Luoghi d’incanto percorsi d’autore nelle terre dei laghi varesini con Chiara, Liala, Morselli, Rodari e Sereni

testi di Serena Contini, Romano Oldrini e Barbara Colli fotografie di Paolo Zanzi Redazione, art direction Indice e progetto grafico Paolo Zanzi 6 Condividere i “Luoghi d’Incanto” Testi 7 Presentazione Serena Contini Romando Oldrini 11 di Serena Contini Barbara Colli 17 Testi 27 Nota biografica e bibliografia citata Editing Sergio Sergenti Tiziana Zanetti 45 Liala di Serena Contini 49 Testi Fotografie 53 Nota biografica e bibliografia citata Paolo Zanzi Farabola, p. 48 anonimo, pp. 64, 88 59 Guido Morselli di Romano Oldrini Aldo Ballo, p. 105 65 Nota biografica

Impaginazione file 83 Gianni Rodari di Romano Oldrini studio paolozanzi con Giuliano Zanzi 89 Testi 92 Nota biografica e bibliografia citata Finito di stampare.... presso..... 95 Vittorio Sereni di Barbara Colli 105 Testi Si ringraziano per l’adesione al progetto gli Eredi di Chiara, Liala, Morselli, Rodari e Sereni 131 Nota biografica e bibliografia citata

132 Luoghi d’incanto: il territorio Condividere i “Luoghi d’Incanto” con Chiara, Liala, Morselli, Rodari e Sereni Eventi e pubblicazioni per percorsi d’autore nelle terre dei laghi varesini.

luoghi d’incanto sono i siti che si ritrovano nelle opere dei nostri autori del ’900 che l teatro delle terre e delle genti incastonato tra i laghi Maggiore, Iin queste terre hanno trovato occasione di vita, residenza e lavoro. Chiara, Liala, Varese e Ceresio rappresenta e testimonia i valori che hanno se- Morselli, Rodari e Sereni con i loro scritti hanno connotato il territorio dei laghi I della provincia di Varese. Il progetto “Luoghi d’incanto - percorsi d’autore nelle terre gnato e rendono unico questo territorio. dei laghi varesini con Chiara, Liala, Morselli, Rodari e Sereni” è cofinanziato da Regione Valori da condividere in difesa e valorizzazione di questi luoghi Lombardia e promosso dalla Comunità Montana Valli del Verbano in collaborazione con la Provincia di Varese e i Comuni di Varese, , Gavirate e Cassano Valcuvia. prealpini dove, tra splendori e criticità, è possibile sperimentare L’iniziativa ha l’obiettivo di favorire la riscoperta e la condivisione del patrimonio quell’armonia, paradigma per uno sviluppo consapevole e rispettoso culturale e naturale delle terre attorno ai laghi varesini. Al fine di concretizzare gli della qualità della vita. obiettivi del progetto sono state individuate principalmente due azioni. Da un lato la realizzazione di strumenti editoriali, pensati con un linguaggio divulgativo e ac- Questo territorio prealpino, moderno e multiforme, si ritrova in cattivante, dall’immagine alla parola, per comprendere e approfondire le tematiche care agli autori del ’900 ed i loro legami con il territorio. Dall’altro lato sono in questo libro con la complicità di autori di levatura quali Chiara, realizzazione eventi (teatro, laboratori) concepiti per coinvolgere emotivamente e Liala, Morselli, Rodari e Sereni. Gli scrittori nella loro autonoma culturalmente il pubblico e riproporre sotto diversa forma i valori letterari dei nostri autori del ’900. Sono in programma inoltre la realizzazione di supporti mediatici sul cifra letteraria sono accomunati dal legame con questo paesaggio tema del rapporto tra “luogo” geografico e “luogo” letterario. che metaforicamente si definisce nello sfibrarsi della luce che river- bera dai laghi e sui monti. A questi contenuti di poesia, pensiero e racconto, affidiamo il no- stro viaggiatore per un itinerario di preziosità che lo porteranno a ritrovare un rapporto autentico ed empatico con questi paesaggi art direction e redazione Paolo Zanzi prealpini. Luoghi d’Incanto dove ritrovare valori ed emozioni da grafica, impaginazione cui gli autori hanno tratto ispirazione per la loro opera letteraria. studio paolozanzi Questa raccolta, di cui il territorio è il primo autore, saprà sollecita- comitato organizzativo Massimo Colosio re nelle mani del lettore pensieri e rimandi per una scoperta creativa Silvia Bevilacqua e partecipata di questi luoghi. Paola Polmonari Andrea Campane Marco Magrini Claudio Bossi Presidente della Comunità Montana Valli del Verbano Maria Grazia Biancheri Simona Corbellini consulenza letteraria Barbara Colli Serena Contini Romano Oldrini Comune di Cassano consulenza teatrale Paola Manfredi contatti Dario Villa Comune tel +39 0332 991001 di Gavirate fotografia Paolo Zanzi massimo.colosio con l’adesione Associazione @vallidelverbano.va.it silvia.bevilacqua Città Amici di Piero Chiara, Eredi Liala, Morselli, @vallidelverbano.va.it di Luino Rodari e Sereni www.vallidelverbano.va.it

Pierohiara

Serena Contini

CTutto è accaduto in quel paese, perché tutto è accaduto in me «Malia del paesaggio forse, può darsi anche voce secreta che la Natura pronun- cia in ogni luogo diversa, ma è certamente questo un fatto positivo e non tra- scurabile, specie ai fini del turismo, ove si pensi che non sono i soli divertimenti mondani che alla gente fanno volgere i passi verso una determinata località, ma soprattutto la pace che il luogo promette e la serena e riposata gioia cui aspirano gli animi travagliati da una vita intensa e tante volte feroce. La pace, la serenità, tutto il conforto della Natura e dei suoi notevoli aspetti. Sono ciò che può donare a piene mani questa nostra terra, ubertosa, affacciata sulle felici sponde del più bel lago d’Italia». Piero Chiara attesta nel lontano novembre del 1934 su «L’Avvenire del Verbano» in un articolo intitolato alla sua città natale l’amore per la terra 11 che lo aveva visto nascere e crescere e per quel Lago Maggiore che aveva e avrebbe percorso su battelli e barche, soprattutto con la sua Tortuga e il suo Tranquillo. È la calma dei paesi e delle valli, è il silenzio diffuso del lago, è la serenità tutt’in- torno che divengono quiete dell’anima a farlo sentire partecipe del paesaggio. Questa empatia lo porta ad osservare nei più piccoli dettagli ciò che lo circonda, partendo da una visione globale per giungere ad esaltare il par- ticolare, riuscendo ad individuare aspetti e peculiarità che sfuggono agli occhi dei più, sia che si tratti di un ambiente naturale, sia che si tratti della descrizione fisica o psicologica di personaggi. Il suo immergersi nel paesaggio è a tal punto totalizzante da sollecitare i suoi sensi: lo scrittore non si limita a guardare con la vista, ma “guarda” anche con l’olfatto e l’udito. Abitando in un paese ventoso come Luino, è affascinato dagli odori che portano con sé i vari venti che si susseguono nel corso della giornata e giungono persino dalla sponda piemontese, come Chiara ha annotato nel racconto Ti sento, Giuditta, stampato da Vanni Scheiwiller nella collana «all’Insegna della Baita van Gogh» nel 1965: «…il vento fa come l’acqua della intorno ai piloni di : si divide contro il barbacane poi si riunisce subito dopo. Mettendosi con le spalle al vento, l’aria si divide dietro la nuca e si riunisce sotto il naso. Sapendola aspirare delicatamente si possono sentire gli odori che porta con sè da lontano... passai mattine intere sul molo per risentire gli odori, ma avessi dimenticato la posizione esatta o l’angolo giusto non mi riuscì di sentire mai altro che l’odore d’acqua e quasi di luce che ha p. 10, imbarco a Laveno: di confine tra luce ed ombra è fatta l’immagine, così di confini intriganti è colmo il Lago Maggiore di Piero Chiara

