più di 2500 persone di ambo i sessi non si incontrano eretici. Poichè le chiese delle frazioni non hanno reddito annuo, non viene mai celebrata messa, se non qualche volta dal prevosto di Ardenno o dal suo cappellano, che vi è mantenuto saltuariamente. Durante la visita pastorale gli uomini di Biolo chiesero umilmente al vescovo di dar loro un cappellano e si offrirono di mantenerlo a loro spese. Per questo motivo, vagliate le ragioni da essi addotte, fu loro concesso, senza pregiudizio dei diritti del prevosto di Ardenno loro pastore.".

La chiesetta di San Lucio

Il Seicento fu, per l’intera Valtellina, un secolo nero. La tensione fra protestanti, favoriti dalle autorità grigioni, e cattolici crebbe soprattutto per le conseguenze del decreto del 1557, nel quale Antonio Planta stabilì che, dove vi fossero più chiese, una venisse assegnata ai protestanti per il loro culto, e dove ve ne fosse una sola venisse usata a turno da questi e dai cattolici. L'istituzione del tristemente famoso Strafgericht di Thusis, tribunale criminale straordinario di fronte al quale si dovevano presentare tutti coloro che venissero sospettati di attività eversive del potere grigione in Valtellina, rese la tensione ancora più acuta. Dovette difendersi di fronte ad esso anche un Ardennese; ecco come racconta la vicenda Cesare Cantù, ne "Il sacro macello

Massimo Dei Cas Ardenno – Cenni storici – Dal sito www.paesidivaltellina.it 8 di Valtellina", del 1832: "Francesco Parravicini d'Ardenno, settagenario e infermiccio, si presenta a quel tribunale per iscolpar il proprio figliuolo contumace, e il tribunale non potendo ottenere si ritirasse, gli coglie addosso un'accusa. E poiché le sue infermità non permettono di alzarlo sulla corda, gli serrano i pollici in un torchietto e sebbene stesse saldo a negare, il condannano in 1500 zecchini. E migliaja di zecchini furono imposti ad altri." Assai peggio andò, nel 1618, all'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, che venne rapito da un vero e proprio corpo di spedizione grigione e portato, per il passo del Muretto, nel territorio delle Tre Leghe Grigie; torturato, morì per gli strazi a Thusis. Di nuovo, ecco il Cantù: "Il ben vissuto vecchio, benché fosse disfatto di forze e di carne e patisse d'un ernia e di due fonticoli, fu messo alla tortura due volte, e con tanta atrocità che nel calarlo fu trovato morto. I furibondi, tra i dileggi plebei, fecero trascinare a coda di cavallo l'onorato cadavere, e seppellirlo sotto le forche, mentre egli dal luogo ove si eterna la mercede ai servi buoni e fedeli, pregava perdono ai nemici, pietà per i suoi."

La nevicata del 27 gennaio 2006

In quel medesimo 1618 era scoppiata la Guerra dei Trent’anni (1618-1648), nella quale la Valtellina, avendo una posizione strategica di nodo di comunicazione fra i territori degli alleati Spagna (milanese) ed Impero Asburgico (Tirolo), venne percorsa dagli eserciti dei fronti opposti, quello imperiale e spagnolo da una parte, quello francese e dei Grigioni, dall’altra. Due furono i momenti più tragici di questo periodo. Nel 1620 il cosiddetto “Sacro macello valtellinese”, cioè la strage di protestanti operata da cattolici insorti per il timore che i Grigioni intendessero imporre la fede riformata in Valtellina, fece registrare episodi tragici anche ad Ardenno, dove i Parravicini, i Cotta ed i Visconti Venosta si posero alla testa della rivolta contro i Grigioni. Anche qui vennero assassinati protestanti considerati empi e nemici della fede cattolica; venne ucciso anche un cattolico, Francesco Parravicini. Del resto un ruolo di primissimo piano nella congiura, accanto al cav. Robustellini di , che la capeggiò, l'ebbe un ardennese, cui era stato assegnato il compito di raccogliere adesioni di persone che avrebbero dovuto sabotare le vie di passaggio nel chiavennasco per fermare la reazione dei grigioni: "Il capitano Giammaria Paravicini di Ardenno, cancelliere generale ed uno dei più vivi in tale faccenda, dando nome di dover accudire a certi suoi poderi in Vacallo, terra nei baliaggi svizzeri, si era messo colà per far còlta di gente, con cui doveva, appena cominciata la strage, mozzare le strade del chiavennasco perché di là non venissero Grigioni in soccorso." (Cantù, op. cit.) Ecco cose ne scrive Henri de Rohan, duca ed abilissimo stratega francese nell’ultima parte delle vicende della guerra di Valtellina nel contesto della guerra dei Trent’Anni (1635), nelle sue “Memorie sulla guerra della Valtellina”: “Non si può negare che i magistrati grigioni, tanto nella camera criminale di Tosanna quanto nell’amministrazione della giustizia in Valtellina, abbiano commesso delle ingiustizie capaci di gettare nella disperazione e di spingere alla ribellione contro il proprio sovrano anche i più moderati. Ma bisogna riconoscere che anche i Valtellinesi passarono ogni limite e calpestarono tutte le leggi dell’umanità, essendosi spinti a massacri così crudeli e barbari che le generazioni future non potranno non ricordarli senza orrore. Così la religione è capace di spingere al male uomini che, animati da uno zelo sconsiderato, prendono a pretesto della loro ferocia ciò che dovrebbe essere un fondamento della società umana.”

