Teatro Popolare: Arte, Tradizione, Patrimonio Maria Elena Giusti
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TEATRO POPOLARE: ARTE, TRADIZIONE, PATRIMONIO MARIA ELENA GIUSTI Percorsi di antropologia e cultura popolare SEDICI Pacini Saggistica Editore In copertina: Castelnuovo Garfagnana (LU), Compagnia di Asta (RE), Aprile 2011. Maggio Il cavaliere del drago di Luca Sillari. Foto di M.E. Giusti © Copyright 2017 by Pacini Editore SpA Via A. Gherardesca 56121 Pisa (loc. Ospedaletto) www.pacinieditore.it [email protected] Rapporti con l’Università Lisa Lorusso Responsabile di redazione Federica Fontini ISBN 978-88-6315-977-6 Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso di- verso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org. INDICE INTRODUZIONE .......................................................................... pag. 5 I MAGGI DELLA RACCOLTA VENTURELLI ................................ » 19 I MAGGI DRAMMATICI. RONCISVALLE DI ROMOLO FIORONI ...... » 39 “HIGBURY BORE ME. RICHMOND AND KEW/ UNDID ME”: LA PIA DE’ TOLOMEI NELLE SCRITTURE POPOLARI ............... » 57 LA ZINGARESCA POPOLARE ...................................................... » 77 “FREDDO VENTO, ORRIDO VERNO”. NOTE SU UNA SACRA RAPPRESENTAZIONE DELLA NATIVITÀ E DELLA STRAGE DEGLI INNOCENTI ...................................................................... » 103 IN RICORDO DI ROMOLO FIORONI ......................................... » 127 ETNOGRAFIA SUL TEATRO DEI MAGGI. UN BILANCIO DEGLI ULTIMI 30 ANNI ...................................... » 133 BIBLIOGRAFIA ............................................................................. » 165 INTRODUZIONE STUDIARE IL TEATRO POPOLARE “Vieni c’è un Brecht nel bosco”, questo il titolo di un articolo di Rita Cirio, autrice e per molti anni critica teatrale de “L’Espresso”. Lo spet- tacolo recensito è Il Presente e l’avvenire d’Italia, Maggio di Domenico Cerretti, in quell’occasione rappresentato dalla Compagnia di Frassino- ro (MO)1. La musica, la recitazione sempre cantata, il dialogo sempre versificato in un ita- liano arcaizzante che si richiama alla lingua dei grandi poemi cavallereschi del Rinascimento (Tasso e Ariosto sono tuttora le letture predilette dei contadini to- scani) immergono le rappresentazioni in una sorta di straniamento ruspante ma efficace, che risalta tanto più nei Maggi politicizzati, quasi brechtiani. Epicità ru- spante alla lettera perché i Maggi si “cantano” sempre all’aperto nelle radure dei boschi, in mezzo al pubblico disposto in cerchio che mangia e beve e partecipa allo spettacolo con incitamenti o invettive, come doveva essere al tempo del teatro elisabettiano. Bevono anche gli attori, soprattutto per rinfrancarsi dopo una bella morte, sempre in scena, seduti su una sedia a riposarsi negli intervalli come le maschere dell’Arlecchino strehleriano. Anche il suggeritore è sempre in scena (l’effetto ricorda Kantor “a vista” nella sua Classe morta), vicino agli attori a ricordare versi e gesti non meno arcaizzanti. I costumi sono un vero capolavoro di “bricolage” alla Lévi-Strauss, senza verosimiglianza storica: la scritta su un car- tello e un tavolo da cucina sono sufficienti a “interpretare”, per esempio, la città di Troia assediata. E quando brucia? Basta dar fuoco a un pezzo di carta ed ecco fatto l’incendio di Troia2. Con esemplare sintesi uno sguardo esterno a questo mondo, sebbe- ne altamente professionale, coglie l’ evidenza di una rappresentazione per molti versi insolita. Ma soprattutto colpiscono i rinvii ai protagonisti della scena internazionale: Brecht, Kantor, Streheler, nomi di cui i con- tadini e i cavatori interpreti non hanno mai sospettato l’esistenza. Lo straniamento3 è la cifra che meglio restituisce la loro recitazione 1 L’area geografica su cui è presente questo teatro attualmente comprende le province di Lucca, Pisa e le zone montane delle province di Modena e Reggio Emilia. 2 R. Cirio, in “L’espresso”. Settimanale di cultura, politica, economia del 7 ottobre 1979; successivamente ripubblicato in Serata d'onore, Milano, Bompiani, 1983, pp. 70-71. 