1982 Parte 1 Pp. 1-309

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1982 Parte 1 Pp. 1-309 STRENNA DEI ROMANISTI NATALE DI ROMA Di questa edizione 1 9 8 2 sono state riservate n. 900 copie al ab U. c. MMDCCXXXV APOLLONJ GHETTI - AURELI - BARBERITO - BECCHETTI - BELLI - BILINSKI BANCO DI ROMA BIORDI - BONANNI-PARATORE - BUSIRI VICI - CECCOPIERI MARUFFI COGGIATTI - COLINI A. - COLINI-LOMBARDI - D'ARRIGO - D'AMBROSIO DELL'ARCO - DELLA RICCIA - DEL RE - ESCOBAR - FREDA - FAITROP FRANCIA - GASBARRI - GRILLANDI - GUIDI - HARTMANN - JANNATTONI LEFEVRE - LOTTI · MAGI • MARIOTTI BIANCHI • MARAZZI • MASETTI ZANNINI - MERLO - NERILLI ·NOVARA MATTEINI - ONORATI · PAGLIALUNGA PARATORE · PARISET · PIETRANGELI - POSSENTI • RAGUSA · RAVAGLIOLI RUSSO - SACCHETTI ·SACCHI - SANTINI - SCARFONE - SCHIAVO - STACCIOLI '1 '1 I"; TAGGI · TIRINCANTI · TROMBADORI • VERDONE M. VERDONE S. Copia N. r;,, ~ ' VIAN · VOLPICELLI llllATUllll NlllUI (()})GAUDIO EDITRICI noma AlllOll l900 EDIZIONE FUORI COMMERCIO EDITRICE ROMA AMOR 1980 L Compilatori: MANLIO BARBERITO CARLO BELLI ANDREA Busrn1 V1c1 STELVIO COGGIA TTI RENATO LEFEVRE ETTORE PARATORE CARLO PIETRANGELI GIULIANA STADERIN1-P1cc0Lo Ha curato l'impaginazione: LANFRANCO MASSACCESI MMDCCXXXV AB VRBE CONDITA © EDITRICE ROMA AMOR 1980 VIA CASSIODORO, 6 - ROMA i! A 450 anni dall'edizione definitiva del Furioso 111 ! Una poetica Storia di Roma 11 nel Medio Evo di Ludovico Ariosto I Il canto XXXIII dell'Orlando Furioso, nell'edizione del 1532, di cui in epigrafe, e in tutte quelle successive, s'inizia, come ognun sa, con la descrizione delle pitture che ornavano la grande sala della Rocca di Tristano. In esse, per arte magica, erano state raffigurate in antico, e perciò ben prima che aves­ sero avuto luogo, le guerre che i Francesi - dall'epoca di Fara­ mondo, primo re dei Franchi nel secolo V, fino ai tempi stessi del meraviglioso fabbro dell'Ottava d'Oro - avrebbero in fu­ turo intraprese in Italia e che, se le avessero mosse per nuo­ cere a questa, avrebbero perdute. Tale attacco è singolare per­ ché le sue 58 strofe sono permeate da un prevalente spirito antigallico, mentre l'intiero poema è inteso invece, volere o volare, all'esaltazione della Francia - e sia pure d'una Francia arcaica e anzi palesemente mitica e favolosa - e mentre la tormentata politica del Ducato di Ferrara era orientata fonda­ mentalmente verso il regno oltremontano. (Fra l'altro, Ercole II d'Este, successore nel 1534 del padre Alfonso, aveva sposato sei anni prima Renata di Francia, che era figlia di Luigi XII e che - aggiungo ai fini di quanto dirò appresso - era più che incline al calvinismo). Ma dello stesso canto XXXIII ci è stato conservato (l'ha pubblicato, praticamente senza commento e solo con una pagi­ netta introduttiva, Filippo Luigi Polidori nel primo volume delle opere minori ariostesche, edite a Firenze da Felice Le Monnier nel 1857) un diverso principio, che il poeta ebbe ad abbozzare e che poi condannò. È su questo che vorrei intrattenermi, per­ ché è poco conosciuto: non solo, infatti, nessuno ne ha mai parlato sulla Strenna, ma non mi risulta (tuttavia ciò, per vero, potrebbe essere ignoranza mia) che anche in altre sedi esso sia 7 stato adeguatamente preso in considerazione e tanto meno com­ mentato. L'atteggiamento dei più nei riguardi di tale Fram­ mento è quello ottimamente condensato nel 1929 dall'illustre Francesco Torraca, il quale si limitava ad affermare (Enc. It., IV, p. 321 a) che l'Ariosto fece bene a scartare il compendio lunghissimo ed insipido della storia d'Italia, che aveva desti­ nato al canto XXXIV (sic!). Per mio conto, sul fece bene non ho idee chiare e osservo solo che l'inizio prescelto non è poi eccelso; sul lunghissimo posso consentire, ché si tratta di 84 ottave, pari a 672 versi, cioè di un vero poemetto; sull'insi­ pido mi permetto di manifestare, sommessamente, il mio di­ saccordo. Gli è che invece, a mio avviso, il Frammento è interes­ sante per almeno tre ragioni, le quali lo rendono ancora più singolare del brano poi definitivamente adottato: è impostato in senso italiano, in senso antitemporale e in senso romano. Premesso che, ovviamente, è quest'ultimo aspetto quello che m'induce a discorrere sulla Strenna del testo in parola, vorrei sottolineare che tali caratteri non sono di poco conto, perché mettono in luce valenze ariostesche pressoché assenti nell'intiero poema e, oserei dire, in tutta la sua produzione letteraria, come osservava nel 1943 (ma senza la menoma menzione del Fram­ mento) Gino Raya in un saggio su Roma nell'opera dell'Ariosto (Rivista Roma, pp. 330-339). Del resto, Francesco De Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana (Bari, Laterza, 1939, I, p. 397) non esitò a qualificare quello ariostesco un mondo vuoto di motivi religiosi, patriottici e morali. Per quanto riguarda la componente, diciamo pure, nazio­ nale e patriottica, mi pare che nel Furioso essa sia rappresen­ tata - oltre che, ma piuttosto blandamente, dal principio pre­ L'imperatore Costantino, a piedi, conduce il cavallo che porta il pontefice scelto per il canto XXXIII, dove, come ho già accennato, si S. Silvestro I e introduce questi nella città di Roma, della quale gli fa dice che i Francesi sarebbero usciti sconfitti dalle guerre che dono. Affresco, di forte influsso bizantino, nella cappella di S. Silvestro, I;,, consacrata nel 1246. Roma, chiesa dei SS. Quattro Coronati. avessero condotte per danneggiare l'Italia - solo dalla nota, I I vigorosa invettiva che conchiude la stanza 76 del canto XVII: <foto Alinari) O d'ogni vizio fetida sentina, / dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa / eh' ora di questa gente, ora di quella, / che già serva ti fu, sei fatta ancella. Uno spunto, questo, che, pur con innu­ merevoli variazioni, è una costante della più nobile poesia no- 8 r r !: stra fino all'Unità, a partire almeno dal famoso Ahi, serva Italia e il sostantivo o aggettivo romano ricorrono nel poema soltanto del sesto canto del Purgatorio dantesco e venendo giù, attra­ una diecina di volte, a parte l'ampio episodio ora detto. Una verso il per servir sempre o vincitrice o vinta col quale termina di queste menzioni è anzi critica e negativa: quella della strofe il sonetto All'Italia del seicentesco Vincenzo Filicaia, per giun­ 27 del terzo canto, là dove di un Ugo d'Este si dice: Costui gere almeno a le genti a servir nata / e nella fausta sorte e sarà che per giusta cagione / ai superbi Roman l'orgoglio emun­ nella ria del Leopardi (il quale, forse proprio a causa della pre­ ga. Due altri richiami sono invece importanti e adombrano pro­ detta apostrofe, nella canzone ad