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ITALIAN MODERNITIES

VOL. 36

Edited by Pierpaolo Antonello and Robert Gordon, University of Cambridge

PETER LANG Oxford • Bern • Berlin • Bruxelles • New York • Wien

997450_Cinelli.indd 2 28-Feb-20 16:50:49 Innesti: e i libri altrui

Gianluca Cinelli and Robert S. C. Gordon (eds)

PETER LANG Oxford • Bern • Berlin • Bruxelles • New York • Wien

997450_Cinelli.indd 3 28-Feb-20 16:50:49 Bibliographic information published by Die Deutsche Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek lists this publication in the Deutsche National bibliografie; detailed bibliographic data is available on the Internet at http://dnb.d nb.de.

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Cover image: G. Arcimboldo, Il Bibliotecario (1566). Skokloster Castle, Håbo (Sweden). Frontispiece image: Anonymous. Photo of Primo Levi at his desk (1960). CDEC, . Cover design by Peter Lang Ltd.

ISSN 1662 9108 ISBN 978-1-78997-450-8 (print) • ISBN 978-1-78997-451-5 (ePDF) ISBN 978-1-78997-452-2 (ePub) • ISBN 978-1-78997-453-9 (mobi) © Peter Lang AG 2020 Published by Peter Lang Ltd, International Academic Publishers, 52 St Giles, Oxford, OX1 3LU, United Kingdom [email protected], www.peterlang.com

Gianluca Cinelli and Robert S. C. Gordon have asserted their rights under the Copyright, Designs and Patents Act, 1988, to be identified as the Authors of this Work. All rights reserved. All parts of this publication are protected by copyright. Any utilisation outside the strict limits of the copyright law, without the permission of the publisher, is forbidden and liable to prosecution. This applies in particular to reproductions, translations, microfilming, and storage and processing in electronic retrieval systems. This publication has been peer reviewed. Printed in Germany

997450_Cinelli.indd 4 28-Feb-20 16:50:49 Indice del volume

!"#$%&'" (')*+) Prefazione xi

,&)%-.') /&%$--& $ 0"1$*2 (. /. ,"*4"% Introduzione 5

6)*2$ 7 Gli strumenti umani

8%2"%&" !& 9$" Primo Levi e 5:

9)*&" 6"**" Primo Levi e Galileo Galilei ;<

6)2*&=&) 6&*$44) Primo Levi e Werner Heisenberg >>

8-1$*2" /)?)@-&"% Primo Levi e Giuseppe Gioachino Belli <;

A%=" B$**)*) Primo Levi e Stanislaw Lem C<

(2$D)%" E)*2$==)@F& Primo Levi e Lewis Carroll 5G<

997450_Cinelli.indd 7 28-Feb-20 16:50:50 viii Indice del !olume

6)*2$ 77 La condizione umana

H&22"*&" 9"%2$#)@@& Primo Levi e Dante 5I<

H)-$%2&%) ,$*& Primo Levi e William Shakespeare 5J;

(&#"%$ ,F$--& Primo Levi e Pierre Bayle 5K5

9)*2&%) 6&+$*%" Primo Levi e Giacomo Leopardi 5<:

!)#&)%" E$%?$@%L Primo Levi e Konrad Lorenz 5:<

67A068MNM 8%2"%$--" Primo Levi e Charles Darwin I5>

6)*2$ 777 Comprendere e narrare il Lager

/F)*-$O N. N$)?&22 7H Primo Levi e Elio Vittorini I;<

P*& (. /"F$% Primo Levi e Vercors I>>

(&1&--) !$O2$D)%& Primo Levi e Charles Baudelaire I<;

997450_Cinelli.indd 8 28-Feb-20 16:50:50 Indice del !olume ix

(2$D)%" E$--&% Primo Levi e Franz KaQa IC<

!)?&4$ /*"O)*) Primo Levi e Samuel Beckett ;G>

6)*2$ 7H La ricerca di sé

9)*2&%) 9$%@"%& Primo Levi e Romas Mann ;I<

,&)%-.') /&%$--& Primo Levi e Herman Melville ;J>

9)22&) /*)?$*" Primo Levi e Ovidio ;K5

9)*'" E$-+"-&2& Primo Levi e ;C5

BiograSe degli autori JG;

