AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017

LA RISCOPERTA DI UN PICCOLO ANGOLO DELLA SICILIA.

Marinella (casa di Montalbano) Torre Scalambri Punta Secca Lungomare di  La Mannara (fornace Penna)  San Giorgio (Ragusa Ibla) Castello di Donnafugata Marina di Ragusa Grotta delle Trabacche 

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017

INDICE

TUTTO COMINCIÒ QUEL LONTANO 6 MAGGIO DEL 1999. Pag. 5

CRESCITA BOOM DEL TURISMO NELL’AREA IBLEA

6 MAGGIO DEL 1999

I LUOGHI TELEVISIVI DI MONTALBANO

CENNI STORICI DEI LUOGHI DI MONTALBANO. Pag.11

CENNI STORICI

PUNTA SECCA (MARINELLA). Pag.21

PUNTA SECCA

LA CASA DI MONTALBANO

LA STORIA DI QUESTA CASA

IL FARO DI PUNTA SECCA

IL LUNGOMARE, IL PORTO E LA CHIESETTA

TORRE SCALAMBRI E LE TORRI SARACENE NELLA COSTA IBLEA. Pag.40

LE TORRI SARACENE NELLA COSTA IBLEA

TORRE SCALAMBRI

TORRE DI PIETRO

TORRE VIGLIENA

TORRE MAZZARELLI

TORRE CABRERA

LE TORRI SARACENE NELLA STORIA. Pag.57

BREVE STORIA DELLE “TORRI SARACENE”

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LA CUCINA DI MONTALBANO. Pag.68

A TAVOLA CON MONTALBANO

PIATTI A BASE DI CARNE E VERDURE

PIATTI A BASE DI PESCE

CONTORNI VERDURE E INSALATE

DOLCI

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CRESCITA BOOM DEL TURISMO NELL’AREA IBLEA.

La provincia di Ragusa con appena 12 comuni ed un territorio piccolo e di nicchia ha sempre avuto difficoltà a competere con i grandi attrattori del turismo siciliano: Siracusa, Agrigento, Taormina, Palermo, isole Eolie. In questi ultimi anni le cose però stanno cambiando, significativi alcuni dati: nel 2014 nell’area iblea furono registrati 829.000 turisti (414.000 italiani e 415.000 stranieri) , nel 2017 invece le presenze sono passate a 1.200.000 facendo registrare un balzo del 48 % (41% italiani e ben 59 % stranieri). Tale trend positivo è stato confermato anche dai numeri del sistema aeroportuale del sud-est Sicilia dove nei primi 8 mesi dell’anno 2017 i passeggeri di e Comiso sono passati da 5.000.000 del 2014 ai 6.400.000 del 2017 (+ 28%).

I fattori di questa crescita sono da ricercare principalmente:

 Nell’effetto Montalbano.  Nell’inserimento della nostra area tra i siti patrimonio dell’umanità dell’Unesco.  Nell’apertura dell’aeroporto di Comiso, che, nonostante un numero di tratte e di offerta largamente inferiore rispetto a Catania, ha contribuito con i collegamenti da Belgio, Germania e Gran Bretagna ad attrarre flussi turistici importanti. La posa della prima pietra avvenne nell'ottobre del 2004, l’inaugurazione il 30 maggio del 2013 (quasi 10 anni dopo), ma i voli cominciarono diversi mesi dopo.  Nel porto di Marina di Ragusa (realizzato dopo 20 anni, il primo incarico fu assegnato il 20/05/89, l’ultimazione dei lavori avvenne il 30/04/ 2009 e l’inaugurazione il 10 luglio 2009).  Nell’instabilità politica di alcune aree del mondo (Egitto, Tunisia e Nord Africa…) ed il rischio terrorismo, che premia l’Italia.  Nelle bellezze paesaggistiche, il clima, il barocco, la storia, un’enogastronomia d’eccellenza, un mare incontaminato, spiagge libere e ben curate.

Grazie a questo mix di fattori, quella che una volta era una zona della Sicilia quasi sconosciuta, oggi è diventata (e continua ad esserlo) meta di pellegrinaggio di tantissimi turisti nazionali e internazionali. Ma quello che più conta è che lo sviluppo turistico non ha alterato l’atmosfera tipica dei nostri piccoli borghi marinari siciliani (Punta Braccetto, Punta

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Secca, Caucana, Casuzze, Marina di Ragusa …..fino a Sampieri e Pozzallo). Passeggiando per le stradine e le piazzette di questi borghi marinari si respira ancora un’aria di semplicità, la salsedine del mare, si possono ancora ammirare i piccoli porticcioli e i pescatori intenti a dipanare, ripulire e riparare le loro reti, in questi luoghi è ancora possibile godere di spiagge libere. Ci sono ancora diversi problemi da sistemare, come la frammentazione dell’offerta tra i vari comuni, le strutture alberghiere non al top (prolificano i B. & B. e le case private date in affitto) , il nodo trasporti e viabilità, ma il Distretto turistico Ibleo sta lavorando per migliorare la promozione ed il miglioramento dell’offerta turistica. Sul piano operativo si sta cercando di realizzare un sistema informatico unitario digitale, facile nell’uso e a disposizione del turista (sito e app), che integri in una mappa interattiva tutti i dati utili per valorizzare i fattori di eccellenza: un sistema unitario che indichi le cose da fare e da vedere, i servizi di base (come spostarsi, dove trovare un bancomat, un pronto soccorso, gli orari dei musei, ecc.).

A dire il vero Ragusa ed il suo territorio erano già diventati, nel passato, oggetto di interesse da parte dei mezzi di comunicazione di massa altre tre volte:

 Fra il 1870 ed il 1920 per lo sfruttamento della pietre pece (esportata non solo in Europa, ma anche in Argentina, e Cina).  Nel 1953 quando nel territorio ragusano fu scoperto il petrolio.  Nel dicembre del 1981, durante il governo Craxi, quando furono installati 112 missili Cruise, nei pressi dell'aeroporto militare di « Magliocco » di Comiso, in provincia di Ragusa. Missili, diventati operativi a partire dal 30 giugno 1983, che avrebbero dovuto riequilibrare il dispiegamento dei missili SS-20 sovietici del Patto di Varsavia.

TORNA

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TUTTO COMINCIÒ QUEL LONTANO 6 MAGGIO DEL 1999

La Sicilia, nell’immaginario collettivo, è stata sempre rappresentata da città come: Palermo, Siracusa, Agrigento, Taormina, Catania. Città ricche di storia e di monumenti e degne di ammirazione. Molte altre suggestive città e piccole località, fuori dagli itinerari turistici, sono rimaste nel dimenticatoio per tantissimi anni. Uno di questi angoli nel 1999 è uscito dall’anonimato per diventare famoso non solo a livello nazionale ma anche internazionale. Stiamo parlando degli scorci pittoreschi e poco conosciuti della provincia di Ragusa, scelti come scenario e ambientazione della serie televisiva del “Commissario Montalbano. Questo miracolo ebbe inizio il 6 maggio del 1999 quando la Rai trasmise la prima serie televisiva del “Commissario Montalbano”, tratta dai romanzi di Andrea Camilleri (scrittore, sceneggiatore e regista italiano nato a Porto Empedocle), che negli anni ottanta era stato docente dell’attore Luca Zingaretti quando questi aveva frequentato a Roma “L’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’amico”. Il commissario di polizia Salvo Montalbano, interpretato magistralmente dall’attore Luca Zingaretti (che ha dovuto adeguare la sua parlata al siciliano, essendo di origine romana), in ogni episodio è alle prese con fatti di malaffare (rapimenti, uccisioni, prostituzione, immigrazione clandestina….) che, grazie al suo intuito, alla sua spiccata capacità investigativa e all’aiuto dei suoi validi collaboratori, riesce sempre a risolvere.

UN SUCCESSO TELEVISIVO INTERNAZIONALE. I primi sei episodi (le prime tre stagioni) furono trasmessi dal secondo canale Rai, con ascolti compresi tra 6,3 e 7,3 milioni (share dal 23,75 al 29,65%). Con il passare degli anni gli ascolti aumentarono sempre di più fino a toccare punte superiori agli 11 milioni di spettatori.

La serie televisiva, trasmessa in più di 28 paesi al mondo, e tradotto in 31 lingue ha ottenuto risultati eccezionali, tant’è che nel 2016 è risultata essere tra i dieci programmi più visti nel Regno Unito.

COME SPIEGARE TANTO SUCCESSO? Quest’eccellenza, che ha superato i confini nazionali, deve il suo successo ad un mix di fattori sapientemente dosati, quali:

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 L’indiscutibile bravura dei personaggi, il Commissario Montalbano (interpretato da Luca Zingaretti) Mimì Augello (Cesare Bocci), Carmine Fazio (Peppino Mazzotta) e Catarella (Angelo Russo).  La capacità della Rai e della Palomar (società di produzione) nel dosare con sapienza le puntate della fiction nel corso degli anni. Un prodotto basato non sulla quantità ma sulla qualità, pochi episodi a stagione, ma ben fatti.  Le intriganti, coinvolgenti, attuali e complesse storie di Camilleri che invitano alla riflessione e trasmettono un profondo senso di umanità e di giustizia.  Le ambientazioni, le atmosfere, i paesaggi, la campagna iblea, le ville padronali, le spiagge, il mare, la cucina.

La stessa sigla iniziale della fiction, è un’accurata sintesi dei “luoghi di Montalbano” e offre una sufficiente idea delle bellezze paesaggistiche, culturali e storiche di questa zona.

ALTRI FATTORI. L’aeroporto di Comiso ha fatto decollare il turismo in provincia di Ragusa; il porto di Marina di Ragusa (ci sono voluti 20 anni per la realizzazione), che ha proiettato il territorio ibleo verso un turismo diportistico d’eccellenza; gli sforzi finanziari delle varie amministrazioni comunali nel rivalorizzare il patrimonio architettonico locale sicuramente hanno amplificato e contribuito a far scoprire al grande pubblico quest’angolo della Sicilia, ricco ancora di natura selvaggia, di barocco, di stile arabo, di storia, di ospitalità, di tradizioni e di sapori. Grazie a questo mix di fattori, quella che una volta era una zona della Sicilia quasi sconosciuta, oggi è diventata (e continua ad esserlo) meta di pellegrinaggio di tantissimi turisti nazionali e internazionali. Ma quello che più conta è che lo sviluppo turistico non ha alterato l’atmosfera tipica dei nostri piccoli borghi marinari siciliani (Punta Braccetto, Punta Secca, Caucana, Casuzze, Marina di Ragusa …..fino a Sampieri e Pozzallo). Passeggiando per le stradine e le piazzette di questi borghi marinari si respira ancora un’aria di semplicità, la salsedine del mare, si possono ancora ammirare i piccoli porticcioli e i pescatori intenti a dipanare, ripulire e riparare le loro reti, in questi luoghi è ancora possibile godere di spiagge libere.

“L’EFFETTO MONTALBANO” E LE RICADUTE SUL TERRITORIO IBLEO. Questa serie televisiva si è dimostrata un “cavallo di Troia” un potente strumento di marketing per la provincia di Ragusa, che dura da quasi 18 anni. Il turismo in tutta la Sicilia del sud-est è cresciuto, dal 1998, al ritmo del 12-14% l'anno, con un aumento esponenziale dei Bed & Breakfast e degli agriturismi, da 65 nel 2001 ai 2.900 dieci anni dopo. Ristoranti, residence, villaggi turistici, alberghi, aeroporto di Comiso, aziende agricole locali, botteghe artigianali, negozi e maestranze varie, tour operator, hanno registrato un incremento dei loro bilanci. La ricaduta economica della serie tv tratta dai romanzi di Andrea Camilleri è stata stimata in 15 milioni di euro all'anno dagli esperti del settore. L'aeroporto di Comiso nel 2015 ha registrato 370 mila arrivi e nel 2016 si sono toccati i 500 mila viaggiatori. C'è chi arriva dall'Irlanda o dall'Inghilterra, chi dal Belgio o dalla Germania e soprattutto da Londra, paese in cui ha ottenuto un grande successo il commissario, grazie alla BBC. TORNA

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I LUOGHI TELEVISIVI DI MONTALBANO.

L'autore del Commissario Montalbano, Andrea Camilleri, ha ambientato i suoi racconti nei più importanti angoli dell’agrigentino, come Porte Empedocle, Sciacca, Menfi. Ma la società di produzione Palomar, il regista Alberto Sironi e lo scenografo Luciano Ricceri hanno preferito trasferire, buona parte dei luoghi dell'opera letteraria di Camilleri, nella provincia di Ragusa. I nomi sono spesso di fantasia, ma le location sono soprattutto i luoghi della nostra provincia, ne cito alcuni: Marinella e la casa di Montalbano sono a Punta Secca, Marina di Vigata è Donnalucata, Montelusa è Ragusa, la casa di Balduccio Sinagra è il castello di Donnafugata, la Mannara è la Fornace Penna, presso Sampieri, il commissariato è ambientato all'interno del Municipio di Scicli (vedi foto accanto), un edificio dei primi del secolo in stile neorinascimentale.

Altri luoghi sono quelli di Marina di Ragusa, Ibla, la grotta delle Trabacche.

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Scicli, cittadina barocca, ospita nella fiction il commissariato di Vigata

I comuni di: Ragusa, Scicli, Modica, Comiso, Vittoria, Ispica, Santa Croce e molte residenze private sono luoghi impregnati di storia, rappresentano un dono ineguagliabile che la natura ha racchiuso in pochi chilometri e sono risultati una cornice ideale per la scenografia degli episodi televisivi: i suoni, le luci, i colori, il mare evocano sensazioni e atmosfere indefinite, quasi esotiche, risvegliando un senso di meraviglia. La Sicilia, per la sua posizione strategica nel Mediterraneo, al centro tra l'Europa e l'Africa, tra Oriente ed Occidente, è sempre stata il crocevia delle più importanti rotte del passato, nonché punto nevralgico per poter controllare tutta l'area mediterranea. Essa racchiude le memorie di un lontano passato di storia; per un tempo lunghissimo ha conosciuto guerre, lingue, costumi, leggi di popoli diversi desiderosi di dominarla per trarne il massimo profitto; è stata preda di conquistatori che hanno lasciato tracce, più o meno cancellate dal tempo, che ci restituiscono l’eco di imprese umane consumatesi in crudeltà e gloria. Sicani, Elmi, Siculi, Fenici e i loro discendenti Cartaginesi, quindi Greci e Romani, Vandali, Ostrogoti, Bizantini, Arabi, Normanni, sotto cui nacque “Il Regno di Sicilia” con Federico II, Aragonesi, Spagnoli hanno dominato l’isola fino a quando sotto i Borboni divenne “Il Regno delle Due Sicilie”, annesso poi al Regno d'Italia nel 1860 con Garibaldi. Occupiamoci in particolare della storia dell’altopiano ibleo. TORNA 9

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CENNI STORICI.

Le approfondite indagini effettuate dall’archeologo Paolo Orsi, dal 1895 al 1910, hanno reso l'altopiano ibleo uno dei territori della Sicilia meglio conosciuti dal punto di vista archeologico. Grazie ai suoi studi e a quelli di altri suoi colleghi (Pelagatti, Voza, Frasca) oggi è possibile avere una discreta conoscenza di ciò che è avvenuto e come si è evoluta la nostra civiltà nel tempo. La tabella sotto, partendo dal paleolitico superiore fino all'età del ferro, offre un quadro d'insieme e colloca nel tempo e nello spazio fatti storici e culture che si sono succedute in 36.000 anni di storia. La maggior parte delle informazioni della tabella interessano la Sicilia ed in particolare il nostro territorio ibleo ed evidenziano le principali culture del tempo, quali: "Stentinello", "Castelluccio", "Thapsos" e "Pantalica". Le due figure sotto mostrano le località dei siti archeologici nella provincia di Ragusa e negli iblei.

Il più antico insediamento umano della Sicilia, quello di “Fontana Nuova” si trova proprio vicino Marina di Ragusa e risale al paleolitico superiore (36.000 – 12.000 anni fa). È un riparo che fu abitato da cacciatori-raccoglitori già 25.000-15.000 anni fa, dove sono stati trovati molti utensili in selce, ora in mostra al museo P. Orsi di Siracusa. Durante l’età del rame 5.500 anni l’uomo eneolitico abitava i dolmen di Cava dei Servi ( a 5 Km dalla frazione di San Giacomo) e l’ipogeo di Calaforno (visitabile vicino Giarratana).

