Per Petrarca Politico: Cola Di Rienzo E La Questione Romana in Bucolicum Carmen V, Pietas Pastoralis Di Enrico Fenzi
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Per Petrarca politico: Cola di Rienzo e la questione romana in Bucolicum Carmen V, Pietas pastoralis di Enrico Fenzi 1. Le pagine assai suggestive che De Sanctis ha dedicato al confronto tra Dante e Petrarca hanno avuto grande successo. Nonostante alcune avvertenze in contra- rio di Carducci, esse sono infatti all’origine della tenace e scolastica vulgata che, fatta salva l’eccezionale qualità dei risultati poetici, vede Petrarca come l’arche- tipo del letterato italiano asservito al potere, chiuso nell’asfittico mondo del suo egotismo lirico e intimamente alieno, dietro spessi fumi di retorica, sia da ogni dimensione o ideale politico, sia dai faticosi rigori della dimensione speculativa del pensiero. Del resto, ancora Contini ne proiettava l’immagine contro quella di Dante e parlava, nel per altro splendido saggio Preliminari sulla lingua del Petrarca, della sua «fioca potenza speculativa», e della mancanza, in lui, di «ca- pacità riflessiva»1. Che le cose non stiano proprio così, lo direi ormai evidente: ma è altrettanto evidente che gli sparsi tratti che dovrebbero contribuire alla creazione di una nuova immagine di Petrarca hanno ancora bisogno di tempo per dare corpo a un ritratto alternativo che sostituisca il vecchio e ne erediti l’efficacia. Una delle vie da percorrere sta proprio in una migliore considerazione della sua riflessione politica, spesso di sorprendente acutezza a dispetto del vero e proprio vituperio di De Sanctis, e la cosa emerge oggi tanto più vera dal momento che proprio il “Petrarca politico” ha cominciato a essere oggetto di studi innovativi2. 1. Il saggio, del 1951, è ora in G. Contini, Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Einaudi, Torino 1970, pp. 169-92 (le parole citate, pp. 174 e 191). Di F. De Sanctis si veda il Saggio critico sul Petrarca, a cura di N. Gallo, con introduzione di N. Sapegno, Einaudi, Torino 1964, in particolare pp. 37-45. 2. Uno dei migliori saggi su Petrarca “politico”, dopo quello alquanto trascurato ma a parer mio meritevole di maggior considerazione di R. De Mattei, Il sentimento politico del Petrarca, Sansoni, Firenze 1944, è quello di F. Gaeta, Dal Comune alla corte rinascimentale, cap. III , Pe- trarca: un apolide disponibile e fortunato, in La Letteratura italiana, dir. da A. Asor Rosa, vol. I, Il letterato e le istituzioni, Einaudi, Torino 1982, pp. 149-255: 197-215, insieme a quelli di M. Feo, Petrarca ovvero l’avanguardia del Trecento, in “Quaderni petrarcheschi”, 1, 1985, pp. 1-22; Id., Il poema epico latino nell’Italia medievale, in I linguaggi della propaganda, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Milano 1991, pp. 3-72: 66-72; Id., L’epistola come mezzo di propaganda politi- ca in Francesco Petrarca, in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, Convegno internazionale organizzato dal Comitato di studi storici di Trieste, dall’École Française de Rome e dal Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Trieste (Trieste, 2-5 marzo 1993), a cura di P. Cammarosano, École Française de Rome, Roma 1994, pp. 203-26 (si veda qui, pp. 209 49 In tutto questo, la vicenda di Cola di Rienzo e il ruolo in essa di Petrarca occupano un posto importante, non foss’altro perché segnano la definitiva crisi dei rapporti con la famiglia Colonna e, di là da essa, il ridimensionamento di quelli con la Curia papale, e hanno gran peso nel determinare quella scelta filo- viscontea che segnerà tutta la seconda metà della vita del poeta. Ma non è né di “Petrarca politico” in generale né dell’intera complessa vicenda di Cola di Rienzo che ora si vuole parlare. Piuttosto, mirando appunto a un insieme ancora in gran parte da ricomporre, vorrei qui limitarmi all’analisi di un testo esemplare e (questa è la mia opinione) davvero straordinario, quale è l’egloga V del Bucoli- cum Carmen, Pietas pastoralis, diretta a Cola intorno alla metà di agosto del 1347, nel pieno dunque della avventura romana del tribuno che si giocò nell’arco di pochi mesi, dal maggio al dicembre di quell’anno. Il racconto di quell’avventura è già stato fatto molte volte, ma qui va assai sommariamente richiamato sia per ripetere alcuni essenziali dati di fatto, sia per aggiungere qualche precisazione intorno alla parte che spetta a Petrarca3. Il 20 ss., una analisi delle lettere di Petrarca a Cola); Id., Politicità del Petrarca, in Il Petrarca latino e le origini dell’umanesimo. Atti del Convegno internazionale (Firenze, 19-22 maggio 1991), in “Quaderni petrarcheschi”, 9, 1992, pp. 115-28. Ma si veda pure E. Sestan, L’Italia del Petrarca fra “tante pellegrine spade”, ora in Id., Scritti vari, II , Italia comunale e signorile, introduzione di M. Berengo, Le Lettere, Firenze 1989, pp. 205-29, mentre dedica un’attenzione specifica alla caratteristiche nuove dell’«eroe intellettuale» impersonato da Petrarca il