Indice dei nomi JG<

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Primo Levi e Elio VittoriniT

Nel suo celebre appello per «una nuova cultura», pubblicato nel 5:J>, Elio Vittorini sosteneva che il fascismo aveva smentito i presunti principi umanitari della civiltà occidentale, ossia la pretesa di conside- rare sacra la vita umana. A prova di questa conclusione provocatoria, Vittorini sottolineava, nello stesso saggio, lUenormità di quella che, negli anni seguenti, sarebbe stata chiamata la Shoah. Nella seconda guerra mondiale, scriveva, «i campi su cui si è sparso più sangue si chiamano Mauthausen, Maidaneck [sic], Buchenwald, Dakau [sic].»V Vivamente scosso dallUimmensità della distruzione umana in questi campi di con- centramento e di morte, Vittorini insisteva che non sarebbe stato più suWciente, a livello culturale, sostenere la dignità degli esseri umani; la cultura doveva ora assicurare la loro sopravvivenza. «Potremo mai avere una cultura che sappia proteggere lUuomo dalle soXerenze invece di li- mitarsi a consolarlo? Una cultura che le impedisca, che le scongiuri, che aiuti a eliminare lo sfruttamento e la schiavitù, e a vincere il bisogno», si chiedeva Vittorini, ponendosi al centro di una polemica vitale non solo sulla possibilità di una nuova cultura interventista e umanitaria, ma anche sul valore della vita umana dopo il fascismo e il nazismo.Y Tre dichiarazioni del 5:JK possono suggerire la portata e l’ampiezza, nel contesto italiano, di questa polemica, spesso ambigua, ma sempre

5 L’autore vuole ringraziare Guido Bartolini, Damiano Benvegnù e Valentina Geri per i loro consigli linguistici e la loro inestimabile assistenza pratica nella revisione di questo capitolo. I Elio Vittorini, Una nuova cultura, «Il Politecnico», 5 (I: settembre 5:J>), ora in id., Letteratura arte società, vol. #: Articoli e interventi $%&'–$%(), Torino, Einaudi, IGGC, pp. I;J–< (p. I;J). ; Ivi, p. I;>.

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appassionata, intorno alla Sgura e alla deSnizione dell’uomo. Durante la guerra, aXermò l’editore e giornalista Edilio Rusconi, «abbiamo visto morire gli uomini, e forse, in quei momenti, abbiamo davvero capito che cosa è un uomo»; dopo la guerra, sostenne il poeta , «oc- corre liberare gli uomini da tutte le mortiScazioni e da tutte le oXese»; a causa della guerra, asserì il Slosofo Umberto Segre, «il termine di “uomo” rinasce come l’evocazione pregnante della stessa libertà.»Z Ribadire o ri- deSnire il valore umano, come evidenziano tali dichiarazioni, fu inteso come il vero e proprio obiettivo di molti intellettuali italiani del periodo postbellico, durante il quale furono frequenti le esortazioni a «restituire all’uomo la sua misura», a «porre sinceramente gli uomini di fronte alla loro miseria», e perSno a «rifare l’uomo.»[ Insieme ai programmi visio- nari – e alquanto vaghi – indicati con queste frasi, numerosi libri dell’epoca proporranno l’avvento di un nuovo umanesimo, con titoli emblematici come Dignità dell’uomo (, 5:JK), L’umanità al bivio (Umberto Nobile, 5:J<), e Crisi dell’uomo (Remo Cantoni, 5:JC). Questo presunto nuovo umanesimo si presentò come un fenomeno internazio- nale piuttosto che strettamente italiano. In Francia, ad esempio, videro la luce pubblicazioni quali Le Sort de l’homme (Jacques Maritain, 5:J>) e L’Existentialisme est un humanisme (Jean-Paul Sartre, 5:JK), mentre *e Condition of Man (Lewis Mumford, 5:JJ), *e Science of Man in the World of Crisis (Ralph Linton, 5:J>), Education for Modern Man (Sidney Hook, 5:JK) e innumerevoli titoli simili contribuirono a deSnire ciò che è stato chiamato «l’età della Crisi dell’Uomo» nella cultura americana.\ Oggi, in una fase culturale ben lontana dal clima del secondo dopoguerra, i suddetti