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Ardenno, vista da San Lucio

La reazione delle Tre Leghe non si fece attendere: corpi di spedizione scesero dalla Valchiavenna e dalla Valmalenco. Il primo venne però sconfitto al ponte di Ganda e costretto a ritirarsi al forte di Riva. La battaglia di liberò provvisoriamente la Valtellina dalla loro signoria, ma un’alleanza fra Francia, Savoia e Venezia, contro la Spagna, fece nuovamente della valle un teatro di battaglia. Morbegno venne occupata nel 1624 dal francese marchese di Coeuvres, che vi eresse un fortino denominato “Nouvelle France”. Le vicende belliche ebbero provvisoriamente termine con il trattato di Monzon (1626), che faceva della Valtellina una repubblica quasi libera, con proprie milizie e governo, ma soggetta ad un tributo nei confronti del Grigioni. A chiudere questo periodo nero per la storia ardennese giunse una sorta di piccolo schiaffo morale: nel 1629 il vescovo Lazzaro Carafini trasferì il titolo e l'ufficio di vicario foraneo dal preposito di Ardenno a quello di Talamona. Ma, al di là di tutto, la pace sembrava tornata e tutti tirarono il fiato; fu, però, il sollievo dell’inconsapevolezza, perché il peggio doveva ancora venire. Il nefasto passaggio dei Lanzichenecchi, scesi dalla Valchiavenna per partecipare alla guerra di Successione del Ducato di Mantova, portò con sé la più celebre delle epidemie di peste, descritta a Milano dal Manzoni, quella del biennio 1630-31 (con recidiva fra il 1635 ed il 1636). Non era certo la prima: solo nel secolo precedente avevano toccato il territorio di Ardenno le epidemie del 1513- 14, del 1526-27 e del 1588. Ma quella fu la più terribile. L’Orsini osserva che la popolazione della valle, falcidiata dal terribile morbo, scese da 150.000 a 39.971 abitanti (poco più di un quarto). La stima, fondata sulla relazione del vescovo di Como Carafino, in visita pastorale nella valle, è probabilmente eccessiva, ma, anche nella più prudente delle ipotesi, almeno più di un terzo della popolazione morì per le conseguenze del morbo. Ad Ardenno il morbo comparve nell'ottobre del 1629, per poi diffondersi a Buglio, Biolo ed in Val Masino. Il paese dovette pagare un alto tributo al terribile morbo: molte frazioni furono decimate e diverse famiglie cambiarono la loro dimora, cercando luoghi più sicuri. Nel complesso possiamo dire che il terribile flagello forse dimezzò la popolazione, quando non la ridusse ad una percentuale ancora inferiore (le congetture più prudenti parlano, invece, di una riduzione del 35-40% della popolazione). La seconda metà del secolo e la prima di quello successivo furono segnati da una situazione di crisi economica accentuata, che fu all’origine di un ampio movimento emigratorio. La meta principale fu Roma, verso cui si diressero soprattutto le famiglie di Biolo. Riguardo al fenomeno emigratorio, vale la pena di riportare diversi passi tratti dall'opera Storia di Morbegno (Sondrio, 1959) di Giustino Renato Orsini, che ben tratteggia il fenomeno nella sua ampiezza e nelle sue implicazioni:: “Le condizioni economiche della Valtellina, assai depresse dopo il suo passaggio ai Grigioni (1512) e per il distacco della Lombardia, cominciavano lentamente a risollevarsi per effetto dell'emigrazione. I nostri massicci montanari, pieni di buon volere, lasciavano in piccole frotte il loro paesello per recarsi nei luoghi più lontani: i Chiavennaschi a Palermo, a Napoli, a Roma, a Venezia e persino in Francia, a Vienna, nella Germania e nella Polonia: a Napoli i Delebiesi e quelli di Cosio; a Napoli, Genova e Livorno quelli di Sacco; pure a Livorno ed Ancona i terrieri di Bema e di Valle; a Venezia quelli di ; a Verona quelli di Gerola; a Roma, Napoli e Livorno quelli d'Ardenno. Numerosi muratori e costruttori di tetti emigravano in Germania; e i montanari della Valmalenco si spargevano come barulli nei più diversi paesi. Un quadro assai mediocre nella cappella antistante alla chiesa di S.

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Nazzaro in Cermeledo ci ritrae questi emigranti che, scalzi e in misere vesti, curvi sotto il loro fardello, arrivano ad un porto e ringraziano la B. Vergine del viaggio compiuto.

La chiesetta di Sant’Antonio

Ma la meta preferita, specialmente dai terrieri della zona dei Cech, da sino a , fu Roma, dove il Pontefice, anche per sostenere la fede cattolica combattuta dai Grigioni, accordò loro protezione e privilegi. Nella dogana di terra in piazza S. Pietro furono loro riservati ventiquattro posti di facchini, e alcuni posti anche nell'ospedale dell'Isola Tiberina; formavano pure la compagnia dell'annona, come facchini, misuratori e macinatori di granaglie; e furono detti Grigi, provenendo da luoghi dominati dai Grigioni. Perciò il cardinale Pallavicino chiamò ingiuriosamente la nostra valle patria dei facchini. Effettivamente fu quello il loro prima impiego, nel quale salirono anche al grado di capo -squadra, come vediamo dal nome assunto dai Caporali di e dai Caporali di Dazio e dal nomignolo di Sigillini (sugellatori di sacchi) ancora portato dai Carra di Dazio. I Coppa di Roncaglia assunsero tale nome per la loro gagliardìa nel portare il basto sul collo. Ma ben presto da tale condizione gli emigrati a Roma si elevarono a quella di orzaroli (fornai e venditori di commestibili); così taluno con rigorosa parsimonia poté mettere da parte notevoli guadagni; ed altri – come i Ciampini di Biolo – divennero uomini di lettere e prelati; più tardi, ossia nell’800, un Vincenzo Grazioli, umile pastorello di Cadelsasso, recatosi a Roma quale garzone di fornaio e divenuto presto ricchissimo, sarà insignito del titolo ducale e, apparentandosi con l’antica aristocrazia, sarà il capostipite dei Grazioli – Lante – Della Rovere. Ciascuna colonia valtellinese aveva in Roma una bussola, intitolata al patrono del villaggio d’origine (S. Provino di Dazio, S. Bartolomeo di Caspano, ecc.); e dentro quella deponevano le offerte da trasmettere al relativo parroco per ampliamenti e restauri della chiesa e per la compera di sacri arredi, talora preziosi… Solo da vecchi questi ritornavano poi in patria; e, col peculio adunato, miglioravano la loro casetta, acquistavano terre, affrancavano livelli e servitù. Così nei vari paesi, particolarmente nella Val Masino, nella Val Gerola e nei comuni di Civo e Dazio, si diffuse un notevole benessere…

La chiesa parrocchiale di S. Lorenzo ad Ardenno

Per effetto di questa secolare emigrazione a Roma le condizioni economiche di questa parte della Valtellina sono oggi assai floride… I contadini dispongono quindi di molti terreni e possono permettersi il lusso di parecchie dimore in luoghi diversi, a cui si trasferiscono nelle varie

