Torino Auditorium Giovanni Agnelli Lingotto Domenica 23.IX.07 Ore

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Torino Auditorium Giovanni Agnelli Lingotto Domenica 23.IX.07 Ore Torino Internationale Bachakademie Auditorium Stuttgart Giovanni Agnelli Helmuth Rilling direttore Lingotto Sibylla Rubens soprano Ingeborg Danz contralto Lothar Odinius tenore Domenica 23.IX.07 Klaus Häger basso ore 21 Bach Videoimpaginazione e stampa • la fotocomposizione - Torino Johann Sebastian Bach (1685-1750) Messa in si minore BWV 232 per soli, coro e orchestra I Missa Kyrie Kyrie eleison (coro) Christe eleison (duetto: soprano, contralto) Kyrie eleison (coro) Gloria Gloria in excelsis Deo (coro) Laudamus te (aria: soprano) Gratias agimus tibi (coro) Domine Deus (duetto: soprano, tenore) Qui tollis (coro) Qui sedes (aria: contralto) Quoniam tu solus sanctus (aria: basso) Cum Sancto Spiritu (coro) II Symbolum Nicenum [Credo] Credo in unum Deum (coro) Credo in unum Deum Patrem omnipotentem (coro) Et in unum Dominum (duetto: soprano, contralto) Et incarnatus est (coro) Crucifixus (coro) Et resurrexit (coro) Et in Spiritum Sanctum (aria: basso) Confiteor (coro) Et expecto resurrectionem (coro) III Sanctus Sanctus (coro) IV Osanna, Benedictus, Agnus Dei et Dona nobis pacem Osanna (doppio coro) Benedictus (aria: tenore) Agnus Dei (aria: contralto) Dona nobis pacem (coro) Internationale Bachakademie Stuttgart Helmuth Rilling, direttore Sibylla Rubens, soprano Ingeborg Danz, contralto Lothar Odinius, tenore Klaus Häger, basso In collaborazione con Torino Spiritualità essuno, osservando il monumentale edificio della Messa in si minore Nin tutta la sua solidità, coerenza e ricchezza inventiva, sospetterebbe che un tale opus magnum, definito da Zelter «il più grande capolavoro musicale mai visto al mondo» (lettera a Pölchau, 13 dicembre 1811), nasconda sotto la sua superficie tornita e solenne una matassa di proble- mi cronologici e interpretativi non facile a districarsi. Innanzitutto, più che di un’unica opera progettata per intero e scritta di seguito, è ormai accertato che si tratta di una sorta di raccolta di brani com- posti in momenti diversi. A un Sanctus risalente al 1724 e a una Missa bre- vis (vale a dire un Kyrie seguito da un Gloria) del 1733 Bach aggiunse, negli ultimi anni della sua vita, tra il 1747 e il 1749, il Credo, l’Osanna e l’Agnus Dei. Curiosamente, però, egli non dispose l’Ordinarium missae secondo la consueta ripartizione in cinque parti della tradizione romana (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei), ma lo ordinò sotto quattro titoli, accorpando Kyrie e Gloria (I), lasciando a sé il Credo (II) e dividendo il Sanctus (III) dal- l’Osanna e dal Benedictus, che figurano uniti all’Agnus Dei (IV). Questo ordine redazionale, in apparenza del tutto gratuito, va probabilmente spiegato insieme alla problematica attribuzione confessionale della Messa: che cosa ci fa una Messa (formalmente) cattolica nel catalogo delle opere del protestante Bach? Come mai un compositore completamente dedito al servi- zio luterano – un uomo, tra l’altro, che generazioni di biografi si sono affan- nati a descrivere come il modello dell’uomo religioso, retto e pio – “macchia” il catalogo delle sue opere con una sorta di apostasia musicale? Una possibile risposta sta nel lacerare il velo non poco agiografico con il quale Bach viene ancora oggi volentieri ricoperto e considerare pragmaticamente le possibili scelte politiche e le opportunità lavorative che, nella Germania dell’e- poca, potevano risultare convenienti e appetibili per un grande musicista con- scio dei propri mezzi. In effetti, sappiamo che la Missa brevis del 1733, nucleo della futura opera maggiore, fu inviata come omaggio al duca di Sassonia Federico Augusto II, accompagnata da una lettera nella quale Bach, con argo- mentazioni e toni perfino sfacciatamente “contabili”, chiede il Titul di com- positore di corte, corredato, si intende, del relativo emolumento. Sappiamo che il duca era cattolico, benché non lo fosse la sua corte (e nemmeno la moglie) e sappiamo che a Dresda erano in funzione due cappelle ducali, una per ogni confessione. In effetti, Kyrie e Gloria valgono per i riti di entrambe le confessioni, ma si è pensato che Bach, con il suo gesto, si candidasse a scrive- re l’intera Messa per l’incoronazione del duca a (cattolicissimo) re di Polonia l’anno successivo. Il “titolo” richiesto, di fatto, non arriverà a Bach che tre anni dopo, per intercessione del barone von Keyserling, suo ammiratore e pro- tettore, allora ambasciatore dell’Impero russo. Questo sottile maneggio politi- co, che ottiene un beneficio appoggiandosi alla potenza protettrice del princi- pato a cui si chiede protezione, sortisce l’effetto di annoverare Bach in una pre- stigiosa cerchia di compositori di corte, tutti cattolici! Ma poco importa, visto che la manovra lo aiuta meravigliosamente a mettersi in una