J Edilio Rusconi, Abbiamo capito che cos’è un uomo, «L’Opinione», 5; giugno 5:JK, p. ;; Alfonso Gatto, L’uomo è stato o+eso, «L’Unità», II maggio 5:J<, p. ;; Umberto Segre, Un mito dell’uomo e la realtà della forma, «La Rassegna d’Italia», 5, : (set- tembre 5:JK): 5I;–;G (p. 5I;). > Mario De Micheli, Realismo e poesia, «Il ‘J>», 5, 5 (febbraio 5:JK): ;>–JJ (p. ;>); Anon., Per una poesia nuova, «La Strada», 5, 5 (aprile–maggio 5:JK): ;–5C (p. :); , Poesia contemporanea [5:JK], in Il poeta e il politico e altri saggi, Milano, Mondadori, 5:K<, pp. 5;–IJ (p. IJ). K Mark Greif, *e Age of the Crisis of Man. *ought and Fiction in America, $%&&– $%,&, Princeton, NJ, Princeton University Press, IG5>. Tutte le traduzioni dall’in- glese sono mie se non diversamente indicato.

997450_Cinelli.indd 238 28-Feb-20 16:50:55 Primo Levi e Elio Vittorini I;:

titoli possono apparire piuttosto «illeggibili […] noiosi […] inutili», così astratte sono le loro analisi, così utopistiche le loro proposte.] Tuttavia, il loro signiScato storico non può essere negato. Nella compagine italiana, tale “crisi dell’Uomo” fu discussa e persino deSnita in gran parte nei termini forniti da Elio Vittorini, sia tramite l’ac- corata domanda al centro del suo appello per «una nuova cultura» citata all’inizio, sia attraverso il suo primo romanzo postbellico, pubblicato nel 5:J> e intitolato, emblematicamente, Uomini e no.^ Eppure è un altro testo, dal titolo ancora più signiScativo, che pone la domanda sull’uomo in modo ancora più radicale, un testo che la critica internazionale ha riconosciuto, in anni recenti, essere l’opera di riferimento dell’intero periodo: Se questo è un uomo di Primo Levi, pubblicato nel 5:J<, due anni dopo la liberazione di Auschwitz, dove l’autore era stato internato, come ce ne dà testimonianza nel libro._ Rileggere il capolavoro di Levi nel contesto dei dibattiti che si tennero nell’Italia del dopoguerra, e rileggerlo soprattutto in confronto con l’opera di Elio Vittorini, come farò in questo capitolo, ci aiuta a co- gliere ancora di più l’originalità della posizione leviana e ad analizzare le connotazioni e le conseguenze del suo riSuto ad accettare i luoghi comuni del cosiddetto nuovo umanesimo.`a

< Ivi, p. 55. Per una critica approfondita circa il discorso italiano in particolare, si veda Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo. Il populismo nella letteratura italiana contem- poranea, Roma, La nuova sinistra, 5:K>, p. 5KJ–>. C Bisogna precisare che, nonostante l’appello rivolto «non ai marxisti soltanto, ma anche agli idealisti, anche ai cattolici, anche ai mistici», il programma vittoriniano per «una nuova cultura» – e dunque anche la sua difesa dell’«uomo» – «si situa invece – come spiega Luperini – all’interno di un compatto blocco ideologico di sinistra.» Romano Luperini, Gli intellettuali di sinistra e l’ideologia della ricostru- zione nel dopoguerra, Roma, Edizioni di Ideologie, 5:<5, p. >K. : Che Levi appartenga, almeno in parte, a questo contesto culturale è stato ricono- sciuto da parte della critica esistente. Si vedano in particolare Robert Gordon, *e Holocaust in Italian Culture, $%--–#.$., Stanford, Stanford University Press, IG5I, p. 55;–5>; Domenico Scarpa, La specie umana negli anni del silenzio, «L’indice dei libri del mese», IG, < (5::<): ;5–I (p. ;I). 5G Che Levi non accetti le «soSsticherie da SlosoS» di un’epoca di rinato umanesimo e un discorso appassionato sull’«uomo», è stato precisato recentemente in Nunzio La Fauci, “Se questo è un uomo” e “I sommersi e i salvati”: signi/cati e signi/canti, in Da Primo Levi alla generazione dei “salvati”. Incursioni critiche nella letteratura