sempre il vento al mio paese». riggio l’inverna. Il paesaggio non è fatto solo da quello che si vede, ma anche da ciò che si Aprii la finestra del balcone e guardai il lago, che mi passava davanti come sente: suoni, rumori, voci sono intrinsecamente collegati all’ambiente e ne un fiume in piena. Sotto riva, protetto dal promontorio di Cannero e ancora costituiscono la sua tipicità. La loro percezione può far riaffiorare ricordi prima da quello di Carmine, era calmo come un olio, ma due o trecento metri e suscitare emozioni. Emblematico in tal senso appare essere il brano in- al largo correva, accavallando le sue onde in disordine fino a perdita d’occhio, titolatoUn altro paesaggio contenuto in Dolore del tempo, pubblicato nel oltre Santa Caterina, Arolo e Ranco, dove solitamente si calma estenuato dalla 1959 in memoria della madre Virginia Maffei: «Chissà quante volte ci siamo gran corsa». accorti, pur senza badarci, che esiste – del tutto indipendente dal paesaggio che Meta preferita, oltre a Cannero, era l’eremo di Santa Caterina, scenario fra i la nostra vista può abbracciare – un paesaggio dell’udito. Un paesaggio che è più suggestivi per chi giunge dal lago con quell’aspro strapiombo del Sasso situato dentro quello visibile, ma che è fatto di suoni, di rumori, di voci, e che Ballaro che precipita nelle acque scure e profonde. Ormeggiata la barca, sali- è tutto un lato del nostro contatto col mondo. va nel convento dove amava rifugiarsi per «godere la solitudine e il silenzio di Una di queste sere, d’improvviso, mentre leggevo mi sono accorto – per esempio – che quel lembo di terra», come scrive in un volume dedicato all’eremo. da qualche anno non sentivo più il fischio del tram che veniva dalle valli e traver- Fantasie e ricordi tipici del paesaggio dell’anima arrivano a scontrarsi inevi- sava tutta la città… Dal paesaggio urbano è scomparso quel fischio e tutto quanto tabilmente, con il passare degli anni e con le trasformazioni del paesaggio di agreste e montanino veniva in città col tram, come nella corrente di un vento non sempre felici dettate dallo sviluppo economico e sociale, con il mondo giornaliero. reale. Il rimpianto per la bellezza dei luoghi amati, alterati dal progresso, Nessun danno, di certo; anzi il progresso. La ruota gommata che ha sconfitto suscitano in lui una nota nostalgica che compare in molti dei suoi scritti 12 la rotaia… dedicati al nostro territorio. 13 Nello sconvolto paesaggio sonoro della città manca la puntuale presenza del La sua prediletta Valcuvia, quinta di articoli, racconti e romanzi, nella sua tram ed il suo fischio imperioso. E se ancora vi appare, talvolta, è solo per un’il- semplicità ha una grandezza derivatale dal verde dei suoi boschi e dei suoi lusione dei sensi, nella memoria di qualcuno che crede, ad un imprevisto mi- prati e dalla calma diffusa degli antichi borghi arroccati a mezza costa. raggio dell’udito, di sentire ancora quel fischio; e si chiede se il tempo è proprio Questa valle, sospesa tra terra e cielo, per anni era stata risparmiata dalla passato, se qualche cosa muore davvero in noi, anche nelle minime apparenze, dissennata urbanizzazione che l’avrebbe poi violentata e snaturata irrime- nel cadere di un’abitudine, nello smarrirsi di un ricordo o nel momento inav- diabilmente. Tale appare ancora nell’aprile del 1956 quando Piero Chiara vertibile in cui un vecchio tram scompare per sempre portandosi via un aspetto volle dedicarle l’articolo Tra i boschi della Valcuvia una pace antica e miste- del mondo e di noi stessi». riosa, apparso sul giornale «L’Italia»: «Non si apre sul lago, la Valcuvia, non Il suo paesaggio del cuore è senza ombra di dubbio il Lago Maggiore, il sbocca a una pianura. Va dal piede del San Martino che tocca Cantevria, fino “suo” lago che aveva percorso mille volte fin da quando coi battelli si recava alla stretta di Brenta, in un breve semicerchio… A chi scende dai boschi di Fer- da scolaro nei collegi di Intra e Arona. Ad allora risale l’attrazione profon- rera o dalle forre di Rancio, al contadino che alza il capo dai campi di Cunar- da per quelle acque a volte placide, a volte tumultuose, ma pur sempre do, al cercatore di funghi che sbuca dai forteti sopra Cassano, al cacciatore che amiche e rassicuranti. La sua curiosità innata e la sua passione trascinante la imbocca a mezza costa, al viandante che la percorre, al merciaio che ritorna lo spingevano ad indagare quel lago e a conoscere i più segreti movimenti dai mercati di Laveno o di Luino, la Valcuvia apre i suoi umili confini, il suo del fluttuare delle acque e del variare dei venti. Per non sottacere delle rive dolce riflesso di verde che svaria dal noce al castagno, nel folto dove il cuculo con i loro paesi, le loro ville e i loro giardini, visti dal lago nella cui quiete ingannevole canta. Vista dall’altura di Bedero e dagli sbocchi della Valganna, amava trascorrere intere giornate lasciando correre la sua fervida fantasia. Il sembra in leggera salita verso Cittiglio e i colli che la separano dal lago Mag- lago, scenario dominante nel romanzo La stanza del vescovo edito nel 1976, giore, dove il cielo, schiarito dai vapori lacustri, è limite al verde, all’azzurro, ha nei suoi confronti lo stesso potere seduttivo di una donna che muta ai suoni e alle voci che la valle raccoglie e chiude nella sua ferma atmosfera». d’abito: «Il sole non si era ancora alzato, ma un bagliore rossiccio annunciava, Pochi decenni più tardi la barbarie causata dal forsennato sviluppo dei dietro Luino, una lucida mattina di vento, di quelle che sembrano chiudere centri abitati in Valcuvia viene da Chiara sottolineata emblematicamente l’estate, dopo il Ferragosto, quando il lago, come una donna che cambi abito, nel titolo Valle perduta dell’articolo pubblicato su «Il Corriere della Sera» perde i suoi colori tenui e leggeri per vestirsi di azzurro intenso e qualche volta l’8 giugno del 1973: «La strada che la percorre da Cittiglio a Rancio, cioè di scuro turchino, se al mattino lo spazza la tramontana e lo ripettina al pome- lungo il suo corso ampliata, raddrizzata, asfaltata e battuta dal traffico, palesa i segni più netti della nuova epoca che il mondo sopporta. Segni purtroppo fuori dalla vicenda commerciale e dalla stessa eterna polemica sulle forme di grave intacco, ai due lati ai quali la valle non può opporre, come modulo dell’arte, per iniziare un discorso sereno col pubblico più vasto». insuperabile, che la medioevale torre di Canonica, divenuta quasi ridicola Chiara dimostrò la sua affezione per la Valcuvia anche scegliendola con la sua forte merlatura tra le case moderne che le si sono spinte sfronta- come luogo di buen retiro, acquistando una cascina a Rancio Valcuvia tamente ai piedi, fino a rompere il girotondo delle casette secentesche dei ove amava trascorrere il suo tempo nella pace e nell’ozio, come è testi- canonici che la circondava, insieme alla chiesa, in una stretta reverente e moniato, tra l’altro, dalle sue stesse parole riportate nel dattiloscritto festosa. La proliferazione edilizia è dilagata dai margini della strada alle conservato nell’Archivio Chiara di proprietà del Comune di Varese di pendici dei monti svilendo nobili prospettive e sovrapponendo alle antiche una sua intervista radiofonica alla Radio Svizzera Italiana: «Vado spesso vestigia della ricchezza e del rango le attrezzature meschine e presuntuose qui, tra Luino e Varese, in una cascina che ho qui tra i boschi della Valcu- della nuova civiltà». via in alto. Una vecchia costruzione mezza diroccata, circondata da prati, Ma è anche il trascorrere del tempo e il mutare del proprio animo a un po’ di frutteto inselvatichito e molto bosco. Lì passo qualche volta la fargli percepire negativamente i luoghi della sua infanzia, un tempo giornata, stando al camino della cucina o di sopra in una stanzetta con trasfigurati dalla sua immaginazione ed ora visti con il distacco dell’a- un’inferriata che guarda tra le vigne. D’autunno sparo a qualche tordo, ma dulto, come nella descrizione della strada di Colmegna inserita nella solitamente ci sto proprio in ozio». raccolta Dolore del tempo col titolo di La strada di allora: «Chi si inoltras- Ma il suo luogo ideale, ove ambientare le sue storie, è la città natale di se oggi, fuori dal paese, sulla strada di Colmegna, vedrebbe un paesaggio dei Luino, ferma e cristallizzata nei suoi ricordi che gli permettono di descri- meno eccezionali: colli ispidi e boscosi che scoscendono al lago sovrastati da vere personaggi e situazioni dietro il velo della memoria, protetti dalla 14 qualche rotto albero solitario, e al piede dei colli la strada serpeggiante che concretezza del presente e dalla banalità della cronaca. E il suo trasporto 15 scopre, alle svolte, ora un tratto di linea ferroviaria in alto, ora un lembo di per Luino è talmente smisurato da rendere inadeguata qualsiasi partitura riva sassosa in basso […]. Se questa la strada di allora, come è cambiato il di parole e qualsiasi approccio razionale come palesemente lo scrittore mio cuore! E mi domando cosa mai ci vedessi tanti anni fa, quando quella afferma nel già citato articolo intitolato Luino risalente al novembre del strada era lo scenario della mia fantasia, e in primo piano mi mostrava le 1934: «Molte voci hanno decantato i pregi e le bellezze di questa nobile terra immagini e i volti di una vita semplice, che era tutta la vita del mondo per luinese e sembra che ormai tutto sia detto; ma in Luino vi è qualche cosa di chi ancora non conosceva altra via alle sue evasioni». inesprimibile e di spirituale, che non può andare vestito di parole; è qualche La sua penna già negli anni Trenta – in chiave di promozione turistica – cosa di più che la tinta locale, è quel mistero di attrazione che fa innamorare invita i lettori a visitare i luoghi più suggestivi dell’Alto Varesotto, come di un luogo senza che ci si possa dar ragione del motivo, che dà all’animo ben traspare nell’articolo Il Monte S. Martino, apparso su «L’ Avvenire la sensazione di trovarsi finalmente dell’atmosfera che cercava e della quale del Verbano» il 30 aprile 1935 nella rubrica Mete del turismo, articolo sentiva l’esistenza e il bisogno». che si apre con una vera e propria ode al monte: «Sereno, ampio e solen- Il rapporto con la sua terra era compenetrante e non è possibile di- ne, / dalle placide valli ti elevi / o gran S. Martino. / Tu guardi nella vasta sgiungere Piero Chiara dal suo ambiente di vita fatto di paesaggi, fi- pace, / una dorata fuga di nubi / pel ciel vespertino». gure e accadimenti come egli stesso esplicita in maniera inconfutabile La valorizzazione dei paesi della Valcuvia lo porta a scrivere, in occa- nell’elzeviro intitolato Tutto accadde per quel paese pubblicato su «Il sione della pubblicazione nel 1967 di un volume dedicato al paese di- Corriere della Sera» il 13 aprile 1978: «Il mio paese, dandomi allo scri- pinto di Arcumeggia e curato da Manlio Raffo per l’Ente Provinciale vere, divenne lo sfondo di molte delle mie storie. Tutto è accaduto in quel del Turismo di Varese, un’introduzione in cui narra la storia del piccolo paese, perché tutto è accaduto in me. Guai, scrisse qualcuno, allo scrittore borgo divenuto nel 1956 il primo paese dipinto d’Italia: «Andare oggi che non ha dietro di sé un territorio preciso, una geografia e addirittura ad Arcumeggia vuol dire voltare le spalle per alcune ore alla febbre della una topografia ben definita, vissuta, nei confronti della quale possa verifi- circolazione automobilistica, alla vita convulsa delle città dove non è più care passioni e sentimenti». possibile soffermarsi a guardare una chiesa o un palazzo; vuol dire ritor- nare nella pace antica di un ameno villaggio fra i monti, dove con occhio calmo e riposato è facile prendere un contatto indisturbato col messaggio che alcuni fra gli artisti più eminenti del nostro tempo sono venuti a collocare Pierohiara CLuino, «L’Avvenire del Verbano», 30 novembre 1934 Luino, vasta e spaziosa, è lieta di sole, di fresche arie e di venti; il flutto azzurro le mormora innanzi, alle spalle si sollevano gli erborati colli, verde scalea verso i grandi monti. Per vederla intera la città, stendersi placida fra le due infinità turchine del cielo e del lago, bisogna guardarla salendo la strada per Lugano, e bisogna riposare qualche istante nel tardo pomeriggio sopra il colle del «Roccolo», per rimirare nelle prime foscosità del tramonto, l’agglomerato variopinto delle case e dei giardini, dal quale sale un pacato fragore di vita: la voce delle fabbriche, delle strade e della stazione, il rullio dei battelli ed il rumore di tutte le cose che si muovono laggiù, sotto il volo radente delle rondini. È cosa che rivela bellezze sempre nuove il vagare sui colli che fanno chiostra intorno alla città, fiorente di vita e di traffici. Non molti hanno sostato, per esempio, fra i dirupi di quei colli sopra 16 il tiro a segno, i quali strapiombano a nord sulla strada di Colmegna 17 all’altezza del «Bùrich». Da quelle rocce scavate da frequenti caverne e da crepacci profondi, antri da fiere o dell’uomo preistorico, seduti su un ronchione di roccia, si può vedere Luino… di profilo. Guardando da quelle vallette dirupate la vista è splendida specialmente verso l’ora del tramonto: la città che esce sul lago, staglia in nero sul cupreo specchio abbagliante dell’acqua la gettata del porto, la prominenza lieve della «Rotonda» quella quadrata sul campo Sportivo, e poi la foce del Tresa; più avanti il promontorio affilato del porto di Germignaga, chiude il golfo nel quale si gettano dai monti di Cannero, tutti i riflessi che ha lasciato nel cielo il sole scomparso. Oltre Germignaga altri piccoli golfi si ripetono sempre più indistinti nella polvere viola della sera, fino all’erta di Caldé, che è l’ultima cosa visibile nella foschia che involge il lago, verso il grande bacino delle Isole. Di fronte, Cannero è cupa e nera; i suoi aranceti ed i suoi tetri Castelli sono immersi nell’ombra delle montagne incombenti, ombra che si prolunga oltre in Isvizzera e invade il lago e lo oscura, fin quasi a metà; ma sotto chi guarda dall’osservatorio rupestre, l’acqua è ancora chiara, maculata dalle vaste zone ondose che vi segnano i primi sbuffi della brezza. Da quei picchi incoronati di ginestre si vede se esce una barca dal porto e si ode il suono delle campane; si è vicini nello spazio, lontani sulla terra, sospesi quasi nell’aria; sembra che lanciando un sasso debba un volto come luogo: cadere nel lago, e ogni tanto pare che la montagna tremi, pel fragore del Piero Chiara, photo Paolo Zanzi treno che ne percorre il cuore e che prorompe dalla galleria, trecento Lì dentro, quasi nascosto, come un piccolo paese a sé, colle sue vie e metri a perpendicolo sotto l’incauto osservatore. È il treno che varca il colle sue piazze, c’è il rione dei pescatori. Il visitatore vi vedrebbe reti confine, e che fra poco lasciate le sponde del lago, correrà verso il nord stese ad asciugare, qualche barca rovesciata colla carena al sole, fresca di rigido e nebbioso, riportando gli stranieri che hanno salutato l’Italia, nuova vernice e masserizie di casa fuori degli usci, bambini cenciosi e lasciando per ultime queste rive maliose. figure di vecchi pescatori seduti sulle buie soglie, donne che lucidano il Il treno fugge ansimando; dai dirupi intorno esce ogni tanto un falco rame o che stendono panni ad asciugare. Nell’aria c’è odore di pesce e e lascia l’aereo nido, per scendere sul lago in cerca di preda. Il luogo è di catrame. Fra quelle viuzze e quelle piazze che infine sono cortili, ci si impervio e selvaggio, e, guardata di lassù, la curva della città intorno al sente come in un luogo privato e si ha la sensazione di essere estranei ed golfo ed il digradante delle case e dei giardini, ha un aspetto più molle indiscreti. Da quel piccolo reame, il quale racchiude anche uno spazioso ed allettante. giardino cintato, due strade discendono a sbucare sotto due portici, Quando si scende con ancora negli occhi i bagliori del tramonto ammirato davanti al porto delle barche: sono la via Pescatori ed il vicolo del Porto. e nell’animo la grande pace di quell’ora, le vie della città, già invase dalle Niente lì dentro è mutato da centinaia d’anni; non si sono più costruite tenebre, sembrano più accoglienti e più movimentate. case e la topografia è rimasta intatta a ricordare i tempi in cui la pesca Si passa per Piazza S. Francesco, rione popolare pieno di gente e di ragazzi era fra le poche industrie della nostra città, alle origini del suo sviluppo. vociosi, e traversando la piazza Parrocchiale si scende per via Cavallotti, Ora che tutto è cambiato e che un soffio di rinnovamento ha mutato il ora via Michele Bianchi ed un tempo via dei Mercanti. Questa è la volto di Luino, è bello aggirarsi fra quelle umili vestigia di un passato vecchia Luino, la vera Luino, agglomerata intorno al primo nucleo dei tranquillo, di un’epoca che confrontata a questa delle macchine può 18 suoi abitanti, compresa entro poche vie strette e serpeggianti; vie nelle chiamarsi di contemplazione. 19 quali si aprono ad ogni passo labirinti angiporti ed oscuri portoni che Luino non è uno di quei paesi sovraccarichi di storia, i quali si vantano mettono in ombrosi cortili. Questi anditi, cari all’architettura popolare d’aver dato i natali ad una decina di Grandi ed hanno un ingente dei secoli scorsi, sono gli interni della città vecchia, sconosciuti o quasi ai patrimonio di ruderi romani e medioevali. nuovi abitatori, a quelli che sono usi agli spaziosi viali di recente aperti ed Luino ha dovizia soltanto di sole e di aria e di acque azzurre; se non alle luminose dimore che sono sorte in questi ultimi anni. È in quelle vie vi sono testimonianze abbondanti della gloria degli antichi luinesi, il fra quegli anditi, che nelle discussioni dei popolani e spesso nelle baruffe paesaggio incomparabile manifesta che qui gli animi dovettero sempre delle comari, fiorisce ancora intatto quel vecchio ed un poco duro idioma essere aperti al bello ed alle ispirate forme dell’arte. E tutta questa luinese, del quale si va perdendo ogni giorno la primitiva aspra purezza, bellezza che vibra nell’aria la riassume Bernardino Luini, il più soave per la snobistica infiltrazione del dialetto milanese. pittore del cinquecento, e l’infuse nell’effige gentile delle sue Madonne, Uno tra i più belli di quei cortili è quello della casa Luini, da esso si le quali bastano a giustificare ogni entusiasmo per questa terra che discende per un grande scalone ammuffito in un dedalo di piccole corti seppe ispirare tanta potenza di creazione e tanto sentimento artistico. che sono radure nel bosco fitto delle case, sopra le quali ride una breve Nella vecchia Luino si sente ancora l’aria dell’antico borgo e rimane tenda azzurra, di cielo. C’è l’altro bellissimo della secentesca casa Zanella, viva nella sua rustica bellezza, la poesia del piccolo paese sereno, al al quale le deturpazioni recenti non hanno potuto togliere un’aria piede dei monti, sulle rive del lago. signorile e quasi conventuale; da questo si esce pel portone che sta Ma la vita luinese dopo la guerra e specialmente dopo l’avvento del sopra le due scale granitiche poste davanti alla casa Zanella a formare Fascismo, ha preso un impulso nuovo in tutte le sue manifestazioni. l’architettonico complesso della facciata, ornata da un balconcino e da Ha dovuto adattarsi ai tempi nuovi vivendo un ritmo di vita più intenso finestre del più puro seicento. e più elevato e rinnovandosi anche nell’aspetto esteriore. Altri cortili penetrano nella massa delle case susseguendosi, fino a confinare Ora chi parla di Luino, nomina i suoi grandi viali, le sue nuove vie, il colla cinta della villa Crivelli Serbelloni o ad uscire nelle vie parallele. suo Lido e tutto ciò che ora è ricercato e fa ricercare questa nostra città Se il curioso visitatore al quale io sto abbozzando degli itinerari, volesse, oltre che per il clima, anche per il comfort che è in grado di offrire al trovandosi in via M. Bianchi, avventurarsi per quel passaggio chiamato turista ed al villeggiante. «Stresciun», il quale è ritenuto la più stretta via del mondo, si troverebbe Molte voci hanno decantato i pregi e le bellezze di questa nobile terra in un quartiere nuovo, del quale mai aveva sospettata l’esistenza. luinese e sembra che ormai tutto sia detto; ma in Luino vi è qualche cosa di inesprimibile e di spirituale che non può andare vestito di parole; è comprende Mesenzana, Brissago e Roggiano, e ancora emerge Cassano qualche cosa di più che la tinta locale, è quel mistero di attrazione che Valcuvia, rifugiato proprio sotto il precipizio del colosso. fa innamorare di un luogo senza che ci si possa dar ragione del motivo, Dall’altra parte che è esposta ad occidente e battuta più a lungo dal che dà all’animo la sensazione di trovarsi finalmente nell’atmosfera che sole, i paesi aggrappati alle falde del monte sono più numerosi. cercava e della quale sentiva l’esistenza e il bisogno. Cuveglio, parte di Canonica, e poi Vergobbio, Arcumeggia, Casale, È in questo sentimento la spiegazione del fatto da chiunque osservato Zuigno e tutti gli altri abitati della Valcuvia, ai piedi del massiccio, fino che a Luino sono più gli immigrati che i luinesi autentici. In poche a Cittiglio ed a Laveno. parole, chi viene ci resta facilmente, ed è così che per tanti Luino è Da questa corona lieta di paesi, si erge la maestosa mole del selvoso S. diventata la patria d’elezione. Martino, che tanto si alza nel cielo azzurro, fino a vedere sul fondo della Malia del paesaggio forse, può darsi anche voce secreta che la Natura grande pianura lombarda, le guglie del Duomo di Milano. pronuncia in ogni luogo diversa, ma è certamente questo un fatto Solcato dalle strade militari e penetrato dai camminamenti e dalle positivo e non trascurabile, specie ai fini del turismo, ove si pensi che fortificazioni, questo monte pacifico e solenne, dalla fisionomia capar- non sono i soli divertimenti mondani che alla gente fanno volgere i bia e bonaria ad un tempo, offre a chi lo sale e lo percorre il più vasto passi verso una determinata località, ma è soprattutto la pace che e variato orizzonte. il luogo promette e la serena e riposata gioia cui aspirano gli animi Salendo da Mesenzana, piccolo borgo che nel nome storpiato ricorda travagliati da una vita intensa e tante volte feroce. Massenzio e l’origine romana, agli occhi dell’escursionista si apre lenta- La pace, la serenità, tutto il conforto della Natura e dei suoi notevoli mente ad ogni svolto di sentiero, la visione dell’ampio golfo di Luino e 20 aspetti, sono ciò che può donare a piene mani questa nostra terra, del bacino superiore del Lago Maggiore. 21 ubertosa, affacciata sulle felici sponde del più bel lago d’Italia. Si è costretti ad interrompere spesso la rapida salita, per voltarsi a guardare continuamente il panorama che aumenta sempre d’estensione, Il Monte S. Martino, «L’Avvenire del Verbano», 30 aprile 1935 che si accresce ad ogni passo d’una cima nuova, d’un altro paese, d’un altro tratto di sponda. Sereno, ampio e solenne, Da lassù Luino la si vede estendersi ed occupare tutto lo sbocco della dalle placide valli ti elevi Valtravaglia, davanti all’ampio lago, con l’agglomerato delle sue case, o gran S. Martino. dei suoi palazzi e delle sue ville fiorite. Tu guardi nella vasta pace, Guardando la città da quell’altezza che la rivela in tutta la sua estensione e una dorata fuga di nubi nella sua posizione particolarmente privilegiata, si sente ravvivarsi in cuor la pel ciel vespertino speranza nei destini futuri di quest’incantevole luogo, troppo sconosciuto, L’ultimo sol ti saluta, troppo disprezzato, e deturpato dall’incuria che è durata cent’anni. lascia il tuo fianco boscoso; Mentre le altre città del lago si attrezzavano fino a raggiungere la fama e la piccola chiesa internazionale di e di Pallanza, Luino vegetava, sorda al movimento che lassù in culmine sorge, turistico che doveva diventare una grande industria, e si limitava ad vede nell’ombra già persa effettuare il rapido trasbordo dei forestieri dalle stazioni ai battelli. l’opposta distesa… Un po’ con ritardo, ma anche Luino ora è in marcia e marciano anche Il S. Martino esce come un poderoso barbacane a segnare la divisione tra le nostre speranze. la Valcuvia e la Val Travaglia e si riaccosta coll’altra parte alla catena breve Dalla cima del S. Martino, Luino non è più che una breve macchia dei monti che termina col Sasso del Ferro, strapiombante sul lago. chiara, tra il verde dei colli e l’azzurro delle acque. Dappertutto i monti Dalla vetta del Monte Lema, queste due alte montagne, e tra di loro riempiono la visuale, e le cime nevose delle Alpi che si estendono fino il monte Colonna, si vedono come una massiccia isola sorgente tra all’ultimo orizzonte, formano un maestoso complesso, pieno di solen- due valli piane, coperta da boschi fitti, tra i quali emergono i picchi nità e di silenzio. rocciosi ed i paesi circondati dai prati verdi. Si scorge disteso su tre Su questa cima, dove sorge quadrata ed armoniosa la chiesetta romanica, colline a contrafforte del monte, il comune di Brissago Valtravaglia, che non è che pace e silenzio. Quest’antico e angusto tempio è senza campane ed è chiuso. Arcumeggia la galleria all’aperto dell’affresco Silenzio. a cura di Manlio Raffo, La Tipografica Varese, Varese 1967, pp. 5-12 Alle inferriate delle sue finestrelle ci sono dei fiori semplici di montagna, ricordo di qualcuno che passò, che attaccato colle mani a queste sbarre, I Romani, o gli antichi italici che prima di loro tracciarono le strade pregò in silenzio, penetrando con lo sguardo e con animo nel buio oratorio. destinate a congiungere la zona pedemontana e quella alpina alla Solo gli uccelli e il sole e la primavera abitano quassù, e della loro pianura del Po, evitarono l’ostacolo dei laghi e delle costiere tagliate a musica, si riempie il silenzio della montagna. picco aggirando i massicci e raggiungendo le sponde dove la foce di un Anche Luino e la parte di orizzonte verso nord, per un momento non fiume o d’un torrente spianava il profilo dei monti. ci interessa più e lo sguardo gira lentamente verso il monte Palumbo, Ceresolo per esempio, presso Cerro, dice il Morigia nella sua «Historia il Tamaro, il Gradicioli ed il nostro Lema, che distende al sole le verdi della nobiltà, et degne qualità del Lago Maggiore», «vogliono che sia praterie pallide della sua vasta cima. il luogo dove nel passaggio si fermasse Giulio Cesare nell’andare in Lo sfondo fin qui uniforme, si complica e si frastaglia poi coll’ingar- Francia». Per cui Ceresolo «è parola corrotta, che vuole dire Cesarolo». bugliato insieme dei monti che sovrastano il lago di Lugano: il Monte Le strade che risalendo lungo il si affacciarono alle Prealpi, Brè, il Generoso e dietro ad altre vette, lontano, a chiusura dello scena- costrette a deviare, scoprirono un fertile retroterra, cosparso di laghi rio, lo Spluga nevoso, segno del confine vero. minori e propizio al formarsi di comunità contadine. Là termina l’Italia, là ed al Gottardo; e fra il confine politico e quei Il percorso che faceva capo all’ultima propaggine del lago Maggiore termini posti dalla natura, freme d’italianità la generosa terra ticinese. toccò brevemente le rive per poi girare intorno ai rilievi di e di 22 Lo sguardo passa ai monti del lago di Como e si stende quindi lungo la ; giunto davanti ai monti di Laveno, li contornò lungo la Valcuvia 23 ferace ed immensa pianura lombarda, piena di città popolose, solcata e la Valtravaglia per riaffacciarsi sul lago a Germignaga o a Luino, dai canali e dai fiumi. Il Ticino, sotto il sole, dà barbagli di rame, donde salì per i colli, diretto ai valichi che mettevano dentro il cuore snodandosi lentamente nel piano. delle Alpi. Quei luoghi, ancora senza nome, o con nomi che il tempo La scena si varia nuovamente con un altro non meno altero complesso avrebbe corrotto e mutato, cominciavano a legarsi insieme con un filo di montagne, sulle quali troneggia il gigante sempre nevoso del Monte destinato a persistere con lievi modifiche nei secoli e a determinare il Rosa; sono tutti i monti della sponda piemontese del lago Maggiore, formarsi di paesi e città. che terminano al confine con la regolare piramide del Limidario. Rimaneva isolata, tra i monti di Laveno e la rocca di Bedero, la conca E l’occhio si abbassa nuovamente dopo il grande volo, e ritrova Luino, della Valtravaglia, pianeggiante e ricca di terreni coltivi, ma raggiungibile donde era partito nella grandiosa rassegna. soltanto da due piccoli passi collinari tra Bedero e , tra Discendendo dal S. Martino per il versante della Valcuvia, dopo le alpi il Cuvignone e il S. Antonio. Dalla Valcuvia si saliva a Vararo, o più di «Bis», a metà costa, s’incontra il ridente paesello di Duno, terrazza agevolmente ad Arcumeggia, per scendere nell’amena Valtravaglia che aperta sulla spaziosa valle. doveva lentamente costellarsi di paesi: Caldè, Porto, Sarigo, Muceno, Da qui, secondo un progetto che procede rapido verso la realizzazione, San Pietro, Castello Veccana, Nasca, Domo, Ronchiano: un piccolo dovrebbe partire una serie di cappelle che a regolari intervalli, giunge- mondo che ebbe il suo lento sviluppo e che ancora si raccoglie in un rebbe fino alla cima del S. Martino. insieme armonioso. La geniale proposta di queste costruzioni, formulata dal nostro egregio Arcumeggia, alta sulla Valcuvia, fu luogo di passo, con qualche osteria cav. don Carlo Cambiano, ebbe l’appoggio di un Grande Scomparso: e locanda, fin da epoche lontane. Si aggruppò sul colle, richiamò a sé Arnaldo Mussolini. gente del piano, contadini e pastori, e traversò per secoli una lunga Questo è pegno sicuro di successo, e siamo certi che fra non molto, vicenda che la storia non registra. Qualche pietra, qualche tomba, i attirati da quest’opera che si annuncia veramente interessante, e dalla rudimenti latini del suo nome (Arx media) e qualche voce celtica, latina migliorata viabilità del monte, molti di più saliranno a godere sul S. o longobarda del suo dialetto, sono quanto rimane. Martino, l’immensa e riposante pace delle altitudini. In epoche più vicine a noi, molti dei suoi abitanti si unirono ai flussi migratori diretti verso le Americhe, e poi stagionalmente verso la Francia, la Svizzera, la Germania e l’Algeria. I capimastri, i muratori e gli d’incontro dell’arte. Per i pittori che vi andavano ad eseguire affreschi, imbianchini che tornavano al paese nel periodo invernale, ricostruirono l’Ente Provinciale per il Turismo attrezzò e mise a disposizione una un anno dopo l’altro il paese per prepararsi la dimora della vecchiaia. comoda casa. Le antiche casupole si alzarono di qualche piano, si aprirono terrazze e In pochi anni l’iniziativa ha preso piede, ha trovato il consenso del loggiati, nuove costruzioni si aggiunsero e anche la chiesa, sopra un rilievo pubblico e della critica e si inserisce oramai tra quelle manifestazioni di fronte al paese, divenne più ampia, pur sacrificando le forme primitive turistiche di alto livello che realizzano un fine di cultura associandolo che la legavano alla vasta rete delle chiese romaniche della regione. Il a motivi di diletto e di nobile evasione. Il volto del paese può dirsi passo o colle verso la Valtravaglia non fu più che un modesto sentiero e le ormai mutato, ringiovanito quasi dalla sua nuova fisionomia di gran case, tutte rivolte verso la Valcuvia e orientate tra mezzogiorno e ponente, laboratorio all’aperto che i pittori hanno sovrapposto a quella antica, divennero altrettanti balconi affacciati sopra la verde conca che si apre da prettamente rurale. Rancio a Cittiglio, chiusa dal S. Martino e dal S. Antonio verso nord e Andare oggi ad Arcumeggia vuol dire voltare le spalle per alcune ore dal Campo dei Fiori verso la pianura lombarda. alla febbre della circolazione automobilistica, alla vita convulsa delle città dove non è più possibile soffermarsi a guardare una chiesa o un La riscoperta di Arcumeggia avvenne ai primi del secolo da parte di palazzo; vuol dire ritornare nella pace antica di un ameno villaggio fra i modesti villeggianti milanesi che si contentavano di qualche stanza monti, dove con occhio calmo e riposato è facile prendere un contatto ariosa, del latte fresco e dell’aria pulita. Ma di una vera ripresa si poté indisturbato col messaggio che alcuni fra gli artisti più eminenti del parlare solo quando l’Ente Provinciale per il Turismo di Varese nel 1956 nostro tempo sono venuti a collocare fuori dalla vicenda commerciale e 24 pensò di ambientare ad Arcumeggia una serie di affreschi, chiamando a dalla stessa eterna polemica sulle forme dell’arte, per iniziare un discorso 25 coprire le pareti esterne delle case i maggiori pittori contemporanei. Le sereno col pubblico più vasto, che fu sempre il pubblico naturale dei strade della Valcuvia conoscevano da qualche secolo la libera e fantasiosa grandi pittori di muraglie del passato, dai tempi in cui «Les cloîtres attività degli affrescatori popolari. Paesi come Rancio e Cantevria erano ancies sur leur grandes murailles / étalaient en tableaux la sainte verité», cosparsi di affreschi lungo le vie o dentro i cortili, nei quali si ripeteva a fino a quando gli affreschi adornarono le ville di delizia, le dimore fine devozionale e votivo la tradizionale iconografia cristiana consacrata principesche e, nelle versioni popolari, le Vie Crucis, i sacri monti, le nelle chiese. La passione dell’affresco, del manifesto murale permanente solitarie edicole tra i campi o lungo le salite dei monti. Arcumeggia della pietà, poteva trapassare in una manifestazione artistica vera è quindi non solo un ritorno e una ripresa della tradizione artistica e propria, tale da trasformare un intero paese in una mostra capace lombarda, ma anche la celebrazione del popolo delle Prealpi, per secoli di documentare una tecnica mai abbandonata dalla pittura italiana e operoso in ogni parte d’Europa. sempre rifiorente anche fuori dalle esigenze del culto. Si trattava di offrire ai pittori l’occasione di un colloquio aperto col pubblico e al I giorni dell’eremo. Santa Caterina del Sasso Ballaro tempo stesso di favorire la partecipazione di ogni strato sociale alla Diakronia, Lainate 1986, p.12 problematica delle forme pittoriche, che anche qui si propone, talvolta tra astratto e figurativo e, nell’ambito figurativo, tra le singole e qualche A chi è nato e vissuto sul Lago Maggiore o vi dimora da tempo volta contrastanti personalità dei vari artisti. essendovisi domiciliato per necessità o per scelta, diventa nota assai L’idea, che era sorta nell’ambito delle iniziative turistiche, arrivò ad presto l’esistenza di una località chiamata Santa Caterina del Sasso. Un imporsi come avvenimento artistico per merito dei Maestri chiamati luogo che percorrendo il lago in battello o lungo le strade costiere non all’impresa, fra i quali si possono riconoscere i nomi più risonanti della càpita sotto gli occhi e che bisogna ricercare, tra Reno e Arolo, dopo pittura contemporanea italiana. aver lasciato la strada che segue la cosiddetta “sponda magra”. L’Accademia di Brera trovò opportuno aprire ad Arcumeggia un corso Aggrappato allo strapiombo d’una roccia, il santuario regge da secoli estivo di tecnica dell’affresco per i suoi allievi; critici, appassionati nonostante la sua precaria posizione tra lago e cielo, offrendo alla d’arte, turisti e curiosi di ogni specie accorsero ad Arcumeggia a seguire, venerazione dei devoti il simulacro d’un beato Alberto da che di anno in anno, l’apparizione di nuovi racconti pittorici sulle pareti per primo avrebbe scelto quel rifugio, facendone un eremitaggio al dell’incontaminato villaggio che diventava di giorno in giorno un luogo quale si accostarono in seguito le costruzioni di un piccolo convento. Varie fraterie si succedettero nel Santuario, che illustrato da alcuni Nota biografica miracoli, ha sfidato il tempo, resistendo al continuo franamento di enormi massi dal ciglio della impervia costiera, all’abbandono dei Piero Chiara nacque il 23 marzo 1913 a Luino (Va), dove trascorse la sua fedeli e anche dei frati. Poco accessibile dal retroterra e anche dal lago, infanzia e parte della sua giovinezza. Gli insuccessi in campo scolastico lo l’eremo, la chiesa e i fabbricati che vi si aggiunsero, nella loro umiltà e portarono ad alternare agli studi brevi esperienze lavorative sia in Italia sia riservatezza vennero sempre considerati la gemma più nascosta ma più all’estero. Dopo la licenza complementare conseguita nel 1929 trovò impiego preziosa del Lago Maggiore. nella Pubblica Amministrazione come aiuto cancelliere dapprima presso I visitatori settecenteschi o ottocenteschi del lago, da Ruskin al Taine, al la Pretura di Pontebba (Ud) e dopo qualche anno presso quella di Varese. de Saussure, a J.J. Rousseau, Butler, Byron, Stendhal, Dumas, Flaubert, L’insofferenza nei confronti del Partito fascista, palesata in più occasioni, lo Gautier e tanti altri, rapiti dalla bellezza delle Isole Borromeo, o presi costringerà il 23 gennaio 1944 a trovare rifugio in Svizzera. La permanenza nei dalla fretta, non si accorsero di Santa Caterina, che venne trascurata campi di internamento svizzeri, che si concluse nell’agosto del 1945, consentì anche dai vedutisti svizzeri, tedeschi e francesi che arrivarono sul a Chiara di incontrare e di confrontarsi con i più importanti rappresentanti della cultura svizzera e italiana, di iniziare una proficua collaborazione con Verbano nei primi decenni dell’800 per ritrarne gli aspetti più suggestivi. giornali e riviste, di dare alle stampe la sua prima opera, la raccolta di poesie L’unico che ne fu colpito e che ne riprese l’immagine pur con qualche Incantavi. Nel dopoguerra andò intensificando la sua attività letteraria come elemento d’invenzione, fu un poco noto artista, tal Chevalier, nel 1857, critico e saggista per addivenire poi alla prosa e alla narrativa con opere che lo il quale fece poi incidere una stampa da un altrettanto sconosciuto consacreranno come uno dei più importanti scrittori del Novecento. Morì a Steinicken. La tavola, che figura nella Raccolta Bertarelli di Milano Varese il 31 gennaio 1986. 26 e nella Collezione Zipoli, è catalogata al n. 224 in “Elogio del Lago 27 Maggiore”, edito dalla Banca Popolare di Intra. Così grave disattenzione trovò riparo con l’avvento della fotografia. Bibliografia citata Professionisti e dilettanti, pur disponendo di un solo punto sul quale alzare il cavalletto, tanto era esiguo e limitato lo spazio, tempestarono Luino, «L’Avvenire del Verbano», 30 novembre 1934 Il Monte S. Martino, «L’ Avvenire del Verbano», 30 aprile 1935 di scatti l’umile rifugio, che diventò rapidamente il simbolo più Tra i boschi della Valcuvia una pace antica e misteriosa, «L’Italia», 3 aprile 1956 riconoscibile del lago, in gara con l’arcipelago Borromeo. Dolore del tempo, B. Rebellato, Cittadella di Padova 1959 In quanto a me e per quel che può contare, ho scoperto Santa Caterina Ti sento, Giuditta, «all’Insegna della Baita van Gogh», V. Scheiwiller, Milano 1965 intorno al 1938 sfiorando con la mia barca a vela lo strapiombo del Sasso [Introduzione], Arcumeggia, la galleria all’aperto dell’affresco, a cura di Manlio Ballaro. Da allora, molte volte ho ormeggiato il mio piccolo naviglio ai Raffo, La Tipografica Varese, Varese 1967 piedi della roccia e sono salito alla chiesa restando per ore sotto un fico, Valle perduta, «Il Corriere della Sera», 8 giugno 1973 ora scomparso, a godere la solitudine e il silenzio di quel lembo di terra. La stanza del vescovo, A. Mondadori, Milano 1976 Altre volte vi sono andato da Cerro, per la stradina che segue il ciglio Tutto accadde per quel paese, «Il Corriere della Sera», 13 aprile 1978 della roccia e sono sceso, di rampa in rampa, fino all’ingresso dell’eremo. Introduzione, in I giorni dell’eremo. Santa Caterina del Sasso Ballaro, Diakronia, La donna dell’osteria che si era installata nei locali dei frati scomparsi, mi Lainate 1986 dava la chiave d’un cancelletto che metteva al sagrato e alla chiesa. Seduto Dattiloscritto anepigrafo, Musei Civici di Varese, Archivio Piero Chiara, s.d. sui parapetti caldi di sole, avevo davanti l’intero bacino centrale del lago, le Isole Borromee e un bel tratto della catena alpina. pp. 28-32, Il timpano del tribunale, la fontana di Piazza Monte Grappa, lo storico Caffè-Pasticceria di Corso Matteotti, il pregio vittoriano dei fregi architettonici in Varese sono “l’altro confine” dei luoghi d’incanto del luinese Piero Chiara