Massimo Dei Cas Ardenno – Cenni storici – Dal sito www.paesidivaltellina.it 11 stagioni. Durante l’inverno Caspano discende alla Manescia di Traona, Cadelsasso ai Torchi di Campovico, Dazio a Categno, Civo a S. Biagio e a Selvapiana, Roncaglia a S. Croce, Valmasino nella pianura di Ardenno… Per effetto di questa emigrazione anche la stessa razza, prima fiaccata dai matrimoni fra affini, potè rigenerarsi col sangue di Trastevere… Quindi a Caspano e a Civo si trovano uomini aitanti e donne fiorenti di matronale bellezza”. Torniamo a seguire il filo della storia ardennese. Alcuni riferimenti cartografici possono aiutarci a comprendere quali fossero, nel territorio di Ardenno, i nuclei più importanti nel Seicento. Mentre nella Carte de la Valtoline, francese del Seicento, sono menzionate Ardeno, Maseno, Biolo ed Arsizio (l’attuale Gaggio), nella carta del marchese di Coeuvres (che nel dicembre del 1624, nel contesto della fase valtellinese della Guerra dei Trent’anni, entrò in Valtellina dalla val Poschiavo, al comando di un esercito francese, eresse a Morbegno il fortino “Nouvelle France” si spinse in Valchiavenna, con l’intento di cacciare gli spagnoli, alleati degli imperiali), un’acquaforte del 1625, sono individuati Arden, Pelasco e Pioda. Nella “Raetiea terrarum nova descriptio”, stampa del 1618 compilata da Filippo Cluverio e Fortunato Sprecher, infine, è menzionato solo Arden. A partire dal Settecento la situazione economica migliorò progressivamente. Nel Settecento il territorio di Ardenno risultava costituito dalle contrade di Gadio (oggi Gaggio), Piazzalonga (Piazzalunga), Plota (Pioda), Sceneno (Scheneno), Bioli (Biolo), La Fossa, Masino, Palazzo. Apparteneva ad Ardenno anche il piccolo nucleo di Campo Tartano, all'ingresso della Val di Tartano. Il 12 giugno 1780, però, la comunità di Ardenno dovette subire una sorta di secondo schiaffo morale: il vescovo Giambattista Mugiasca elevò la chiesa parrocchiale e prepositurale di Sant'Alessandro di Traona al rango di arcipretale e plebana. La pieve di San Lorenzo ufficialmente non perse nulla nei diritto, ma si trovò, di fatto, assai diminuita nella sua importanza e prestigio.

Ardenno, vista dalla contrada Calgheroli

Sul finire del secolo il quadro geopolitico europeo venne sconvolto dalle folgoranti imprese napoleoniche, che posero fine anche ai quasi tre secoli di dominazione delle Tre Leghe Grigie: gli ufficiali grigioni vennero, infatti, congedati nel 1797. Il 18 giugno del 1797 si riunì il consiglio della comunità di Ardenno: "li Cittadini abitanti nella Comunità di Ardenno Giurisdizione di Traona nella Valtellina, ad istanza del Cittadino Giuseppe Folini fu Rocco, qual Console attuale della medesima", convocati con "il consueto segno dato colla campana Maggiore della Chiesa di Ardenno, e di fatti congregati nella Sala delle case Parrocchiali", chiesero di aderire alla Repubblica Cisalpina. La comunità risultava costituita da 1133 abitanti complessivi, distribuiti nelle squadre di Ardenno, Scheneno, Pioda, Piazzalunga, Gaggio, Cavallari, Camero e Ciampini di Biolo. Il documento notarile conservato nell'archivio di Luigi Clerici e pubblicato sul bollettino n. 14 (1960) della Società storica valtellinese, riporta questa deliberazione, ed è di grande interesse, perché vi si possono leggere i nomi dei rappresentanti delle diverse squadre che la presero. Eccoli qui di seguito. SQUADRA DI ARDENNO: Filippo Ranzetti Proposto, Giuseppe Mossini Canonico, Gian Antonio Mossini canonico, Benedetto Homodej Prete, Diego Guicciardi, Francesco Paravicini, Gian Maria Pomolatti, Domenico Simonelli Cucchi, Giovanni Innocenti, Antonio Innocenti, Lorenzo Innocenti fu Lorenzo, Lorenzo Innocenti fu Pietro, Pietro, Remigio Fioroni, Giuseppe Capeletti, Gian Maria

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Gusmè.

I prati di Lotto

SQUADRA DI SCHENENO: Giovanni Pedruscino Sindico, Lorenzo Bonomi, Domenico Tognanda, Gian Antonio Pedruscino, Gian Battista Pedruscino, Sebastiano Savetta, Lorenzo Savetta, Bernardo Simonelli, Agostino Bertinelli, Giovanni Bertinelli, Giacomo Capeletti, Giuseppe Capeletti, Andrea Gandelino, AntonioCastelli, Lorenzo Gandelino, Andrea Ganassa, Gian Antonio Ganassa, Antonio Ganassa. SQUADRA DELLA PIODA: Giacomo Susanna Sindico, Antonio Pedruzio, Pietro Pedruzio, Gian Pietro Corvini, Tomaso Susanna, Lorenzo Susanna, Francesco Corvini, Lorenzo Pedruzio fu Giovanni, Giovanni Pedruzio, Giuseppe Pedruzio, Bartolomeo Pedruzio, Gian Antonio Pedruzio, Domenico Silvestri, Giuseppe Marolo, Battista Marolo, Giacomo Corda, Giovanni Corda, Pietro Beti, Antonio Corda, Pietro d'Agostini, Antonio Martini, Lorenzo Pedruzio, Andrea Raja, Battista Raja, Carlo Coppa. SQUADRA DI PIAZZALUNGA: Giovanni Marolo fu Giacomo, Sindico, Lorenzo Romegioli, Giuseppe Romegioli, Giovanni Salini. Lorenzo Salini, Pietro Pomoli, Battista Tognardelli, Bernardo Tognardelli, Pietro Mescia, Giacomo Fopalli, Giovanni Fopalli, Lorenzo Fopalli, Pietro Maroli, Giovanni Gianoli, Lorenzo Gianoli, Pietro Tognardelli, Pasquale Mescia, Francesco Scarinzo, Giovanni Motta, Antonio Fioroni, Pietro Fioroni e per esso il Sindico.