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Durante l’età del Bronzo antico (2.200/1.400 a.C.) sorsero un centinaio di villaggi, abitati dai Sicani, una delle prime popolazioni non autoctone, che si stabilirono soprattutto sulle colline, a ridosso della zona costiera e lungo le valli fluviali, che diedero il nome alla “Cultura di Castelluccio”. Ciò che accomunava questa popolazione era il modo di lavorare la ceramica e la selce; il modo

di costruire i villaggi e le capanne; il modo di costruire le tombe e seppellire i morti, in altre parole il modo di vivere che la portava ad avere una cultura comune. Il più famoso e più studiato di questi villaggi fu quello di Castelluccio, che si trova presso la “Cava della Signora” e si può raggiugere percorrendo la strada che da Frigintini porta a Palazzolo Acreide.

Ad est di Kamarina, nel pianoro di Pianoresti, presso le sorgenti della Tremolazza, è stato scoperto un villaggio castellucciano. Più a sud il famoso archeologo Paolo Orsi segnalò altri resti a Passo Marinaro e Cozzo Campisi. Altri insediamenti sono stati trovati a Cozzo Ciaramiri, e sulle terrazze del Bianco Piccolo e del Bianco Grande dove l’Orsi trovò un villaggio castellucciano circondato da un muro spesso 2,5 m e contenente una quarantina di capanne circolari.

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Durante il bronzo finale tra il 1250 ed il 1050 a.C. nella Sicilia orientale si stabilirono i Siculi, che diffusero la “Cultura di Pantalica” e scacciarono verso ovest i Sicani. Pantalica sorgeva in uno sperono roccioso vicino Sortino. A questa fase risalgono numerose necropoli con tombe a camera che si possono ammirare negli insediamenti tardo-siculi di Hybla, Castiglione, Monte Casasia, Canicarao, Chiaramonte, Modica, Cava dei Servi, Cava Ispica, Giarratana. Siti visitabili con guide.

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A partire dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C. arrivarono in Sicilia i Greci che, a causa della crescita della popolazione nelle loro città, delle poche terre coltivabili, delle lotte fra latifondisti e contadini, degli aspri contrasti interni nelle varie polis e dal desiderio di espandere i propri affari e trovare i nuovi mercati, si stabilirono nella parte orientale dell’isola in quanto la più vicina alla Grecia, ma non solo. Sicuramente i Greci avevano avuto precedenti contatti commerciali con i Siculi, sapevano che i territori erano fertili, ricchi d’acqua e poco abitati e così fondarono diverse importanti città. Fra queste Siracusa che fu fondata nel 733 a.C. da coloni provenienti da Corinto per controllare la cuspide meridionale della Sicilia.

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Siracusa nel 599 a.C. fondò Kamarina, (vedi foto accanto) città che ebbe subito un tale successo che la spinse a reclamare la propria autonomia, che le costò la distruzione da parte di Siracusa. Distrutta e rifondata più volte ebbe il suo colpo di grazia nel 258 a.C. quando fu depredata delle ricchezze e delle opere d’arte ed incendiata dai romani.

Il porto canale di Kamarina, il Lacus Camarinensis, la città e l’entroterra

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Gli abitanti che riuscirono a scampare alla distruzione, si rifugiarono un po’ più a sud formando piccoli villaggi separati, che presero il nome di Kaucanae. Due di questi villaggi, molto vicini l’uno all’altro, sono situati ad est di Punta Secca, nella località denominata

Anticaglie. Un altro gruppo di antichi edifici si trova ad ovest di Punta Secca in località San Nicola e Torre di Pietro. Il porto di Kaucana potrebbe corrispondere all’insenatura del Palmento (parte terminale ovest della “spiaggia di Montalbano”). Appartengono al periodo romano le catacombe scavate nei pendii rocciosi di diverse cave, ricordiamo: Cisternazzi, Trabacche (foto sopra, presso contrada Buttino, ripresa nell’episodio televisivo “Il cane di terracotta”), Celone (Ragusa), Larderia (Cava Ispica). Sono invece del periodo bizantino (531 – 827) il castello costruito sulla collina di Ibla, il villaggio di Kaucana con il suo porto e la sua basilica, la basilica della Pirrera (), dove sono stati ritrovati interessanti mosaici (vedi foto sotto), la basilica di San Pancrati sul margine nord-occidentale di cava d’Ispica (Modica). Nell’848 gli Arabi conquistarono la collina di Ibla e a questa dominazione si fa risalire il bagno arabo di Mezzagnone, un mausoleo goto trasformato, nella seconda metà del IX secolo, in bagno arabo (hamman), vicinissimo a Santa Croce Camerina. Appartengono a questo periodo i mulini ad acqua a ruota orizzontale, che venivano azionati con un ingegnoso sistema idraulico 16

AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 che incanalava la caduta delle acque sorgive in canali “saie”, spesso scavati nella roccia, che azionavano le macine dei mulini per trasformare in farina il grano coltivato in collina. Ruggero I il normanno s’interessò a difendere la Sicilia dagli attacchi dei saraceni che partivano da e da Gozo. Così nel luglio del 1091 Ruggero I d'Altavilla transitò nel ragusano per imbarcarsi da Capo Scalambri per andare a conquistare l’arcipelago maltese. Il nostro territorio fu fortemente coinvolto in questa spedizione. La flotta salpò proprio dalla spiaggia di Kaucana, così come era già successo con Belisario nel 553. Tutta la zona costiera da Punta Secca fino a Marina di Ragusa fu messa in fermento dalle truppe che arrivavano dalla Calabria e dal resto della Sicilia. Dopo la spedizione, tornato vittorioso in Sicilia, Ruggero decise di tenere per sé Modica, Scicli, Ispica e Giarratana ed elevò Rakkusa (questo il nuovo nome della città) a Contea. Ruggero I concesse nel 1091 il titolo di conte e la Contea al figlio Goffredo, per ricompensarlo ufficialmente del suo aiuto. Il castello bizantino fu ulteriormente rinforzato e reso inespugnabile da imponenti opere di fortificazioni perché divenne la dimora del Conte.

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Al periodo normanno appartengono numerosi insediamenti rupestri “ddieri”, nati spesso riutilizzando e ampliando le tombe scavate in periodi precedenti, nei pendii rocciosi come quelli di Cava dei Servi (a San Giacomo), di Chiafura (a Scicli, vedi foto sotto), di San Micidiario, di San Nicolicchio e del Crocifisso (a Pantalica). A questo periodo appartengono anche diverse chiesette rupestri scavate nella roccia dopo la cacciata dei musulmani. A Cava d’Ispica ci sono tre importanti chiesette rupestri: la Spezieria, San Nicola, e la Grotta dei Santi; a Modica in via Grimaldi in una grotta artificiale è situata la chiesetta rupestre di San Nicolò; a Cava Celone si trova la Chiesetta rupestre di Santu Liu fatta erigere, nella zona alta della cava, nell’800 dalla famiglia Schininà dei Marchesi di Sant’Elia, proprietaria di tutta

la contrada. Era un periodo in cui la cava andava spopolandosi e nella chiesetta interamente scavata nella roccia (foto 1, ingresso), fu trasferita la statua del Santo. Nel presbiterio, rialzato rispetto all’aula, ci sono i resti di un altare in pietra (foto 2) ed una nicchia centrale (foto 3), dove una volta era sistemata molto probabilmente la statua del santo. Sulla parete di fondo sono ancora visibili degli affreschi (foto 4).

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Sotto il periodo normanno fu istituita tra il 1090 e il 1194 la Contea di Ragusia, un'entità feudale nel sud-est della Sicilia che ebbe come capoluogo della vasta infeudazione la città di Ragusia (Ragusa). La contea cessò con gli Svevi. Con gli Aragonesi nel 1296 fu istituita la Contea di Modica, che dal 1702 al 1713 passò nel demanio spagnolo. Con il trattato di Utrecht 1713 la Contea di Modica passò ai Savoia e successivamente a Filippo V di Spagna. Dopo altre vicissitudini con i Borboni a Napoli (1734) la Contea continuò ad esistere solo nominalmente, ma anche quest'ultimo privilegio venne soppresso nel 1816 quando i Borboni abolirono il feudalesimo, emanando la nuova Costituzione. Lo sbarco delle forze anglo-americane nel corso dell'operazione Husky del 1943 non interessò Punta Secca. Questo avvenne tra Licata e nella costa meridionale, e tra Pachino e Siracusa nella orientale. Tuttavia alcuni piccoli nuclei delle Forze alleate sbarcarono poco al di là della cittadina marittima Scoglitti (distante in linea d'aria circa 4 miglia da Punta Secca) e solo 1 mezzo anfibio vicino Punta Braccetto (circa 1 miglio da Punta Secca). È anche vero però che tra il giugno del 1940 e l’agosto del 1943 la Regia Aeronautica (solo quella della Sicilia) perse, tra Capo Scaramia (Capo Scalambri) e le acque maltesi ben 400 aerei da caccia e quasi lo stesso numero di bombardieri. I tedeschi entrarono in lizza solo nel gennaio del 1941 e ne lasciarono in battaglia quasi il doppio. TORNA 19

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PUNTA SECCA

Marinella è da identificare con il borgo marinaro di Punta Secca, una frazione balneare di Santa Croce Camerina, da cui dista 5,77 Km, in provincia di Ragusa. Si affaccia sul Mediterraneo, e sorge a 5 metri s.l.m. Le spiagge sono caratterizzate da formazioni rocciose. Il clima è mite e secco.

Il suo nome PUNTA SECCA, deriva dalla conformazione del suo territorio. Le spiagge di levante e di ponente sono intervallate da zone rocciose che emergono dal mare, le cosiddette secche. Proprio per questo i locali chiamano il borgo con il nomignolo “a sicca” per i bassi fondali, che sono segnalati da un faro. Conta circa 130 residenti.

Punta Secca oltre alla “Casa di Montalbano” vanta una chiesetta, un faro con la sua piazza, un piccolo porticciolo per imbarcazioni da diporto, un gradevole lungomare, una

torre di guardia Scalambri, risalente al XVI secolo d.C. 20

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Lo stesso sfondo durante il tramonto

Il porto di sera

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CENNI STORICI. Già in epoca romana ed esattamente nel 536 d.C. il generale bizantino Belisario fece stazionare la sua flotta nel porto di Kaucana, in prossimità dell’attuale Punta Secca, in attesa di salpare per l’assedio a Cartagine che era in mano ai Vandali. Ai tempi degli Arabi (827 – 1061) Punta Secca fu chiamata “Ayn al-Qasab”, ma nel corso dei secoli acquisì parecchi altri nomi tra cui: "Raʾs Haram" (alla lettera: capo e insenatura), trasformato nel tempo in "Capo Scaramia" e successivamente in "Capo Scalambri" (nome ancora oggi visibile in alcune carte geografiche e in quelle "nautiche") da cui prende il nome la torre Scalambri, torri costiera difensiva. Risale a questo periodo il bagno arabo (hammam) di Mezzagnone, località vicina a Santa Croce. Ma gli Arabi portarono nel nostro territorio anche mulini ad acqua, nuovi prodotti agricoli (cotone, canapa, agrumi, canna da zucchero, gelso, pistacchio, cipolla, meloni) e tecniche agricole. Nel luglio del 1091 d.C. dal porto di Rosacambra (Ra’s Haram) salpò l’imponente flotta del conte Ruggero il Normanno per conquistare Malta. Nel 1140 il piccolo feudo di Santa Croce Camerina, venne donato all’Abazia di Santa Maria la Latina di Gerusalemme, sotto l’amministrazione di San Filippo d’Argirò (Agira). In questo feudo venne inclusa anche Punta Secca. Si successero altre dominazioni, ma nei secoli XII – XIII –XIV, la zona si spopolò e Punta Secca venne abbandonata, per cui con il passare dei secoli, l’antico porto venne ricoperto da grandi dune di sabbia. Nel 1480 il feudo di Santa Croce passò ai Celestri e così pure Punta Secca. Per un breve periodo il feudo passò alla famiglia Bellomo e fu proprio un suo discendente Giovanni Cosimo Bellomo che fra il 1593 ed il 1594 fece costruire la “Torre Scalambri” e fra il 1596 e 1599 impiantò una vigna, per conto del figlio minore Francesco, proprietario del feudo di Risgalambri. Da ricordare che negli atti notarili del 1550 circa, inizia a comparire assieme al toponimo Rosacambra, il nome “la Sicca”. Nel 1766 furono costruiti a Punta Secca i magazzini di pesce (oggi trasformati in ristorante) e nel 1767 fu costruita la piccola chiesetta di Santa Maria di Porto Salvo. Nel 1814 il governatore borbonico ebbe l’idea di far costruire tre alloggi per ospitare i primissimi doganieri, proprio dove si trova l’ex caserma della guardia di Finanza (vedi foto sotto). Tale caserma fu abbattuta nel 2014 per far posto ad un belvedere.

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Alla fine dell’ 800 si iniziarono a costruire le prime case per la villeggiatura, compresi nell’attuale isolato delimitato dalla via Fratelli Bandiera, Piazzetta della Torre, via Giuseppe Verdi e Piazza Faro. Inizialmente furono dei ricchi borghesi di Santa Croce a ottenere dai Principi Trigona di Sant’Elia, eredi dei Marchesi Celestri, lotti di terreno per edificare. Nel 1863 fu innalzato il faro, nel 1926 venne approvato il primo progetto per portare l’energia elettrica a Punta Secca, ma causa del conflitto della seconda guerra mondiale, l’opera vene realizzata solo dopo il conflitto, intorno al 1930 sorse a Punta Secca la prima bottega di generi alimentari che era anche una rivendita di tabacchi, nonché un punto di ristoro. Negli anni ’40 l’illuminazione era assicurata dai lampioni a gas, si dovette aspettare il 1962 per avere la luce elettrica e ciò porto inevitabilmente uno sviluppo degli insediamenti abitativi. Tra il 1950 e il 1960 il piccolo borgo si sviluppò di anno in anno per via della crescente richiesta di lotti edificabili per case di villeggiatura, fino all’odierna configurazione. Fino agli anni ’60 Punta Secca era principalmente un borgo di pescatori che contava una quarantina di residenti. La sua economia era basata soprattutto sulla pesca e sulla produzione di uva. Si pescava soprattutto pesce azzurro (sarde e acciughe), che oltre a soddisfare il consumo locale, veniva venduto ai “cavaddari” che arrivavano con carretti locali attrezzati per trasportare il pesce nelle pescherie dei paesi vicini. Grossi acquirenti venivano da Vittoria, (il cav. Grasso), da Comiso (Don Giovanni Scemmari e i fratelli Bompace), Ragusa (i fratelli Baglieri), da Santa Croce Camerina (Don Ciccio Dipasquale). Le alici di primissima qualità, pescate nel mar di Punta Secca, venivano lavorate secondo la tradizione degli antichi maestri salatori siciliani. Il pesce pescato freschissimo veniva eviscerato e privato della testa, quindi lasciato per almeno 12 ore a scolare il sangue residuo in abbondante sale grosso. Le acciughe a questo punto erano pronte per essere poste in appositi contenitori di forma cilindrica mediante la disposizione incrociata testa-coda, sempre intervallate a sale grosso. Al di sopra di questa pila intrecciata veniva collocata una grossa pietra che aveva la funzione di drenare ulteriormente i liquidi in eccesso e permetteva una migliore diffusione del sale.

Tre mesi in queste condizioni erano sufficienti per una corretta maturazione a cui seguiva la finale disposizione nelle latte, garanzia di qualità e genuinità assolute. Il termine “alla carne” era un distinguo utilizzato per identificare quelle acciughe che, all’interno della latta, erano a contatto fianco a fianco e strato su strato. Questo perché, nei secoli scorsi, il trasporto delle acciughe avveniva in contenitori all’interno dei quali, tra uno strato e l’altro, si interponevano grosse di quantità di sale che veniva così contrabbandato, eludendo i dazi dell’epoca. Altra fiorente attività economica era la produzione dell’uva, che veniva prodotta in grandi quantità da Punta Secca fino a Casuzze ed oltre. A settembre c’era un via vai di carretti, trainati da muli, ricolmi di “cancieddi” (contenitori di vimini e canne, utilizzati

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 per il trasporto dell’uva), che venivano scaricati presso i “palummientu”, luoghi dove avveniva la pigiatura dell'uva per produrre il mosto che veniva riposto in grandi vasche.

Attrezzatura di particolare importanza in questi locali di vinificazione era il torchio per la pressatura delle vinacce. Quando il mosto doveva essere trasportato nelle abitazioni dei proprietari, mezzadri o coloni, si lasciava 24 ore nella tina da dove veniva prelevato da persone specializzate con delle quartare di mustu per essere versato in appositi otri in tela di cotone (olona) o di canapa, detti “utri ri lona”. Il mosto così veniva trasportato nelle cantine di Punta Secca, di Santa Croce, di Vittoria e di Comiso. In quegli anni nel territorio di Santa Croce Camerina esistevano tre palmenti: uno era vicino alla chiesa per i vigneti del principe Giardinelli (che erano controllati dal guardiano Don Nardi e dalla sua famiglia), un altro a circa 300 m da Punta Secca verso la riviera di ponente, appartenente alla contessa Trigona ed un altro ancora a Casuzze per i vigneti del barone Oddo.

