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L ETTERATURA 2 LETTERATURA /2 © 1999 CUEC - Cooperativa Universitaria Editrice Cagliaritana Sergio Atzeni: a lonely man ISBN: 88-87088-57-8 prima edizione febbraio 1999 Realizzazione editoriale: CUEC via Is Mirrionis, n. 1 - 09123 Cagliari Tel. e fax 070291201 e-mail: [email protected] Senza il permesso scritto dell’Editore è vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Stampa: Solter, Cagliari Copertina: Biplano, Cagliari a Licio Atzeni Giuseppe Marci SERGIO ATZENI: A LONELY MAN C.U.E.C. Cooperativa Universitaria Editrice Cagliaritana INDICE 9 Premessa 17 I La conquista dell’Incittà 55 II Calaritanità 77 III Dal giornalismo alla narrativa 103 IV Incroci e diversità 115 V Onomastica, toponomastica, imprecazioni e insulti: una lingua calaritana 147 VI Interno, esterno 175 VII Storia e apologo 201 VIII L’identità etnica 229 Conclusione 233 Appendice: Quel gioioso mestiere di scrivere 239 Indice dei nomi Premessa We would not leave our native home for any world beyond the tomb [GIORGIO CAPRONI] 1. Quando nel 1995, sul finire dell’estate, Sergio Atzeni morì nel mare di Carloforte, sembrò necessario e, per così dire, natu- rale, che mi occupassi, per quanto potevo, della sua opera lette- raria: avevo recensito o presentato pubblicamente molti dei suoi libri, avevo con lui un’antica amicizia, negli ultimi anni avevamo costruito molteplici occasioni di lavoro comune. Erano momenti di grande emozione: la tragica scomparsa aveva trasformato colui che fino a quel punto era stato uno scrittore le cui opere erano attese da una pattuglia formata da qualche migliaio di affezionati lettori sparsi in tutto il territorio nazionale, in una sorta di figura-simbolo. La sua riservatezza, la tenacia con la quale aveva praticato il lavoro artigianale che ama- va, le qualità stilistiche progressivamente conquistate, la sardità che distingueva l’uomo e la scrittura, non esibita ma compo- nente essenziale della personalità umana e letteraria, il fatto che non appartenesse a conventicole e camarille e procedesse da solo per i sentieri del mondo letterario, la capacità di trasmettere messaggi immediatamente percepibili da un pubblico di giovani che di lui si fidava e in lui si riconosceva, tutto questo può con- tribuire a spiegare l’accresciuta attenzione attorno all’opera già edita e l’interesse con cui sono stati accolti i titoli postumi. Nelle diverse città d’Italia che avevano rappresentato tappe significative della sua esistenza e del suo lavoro e, come è facil- mente intuibile, in Sardegna, non sono mancati i momenti di studio e di dibattito. L’uscita del film di Gianfranco Cabiddu, 10 G IUSEPPE M ARCI tratto da Il figlio di Bakunìn, la riduzione teatrale operata da Gaetano Marino, le numerose circostanze in cui soprattutto i giovani si sono incontrati nel nome di Sergio Atzeni, per recitare pezzi teatrali, leggere poesie o discutere di letteratura, hanno, ovviamente, dilatato il fenomeno. A molti di questi incontri ho partecipato, nella duplice veste di studioso dell’opera e di testimone, e qui sta la prima difficoltà, alla quale, invero, un lettore di Atzeni dovrebbe essere preparato, consapevole che “sui fatti si deposita il velo della memoria, che lentamente distorce, trasforma, infavola, il narrare dei protagoni- sti non meno che i resoconti degli storici”1. Forse anche la mia memoria ha distorto e trasformato, infavolato i racconti che ri- guardavano il ragazzo incontrato in anni ormai lontani, in situa- zioni che, di per se stesse, sembrano sollecitare i processi da cui nasce il mito. L’avevo conosciuto, sul finire degli anni Sessanta, in una se- zione del PCI: luogo e momento di massima tensione proget- tuale. Avevamo il coraggio dell’utopia e ci sembrava di poterla realizzare. Forse avevamo solo vent’anni e i nostri attuali racconti risul- tano infavolati: dobbiamo tener presente l’ipotesi. O forse c’era chi negli aspetti più belli di quel sogno ha continuato a credere: nell’uomo e nella sua possibilità di riscatto dai mille peccati ori- ginali, dai vincoli e dai condizionamenti che l’organizzazione so- ciale comporta. Facile negli anni Settanta, quando una grande tensione morale sembrava permeare un intero paese, più difficile in seguito: e basta scorrere la cronaca amministrativa (e giudizia- ria) dell’ultimo ventennio, per capire il concetto. Anche noi siamo vissuti, si parva licet..., “in un multicolore universo di storie”2: grandi passioni civili e politiche, desiderio di 1 S. ATZENI, Il figlio di Bakunìn, Palermo, Sellerio, 1991, p.119. 