Rudere della chiesetta di Scheneno

SQUADRA DI GAGGIO: Francesco Bojani, Giuseppe Bojani per Antonio suo Padre, Giovanni Bojani detto Tognolatti, Antonio Bojani fu Antonio, Domenico Bojani fu Domenico, Giovanni Mossini fu Pietro, Pietro Scigolini, Giuseppe Scigolinj fu Giuseppe, Pietro Bianchini di Mossini, Giacomo Panizza per Antonio Scigolini, Sebastiano Folini, Francesco Gianoli detto Lanscetti, Antonio Folini, Giacomo Fascendini, Giovanni Fascendini, Lorenzo Folini, Giuseppe Mossini per il

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Sindico, Antonio Fascendini, Giuseppe Rizzi detto Folini, Cristoforo Capello detto Masa, Giuseppe Bojani. SQUADRA DEI CAVALLARI: Giovanni della Madalena, Pasquale Libera, Pietro Innocenti detto Tromberolo, Giuseppe Rovelli, Lorenzo Mescia detto Morino, Giovanni Loter, Domenico Pighetti, Lorenzo Romegioli detto Fascendi, Lorenzo Bertolino detto Pominalli. PER LE SQUADRE DI CAMERO, E CIAMPINI DI BIOLO: il cittadino Domenico Camerini, autorizzato dai Capi Famiglia di dette squadre. Infine, "li forestieri abitanti in Ardenno, e non ascritti in alcun colondello": Martino Cotta, Gian Pietro Migazzi, Giovanni Polini, Giuseppe Civatti, Antonio Meneghino detto Cresimo, Giacomo Raschetti, Pietro Camozzi, Giacomo Carasale, Domenico Boromeo, Nicola Viviani, Stefano Lanzini, Alessandro Illino, Francesco Libera.

Scorcio della Val Masino dal sentiero per i Prati Tabiate

Riprendendo il racconto delle vicende storiche, annotiamo che nel dipartimento dell'Adda del Regno d'Italia, qualche anno più tardi (1805), Ardenno risultava inserito, come comune di terza classe, con 1500 abitanti, al V cantone di Morbegno. Da un documento di due anni successivo (1807) apprendiamo che ad Ardenno si contavano 1232 abitanti complessivi (ancora meno della metà rispetto alla popolazione di fine Cinquecento, prima della falcidia operata dalla peste!), con questa distribuzione: 100 a Gaggia (Gaggio), 80 a Piazzalonga (Piazzalunga), 452 a Biolo, 80 a Pioda, 90 a Schenone (Scheneno), 40 a Masino, 390 nel nucleo centrale di Ardenno. nel 1815, al comune di Ardenno risultavano aggregati quelli di Forcola e Buglio, con una popolazione totale di 2257 abitanti (Ardenno, da sola, ne contava 1232). Molto severo sul periodo della dominazione francese in Valtellina è Dario Benetti (cfr. l’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota”, in “Sondrio e il suo territorio”, IntesaBci, Sondrio, 2001), il quale sostiene che esso rappresentò l’inizio di una crisi senza ritorno, legata alla cancellazione di quei margini di autonomia ed autogoverno per Valtellina e Valchiavenna riconosciuti durante i tre secoli di pur discutibile e discussa signoria delle Tre Leghe Grigie:”L’1 aprile 1806 entrò in vigore nelle nostre valli il nuovo codice civile, detto Codice Napoleone, promulgato nel 1804. A partire da questo momento si può dire che cessi, di fatto, l’ambito reale di autonomia delle comunità di villaggio che si poteva identificare negli aboliti statuti di valle. I contadini-pastori continueranno ad avere per lungo tempo una significativa influenza culturale, ma non potranno più recuperare le possibilità di un pur minimo autogoverno istituzionale, soffrendo delle scelte e delle imposizioni di uno Stato e di un potere centralizzati. Già l’annessione alla Repubblica Cisalpina, peraltro alcuni anni prima, il 10 ottobre 1797, dopo un primissimo momento di entusiasmo per la fine del contrastato legame di sudditanza con le Tre Leghe, aveva svelato la durezza del governo francese: esso si rivelò oppressivo e contrario alle radicate tradizioni delle valli; vennero confiscati i beni delle confraternite, furono proibiti i funerali di giorno, fu alzato il prezzo del sale e del pane, si introdusse la leva obbligatoria che portò alla rivolta e al brigantaggio e le tasse si rivelarono ben presto senza paragone con i tributi grigioni. Nel 1798 a

Massimo Dei Cas Ardenno – Cenni storici – Dal sito www.paesidivaltellina.it 14 centinaia i renitenti alla leva organizzarono veri e propri episodi di guerriglia, diffusi in tutta la valle: gli alberi della libertà furono ovunque abbattuti e sostituiti con croci..

La chiesetta di San Giovanni in Valmala

Nel 1797, dunque, la Valtellina e contadi perdono definitivamente le loro autonomie locali, entrano in una drammatica crisi economica e inizia la deriva di una provincializzazione, di una dipendenza dalla pianura metropolitana e di un isolamento culturale e sociale che solo gli anni del secondo dopoguerra hanno cominciato a invertire”. Il dominio austriaco promosse la bonifica della piana di Ardenno, che determinò il nuovo corso dell’Adda, rettilineo e vicino al versante orobico. Dell’antico sinuoso corso rimase traccia nel canale dell’Adda vecchia, che ancora oggi attraversa la piana. La bonifica fu all’origine del ripopolamento del piano, in quanto rese disponibili nuovi terreni per le attività agricole. Questo periodo fu, però, segnato anche da eventi che incisero in misura pesantemente negativa sull’economia dell’intera valle. L’inverno del 1816 fu eccezionalmente rigido, e compromise i raccolti dell’anno successivo. Le scorte si esaurirono ed il 1817 è ricordato, nell’intera Valtellina, come l’anno della fame. Vent’anni dopo circa iniziarono le epidemie di colera, che colpirono la popolazione per ben quattro volte (1836, 1849, 1854 e 1855). Il Cantù, nella Storia della città e della Diocesi di Como, edita nel 1856, scrive: “Nella provincia di Sondrio arrivò il giugno 1836 e visi mantenne tutta l’estate, poco essendosi proveduto ai ripari e male ai rimedj. Meglio trovossi preparato il paese all’invasione del 1855; e le comunità restie alle precauzioni pagarono cara la negligenza, perché Ardenno, Montagna, Pendolasco, popolate di 1800, 1850, 630 abitanti, dal 29 luglio al 13 settembre deplorarono 40, 61 e 35 vittime, mentre Sondrio, Tirano, Morbegno, con 4800, 4860, 3250 anime, ebber soli 17, 9 e 11 casi: 50 Chiavenna; e tutta insieme la Provincia 428 casi, 259 morti: proporzione più favorevole che in ogni altra provincia.”