posizione di quasi invulnerabilità nei confronti del Consiglio cittadino di Lipsia, suo datore di lavoro per tutta l’ultima parte della vita. Egli riuscì gradualmente a svinco- larsi da molti dei quattordici punti che aveva sottoscritto nel prendere servizio, comprendenti un numero altissimo di mansioni e responsabilità, senza che nessuno dei superiori osasse mettere in discussione il suo incarico. In questa lettura un po’ spregiudicata, Bach, se non volle a tutti i costi scrivere una Messa dichiaratamente cattolica (ma forse era disposto a farlo, dietro adeguato corri- spettivo), certo poté tranquillamente arrivare a usare la (meravigliosa) musica che scriveva, ad esempio le parti già pronte della futura Messa in si minore, per procurarsi la libertà necessaria a seguire la propria vocazione artistica. Dunque una Messa cattolica per puro calcolo opportunistico? In verità, il raggruppamento redazionale in quattro titoli potrebbe, almeno in parte, scagionare Bach. Si può leggere infatti una fedeltà luterana nell’ordinare i materiali della Missa latina secondo l’uso parziale, occasionale e disconti- nuo che se ne faceva nei riti protestanti. Qui venivano spesso usati Kyrie e Gloria secondo il modello latino (Bach ci ha lasciato altre quattro “Messe luterane” su questo schema), ma di norma i primi due versi del Sanctus erano scorporati dal testo rimanente: l’Osanna e il Benedictus venivano intonati solo dopo la predica, vero centro del culto protestante. Anche la lezione testuale utilizzata da Bach è quella scelta dalle chiese rifor- mate: nel Sanctus si dice “pleni sunt coeli et terra gloria ejus”, e non “tua”. Similmente, nel Gloria, all’invocazione “Domine Fili unigenite, Jesu Christe” si aggiunge “Altissime”, non presente nella versione romana. Il Credo, intito- lato Symbolum Nicenum, è certamente l’elemento più spurio nel contesto pro- testante, dato che il testo latino, se cantato, lo era in forma semplice e mono- dica, oppure veniva utilizzata una versione tedesca, salvo rare eccezioni di particolare solennità. Ma è difficile accusare Bach di apostasia musicale solo sulla base della completezza formale dell’opera, omaggio a una tradizione liturgica che comunque sopravviveva ancora per larghe parti nel culto rifor- mato. L’ambiguità confessionale della Messa in si minore, forse, è tutta qui: modellata sullo schema latino di antica tradizione, ma pensata per essere uti- lizzata in ambito protestante, secondo la prassi frequentata dal suo autore. Un altro nodo problematico è dato dalla ricerca di esecuzioni dell’opera durante la vita dell’autore. A tutt’oggi non è possibile documentare esecu- zioni complete in presenza di Bach, che con tutta probabilità non poté mai ascoltare il suo capolavoro. Questa constatazione è tanto più sconcertante se si pensa, sulla scia di Alberto Basso, che nessuno prima di Bach aveva osato una versione musicale tanto grandiosa del testo della Messa e, dopo di lui, fino a Mozart nessuno si pose il problema, poi superato dal grandioso edifi- cio, ormai completamente metaliturgico, della Missa solemnis di Beethoven. A noi rimane in lascito un’opera pressoché perfetta, che riunisce in un unico corpo le diverse anime stilistiche di un’intera epoca: alcune sezioni sono trat- tate secondo lo stile antico, altre secondo lo stile moderno, altre ancora nella compiuta sintesi che è la cifra più chiara del genio di Bach. La segmentazio- ne del testo e il relativo trattamento musicale sono magistrali, soprattutto nel- l’aderenza espressiva del Gloria e nella mirabile costruzione simmetrica del Credo: nove numeri ordinati in tre sequenze da tre con le due sezioni solisti- che poste in perfetto chiasmo al terzo e al terzultimo posto – simbologia ter- naria e trinitaria, anche nel senso teologico di tri-unitaria. L’esito è quasi un miracolo: non di quelli visibili, realizzati dalla forza della fede, ma di quelli invisibili, compiuti nell’interiorità dall’ascolto della Parola. Come scrisse Lutero nel suo commento al libro della Genesi: «ocularia miracula minora sunt quam auricularia». Pietro Mussino La Gächinger Kantorei è stata fondata da Helmuth Rilling nel 1954 e deve il suo nome al villaggio dell’Alb Svevo in cui hanno avuto luogo le prime prove ed esibizioni, ben presto seguite da una serie di impegni in Europa e da tournée negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone. Le pagi- ne sacre oratoriali, eseguite con il Bach-Collegium Stuttgart, sono dive- nute parte del repertorio fin dal 1965. La registrazione completa delle Cantate e degli Oratori sacri di Bach, frutto di un lavoro durato quindici anni, è stata presentata al pubblico nel 1985 in occasione del tricenten- tenario della nascita del grande compositore. Nel 1976 la Gächinger Kan- torei diretta da Rilling è stata invitata dalla Israel Philharmonic Orchestra per esibirsi in Ein deutsches Requiem di Brahms:
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