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LA CASA DEL COMMISSARIO MONTALBANO.

Il turismo, fino a 20 anni fa, era rappresentato da pochissimi villeggianti provenienti principalmente da Santa Croce, Comiso e Ragusa. Grazie a Montalbano, in questo piccolo borgo si è inserita un’altra attività economica: il turismo. Oggi Punta Secca è conosciuta in tutto il mondo, i turisti sono aumentati a dismisura e a visitare il borgo, oltre agli italiani, sono soprattutto gli inglesi. La casa di Montalbano (foto sotto), situata in una villetta in Corso Aldo Moro 44. In realtà trattasi di un B&B, formato da piano terra primo e secondo piano, con delle belle terrazze sul mare. La casa non è visitabile all’interno, ma è ugualmente meta di migliaia di appassionati della serie che vi si recano appositamente, anche solo per scattare una foto davanti alla terrazza del commissario più famoso d’Italia.

La casa vista dalla piazzetta

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La casa del commissario vista dal mare.

Il terrazza del piano terra e la spiaggia di Montalbano

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LA STORIA DI QUESTA CASA

Questa casa originariamente di proprietà dei fratelli Allù, era un antico magazzino dove venivano dissalate le sarde e le acciughe pescate dai marinai della zona. Dopo il processo di lavorazione il pesce veniva inscatolato in barattoli di latta da 5, 10, 25 kg con l’etichetta: “Alici salate alla carne” e vendute al costo di 2, 3, 5 lire. Il mare di Punta Secca, dal 1800 fino al 1950 circa, era molto ricco di pesce azzurro che vive in grandi branchi che in primavera si avvicinavano alla costa; mentre in autunno si allontanavano e scendevano ad oltre 100 metri di profondità. I pescatori di Licata, di Portopalo e di altre zone marinare della Sicilia, conoscevano bene queste passe e con le loro “sardare” venivano a pescare sardelle ed alici in questo mare. Nel 1904 l’avv. Giovanni Di Quattro, amante del mare, comprò tale magazzino, che era stato messo in vendita, per 4.000 lire. Si trattava di una struttura precaria, alta quasi quattro metri, edificata con blocchi di scogli marini. L’avv. Di Quattro dopo alcuni anni, acquistò anche dal demanio, tramite il Regio Ufficio del Registro di Comiso, da qui dipendeva anche Punta Secca, 36 mq di demanio, che divenne l’attuale terrazzo in cui il commissario Montalbano consuma le gustose cenette preparate dall’Adelina. Il magazzino, dopo il 1908, divenne una civile abitazione. Alla morte dell’avvocato Giovanni Di Quattro la casa passò all’unico figlio e successivamente al nipote, Giovanni Di Quattro (stesso nome e cognome del nonno), avvocato anche lui. Quest’ultimo discendente, in un’intervista, del luglio 2013, al giornale di SantaCroce web racconta come “L’abitazione sin dai primi anni del novecento era la loro residenza di villeggiatura ed era sempre frequentata da personaggi illustri, come Gesualdo Bufalino e Leonardo Sciascia, scrittori siciliani di grande spessore”. Elvira Sellerio, famosa editrice, in quegli anni aveva pubblicato un romanzo di Sciascia dal titolo “I pugnalatori”. Il romanzo trattava una cospirazione tenutasi a Palermo ancora prima del Regno dei Borboni, in cui lo scrittore, forte e sicuro della sua impunità, raccontava che uno dei cospiratori fosse il principe Gaetano Starrabba di Giardinello, padre del principe Francesco, ultimo erede, che risiedeva a Punta Secca, in una casa immersa in quell’ ultimo polmone verde, purtroppo oggi scomparso e cementificato”. “Il principe Gaetano, soprannominato “u muncu”, era stato purtroppo in galera per debiti, per cui Sciascia in un suo capitolo de “I Pugnalatori, raccontava le disavventure di questo nobile decaduto. Il caso volle che in una delle nostre riunioni estive pomeridiane, venne a trovarci il principe Francesco Giardinello e io con grande piacere lo presentai a Sciascia. Ci sedemmo nella famosa veranda e ad un certo punto fui molto imbarazzato, ricordando da quanto scritto da Sciascia nel suo romanzo. Pensai subito ad un piccolo alterco fra loro due. Ma non fu cosi. Da grandi gentiluomini i due iniziarono a discutere. Il principe Gaetano, con grande umiltà ma fiero, dichiarava che effettivamente la sua famiglia non nuotava nell’ oro e che il padre, era stato sempre un uomo di sani principi morali. Sciascia, leggermente imbarazzato ma con

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 grande spirito di comprensione si scusò con il Principe e le rispose:- “ho l’onore di conoscerlo e se avessi saputo prima, non avrei osato scrivere quell’ episodio, me ne scuso….”. “Passarono gli anni, e in una delle tante estati, Elvira Sellerio, venne a Punta Secca con suo fratello. Incantati dalla meraviglia del posto, presero subito in affitto la casa del Dott. Scillieri, che si affaccia ancor oggi sulla spiaggia di questo mare azzurro testimone di tantissime civiltà. Iniziammo a frequentarci, trascorrendo dei pomeriggi in lunghissime passeggiate, fino ad arrivare alla piccola sorgente d’acqua che fuoriesce proprio sulla spiaggia, dopo il Palmento, e ancora superando uno scoglio, dalle sembianze di un coccodrillo (ancor oggi ben visibile), e proseguendo sino alla così detta “Grotta di Ernesto”, conosciuta in tutti i suoi particolari dall’allora maestro Panagia, grotta che fu resa famosa poi nell’ultimo romanzo scritto dal compianto Lucio Mandarà, sceneggiatore, soggettista e regista alla RAI negli anni 60-70, dal titolo “Una grotta per Ernesto”.

In uno di quei pomeriggi estivi dopo quelle lunghe passeggiate ormai divenute abitudinarie, insieme a Bufalino, Sciascia e la Sellerio ci riposammo a casa mia. Seduti in veranda, al tramontar del sole, iniziammo a discutere e io attentamente assistevo nello sguardo di Elvira uno strano intuito. Gli chiesi cosa le balenasse per la mente e mi rispose con la sua proverbiale pacatezza che voleva scommettere con se stessa per la realizzazione di un progetto molto ambizioso: trasferire su pellicola le storie di un commissario, tratte da un romanzo di Andrea Camilleri, all’ epoca ancora poco conosciuto al grosso pubblico. Forse era una follia, come lei stessa affermava, ma il suo intuito le imponeva di scommettere. Ne discutemmo a lungo, e dopo alcuni mesi, invitammo Camilleri per una breve vacanza, per iniziare a discutere di tale progetto. Camilleri arrivato a Punta Secca fu colpito dalla bellezza sia della casa sia di

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 quell’atmosfera incantata che avvolgeva il nostro piccolo borgo marinaro. Io personalmente all’inizio avvertii un piccolo dissenso per la scelta della casa, molto signorile e quindi non adatta ad un Commissario che vive di stipendio. Ma il gioco era già fatto. Da quell’incontro con lo scrittore, si realizzò l’intuito strabiliante di Elvira Sellerio. L’idea fu proposta a Roma, agli organi competenti e subito dopo nel 1998, la Palomar con tutto il suo esercito di tecnici, attori, produttori e quant’ altro, iniziarono le prime timide riprese. La regia fu affidata ad Alberto Sironi e il ruolo del Commissario Montalbano a Luca Zingaretti”.

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IL FARO DI PUNTA SECCA.

Il re delle due Sicilie Ferdinando II (1810 – 1849) promosse, a partire dal 1855, la costruzione di numerosi fari nei punti più strategici dell’isola per aumentare la sicurezza della navigazione ed il miglioramento dei commerci. Nella costa meridionale della Sicilia, tra gli altri, furono costruiti i fari della Colombara, di Licata e quello di Capo Scalambri a Punta Secca nel comune di Santa Croce Camerina.

Il faro di Punta Secca fu progettato dall’ingegnere Nicolò Diliberto D’Anna, il quale consegnò gli estimi ed il progetto alle autorità committenti il 24 novembre 1857, al fine di essere sottoposto alle procedure di gara d’appalto. L’ingegnere Diliberto previde una torre circolare alta 36 metri, il cui muro innalzato con conci (blocchi di pietra) regolari rastremati (cioè che si assottigliano andando verso l'alto) risultò spesso 1,75 metri alla base e 78 cm in cima. Una scala a chiocciola autoreggente su un pilone centrale e ad incastro nelle pareti della torre, composta da 128 gradini in pietra pece di Ragusa più quattro gradini di ferro, permetteva di raggiungere il fuoco della lanterna posto a 33,80 metri dalla base. Centosette lastre di vetro piombato chiudevano il vano della lanterna, la cui luce doveva 30

AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 raggiungere le 16 miglia marine. Alla base della torre faro, l’ingegnere Diliberto previde un ampio parterre circondato da un edificio ad U composto da due corpi lunghi 21,67 m e da un corpo centrale che li univa di 14,70 m. in questo edificio furono previste diverse stanze ove allocare i due guardiani del faro e le loro famiglie oltre ai locali da destinare ad ufficio e deposito. Il costo dell’opera previsto in progetto ammontò a 12.100 Ducati ed i tempi di realizzazione furono fissati in 9 mesi dall’inizio dei lavori; tempi che furono sostanzialmente rispettati, atteso che l’opera andò in appalto nella primavera del 1858; mentre i lavori furono espletati dall’autunno dello stesso anno e consegnati alla fine della primavera 1859. Il faro di Punta Secca può considerarsi una delle maggiori opere pubbliche del governo borbonico in provincia di Ragusa. Il faro venne costruito con mattoni di arenaria prelevati in territorio di Scicli e trasportati a Punta Secca mediante grossi barconi.

Foto risalente al 1924

Accanto al faro è annesso un fabbricato a piano unico della Marina militare. Visibile per 206° (tra 318° e 112°) nella zona mare compresa tra Gela e Cava d'Aliga. Il faro a ottica fissa è catalogato con il numero 2942. Altri due fari sono a Scoglitti e a Marina di Ragusa.

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Il Faro visto dal porto.

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07/07/2005 Questo bel palmeto non esiste più è stato sostituito da abitazioni

28/04/2005 Il faro visto dal ristorante “Enzo a mare”

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Il campanile della chiesetta e sullo sfondo il faro

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Dislocazione dei fari nella cuspide orientale meridionale della Sicilia.

Il faro visto dalla Torre Scalambri

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IL LUNGOMARE – IL PORTO – LA CHIESETTA.

Il lungomare di Punta Secca è stato costruito intorno al 2008/2009 utilizzando parte della spiaggia di levante. Inizia dalla Piazza del Faro e arriva oltre lo chalet di “Enzo a mare”. Anche se ha dimezzato la spiaggia, questo lungomare ha comunque assicurato ai locali un posto dove passeggiare la sera o dove ritrovarsi per qualche drink o per cenare. Essendo ad un livello più alto della spiaggia offre alle case prospicenti al mare un riparo dalle mareggiate.

Il

lungomare.

IL PORTO Costruito agli inizi del 2000 il porto ha sostituito il piccolo scalo artificiale (foto sotto) che esisteva prima, quello vicino alla Torre Scalambri.

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Il porto di Punta Secca.

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LA CHIESETTA DELLA MADONNA DI PORTO SALVO.

Fu costruita nel 1768 su un terreno che fu donato al clero dai nobili del tempo. Il 15 agosto del 1777, venne celebrata la prima festa in onore della Madonna di Porto Salvo. La chiesetta, situata vicino alla torre saracena e alla casa di Montalbano fu radicalmente rinnovata nello stile da un ingegnere che, a spese proprie, la volle ammodernare anche per potervi adeguatamente celebrare la cresima del figlio.

Con quell’opera di svecchiamento, venne meno anche l’esigenza di tenere dentro il tempietto la bella statua della Madonna, donata dai pescatori di sardelle. Quella sacra immagine venne quindi adagiata sul fondale marino.

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Il porto e sullo sfondo la madonnina di Porto Salvo che viene festeggiata il 15 agosto.

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LE TORRI SARACENE NELLA COSTA IBLEA.

La costa iblea è ricca di queste postazioni militari, che servivano per difendere la popolazione e i loro averi dagli attacchi saraceni. Costruite durante la dominazione spagnola (1516 – 1713)

avevano il compito di proteggere le coste della Contea di Modica. Se ne contano ben 5 da Punta Braccetto a Pozzallo. Con ordine partendo da nord e scendendo verso sud s’incontrano: Torre Vigliena, Torre di Mezzo, Torre Scalambri, Torre della Dogana, Torre Cabrera.

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TORRE SCALAMBRI (36°47′16″N 14°29′34″E)

Torre Scalambri ristrutturata, vista da nord

L’antichità del borgo di Punta Secca è testimoniata dalla monumentale torre Scalambri, costruita secondo calcoli astronomici ben precisi (è direzionata a Sud-Est- Nord-Ovest), come del resto lo erano tutte le torri costiere di avvistamento e di difesa. Questa torre è diventata uno dei simboli di Punta Secca perché appare in più scene della celebre serie televisiva de “Il Commissario Montalbano”. Infatti sulla piazzetta, accanto alla torre, è anche ubicata la villetta sul mare che, nella fiction televisiva, è la casa del commissario Montalbano. Torre Scalambri (prima della ristrutturazione).

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La torre, detta anche “Scalibro” o “Rosacarami”, e i due magazzini affiancati ad essa, furono costruiti da Giovanni Cosimo Bellomo, un esponente di un’importante famiglia Siracusa, fra il 1593 ed il 1594 (fra il 1596-1597 secondo altri). I Bellomo amministrarono per un breve periodo il feudo di Santa Croce Camerina. La torre nacque come torre privata per difendere il territorio dalle incursioni piratesche e successivamente nell’ ottocento e nei primi del novecento per difendere le grandi proprietà della Marchesa Celestri, che andavano da Punta Braccetto a Punta Secca. La torre, inizialmente, era collegata con la casa Arezzo tramite un ponte levatoio. (Sotto: lato sud della torre e facciata est comunicante con la casa Arezzo)

Alla fine del ‘500 la torre risultava armata con 6 archibugi, 6 alabarde, un mascolo; mentre nel 1717 (esattamente il 17 maggio) la difesa era costituita da 6 moschetti, un cannone, 4 moschetti di “passo”, quattro alabarde, un mascolo di bronzo, una campana rotta, e due mascoli di petriere. Nel 1804 l’armamentario del 1717 si ridusse ad un cannone di bronzo su cassa a ruote, al mascolo e a vari giochi d’arme.

Archibugi

Alabarde 41

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Foto scattata verso la fine degli anni ’20. Un gruppo di persone davanti al palazzo Arezzi e sullo sfondo il lato sud della Torre Scalambri.

La struttura si presenta come un parallelepipedo, articolato su tre piani, con pianta pressoché

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 quadrata di metri 8,5 x 9,20. Un muro inclinato (foto sotto) alla base della torre (detto “scarpa” vedi foto sopra) aveva il compito di rafforzare le fondamenta della torre, di tenere il più distante possibile dal perimetro murario il nemico e le sue macchine d'assedio (come torri e scale) e facilitava le possibilità di tiro (frecce, olio bollente, pietre, etc) contro il nemico stesso. Il 17 maggio 1717 la torre Scalambri risultava armata di sei moschetti, un cannone, quattro moschetti “di passo”, quattro alabarde, un mascolo di bronzo, una campana rotta e due mascoli di petriere. Nel vicino palazzotto collegato alla torre con un ponticello alloggiava la guarnigione; a seconda dei periodi potevano presenziare da 3 a 5 soldati.

Era in collegamento visivo con la torre di Mezzo (o di Pietro) e la torre Vigliena di Punta Braccetto a 4.2 km a nord da Punta Secca e la torre Cabrera di Mazzarelli (Marina di Ragusa) a 5.5 km ad est. La lunga e stretta feritoia nella parete (vedi foto accanto, lato ovest) serviva per segnalare, con fuochi, eventuali pericoli alla Torre di Mezzo che si trova più a nord. Nel 1747 fu totalmente ristrutturata ed assunse l'attuale fisionomia. Dopo il 1908 pervenne a privati cittadini che trasformarono le originarie finestre feritoie in comode porte con relativi balconi. Durante la seconda guerra mondiale ospitò un comando nazista tedesco per il controllo del territorio. Dall'autunno del 2013 è stata sottoposta a restauro conservativo che le ha reso l'antico volto. Oggi la torre ospita un caffè al piano terra. Ha subito modifiche durante i secoli come ad esempio balconi ed intonaci di cemento. Nell'800 fu utilizzata dai borbonici come fortino; mentre durante il regno borbonico sia la torre che il palazzotto diventarono civili dimore.