La località Gaggio

Si aggiunse anche l'epidemia della crittogama, negli anni cinquanta, che mise in ginocchio la vitivinicoltura valtellinese. Queste furono le premesse del movimento migratorio che interessò una parte consistente della popolazione nella seconda metà del secolo, sia di quella stagionale verso Francia e Svizzera, sia di quella spesso definitiva verso le Americhe e l’Australia.

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I prati di Lotto

La popolazione, comunque, crebbe nel corso del secolo: a metà dell'Ottocento, infatti (1853), Ardenno, comune inserito nel III distretto di Morbegno, contava 1863 abitanti. Nel 1861, anno della proclamazione del Regno d'Italia, Ardenno contava 2014 abitanti. E' interessante notare che la nuova patria italiana chiamò quasi subito gli Ardennesi a servirla sotto le armi nella III guerra d'indipendenza, combattura nel 1866 contro l'impero Asburgico. Vi parteciparono Bettini Giacomo, Raschetti Giacomo, Camero Fedele, Covaia Domenico, Figoni Giuseppe, Folini Giovanni, Ganassa Costante, Ganassa Costante, Gianoli Lorenzo, Innocenti Clemente, Libera Pietro, Mossini Pietro, Pedrola Giovanni, Selva Antonio, Salini Giuseppe e Zanolari Carlo. Gli abitanti, nei decenni successivi, salirono a 2148 nel 1871, mentre vi fu una leggerissima flessione (2143) il successivo censimento del 1881. Ecco come presenta il paese la II edizione della Guida alla Valtellina edita a cura del CAI nel 1884:"Ardenno (2180 ab.)...sta alle falde del monte, nel versante aprico, in una bella e fertile insenatura. Più in alto, sui fianchi della montagna rivestiti di vigneti, sono i villaggi di Gaggio e Buglio (1162 ab.)... Fu ad Ardenno che visse gli ultimi anni della sua esistenza il celebre giureconsulto Alberto De Simoni, uno fra i legislatori della Repubblica Cisalpina, consigliere di Cassazione durante il primo Regno d'Italia e autore di parecchie opere altamente lodate, come il Diritto di natura delle genti, l'opera Sul furto e sua pena e il libro Delitti di mero affetto". Ardenno si affacciò al XX secolo (1901) con 2342 abitanti, saliti a 2537 nel 1911. Nel 1914 si registra un importante evento per la comunità: la ditta Picolli costruisce due elettrodotti da 8000 Volt che dalla Centrale idroelettrica del Masino (servita dal bacino fra Pioda e Piazzalunga), della Società Idroelettrica Italiana, porta l'energia elettrica alle cabine di trasformazione di Berbenno e Dazio, servendo i centri di Dazio, Masino, Ardenno, Villapinta, Buglio, Pedemonte, Regoledo e Berbenno. Alla prima Guerra Mondiale il paese pagò un importante tributo in vite umane, come si può verificare dall'elenco dei caduti sul monumento nel piazzale delle scuole elementari. Vi possiamo leggere i nomi dei caduti vale a dire il tenente Rodigari Giacomo, il caporal maggiore Fasoli Pio, i caporali Polini Paolino e Radaelli Cesare ed i soldati Bertinelli Pietro, Boiani Umberto, Bolini Gregorio, Bertolini Giuseppe, Bertinelli Giuseppe, Colmegna Giovanni, Corda Giovanni, Camero Giacomo, Civetta Giuseppe, Castelli Giuseppe, Della Vedova Domenico, Fasoli Mario, Folini Giacomo Silvio, Figoni Pietro Lorenzo, Folini Diego, Figoni Tomaso, Folini Antonio, Folini Giacomo Giuseppe, Futen Annunzio, Foppalli Giuseppe, Fioroni Pietro, Innocenti Giacomo, Innocenti Giuseppe, Mescia Santo, Mondora Pietro, Menesatti Giuseppe, Motta Emilio, Motta Anselmo, Pedruzzi Anselmo, Pradè Domenico, Ruffini Luigi, Raschetti Cesare, Raschetti Guido, Scottoni Anselmo e Salini Erminio. Pagato il tributo alla Grande Guerra, contava 2849 abitanti nel 1921, scesi a 2597 nel 1931 e 2627 nel 1936. Nel 1928 la quinta edizione de "La Valtellina - Guida illustrata" di Ercole Bassi così presenta il paese: "Allo sbocco della valle del Masino scorgesi il piccolo borgo di Ardénno (staz. ferr. - auto est. pei bagni del Masino - alb. Pollini, osterie, pastificio, fabb. carburo di calcio - coop. di cons. di produz. e lavoro - asilo inf. - ricovero di defic. delle Suore di S. M. della Provvidenza). Notevole il palazzo Visconti (sulla porta vi è lo stemma col biscione) con un bel cortile a colonnato, e un ampio salone dipinto. Nella parrocchiale vi è un paliotto con Cristo morto di Pietro Ligari, ed un'ancona pregevolissima, simile a quella di Morbegno, con la data del 1540…

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L'Ancona di Ardenno presenta spiccatissime affinità di fattura non solo con quella di Morbegno, ma anche coll'Ancona di S. Abbondio nel Duomo di Como ; anzi, se i caratteri dello stile e della prodigiosa esecuzione (ogni figura, ogni particolare vi sono finemente intagliati e miniati a colori ed oro) sono comuni alle tre, quelle di Ardenno e di Como hanno molto simile l'ordinamento architettonico, il quale però nell'Ancona di Morbegno è più armonico ed elegante.

L’alpe ed il rifugio Granda Si può quindi ritenere che i tre capolavori si debbano ad unico artista, o meglio ad unico gruppo di artisti non essendo documentata l'ipotesi di S. Monti (in Arte e storia della Diocesi di Como) che l'Ancona di S. Abbondio spetti ad Andrea de Passeris, noto d'altronde quasi solo come pittore…: rimarrebbero più probabili gli autori dell'Ancona di Morbegno, documentati dal "liber credentiae" più volte citato Gaud. Ferrari e F. Stella pittori, e Giov. Angelo Majno, pavese, scultore in legno. piccola e meglio conservata. Belli gli ornati e le scene a rilievo e dipinte con estrema delicatezza a colori e dorature; al basso porta in bassorilievo storie della vita di S. Lorenzo, e in alto S. Sebastiano, S. Rocco e S. Lorenzo con l'Annunziata e Cristo risorto fra angioletti decorativi. In un altare a destra vi è un dipinto del 500 di buon pennello. Nell'oratorio è lodata la pala dell'altare, forse di Cesare Ligari. La chiesa possiede un paramento completo in terza rosso e oro con paliotto identico."