2 I. CALVINO, Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 1978, p. 8. Sergio Atzeni: a lonely man 11 comprendere il mondo e gli uomini che lo compongono, i più umili, in primo luogo, quelli che erano sempre rimasti ai margi- ni: molti di loro, scoprivamo, avevano in sé tesori di umanità, di intelligenza e di arguzia, avevano vissuto esperienze molto diver- se dalle nostre e sapevano raccontarle con una espressività che affascinava. Sergio, più di tutti, ne era affascinato: prima ancora dei convincimenti politici c’era in lui l’amore per un mondo popolare cagliaritano fatto di uomini e di racconti, beffardi e sfrontati, di un idioma “straordinariamente ricco, adatto all’insulto, all’invettiva, al racconto buffo”3. Le parole che lo scrittore pronuncia nel 1994, in risposta alle domande dell’inter- vistatrice esprimono una consapevolezza teorica che è della ma- turità, insieme ad un sentimento che, invece, egli possedeva fin dall’adolescenza. Quell’amore non è mai venuto meno, Atzeni ha voluto, anzi, completare l’antico progetto politico incentrato sull’uomo con la forza dell’idea cristiana dalla quale è stato conquistato negli anni della maturità. 2. Ne Il quinto passo è l’addio compare un fulmineo scambio di battute tra il protagonista che va a Roma per un concorso giornalistico e il vecchio pastore incontrato sulla nave: “«Hai gli amici giusti?» «Non ho amici.» «Non vincerai.»”4. Ruggero Gunale il bislacco protagonista del romanzo che tante volte è stato visto come un alter ego dello scrittore, di sicu- ro condivide con il suo autore una caratteristica: entrambi sono convinti che l’amicizia non sia un’associazione di mutuo soccor- so cui rivolgersi per superare un concorso o qualunque altra asperità della vita. Che non si tratti solo della frase d’un roman- zo, d’altra parte, ce lo dice la biografia di un uomo appartato, la 3 G. SULIS, La scrittura, la lingua e il dubbio sulla verità, in “La Grotta della vipe- ra”, a. XX, n. 66-67, 1994, p. 37. 4 S. ATZENI, Il quinto passo è l’addio, Milano, Mondadori, 1995, p. 108. 12 G IUSEPPE M ARCI testimonianza di quanti lo hanno conosciuto e lo descrivono in- capace di sopportare le cerimonialità sociali dalle quali può an- che dipendere il successo di un romanzo o l’assegnazione d’un premio letterario. Se anche avessimo voluto, non avremmo potuto offrire, a un individuo di tal fatta, giudizi compiacenti o lodi convenzionali; forse anche per questo, per il clima di assoluta confidenza che li caratterizzava, i dialoghi tra Atzeni e il suo pubblico hanno sem- pre avuto un carattere di autenticità: incontri di amici che si stimano, vogliono scambiarsi informazioni sulle rispettive espe- rienze, polemizzano anche, e vivacemente, quando lo ritengano necessario. Dopo la morte, ogni volta che ho dovuto parlare, o scrivere, di lui e dei suoi libri, ho cercato di fare in modo che quel clima, almeno in parte, si ricostituisse, disincantato e ironico, quale sempre era stato. Ho affrontato, così, la seconda e più grande difficoltà rappresentata dal tentativo di evitare la retorica dei sentimenti: non me lo avrebbe/non ce lo saremmo perdonato. Ho continuato a dialogare con lui: in fondo uno scrittore è vivo, ogni volta che esce un suo libro e il parlare di quel libro che ab- biamo per la prima volta sotto gli occhi non può confondersi con la mesta cerimonia degli addii. Mi sono sforzato, in sua assenza, di dire la verità -quella che a me sembra sia la verità- su Passavamo sulla terra leggeri e su Bellas mariposas, così come, lui presente, l’avevo detta sull’Apologo del giudice bandito, su Il figlio di Bakunìn, su Il quinto passo è l’addio, sui presupposti ideologici, sulle scelte stilistiche o sull’incontro tra l’italiano e il sardo che non mi sembrava soddisfacente ne Il figlio di Bakunìn, che (forse anche per le molte discussioni) si colloca a un livello più alto in Bellas mariposas (Atzeni avrebbe camminato ancora molto, su questa strada, se il Signore gli avesse dato vita). Mi sono anche propo- sto di non ripetere mai lo stesso discorso nelle diverse circo- Sergio Atzeni: a lonely man 13 stanze in cui ero chiamato a parlare di lui: ho ritenuto che l’opera della quale dovevo occuparmi potesse offrire ogni volta lo spunto per un approfondimento, per una riflessione inedita, convinto che se questa possibilità non fosse stata data sarebbe stato meglio tacere. 3. Oggi raccolgo la gran parte di questi interventi, editi e inediti, per offrire la testimonianza di chi ha avuto la ventura di frequentare per anni uno scrittore, di leggerne l’opera, di parlare con lui e intende proporre le informazioni così raccolte ad altri che vogliano, con migliori capacità critiche, occuparsi del mede- simo tema. Da tale prospettiva è stata guidata la scelta dei testi inseriti nel presente volume: ho voluto privilegiare quelli che conte- nessero elementi atti a illustrare aspetti poco noti o del tutto sconosciuti della vita e delle concezioni di Sergio Atzeni. La nuova collocazione ha richiesto più o meno lievi modifiche e qualche taglio: la speranza è che, in tal modo, scritti nati in circostanze diverse acquisiscano una certa quale fisionomia unitaria, senza tradire lo spirito del tempo in cui sono stati composti.