Architettura Della Nazione 1
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Indice Ringraziamenti pag. 9 Introduzione » 11 I. Una scuola per l’architettura della nazione 1. Il colpo di mano di Rosadi » 23 2. Professori e massoni: una scuola nell’istituto di belle arti del gran maestro Ferrari » 28 3. Una corte di cassazione per l’architettura » 33 4. Tra i docenti della scuola di Roma » 36 5. Il programma della scuola: educare a uno stile ita liano » 40 6. La riforma Gentile e le scuole di architettura » 45 II. Un architetto da creare e uno da sanare 1. La mancata tutela del titolo di architetto » 50 2. La nascita del Sindacato fascista architetti » 54 3. La Federazione architetti italiani e l’Associazione fra i cultori di architettura » 57 4. L’inquadramento degli architetti nel sindacato fa scista » 62 5. Un professionista per il fascismo » 65 6. La grande sanatoria: i professori di disegno pro mossi architetti » 70 5 III. L’insegnamento e gli insegnanti di architettura 1. La scuola di Giovannoni e la continuità con la tradizione architettonica italiana pag. 75 2. A “piccoli passi” verso le altre scuole di architet tura » 82 3. Lotte tra docenti per l’egemonia nella scuola: Giovannoni contro Piacentini » 87 4. Per un indirizzo romano delle scuole di architet tura: Belluzzo contro Fedele » 95 5. Le scuole periferiche: Firenze, Napoli, Torino e Venezia » 99 6. La facoltà di architettura di Milano » 105 IV. Carriere accademiche e scuole contestate 1. Scorciatoie di palazzo romane: professori in cat tedra senza concorso » 114 2. Il frustino del sindacato » 120 3. Professori contro i razionalisti » 126 4. Una competizione tra le scuole di architettura » 129 5. Il convegno sulla formazione dell’architetto » 135 6. L’araba fenice della legge urbanistica e la scuola di perfezionamento » 141 V. La gestione dell’architettura 1. Il sindacato di Calza Bini » 147 2. Concorsi, monopoli, raccomandazioni e tangenti » 153 3. Il cambio della guardia alla scuola di Roma » 160 4. La scuola di Piacentini e lo stile mussoliniano » 165 5. L’occupazione delle cattedre » 172 6. I concorsi per la libera docenza e l’ostracismo dei cattedratici » 180 7. I littoriali di architettura “contraltari” delle valu tazioni accademiche » 183 VI. La professione e il professore 1. Anatomia di una professione » 187 2. I camerati architetti » 192 3. Il professionista professore » 197 4. Una scuola da cambiare: le proposte di Argan e Pagano, consiglieri di Bottai » 202 6 5. Verso il crollo del fascismo: esercizi di trasformi smo politico pag. 206 6. L’epurazione dei professori compromessi con il fascismo: i casi di Calza Bini e Piacentini » 209 7. Concorsi a cattedra da annullare: Piacentini soc corso da Andreotti » 215 Conclusioni » 219 Indice dei nomi » 231 7 Introduzione Chi crede di trovare in questo libro sull’architettura negli anni del fascismo un’inedita lettura formale della stazione di Firenze o del "Colosseo quadrato” di Roma, per citare due fra le più celebri opere del regime, rimarrà deluso. Qui si parla poco dell’oggetto architetto nico in sé e si tace di costrutti tipologici, di impianti distributivi, di gusto tettonico. Diversamente si trovano descritti due mondi partico lari e inediti che investono l’esperienza dell’architetto: l’università e l’organizzazione professionale, due poteri forti chiusi in una torre d'avorio, finora pressoché inaccessibili allo sguardo dello studioso. Ma attenzione, questo percorso si sviluppa solo in parte all’interno dei territori della disciplina. All’opposto si è preferito debordare da quei confini e indagare sui più intriganti legami dell’architettura con la politica, per soffermarsi sulle non rare zone d’ombra. Le vicende qui descritte non si svolgono dunque soltanto dentro le aule universitarie o negli uffici del sindacato fascista architetti - l’organizzazione che allora sostituiva l’attuale ordine professionale - ma ricercano il nesso con ciò che accade fuori. Si scoprirà così che la prima e più importante scuola di architettura nasce in un contesto massonico, che la categoria si costituisce per merito di una non edu cativa legge di sanatoria ai fini di un consenso politico. Si avrà noti zia del docente che in aula biasima gli sventramenti mentre in qual che altra città d’Italia ha in cantiere la distruzione del centro storico, si verificherà che la pratica del concorso invocata dal sindacato ar chitetti in nome della trasparenza in realtà è servita per pilotarne gli esiti. Si apprenderà il nome del politico che appoggia l’architetto, quello del giornalista che intercede presso il ministro per il docente franco muratore, del professore universitario che raccomanda il suo 11 assistente, di studenti castigati nel voto perché non hanno seguito i suggerimenti stilistici dell’insegnante. Si conoscerà la storia di una città progettata da un architetto che ha avuto direttamente l’incarico dal padre, alto esponente sindacale, deputato fascista e preside di fa coltà. Si avrà il numero delle presenze di alcuni architetti, sempre gli stessi, nelle giurie dei