28 29 30 31 p. 34, Laveno, Lago Maggiore, «La pace, la serenità, tutto il conforto della Natura e dei suoi notevoli aspetti. Sono ciò che può donare a piene mani questa nostra terra, ubertosa, affacciata sulle felici sponde del più bel lago d’Italia», Piero Chiara, Luino, «L’Avvenire del Verbano», 30 novembre 1934

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«... ho scoperto Santa Caterina intorno al 1938 sfiorando con la mia barca a vela lo strapiombo del Lago Maggiore, Sasso Galletto Sasso Ballaro. Da allora, molte volte ho ormeggiato il mio piccolo naviglio ai piedi della roccia e sono salito alla chiesa restando per ore sotto un fico, ora scomparso, a godere la solitudine e il silenzio di quel lembo di terra.» Piero Chiara, I giorni dell’Eremo. Santa Caterina del Sasso Ballaro, Diakronia, Lainate 1986, p.12

36 37 Valcuvia, «A chi scende dai boschi di Ferrera o dalle forre di Rancio, al contadino che alza il capo dai campi di Cunardo, al cercatore di funghi che sbuca dai forteti sopra Cassano, al cacciatore che la imbocca a mezza costa, al viandante che la percorre, al merciaio che ritorna dai mercati di Laveno o di Luino, la Valcuvia apre i suoi umili confini, il suo dolce riflesso di verde che svaria dal noce al castagno, nel folto dove il cuculo ingannevole canta.» Piero Chiara, Tra i boschi della Valcuvia una pace antica e misteriosa, «L’Italia», 3 aprile 1956 Il Monte S. Martino dal Lago di Ganna, «Sereno, ampio e solenne, / dalle placide valli ti elevi / o gran Luino, porto, «... in Luino vi è qualche cosa di inesprimibile e di spirituale che non può andare vestito S. Martino. / Tu guardi nella vasta pace, / una dorata fuga di nubi / pel ciel vespertino». Piero Chiara, di parole; è qualche cosa di più che la tinta locale, è quel mistero di attrazione che fa innamorare di un Luino, «L’ Avvenire del Verbano», 30 aprile 1935 luogo senza che ci si possa dar ragione del motivo.» Piero Chiara, Luino, «L’Avvenire del Verbano», 30 novembre 1934 pp. 42-43, i castelli di Cannero fronteggiano Luino

Amaliaiala Liana Cambiasi Negretti Odescalchi

Serena Contini

LRivedere con gli occhi dell’anima «Ed ebbe il desiderio violento di fermarsi, di piegare la testa e di lasciar traboccare ciò che era dentro di lei, ciò che la soffocava, la faceva impazzire, la faceva soffrire e non le concedeva più di pensare alla vita con la gioia sincera dei tempi andati… Fermò. Quieta la strada e mite il vento. E l’uragano dentro di lei. E qualche cosa di nuovo dinnanzi a lei: come se le mura, gli alberi, i sassi oscillassero, come se tutte le cose terrene affogassero spente e vinte sotto una cascata trasparente…». Il paesaggio nelle innumerevoli pagine di Liala non è certamente un ele- mento preminente: nei suoi romanzi sono i sentimenti e la loro evoluzione, espressi in continui dialoghi, a dominare e a determinare le vicende. Quando la scrittrice si sofferma su descrizioni paesaggistiche, queste sono sempre intimamente legate allo stato d’animo dei suoi personaggi. 45 La natura non sembra essere autonoma, ma bensì vincolata a chi la osserva. Ed è - nel passo precedente - il tumulto dei sentimenti provati da Rosaria, protagonista del romanzo Il sole se tramonta può tornare, la quale si accorge di essere innamorata di un uomo pur essendo fidanzata ad un altro, che rende burrascoso anche ciò che la circonda. Così come quando, nello stesso romanzo, l’uomo di cui si è innamorata, lo scritto- re americano Willy Grant, decide di lasciare il prima possibile Milano per tornare in Valganna spinto dal desiderio irrefrenabile di rivedere la sua amata Rosaria, il paesaggio partecipa, durante quella corsa in au- tomobile con la sorella, alla dolcezza del pregustato incontro. E tutto è più verde, tutto è illuminato dal sole: «Per completare la sua gioia, lungo l’autostrada che li conduceva da Milano a Varese, andò loro incontro il sole. A Milano avevano lasciato un poco di nebbia e molto grigiore: a metà per- corso dell’autostrada, il sole invase l’automobile e l’ombra della macchina si proiettò su qualche erba tenera e su una precoce pratolina. Per i boschi, su per i colli, giù lungo le digradanti zolle, c’era un tentativo di primavera. Gocce di verde tenerissimo. Come se passando a volo un pittore da fiaba avesse scrollato qua e là la sua tavolozza tinta di verde». Nel romanzo autobiografico Ombre di fiori sul mio cammino la protago- nista Liana, forzatamente lontana dal marito Paolo che si era trattenuto in Liguria, al suo arrivo a Varese, appare provata dalla malinconia e dal- la solitudine. E tali sentimenti si proiettano sul lago di Varese che ella vede per la prima volta: lo stesso lago dunque «era assai malinconico» tanto che il luccichio dell’acqua sotto la luna le evocava il pianto: «E si p. 44, uno sguardo di scorcio tra luci, ombre e riflessi dedicato a Liala