saggio di G. Bàrberi Squarotti, L’intellettuale e la storia: i versi “politici” del Petrarca (1974), Il Melangolo, Genova 1978, pp. 71-103. Una significativa ed esplicita correzione del ritratto tracciato da De Sanctis, sia pur per linee generali e all’interno di un discorso di tipo celebrativo, è invece in R. Manselli, Pe- trarca nella politica delle signorie padane alla metà del Trecento, in Petrarca, Venezia e il Veneto, a cura di G. Padoan, Olschki, Firenze 1976, pp. 9-22. Ma questi e altri saggi sono stati da ultimo aggiornati attraverso una forte rivendicazione del carattere propriamente e consapevolmente politico di molti dei pronunciamenti petrarcheschi: si vedano in particolare il ricco contributo di D. Bigalli, Petrarca: dal sentimento alla dottrina politica, in Motivi e forme delle «Familiari» di Francesco Petrarca. Atti del Convegno (Gargnano del Garda, 2-5 ottobre 2002), a cura di C. Ber- ra, Cisalpino, Milano 2003, pp. 99-118; G. Baldassari, “Unum in locum”. Strategie macrotestuali nel Petrarca politico, LED , Milano 2006; Petrarca politico. Atti del Convegno (Roma-Arezzo, 19-20 marzo 2004), Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Roma 2006 (si veda qui la ricostruzione del dibattito sul Petrarca politico, pp. 13-28 dell’Introduzione), e, particolarmente importante, G. Ferraù, Petrarca, la politica, la storia, Centro Interdipartimentale di Studi Umanistici, Mes- sina 2006. Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto speciale interesse per questo tema: tra altre cose, mi permetto di rinviare a un saggio di imminente quanto ritardata pubblicazione negli Atti del Convegno fiorentino del 2004 (il volume di Ferraù è uno sviluppo della relazione tenuta dallo studioso in quella stessa occasione), e alla rapida visione d’insieme che con qual- che ambizione di novità ho cercato di dare nel “profilo” Petrarca, il Mulino, Bologna 2008, in particolare pp. 37-45, mentre all’analisi di un caso concreto quale quello della scelta viscontea di Petrarca ho dedicato il saggio Petrarca a Milano: tempi e modi di una scelta meditata, in Petrarca e la Lombardia. Atti del Convegno di studi (Milano, 22-23 maggio 2003), a cura di G. Velli, M. Vitale, Antenore, Padova 2005, pp. 221-63, seguito dall’altro: Ancora sulla scelta filo-viscontea di Petrarca e su alcune sue strategie testuali nelle «Familiares», in “Studi petrarcheschi”, n.s., XVII , 2004, pp. 61-80. 3. Via via sarà data altra bibliografia, ma è subito obbligato il rinvio a K. Burdach, P. Piur, Briefwechsel des Cola di Rienzo, vol. II dell’opera di K. Burdach, Vom Mittelalter zur Reforma- tion. Forschungen zur Geschichte der deutschen Bildung, diviso in quattro tomi (il primo dei qua- li diviso in due parti): il terzo (Weidmann, Berlin 1912) contiene l’edizione critica delle lettere 50 maggio, approfittando della lontananza da Roma di Stefano Colonna, Cola di Rienzo convocò il popolo in Campidoglio e in un eloquente discorso attaccò la nobiltà locale, colpevole del degrado della città; propose una nuova costituzione che avrebbe dato ampi poteri al popolo e ottenne la signoria di Roma promoven- do una serie di riforme: il tutto con la formale approvazione del vicario aposto- lico, il vescovo di Orvieto Raimond de Chameyrac. Mentre in Roma Cola impo- stava una lunga serie di misure interne e papa Clemente VI sembrava favorevole alla nuova situazione, Petrarca esprimeva, nel giugno, tutto il suo entusiasmo in una lunga lettera diretta a Cola e al popolo di Roma, la famosa Hortatoria4, che costituisce un testo fondamentale per la piena comprensione della nostra egloga. Del luglio è una seconda lettera a Cola (Disp. 9 = Var. 38), che di nuovo lo esorta a perseverare nel suo programma e gli promette ogni possibile aiuto, ma insieme comincia a dare un quadro realistico della situazione, e consiglia al tribuno la massima vigilanza e autocontrollo, specie nei confronti della Curia. Un ulterio- re affiorare di preoccupazioni è in una lettera successiva, da collocare intorno alla metà di agosto (Disp. 10 = Var. 40). Qui Petrarca dice di essersi ritirato a Valchiusa anche per sfuggire all’ambiente della Curia e all’ostilità crescente che incontrava il suo aperto appoggio alla causa di Cola; manifesta poi i suoi timori e, ricorrendo alla narrazione di un sogno, mette in guardia il tribuno da chi è disposto a tutto pur di rovinarlo5. A queste stesse settimane risale anche la com- posizione dell’egloga, inviata a Cola insieme alla Disp. 11 (= Var. 42), che gliene forniva la spiegazione (configurando così un caso analogo all’altro, che riguarda la prima egloga, Parthenias, mandata al fratello Gherardo insieme alla Fam., X 4, che la illustrava). Anche in questa lettera d’accompagnamento Petrarca ripete d’essersi ritirato a Valchiusa, e aggiunge: Pertanto ho aggiunto un capitolo al carme bucolico che l’estate scorsa avevo com- posto in questa stessa valle: o meglio, per non usare in faccende poetiche altro che di Cola di Rienzo e di quelle a lui di Petrarca (alle pp.