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Torre Scalambri (prima della ristrutturazione) lato ovest e lato nord

A sinistra la Torre (prima della ristrutturazione), vista dal lato sud e dal lato ovest.Da notare il muro inclinato alla base della torre (detto “scarpa”).

A destra la Torre ristrutturata vista da sud.

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TORRE DI PIETRO O DI MEZZO (36°47′58″N 14°28′46″E)

Si chiamava anche “Torre di Punta di Pietro”, ma è anche citata come “Torre di Mezzo”, perché equidistante tra le torri Vigliena e Scalambri. Si trova su una punta poco elevata, in prossimità di una sorgente di acqua dolce dalla quale i corsari spesso attingevano questa risorsa. Anche questa è una torre di difesa costiera e per raggiungerla ci si deve districare fra una numerosa serie di piccole stradine che fiancheggiano serre e villette, spesso incrociate con strade d’accesso al mare. La torre si trova in prossimità dello sbocco a mare del fiume di Santa Croce e aveva il compito di proteggere non solo la foce del fiume dalle razzie dei legni corsari, ma anche l’approdo di San Nicola un po’ più ad est. Quest’ultimo approdo fu utilizzato già nella tarda età romana come testimoniato dal rinvenimento di un relitto del IV sec. d.C. nella vicinanza della “Baia di femmina morta” e dei frammenti di un'epigrafe di età severiana. Questa torre di avvistamento e di difesa costiera fu fatta edificare, a proprie spese, dal nobile modicano Pietro Celestri, alla fine del ‘400 (nel periodo in cui il nobile s’impegnò nel ripopolamento di Santa Croce Camerina), all'interno della rete di controllo della costa sud contro le incursioni dei corsari turchi. Della torre, a base quadrata, oggi non rimangono che solo pochi ruderi che furono parzialmente restaurati negli anni 1995-96. Lo sbarco americano del 1943 l'ha parzialmente distrutta. Di essa rimangono l'angolo nord, costituito da conci squadrati, una parte dell'interno e la zona interrata della cisterna.

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Il Palmento è un sito archeologico marino che si trova vicinissimo a Torre di Mezzo. In questa località sono presenti diverse testimonianze archeologiche risalenti al IV e VII sec. d.C. e si ipotizza la presenza di un porto tardo romano-bizantino legato al vicino abitato di Kaucana.

E' ancora ben visibile sott'acqua l'antemurale di quello che, una volta, doveva essere il molo che aveva la funzione di proteggere l'imboccatura dell'insenatura della spiaggia dai marosi. Il fondale, inoltre, è pieno di cocci di anfore e con un po’ di fortuna, dopo il mare mosso, è possibile trovare ancora anfore intere, statuette, monete, oggetti di metalli come: chiodi, pugnali, bronzi.

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Torre di Mezzo vista da Torre Scalambri

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TORRE VIGLIENA (36°48′53″N 14°27′37″E)

La Torre Vigliena, chiamata anche "Torre del Bracello" o "Torre Brazzetto" o “Torre Colombara” è una torre di difesa costiera che si trova all'estremità del Braccio della Colombara. Dalla sua posizione controllava perfettamente i due golfi laterali, anticamente chiamati “canaletti”. Siamo in sostanza a Punta Braccetto (frazione balneare sul confine tra i comuni di Ragusa e Santa Croce Camerina). I lavori di questa torre iniziarono nel 1595, essa rientrava nel grande progetto della Corona di Spagna di cingere l’isola con un cordone di torri atte a difenderla dalle incursioni ottomane che già a partire dalla seconda metà del 1500 avevano fatto registrare una grande recrudescenza. Questa torre comunicava con le torri di Pietro (oggi detta “Torre di Mezzo») e di Scalambri poste più a sud. Nel 1607, sotto il viceregno di Giovanni Fernandez Pacheco, marchese di Vigliena (da cui prende uno dei suoi nomi), furono ultimati i lavori di costruzione e la torre. Era una torre di media grandezza ed era dotata di un notevole armamento (uno dei cannoni è ancora oggi incastrato nella scogliera sommersa sottostante) e di un drappello di quattro militi, fu 48

AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 affidata alla soprintendenza del Marchesato di Santa Croce. Oggi non rimangono che solo pochi ruderi, ma i pochi resti ci forniscono una chiara visione dell'imponenza originaria. Infatti essa mostra un notevole spessore murario di almeno 4 metri tanto da poter resistere ad eventuali attacchi di artiglieria e al contempo supportare il peso di pesanti cannoni.

A lato della torre è visibile un trinceramento murario con strette feritoie in direzione del molo d'attracco delle navi, mentre in una posizione retrostante vi sono ancora scarsi ruderi di un edificio fortificato attribuibile ai locali della guarnigione. Oltre all'azione erosiva del

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 tempo, contribuì alla sua distruzione lo sbarco alleato durante la seconda guerra mondiale. Sulla scogliera di ponente è stata realizzata una passeggiata che permette di seguirne il profilo in sicurezza ammirandone la naturale bellezza specialmente durante i tramonti. Della Torre Vigliena, oggi rimangono soltanto alcuni ruderi.

Nella piccola baia, a Nord, a ridosso del braccio della Colombara, riparato dai venti meridionali, è ancor oggi visibile un piccolo approdo di cui si leggono le bitte d’ormeggio intagliate nella roccia. Durante il Secondo Conflitto Mondiale Punta Braccetto fu teatro delle operazioni di sbarco da parte degli alleati che, tra il 9 e il 10 Luglio del 1943, invasero la Sicilia: l’operazione Husky, come è noto, fu preceduta da frequenti incursioni aeree che dovettero impegnare non poco la citata batteria costiera piazzata sui resti dell’antica torre, nonché le postazioni ricavate nei banchi rocciosi e di cui resta traccia presso il più a Sud dei due Canalotti.

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TORRE MAZZARELLI (36°46′59″N 14°33′16″E)

I resti della torre si trovano all'interno del paese di Marina di Ragusa, in prossimità della piazza centrale, molto vicini al mare. Non esisteva ancora a metà del '500.

L’antica torre di marina di Ragusa nel 1930

Nel XVI secolo, i vari viceré che si succedevano al governo della Sicilia, sotto la minaccia delle incursioni turche furono costretti a pianificare in sistema d'avvistamento dislocato lungo tutto il litorale della Sicilia, ed all'uopo incaricano un architetto fiorentino, Camillo Camilliani, che portò a compimento il suo studio nel 1584. Nel suo libro "Descrizione dell'isola di Sicilia” egli parla del litorale della Contea di Modica ed individua in Marina uno scalo rifugio ed anche una piccola tonnara con magazzini. Il Camilliani non ritenne dover segnalare l'esigenza di una torre di avvistamento a Marina, in quanto quest'ultima era già protetta dalla vicinanza del pantano della Castellana che con le sue basse acque, i suoi miasmi palustri e le micidiali zanzare "anofele", costituiva già una barriera naturale ad eventuali sbarchi di corsari. Dunque il porticciolo ed una tonnara esistevano già in tempi molto precedenti allo studio dei Camilliani stesso, ed anche precedentemente alla costruzione della torre Cabrera, a difesa e dominio del mare, fatta erigere nel 1579 dal conte Luigi Enriquez Cabrera, in ossequio ad una delibera parlamentare proposta dal Viceré don Marcantonio Colonna. La torre, di dimensioni

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 inferiori di quella di Pozzallo, era presidiata da 4 soldati, a carico della deputazione e munita di ben 6 cannoni.

La sua storia è costellata d’inefficienza e di continue vessazioni da parte dei corsari. Nel 1606 alcuni pirati della Barberia assaltarono tre vascelli siciliani, depredandoli dei loro carichi di vino e grano. Questo episodio ebbe luogo il 14 giugno vicino all'isola dei Porri. Gli stessi pirati, tre giorni dopo, travestiti da cristiani, presero terra a Marina attaccando un altro vascello siciliano lì attraccato, e fecero prigioniero il guardiano della torre Cabrera.

La

torre come si presentava nel 1931

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Poco prima del 1798 e nello stesso 1804, ad esempio, venne saccheggiata e incendiata, furono rubati i viveri, i cannoni e gli arredi della cappella, trovandosi i sovrintendenti assenti o poco arditi. Nel 1804 era custodita da 4 soldati ed aveva in dotazione: 3 cannoni di ferro, 2 maschi di bronzo d'avviso, 4 schioppi e 4 spingarde. Oggi del manufatto rimane solo un basamento in

blocchi squadrati e ottimamente conservati, che supportano una terrazza, dove una volta doveva esserci la torre di guardia o addirittura un forte. Dopo varie vicende, su richiesta di Andrea Valseca, il feudo di Gallimeli o Mazzarelli venne innalzato a Baronia da Giovanni Fernadez Paceco, marchese di Vigliena e di Sicilia.

TORNA

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TORRE CABRERA (36°43′39″N 14°50′54″E )

Nel XV secolo il sito dell'attuale Pozzallo era conosciuto dai naviganti per le sorgenti di acqua chiamate di "Pozzofeto" e della "Senia", tanto famose da essere segnalate sui portolani e sulle carte nautiche per il rifornimento delle scorte d'acqua dei navigli. Quando i Chiaramonte, Conti di Modica, vi costruirono un Caricatore, cioè un complesso di magazzini sulla costa completo di pontili e scivoli per l’imbarco di merce sui velieri, considerato il secondo per importanza della Sicilia dell'epoca, si rese necessaria anche la costruzione di strutture per la sua difesa. Il caricatore era già attivo nel '300, e aveva una capacità di <<20 mila salme di grano>>. Così agli inizi del XV secolo il re Alfonso V d'Aragona autorizzò la richiesta del conte Giovanni Bernardo Cabrera, conte di Modica, di costruire una torre di difesa. La torre di difesa costiera prese il nome dal Cabrera, e oggi si chiama “Torre Cabrera”.

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La struttura risultò molto imponente e di grande importanza militare per l’avvistamento preventivo dei velieri pirata che in quel tempo miravano spesso ai magazzini del Caricatore sempre colmi di grano della Contea di Modica, che imbarcato a Pozzallo raggiungeva i più lontani porti del Mediterraneo. Nella torre prestavano servizio soldati e artiglieri e sulle sue terrazze vi erano piazzati cannoni di diverso calibro mentre dei cavalieri sorvegliavano la costa. Venivano anche catturati e puniti i criminali o i prigionieri saraceni catturati e giustiziati in una camera particolare, ancor oggi visibile, situata proprio sugli scogli, dove i detenuti venivano incatenati e poi uccisi per annegamento dalle acque innalzatisi con l'alta marea. Nelle volte a crociera di qualcuna delle sale, adibite a residenza del castellano, o del Conte stesso di passaggio, spiccano gli stemmi scolpiti raffiguranti il blasone della nobile famiglia catalana dei Cabrera. Attorno alla Torre Cabrera si sviluppò il primo agglomerato urbano di Pozzallo, costituito in un primo tempo da poche centinaia di persone fra soldati e pescatori. Oggi la torre è Monumento Nazionale, ed è riportata sullo stemma della città di Pozzallo. Per una questione estetica, alcune finestre originali sono state ricostruite totalmente attenendosi il più possibile alla forma originale. La grossa torre si trova nella piazza principale del paese, affacciata sul mare ed anzi da questo costantemente bagnata. TORNA

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BREVE STORIA DELLE “TORRI SARACENE”

Le torri costiere della Sicilia costituivano il sistema difensivo, di avvistamento e di comunicazione lungo la fascia costiera del Regno di Sicilia (1130 – 1816 Stato sovrano esistito fino all'istituzione del Regno delle due Sicilie, esistito dal 1816 fino al 1861). La naturale vocazione marinara del nostro territorio, la fertilità dei terreni, la ricchezza d’acqua sito non dovettero certo sfuggire, a partire dal XIV sec. della nostra era, alle orde barbaresche che terrorizzavano con le loro scorrerie il Canale di Malta. Le torri quindi furono costruite per arginare le frequenti incursioni dei corsari barbareschi. Da ogni torre era possibile scrutare il mare e vedere la successiva, con la possibilità di inviare segnali luminosi, detti fani, e di fumo per trasmettere un messaggio o richiedere soccorso. Nel periodo di massima funzionalità permettevano di fare il periplo dell'isola nello spazio di un solo giorno. Le torri costellano gran parte delle coste dell'Italia meridionale e sono spesso interessanti dal punto di vista architettonico; si svilupparono, più o meno contemporaneamente, a quelle che venivano fatte costruire nel resto d'Italia, all'epoca suddivisa in più stati indipendenti l'uno dall'altro. La costruzione di "osservazioni fortificate" risale addirittura al periodo avanti Cristo, ne parla già Plutarco (125-50 a.C.) e continuò, con fasi alterne, fino agli inizi del secolo XIX. Cesseranno infatti poco prima del 1830, quando con la presa di Algeri da parte della Francia, la pirateria nordafricana venne definitivamente fermata. Possiamo dire che questo fenomeno interessò soprattutto l’Italia meridionale ed insulare per quasi 2000 anni.

I ROMANI. I primi esempi di torre costiere risalgono all'epoca romana, quando il ruolo centrale e lo sviluppo notevole delle coste italiane, in rapporto all'intera area mediterranea, costituivano un problema strategico-militare sempre più rilevante. I Romani, per proteggere i loro commerci dalle numerose e costanti incursioni nemiche, nel 67 a.C. approvarono la “legge Gabinia”, chiamata anche “Lex de piratis persequendis “ (dal nome dell’ufficiale dell’esercito romano Aulo Gabinio, che la propose). Con questa legge furono concessi a Pompeo Magno (generale e politico romano) i più ampi poteri possibili per contrastare efficacemente le razzie dei pirati che ormai da decenni rendevano insicuro il Mare Nostrum e le sue coste. Fu così approntata un'armata di 500 navi, 5.000 cavalieri e un totale di 120.000 armati. A Pompeo furono concessi, dal tesoro di Stato, 144 milioni di sesterzi, e l'autorità di nominare 25 legati di rango pretoriano. Per risolvere il problema gli fu dato un termine di tre anni, ma Pompeo riuscì a sconfiggere i pirati in soli tre mesi.

POPOLAZIONI GERMANICHE (DAL 468 AL 535). Dopo il crollo dell’Impero Romano, il territorio italiano divenne preda delle popolazioni germaniche (i Vandali). Le coste dell’Italia meridionale vennero sistematicamente attaccate, sia dai Vandali che provenivano dalle coste africane, sia dai Visigoti che provenivano dalla Spagna e dalla

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L’ESPANSIONE DELL’ISLAM (DAL 535 ALL'827).

La guerriglia marittima e costiera delle navi corsare musulmane in Sicilia e in Italia cominciò nel VII secolo. Gli attacchi si intensificarono nel 632, dopo la morte di Maometto, quando l’Islam iniziò la sua espansione verso l’occidente. Fu così che le fortificazioni costiere si fecero sempre più numerose sviluppandosi più o meno contemporaneamente in tutti gli stati della penisola.

I NORMANNI (DAL 1086 AL 1194) Anche dopo la conquista di Ruggero il Normanno (1061-1091) le azioni di pirateria, specialmente sulle coste della Sicilia, con provenienza dall’Egitto, non subirono mai un arresto completo.

GLI ANGIOINI (DAL 1226 AL 1282). Furono proprio gli Angioini (1266–1442) ad ideare per primi un sistema permanente di segnalazione e di difesa. Durante i regni di Carlo I (1266 – 1282) e di Carlo II vennero progettate ed iniziate costruzioni che dovevano servire non soltanto come fari di segnalazioni, ma anche come torri di avvistamento e come baluardi di prima difesa. Le torri inoltre dovevano essere collocate ad opportune distanze in modo tale che da ognuna fossero visibili la precedente e la successiva.

GLI ARAGONESI (DAL 1282 AL 1516). Anche sotto la dominazione aragonese si avvertì in Sicilia la necessità di un assiduo controllo delle proprie coste, contro le incursioni della flotta angioina che da Napoli muoveva all'assalto delle coste siciliane. In Sicilia all’epoca governava Federico III, eletto re dal Parlamento siciliano il 15 gennaio del 1296 al posto del fratello Giacomo II ed incoronato il 25 marzo dello stesso anno nella Cattedrale di Palermo con il Popolo Siciliano esultante. Tra il 1313 ed 1345 Federico III, per contrastare la pirateria, diede ordine di costruire un sistema di difesa basato su 40 torri costiere di avvistamento, per lo più di forma cilindrica. Ma per diversi cambiamenti politici e per la diversa provenienza degli attacchi di pirateria che, a partire dal 1360 cominciarono a provenire dal nord Africa maghrebino ad opera soprattutto di pirati e corsari tunisini, gli Aragonesi non riuscirono a completare tale opera. La gestione delle torri passò sotto il controllo dei feudatari e dei privati, che però si preoccuparono di proteggere più i loro possedimenti che le popolazioni. I pirati, quindi, continuarono a compiere le loro incursioni pressoché indisturbati.