guardò attorno. Silenzio. E una malinconia che penetrava l’anima. E una roso lassù, attorno a campane e campanile». tristezza di terra addormentata che stringeva il cuore. E un brillare cheto Nuovamente il rapporto tra luogo e esperienza vissuta è assoluto. di acque che faceva pensare al pianto». Esempio emblematico è il brano intitolato Dieci chilometri di pensieri Il rapporto di Liala con l’ambiente circostante è inoltre profondamente in cui la scrittrice percorre l’itinerario lacustre da Varese a Gavirate per influenzato dalla memoria del suo vissuto. Persino il lago di Varese non infilarsi in una strada secondaria, ma per lei lastricata di reminescenze e esiste in lei se non in funzione dei suoi ricordi, principalmente legati di nostalgia, che è stata intitolata proprio al suo aviatore. Quella strada all’amato aviatore Vittorio Centurione Scotto, precipitato proprio in breve e stretta si dilata nella dimensione del ricordo, nel nome del loro quelle acque con il suo velivolo il 21 settembre 1926. amore e delle loro passeggiate in macchina lungo il lago percorrendo Nell’evocare i tanti momenti felici del loro amore trascorsi in località Schi- proprio quella via. E Liala sembra voler rimanere immersa in quella ranna sul lago di Varese durante gli allenamenti dell’ardimentoso pilota, la dimensione, assaporandone ogni attimo: «La macchina va adagio, i miei scrittrice rende partecipi delle sue emozioni la terra, il lago, il cielo. pensieri non hanno fretta, i miei ricordi così tenaci restano in me e non «Era così bello, tanto, tanto tempo fa, scendere al lago di Varese e guardare conoscono corse e velocità». lui che si allenava su un apparecchio veloce». Una delle passeggiate preferite da Liala - che amava osservare il paesaggio Il ritorno a quei luoghi, anche a distanza di molto tempo dalla sciagura, rimanendo in assoluto silenzio - era andare in Valganna e ai suoi laghetti, non può che intristirla profondamente: «Oggi che sono passati tanti, tanti luogo citato più volte nei suoi scritti, fin dal primo e fortunato romanzo anni e lui riposa nella sua bara avvolta nel tricolore, io sono stata al lago. Signorsì, pubblicato da Mondadori nel 1931: «Scesero dall’automobile ed Non c’era nessuno, l’acqua era grigia e non limpida come un tempo. Ho cer- entrarono in un modesto albergo che si pavoneggiava specchiandosi in un cato il punto dove stavo allora e ho guardato su. Nulla. Un gran cielo inerte lago piccino, così piccino che la facciata non poteva murarvisi tutta. Era uno 46 e vuoto. D’improvviso, mi sono sentita stanca o più che stanca, annoiata, di quei laghi che la natura, correndo a portare qua e là bellezze e splendori, 47 con tanto vuoto dentro». aveva lasciato cadere, forse sbadatamente, nel verde della Valganna deserta. Senza il suo «Amore» nulla è più lo stesso. Nel brano Un attimo di silen- Piccoli laghi di brividi di estate, immobili, sotto il manto ghiacciato l’in- zio, contenuto nell’autobiografico Diario Vagabondo, edito dalla Sonzo- verno. Furio con Emma s’avvicinò all’acqua tranquilla…». E ancora nel gno nel 1977, la scrittrice racconta le giornate trascorse in riva al lago romanzo Il sole se tramonta può tornare, ambientato nel Varesotto: «C’era di Varese ad osservare le esercitazioni dei piloti. Nel racconto erompe il sulla Valganna quieta, il più limpido sole del mondo. E c’era, a sinistra, lon- tormento per i momenti felici scomparsi e per la terribile sensazione di tano ma non remoto un enorme spicchio di luna caduto da chi sa quale cielo. vuoto che è fuori e dentro la scrittrice: « …Che cosa è questo vuoto che Era un pezzetto di lago, tutto dorato dal sole, tutto racchiuso da arbusti, così sento? Che cosa è questo cielo splendido e squallido a un tempo? Che cosa è che che, veduto di lontano, assumeva la estrosa forma d’una falce di luna.» mi manca? Ma è così semplice da dire cosa mi manca: mi manchi tu. Tutto Altre volte amava recarsi in una località allora silenziosa e quasi disabita- mi annoia. Il cielo è vuoto. Come le mie ore senza te». Anche altri luoghi ta, posta sopra Comerio, per perdersi tra pini e stradine acciottolate, te- sono amati perché rievocano momenti che non saranno più. stimonianze di tempi passati, come racconta nel brano Il poggio. Anche In un suo racconto autobiografico, intitolato Il mio pezzetto di cielo, in questo scritto ricorrono note nostalgiche e il rimpianto per un passato anch’esso contenuto in Diario vagabondo, Liala confessa di prediligere idealizzato, fatto di cortesia e di cavalleria. Queste note appaiono altresì quel «pezzetto di cielo» che sta attorno al campanile «antico e bellissi- evidenti nel brano intitolato La funicolare, dove, pur in uno slancio di mo» di San Vittore a Varese, in ricordo delle evoluzioni che il suo pilota interesse per il benessere e lo svago dei propri concittadini e dei possibili amava compiere girando attorno in modo azzardato con l’idrovolante turisti, auspicando il ripristino della funicolare verso il Sacro Monte e alla torre campanaria suscitando l’ammirazione degli astanti. il Campo dei Fiori, Liala, nuovamente e illusionisticamente spera che Ed è sempre la dimensione della memoria a far rivivere in lei e nello possano ricrearsi le magiche atmosfere provate quando saliva con il suo spazio circostante dapprima la gioia di attimi emozionanti, e poi una pilota ad ammirare l’incantevole panorama profuso da quei colli: «In struggente e profonda tristezza: «Oggi sono andata a San Vittore. E non macchina io andavo di frequente con il mio pilota: e potete ben credere che so se ho fatto bene: perché nessuna macchina alata passa più attorno alle lui, quale pilota, panorami ne vedesse molti, perché gli apparecchi di allora campane armoniose, nessun apparecchio oggi girerebbe attorno al campa- non avevano la velocità di quelli di oggi, quindi le bellezze della natura nile, e a me non resta che la immaginazione, che il ricordo, che il rivedere si captavano. E di lassù, guardando attorno, lui esclamava: “Che bellezza! con gli occhi dell’anima quel rombante idrovolante che gira allegro e frago- Che panorama! Questa zona è una gioia di Varese...”». un volto come luogo: Liala, photo Farabola

Amaliaiala Liana Cambiasi Negretti Odescalchi LDieci chilometri di pensieri, Diario vagabondo, pp.128-129 Fine febbraio a Varese un sole che abbaglia. Io esco, ho un elegantissi- mo raffreddore, uno di quei raffreddori che fanno diventare lucidi gli occhi e rosso il naso. È il terzo raffreddore, fatto insolito perché non ne vado soggetta. Ma si vede che gli anni portano starnuti anche a chi ne conobbe pochi. Infilo la strada che preferisco. Percorro la provinciale, taglio Gavirate, esco sulla tangenziale bellissima che corre alta sul lago. Lascio questa strada dove inizia un’altra strada, ma piccola, fra giardini e ville, stretta così che forse due macchine affiancate passano a fatica: è la strada che porta sulla targa il nome del mio Amore. È una delle strade di allora, quando non c’erano queste ampie, imponenti strade che fanno filare le vetture a grande velocità. Allora, quando si entrava in una di queste stradine, anche lui, che pur amava correre, rallentava e si parlava. E io, percorrendo solo questa stradina splendida, poco alta sul lago, chiusa fra i giardini e prati, sistemata in disparte dal traffico stradale, parlo a 49 me stessa. La macchina va adagio, i miei pensieri non hanno fretta, i miei ricordi così tenaci restano in me e non conoscono corse e velocità. Vedo un pezzo di lago che riluce, scorgo una magnolia fiorita, intravedo una serra aperta e dentro un uomo che lavora di cesoie. Il caldo insolito ha concesso a un giardiniere di aprire la serra; forse ha anche spento le stufe, chi sa… Questa serra che appartiene a un vivaio c’era anche al- lora. Non era così moderna, non era così bella, non era così ampia: ma c’era. A lui piacevano molto le rose bianche: di tutti gli altri fiori, anche se lui era nato in riviera, non si occupava. Ma un giorno, passando da questa serra, vide qualche cosa di rosso, di scarlatto, di acceso. «Rose?», mi domandò. «Rose». «Ne vuoi?». «No, forse non vendono nemmeno al minuto, qui. E poi sono troppo abituata alle tue rose bianche. Non mi abituerai a un colore così viva- ce». «Ma qualcuno ti manderà rose rosse… Qualche amico di famiglia…» So dove vuole finire: vuole sapere se altri mi mandano fiori. Ne man- dano, ma a lui nego: «Oramai mi sono allontanata da tutti». La sua mano sulla mia vuole dire grazie. La mia macchina va piano, sulla strada provinciale saettano vetture. Io sono arrivata all’uscita: la stradina che porta “quel” nome è finita dopo aver fatto curve e linee alte sul lago. Guardo alla targa: ve ne è una hanno conservato la parte saliente. Così al di là del giardino che rallegra all’inizio e una alla fine della strada: leggo bene il nome, il cognome e il l’albergo si erge la montagna verde, stupenda e così fitta di alberi che vocabolo: AVIATORE. Il cuore è fermo. L’anima non è triste. Non sono pare compatta, irreale. mai riuscita a capire che cosa sia quel sentimento che provo leggendo I bambini escono dall’albergo (sono in maggioranza stranieri) e si tuffa- quelle targhe con “quel” nome. Mi pare, qualche volta, di essere fredda, no nella piscina; giocano, si divertono, un bagnino li sorveglia. E quello insensibile, inerte. Mi pare di non capire perché “quel” nome sia là, che incanta è il silenzio. bianco su targa blu. Esco dalla stradina, infilo la strada provinciale: Perché questi bambini non strillano, non fanno inutile baccano, non fan- vedo su la strada che sta di fronte alla sua un altro nome: Dal Molin. no bega. Ieri ve ne era uno, grassoccio, biondo, con un faccino tondo Poi Agello. Poi Ferrarin… Si sono ritrovati qui tutti i bellissimi eroi di tondo e le brachette minuscole minuscole. Dentro la piscina quel coso un’epoca remota e valorosa: forse di notte, da una targa all’altra, passa- di tre anni nuotava benissimo, ma un tratto cominciò a gridare: «Aiuto, no sussurri; si parla di acrobazie, magari. Erano tutti acrobati perfetti. bagnino, aiuto…». Lui dirà dei suoi looping centrali, Ferrarin dei suoi tonneaux, Agello Il bagnino si precipitò nell’acqua, raccattò il bambino e vide che era delle sue discese a vite, Dal Molin delle sue campane… Come allora totalmente nudo. uno di loro dirà: «Le mutandine…». “Una vite maledetta… Credevo di non uscirne più…” Le aveva perse e, ultimo avanzo di pudore, le voleva rimettere prima di Di notte queste strade sono deserte. Chiuse le ville e le case, addormen- uscire dall’acqua. Ma il bagnino lo mise in piedi sulla corsia, si tuffò, tato il lago, tutto tace. Anche sulla provinciale le macchine sono rarissi- ritrovò le mutandine, non gliele infilò, si volse alla madre del bimbo (la 50 me. Vorrei venire di notte, ma non posso. Ho paura di udire quelle voci signora rideva) e chiese: 51 che parlano di alta acrobazia. «Che faccio?». Torno sulla via della mia casa: per dieci chilometri, cinque di andata e «Lo metta sotto la doccia e lo lasci asciugare così…». cinque di ritorno, sarò stata con i tempi felici. O infelici? Non lo so. Ma il bimbo scappò. Trovò su una seggiola a sdraio un asciugamano e se lo raccolse dietro, esibì tutto il… davanti, ma per lui, da salvare, Il piccolo lago, Diario vagabondo, pp. 218-219 evidentemente, c’era il pudore posteriore. Ma se la moda continua così, un giorno quel bambino, a chi racconterà A dodici chilometri da Varese c’è Ghirla, uno dei deliziosi laghetti della del suo pudore gli domanderà: Valganna, uno di quei laghetti che io amo e che descrissi fin da quando «Possibile? Vi furono tempi in cui si aveva vergogna mostrandosi nudi?». iniziai la mia carriera di scrittrice, infatti nel mio Signorsì io parlo della Gli risponderanno: Valganna, la chiamo deserta. E, per la verità, in certi punti è rimasta «Tu avevi vergogna, ma gli adulti erano già così, come vedi ora, e non tale; correndo per la bella strada si ha l’impressione di correre in un bo- andavano nemmeno in cerca di un asciugamano. E aiuto ai bagnini per sco dove sia stata creata una via comoda. Si percorrono chilometri senza cercare un paio di mutande non lo chiedevano di sicuro. Tu fosti l’ul- trovare abitazioni, ma godendo di tanto verde quale non potete im- timo a sentire il bisogno di un paio di mutande piccole, ma sufficienti maginare. Percorsi dodici chilometri vi trovate davanti a un bellissimo per il tuo pudore di bambino. Eri proprio un bravo bambino, un poco ingresso: è “Il Piccolo Lago”. Là c’è una spiaggia ben tenuta e sabbiosa fuori tempo, ma pazienza…». per chi voglia tuffarsi nelle acque del laghetto di Ghirla, ma se a uno non va l’acqua del lago, ecco poco lontano una piscina che si apre su Il poggio, Diario vagabondo, pp. 225-227 un modernissimo albergo, tenuto e condotto alla perfezione. Ci sono campi da tennis, vi è la pista di pattinaggio a rotelle, vi è per la gioia dei Chi da Varese voglia recarsi a Comerio, località vicinissima alla Città- bambini un recinto che accoglie una coppia di caprette tibetane. Chi giardino, incontra un bivio. La strada provinciale scende, la strada che ha costruito questo complesso è una giovane coppia (lei francese, lui forma bivio sale. E salendo per quella strada si percorrono un paio di italiano di Varese) piena di coraggio. Hanno acquistato un terreno che chilometri superando ville e palazzine, poi le costruzioni finiscono. E si perdeva nel bosco, dove non c’erano che piante, dove non si ergevano inizia una splendida pineta. Una pineta che ha viali asfaltati, è fittissi- che vecchi castagni destinati a morire. Hanno abbattuto la parte piana, ma, ordinatissima e consente di intravedere a tratti il lago che dorme più in basso. Poiché la strada che sale è ad ampi tornanti, a tratti si «Gioca, Liala?». vedono sotto dei pianori con erba ben curata. Giù nei pianori vi sono «O, no, da un anno non gioco più». noci e castagni, in gran parte i castagni sono malati. Pare non vi sia E mi pare che mi piombi addosso la vecchiaia. Ho sentito la mia voce salvezza per queste belle piante. Comunque io vado su e so dove vado. satura di malinconia. Non perché mi spiaccia diventare vecchia, ma Arrivo alla casetta prefabbricata dipinta a colori vivaci. Vedo anche il pa- perché mi spiace vedere che i miei coetanei sono più giovani di me. diglioncino sempre chiuso; in esso vi potrebbero stare due o tre persone Lui, il coetaneo, siede accanto a me, vuole prendere un aperitivo con e otto o dieci bambole, non di più. Il padiglioncino ha persiane azzurre e me, parla, mi sogguarda, mormora: non le ho mai viste aperte. Alti sui cancelli bassi due cartelloni. Uno dice «Peccato non giochi. Una volta, lei… Una volta lei giocava tanto bene». un perentorio “ALT”; l’altro porta scritto: “PROPRIETÀ PRIVATA VIE- L’ha detto. Una volta. Una specie di passato remoto. Ma, accidenti, TATO L’ACCESSO”. Non ho nessuna intenzione di entrare, mi fermo, deve esserci soltanto per me il passato remoto? guardo il piccolo maneggio. Vi sono tre cavalli in libertà e sono andati E lui spietato: sul suolo erboso: sono cavalli ben tenuti e ben puliti, ma giocano e mi «Domani sono in gara. Mi faccia gli auguri». pare vogliano far giocare i loro denti perché vanno qua e là a mangiare «Auguri». trifoglio. Non mi guardano, non alzano nemmeno la testa, se l’alzano è Si gira a guardare una bella bionda longilinea che arriva gridando che per dire “no, no, no” all’aria, con scrolloni festosi. Sto un poco a guardare ha perso tre palle e non sa dove siano finite. i cavalli, ad ascoltare la gran pace, ad annusare odore di resina. Lui segue con lo sguardo la bella bionda che non ha calzoni ma una Poi volto la macchina e riprendo a scendere, ma non percorro la stessa gonna rivelatrice per lo spacco che le consente di giocare bene. La bion- 52 strada, mi addentro in una viottola che è stretta da piante felici: e a un da entra nella sala ristorante. 53 tratto la viottola diventa acciottolato e dove c’è l’acciottolato vi sono Lui sospira, accende una sigaretta e dice: alcune costruzioni semplici, decorose, con balconi e davanzali colmi «Sono nato troppo presto». di gerani. Si ha repentina la sensazione di essere tornati indietro nel E soggiunge: tempo, di percorrere una di quelle strade che si trovano nelle stampe «Ai nostri tempi era molto se si vedeva il polpaccio». antiche o che si descrivono nei romanzi d’altri tempi. Si traballa un Mi si apre il cuore: il passato remoto l’ha dentro anche lui. poco su quei sassi levigati dal tempo. Poi finiscono, la strada diventa Anche se gioca a golf come un ventenne e forse meglio di un ventenne. battuta, poi ecco nuovamente l’asfalto e si è sulla provinciale. Devo attendere un poco prima di attraversare: le macchine che corrono sulla provinciale non badano molto a quella macchina che esce da una viot- Nota biografica tola. Un signore anziano mi dà la precedenza (oh, beata educazione di Amalia Liana Cambiasi Negretti Odescalchi nacque a Carate Lario (Como) il 4 altri tempi!) e io attraverso e sono davanti al golf di Luvinate. marzo 1897. Dopo gli studi classici andò sposa al marchese Pompeo Cambiasi. Ho sete, al golf ho tanti amici, posteggio la vettura nel gran piazzale La sua storia d’amore con il giovane marchese Vittorio Centurione Scotto, pilota alberato, l’inserviente mi saluta, domando se sono arrivati i signori che di idrovolanti, si interruppe drammaticamente nel 1926 quando questi precipitò conosco, mi dicono di sì. Vengono quassù industriali, professionisti, con il suo idrovolante nelle acque del Lago di Varese. Trovò conforto al suo dolore gente che sgobba tutta la settimana e che non ha voglia di incanalarsi nella scrittura, dando alle stampe, nel 1931, il suo primo romanzo, Signorsì. Lo in code per arrivare a Genova o per trascorrere una week-end strozza- pseudonimo di Liala, con cui è nota, le fu assegnato da Gabriele D’Annunzio in to, caldo, faticoso. Vengono su, giocano a golf: mettono nei polmoni un loro incontro al Vittoriale. La sua produzione letteraria fu molto prolifica e di aria pulita, mangiano qualche panino quando arrivano alla nona buca grande successo. Morì a Varese il 15 aprile 1995. oppure fanno colazione al ristorante del golf. Il quale ristorante, come tutta la costruzione del golf, era un tempo un convento e chi l’ha adat- Bibliografia citata tato aveva il cervello a posto perché ha rispettato tutto. Signorsì, A. Mondadori, Milano 1931 C’è un gran profumo di gelsomini e di olea fragrans. Arriva un signore Il sole se tramonta può tornare, C. Del Duca, Milano 1959 che ha la mia età e tuttavia gioca a golf come se avesse venti anni. Ha Ombre di fiori sul mio cammino, G. Valsecchi, Milano 1950 importanti costruzioni a Varese. Mi vede e chiede: Diario vagabondo, Sonzogno, Milano 1977 «Il lago di Varese era quel giorno tutto nel sole. Lungo le rive volubili l’acqua pareva un enorme rosso era là, immoto, pareva palpitare dopo la gran corsa: il suo validissimo pilota appena sceso da quel zaffiro incastonato in un monile di gioielliere pazzo. Perché le rive del lago di Varese vanno a curve e a bolide era vicino a me e attendeva che io mi decidessi. “Andiamo. Mi risposo”. Erano le prime ore d’un insenature, a triangoli e a rettangoli: un gioco di natura per un lago di superficie non troppo vasta. Su mattino d’estate: l’ultima estate del mio pilota. L’acqua era azzurra e il cielo contendeva l’azzurro alle uno scivolo c’era il velocissimo apparecchio sul quale il mio bel pilota si era allenato … Il veloce bolide acque». Liala, Diario vagabondo, Sonzogno, Milano 1997, p. 106 Petali come fogli di poesia, luogo di ricordi e meraviglia Illustrazione di Achille Beltrame per la copertina de «La Domenica del Corriere», 1926: Macchi M.39, dalla Schiranna alle vittorie nei record mondiali