concorsi, si intuirà perché, gusto personale e autarchia a parte, il progettista ha utilizzato un marmo invece di un altro per rivestire la sua opera. Lo anticipiamo subito. Il vasto processo nazionale di modernizza zione dell’insegnamento e della professione che caratterizza gli anni del fascismo si manifesta in modo contraddittorio. Il quadro che ne esce incrocia progetti culturali di profilo, capacità organizzative, de dizione all’insegnamento con ambienti degradati, attraversati da ma neggi, dall’occupazione del potere fine a se stesso, da favori perso nali, da un generale lassismo. La particolarità deU’indagine e l’insie me dei dati raccolti ci fa credere che paradossalmente l’architettura potrebbe essere solo un pretesto e il quadro rappresentare solo il frammento di una crisi, fra le tante, attraversate dalla società italia na. Crediamo, infatti, che gli avvenimenti qui narrati vadano oltre l’interesse disciplinare e finiscano col delineare un significativo spaccato di storia d’Italia tra le due guerre. Il posto occupato dall’architettura in quel periodo è di primissimo piano. Essa è per il fascismo un’arma, tra le più efficaci, per ottene re il consenso ed è un collaudato strumento a disposizione del potere per lasciare ai posteri un’immagine duratura di sé. Come ognuno può constatare, soprattutto il secondo risultato è stato ampiamente centrato. La produzione architettonica del fascismo è stata “enor me”, tanta quanta “nessun altro popolo nello stesso periodo ha nean che lontanamente pensato di fare”, scrive Marcello Piacentini a vent’anni dalla marcia su Roma 1. Anche il processo di professiona- lizzazione e di scolarizzazione, che fa da pendant a questa straordi naria attività, ha avuto una forte connotazione di regime. L’architet tura è dunque, rispetto ad altre discipline, un osservatorio privilegia to per indagare l’intreccio tra il potere professionale, quello univer sitario e la politica. 1. M. Piacentini, «Onore all’architettura italiana», Architettura, n. 5, maggio 1941; ora in Id., Architettura moderna, a cura di M. Pisani, Marsilio, Venezia, 1996, p. 291. 72 La riforma dell’insegnamento e della professione interviene su una realtà cofi radici profonde nel passato. Sullo sfondo c’è un me stiere antico e un sapere tramandato da maestro ad allievo nelle bot teghe. Su questo modello si era innestato un tipo di formazione so cialmente diverso a partire dalla seconda metà del XVI secolo. Da allora, dapprima in modo frammentario e sporadico, poi nel secolo XIX in modo più sistematico e diffuso, l’architettura viene insegnata anche nelle accademie d’arte. Inoltre, dalla seconda metà del secolo scorso, l’architettura diventa materia d’insegnamento nelle scuole d'ingegneria. A fronte di una tradizione d’insegnamento secolare, le scuole spe cifiche di architettura sono invece un’invenzione recente. La prima scuola superiore di architettura viene infatti istituita a Roma nel 1919, la seconda a Venezia nel 1926. Tre anni più tardi viene fonda ta una scuola a Torino e nel 1930 è la volta di Napoli e di Firenze. Infine, nel 1933, la sezione di architettura del Politecnico di Milano diviene la sesta scuola di architettura, da ora in poi elevate a facoltà. Nell'arco di 15 anni decolla in Italia la riforma dell’insegnamento dell'architettura. Eccetto quella di Roma, le scuole vengono istituite durante il fascismo. Tutte, ma quella di Roma in particolare, vengo no avvalorate dal regime. In queste scuole gli insegnanti seguono un piano di studi modellato a improntare una nuova figura, distinta dal la precedente, quella dell’“architetto integrale”. Anche la professione dell’architetto, con il suo campo d’azione, le sue regole, la sua struttura organizzativa, ha una vita giovane. Al cuni anni dopo la fondazione della scuola di architettura di Roma, siamo nel 1923, viene riconosciuto per legge il titolo di architetto e nel 1925 vengono definite le norme che regolano la professione. Tra il 1923 e il 1926, mentre nel Paese si avvia il processo di fascistiz zazione, il Sindacato nazionale fascista architetti assume il ruolo di rappresentante unico della categoria: da ora in avanti e per tutta la durata del regime, fatte proprie le funzioni degli ordini, esso presie derà all’organizzazione dell’attività professionale degli architetti. Stretti legami intercorrono tra l’educazione scolastica dell’archi tetto e il suo inquadramento sindacale. Educare e inquadrare sono state le parole allora più in uso. La scuola e il sindacato accompa gnano, alternandosi, di pari passo l’“architetto integrale”, dai primi disegni tracciati sui banchi all’opera in cantiere, dal rilievo dell’edi ficio rinascimentale alla stesura della parcella. La scuola ne indiriz za la formazione. Il sindacato ne disciplina e tutela la pratica profes- 13 sionale, ma anche ne favorisce il successo. Questi aspetti visti nel loro intreccio e nel loro articolarsi sono stati poco studiati. Eppure, come si vedrà, hanno un peso non irrilevante nella storia e nella cul tura dell’architettura italiana tra le due guerre 2.