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Con Martino I, Re di Sicilia dal 11374 al 1409, il sistema difensivo delle torri fu ripreso e intorno al 1405 le torri esistenti furono restaurate e ne furono costruite delle nuove.

S’INTENSIFICA LA PIRATERIA. Dopo una fase di apparente e relativa tregua, la conquista ottomana di Costantinopoli (1453) e la nuova ondata espansiva dell'Islam verso Occidente fecero intensificare le incursioni piratesche in Sicilia e nell’Italia meridionale. I problemi si intensificano ancor più per il continuo assalto piratesco e soprattutto corsaro sia del nord Africa maghrebino sia dai turchi insediatesi ad Algeri. Famoso fu il saccheggio di Otranto del 1480 (vedi immagine accanto). Nel ‘500 e ‘600 la guerriglia marittima e costiera delle navi corsare si intensificò. Gli attacchi venivano effettuati sia in mare contro le navi mercantili e militari, sia nelle località costiere per impossessarsi di merci e persone che poi venivano vendute come schiavi nei numerosi mercati arabi del Mediterraneo. Queste scorrerie arrecavano perciò gravi danni al commercio esterno ed interno e soprattutto alle popolazioni rivierasche, le più esposte ai pericoli, che abbandonavano il litorale e fuggivano verso l’interno, con conseguente calo della produzione delle campagne. La minaccia proveniva non solo dall’Impero Ottomano che disponeva di una notevole flotta; ma anche dal Nord dell’Africa, cioè da quegli stati compresi fra il Marocco e la Tripolitania (l’attuale Libia).

CARLO V. Antagonista della potenza ottomana fu l’Imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V (1500 – 1558) che, per frenare le continue incursioni e razzie dei pirati turchi e nordafricani, a partire dal 1532, investì ingenti risorse non solo nella difesa delle coste mediterranee della Penisola Iberica, ma anche nei possedimenti italiani (Regno di Sardegna, Regno di Sicilia, Regno di Napoli). Il viceré di Napoli don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga, marchese di Villafranca del Bierzo (1532-1553 foto accanto), iniziò la costruzione di Torri costiere presidiate da militari muniti di catapulte ed armi da fuoco, tra cui

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 almeno un cannone posto all’esterno. Vennero formati anche corpi miliziani nazionali che affiancarono le truppe spagnole nella difesa dell’isola di Sardegna, Regno di Sicilia, Regno di Napoli). Dopo il rivelo (censimento) del 1549, il viceré della Sicilia Giovanni de Vega ordinò che venisse istituita una Nuova Militia con il compito di gestire la sorveglianza delle coste e di intervenire in caso di sbarco dei pirati, l'organico era costituito da novemila fanti e milleseicento soldati a cavallo. Tutte le coste della Sicilia furono suddivise in dieci sergenzie con funzioni amministrative-militari, ed ogni sergenzia era comandata da un sergente maggiore.

FILIPPO II. L'opera di fortificazione continuò anche sotto il regno di Filippo II, figlio di Carlo V, con il viceré don Pedro Afàn Enríquez de Ribera y Portocarrero (1559-1571 foto accanto), duca di Alcalà. Con l’editto del 1563 il vicerè organizzò la flotta napoletana e impose ai "giustizieri provinciali" di completare, a spese delle singole "università" (cioè dei comuni dell’Italia meridionale), il sistema difensivo costiero con una serie di Torri litoranee a pianta quadrata e in vista l’una dall’altra lungo tutte le coste meridionali affinché vedendo fuste facessero fuoco di continuo. Anche stavolta, i governatori delle province trovarono grosse difficoltà nella realizzazione delle torri a causa dell’iniquo criterio di ripartizione delle spese. Molte università infatti fecero presente non solo che lo Stato non si faceva carico di alcun onere impegnato com’era nella guerra contro i Francesi, che i singoli comuni erano impoveriti dalle continue guerre, e che le quote proporzionali erano state falsate da censimenti non veritieri. Pedro de Ribera morì a Napoli nel 1571 senza essere riuscito a completare il suo mandato, per il completamento del sistema di Torri, sarebbero occorsi altri 30 anni.

RECRUDESCENZA DEGLI ATTACCHI. In tale conflitto, seppe astutamente inserirsi Solimano il Magnifico, il quale, dopo essersi alleato con il re francese Francesco I contro l’imperatore spagnolo Carlo V, attaccò la Spagna e i regni dell’Italia meridionale e della Sicilia. Il 12 luglio del 1552 venne distrutta Camerota. Il 15 luglio dello stesso anno, Dragut assediò, addirittura, Napoli e a nulla servirono le quaranta galee e i 3.000 fanti tedeschi con cui accorse, a difesa della città, Andrea Doria. Il 10 agosto, Pedro de Toledo fu costretto ad offrire a Dragut duecentomila ducati perché togliesse l’assedio. Il 13 giugno 1558, il turco Pyaly Mustafà, istigato dai francesi, alla guida di una flotta di oltre 100 galere, sbarcò con duemila uomini sulla marina del Cantone e, con una manovra a tenaglia, condotta, sia per mare, che attraverso le colline, attaccò Massalubrense e Sorrento, rapendo 4mila persone e razziando tutta la costa fino a Torre del Greco.

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LA DELIBERA DEL PARLAMENTO SICILIANO. Tra il XII ed il XIV secolo d.C. nel nostro tratto di mare transitavano navi provenienti dalla Sicilia occidentale (Agrigento, Gela) dirette a Punta Secca, Capo Passero e Siracusa (come dimostrano i ritrovamenti provenienti dal mare), ma anche navi provenienti dalla penisola italica e dal Medio Oriente, destinate ad imbarcare granaglie, carni salate, pelli conciate, formaggi e che portavano ceramiche come prodotti secondari. Gli approdi delle Kaucanae per la loro strategica posizione erano punto di partenza preferenziale e obbligato per il traffico commerciale e per il transito delle truppe dirette a Malta ed in Africa. Per proteggere le coste dell’isola oggetto di improvvise quanto drammatiche incursioni, il 1 luglio 1583 il Parlamento siciliano “por remediar a las invasiones de corsaros”, deliberò un piano di difesa costiera stanziando 10.000 scudi per la sua realizzazione. Nella sua piena funzionalità il progetto prevedeva che in 24 ore tutta l’isola doveva essere allertata. In caso di pericolo sarebbero stati inviati segnali luminosi se era buio, segnali di fumo se era giorno. I torrari disponevano pure di una brogna (grossa conchiglia marina) che suonavano per allertare i presenti.

L’OPERA DI CAMILLO CAMILLIANI. Per realizzare questa grandiosa opera difensiva, l’allora viceré Marco Antonio Colonna incaricò l'architetto militare fiorentino, Camillo Camilliani, di fare una descrizione dettagliata sullo stato delle torri esistenti nei 1.040 Km di coste siciliane. Camilliani fu uno scultore,

architetto ed ingegnere italiano, di lui si hanno notizie storiche certe dal 1574 al 1603. Nel 60

AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 suo libro “Descrizione dell’isola di Sicilia” descrisse il litorale della Contea di Modica, procedendo da Punta Secca verso il fiume Irminio.

Ecco come C. Camilliani descriveva il tratto di costa che andava da Punta Secca fino a Casuzze: “……Partendo dalla “Punta di Longobardo”, seguono le timpe di Longobardo le quali durano tre miglia ed un quarto……al fine di questi è un ridotto (ritrovo) capace di 10 bergantini, il quale per essere abbracciato dal destro e sinistro corno delle rocce resta coperto e sicuro, talché i vascelli che ci si mettessero, da nessuna parte possono essere scoperti. Questo si chiamava dagli antichi il porto Caucana (Kaucana). E scorrendo per spazio di due terzi di miglio, seguono le timpe del medesimo nome, simili alle antecedenti, e che, accompagnate con alcuni scogli a mare, causano che il corsale (bastimento) difficilmente può accostarvisi. Al fine di queste timpe si trova la cala detta Anechegef e i bracci che dall’una all’altra parte l’accompagnano la rendono molto pericolosa. Ella è capace di 8 galeotte senza scomodo alcuno, e le spalle e rupi di questa sono tanto alte ed esposte al mare, che senza disalberare (senza toglier l’albero) i vascelli non possono essere da nessuna parte di torre scoperti, e per una parte ci è molto comodo il montar sopra, là dove si trova un pozzo di acqua dolce, che può porgere molta comodità al corsale”.

Camilliani nella ricognizione preliminare si fece accompagnare dal capitano Giovan Battista Fresco della Deputazione del Regno (organismo Amministrativo che dal 1547 provvedeva alla gestione, costruzione e mantenimento delle torri). La ricognizione durò ben due anni, dal 1583 al 1584, cominciò da Palermo e in senso antiorario comportò l'itero periplo costiero della Sicilia, effettuato quasi tutto per via terrestre. Nel 1584 Camillani realizzò una completa documentazione sullo stato delle fortificazioni costiere in Sicilia, che intitolò «Descrittione delle marine di tutto il regno di Sicilia con le guardie necessarie da cavallo e da piedi che vi si tengono». L'opera era divisa in tre parti: la Sicilia, le torri marittime e le marine. Nella sua opera Camillani consigliò la costruzione di 37 torri.

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Non dobbiamo meravigliarci se nel leggere le descrizioni, di antiche fonti storiche, della nostra costa si faccia fatica ad individuare con esattezza determinate località. Questo può accadere per due motivi:

 Noi nella nostra mente abbiamo impressa l’attuale linea di costa ed invece occorre fare uno sforzo mentale ed immaginare la costa che va da Punta Braccetto a Casuzze sgombra da tutte le infrastrutture ed opere create dall’uomo (strade, ponti, borghi, porti, lungomari, piazze, bonifiche, coltivazioni….).  Dobbiamo tener presente che la linea di costa era, in certi punti, sicuramente più avanzata; mentre in altri più arretrata.  Inoltre l’erosione, il vento, le correnti, le mareggiate, le piogge torrenziali, l’ingrossamento dei fiumi ed il loro trasporto di corpi solidi, la diversa utilizzazione dei suoli, le paludi, gli stagni costieri, rendevano sicuramente alcuni tratti della nostra costa molto diversi da come siamo abituati a vederli.

Basandoci sulle descrizioni di diversi storici, e considerando i risultati delle immersioni effettuate negli anni dagli uomini del Centro Subacqueo Ibleo di Ragusa, vediamo allora come doveva essere la nostra costa intorno al XVII secolo. Fino al XVII secolo Capo Scalambri si presentava come un promontorio roccioso poco alto che si allungava sul mare per circa 123 m (60 canne secondo Camillo Camilliani) fino a raggiungere la striscia di scogli denominati “l’isola”. L’isola quindi era attaccata alla costa formando un istmo di terra che però, tra la fine del XVIII e la fine del XIX secolo, fu letteralmente spezzato dalle forti correnti. Lo smantellamento di quella lingua di terra non fece altro che accelerare il fenomeno erosivo della linea di costa ad est del faro rendendola molto diversa rispetto alle antiche descrizioni. Il faro di Punta Secca risultava posto su una roccia a 1,75 m sul pelo dell’acqua, quindi il mare era più avanzato di adesso. Il mare, a ponente del faro si addentrava fino oltre le prime case (probabilmente al posto della casa del commissario Montalbano c’era il mare) e formava una grande rada naturale “La Baia di Ponente” la cui entrata era protetta dalla rocca del faro, che proteggeva le imbarcazioni dal vento di scirocco proveniente da Sud-Est e dall’istmo di terra (vedi sotto). Il mare, a levante del faro, ancora nella seconda metà dell’800, si addentrava ben oltre di quanto non lo sia oggi. La "Baia di Levante” o "Cala di Longobardo" era racchiusa ad ovest dall’istmo di Punta Scalambri e ad est dalla Punta di Longobardo (di fronte all'edificio 22 del quartiere di Anticaglia II) che la riparavano dai venti di ponente e maestrale. Questa baia era capace di contenere 25 galere. Le Kaucane (quartieri non strutturati organicamente fra loro, sparpagliati fra la costa e l'entroterra) quindi, rappresentate dall’abitato principale delle Anticaglie, disponevano di due rade (quella di levante e di ponente) che mettevano al sicuro le imbarcazioni dai venti, dalle correnti e dal mare agitato. Queste rade e le altre minore assicuravano l’intenso traffico da e per l’Africa e l’Oriente.

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RINVENIMENTI SUBAQUEI. Queste due baie erano le più frequentate. Anche se le navi onorarie romane, o le navi ed i vascelli mercantili moderni non erano in grado di ormeggiare vicino alla riva, per i bassi fondali, l’intenso traffico delle merci, fra i grossi battelli e la costa, il piccolo cabotaggio ed il rifornimento di soldati (in pieno medioevo) era garantito da agili e capienti battelli, che facevano la spola fra le navi ormeggiate al largo e la costa. I porti di Punta Braccetto, di Punta Secca e di Casuzze favorirono, in tempi remoti, lo sviluppo dell’attività marinara delle Kaucanae, epicentro del traffico marittimo nel Mediterraneo. Di questo intenso traffico commerciale ne sono testimonianza i diversi rinvenimenti subacquei antichi e moderni. (Vicino all’isola di Capo Scalambri: anfore greche-italiche, ed un’applique bronzea di età

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017 romana avente la forma di un busto femminile; nel 2012 anfore tardo romane proveniente forse da un vascello colto da un fortunale; un lingotto e tre barre di piombo nel 2005. A questi ritrovamenti bisogna aggiungere i tanti altri ritrovamenti che risalgono ai tempi passati.). Ad avvalorare ancor di più l’importanza commerciale di questo tratto di costa è l’antica direttrice, l’attuale via delle Vignazze, che dall’interno portava sulla costa, giungendo fino al mare in prossimità dell’edificio 22 del quartiere di Anticaglie II. Attraverso questa via venivano scambiate le derrate alimentari locali con i prodotti che portavano le navi.

L’INGEGNOSA SEMPLICITÀ DEL SISTEMA DIFENSIVO DELLE TORRI. Il sistema delle torri possedeva una ingegnosa semplicità. Caratteristica ricorrente era la pianta quadrata o prossima al quadrato, articolata su tre elevazioni: il piano terra dove c’erano le cisterne ed il deposito; il primo piano che doveva fungere da piano operativo e da alloggio per i militari e la terrazza dove era collocata l’artiglieria. Il sito doveva dominare un ampio spazio di mare ed essere abbastanza vicino ad un’altra torre così da poter comunicare reciprocamente. Ogni torre era presidiata da tre militari: un soldato, un caporale ed un artigliere che con fuochi di segnalazione di notte, nembi di fumo di giorno, spari, sventolio di bandiere segnalavano nel giro di un’ora a tutte le altri torri dell’intera costa siciliana le presenza di nemici.

LA SITUAZIONE NEL 1590. I lavori iniziarono nella seconda metà del XVI e si prolungarono con estrema lentezza, lo sforzo costruttivo fu notevole ma la lentezza dei lavori vanificò il sistema di difesa. I Saraceni, spesso e volentieri continuavano a sequestrare uomini e donne, che portavano via come schiavi nei territori delle attuali Tunisia e Algeria. Una relazione del 1590 elencava, nel Regno, 339 Torri. Esse formavano un sistema difensivo ancora discontinuo e presentavano segni di cedimento, sia per gli scadenti materiali di costruzione, che per la cattiva esecuzione dei lavori o per l’incauta collocazione alla foce di fiumi (!), o per l’incuria dei Torrieri e dei cavallari (malpagati), o perché danneggiate o distrutte dai saraceni. Ancora una volta l’amministrazione spagnola dimostrò di avere poca considerazione del vice regno: non riuscì a prevederne le ingenti spese di gestione, non prese nella giusta considerazione le gelosie dei viceré che lo governavano. Ulteriori tassazioni, nel 1594, consentirono la costruzione di altre Torri rimaste in sospeso. Il sistema difensivo delle Torri, iniziato nel 1563, fu completato solo nel primo trentennio del ‘600.

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CAMBIA LA STRUTTURA DELLE TORRI. Nella prima metà dell'Ottocento, dopo la fuga dei Borboni da Napoli e durante il periodo di "protettorato" inglese sulla Sicilia, si continuarono a costruire torri contro una possibile invasione da parte delle armate napoleoniche guidate da Gioacchino Murat. La tipologia cambiò totalmente a causa dei nuovi più elevati volumi di fuoco delle navi cannoniere di recente costruzione. Furono costruite sul tipo della Torre Martello (vedi foto).