56 57 orselliGuido M Romano Oldrini Appaiono ad arte i colori «Lo sguardo dal poggio si fa più volentieri a mirare la sottoposta conca del lago, che è di breve giro ma varia di ombre e di riflessi, i colli che vi si af- facciano e un lento ondular di campagne sino al limite incerto della grande pianura. Da quella parte, in ogni stagione e pur nel pieno meriggio, tem- perandosi la luce per certo vaporar di nebbia su dai prati pingui, le tinte paion quasi ad arte men vive, quei verdi volti al celeste e al grigio, con uno strano attenuarsi all’occhio delle distanze, sì che l’insieme sembra trapunto sopra un vecchio arazzo squisitamente sbiadito: o si pensa alla mano di un pittore più sollecito della sua vena elegiaca che della prospettiva». Dal poggio di Santa Trinita di Gavirate Guido Morselli “vede”. E vede ciò che poi descriverà nelle prime pagine di Realismo e fantasia. È l’oc- 59 chio quindi il primo attore della sua avventura, quella che lo porterà poi a vivere sul Poggio in una casetta costruitavi qualche anno dopo e dove macererà la sua anima di grande solitario. Natura amica, vien voglia di dire. Non c’è dubbio, se per amica si intende una presenza fedele, silenziosa, rispettosa delle più sottili vibrazioni dell’anima. Ma di una amicizia particolare, competitiva direi, tesa appunto ad attivare in uno scrittore sensibile come Morselli i più laceranti meccanismi in- terpretativi o addirittura difensivi. Farà dire a Ferranini, il protagonista de Il comunista: «...la natura è una realtà nemica, con cui devi lottare (il lavoro è questa lotta), per evitare che ti si imponga, ti assoggetti». E anche quando il suo occhio si stempera su una visione idilliaca «sì che l’insieme sembra trapunto sopra un vecchio arazzo squisitamente sbiadito» una sottile falda di inquietudine sembra insinuarsi nel lettore «con uno strano attenuarsi all’occhio delle distanze». Un dubbio, l’eco di una vi- brazione lontana ma sottilmente disturbante, la “sua Santa Trinita” così bella ma così elusiva, così “nutrice”, ma di un cibo talmente pervasivo da chiudere ogni possibile via di fuga. Quindi un occhio che vede, ma che non si ferma alla retina. Vuole qualcosa di più, una interpretazione, un gioco di rimandi, una partita di intelligenze. Già in una pagina del diario (24 novembre 1943) così scriveva: «Gli idillici di tutti i tempi si sono limitati a fare della natura uno sfondo una occasione un pretesto; tutt’al più vi cercano un contrasto alla raffinatezza di una civiltà troppo evoluta, e un rifugio alla loro stan- p. 58, l’occhio di Moby Dick: storia di un volto, corteccia dell’animo, esperienza tragica del profondo

chezza di decadenti. Ma nella fede che ci fa sentire una segreta consonanza migliore. Magari affidato ad altre categorie di “bipedi” non certo a quelli delle cose con il nostro animo, non vi è nulla di decadente. E la natura “sapienti e presuntuosi ” attori questi ultimi del disastro in itinere. per chi ha questa fede non fornisce semplicemente lo scenario delle no- Come confermato del resto dalle ultime righe del suo Dissipatio H.G., stre esercitazioni letterarie o filosofiche ma è una mirabile reincarnazione l’ultimo suo libro di pochi mesi precedente la sua scomparsa, «Me ne dello spirito, manifestazione di un mistero a cui ci si inizia religiosamen- sto a guardare dalla panchina, dalla panchina di un viale, la vita che in te». Non solo quindi uno scenario da vedere e gustare ma addirittura questa strana eternità si prepara sotto i miei occhi. L’aria è lucida, una “reincarnazione”, una totale assoluta compenetrazione di occhio e di una umidità compatta. Rivoli d’acqua piovana (saranno guasti gli spirito, quasi una osmosi panica coraggiosamente definita dallo stesso scoli nella parte alta della città) confluiscono nel viale e hanno steso “religiosa”. Se non fosse, questa osmosi, il risultato della solita diatriba sull’asfalto, giorno dopo giorno, uno strato leggero di terriccio. Poco tra uomo e società, della perenne lotta tra intelligenza e mediocrità. Da più di un velo, eppure qualche cosa verdeggia e cresce, e non la solita Morselli, va da sé, laicamente intese. erbetta municipale; sono piantine selvatiche. Il Mercato dei Mercati La stessa competizione tra uomo e natura traspare da una pagina si cambierà in campagna. Con i ranuncoli, la cicoria in fiore». Dove del suo diario (11 luglio 1946): alla lucida e fredda descrizione della città morta (Crisopoli per lo «Ieri sera, dal treno che mi riportava a Varese, ho assistito a uno dei più scrittore ma in effetti l’elvetica Zurigo) segue il calore di un filo stupefacenti tramonti ch’io ricordi d’aver visto, in queste latitudini. Una di speranza per il futuro rappresentato non certo dall’“erbetta mu- profusione, una disposizione di colori e di forme aeree indescrivibile e, nicipale” (che lucido e ironico pessimismo verso le istituzioni in queste due parole!) quanto dalle “piantine selvatiche”. Come dire 60 vorrei dire, inverosimile. Qualcosa di sfarzoso, di paradossale, concepito, 61 pareva, da una immaginazione accesa, intemperante, barocca. Di fronte a che la natura non solo si sa difendere ma addirittura sa contrattac- spettacoli simili della natura, molti concludono: “Ecco dei colori, delle luci, care le violenze dell’uomo ed anche vincerle. che a vederle dipinte non sembrerebbero vere”. Ora io chiedo: perché mai Ancora il lago, un nostro lago e questa volta il Ceresio, al centro della un artista che ritraesse un tramonto come quello di ieri sarebbe accusato di penna di Morselli. Nel romanzo Un dramma borghese lo scrittore am- dare nell’arbitrario e quindi di tradire l’arte?... Sarebbe fondato un simi- bienta una sottile analisi psicologica di due personaggi, padre e figlia, le giudizio. Lo sarebbe senz’altro». Quindi l’artista (il pittore in questo che si ritrovano dopo tanto tempo in un albergo di Lugano. È la storia caso) non può rappresentare il sublime. Solo competervi. E lo scrittore, di un amore sottilmente incestuoso mai esplicitato e sempre giocato su aggiungiamo noi? E lo scrittore Guido Morselli? Umbratile, ipersen- toni di contenuta allusività e dove la gravure dei sentimenti ben si accor- sibile, costantemente in bilico tra fede e ragione, tra sentimento e da alla temperie del luogo. Scrive Morselli: «Dacché sono qui il Fohn non raziocinio? Dove era il suo limite? O davvero quella natura, quella ha ancora smesso di alitare giù dalle nuvole sporche. Questa umidità del che lui vedeva tutti i giorni dal poggio di Santa Trinita, la nostra Fohn (qui lo chiamano favonio) penetrante e spossante ... mi fa rimpian- natura in definitiva, il nostro paesaggio, quello che anche noi ve- gere lo scirocco nostrano ... Dal giardino viene su il sentore delle foglie diamo tutti i giorni, aveva contribuito con la sua pervasività ad che si disfanno sulla ghiaia dei viali, ma lo soverchia una emanazione allargare quel solco, alimentando la sua impotenza e la sua quoti- marcida, dal lago. È stata Mimmina a volere che ci fermassimo qui; diana lotta verso il tragico esito finale? Come dire: oltre non è più per mio conto non ho mai gradito la bellezza famosa di questi laghi possibile andare. Oltre c’è solo una scomparsa, una ineluttabile lombardi, che con le calme d’autunno diventano paludi fumanti. Non agnizione. Di chi?, vien da chiedersi, dell’uomo, naturalmente! ho un temperamento romantico dopotutto. Inutile rifugiarmi in me Scriverà in Dissipatio H.G.: «Andiamo, sapienti e presuntuosi, vi stesso. Il lago dell’anima, oggi è algoso e maleodorante come il Ceresio. Del davate troppa importanza. Il mondo non è mai stato così vivo, come resto son troppo aperto all’influsso fisico delle cose e al loro umore, per non oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo. Non è dovermici uniformare». Qui davvero la forte compenetrazione dei due mai stato così pulito, luccicante, allegro». Se non fosse per quella livelli, quello interiore del personaggio e quello esteriore dell’ambiente, frase, quella “certa razza di bipedi ” che nel suo tentativo di tas- farebbero pensare ad uno scrittore fortemente in balìa della natura. Se sonomia sociale non sembra chiudere tutte le speranze per un futuro non fosse che la dimostrata versatilità dello stesso in altre pagine ci con- sente di ascrivere questo passaggio alla necessità di una voluta esigenza le mille difficoltà della modernità vigente, è stata difesa (“rossa d’into- letteraria del momento. Versatilità d’altro canto suffragata, nello stesso naco, genuinamente rustica”) e tutt’ora tenta di difendere la memoria di romanzo, quando si legge: «Questa repubblica platonica-alberghiera, la Guido. Così come le balze terrazzate dove si produceva il vino del Svizzera che mi ospita a dir poco per la trentesima volta, conserva il suo Sasso di Gavirate (“montar di terrazzi ricavati nel calcare bianco”) fascino. Il notiziario minuto, familiarmente pettegolo, dei suoi giornali, e che si sta cercando meritoriamente di ripristinare a vigneto e quel loro tono di cultura provinciale e accurato, quell’assistere alle vicende dove Morselli conduceva una vita a metà tra agricoltore e uomo del mondo col piacere, onorevolmente egoistico, di esserne esenti. Paese am- di lettere. Con l’aiuto di un fattore coltivava di tutto, impiantava mirevole, irrigato dal latte, dal glucosio e dalla libertà, equamente aperto piante da frutto, rispettava gli animali, anche i più umili (è noto alle utopie e alle ciurmerie» dove Morselli recupera una obiettività quasi l’aneddoto di una corsa tra lumache ripresa con una telecamera), giornalistica nel descrivere la vicina repubblica nelle sue virtù e nei suoi cavalcava la sua Pedrina. Così scriveva a Italo Calvino il 10 febbra- difetti. O quando tratteggia, e anche qui da puro reporter, la città di io del 1963: «Caro Calvino, qui da me, a Santa Trinita, non ho né Lugano: «...così era bello girare per la città nitida, tranquilla, tra i rari aspirapolvere né frigorifero (d’estate, ci ho un bosco vicino, metto le passanti, massaie con la sporta della spesa, coppie di stranieri con la Leica bottiglie al fresco nel bosco). Non ho nemmeno la TV. In cambio, ho e la loro timida intimità a tracolla, sotto i portici bassi in cui si affacciano un discreto cavallo da sella, col quale esploro la montagna che incom- negozi solenni e gremiti come musei». be subito dietro la mia casetta. Ho potato quest’autunno certi rosseg- «Dallo stradone il viottolo sale erto al poggio per un montar di terrazzi gianti pini di Scozia, i cui rami ricchi di materie resinose dall’aroma profumato ho messo da parte (potati da me, si capisce) da bruciare sul 62 ricavati nel calcare bianco, che il mio amico chiama “i gironi”, ma dove in 63 poca terra abbarbicata alla pietra, la vite cresce gagliarda e a suo tempo caminetto nelle grandi occasioni. Lei mi venga a trovare, e il pino di onusta di gonfi grappoli d’oro. Presso al termine della salita, alcuni Scozia arderà in Suo onore». ampi ripiani accolgono il pometo, e quel di mezzo fa posto alla mas- seria, disegnata da Sereno con un tal qual gusto toscano; nel più alto si apre da un lato un gran vascone, da irrigare, ma che funge l’estate anche da piscina. Una radura erbosa corona il poggio, limitata per gran parte dal bosco, e a levante dalla dimora che da anni ha sottratto al mondo il mio amico Sereno. Non alta, rossa di intonaco, genui- namente rustica e insieme di schiette proporzioni, quella sua casa bellamente si accosta alle cose intorno, all’erba, agli alberi, al cielo». Questa è la descrizione che Morselli fa del poggio di Santa Trinita e della casetta dove vivrà per vent’anni circa. E la fa nelle prime pagine di Realismo e fantasia, il suo libro edito nel 1947. Il poggio era stato acquistato anni prima dal padre ma Guido già da allora aveva intravisto nella bellezza dei luoghi il suo possibile futuro “buen retiro”. Al punto da descrivere minuziosamente anche la casetta che nel 1952 avrebbe fatto costruire nel rispetto della sua scrittura e dove si sarebbe ritirato a vivere e scrivere per circa quin- dici anni. Quasi un’ipoteca notarile quindi, una parola scritta che nella fissità del suo essere parola stampata e consegnata quindi all’altrui, precludesse ogni altro uso distorto dei luoghi. Verrebbe da dire un enorme esercizio di egoismo se questo egoismo non fosse per noi tutt’ora fonte di gioia e di godimento. La Casina Rosa, che pur tra pp. 66, 69, il Lago di Varese dalla “terrazza” alle pendici del poggio di Santa Trinita a Gavirate. A lato della chiesa di Santa Trinita, al “sasso” di Gavirate, si sale alla casetta di Morselli. Rocce nel Parco del Campo dei Fiori quasi punti segnaletici per contemplare panorami infiniti.

Nota biografica

Guido Morselli nasce a Bologna il 15 agosto del 1912 da Giovanni Morselli e Olga Vincenzi. Il padre, importante dirigente industriale, si trasferisce con la famiglia a Milano e acquista nel 1916 la villa di via Limido a Varese dove Guido trascorrerà le sue estati giovanili solidificando una sorta di “varesinità” che si cementerà più tardi sul Poggio di Santa Trinita a Gavirate. Si laurea nel 1935 in giurisprudenza alla Statale di Milano e frequenta il circolo cultura- le del filosofo Antonio Banfi. Si dedica agli studi letterari (Proust, Manzoni, Rousseau) interrotti dal conflitto bellico che lo terrà lontano da casa fino al 1945. Nel 1943 Garzanti pubblica Proust o del sentimento, un saggio sull’opera dell’amato scrittore francese, e nel 1947 Bocca pubblica Realismo e fantasia, saggio filosofico in forma di dialogo che riassume temi di ordine filosofico e antropologico sviluppati poi nelle opere successive. Nel 1952 costruisce una casetta in cima al Poggio di Santa Trinita a Gavirate, podere acquistato anni prima dal padre. Qui, in piena solitudine, davanti ad una natura spettacolare per bellezza, alimenterà le sue fobantropie e qui scriverà i suoi libri regolar- mente rifiutati dagli editori del tempo e pubblicati soltanto dopo la sua morte (si suicida con un colpo di pistola nella casetta di via Limido a Varese il 31 65 luglio 1973). Il successo dei suoi testi, pubblicati principalmente da Adelphi con l’avallo prestigioso di Dante Isella, ha consegnato l’opera di Morselli alla storia della letteratura italiana. Scrittore atipico, non omologato alla temperie editoriale del momento, ma proprio per questo scrittore ricco di ulteriori sor- prese e meritevole di approfondimenti e studi.

Bibliografia citata Diario, Adelphi, Milano 1988 Realismo e fantasia, Bocca, Milano 1947 Il comunista, Adelphi, Milano 1976 Dissipatio H.G., Adelphi, Milano 1977 Un dramma borghese, Adelphi, Milano 1988 Valentina Fortichiari, Lettera a Calvino, Einaudi, Torino 1963, poi Rizzoli, Milano 2001

un volto come luogo: Guido Morselli 67

«E la natura per chi ha questa fede non fornisce semplicemente lo scenario delle nostre esercitazioni letterarie o filosofiche ma è una mirabile reincarnazione dello spirito, manifestazione di un mistero a cui ci si inizia religiosamente». Guido Morselli, Diario, Adelphi, Milano 1988

70 Lago di Varese, Monte Rosa, «in ogni stagione e pur nel pieno meriggio, temperandosi la luce per certo pp. 74, 75 Gavirate, Centro Storico, «Ieri sera, dal treno che mi riportava a Varese, ho assistito a uno dei vaporar di nebbia su dai prati pingui, le tinte paion quasi ad arte men vive, quei verdi volti al celeste più stupefacenti tramonti ch’io ricordi d’aver visto, in queste latitudini. Una profusione, una disposizione e al grigio, con uno strano attenuarsi all’occhio delle distanze, sì che l’insieme sembra trapunto sopra di colori e di forme aeree indescrivibile e, vorrei dire, inverosimile». Guido Morselli, Diario, Adelphi, un vecchio arazzo squisitamente sbiadito». Guido Morselli, Realismo e fantasia, Bocca, Milano 1947 Milano 1988

Andando a Gavirate, per Comerio: la Riviera prealpina di Varese, «... e le terrazze sui laghi, dove un Lago di Varese, «Ma il lago è sempre quello: a volte gela, a volte ride. È sempre il lago che noi amiamo, quello disco suona, tutto questo lo capite meglio dopo: restano dei segni nella memoria, interpretarli è ricordarsi che alcuni vecchi dicono sia un avanzo delle acque del Diluvio, che lasciarono sepolto un paese ... guardate di un giorno felice». Gianni Rodari [Troilo], «L’Ordine Nuovo», 7 settembre 1946 quel tratto di lago che trema al vostro sguardo e forse vi parrà di vedere tra le onde le risate dei ragazzi che furono sepolti un giorno, ma molto lontano, con le loro vecchie case di legno». Chiara Zangarini, Pietro Macchione, Ambrogio Vaghi, Gianni Rodari e la signorina Bibiana, Macchione, Varese 2010

76 77 Nei borghi intorno al lago, «Ma chi può, esce. Si mette sul portone. Nei paesi accanto ai portoni ci sono sedili di pietra, uno ci si siede e tace...» Gianni Rodari, «La Prealpina», 14 luglio 1946

78 79 Val Veddasca, «Ritrovo i sentieri che furono miei / riascolto il vero suono del mio passo. / Questa è stata la mia giovinezza / questo bosco prigioniero dei suoi rami / nutrito dai suoi profondi odori / vivo di mille morti, / le betulle, ingannevoli fantasmi, / gli abeti, i pini, i cedri scoscesi, / il muschio, il ginepro, il nocciolo / il capanno in fondo alla pioggia», Luciano Caimi, Federica Lucchini, Gianni Rodari a Gavirate: gli anni giovanili, Nicolini editore, Gavirate 1995 Gianniodari R Romano Oldrini A chiudere gli occhi, il silenzio, la memoria Vale la pena, per inquadrare il contesto famigliare e quindi educativo del giovane Rodari, conoscere qualche nota biografica. Scrive lo stesso Rodari su «L’Ordine Nuovo» nel 1953: «A sette anni mia madre andò a lavorare in una cartiera, non lontano da Gemonio, dov’è nata e dove la co- noscono come la figlia della “Mariin de Rosa”. A dieci anni andò a lavorare in una filanda della Valcuvia. A quei tempi le bambine facevano anche il turno di notte. Se lavoravano di giorno, di notte dormivano in filanda sui pagliericci. Tornavano a casa il sabato sera, cantando per la strada le lita- nie della Madonna». La madre, Maddalena Aricocchi, sposerà Giuseppe Rodari, di Caldana di Cocquio, all’età di 37 anni e, rimasta vedova, si trasferirà con i figli a Gavirate dove viveva la sorella Emma. Vien da 83 pensare se già in questi primi anni di vita non si incidessero nella men- te del giovane Gianni i primi germogli della futura sua attenzione al mondo del sociale. Il valore del lavoro, della comunanza tra poveri, l’u- miltà dell’ascolto, tutto il patrimonio insomma della sua futura attività politica, trova fertile terreno già negli anni giovanili gaviratesi. Del suo amico fraterno gaviratese Antonino Bianchi morto in guerra scriverà: «...il Nino matto che ficcava i coltelli nella porta di casa per farsi com- prare il mandolino da sua madre. Non sei morto nell’affondamento della Calipso, nei primi giorni della seconda guerra mondiale, nelle acque del Mediterraneo, nella mia dolorante memoria... Nino. Matto. Mezzo matto. Il solo vestito di nero nelle balere del varesotto, da Cittiglio ad Angera... l’u- nico suonatore di mandolino e studioso di elettronica capace di cacciare dal letto la nonna, la madre e lo zio per farvi dormire gli amici, dopo un pasto notturno d’insalata e biscotti al burro». E dove il Nino sembra davvero prefigurare un surrealismo in formazione (Chagall? o il ceko Frantisek Tichy?). E ancora la sua amata Gavirate descritta nel ’72 in una poesia: «Ritrovo i sentieri che furono miei / riascolto il vero suono del mio passo. / Questa è stata la mia giovinezza / questo bosco prigioniero dei suoi rami / nutrito dai suoi profondi odori / vivo di mille morti, / le betulle, inganne- voli fantasmi, / gli abeti, i pini, i cedri scoscesi, / il muschio, il ginepro, il nocciolo / il capanno in fondo alla pioggia». È a Gavirate, dove si trasferisce con la mamma all’età di 9 anni, che Rodari cresce e si forma nella sensibilità e nella curiosità intellettuale. p. 83, giocattoli in strada; trovarsi impigliati nella provocazione per un viaggio di ricordi, da luogo a luogo, per incanto di fantasia