Il monumento ai caduti nella scuola elementare di Ardenno

Ardenno dovette piangere molti caduti anche nella Seconda Guerra Mondiale: il caporale Rota Tarcisio, il sergente maggiore Bianchi Dante, il sergente Biasini Ennio, il caporale Rebuzzi Giovanni ed i soldati Bertolini Marco, Boiani Remo, Bracchi Guido, Camero Edoardo, Coppa Guerino, De Agostini Primo, Fopalli Giacomo, Fioroni Giuseppe, Fascendini Giovanni, Folini Vitale, Innocenti Pietro, Menesatti Giuseppe, Mescia Egidio, Orsingher Giacomo, Pedrola Luigi, Polini Giuliano, Pedruzzi Riccardo, Rosati Mario, Rossi Valentino, Simonetti Giacomo, Simonetti Silvio, Salini Osvaldo, Songini Giuseppe e Camero Guido. Sono ricordati anche i partigiani Reda Pietro e Valeni Clemente.

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L’imbocco della Valmasino vista da Lotto

Tempi che si ricordano malvolentieri, quelli della seconda guerra mondiale: la popolazione, oltre a patire gli stenti del razionamento alimentare, dovette assistere alle incursioni aeree che avevano anche come obiettivo il cosiddetto ponte degli archi che scavalca il torrente Masino (oggi affiancato da un ponte gemello per superare una delle proverbiali strettoie della ss. 38). Il ponte ebbe, però, come alleato il massiccio granitico della Colma di Dazio (Colmen), che impedì ai bombardieri sufficiente spazio di manovra per centrarlo. La curva demografica riprese a salire nel secondo dopoguerra, segnando 2770 abitanti nel 1951 e 2861 nel 1961; poi vi fu una lieve flessione che riportò la popolazione a 2774 abitanti nel 1971. Fra il 1957 ed il 1961 venne realizzata dalle Ferrovie dello Stato la centrale idroelettrica Vanoni di Monastero di Dubino, che utilizza le acque raccolte dallo sbarramento sul fiume Adda all'altezza della piana di Ardenno (1.020.000 metri cubi), quelle rilasciate dalla centrale di Ardenno, quelle residue del torrente Masino e quelle del canale di bonifica chiamato dell'Adda vecchia. L'impianto, costituito da due gruppi generatori, passò successivamente sotto la gestione dell'ENEL. Si è molto discusso sull’impatto ambientale nella piana di Ardenno dell’invaso che lo serve. Riportiamo, al proposito, quanto scrive l’ultima edizione (2000) della Guida Turistica della Provincia di Sondrio, edita a cura della Banca Popolare di Sondrio: “Il bacino artificiale, lungo diversi km, è stato ottenuto sbarrando l’Adda all’altezza di Ardenno… La grande massa d’acqua presente nella piana della Selvetta ha però peggiorato la situazione di un territorio già paludoso, arrecando danni non indifferenti all’agricoltura locale; secondo alcuni, ha contribuito anche a modificare il clima della zona. Un altro danno causato dall’invaso riguarda la vita del fiume… Tale cesura artificiale non permette più quel fenomeno naturale noto come rimonta del pesce che dal lago… risaliva il fiume in cerca di acque fresche e correnti per deporvi le uova… La presenza della diga ha segnato la scomparsa dall’Adda di… specie ittiche di cui era ricca, fra le quali l’anguilla.” Nel 1962 la società Vizzola iniziò la costruzione, poi completata nel 1968 dall'ENEL, della centrale di Ardenno utilizza le acque derivate in Valmasino dai torrenti Bagni, Mello e Sasso Bisolo, e raccolte nel serbatoio Prati di Lotto, con una capienza di 156.000 metri cubi d'acqua. La centrale dotata di turbine Pelton, sfrutta un salto di circa 700 metri, dai 971 di Lotto ai 271 del piano. Gli anni Ottanta si aprirono con un saldo di 2937 abitanti (1981) e furono segnati dalla disastrosa alluvione del 1987. L’Adda, interessata dalla citata bonifica settecentesca, fu, nel 900, all’origine di rovinose alluvioni, di cui ancor viva nella memoria è quella più recente, quando, nella notte fra sabato 17 e domenica 18 luglio 1987 la rottura degli argini presso San Pietro di Berbenno determinò l’allagamento della piana della Selvetta e di Ardenno. Non vi furono morti, ma i danni economici furono ingentissimi. Vale la pena di ricordare i momenti salienti della cronaca di quelle giornate drammatiche per il paese e l'intera Valtellina. Dal pomeriggio di venerdì 17 luglio comincia a piovere a dirotto, in una rapida sequenza di temporali estivi. Piove con eccezionale intensità sul fondovalle, sui versanti montuosi, ma anche sui ghiacciai più alti: non è solo l’acqua del cielo a precipitarsi sul fondovalle con il rombo sordo di torrenti limacciosi ed impazziti, ma anche l’acqua che si libera dalla morsa di nevi e ghiacci:

Massimo Dei Cas Ardenno – Cenni storici – Dal sito www.paesidivaltellina.it 18 tutto ciò concorre ad imprimere una forza d’urto eccezionale anche a corsi d’acqua ritenuti inoffensivi. L’acqua vien giù a rotta di collo dai versanti, che non riescono più ad assorbirla o a drenarla.