Delle sette torri costruite in Sicilia secondo queste modalità, solo due risultano ancora erette: quella di Mazzone (o del Forte degli Inglesi) a Messina e quella di Magnisi, (vedi immagine accanto) presso Priolo Gargallo (Siracusa).

FINE DELLE INVASIONI PIRATESCHE. Dopo la conquista di Algeri, avvenuta nel 1830, la minaccia dei corsari o di invasioni via mare venne a decadere e si interruppe in tal modo l’elevazione di altre torri. Alcune di esse, durante la Seconda guerra mondiale, vennero usate come postazioni da contraerea tedesca, con esito incerto. Il sistema delle torri cessò definitivamente la sua funzione di avvistamento e difesa nel dopoguerra. Persa la loro ragion d’essere, numerose torri vennero adibite ai più disparati usi, quali persino ricovero di attrezzi e bestiame o anche ad abitazione. Oggi alcune sono abbandonate all’incivile incuria, altre invece sono state ristrutturate e recuperate diventando sedi museali od espositive.

CLASSIFICAZIONI DELLE TORRI. Le torri sono state classificate in base a diversi criteri: funzionale, amministrativo, periodo di appartenenza. A) Dal punto di vista funzionale le torri si distinguevano in due grandi categorie:

 Le torri di difesa vere e proprie, che sorgevano vicino ai centri abitati ed erano provviste di guarnigione armata. A seconda delle dimensioni, erano dotate di due, quattro o sei pezzi di artiglieria di medio calibro

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 Le torri di guardia o di avvistamento (guardiole) più piccole, con pochi uomini di guardia ed un solo cannone disposte sulle alture per sorvegliare molte miglia di mare. Ogni torre era in vista delle due limitrofe, in modo da poter comunicare, sia durante il giorno (segnali di fumo) che di notte (con l’accensione di fuochi). Il numero di fuochi corrispondeva a quello delle navi in arrivo e la fumata, (nei limiti del possibile…..) era rivolta nella direzione da cui queste provenivano. Entrambi i tipi di segnalazione erano preceduti da un suono di campana.

B) Dal punto di vista amministrativo si distinguono tre tipi di torri:

 Le torri di Deputazione, direttamente gestite dal Regno di Sicilia.  Le torri poste sotto la gestione delle Universitas locali, " (Le universitas erano i comuni dell’Italia meridionale, sorti sotto la dominazione longobarda e poi infeudati con la dominazione dei Normanni) dotate di spesse mura merlate e cannoniere, ma anche di cisterne per l’acqua piovana, utili in caso di assedio prolungato.  Le torri appadronate, cioè private, concepite come magazzini fortificati di difesa delle attività e della produzione agro-pastorale, oltre che delle maestranze.

C) Dal punto di vista del periodo di appartenenza, si distinguono:

 Torri Angioine, più antiche risalenti al 1300 – 1400, di forma cilindrica, con basamento a tronco di cono che rappresenta i 2/3 dell’altezza dell’intera torre ed è sormontato da una cordonatura di tufo grigio in piperno (roccia vulcanica proveniente dalle cave napoletane poste ai piedi dei Camaldoli) o materiale simile, e mura poco spesse. Avevano funzione, essenzialmente "di avvistamento".  Torri Aragonesi, più basse, a pianta quadrata con volte a crociera e muratura più spessa sul lato esterno. La merlatura delle Torri e quella delle cortine dovevano avere la stessa altezza, "per evitare il tiro delle artiglierie sui corpi di fabbrica emergenti". Gli aragonesi diminuirono d’altezza le Torri angioine, sia demolendo i coronamenti superiori, sia innalzando il livello del terreno alla base delle Torri stesse.  Torri Camilliane, erano simili alle precedenti, a pianta quadrata, con basamento a scarpa, mura provviste di feritoie e spesse oltre 3 metri, particolarmente sui lati rivolti verso il mare, si elevavano su tre piani e finivano con una terrazza delimitata da merlature.

Fu l’avvento dell’artiglieria a segnare il passaggio dalla forma circolare a quella quadrata, per meglio resistere alle cannonate. Le nuove Torri, costruite con criteri più moderni, erano così in grado di assolvere a funzioni di avvistamento, riparo ed anche offesa. Talvolta, due o più Torri venivano unite da ballatoi. L’ingresso veniva aperto sul lato a monte, al piano superiore (3-6 m. di altezza) e poteva essere dotato di una scala retraibile, anziché in muratura. TORNA 66

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A TAVOLA CON MONTALBANO.

La serie televisiva del commissario Montalbano non ha esaltato soltanto la natura e le meraviglie barocche del nostro territorio, ma è stata anche un vero e proprio spot, una penetrante pubblicità delle nostre pietanze per i buongustai di ogni parte del mondo. Montalbano può essere considerato, a tutti gli effetti, un ambasciatore della cucina tipica siciliana. Se il cibo acquista in Montalbano un ruolo rilevante ed una valenza affettiva molto forte molto probabilmente ciò è dovuto anche ad ataviche privazioni storiche che il popolo siciliano ha dovuto sopportare nel tempo. Gli unici alimenti su cui il popolo poteva contare, quando era possibile, erano: il pane, i formaggi, i legumi e particolari erbe. La carne e i piatti raffinati erano per l’aristocrazia; mentre fra il popolo normalmente aleggiava la fame. La posizione al centro del Mediterraneo ne ha fatto un vero crocevia, le diverse dominazioni straniere hanno contribuito ad arricchire la cultura gastronomica siciliana, introducendo specialità da tutto il mondo: pinoli, uvetta, finocchio, sardine, zafferano, capperi, sedano, olive nere, aglio, acciughe, melanzane e zucchine. Nella nostra cucina troviamo infatti piatti di origine greca, araba, spagnola e di numerose altre civiltà mediterranee. Un esempio è rappresentato dal piatto simbolo: la Caponata. Una miscela di melanzane (introdotte dagli Arabi), pomodori e peperoni (che gli spagnoli hanno portato dal Nuovo Mondo), personalizzata con una salsa agrodolce (dal bagaglio degli antichi Siciliani) e spesso completata con mandorle tritate (arrivate con i Greci). E' proprio per questo che oggi la cucina siciliana è considerata una delle più prestigiose della gastronomia italiana. La cucina orientale siciliana in particolare può vantare storicamente un maggiore attaccamento alla terra da parte dei contadini in quanto l’enfiteusi li stimolò a migliorare le loro produzioni, a puntare sulla qualità, cosa che non si ebbe nel resto della Sicilia dove dilagava il latifondismo e di conseguenza il lassismo. Ecco perché nella Sicilia orientale si è sviluppata una “cultura del prodotto”, che ha generato una maggior vocazione per la tavola d’eccellenza. Le minestre, il pesce e i dolci sono i piatti tipici. Quasi inutile precisare che la tradizione vinicola siciliana ha origini che risalgono all'inizio della storia. Prima i greci, poi gli arabi ed i normanni, lodavano le caratteristiche del vino siciliano, schietto e di alta gradazione alcolica. La passione per la cucina in Montalbano rispecchia quindi la storia e la cultura siciliana. In ogni serie televisiva c’è sempre un angolo dedicato ai sapori della buona cucina iblea, che Montalbano da “buona forchetta” qual è, apprezza ed esalta in maniera magistrale con i suoi “occhi chiusi”, con il suoi “mmmmmmmm”, con il suo "volteggiare del braccio destro con la forchetta in mano”, con il suo “non voler essere disturbato” mentre mangia

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È nella sua veranda che il commissario consuma quotidianamente i suoi pasti, di fronte al mare, un vero e proprio rituale che lo porta a soddisfare il suo “pitittu” gustando gli squisiti cibi tradizionali, preparati dalla fedele cameriera Adelina.

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Montalbano è goloso, privo di misura e di moderazione: mangia isolandosi dal mondo esterno, senza alcuna convivialità, concentrandosi sulle proprie emozioni, quasi sino a perdersi nel cibo. Per lui, il cibo è l'oggetto del desiderio, più importante degli altri piaceri e deve essere conquistato a tutti i costi; anche se i segreti delle gustose pietanze sono custoditi da altri, la "cammarera" Adelina, Calogero, Enzo. Per il cibo Montalbano è capace di mentire anche alla sua compagna Livia. In una scena del film “Il ladro di merendine” la fidanzata lo chiama

interrompendo il suo pasto (“sto mangiando la pasta coi broccoli, chi è che rompe?”, “sono io che rompo, amore”) e parlandogli molto male di Adelina (“si è mai visto un poliziotto che tiene a servizio la madre di un tizio che ha fatto arrestare? quella prima o poi ti avvelena!”). In un’altra scena del medesimo film il commissario le dà però la pariglia: nonostante Livia fosse appena arrivata dall’aeroporto, lui si ferma a mangiare un succulento piatto di triglie fritte al ristorante di Calogero, dichiarando poi mendacemente alla fidanzata (che sospetta qualcosa dall’odore dei suoi abiti) d’aver dovuto interrogare il gestore d’una friggitoria... Livia quindi non si occupa della casa e delle esigenze alimentari di Salvo perché “…. non è che cucinasse malissimo, ma tirava al dissapito, al picca condito, al leggero liggero, al sento e non sento“. (La pazienza del ragno p.58). È un’altra donna che si occupa delle pulizie di casa e a soddisfare i piaceri gastronomici del commissario: la cameriere Adelina (foto sopra).

TORNA

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Un personaggio secondario ma non per questo meno importante (come del resto anche Calogero, proprietario dell’omonima trattoria). Adelina rappresenta una certezza e su di essa il commissario può sempre fare affidamento, perché ogni giorno gli fa trovare manicaretti tradizionali o in frigo (come i “sauri imperiali ca cipuddata”) o nel forno (come la “pasta ncasciata”). Piatti tradizionali le cui ricette Adelina custodisce gelosamente. Quell’Adelina “madre di due figli irrimediabilmente delinquenti, uno dei quali stava ancora in prigione per merito suo”. (Il cane di terracotta, p.41). Poco importa se la cucina è quella di Adelina o quella della trattoria di Calogero, per Montalbano la cucina è sacra, è una cosa seria.

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PIATTI A BASE DI CARNE E VERDURE.

ANTIPASTO: CAPONATA DI MELANZANE.

Da “La gita a Tindari”. "Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina ! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare. Il pane, nel sacco di plastica, era fresco, accattato nella matinata. Naturali, spontanee, gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell’Aida. Canticchiandole, raprì la porta-finestra doppo avere addrumato la luce della verandina. Sì, la notte era frisca, ma avrebbe consentito la mangiata all’aperto. Conzò il tavolinetto, portò fora il piatto, il vino, il pane e s'assittò." (pag. 219).

Ingredienti:

 1 tazza di salsa di pomodoro  200 gr. di olive bianche  1 mazzetto di sedano  50 gr. di capperi  12 melanzane  3 cucchiai di aceto  3 cucchiai di zucchero  100 gr. mandorle tostate

PREPARAZIONE. Preparare la salsa con 600 gr. di pomodoro maturo, 2 cipolle piccole e basilico. Tagliare le melanzane a dadi, tenerle per più di un’ora in acqua e sale quindi scolarle e friggerle. Tagliuzzare il sedano e farlo intenerire in acqua calda, per circa 10 minuti. Rosolare in un tegame con poco olio le olive snocciolate, i capperi ed il sedano. Aggiungere la salsa di pomodoro e condire il tutto con aceto e zucchero (quanto basta). Versare nel tegame anche le melanzane e lasciarle insaporire per qualche minuto nel sugo a fuoco bassissimo, scuotendo di tanto in tanto il tegame per non farle attaccare la fondo. Passare la caponata nel piatto di portata e coprirla con le mandorle tritate. Servire perfettamente fredda, anche il giorno dopo.

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ANTIPASTO: PANI CUNZATU (PANE CONDITO)

Da “La voce del violino”. "……Vuoi mangiare tanticchia di pane di frumento? L’ho sfornato manco un’ora fa. Te lo conzo?’. Senza aspettare la risposta, tagliò due fette da una scanata, le condì con olio d’oliva, sale, pepe nero e pecorino, le sovrappose, gliele diede. Montalbano niscì fora, s’assittò su una panca allato alla porta e al primo boccone si sentì ringiovanire di quarant’anni, tornò picciliddro, era il pane come glielo consava sua nonna. Andava mangiato sotto quel sole, senza pinzare a niente, solo godendo d0essere in armonia col corpo, con la terra, con l’odore d’erba”. (pagg. 102,103)

Ingredienti: (per 4 persone)

 1 pane  Acciughe  Caciocavallo o pecorino  Aulivi passuluna (olive nere infornate)  Capuliato (pomodori secchi tritati)  Olio extravergine d’oliva  Origano  Sale e peperoncino

PREPARAZIONE. Riscaldare in forno il pane; quando è abbastanza caldo tagliarlo a fette. Disporre le fette in un piatto e condirle con olio extravergine, origano, sale, peperoncino, pezzetti di acciuga, caciocavallo (o pecorino), tagliato a fette sottili, le olive snocciolate ed il capuliato.

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ANTIPASTO: ARANCINI

Da “Gli arancini di Montalbano”."……Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasuto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa, (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini 'na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s'ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s'assistema nel palmo d'una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell'altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d'ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s'infilano in una padeddra d'oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d'oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano! (pagg. 266,267)

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Ingredienti: (per 15 arancini piccoli)

 250 gr. di riso arborio  150 gr. di carne tritata mista  80 gr. di piselli piccoli  100 gr. di salsa di pomodoro  150 gr. di formaggio a pasta filata  80 gr. di caciocavallo grattugiato  2 uova  100 gr. di farina  200 gr. di pangrattato  Olio d’oliva  Sale e pepe

PREPARAZIONE. Sbollentare in acqua salata i piselli e cuocere il riso a parte. Soffriggere quindi in un tegame la carne tritata, aggiungere sale e pepe (q.b.), la salsa di pomodoro ed i piselli. Lasciare cuocere per circa 10-15 minuti, fino ad ottenere una salsa densa. Aggiungere due o tre cucchiai d’olio, per evitare che risulti troppo colloso a causa dell’amido e successivamente il caciocavallo grattugiato. Mescolare il tutto con un cucchiaio e lasciare raffreddare, nel frattempo tagliare il formaggio a pasta filata a cubetti. Formare con il riso già cotto delle polpette, prendere nel palmo della mano disposta a conca una polpetta e inserire nella parte centrale un po’ di ragù, di carne, di piselli ed un cubetto di formaggio. Chiudere bene l’arancino e fargli assumere una forma sferica, se necessario aggiungere dell’altro riso. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nell’uovo sbattuto (per sigillarla) e nel pangrattato. Friggere gli arancini in olio bollente finché non assumono un colore dorato e servirli caldi.

NOTE Se si desidera mangiare gli arancini come antipasto, non devono avere una grande dimensione, si consiglia di fare delle sfere che siano la metà di una mela. Due arancini di normale dimensione potrebbero già saziare. Esistono diverse varianti, per esempio: al burro (con besciamella e prosciutto), agli spinaci (per i vegetariani), al pesce (con gamberi e calamari).

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PRIMO PIATTO: PASTA ‘NCASCIATA. E’ il piatto preferito di Montalbano, capace di procurargli il massimo godimento. La pasta ‘ncasciata è una variante della pasta al forno e rappresenta uno dei piatti forti della cameriera Adelina.

Da “Il cane di terracotta”. “….. nel frigo non c’era niente, nel forno troneggiava una teglia con quattro enormi porzioni di pasta ‘ncasciata, piatto degno dell’ Olimpo, se ne mangiò due porzioni, rimise la teglia nel forno, puntò la sveglia, dormì piombigno per . un’ora. ”.

Ingredienti: (per 6 persone)

 600 gr. di maccheroni  200 gr. caciocavallo fresco  200 gr. di carne tritata  50 gr. di mortadella o salame  2 uova sode  4 melanzane  100 gr. di pecorino grattugiato  salsa di pomodoro (q.b.)  ½ bicchiere di vino bianco  basilico  olio, sale e pepe

PREPARAZIONE. Tagliare le melanzane a fette e friggerle dopo averle tenute per un’ora in acqua e sale. Soffriggere intanto la carne tritata in un tegame, con olio abbondante, sfumarla col vino e completare la cottura aggiungendo qualche cucchiaio di salsa di pomodoro. Lessare la pasta, scolarla al dente e condirla in una zuppiera con la salsa di pomodoro. In una teglia ben unta, versare il pangrattato e i maccheroni alternandoli a strati con la carne tritata, le melanzane fritte, il formaggio grattugiato, il basilico, le uova sode, il caciocavallo ed il salame (o la mortadella) tagliati a fette. Chiudere l’ultimo strato di pasta con melanzane, salsa e molto pecorino. Passare al forno caldo per circa 20 minuti. Il formaggio, sciogliendosi formerà una leggera crosta dorata.