Frequenta gli ambienti dell’Azione Cattolica, ha una breve esperienza di una sintassi poetica più che di una esercitazione di burocratica in seminario, legge e studia fino al diploma magistrale. Soprattutto la scrittura. È già lì, in bilico, il nostro Rodari. Lì su quel sottilissimo sua innata voglia di sapere lo avvicina ai testi marxisti, preludio alla sua discrimine che separa a volte cuore e ragione, leggerezza e grevità, scelta di fondo politica. Diventa attivista comunista e da allora la sua imprevedibilità e rigore, in una lotta quotidiana che solo il grande penna si metterà sempre di più al servizio della società. scrittore riesce a dominare. E il futuro dirà presto dove penderà il Nel 1946 Rodari lavora al giornale «L’Ordine Nuovo» organo del Par- vero cuore di Gianni. Lo dirà la Grammatica della Fantasia. tito Comunista varesino; vi lavora con Ambrogio Vaghi, Marcello No- La parola precipita vario e altri e fa il pendolare Gavirate-Varese sul treno delle Ferrovie «... una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di Nord. È un Rodari che ha già fatto le sue scelte di fondo nei tardi anni profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo trenta accompagnato dagli amici comunisti gaviratesi e d’ora in avanti nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, il suo impegno politico si farà sempre più pressante fino all’approdo in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e romano e a Roma trasferirà la sua residenza tornando a Gavirate solo l’inconscio». per brevi periodi a trovare il fratello Cesare e a pregare sulla tomba dei Questa la prima pagina della Grammatica della Fantasia di Gianni Ro- suoi genitori. Mi sono sempre chiesto come fosse possibile conciliare il dari. E ancora: «La parola, intanto, precipita in altre direzioni, affonda formalismo burocratico della politica con la freschezza della sua scrittu- nel mondo passato, fa tornare a galla presenze sommerse. Sasso, da questo ra che in quegli anni si stava imponendo al grande pubblico dei lettori. 84 punto di vista, è per me Santa Caterina del Sasso, un santuario a picco sul Filastrocche, favole, giochi di parole, calembour, racconti fantastici, in Lago Maggiore. Ci andavo in bicicletta. Ci andavamo insieme, Amedeo ed 85 un vorticoso caleidoscopio che a un occhio esterno poteva sembrare io. Siedevamo sotto un fresco portico a bere vino bianco e a parlare di inconciliabile con i rituali delle segreterie dei partiti. Scrivevo nel 1981 Kant». La stessa parola “sasso” che se scomposta lettera per lettera in occasione di un convegno «Ho ascoltato paziente / lunghi discorsi che evoca una serie di associazioni stranianti: Sulla Altalena Saltano ti sezionavano / e neppure uno scheletro d’ombra / rimaneva / della tua co- Sette Oche. Questo è il taglio della Grammatica della Fantasia, un lorata fantasia. / È questo che tu vuoi? / O non piuttosto un provvido silenzio / che libro del 1972 dove Rodari raccoglie i materiali di un corso di custodisca / fedele / la tua dolce parola?». Ma nel 1946 Rodari ha ancora didattica tenuto a un gruppo di insegnanti di scuole per l’infanzia a disposizione il silenzio, la sua memoria. E ambedue lo salvano. Leg- di Reggio Emilia. È un testo dove Rodari porta a sistematizzazione giamolo in Paesi a chiuder gli occhi: «A chiudere gli occhi, cosa mi resta decenni di studi sul valore della parola e dei mondi fantastici che di tanti paesi? Di Lomnago il silenzio antico, il cancello nobilotto di una il suo uso evoca. Sostanzialmente il Rodari più vicino ai temi sur- villa. Di Casale Litta una gallina che scappava davanti alla corriera … realistici, temi cresciuti negli anni a partire dal Quaderno di Fan- di Santa Caterina del Sasso il cigolio di una secchia che una vecchia cala tastica (1943) e, curiosamente, per nulla inficiati dal burocratese tra le due barche ... di Vararo il sagrato e l’aria di montagna fresca ... Di della politica pur tuttavia praticato dallo scrittore per motivi di Gavirate una piazza, saltimbanchi goffi e artisti nella vampa dell’acetile- lavoro. E sembrerebbe di cogliere addirittura nella sua scrittura un ne, un’altra piazza e la banda ... Raramente il Varesotto svela a tutti la sua doppio registro: con più la politica diventa cogente nei suoi riti e bellezza, non è un paese da correre in fretta, per i bei panorami ... Ma certe curve della litoranea Laveno-Luino, a chiudere gli occhi, magari a distan- nei suoi stilemi con più lo scrittore si affida alla volatilità della pa- za di mesi, le capite. E i colori della Valcuvia d’autunno; il sonno, il disfarsi rola che, sfuggendo alla rigidità dell’equazione significato–significante delle cose a , ad Arolo, a Ballarate, d’agosto; e le terrazze sui laghi, (tanto cara ai formalisti russi), evoca nel tempo e nello spazio richiami dove un disco suona, tutto questo lo capite meglio dopo: restano dei segni e rimandi di assoluta imprevedibilità. La scuola, appunto, del miglior nella memoria, interpretarli è ricordarsi di un giorno felice». Anche qui i surrealismo. Eccone un esempio: «Il poeta ha la sua musa / la lepre il suo piccoli accadimenti del quotidiano, i trasalimenti lievi della coscienza muso / il professore il suo museo: / è la divisione del lavoro / la spartizione (“il disfarsi delle cose a Leggiuno” di una levità quasi orientale), il som- della parola / A chi la musica / a chi la museruola». E ancora: «Filastrocca messo mormorio della memoria ad occhi chiusi, sembrano elementi corta corta / il porto vuole sposare la porta / la viola studia il violino / il mulo dice – Mio figlio è il mulino / la mela dice – Mio nonno è il specifico si sostanzierà nella ormai stranota leggenda del cavaliere che melone / il matto vuole essere un mattone / e il più matto della terra / in piena bufera di neve viene a conoscenza di aver attraversato a ca- sapete cosa vuole? Vuole fare la guerra». E dove il gioco dei rimandi vallo non un grande prato bensì il lago gelato. Fatto che lo spingerà a verbali apparentemente senza senso approda in cerchi concentrici ringraziare il Padreterno per lo scampato pericolo facendo costruire la alla chiusa di stampo morale. Quindi, se la parola si sa svincolare chiesetta suddetta. dall’oggetto che rappresenta (e che la consuetudine d’uso gli ha appic- E ancora: «Poi cambiarono i tempi, Gavirate divenne un borgo popoloso e cicato addosso), se ha questa capacità di trasvolare da una immagine industre, la Chiesa ebbe bisogno di essere rimessa a punto e forse non è più all’altra, allora nulla è precluso alla nostra fantasia. Anche quello come a quei tempi. Ma il lago è sempre quello: a volte gela, a volte ride. di precipitare in mondi fantastici, di sollevare il coperchio della È sempre il lago che noi amiamo, quello che alcuni vecchi dicono sia un storia e di vestirla con gli abiti non solo della realtà ma anche del avanzo delle acque del Diluvio, che lasciarono sepolto un paese per volontà desiderio. del Signore Uno e Trino ... Sedete sul muricciolo della chiesa di cui vi ho raccontato la storia: guardate quel tratto di lago che trema al vostro sguardo Oltre quello che vedi e forse vi parrà di vedere tra le onde le risate dei ragazzi che furono sepolti «Ogni lago ha la sua leggenda: una leggenda che ricorda le sue origini con un giorno, ma molto lontano, con le loro vecchie case di legno». precisione fantastica, e si tramanda di padre in figlio finchè viene fissata Dove il lago che ride all’unisono con i ragazzi che vi sono stati sepolti sulla carta e stampata, nero sul bianco, da qualche raccoglitore. Quanto non si sa come non si sa quando è una splendida invenzione del futuro al nostro lago, questo nostro magnifico lago di Varese, bianco sul nero se lo 86 favolista (il racconto è del 1936 quando Rodari è appena sedicenne). 87 vedete nelle notti di luna, che si lascia comprendere d’un sol colpo d’occhio, Il tema del lago ritorna in Rodari dieci anni dopo in un racconto dal non ha, ch’io mi sappia, una leggenda che ne racconti la nascita: nessuno titolo: Il lago va in licenza. Leggiamo: «Rimaneva sveglio tutte le notti e dei buoni antichi ha trovato nipotini tanto poco amanti del sonno da dover non cessava mai, nemmeno per un istante, di cantare malinconicamente. inventarsi per addormentarli che gli Angeli riempirono con secchi d’oro Guardava le Prealpi che gli stanno di fronte ed intonava le più belle canzoni tutta una valle... montanare: “Stella Alpina”, “Rifugio nella neve”, “Sciatore”, “Montanara”. Che lago prosastico, direte voi. Forse aveva desiderio di andare in montagna, a sciare. E invece non pote- Adagio, c’è un compenso. Non avete mai visto, scendendo o salendo la stra- va muoversi, era costretto a rimanere, come sempre, al suo posto, a segnare da così detta del Sasso, tra Comerio e Gavirate, a mano destra, una Chie- l’estremo limite occidentale della sua città provinciale. Era un povero Lago suola con un piccolo portico ed un campanile muto? sacrificato all’ingrato compito di far da sentinella». No, voi non vi siete mai fermati. Se avevate la macchina rombante, non vi Anche in questo racconto, come nel precedente, c’è un lago che canta. siete accorti di nulla: se eravate pellegrini francescani, non vi siete fermati Questo poi si metterà anche a piangere per convincere i suoi cittadini a a guardare attraverso una finestrella, nella penombra di questa chiesa dedi- lasciarlo andare in vacanza. Un lago umanizzato quindi, uno come noi, cata alla Santissima Trinità. E nemmeno vi siete seduti sul muricciolo del che canta, piange e non ha vergogna di mostrare i propri sentimenti e le portico a guardare quel po’ di lago che trema lontanamente. Questa chiesa proprie debolezze. È un Rodari umano questo, uno scrittore che scrive ha una leggenda». non chiuso nella propria torre d’avorio bensì calato nella società, uno Questo è lo stesso lago che guarda Guido Morselli dall’alto del Pog- scrittore che accompagna il lettore comune con leggerezza, strizzandogli gio di Santa Trinita. Ma quale differenza d’occhio e di interpretazione! l’occhio e richiamandolo ai propri doveri con una pacca sulle spalle. Guido vi si immerge, ne annulla la lontananza, ne esalta le sue più in- time vibrazioni in una sorta di iconografia arcadica, l’occhio di Gianni invece è più disincantato, mantiene le distanze, quelle che gli servono per ricamare la sua fantasia («Che lago prosastico, direte voi. Adagio, c’è un compenso»). Dove in quell’“Adagio” è racchiusa tutta la forza ironica dello scrittore pronto a scattare verso l’approdo fantastico. Che nello un volto come luogo: Gianni Rodari

Gianniodari RPaesi a chiudere gli occhi Dichiarazione d’amore al Varesotto, [Troilo], «L’Ordine Nuovo», 7 settembre 1946 A chiudere gli occhi, cosa mi resta di tanti paesi? Di Lomnago il silenzio antico, il cancello nobilotto di una villa. Di Casale Litta una gallina che scappava davanti alla corriera, atterrita dal clacson dell’autista. Di Santa Caterina del Sasso il cigolio della secchia che una vecchia cala tra le due barche, dall’alto, una riva che figura una marina e tutte le scritte sui muri del santuario, il nome di uomini, di donne, di dome- niche perdute: a lungo l’eco le tace nel sole. Di Lavena, sul Ceresio, il Bagat che grida dal Crotto a tutti i passeggeri: “Buon giorno, signore, benvenuto, signora” e bacia sulla pelata rosea un ometto panciuto che scende dalla topolino; quando si ripartiva, ci inseguiva a lungo con un “grazie, signore” che mai lo udrete meglio cantato. I padroni del caffè, in città, siedono dietro il banco, sono asciutti, un po’ burberi. Il Bagat stava sulla porta del Crotto e ai passanti gridava il suo invito e il 89 suo entusiasmo; ma non minore forza aveva l’invito della larghissima ombra del viale. Di Vararo, il sagrato e l’aria della montagna fresca come una foglia, i ballatoi di legno, case, cascine, strade, portici, tutto stretto in un pu- gno. Delle cascine nella pianura, verso Saronno, i cortili sulle cui palme riposa il meriggio, e ancora portici, dove a sera riposano i grossi piedi nudi dei contadini. Di Vergobbio un’osteria schiacciata tutt’in giro dall’estate, ma fresca, dove emigranti ricordavano Francia, Germania, Svizzera, l’ostessa fa la calza, la figlia parla di andarsene, in questo buco non vuole rimanere. Di Gavirate una piazza, saltimbanchi goffi e artisti nella vampa dell’ace- tilene, un’altra piazza e la banda: la gente non viene in piaz za per sentire la banda, è una scusa per trovarsi, per essere molti, per parlare, le ragazze girano allacciate, si voltano insieme a ridere, i bambini corrono tra le gambe ai vecchi fedeli della banda, piantati larghi con la pipa in bocca. Di Vergiate, Corgeno, Villadosia, Sesto, Taino, Mercallo, le colline: cal- de di aghi di pini, un po’ selvagge, ma pronte a lasciarsi amare da chi le capisca, da chi ne intenda la grazia senza smancerie, la forza senza severità, calde di brughiera. Ma di notte, se andate per una strada, usi- gnoli a sinistra, grilli a destra, e sul vostro capo, intorno a voi, non so quali profumi. Raramente il Varesotto svela a tutti la sua bellezza, non è un paese da correre in fretta, per i bei panorami. Chi vuole i bei panorami cerchi la montagna, ma che delusione: ciò che si vede è “molto”, il molto sosti- E in piazza Monte Grappa, scusate? Che differenza c’è? Non bastano tuisce il “bello”, ne crea l’illusione... i tavolini del Socrate a far differenza, non basta l’orchestra, non basta- Ma non c’è bel panorama che valga riuscire a sentir vivere paesi e col- no le luci, i marmi: son cose secondarie, accidentali. Son lì per caso: line di una loro vita serena, di una loro grazia difficile. Paese difficile, è moda, è il tempo. Trent’anni fa non era così. Cent’anni fa non era non si dà al primo venuto. È come la gente qui: che non grida e non così. Fra cento anni non sarà così. La sostanza, quale è? La sostanza crede a chi grida. siamo noi, seduti sui gradini della fontana, uomini e donne, donne coi Ma certe curve della litoranea Laveno-Luino, a chiudere gli occhi, ma- bambini, bambini con l’ultimo gioco prima del sonno, gente a braccio gari a distanza di mesi, le capite. E i colori della Valcuvia d’autunno; il del fresco, della sera, dell’estate. Cos’è stato il giorno? Una febbre, un sonno, il disfarsi delle cose a Leggiuno, ad Arolo, a Ballarate, d’agosto; agitarsi e sudare: tutto passato, si sono sgonfiate le vele, siamo rimasti e le terrazze sui laghi, dove un disco suona, tutto questo lo capite me- noi soli, calmi. Sediamo sui gradini della fontana. glio dopo: restano dei segni nella memoria, interpretarli è ricordarsi Trent’anni fa non potevamo sederci su questi gradini. Ma tra cento di un giorno felice. Paesi che bisogna andarli a scovare, senza fidarsi anni, quelli che verranno dopo di noi si siederanno su quella qualsiasi troppo delle poche provinciali asfaltate, arrischiandosi sulle strade di cosa che ci sarà al posto dei gradini. Gente che prende il fresco in piaz- polvere e su per le valli. Ma poi, per esempio, a chiudere gli occhi, ecco za. È questa la sostanza. Qualcuno prende anche gelati, prende musica, la val Veddasca: Armio, Graglio, e giù Curiglia, Monteviasco, pochi prende bibite colorate. Tra cento anni che cosa prenderanno? Le pillole lumi dispersi dalla notte sul fianco enorme della montagna. Dov’è qui? del profes sor Desiderius Papp? 90 Potrebbe essere anche l’altipiano del Tibet, una valle al centro dell’Asia: Ma se chiudiamo gli occhi, potremmo essere a Somma Lombardo o a 91 qui cambiano dal di dentro le dimensioni del tempo, qui è un altro Brusimpiano o a Nuova York o a Chattanooga o a Graglio in Val Veddasca. tempo. Camminavo di notte tra queste montagne, in alto c’era la neve A quest’ora milioni di uomini e donne aspettano in Europa la notte, si e la luna, e in basso un fragore di buio e di torrente: a valle aveva un stancano d’essere stanchi e al fresco si riconciliano con tutto ciò che loro respiro largo, lento, solenne. accade. La notte è una specie di madre a cui si ritorna dopo una fuga: una Io scendevo, quella sera, ma in realtà ero trasportato in su, in alto, fin fuga il giorno, tante fughe in una. Ma la notte ci aspetta, fedele e la sua ca- dove si vede la bellezza del mondo, e il profilo della montagna somiglia rezza è fresca in tutta Europa, sotto la sua mano d’aria nera, la nostra fronte al volto di un dio. si rasserena, si fa liscia. Liscia come i marmi della Camera di Commercio e della Previdenza Sociale, come i marmi della fontana, lo sparato del violini- Fantasia per una sera d’estate, «La Prealpina», 14 luglio 1946 sta, la scarpa di vernice del cameriere. Notte, fresco, liscio: come dire ciò con una parola sola? Che differenza c’è? Dico tra la piccola, la più intima piazza di paese e Poi rincasiamo. Ai balconi, una signora grassa in vestaglia, un operaio piazza Monte Grappa. in canottiera, un ragazzo in mutandine. D’estate, la sera, questa sera che viene come una cosa fresca, il buio Ci seguono con gli sguardi, senza sapere perché, senza interessarsi a come una cosa fresca, d’aria, non si sta in casa. Chi non può uscire si noi. Lo fanno perché siamo l’ultima cosa del giorno. Dopo, più nulla, mette al balcone e chi non ha balconi si mette alla finestra, appoggia i ma fresche lenzuola e sogni, entrati a un soffio dalla finestra spalancata. gomiti sul davanzale (mia madre mette anche un cuscino sul davanza- le): e chi va a letto lascia le finestre aperte e fa entrare la sera, il buio, il fresco, per esserne circondato. Ma chi può, esce. Si mette sul portone. Nei paesi accanto ai portoni ci sono sedili di pietra, uno ci si siede e tace. Tutt’ingiro alla piazza portoni, sedili di pietra, gente che tace (io dico sul tardi: prima ci sono donne e ragazze a chiacchierare). Tutt’in giro al buio gente che la terra porta nella sua corsa fresca, ventilata, nell’acqua limpida del buio. «... questo nostro magnifico lago di Varese, bianco sul nero se lo vedete nelle notti di luna, che si lascia comprendere d’un sol colpo d’occhio, non ha, ch’io mi sappia, una leggenda che ne racconti la nascita: nessuno dei buoni antichi ha trovato nipotini tanto poco amanti del sonno da dover inventarsi per addormentarli che gli Angeli riempirono con secchi d’oro tutta una valle». Chiara Zangarini, Pietro Macchione, Ambrogio Vaghi, Gianni Rodari e la signorina Bibiana, Macchione, Varese 2010

Nota biografica

Nasce il 30 ottobre 1920 a Omegna da Giuseppe Rodari e Maddalena Ari- cocchi entrambi di origine valcuviana. Vive a Omegna fino alla età di 9 anni (il padre gestiva una panetteria). Alla morte del padre la famiglia si trasferisce a Gavirate. Qui Rodari vivrà la sua adolescenza, caratterizzata da una preco- ce disposizione alla lettura e scrittura. Si avvicina agli ambienti dell’Azione Cattolica gaviratese (vivrà una breve esperienza religiosa) finché il suo spirito inquieto lo avvicinerà poco per volta alle tematiche marxiste. Si diploma alle scuole magistrali e nel 1943 si butta decisamente nell’esperienza resistenziale. Il dopoguerra lo vede impegnato oltre che nell’insegnamento anche in attività giornalistiche presso «L’Ordine Nuovo» organo della Federazione Comunista di Varese. Nel 1947 viene chiamato a «L’Unità» di Milano e sul giornale co- mincia a scrivere filastrocche e racconti per bambini. Nel 1950 è a Roma di- rettore de «Il Pioniere» e qui orienta decisamente il suo impegno oltre che nel giornalismo (collabora a «Paese Sera» ed ad altre testate) anche verso il mondo della scuola e in genere dell’educazione giovanile. Pubblica nel 1960 Filastroc- che in cielo e in terra, nel 1962 Favole al telefono, nel 1970 riceve il Premio 92 Andersen, Nobel della letteratura giovanile, nel 1973 pubblica la Grammatica della Fantasia. Muore a Roma il 14 aprile del 1980.