La media Valtellina vista da Piazzalunga

E viene il sabato 18, un sabato preannunciato come tranquilla giornata di partenza per le vacanze programmate da molti. Non è così: dal pomeriggio si comincia a realizzare l’eccezionalità della situazione. Dopo i primi allarmi dall’alta valle, arriva una prima tragica notizia, c’è un grosso smottamento a Tartano, forse ci sono anche delle vittime, e poi le notizie più precise: alle 17,30 un'enorme massa d'acqua, massi, alberi e fango è precipitata sul condominio "La Quiete”, all’ingresso di Tartano, si è portata via la strada sottostante e si è abbattuta sull'albergo "La Gran Baita", uccidendo dodici persone. Sono le prime di una lista destinata a crescere: alla fine di luglio il bilancio salirà a 53 morti. Un po’ dappertutto, in valle, se non si arriva alla tragedia, si sprofonda, in quel sabato plumbeo, in un dramma cupo come il cielo che è scuro da far paura: non c’è torrente che non minacci di esondare, e molti passano dalle minacce ai fatti. Il Madrasco esce dagli argini ed investe buona parte delle case di , dalle quali la gente è stata evacuata appena in tempo dal suono a martello delle campane, il Torreggio infuria e Torre di S. Maria è interamente evacuata, il Mallero (màler) fa paura, il Poschiavino è straripato provocando seri danni ed interrompendo la strada per la dogana di Piattamala, a la frazione Le Prese viene interamente evacuata, in il Frodolfo e lo Zebrù scatenano la loro furia. Impressionante è anche l’elenco dei ponti letteralmente divelti dalla violenza delle acque: i ponti di Paniga e di Caiolo sull’Adda, la passerella del partigiano a Sondrio, i tre ponti del quadrivio a Torre S. Maria, il ponte sul Valfontana a e quello di S. Nicolò in Valfurva. Tremila sono gli sfollati della prima ora. È il fondovalle a subire i maggiori danni: la zona industriale a valle di Morbegno è investita dallo straripamento dell’Adda (si conta una vittima anche a Morbegno), ma è soprattutto la piana della Selvetta e di Ardenno a subire le conseguenze più pesanti: nella notte la rottura dell’argine settentrionale dell’Adda, appena sotto S. Pietro di Berbenno, fa sì che si avveri il monito di un proverbio popolare, “Passano gli anni, passando i mesi, ma l’Adda torna ai suoi paesi”: il “fiume nascosto” (questo significa, probabilmente, Abdua, da “abditus”, in latino) mostra tutta la sua forza e riprende possesso dei luoghi nei quali scorreva nei secoli precedenti alla bonifica austriaca. E lo fa non in punta di piedi, ma trasformando la piana dalla Selvetta ad in un impressionante lago. Ma dire lago sarebbe dire qualcosa di troppo, di troppo poetico: si tratta di una limacciosa palude, con un livello delle acque che in più punti è di diversi metri, dove trovano la morte molti capi di bestiame, anche se, per fortuna, nessuna persona. L’alba della domenica mattina, il 19 luglio, mostra uno scenario da tregenda. Molti hanno ancora negli occhi quello scenario, molti ce l’hanno, ancor più nelle orecchie: è il rombo angosciante delle pale degli elicotteri, che sembrano solcare il cielo impotenti, ad essere rimasto nelle orecchie. Domenica non piove più, ed alla sera il sole si riaffaccia, prima di tramontare. Quasi beffardo. Ma almeno è finita, si pensa, con un bilancio pesante, 24 morti ed una prima stima di 1.000- 2.000 miliardi di danni (alla fine la stima salirà a 4.000 miliardi), ma è finita. Certo, i problemi per l’immediato non sono pochi: lunedì 20 la ss. 38 dello Stelvio e la linea ferroviaria sono ancora interrotte, perché le acque del sinistro lago di Ardenno defluiscono lentamente; la media Valtellina è ancora isolata, ma almeno è finita. Si guardano con occhi amari i telegiornali, che

Massimo Dei Cas Ardenno – Cenni storici – Dal sito www.paesidivaltellina.it 19 hanno trovato di che riempire il loro palinsesto per giorni, ma almeno è finita. Si guardano con occhi gonfi di lacrime le abitazioni alluvionate, lesionate, invase da acqua e detriti; qualcuno pensa che si potrà recuperare qualcosa, lavare, pulire, non sa ancora che quella porcheria invade ogni interstizio, nella forma di un polvere finissima che ritrovi ancora a mesi di distanza, insieme a quel disgustoso odore di muffa, e poi i mobili si gonfiano, tutto è da buttar via. Ma almeno è finita. Inizia, faticosa ma tenace, la ripresa, perché la furia dell'acqua può rovinare le cose, ma non la forza d'animo delle persone. Gli anni Novanta si aprono, per Ardenno, con lo sfondamento della soglia dei 3000 abitanti (3018 nel 1991, 3122 nel 2001 e 3181 nel 2006).

La furia delle acque nell’alluvione del novembre 2002

Purtroppo gli anni a cavallo fra il XX ed il XXI secolo hanno visto nuovamente Ardenno teatro di calamità naturali. Non c'è mai peggio al peggio, come si suol dire. Dopo il 1987 molti, però, pensavano di aver visto il peggio; forse si sono ricreduti, nella primavera del 1998, quando un incendio immane, in un pomeriggio sereno nel quale il cielo è stato apocalitticamente oscurato da una cappa infernale di fumo, ha devastato gran parte del patrimonio boschivo del versante sopra il paese. Molti hanno probabilmente pensato che non avrebbero più visto, prima di morire, quei bei boschi legati ad un patrimonio di ricordi ed emozioni che sta nel profondo del cuore dell'uomo. Al loro posto, oggi, macchie di boscaglia e sterpaglie, un caos nel quale anche i più esperti conoscitori dei luoghi stentano ad orientarsi. Ma nel 1998 non c'era neppure quello: spento l'incendio, è rimasto un manto di terra bruciata ed instabile, essendo venuta meno l'azione stabilizzante delle piante. Un versante ideale (si fa per dire) per l'innesco di eventi di smottamento alluvionale. Alle prime precipitazioni di una certa portata, ecco il disastro annunciato. Nella notte del 26 giugno 1998, intorno alle 4.00, le campane della chiesa suonarono a distesa per lanciare l'allarme: i torrentelli che scendevano dalle vallecole sovrastanti il paese (soprattutto val Valena e val Velasca) hanno moltiplicato paurosamente la portata, trasportando tronchi e grossi massi, sono usciti dall'alveo ed hanno cominciato a correre rovinosamente fra le case del centro del paese. Per diversi giorni, in mancanza di fatti di cronaca più rilevanti, Ardenno ha avuto il triste onore di balzare al primo posto nelle aperture dei telegiornali. Nessuno ne sentiva il bisogno. In seguito a questi eventi sono stati effettuati lavori volti a mettere in sicurezza il paese nell'eventualità di future precipitazioni imponenti. Questi lavori prevedevano il consolidamento degli argini e la costituzione di sacche di contenimento a monte dell'abitato. Nonostante i lavori, però, nel novembre del 2000 la piazza del paese si è riempita di nuovo di materiale alluvionale: la vallecola sulla cui direttrice si trova proprio la piazza, infatti, era stata incanalata in un condotto sotterraneo, la cui presa, però, poco sopra la stessa, è stato ostruito dal materiale più grossolano, per il successivo flusso ha raggiunto, appunto, la piazza. Due anni più tardi, il 26 novembre 2002, tutto sembra ripetersi, in proporzioni però ben maggiori rispetto al 2000: precipitazioni ancora più abbondanti, con conseguenti smottamenti sul versante montuoso, hanno determinato non solo il nuovo riversamento di materiale nella piazza del paese, ma lo sfondamento del muro di contenimento del torrente Velasca, poco sopra la piazza stessa.