Angelo Mai chiamò l'Ariosto, prio lo spunto dal quale il Frammento prende le mosse per oltre che cantar vago dell'arme e degli amori, pure nova speme la sua lunga esposizione. Al canto XVII (st. 78), a proposito d'Italia). dei territori occupati dal Turco, è detto: Là le ricchezze sono Anche la componente che ho chiamato antitemporale ha / che vi portò da Roma Costantino: / portonne il meglio e fé un'ascendenza dantesca nel celebre Ahi, Costantin, di quanto del resto dono. (Ma già nel Dittamondo del predetto Fazio degli Uberti - XIII, II, 14 - la personificazione di Roma mal fu matre / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre! (Inf., XIX, 115) e nei versi, si lamenta che Costantino l'aveva del me' pelata). Inoltre nel­ riferiti sempre a Costantino: sotto buona intenzion che fé mal l'ultimo canto - nel quale, fra l'altro, sono raccontate le vicis­ situdini del padiglione che accoglie il letto nuziale preparato frutto / per cedere al pastor si fece greco (Par. XX, 56); con­ cezioni che trovano un'eco, alla fine dello stesso Trecento, nel dalla maga Melissa per Ruggiero e Bradamante - il poeta Dittamondo di Fazio degli Uberti (Il, XI, 67), il quale dice annota che tale padiglione in man d'Augusto e di Tiberio venne che l'imperatore Costanzo reda lasciò il figliuol (cioè Costan­ / e in Roma sino a Costantin si tenne. E aggiunge: Quel Co­ tino), per cui la Chiesa / ricchezza acquista e santità perdeo. stantin di cui doler si debbe / la bella Italia fin che giri il Nell'Orlando Furioso, che io sappia, un accenno in questo senso cielo. / Costantin, poi che il Tevere gl'increbbe, / portò in è contenuto solo nel canto XXXIV e precisamente là dove, nella Bisanzio il prez'ioso velo. descrizione di ciò che, perduto in terra, è accolto nella Luna, sono inseriti i seguenti endecasillabi (st. 80): Di vari fiori ad Ora, a me sembra significativo che questi tre motlvt, rap­ un gran monte passa / ch'ebbe già buon odore, or puzza forte. presentati in misura tanto parsimoniosa nel poema, siano in­ / Questo era il dono (se però dir lece) / che Costantino al vece sviluppati, starei per dire a perdita di fiato, nel Fram­ buon Silvestro fece. mento; dove essi appaiono incentrati, in particolare, sulla tri­ Quanto, infine, ai riferimenti esplicitamente romani, essi ste sorte nella quale per secoli incorse quella Roma che in esso scarseggiano nel poema. Sin dalla prima strofa Carlo Magno palesemente è considerata come caput mundi. Per quanto ri­ è chiamato imperator romano. A volte Orlando è designato guarda in modo specifico il motivo antitemporale, rilevo subito come il senator romano (per es.: IX, 88; XXIV, 84), in con­ che la impostazione di esso sulla pretesa donazione di Costan­ formità con la tradizione italiana, consolidata nei Reali di Fran­ tino non deve destare meraviglia; perché, se il romano Lorenzo cia di Andrea da Barberino, la quale, come è noto, fa nascere Valla ne aveva dimostrato già nel 1440 la falsità, le argo­ Orlando a Sutri e consacrare cavaliere a Roma, dove ab antiquo mentazioni di lui vennero pubblicate - e, si noti, in Germa­ esiste il Vicolo della Spada d'Orlando (ma tutta la toponoma­ nia - soltanto nel 1517 (coincidenza forse non del tutto ca­ stica laziale è costellata di reminiscenze rolandiane).
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