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PRIMO PIATTO: PASTA FREDDA CON POMODORO, PASSULUNA E BASILICO.

Da “Il cane di terracotta”. “…..Nel frigorifero trovò pasta fredda con pomodoro, vasalico e passuluna, olive nere, che mandava un profumo d’arrisbigliare un morto. (….) Magari questo giorno Adelina dunque non l’aveva deluso”. (pag. 41).

Ingredienti: (per 4 persone)

 400 gr. di penne rigate  Pomodoro fresco  Passuluna (olive nere infornate)  Basilico  Capperi  Olio d’oliva  Sale

PREPARAZIONE. Lessare la pasta e scolarla al dente. Condirla con pomodoro fresco tagliato a pezzi, olive nere a piacere, qualche cappero, qualche foglia di basilico e olio d’oliva. Mescolare bene e mettere in frigo. Servire la pasta fredda dopo qualche ora.

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PRIMO PIATTO: PIRCIATI CH’ABHRUSCIANU

Da “L’odore della notte”. “…..Si trovò assittato come in castigo, aveva il muro praticamente in faccia, per taliare la sala avrebbe dovuto mettersi di traverso sulla seggia e storcere il collo. Ma che gliene fotteva di taliare la sala?

<< Se se la sente, avrei i pirciati ch’abbruscuanu >> fece il baffuto. Sapeva cos’era il pirciato, un tipo particolare di pasta, ma cosa avrebbero dovuto bruciare? Non volle però dare all’altro la soddisfazione di spiargli com’erano cucinati i pirciati. Si limitò a una sola domanda: << Che viene a dire, se se la sente? >> << Precisamente quello che viene a dire: se se la sente >> fu la risposta. <>. L’altro isò le spalle, sparì in cucina, ricomparse dopo tanticchia, si mise a taliare il commissario. Venne chiamato dalla coppia di clienti che spiarono il conto. Il baffuto glielo fece, i due pagarono e niscirono senza salutare. << Il saluto qua non deve essere di casa >> pinsò Montalbano, ricordandosi che macari lui, trasendo, non aveva salutato a nisciuno. Il baffuto tornò dalla cucina e si rimise nella stessa ‘ntifica posizione di prima. << Tra cinco minuti è pronto >> disse. << Vuole che le rapro la televisione, intanto che aspetta? >> << No >>. Finalmente dalla cucina si sentì una voce femmina. << Giugiù! >>. E arrivarono i pirciati. Sciauravano di paradiso terreste. Il baffuto si mise appuiato allo stipite della porta assistimandosi come per uno spettacolo. Montalbano decise di farsi trasire il sciauro fino in fondo ai polmoni. Mentre aspirava ingordamente, l’altro parlò. << La vuole una bottiglia di vino a portata di mano prima di principiare a mangiare? >>. Il commissario fece ‘nzinga di sì con la testa, non aveva gana di parlare. Gli venne messo davanti un boccale, una litrata di vino rosso densissimo. Montalbano se ne inchì un bicchiere e si mise in bocca la prima forchettata. Assufficò, tossì, gli vennero le lagrime agli occhi. Ebbe la netta sensazione che tutte le papille gustative avessero pigliato foco. Si sbacantò in un colpo solo il bicchiere di vino, che da parte sua non sgherzava quanto a grdazione. << Ci vada chiano chiano e liggero >> lo consiglio il cammareri-proprietario. << Ma che c’è? >> spiò Montalbano ancora mezzo assufficato. << Oglio, mezza cipuddra, dù spicchi d’agliu, dù angiovi salati, un cucchiarinu di chiapparina, aulive nìvure, pummadoro, vasilicò, mezzo pipiruncino piccanti, Sali, caciu picurino e pipi nìvuro >> elencò il baffuto con una nota di sadismo nella voce.”

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Ingredienti: (per 4 persone)

 400 gr. di pirciati o di penne rigate  80 gr. di pecorino grattugiato  1 cipolla  4 spicchi d’aglio  4 filetti di acciugne salate  1 peperoncino piccante  10 gr. di capperi  40 gr di olive nere  Basilico  Olio, sale e pepe nero  Passata di pomodoro

PREPARAZIONE. Fare soffriggere aglio e cipolla in un filo d’olio, quindi aggiungere il peperoncino e le acciughe. Quando i filetti di acciuga si saranno sciolti unire olive, pomodoro, capperi, sale e pepe. Lasciate cuocere il sugo per dieci minuti, quindi aggiungete qualche foglia di basilico. Nel frattempo fare cuocere la pasta (se non si riesce a recuperare i pirciati, molto simili ai bucatini, vanno bene anche dei bucatini di grano duro), scolatela un po’ al dente e unitela al sugo, cuocendo a fiamma viva per qualche minuto, quindi servite spolverizzando con il pecorino grattugiato e aggiungere qualche foglia di basilico. (Sopra le penne rigate, sotto i pirciati)

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SECONDO PIATTO: AGNELLO ALLA CACCIATORA.

Da “La voce del violino”. “….Che comanda? “mi porti quello che vuole”. Il Re galantuomo sorrise apprezzando la fiducia. Per primo gli servì un gran piatto di macceroni con una salsetta chiamata “foco vivo” (sale, olio d’oliva, aglio, peperoncino rosso secco in quantità), sul quale il commissario fu obbligato a scolarsi mezza bottiglia di vino. Per secondo, una sostanziosa porzione di agnello alla cacciatora cge gradevolmente profumava di cipolla e origano. Chiuse von un dolce di ricotta ed un bicchierino di anicione come viatico ed incoraggiamento alla digestione”.

Ingredienti: (per 8 persone)

2 kg di agnello 100 gr. di estratto di pomodoro 100 gr. di olive verdi 500 gr. di capperi 2 cuori di sedano 1 bicchiere di vino rosso prezzemolo 1 cipolla olio d’oliva sale e pepe

PREPARAZIONE. Tagliare in pezzi l’agnello, lavarli ed asciugarli. Soffriggere in un tegame la cipolla affettata ed il prezzemolo tritato e aggiungere i pezzi di agnello lasciandoli rosolare per un paio di minuti. Aggiungere il vino rosso e lasciare evaporare, quindi aggiungere l’estratto di pomodoro. Versare nel tegame dell’acqua, aggiungere del sale e del pepe e far continuare la cottura per una decina di minuti circa. Unire le olive snocciolate, i capperi ed il sedano tagliato a pezzetti. Continuare la cottura per circa mezz’ora, allungando, se necessario, con acqua.

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SECONDO PIATTO: CONIGLIO ALLA CACCIATORA.

Da “Il giro di boa”. “…..Appena a casa, si precipitò a scoprire con una certa emozione quello che l’estro di Adelina gli aveva priparato: dintra al forno trovò inatteso, quanto agognato, coniglio alla cacciatore”. (p.162)

Ingredienti: (per 4 persone).

1 coniglio 1 cipolla 1 sedano 200 gr di olive verdi 1 cucchiaio di capperi 1/2 kg di pomodori maturi 1 tazza di brodo Farina q.b. 1 bicchiere di aceto ed 1 cucchiaio di miele (in alternativa un bicchiere di vino bianco) Olio q.b. Sale e pepe.

PREPARAZIONE. Tagliare il coniglio a pezzi, lavarlo, asciugarlo ed infarinarlo. Mettete sul fuoco una padella con olio e fare soffriggere i pezzi di coniglio lentamente, affinché anche l'interno sia ben cotto ed all'esterno prenda un bel colore dorato. Diluire il cucchiaio di miele nell’aceto e versare la mistura nella padella per dare sapore al coniglio (oppure in alternativa un buon bicchiere di vino bianco). A parte preparare il condimento soffriggendo per 15 minuti la cipolla tagliata finemente, il sedano a pezzetti, le olive snocciolate, il pomodoro a pezzetti, i capperi dissalati, sale e pepe. Aggiungere una tazza di brodo e portare ad ebollizione nello stesso tegame e versarvi i pezzi di coniglio ed il sugo ottenuto precedentemente. Cuocere per altri 15 minuti e servire caldo.

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SECONDO PIATTO: BRUSCIULUNI O FALSO MAGRO

Da "Un mese con Montalbano". “….. Con lei Montalbano utilizza tutta la sua perspicacia da detective, quando viene invitato a sciegliere tra carne e pesce: "Carne o pesce?" spiò Fazio sapendo quanto il suo superiore fosse di bocca difficile. Montalbano si tirò il paro e lo sparo, era cògnito che la signora Fazio, in cucina, sapeva dove mettere la mano. Ma era nata e cresciuta in un piccolissimo paisi dell'interno, dove i pesci non erano stati mai di casa. "Carrne, carne". La signora Fazio sassuperò, (...) il brusciuluni (un rollè con dentro ovo sodo, salame e pecorino a pezzetti) si volatilizzò, e dire che sarebbe stato bastevole a una ventina di persone". (pag.109)

Ingredienti: (per 6 persone).

 una fetta di carne rotonda di circa 20 cm. di diametro e del peso di circa 500 gr. ben spianata  2 uova sode  100 gr. di pecorino fresco (o caciocavallo)  50 gr. di salame (o pancetta)  50 gr. di caciocavallo (o parmigiano) grattugiato  50 gr. di passoline e pinoli  200 gr. di pangrattato  mezza cipolla  100 gr. di sugna  200 gr. di estratto di pomodoro  mezzo bicchiere di vino rosso

PREPARAZIONE. Disporre la fetta di carne ben spianata sul tavolo da lavoro e ungerla con un po` di sugna. Versarvi sopra il pangrattato mescolato al caciocavallo grattugiato, alle passoline ed i pinoli, le uova sode tagliate a fette, salame e formaggio fresco tagliato a pezzetti, sale e pepe. Arrotolare la carne su se` stessa, avendo cura che il condimento resti tutto all'interno. Legare con lo spago, dapprima nel senso della lunghezza e poi dalla parte corta, stringendo bene e dando al brusciuluni una forma omogenea. Dopo aver rosolato a fuoco vivo nella sugna, togliere il brusciuluni. Nello stesso tegame fare soffriggere la cipolla e sciogliere l'estratto di pomodoro, con l'aggiunta di qualche sorso di acqua tiepida, fino a che il tutto non sia ridotto in crema. Sfumare col vino, rimettete la carne in tegame, copritela per metà d'acqua e lasciare cuocere a fuoco basso per circa un’ora e mezza. Appena cotto, togliere il brusciuluni dal tegame e lasciarlo raffreddare completamente prima di tagliarlo a fette non troppo sottili. Disporre quindi le fette in un piatto e versarvi sopra il sugo bollente prima di servirlo. TORNA

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PIATTI A BASE DI PESCE.

ANTIPASTO: AI FRUTTI DI MARE.

Da “Il cane di terracotta”. “….. Davanti all'osteria "San Calogero" restò indeciso: s'era fatta l'ora di mangiare, certo, e lo stimolo se lo sentiva, d'altra parte l'idea che gli era venuta vedendo il filmato e che doveva essere verificata, lo spingeva a proseguire verso il crasticeddru. Il sciàuru di triglie fritte che veniva dal'osteria vinse il duello. Mangiò un antipasto speciale di frutti di mare, poi si fece portare due spigole così fresche che pareva stessero ancora in acqua a nuotare. "Vossia sta mangiando senza intinzioni". "Vero è, il fatto è che ho un pinsèro". "I pinsèri bisogna scordarseli davanti all grazia che u Signore le sta facendo con queste spigole" disse solenne Calogero allontanandosi.”

Ingredienti: (per 8 persone)

 1 polipo di circa 1 Kg  500 gr. di vongole  500 gr. di calamari  1 kg. di gamberetti  1 kg. di cozze  100 gr. di olive nere  2 limoni,  prezzemolo, olio e sale.

PREPARAZIONE. In un tegame mettere le cozze e le vongole e lasciarle cuocere fino a quando non si aprono le valve. Separatamente lessare il polipo, i gamberetti e i calamari. Appena cotti, scolare e tagliare a pezzetti il polipo, i calamari ad anelli e sgusciare i gamberetti. Lasciare raffreddare ed unire il tutto nel tegame assieme alle cozze ed alle vongole, aggiungere le olive, il prezzemolo sminuzzato ed una spruzzata di olio e di succo di limone. Servire freddo.

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ANTIPASTO: SARDE A BECCAFICO.

Da “Il ladro delle merendine”. “…..S’arrisbigliò malamente: i linzola, nel sudatizzo del sonno agitato per via del chilo e mezzo di sarde a beccafico che la sera avanti si era sbafato, gli si erano strettamente arravugliate torno torno il corpo, gli parse d’essere addiventato una mummia. (Pag. 9)

E` una delle specialità siciliane più rinomate e Montalbano è ghiottissimo di questo piatto le cui origini risalgono al dominio arano in Sicilia.

Ingredienti: (per 4 persone)

 1 kg. di sarde  200 gr. di pangrattato,  100 gr. di passoline e pinoli  foglie di alloro  1 cipolla  1 limone  1 arancia  olio di oliva, sale e pepe

PREPARAZIONE. Abbrustolire il pangrattato in una padella, senza olio a fiamma bassissima, rimescolando sempre in modo che non si attacchi al fondo. Appena sarà dorato condirlo con olio e aggiungere le passoline, i pinoli ed un pizzico di sale. Pulire le sarde, togliere cioè la testa e le lische, ma non le code, aprirle a libro e lasciarle marinare nel succo d’arancia per qualche minuto. Riempire le sarde con un cucchiaio della mollica condita e arrotolarle su se stesse in modo che la coda resti in alto. Infilzare le sarde con degli spiedini alternandole con le foglie di alloro e con spicchi di cipolla. Disporre gli spiedini in una teglia unta di olio e condirle con sale, pepe, un po’ d’olio ed il succo dell'arancia e del limone spremuti. Passare a forno caldo per circa 10 minuti. Servire fredde.

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ANTIPASTO: POLPETTE DI NEONATA

Da “L’odore della notte”. “…..Quando si fu assittato al solito tavolo della trattoria “San Calogero” il proprietario, Calogero, gli si avvicinò con aria cospirativa. ‘Dottore, nunnatu aiu’. ‘Ma non è proibito pescarli?’. ‘Sissi, ma di tanto in tanto permettono di pigliarli una cassetta a barca’. ‘Allora pirchì me lo dici accussì che pare una congiura?’. ‘Pirchì tutti lo vogliono e io non ci ne ho di bastevole’. ‘Come me lo fai? Con la lumia?’. ‘Nonsi dottore. La morti del nunnatu è fritto a purpetta.’ Aspettò un pezzo, ma ne valse la pena. Le polpettine, schiacciare, croccanti, erano sostellate di centinaia di puntini neri: gli occhietti dei minuscoli pesciolini appena nati. Montalbano se li mangiò sacralmente, pur sapendo che stava ingoiando qualcosa di simile a una strage, uno sterminio. Per autopunirsi, non volle mangiare nient’altro. Appena fora dalla trattoria si fece viva, come di tanto in tanto gli capitava, la voce fastidiosissima, della sua coscienza. ‘Per autopunirti, hai detto? Ma quanto sei ipocrita. Montalbà! O non è perché ti sei scantato d’aggravare la digestione? Lo sai quante polpettine ti sei fatte? Diciotto!”. (pagg. 82-83).

Ingredienti: (per 4 persone)

 500 gr. di pesciolini  1 uovo  2 cucchiai di farina  Prezzemolo tritato  Aglio (facoltativo)  Olio per friggere  Sale e pepe

PREPARAZIONE. Mettere il pesce in una ciotola, unire l'uovo battuto e la farina, amalgamare per bene. Aggiungere il prezzemolo tritato e un pizzico di sale. In una padella scaldare l'olio, formare delle piccole polpettine schiacciate da friggere nell’olio e servirle.

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PRIMO PIATTO: PASTA AL NERO DI SEPPIE.

Da “Il cane di terracotta"...Quel giorno Adelina era entrata in azione, sicché Montalbano trovò pronto in frigo il sugo di seppie, stretto e nero, come piaceva a lui. C'era o no sospetto d’origano? L'odorò a lungo, prima di metterlo a scaldare, ma magari questa volta l’indagine non ebbe esito." (pag. 143). L’origine di questo piatto è controverso, la sua paternità è rivendicata in tutta la Sicilia orientale e Montalbano ne è davvero ghiotto.

Ingredienti: (per 4 persone)

 400 gr. di taglierine,  400 gr. di pomodori maturi,  600 gr.2 seppie,  1 spicchio d'aglio,  1 bicchiere di vino bianco  Prezzemolo  Brodo di pesce bollente  Olio, sale e pepe.

PREPARAZIONE.