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La furia del torrente Velasca uscito dagli argini nel novembre 2002

Il corso del torrente è stato per diverse ore deviato ad ovest, ed ha investito alcune case poste ad ovest dell'alveo. Per limitare ulteriori danni, l'acqua è stata convogliata nel campo sportivo dell'oratorio: l'esito, surreale, è stato lo spettacolo di un bacino riempito da circa 80 centimetri d'acqua limacciosa. Questi, in sintesi, gli eventi che hanno scandito, nei secoli, la vita di una comunità le cui sorti sono sempre state legate alle alterne vicende ed opportunità legate al versante montuoso, che culmina nello splendido terrazzo dell’Alpe Granda, ed alla piana, sulla quale periodicamente il fiume Adda ha rivendicato un’antichissima signoria. Oggi Ardenno è un comune con un territorio di circa 3.181 abitanti (dati Istat del 2005), la cui parte più bassa (stazione ferroviaria) è posta a 266 m. s.l.m. Ha una superficie di 17,01 km quadrati e vi si trovano 64 attività industriali con 276 addetti (45,17% della forza lavoro occupata), 51 attività di servizio con 103 addetti (8,35% della forza lavoro occupata), altre 60 attività di servizio con 163 addetti (16,86% della forza lavoro occupata) e 9 attività amministrative con 109 addetti (9,82% della forza lavoro occupata). I cognomi più diffusi sono, in ordine descrescente, Folini, Fascendini, Boiani, Rossi, Mossini, Innocenti, Salini, Camero, Pedruzzi e Fioroni. Il confine meridionale descrive, sul suo lato est, una diagonale che lascia fuori la località dei Piani (comune di ) raggiungendo la strada che si stacca dalla ss. 38 dello Stelvio e porta al ponte sull'Adda di fronte all'abitato di Sirta. Segue questa strada verso sud fino al ponte, poi volge ad ovest seguendo il corso dell'Adda, fino al punto in cui il fiume, poco dopo il punto di confluenza del torrente Masino, piega a sud-ovest. Qui il confine volge a nord, e si ritaglia una piccola fetta del basso versante orientale del Culmine di Dazio, nella quale rientra la frazione di Pilasco. Raggiunto il torrente Masino, lo segue per un lungo tratto, verso nord, passando nei pressi delle località Ponte del Baffo e S. Antonio.

La chiesa di S. Pietro a Màsino

Un km circa prima di Cataeggio lascia il torrente Masino e volge ad est-sud-est, tagliando l'aspro versante orientale della bassa Val Masino e passando più o meno a metà strada fra le località di Ruschedo di Sotto (comune di Val Masino) e Ruschedo di Sopra (comune di Ardenno). A quota

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1225 piega a nord-est, salendo fino al limite nord-occidentale dell'alpe Granda, l'unico alpeggio nel territorio comunale di Ardenno. Proseguendo verso est segue il crinale che sale alla cima del pizzo Mercantelli (m. 2070), ma, curiosamente, si ferma appena sotto, all'anticima denominata dei Camosci (è questa, a quota 2060 circa, il punto più alto del territorio comunale). Qui inverte l'andamento e comincia a scendere, in direzione sud-ovest.prima, sud, poi, rimanendo leggermente ad est dell'aspro Fosso del Gaggio. Passa, così, appena ad est del Mulino Vismara e lascia ad est l'ampio terrazzo di Buglio in Monte. Passa, quindi, appena ad ovest del cimitero di S. Agata di Buglio in Monte e comincia a piegare leggermente a sud-est, giungendo al piano appena ad est della frazione Bagnera. Taglia, quindi, in diagonale la piana della Selvetta e l'Adda Vecchia, puntando alla ss. 38. Prima di raggiungerla, però, piega a sud-ovest, lasciando fuori, come già detto, la località dei Piani.

Una curiosità, per finire. Ardenno si ritaglia uno spazio, per quanto modesto, nella storia della letteratura italiana del Novecento grazie ad una poesia di salvatore Quasimodo (Nobel per la letteratura nel 1959), qui di seguito riportata.

La dolce collina

Lontani uccelli aperti nella sera tremano sul fiume. E la pioggia insiste e il sibilo dei pioppi illuminati dal vento. Come ogni cosa remota ritorni nella mente. Il verde lieve della tua veste è qui fra le piante arse dai fulmini dove s’innalza la dolce collina d’Ardenno e s’ode il nibbio sui ventagli di saggina.

Forse in quel volo a spirali serrate s’affidava il mio deluso ritorno, l’asprezza, la vinta pietà cristiana, e questa pena nuda di dolore. Hai un fiore di corallo sui capelli. Ma il tuo viso è un’ombra che non muta; (cosi fa morte). Dalle scure case del tuo borgo ascolto l’Adda e la pioggia, o forse un fremere di passi umani, fra le tenere canne delle rive.

Salvatore Quasimodo - nuove poesie

Che ebbe a che fare il poeta siciliano con questa sperduta landa retica? Quasimodo fu assunto come geometra al Genio Civile e trasferito nel 1934 a Milano; di qui, un po’ per punizione, venne assegnato per qualche tempo all’ufficio di Sondrio e dimorò anche ad Ardenno. La poesia fa riferimento ad un ricordo femminile legato ad Ardenno. Impossibile sapere chi, difficile capire quale sia esattamente il luogo nel quale il ricordo prende corpo. Un luogo sicuramente vicino al fiume Adda, in vista del Culmine di Dazio (questa è con tutta probabilità la “dolce collina”, così qualificata per il suo aspetto arrotondato). Il resto è legato alla suggestione poetica, che si anima dell’indeterminato e trae vita dall’indefinito.

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