Bibliografia citata Gianni Rodari, Grammatica della Fantasia, Einaudi, Torino 1973 Chiara Zangarini, Pietro Macchione, Ambrogio Vaghi, Gianni Rodari e la signorina Bibiana, Macchione, Varese 2010 Luciano Caimi, Federica Lucchini, Gianni Rodari a Gavirate: gli anni giovanili, Nicolini editore, Gavirate 1995 ereniVittorio S Barbara Colli Sono quasi in sogno a Luino «Arrivavo a Luino per via stradale una certa volta dopo molti anni che ne mancavo. Adesso so bene a partire da quale punto, non il presentimento, ma la presenza fisica di Luino comincia a rivelarsi nella sua identità concreta. Sempre da allora scocca immancabile a quel punto un verso del Petrarca, che non è il caso di citare qui. Ma il tuffo al cuore non si produce sempre allo stesso modo: a volte è rimprovero, a volte rassegnazione, altre volte impeto di irruzione in un paesaggio come se fosse nuovo. Fatti miei? eh sì, purtroppo, fatti miei; idoli, che qualcuno potrà anche chiamare feticci. Diciamo: idoli della memoria. Potrei farne sfilare una lunga serie se appena insistessi. Ma non sto facendo una ricerca né sono al cospetto dell’analista. Ho detto in altra occasione che certe figure legate al filo sottilissimo del loro 95 nome hanno assunto in me proporzioni che le fanno più grandi del vero e che ogni tanto, se incontro per le strade del paese qualcuno che vagamente me le ricorda, ho un soprassalto nel ravvisarle ridotte alle loro proporzioni reali. Les dieux s’en vont; e con essi il Valeriani, il Ballinari, l’Ortalli, il Rapazzini, il Vanoli e via rammemorando. Una o due generazioni bastano a far scivolare nell’ignoto il sito che fu detto del Miravalle e a rendere dubbia come punto di riferimento la curva del Battaglia». Così nel 1980, scrivendo per l’almanacco luinese «La Rotonda» (da lui promosso insieme con Piero Chiara e con altri amici luinesi: Claudio e Silvio Barigozzi, Daniele Piccardi, Pierangelo Frigerio), Sereni evoca il legame con la città d’origine, lasciata come si vedrà molto presto ma rimasta per sempre un’inesauribile fonte di ispirazione, anche grazie ai ritorni più o meno frequenti, con stacchi a volte prolungati ma anche con visite assidue. Le presenze luinesi di Sereni si datano al periodo dell’adolescenza e della giovinezza e poi agli anni avanzati de «La Rotonda», quando l’impegno all’annuario aveva intensificato i contatti. Lasciata la casa natale, in cui la famiglia viveva in affitto, a Luino Sereni non aveva più un luogo d’appoggio e l’invito di Piero Chiara a considerare il possibile acquisto di un piccolo appartamento (in un edificio prospiciente Piazza Garibaldi) rimase disatteso, anche per l’elezione a “posto di vacanza” del borgo ligure di Bocca di Magra, al confine con la Toscana, meta dei soggiorni agostani ma non solo. Bocca di Magra entra a pieno diritto anche nella poesia di Sereni: molti i testi ad essa dedicati e frequente la presenza della sigla “BdM” seguita p. 95, Luino, Villa Hüssy, sede della Biblioteca e dell’Archivio Sereni; «Maturità scoppiante dei colori, / fu vostra la grazia dell’aria / nel lume di primavera. Ora si turba / lo splendido fervore...». Vittorio Sereni, Azalee nella pioggia, Frontiera, p. 36

da data in calce a numerosi manoscritti degli ultimi anni, quando le brughiere / che salgono verso il confine”». pause dal lavoro concedevano la calma e la concentrazione non garantite È su questo sfondo che nascono le poesie luinesi di Frontiera, la prima nell’impegno della vita milanese. delle quattro raccolte, uscita a Milano per le edizioni di “Corrente” nel A Luino però Sereni tornava sempre volentieri e l’attività legata alla 1941 e ripubblicata con aggiunte da Vallecchi a Firenze nel ’42, con «Rotonda», insieme con gli amici milanesi, piemontesi, toscani invi- il titolo di Poesie. In particolare è l’estate del ’37, successiva alla laurea tati a collaborarvi, era stata voluta e sostenuta per l’opportunità di in lettere e ai mesi di supplenza presso l’Istituto Tecnico Schiapparelli rinsaldare un contatto che in altri tempi si era rarefatto. Nel ricordo di Milano, a dare una forte connotazione al volume: è l’estate della della moglie Maria Luisa tornava più volte il resoconto che Sereni lunga permanenza a Luino con la compagnia, per qualche tempo, faceva del momento del distacco da Luino, quando, conclusa la quinta dell’amico milanese Giosuè Bonfanti, fedele testimone di tanta parte elementare, in una mattina estiva era partito con il padre e la madre delle esperienze di allora. Quell’estate fu anticipata da una precedente alla volta di Brescia, dove Enrico Sereni, funzionario di dogana, si era visita a Luino che gli aveva dischiuso un senso fino ad allora ignoto del fatto trasferire (o meglio era stato trasferito, data la sua preferenza per paese natale, come ricorderà a distanza di molti anni nella prosa Dovuto Milano) per consentire al figlio di proseguire gli studi nel ginnasio a Montale, destinata a «La Rotonda» del 1983: inferiore, a cui era stato ammesso (unico tra i compagni di scuola «C’è stato per me un tempo di spiccata predilezione per l’inverno. Al ad aver sostenuto l’esame) e che a Luino non esisteva (obbligandolo contrario di ora. Per un certo periodo l’inverno entrò nelle metafore che dunque al lungo tragitto giornaliero verso Varese, che allora, con il andavo tentando. Poi quell’infatuazione stagionale cessò. Dev’essere stato tram che percorreva la Valganna, richiedeva un’ora e mezzo di viaggio). tra la fine del ’36 e l’inizio dell’anno successivo, in occasione di un mio 96 Maria Luisa Sereni aveva nitida memoria dello smarrimento di quel ritorno dalle nostre parti dopo molti anni di assenza ... Sopraffatto dallo 97 distacco, confortato dalla promessa di futuri ritorni che i genitori gli sfavillio della giornata di sole sopraggiunta sull’intero arco montuoso fulgido garantiscono frequenti (come infatti sarà, grazie al fatto che restava a di neve, vivevo uno di quei momenti di completezza, di piena fusione tra sé Luino la famiglia della madre, Maria Michelina Colombi, mentre il e il mondo sensibile, grazie e di fronte ai quali lo spirito desiderante si appaga marito, originario di Sant’Agata dei Goti, in provincia di Benevento, si di se stesso, rifiuta i contorni, sdegna ogni soccorso specie di parole – dissuaso era trasferito in Lombardia da molti anni per ragioni di lavoro). com’è dal cimentarsi nella sfida che lo sguardo gli propone ... Durante una passeggiata a tarda ora per le strade del paese la vetrina di una drogheria Quando Sereni vi nasce, il 27 luglio 1913, Luino conta poco più di ruppe con la forza della sua illuminazione l’oscurità circostante. Qualcosa 7.000 abitanti. La sua economia, fondata per secoli sulla pesca, la da quell’attimo cominciò a muoversi in me, e lo avvertii come nuovo ... coltivazione di terreni spesso impervi e lo sfruttamento dei boschi, Qualcosa dunque si era messo in moto, in un ordine diverso dall’incanto registra dalla fine dell’Ottocento un continuo sviluppo grazie emanato dallo spiegamento in forze del connubio tra neve e sole ammirato soprattutto all’insediamento di numerose industrie tessili di proprietà arrivando. Certe sensazioni, certi momenti ne inanellano altri di altra elvetica e all’apertura della linea ferroviaria del Gottardo, il più diretto natura, originari di altro tempo, altro luogo, fino a fondersi in un’unica collegamento con l’Europa, che rende Luino un centro doganale di sostanza: da chiedersi perché, e come mai taluni e non talaltri. Di certo primaria importanza. La strada di Zenna e la strada di Creva (entrambe so che a partire da quell’episodio tra serale e notturno un luogo a me presenti nella poesia di Sereni, anche a distanza di tempo), che portano noto per convenzione affettiva sarebbe divenuto, per ragioni in buona verso il confine, l’una costeggiando il lago in direzione di Bellinzona e parte rimaste latenti, quel che si dice un luogo deputato. Riscoprivo dunque , l’altra all’interno, verso Ponte Tresa e Lugano, le Fornasette Luino, fosse o no il mio luogo natale? No, caso mai scoprivo un luogo di con il valico che ne prende il nome, ma anche le colline di Bedero nome Luino. Decisi di tornarvi più a lungo in un’altra stagione». e di Moncucco e le valli limitrofe diventano i punti cardinali della Agli anni ’36-’37 risalgono dunque i primi consapevoli ritorni, quelli personale geografia sereniana: «le coordinate», scrive Dante Isella, di gran parte delle liriche depositate in più redazioni in due quaderni e «dell’educazione sentimentale di Sereni, con “i radi battelli del tardi”, il in vari fogli sciolti conservati nell’Archivio di Luino. loro ululo che via via si perde, il “fioco tumulto di lontane / locomotive Le tracce della storia personale, le apparizioni del mondo esterno sono verso la frontiera”, i “cumuli di carbone irti al sole”, il canto remoto riferite, per un’intera sezione della raccolta (quella intitolata appunto “del cucco affacciato alle valli”, “i prati grami d’inverno”, le “disperate Frontiera, che dà il titolo al volume), in prevalenza alla Luino di un’estate irripetibile. Risale a quell’annoTerrazza, con la rievocazione di provincia di Cuneo, nel ’41) e in un secondo momento per quello una serata tra amici presso l’albergo Kursaal (l’attuale Palazzo ), greco (agosto ’42, dopo un lungo periodo di ferma a Bologna con la con la sua terrazza pensile sul lago che nell’oscurità della sera interrotta divisione Pistoia), cui seguono il rientro in Italia alla caduta del fronte a tratti dalla luce intermittente del faro della torpediniera della Guardia ad El Alamein, la cattura da parte degli Alleati a Paceco (in provincia di di Finanza pare sospesa sull’orlo dell’ignoto, di un senso segreto e Trapani), il 24 giugno ’43 e la lunga ed estenuante prigionia in Africa misterioso che si attende vanamente si riveli. Le amicizie luinesi, i balli del Nord, da cui rientra nell’agosto del ’45. Il 19 giugno ’40 si era al Kursaal (ritrovo elegante e molto frequentato), le lunghe nuotate sposato con Maria Luisa Bonfanti, originaria di Felino (Parma), nelle acque del lago partendo dalla spiaggia del Lido, le gite in barca a conosciuta durante gli anni universitari a Milano dove anche la giovane Cannero, col passaggio accanto ai Castelli, i circuiti automobilistici studiava Lettere, nel luglio ’41 era nata la primogenita Maria Teresa (per cittadini in cui si distingueva l’industriale luinese Gianni Battaglia, tutti, da subito “Pigot”). ma anche il ricordo della nipote di questi, scomparsa a vent’anni L’esperienza della guerra e della prigionia confluisce in Diario d’Algeria qualche anno prima (a lei è dedicata Sul tavolo tondo di sasso), (Vallecchi, Firenze, 1947), la raccolta in cui, scrive Pier Vincenzo Mengaldo, scandiscono l’ultima estate di una giovinezza che si va chiudendo, «a contatto con l’insensata guerra, Sereni otterrà migliori risultati, più incalzata dai tempi (l’anno successivo Sereni sarà a Fano dal 15 in alto di Frontiera, rivoltando una lingua pur sempre esile e chiusa luglio al 30 ottobre per il corso di allievo ufficiale di complemento). a espressione di essenzialità e condensazione, entro esatti perimetri: Quella del ’37 è anche l’estate in cui una giovanissima villeggiante ciò che occorre dire e non altro, a specchio di un’umanità a sua volta milanese, all’epoca quindicenne, aveva colpito l’immaginazione dei rastremata nella propria sconfitta». Rarissimi in queste liriche i rimandi 98 luinesi con la sua bellezza e la sua vitalità, che la portava a spingersi a Luino, che emergono velatamente in Lassù dove di torre in torre («chi va 99 a nuoto, in compagnia del fratello, fino alla sponda opposta del lago. nella tetra mezzanotte / dei fiocchi veloci, chi l’ultimo /brindisi manca Di lei e del suo nome, celato dietro le sole iniziali di B. B. (Bianca su nere / soglie di vento sinistre / d’attesa, chi va… / È un’immagine Biffi, residente durante l’estate in una villa nella zona collinare del nostra / stravolta, non giunta / alla luce», vv. 8-15), dove il Capodanno Molinetto), restano tracce nel carteggio con Giancarlo Vigorelli ma del ’44, nel campo di prigionia algerino di Sainte-Barbe du Thélat, soprattutto nelle liriche a lei dedicate della sezione Versi a Proserpina: richiama alla mente ricordi lontani: con la sua partenza si chiude una stagione (Dicono le ortensie, vv. 6-9 «Umida sera dell’inverno algerino. Buio pesto dalle 18 nel campo di «è finita / l’estate, è morta in lei, / e niente ne sapranno i freddi / verdi concentramento, ma tutti svegli nelle tende ad aspettare l’anno nuovo. astri d’autunno») anche della vita, e dell’amica luinese sopravviverà solo L’accampamento è su un pendio fangoso per le piogge torrenziali dei giorni il ricordo del sorriso «limpido e funesto / simile al lago / che rapisce scorsi. La nostra tenda è nella parte più alta. Il buio è rotto dai fari delle torrette uomini e barche / ma colora le nostre mattine» (Ecco le voci cadono, di vigilanza agli angoli del campo; ad ogni torretta un marocchino armato. Più vv. 6-9). A distanza di qualche anno (6 marzo ’41), commentando su, in posizione dominante fuori dal recinto, una casa di campagna stanotte con Vigorelli alcuni versi della giovane poetessa Piera Badoni, è Sereni eccezionalmente illuminata. I suoni d’un radiogrammofono sovrastano il stesso a farsi esegeta della lirica con cui Frontiera si chiude: «E adesso brusio della gente sveglia nel campo ... La casa dove gli americani fan festa, è lascia che ti dica quanto mi incantino i versi di P[iera Badoni] e sopra la Svizzera, isola luminosa nel coprifuoco europeo. Penso ai molti amici che tutto: “noi non sappiamo se sia / segno d’un vortice appena nato / o certo sono rifugiati lassù, al sicuro, e che aspettano. Anch’io dopo tutto sono d’una tempesta oltre il mare.” / È come se uno di noi avesse parlato del al sicuro e aspetto. (Un capodanno a Luino, tanto tempo fa. Avevo forse sei, sorriso di B., come se io avessi voluto spiegare il limpido e funesto sette anni. Uscimmo sul balcone carico della neve che cadeva fitta ad ascoltare dell’ultima poesia di Frontiera. Qui dentro c’è il nostro modo di le ore. Passò una giovane donna in fretta, ne ricordo il passo affrettato ed guardare le cose superando le impressioni e la facile grazia dell’incanto elastico. Rincasava o correva, in ritardo, al brindisi augurale? Sorpresa per momentaneo. E quel sorriso è proprio un sorriso lombardo, con la sua strada dall’anno nuovo)». oscura e remotissima origine». Nel 1946 riprende il rapporto con Luino. Ne sono spia anche alcune Dal ’38 al ’46 la frequentazione di Luino si interrompe con l’inizio della confidenze agli amici, come quella del 4 marzo ’46 al poeta fiorentino vita militare e la successiva partenza per il fronte francese (Garessio, in Alessandro Parronchi: «un giorno mi piacerebbe portarti a Luino e farti conoscere quella fonte (esausta?) di commozioni», mentre l’8 aprile benessere, la guerra d’Algeria, la Germania del miracolo. Ma per vere e scrive allo stesso Parronchi, a proposito delle vacanze estive: «Luino proprie “intermittenze storiche”, identificazione di atmosfere, di attimi mi piacerebbe, ma costa; e poi temo che a Luino io ci possa andare particolari che diventano sovraccarichi di significato: l’agonia della soltanto da solo». Il desiderato viaggio si realizza a dicembre, quando di speranza e della gioventù che la ricostruzione implicava e accompagnava, ritorno dal Premio Libera Stampa di Lugano (vinto da Vasco Pratolini quella della piccola fabbrica accanto alla grande […] l’efferatezza del con Cronache di poveri amanti, mentre a Sereni è assegnato per l’inedito capitalismo colta (come, d’altronde, dalla prosa dell’Opzione) nell’atto Diario d’Algeria un premio speciale ex aequo con il poeta mantovano in cui ostenta una dimenticanza, per noi ovvia, di quel che per l’autore Umberto Bellintani) Sereni conduce il vincitore a visitare con lui il è relativamente recente e faticoso acquisto». Tra tante sollecitazioni i paese natale, come Piero Chiara ebbe modo di ricordare molti anni luoghi familiari continuano a essere presenti in un costante scambio dopo: «aveva voluto far vedere Luino a Pratolini. Passando da Varese mi e inesauribile colloquio tra passato e presente, ricordi e speranze, vivi aveva cercato perché mi unissi a lui nella presentazione del nostro paese allo e morti (siano essi il padre, nella poesia Il muro; «la nonna morta / scrittore toscano. Arrivò a Varese che era notte e mi chiamò dalla strada, ma non so da quanti anni» di Ancora sulla strada di Creva; l’anima che lo invano. Non lo sentii, o lo sentii vagamente nel sonno, perché il giorno dopo interpella sull’argine del Tresa in Intervista a un suicida; la vita spenta al credetti d’aver sognato che mi chiamava, da molto lontano, per aiutarlo a suo nascere di Sopra un’immagine sepolcrale). Ne deriva un persistente passare un fiume, forse la Tresa, che sbarra la strada di chi va a Luino». sentimento di immobilità e mutamento, che Pier Vincenzo Mengaldo Da quell’occasione hanno trovato origine la poesia Viaggio all’alba, illumina con queste parole: compresa nella terza raccolta, Gli strumenti umani (Torino, Einaudi, «L’atteggiamento del poeta verso questa che egli stesso lucidamente chiama 100 1965) e la prosa Il volto di Dio, uscita nel numero unico della rivista (Il piatto piange) “ripetizione dell’esistere” è istruttivamente duplice, 101 varesina «La Provincia» (7 febbraio 1948, p.1). ambiguo: da una parte essa dispone attorno a lui un reticolato protettivo Quel primo ritorno segna radicalmente la prospettiva con cui Sereni si di certezze, di realtà tangibili proprio in forza della loro ripetibilità, riaccosta al suo luogo d’origine, riprendendo la sua storia, travolta dagli […] dall’altra scatta l’attesa (vana?) “di un qualche vento / di novità” eventi bellici, da dove si era fermata, nell’estate del ’37: (Le ceneri), e questa stessa immobilità e circolarità dell’esistenza è sentita «Passò dunque quella lunga vacanza disperdendo voci e musiche nell’eco come limite vischioso e prigionia da cui evadere o meglio, con attenuazione rugginosa dell’altoparlante del Lido, nelle prime nebbie lacustri, nelle strategica così consona allo stile umano di Sereni, da “aggirare”: “Non resta prime piogge. Il senso di una vicenda interrotta mi accompagnò per più molto da dire / e sempre lo stesso paesaggio si ripete. / Non rimane anni, fu la causa taciuta di certi guasti che si produssero in me. Un che aggirarlo…” (A un compagno d’infanzia. I). Ancora sulla strada di istinto incorreggibile mi indusse a riprodurre momenti, a reimmettermi in Zenna è il luogo tipico di questa ambiguità e contraddizione, fra attrazione situazioni trascorse al fine di dar loro un seguito, sentirmi vivo rifugiandomi per l’immutabilità delle cose, disperazione per “ciò che muta” e desiderio in quello dal buio della lontananza e della guerra. Era invece un disco rotto di liberazione e mutamento, che sottragga alla “opaca trafila delle cose”». che s’impunta sulla propria incrinatura e oggi mi è facile dire che si trattava Con l’ultima raccolta, Stella variabile (Milano, Garzanti, 1981), si fa di un automatismo perverso, quanto meno deviante. Perché facilmente sempre più evidente l’impossibilità di individuare punti di riferimento una forma di presunta fedeltà alla propria immaginazione si pietrifica stabili in una realtà labile e mutevole, fortemente condizionata da nell’inerzia, in una stortura, in un vizio vero e proprio. Ne ebbi la prova prevaricazioni economiche e ambiguità politiche che rendono l’uomo al primo ritorno sul posto dopo quel lungo intervallo. E qui non posso non sempre più estraneo alla storia, alla società, persino a se stesso, come citare me stesso: Sul lago le vele facevano [ecc.]». denunciano i versi di Un posto di vacanza (III, vv. 19-21): «Fabbrica Siamo arrivati così alla stagione degli Strumenti umani, la raccolta che desideri la memoria, / poi è lasciata sola a dissanguarsi / su questi come scrive Franco Fortini «ha segnato la prevalenza del “parlato” e del specchi multipli». Sereni, che sempre in Un posto di vacanza non “narrato” e quindi dei dislivelli linguistici», e che dà «una prova ulteriore ipotizza per il poeta se non la funzione di «custode non di anni ma di di quella capacità oggettiva di dire una verità sulla verità storico-sociale attimi» (IV, v. 21), così illustra in un’intervista a Gian Carlo Ferretti le del nostro tempo» non soltanto «per le indicazioni di scena: avvento ragioni profonde della sua ultima raccolta: della Repubblica, ricostruzione, la nuova industria, il passaggio del «A differenza dei miei precedenti sarà, credo, un libro privo di un’organiz- Luino, Palazzo Verbania, riflessi