Pulire bene le seppie e mettere da parte senza romperli i sacchetti contenente il nero. Tagliare le seppie a striscioline. Soffriggere in tegame nell'olio, l'aglio intero o a pezzetti, ed aggiungete il pomodoro spellato e senza semi. Appena si sarà appassito aprire con attenzione il sacchetto del nero facendo scolare il suo contenuto nel tegame. Aggiungere le seppie, rimescolare bene, sfumare col vino e allungare il sugo con un bicchiere d'acqua. Abbassare la fiamma e lasciare cuocere per mezz'ora circa. Lessare le taglierine bene al dente e condirle nella zuppiera con la salsa nera.

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PRIMO PIATTO: PASTA ALLA NORMA CON IL PESCE SPADA.

Da “Il ladro delle merendine”. “…… Perché non resta a mangiare con me? Montalbano si sentì impallidire lo stomaco. La signora Clementina era buona e cara, ma doveva nutrirsi a semolino e a patate bollite. ‘veramente avrei tanto da ….’. ‘Pina, la cammarera, è un’ottima cuoca, mi creda. Oggi ha preparato pasta alla Norma, sa, quella con le milanzane fritte e la ricotta salata’. ‘Gesù! Fece Montalbano assittandosi”. (pag.62).

Ingredienti: (per 4 persone)

 400 gr. di maccheroni (o di bucatini)  1 kg. di pomodori per salsa  4 melanzane  1 cipolla  300 gr. di pesce spada  ½ bicchiere di vino bianco  Menta e 2 spicchi d’aglio  olio, sale, pepe e peperoncino (q.b.)

PREPARAZIONE Spellare e tagliare a pezzetti i pomodori e nel frattempo mettere a bagno, in acqua salata, per circa un’ora le melanzane. Asciugarle e tagliarle, nel senso della lunghezza, prima a fette dello spessore di circa mezzo centimetro e, poi, a dadini non troppo piccoli. Sistemare i dadini di melanzana in una grande ciotola e cospargerli con abbondante sale grosso. Dopo mezz’ora, strizzare le melanzane tra le mani, per eliminare più acqua possibile, asciugarle e friggerle, da entrambi i lati, in olio extravergine, quindi metterli a sgocciolare su carta assorbente. A parte, in un tegame rosolare l’aglio e la cipolla affettata con olio extravergine di oliva e, eventualmente, aggiungere il peperoncino. Unire il pesce spada privato della pelle e tagliato a dadini, sfumare con il vino bianco e lasciate evaporare. Evaporato il vino aggiungere i pezzetti di pomodoro e lasciare cuocere per circa 15 minuti, aggiungere poi le melanzane e lasciarle insaporire per una decina di minuti. Nel frattempo lessare i maccheroni, scolarli al dente e condirli con la salsa di pomodoro, le melanzane fritte ed i tocchi di pesce spada. Mescolare per bene il tutto r aggiungere qualche foglia di menta fresca.

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SECONDO PIATTO: SAUTÈ DI VONGOLE CON PANGRATTATO

Da “Il ladro delle merendine”. “……Fermò davanti al ristorante dov’era già stato la volta precedente. Si sbafò un sautè di vongole col pangrattato, (….) un rombo al forno con origano e limone caramellato. Completò con uno sformatino di cioccolato amaro con salsa d’arancia. Alla fine si susì, andò in cucina e strinse commosso la mano del cuoco, senza dire parola” (pag. 193).

Ingredienti: (per 4 persone)

2 kg di vongole veraci 1 spicchio d’aglio 1 cucchiaio di prezzemolo tritato 1 rametto di rosmarino ½ bicchiere di prosecco 1 bicchiere di vino bianco 4 cucchiai di olio di oliva 1 limone tagliato a spicchi pangrattato pepe bianco e sale.

PREPARAZIONE Mettete le vongole a mollo in acqua fredda salata per circa un’ora per farle spurgare. Scolare le vongole, lavarle e strofinandole con le mani, gettare quelle con la conchiglia rotta. Pelare l’aglio e farlo rosolare in una casseruola con l’olio, alzare la fiamma e versarvi le vongole assieme al rosmarino ed al prosecco. Aspettare che i molluschi si schiudano, quindi scolarli versare un po’ di sale, prezzemoli e pepe. Disporli quindi in una teglia e spolverarle con il pangrattato ed un filo d’olio. Gratinare sul forno a 180 ° per circa 15 minuti e servirle guarnendo il piatto di portata con spicchi di limone.

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SECONDO PIATTO: TRIGLIE FRITTE

Ingredienti: (per 4 persone)

 1 kg. di triglie  3 - 4 limoni di media grandezza  insalata  farina  olio per friggere e sale

PREPARAZIONE Pulire le triglie, sciacquarle in acqua corrente, infarinarle leggermente e friggerele in abbondante olio caldo in una padella. Appena saranno dorate lasciarle sgocciolare su carta da cucina, salarle e servirle ancora calde in un piatto guarnite con fette di limone e insalata.

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017

SECONDO PIATTO: POLIPI ALLA NAPOLETANA

Da “Il cane di terracotta”. “……. "Che voli mangiari?" "M'hanno detto che lei sa fare benissimo i polipi alla napoletana." "Giusto dissero." "Li vorrei assaggiare." "Assaggiare o mangiare?" "Mangiare. Ci mette i passuluna di Gaeta?" Le olive nere di Gaeta sono fondamentali per i polipi alla napoletana. Filippo lo taliò sdignato dalla domanda. "Certo. E ci metto macari la chiapparina." Ahi! Quella rappresentava una novità che poteva rivelarsi deleteria: non aveva mai sentito parlare di capperi nei polipi alla napoletana. "Chiapparina di Pantelleria" precisò Filippo. I dubbi di Montalbano passarono a metà: i capperi di Pantelleria, aciduli e saporitissimi, forse ci stavano o, nell'ipotesi peggiore, non avrebbero fatto danno. Prima di muoversi verso la cucina, Filippo taliò negli occhi il commissario e questi raccolse il guanto di sfida. Tra lui e Filippo, era chiaro, si era ingaggiato un duello. Uno che di cucina non ne capisce, potrebbe ammaravigliarsi: e che ci vuole a fare due polipetti alla napoletana? Aglio, oglio, pummadoro, sale, pepe, pinoli, olive nere di Gaeta, uvetta sultanina, prezzemolo e fettine di pane abbrustolito: il gioco è fatto. Già, e le proporzioni? E l'istinto che ti deve guidare per far corrispondere a una certa quantità di sale una precisa dose d'aglio?

Ingredienti: (per 4 persone)

 1 kg. di polipetti  2 pomodori maturi  1 cipolla piccola  1 limoni di media grandezza  Olio di oliva  Capperi e olive  Sale e pepe in grani

PREPARAZIONE Pulire i polpi, levando loro la bocca, gli occhi e la vescica, batteteli leggermente con il batticarne per renderli più teneri e lavateli in acqua corrente e tagliarli a pezzettini. Affettare finemente la cipolla, pelare i pomodori e tagliarli a cubetti, aggiungere i capperi e mettere tutto quanto a rosolare in un tegame con un po’ d’olio. Mettere tutto quanto a rosolare a fuoco vivo per alcuni minuti, mescolando di continuo. Abbassare poi la fiamma e far cuocere il tutto per altri 10 minuti. A parte lessare a fuoco lento in acqua bollente leggermente salata, per circa mezz’ora, i polipetti tagliati e aggiungere mezzo limone. Scolare i polipetti quando sono cotti, versarvi sopra il sugo, il pepe, le olive e mescolare bene, quindi servirli.

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017

CONTORNI E INSALATE

INSALATA DI ARANCE E FINOCCHI

Ingredienti: (per 4 persone)

 4 arance  1 finocchio  8 filetti di acciuga  Olio di oliva extravergine  Sale e pepe

PREPARAZIONE Pulire il finocchio tagliando il gambo e la prima foglia più dura. Affettare il finocchio a spicchi molto sottili e metterli in una grande ciotola lavarli, sgocciolarli ed asciugarli. Sbucciare le arance a vivo eliminando le bucce e la parte bianca e affettarle. Versare nella ciotola gli spicchi di arancia guarnirle con pezzetti di acciuga e condire il tutto con olio extravergine, sale e pepe. Mescolare per bene e servire la vostra insalata di arance nei piatti.

NOTE

Eventualmente si possono aggiungere delle olive nere e della menta

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TINNIRUME

Da “Il cane di terracotta”. “……Il tinnirume, foglie e cime di cucuzzeddra siciliana, quella lunga, liscia, di un bianco appena allordato di verde, era stato cotto puntino, era diventato di una tenerezza, di una delicatezza che Montalbano trovò addirittura struggente. Ad ogni boccone sentiva che il suo stomaco si puliziava, diventava specchiato come aveva visto fare a certi fachiri in televisione. ‘Come lo trova?’ spiò la signora Angelina. ‘Leggiadro’ disse Montalbano. E alla sorpresa dei due vecchi arrossì, si spiegò. ‘Mi perdonino, certe volte patisco d’aggettivazione imperfetta’”. (pag. 152)

Ingredienti: (per 4 persone)

 800 gr. di tinnirume  250 gr. di pomodori  2 spicchi d’aglio  4 filetti di acciuga sotto sale  fette di pane tostate  olio  sale e pepe

PREPARAZIONE Pulire, lavare e tagliare a pezzetti la verdura. In una pentola stemperare, in poco olio, i filetti di acciuga, insaporendoli con gli spicchi d’aglio tritati. Aggiungere quindi i “tinnirumi” ed il pomodoro, coprire il tutto con acqua e lasciar cuocere per circa mezz’ora. Verso la fine della cottura aggiungere sale e pepe (q.b.). servire con fette di pane leggermente tostate in forno.

NOTE

Per “Tinnirumi” s’intendono i germogli delle zucchine lunghe. Questa verdura è ritenuta, oltre che di facile digeribilità, anche molto rinfrescante e leggera.

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DOLCI

IL MEDICO LEGALE DOTT. PASQUANO

In “Un covo di vipere” il Dott. Pasquano (medico legale) mentre fa colazione a base di dolci sul balcone di casa sua dal quale si può ammirare la vista di tutta Modica (siamo nel Palazzo Napolino Tommasi Rosso, splendido esempio di architettura tardo-barocca) viene interrotto dal Commissario Montalbano che, per avere alcune informazioni su un omicidio, gli va a rompere “i cabasisi”.

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GRANITA DI LIMONE

Da “Il cane di terracotta”. “……Quando ebbe terminato di mangiare, andò a cercare nel freezer. C’era la granita di limone che la cammarera gli preparava secondo la formula uno, due, quattro: un bicchiere di succo di limone, due di zucchero, quattro di acqua. Da leccarsi le dita”. (pag. 109)

Ingredienti: (per 4 persone)

 1 bicchiere di succo di limone  2 di zucchero  4 di acqua

PREPARAZIONE Sciogliere lo zucchero nell'acqua tiepida, unirvi il succo di limone e mettere in freezer, rimestando di tanto in tanto affinché non si solidifichi in modo compatto e rimanga un impasto cremoso.

NOTE. Una volta esisteva solo la granita al limone, oggi invece esistono diverse varietà di granite: al caffè, al caffè con panna, al pistacchio, al gelso, al carrubo, alla fragola, al cioccolato, alla mandorla, alla pesca. Ci sono anche quelle ai frutti esotici: granita di goiaba, granita di maracuja, granita di manga. È importante far gelare la granita in modo omogeneo affinché non sembri del banale ghiaccio tritato. Si consiglia pertanto di mantenere la temperatura del freezer poco sotto lo zero.

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CANNOLO DI RICOTTA

INGREDIENTI PER IL RIPIENO (per 20 cannoli)

 600 g di zucchero  1 Kg di ricotta di pecora  100 g di gocce di cioccolato  20 cialde già pronte  20 ciliegie candite  20 scorzette di arance candite  zucchero a velo q.b.

PREPARAZIONE.

Con una frusta mescolare ricotta di pecora e zucchero fino a che lo zucchero non sia ben sciolto. Far riposare per un paio d' ore in frigo (per renderla più compatta e quindi più adatta per farcire i cannoli). Passarla con un setaccio per togliere i piccoli grumi della ricotta. Aggiungere le gocce di cioccolato e farcire le cialde

NOTE.

La parte di ricotta visibile, può essere guarnita con frutta candita, o cioccolato a scaglie, o chicchi di caffè, o pistacchio, o mandorla tritata. Per far sì che le cialde rimangano croccante, si consiglia di riempirle con la ricotta un po’ prima di consumare i cannoli.

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MARMELLATA DI MELE COTOGNE

INGREDIENTI:

1 Kg di mele cotogne mature 700 gr. zucchero 1 bustina di Vanillina 1 succo di limone

PREPARAZIONE.

Lavare e pulire molto bene le mele. Senza sbucciarle tagliarle in quattro parti, privarle del torsolo e tagliarle in piccoli cubetti, che saranno immessi, di volta in volta, in una ciotola piena d’acqua insieme a qualche fettina di limone per non farle annerire. Finita la sbucciatura, togliere i cubetti dall’acqua, farle sgocciolare bene e metterle in una pentola aggiungendo due bicchieri d’acqua). Fate cuocere a fuoco medio finché la frutta non si sarà ammorbidita e spappolata. Trasferire le mele cotogne in un passaverdure per setacciarle e riporre la polpa ottenuta di nuovo nella pentola: aggiungere lo zucchero, la vanillina e fare cuocere nuovamente a fuoco lento per 40 minuti, mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno. Quando il composto sarà liscio e omogeneo aggiungere il succo di limone e fate cuocere ancora 5 minuti. Se si desidera la cotognata morbida, abbassare il fuoco al minimo e versate la confettura bollente di mele cotogne in vasetti sterilizzati che tapperete e disporrete su un piano a testa in giù affinché si formi il sottovuoto che consentirà alla vostra confettura di mele cotogne di conservarsi a lungo.

Se invece si vuole la cotognata solida, versare la confettura nelle formine (bagnate). Dopo circa mezza giornata si possono sformare e sistemare le varie forme di cotognata in uno o più vassoi coperti con un velo per farli asciugare al sole. Occorreranno diversi giorni affinché la cotognata sia ben asciutta.

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A MUSTATA RI VINU CUOTTU

INGREDIENTI

 L'ingrediente base è il succo d'uva nera parzialmente fermentato.  Per ogni litro di succo d'uva si aggiungono 100 g. di amido  Cannella e chiodi di garofano

PREPARAZIONE

Mettere questa miscela di ingredienti in pentola su un fornello a fuoco lento perché raggiunga lentamente il punto di ebollizione. All'ebollizione si aggiunge in pentola una buona manciata di mandorle tostate e grossolanamente tritate. Quando il liquido si addensa a sufficienza è pronto per essere versato negli stampi di terracotta che imprimeranno la forma al prodotto finito. La mostarda così ottenuta può essere consumata in giornata oppure, se la si vuole conservare a lungo, basta farla asciugare al sole e quando raggiunge il giusto grado di densità conservarla all'interno di bocce di vetro.

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AUTORE: GIACOMO GIAMPICCOLO 01/07/2017

BIBLIOGRAFIA

Francesco Dipasquale “Foto antiche di Punta Secca”. Ancient photos of Punta Secca. Editore: C.D.B. Ragusa. Prima edizione: aprile 2015

Gino Baglieri “Ragusa archeologica” Editore Supernova Edizioni s.r.l. 30126 Venezia Lido. Stampato nel: 2017

Stefania Campo “I segreti della tavola di Montalbano” Edizione Il leone verde. Prima edizione 2009

Maurizio Clausi, Davide Leone, Giuseppe Lo Bocchiaro, Alice Pancucci Amarù, Daniela Ragusa “ I luoghi di Montalbano. Una guida”. Editore: Sellerio. Edizione: 2006

Giovanni Uggeri “Archeologia e storia di Camarina”. Congedo Editore. Edizione: 2016

Società Santacrocese di Storia Patria - Archivio Storico - I e II Anni: 2014 e 2015

SITOGRAFIA

www.terraiblea.it www.andreacamilleri.net www.vigata.org/cucina/montalbano_cucina.shtml www.webgol.it/205/07/29// A-tavola-con-montalbano di Antonio Sofi http://www.costierabarocca.it/curiositacin_ita_00004f.htm https://www.tripadvisor.it/LocationPhotoDirectLink-g1972296-d8812695-i243326176- New_Village-Villagrazia_di_Carini_Province_of_Palermo_Sicily.html http://idoloridellagiovanelibraia.blogspot.it/2015/06/camilleri-montalbano-e-la-cucina.html http://www.lacasadimontalbano.com/modica-perla-del-barocco-patria-del-cioccolato-set- montalbano/ http://www.dissapore.com/primo-piano/perche-la-cucina-siciliana-fa-tanto-salivare- montalbano/

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