3 Straniamento è termine che si ritrova in Brecht, riferito alla sua proposta di teatro epico: “gli attori non compivano più una trasformazione completa, ma mantenevano 6 Teatro popolare: arte, tradizione, patrimonio e che indica la distanza incolmabile che li separa dai modi adottati en- tro i teatri fatti di pietra e mattoni, per lo meno fino a all’affacciarsi del teatro contemporaneo. Attori non professionisti che entrano ed escono dal personaggio interpretato con grande naturalezza nello spazio breve che intercorrere tra la fine della battuta e l’avvio di una conversazione con qualcuno del pubblico, apparentemente disinteressati dallo spetta- colo che nel frattempo continua a soli pochi passi di distanza. L’assenza di un palco e delle quinte, se non in alcuni casi spora- dici, lo spazio circolare e il contatto fisico con il pubblico, senz’altro contribuiscono nel favorire tale prassi, ma credo sia da considerare come effetto secondario; in realtà i modi della recitazione che non riguardano solo il teatro epico del Maggio, ma anche le altre forme drammatiche del teatro comico, provengono da lontano e sono stati così ben introiettati nel tempo da venir riproposti secondo un dispo- sitivo non privo di certo automatismo favorito dalla condivisione di una scrittura in versi. In tale promiscuità il segno distintivo che non permette alcun ge- nere di equivoco, contribuendo nel contempo ad amplificare l’effetto straniante, è dato dal costume. Il costume nel Maggio è, salvo rarissimi casi, anche quando si ricorre alla sartoria teatrale, fantastico, non varia e non ha alcun rap- porto con la vicenda rappresentata; quando autoprodotto è di pro- prietà dei singoli attori che ne hanno grandissima cura. Come è d’uso nel teatro popolare l’importante è che sia variopinto, arricchito di ricami, nastri, perline, specchietti, elementi dorati. Quello maschile si compone per lo più di pantaloni, corpetto, mantello, copricapo; quello femminile è più semplice ed è quasi sempre costituito da un lungo abito monocolore, impreziosito con una cintura e qualche gio- iello. Mentre in area emiliana esso è totale e comprende anche la calzatura, nel nord della Toscana il più delle volte è soltanto parziale: è qui difatti possibile intravedere, sotto corpetto e mantello, camicia, pantaloni, scarpe quotidiane e l’orologio al polso. Ma proprio dove sembra esserci minore accuratezza permane il simbolismo coloristico dei manti: bianco, celeste, verde sono i colori degli eroi; rosso, giallo e nero individuano gli anti eroi. Così come avviene per la scrittura del testo, anche nella scelta e inter- pretazione del costume la fantasia regna sovrana e di nuovo, a seconda un distacco rispetto al personaggio da loro interpretato e giungevano fino a solleci- tarne palesemente una critica”. B. Brecht, Teatro di divertimento o teatro di insegna- mento?, in Scritti teatrali, Torino, Einaudi, 1962, p. 45. INTRODUZIONE 7 dei luoghi e delle epoche, risponde a particolari esigenze estetiche, va- riando con il mutare del gusto; non c’e difatti apparente spiegazione sui motivi che possono aver indotto alla fine del secolo scorso i maggianti di area grossetana a guardare a un modello iconico che nel suo insie- me echeggia motivi orientaleggianti, né su quelli che un secolo dopo, all’estremo opposto dell’area di diffusione, in terra emiliana, inducono ancora oggi a prediligere la suggestione di un’uniforme militare, sebbene di gran gala. In uno spettacolo che, pur con numerose varianti, mantiene costanti forme e modalità della messa in scena, il dominio dell’invenzio- ne investe le storie narrate e gli eroi che le popolano, compresi i loro costumi: l’importante è che le une e gli altri siano il più lontano possibile da una realtà intrisa di povertà e fatica che puntualmente riemergono nei panni indossati dalla piccola folla di osti, frati, lavandaie: i non eroi. Questi attori, in senso proprio e quali attori sociali, che spesso hanno vissuto per tutta la vita in paesi a lungo rimasti in condizioni di quasi isolamento, non sono digiuni dell’ esperienza teatrale canonica; spesso infatti alternano la loro partecipazione entro la compagnia del maggio e in quella della filodrammatica locale. In particolare in Toscana, quasi in ogni paese esiste uno spazio deputato, dalla sala parrocchiale a un locale di fortuna riadattato, alla presenza di veri e propri piccoli teatri. Edifici costruiti per lo più fra fine Ottocento e inizio Novecento grazie a iniziative filantropiche di gruppi o as- sociazioni, come quelle dei reduci della Grande guerra, dove fino agli anni sessanta del XX secolo non era infrequente la presenza di Compagnie di giro che mettevano in scena indifferentemente Ibsen e Nicodemi. Fra Appennino e Apuane la consuetudine con il teatro non si esauriva con la tradizione, la differenza stava nel fatto che nell’edificio si ospitava il teatro che proveniva dall’esterno, quello considerato vero, ufficialmente riconosciuto; l’altro stava fuori, nelle aie, nelle piazze o nelle selve. L’ espressione linguistica, del resto, non permette ambiguità: “stasera c’è il teatro” o “si va in teatro” indicava quello professionistico,