zazione consapevole, di una struttura interna avvertibile. Un libro… che non si può riassumere o raccontare. Anche in questo senso esso dovrebbe esprimere quella compresenza di impotenza e potenzialità, la mia difficoltà a capire il mondo in cui viviamo e al tempo stesso l’impulso a cercarvi nuovi e nascosti significati, la coscienza di una condizione dimidiata e infelice e l’ipotesi di una vita diversa, tanto vaga e sfuggente oggi quanto pronta a riproporsi ogni volta che se ne sappiano cogliere gli indizi e le tracce umane. È il mio modo, in fondo, di vivere la crisi». Come scrive Gilberto Lonardi, è allora «agli orli del vuoto che occorre cercare, nel maturo e tardo Sereni, le tracce, appena le tracce, della pienezza […]. Perché, insomma, si dia questa enunciazione infine “pura” del vuoto – e per esempio non più dentro un onirico teatro d’ombre, come supremamente negli Strumenti – occorre intanto che Sereni si strappi dalla protezione materna dei luoghi più suoi, quelli dell’alta Lombardia del Lago Maggiore e della frontiera, quei luoghi che ormai tende ad evitare, in Stella variabile, mentre prima tornavano e ritornavano nella sua poesia». Nell’ultima raccolta i testi luinesi 102 sono due, Ogni volta che quasi e Luino-Luvino, ma, nei ritorni, nelle iniziative e nelle amicizie è più vivo che mai il contatto con «Luino, il lago, la montagna: insomma il paese dell’anima, lo specchio fisso di se stessi (così l’amore di Laura per Petrarca) in cui guardarsi, a intervalli discreti, per registrarvi lo scorrere della vita, scoprirvisi insieme identico e diverso, se stesso e un altro» (Dante Isella) . un volto come luogo: Vittorio Sereni, photo Aldo Ballo

ereniVittorio SSi definisce un paese anche collocandolo in una prospettiva diversa, estraniandolo dalla sua quotidianità per poi tornare su questa con sensi rinnovati, arricchiti da scorrerie in territori che solo l’abitudine ci nasconde. Scriverne non è che un modo per viverlo, un modo tra altri modi

Concerto in giardino

A quest’ora innaffiano i giardini in tutta Europa. Tromba di spruzzi roca raduna bambini guerrieri, 105 echeggia in suono d’acque sino a quest’ombra di panca. Ai bambini in guerra sulle aiole sventaglia, si fa vortice; suono sospeso in gocce istante ti specchi in verde ombrato; siluri bianchi e rossi battono gli asfalti dell’Avus, filano treni a sud-est tra campi di rose. Da quest’ombra di panca ascolto i ringhi della tromba d’acqua: a ritmi di gocce il mio tempo s’accorda. Ma fischiano treni d’arrivi. S’e strozzato nel caldo il concerto della vita che svaria in estreme girandole d’acqua. Inverno a Luino lucerte vanno per siepi, fumano i boschi intorno Ti distendi e respiri nei colori. e una coppia attardata sui clivi Nel golfo irrequieto, ha voci per me di saluto nei cumuli di carbone irti al sole come a volte sui monti sfavilla e s’abbandona la gente che si chiama tra le valli. 1’estremità del borgo. II Colgo il tuo cuore Questo trepido vivere nei morti. se nell’alto silenzio mi commuove un bisbiglio di gente per le strade. Ma dove ci conduce questo cielo Morto in tramonti nebbiosi d’altri cieli che azzurro sempre più azzurro si spalanca sopravvivo alle tue sere celesti, ove, a guardarli, ai lontani ai radi battelli del tardi paesi decade ogni colore. di luminarie fioriti. Tu sai che la strada se discende Quando pieghi al sonno ci protende altri prati, altri paesi, e dài suoni di zoccoli e canzoni altre vele sui laghi: e m’attardo smarrito ai tuoi bivi il vento ancora m’accendi nel buio d’una piazza turba i golfi, li oscura. una luce di calma, una vetrina. Si rientra d’un passo nell’inverno. E nei tetri abituri si rientra, Fuggirò quando il vento a un convito d’ospiti leggiadri 106 investirà le tue rive; si riattizzano i fuochi moribondi. 107 sa la gente del porto quant’è vana la difesa dei limpidi giorni. E nei bicchieri muoiono altri giorni. Di notte il paese è frugato dai fari, Salvaci allora dai notturni orrori lo borda un’insonnia di fuochi dei lumi nelle case silenziose. vaganti nella campagna, un fioco tumulto di lontane locomotive verso la frontiera. Un’altra estate

Lunga furente estate. Strada di Creva La solca ora un brivido sottile I alle foci del Tresa Presto la vela freschissima di maggio sì che alcuno ne trema ritornerà sulle acque dei volti gia ridenti, dove infinita trema Luino ora presaghi. e il canto spunterà remoto Ma tutto quanto non soggiacque all’afa del cucco affacciato alle valli s’appunta al volo dopo l’ultima pioggia: degli uccelli lentissimi del largo ora avventurati negli oscuri golfi d’un pazzo inverno nei giorni di un’Italia infinita. dei Santi votati alla neve Azalee nella pioggia Il volto di Dio, «Provincia», Varese, 7 febbraio 1942, p. 1

Maturità scoppiante dei colori, Meglio dunque l’altro itinerario: quello più diretto della ferrovia. fu vostra la grazia dell’aria S’imbuca la lunga e tenebrosa galleria di Laveno e all’altro capo luce, nel lume di primavera. Ora si turba lago, montagne coperte di neve, fanno un unico grido. Mentre di qui, seguendo la tramvia, che da Varese porta a Luino, sembra di sprofondare lo splendido fervore. sempre più, si viaggia quasi sotterra per strettoie umide e bluastre; per Ma se il lago riaccenna al sereno poi risalire, più che scendere o sbucare, a un povero scorcio sul lago. tra i canti d’una gita Eppure... eppure, c’e tutta una bellezza da esplorare in queste imminenze sul mondo scampato ai temporali lacustri. Qualcosa di umile e austero insieme che richiama il rame le più bianche s’illudono d’eterno. vetusto delle buie cucine di campagna, un’esile primavera cristiana rimasta sempre agli inizi [«Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum; sed tantum dic verbum et sanabitur anima mea»]. Terrazza

Improvvisa ci coglie la sera. La diga di Creva Più non sai «La Rotonda», Almanacco Luinese 1981, n. 3, Francesco Nastro Editore, Luino 1980, pp. 33-34 dove il lago finisca; Un viottolo costeggiava il vecchio stabilimento e l’incontro così spesso un murmure soltanto ripetuto, ogni volta arrivandoci col cuore in gola, era con un tondo sfiora la nostra vita occhio cieco, nereggiante – un oblò, uno sfiatatoio. In un afrore come sotto una pensile terrazza. di torrefazione fiottava sbuffando l’essenza di oscure lavorazioni perpe- trate tra quelle muraglie. Un altro enigma mi aspettava a pochi passi dal 108 Siamo tutti sospesi 109 «mostro»: il colore, che oggi direi chimerico, di acque immobili e spec- a un tacito evento questa sera chianti, filtrate chissà di dove a espandersi in quel bacino. Un colore entro quel raggio di torpediniera limpido e intenso, talmente estraneo, come dire?, a ogni idrologia (nien- che ci scruta poi gira se ne và. te in comune con le acque note del Verbano e del Tresa), da risultare nient’altro che colore, colore allo stato puro. Turchino, qualcuno disse (mio padre?), e poi parlò di turbìne evidentemente in relazione ai mec- Un ritorno canismi regolatori di quel prodigio, sicché un’incantevole associazione di suoni si ripercosse nella mente sovrapponendo un termine all’altro, Sul lago le vele facevano un bianco e compatto poema per poi sprofondare e riproporsi dopo un’enormità di anni una certa ma pari più non gli era il mio respiro mattina in un ron-ron di motori sul mare aperto, in un alto mare, che e non era più un lago ma un attonito dirlo azzurro o celeste parve proprio inadeguato. specchio di me una lacuna del cuore. Il vecchio ponte sul Tresa «Lunga furente estate. / La solca ora un brivido sottile / alle foci del Tresa ». Vittorio Sereni, Un’altra estate, Frontiera, p. 49 Lago Maggiore, foce del Tresa, «Già l’òlea fragrante nei giardini / d’amarezza ci punge: il lago un poco / si ritira da noi, scopre una spiaggia / d’aride cose». Vittorio Sereni, Settembre, Frontiera, p. 48

112 113 Lago Maggiore, pontili a Luino, «Improvvisa ci coglie la sera. Più non sai / dove il lago finisca; / un murmure soltanto / sfiora la nostra vita / sotto una pensile terrazza». Vittorio Sereni,Terrazza, Frontiera, p. 44 Lago Maggiore, spiaggetta del sasso Galletto, «Senza calore / su tutto la luce sormonta / e in ogni parte rapisce un colore.» Vittorio Sereni, Fine dell’estate lacustre, p. 348 Castelli di Cannero, di fronte a Luino «... ma i Castelli gli ricordarono le vacanze, finite pp. 120-121, Lago Maggiore, «Ma torneremo taciti a ogni approdo. / Non saremo che da poco, e gli tolsero lena ed attenzione. Rivedeva sé stesso nel più meraviglioso e libero po- un suono / di volubili ore noi due / o forse brevi tonfi di remi / di malinconiche barche». meriggio del mondo nuotare lì intorno fra quelle isole minute e, più che isole, fra quei grandi Vittorio Sereni, Strada di Zenna, Frontiera pp. 45-47 sassi emergenti nel lago calmissimo e celeste: e gli amici e la barca legata a una pietra come si legherebbe un mulo e i tuffi a capofitto da una roccia sporgente e lo strano effetto dall’alto dei giovani corpi riemersi». Vittorio Sereni, Il gioco della morra imperversava, Le carte di Vittorio Sereni, Nastro&Nastro, Luino 2000, p. 31

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La costa del Lago Maggiore verso Zenna, «Sotto i miei occhi portata dalla corsa / la costa va formandosi immutata / da sempre e non la muta il mio rumore / né, più fondo, quel repentino vento che la turba / e alla prossima svolta, forse, finirà». Vittorio Sereni, Strada di Zenna, Gli strumenti umani, pp. 19-20 Porto di Colmegna, Lago Maggiore, «... mi dura un bianco brusio / di cicogne lente a mezz’ aria / come dietro i tuoi occhi / il tempo andato / Omero dalla rotta fisarmonica». Vittorio Sereni, Confidenze ad un cieco, Poesie, p. 410 Lago Maggiore, Germignaga, «un gesto vago / come di fronte a chi ti sorridesse / di sotto un lago di calma / algido, in chiarità. Mentre ulula il tuo battello lontano / laggiù: / dove s’addensano le nebbie». Vittorio Sereni, Lontananze, Poesie, p. 391 Luino, lungolago, «Alla svolta del vento / per valli soleggiate o profonde / stavo giusto chiedendomi se fosse / argento di nuvole o innevata sierra / cose di cui tuttora sfolgora l’inverno...» Vittorio Sereni, Luino-Luvino, Stella variabile, p. 85 Luino, Stazione centrale: «Locomotive a sbuffi sordi; / ora per pozze / dall’acquata recente riemergo. / Son giunto / al rimbombo dei passi sui ponti». Vittorio Sereni, Locomotive a sbuffi sordi... Poesie, p. 406

Nota biografica

Vittorio Sereni nacque a Luino il 27 luglio 1913. Si laureò in Lettere a Milano, dove iniziò la sua carriera di insegnante per trasferirsi a Modena nel ’40 con la nomina in ruolo. Il 19 giugno dello stesso anno sposò Maria Luisa Bonfanti, sua compagna d’Università, originaria di Felino (Parma). La prima raccolta di versi, Frontiera, uscì nel ’41 e venne ristampata l’anno successivo con il titolo Poesie. Inviato in Grecia nel ’42 col reggimento «Pistoia», dopo la caduta del fronte a El Alamein fu rimpatriato e destinato col suo reparto alla difesa della costa siciliana, dove il 24 luglio ’43 fu fatto prigioniero dagli Alleati a Paceco (Trapani) e rinchiuso per i successivi due anni nei campi di prigionia dell’Algeria e del Marocco francese. Tornato in Italia nell’agosto del ’45, si stabilì con la moglie e la figlia Maria Teresa a Milano, dove negli anni successivi nacquero Silvia e Giovanna. Ritornò all’insegnamento che continuò fino al ’52, quando iniziò a collaborare con l’Ufficio stampa e propaganda della Pirelli. Nel ’47 aveva intanto pubblicato la seconda raccolta, Diario d’Algeria, cui seguirono, in prosa, Gli immediati dintorni (1962), L’opzione (1964) e le Letture preliminari (1973). Nel ’58 entrò in Mondadori come 131 direttore editoriale: nello stesso anno pubblicò la terza raccolta di poesie, Gli strumenti umani, cui fecero seguito vari volumi di traduzioni (in particolare da Char e Williams) e la prosa Il sabato tedesco (1980). Stella variabile, la quarta raccolta di poesie, fu pubblicata all’inizio del 1982, un anno soltanto prima della morte, avvenuta il 10 febbraio 1983.

Bibliografia citata

Frontiera, Corrente, Milano 1941 Poesie, Vallecchi Editore, Firenze 1942 Diario d’Algeria, Vallecchi Editore, Firenze 1947 Gli strumenti umani, Giulio Einaudi Editore, Torino 1965, ripubblicati nel ’75 con un saggio di Pier Vincenzo Mengaldo Stella variabile, Garzanti, Milano 1982 Tutte le poesie, a cura di Maria Teresa Sereni, Prefazione di Dante Isella, «Lo Specchio», Mondadori, Milano 1986 Poesie, Edizione critica a cura di Dante Isella, «I Meridiani», Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1995, 20014 La tentazione della prosa, Progetto editoriale a cura di Giulia Raboni, Introduzione di Giovanni Raboni, Mondadori, Milano 1998

Lugano CH

Valganna

Varese

Ganna

Ponte Tresa Ponte

del Pesce del

Calcinate

Sacro Monte Sacro

Cassano Cassano

Comerio Valle Veddasca Valle

CH Valtravaglia

Valcuvia

S.Martino

Colmegna

Campo dei Fiori dei Campo

Maccagno

Luino

Gavirate Zenna

Arcumeggia

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Brezzo Brezzo

Casalzuigno Casalzuigno

Cannero

Caldè

Leggiuno Laveno

Comune Comune di Gavirate Comune Comune di Cassano Città di Luino Caterina S. e terre dei laghi varesini, tra paesaggi di montagna e collina, presentano paesaggi di montagna e collina, presentano tra dei laghi varesini, e terre affidandoti alle suggestioni che puoi scoprire d’Incanto” “Luoghi letterarie dei suoi autori: Chiara, Liala, Morselli, Rodari e Sereni. e Sereni. Rodari Morselli, Liala, dei suoi autori: Chiara, letterarie tessuto con infinite variazioni attua così un percorso Si ritrovarsi cosicchè è suggestivo di prospettiva, in questo paesaggio “geo-letterario” capaci quali viaggiatori creativi meraviglie di raccogliere ricordo. che si acquietano nell’intimo L