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Le connessioni e i conbitti tra la posizione di Primo Levi e quella di Elio Vittorini, per quanto riguarda il discorso postbellico sulla “crisi dell’Uomo”, sono stati oggetto di un recente dibattito. È emerso che, mentre Levi stava cercando un editore per il manoscritto che sarebbe diventato Se questo è un uomo, Vittorini aveva promosso la pubblicazione italiana del libro sulla Shoah di Robert Antelme, L’Espèce humaine, che era uscito in Francia nel 5:J<. Questo nuovo elemento ha diviso la critica: poiché il tema e il titolo dell’opera di Antelme erano simili a quelli di Se questo è un uomo, alcuni critici, negli ultimi anni, hanno rimproverato Vittorini di non aver rico- nosciuto la superiorità dell’opera di Levi, mentre altri hanno ribattuto che riconoscere l’importanza di Levi non debba implicare necessariamente la denigrazione né di Antelme né di Vittorini.`` Piuttosto che riaprire questa polemica, in questo capitolo intendo invece rinquadrarla, partendo dal fatto che Antelme e Levi non furono gli unici scrittori, nell’immediato dopoguerra, ad adottare titoli simili. La mia analisi mira quindi a essere non solo comparativa ma anche contestuale, esaminando insieme l’opera di Vittorini e di Levi e, allo stesso tempo, raXrontando i loro testi con quelli di altri loro contemporanei che collettivamente parteciparono in un di- battito culturale sulle implicazioni della Shoah in relazione alla dignità – e perSno la natura – umana. Prima di arrivare nel Lager, ha scritto Mino Micheli nella prefazione a Ecce Homo … Mauthausen (5:JK) di Gino Gregori – un libro il cui titolo cristologico dichiara una fede imperitura nella salvezza umana nonostante l’attuale crisi dell’uomo –, i prigionieri «erano uomini»; appena imprigio- nati, «divennero dei numeri, ogni personalità scomparve.»`V Allo stesso modo, in Sotto gli occhi della morte da Bolzano a Mauthausen (5:JK), Aldo Pantozzi ha scritto che, dal momento in cui entrarono nel Lager, per loro

italiana della Shoah dal dopoguerra ai giorni nostri, a cura di Sibilla Destefani, Firenze, Giuntina, IG5<, pp. ;;–JC (p. ;>). Il mio capitolo mira ad approfondire ulteriormente quest’intuizione. 55 Questa polemica, così come la storia editoriale che la ispirò, sono acutamente rias- sunte in Domenico Scarpa, Storie di libri necessari: Antelme, Duras, Vittorini, in id., Storie avventurose di libri necessari, Roma, Alberto GaW, IG5G, pp. 5K>–IGI. 5I Mino Micheli, Presentazione, in Ecce Homo … Mauthausen. Testimonianze del pit- tore Gino Gregori, Milano, Edizione Stucchi, 5:JK, pp. 55–5J (p. 55–5I).

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«stava iniziando […] la vita dell’animale-uomo»; aggiungendo poi che quando i loro nomi furono sostituiti con numeri, «l’uomo bestia era ormai classiScato.»`Y Nel suo Triangolo rosso (5:JK), Paolo Liggeri ricorda come, appena arrivato nel campo, vedendo gli altri prigionieri ammassati nel cor- tile, esclamò con un singhiozzo: «sono uomini, uomini […]. No, veramente erano uomini. Adesso non lo sono più, sono morti; anche se respirano ancora, uomini non sono più.»`Z La funzione disumanizzante del Lager veniva sottolineata non solo nei libri, come quelli appena citati, ma anche nei giornali e nelle riviste dell’epoca. «Non sono uomini, ma allucinati automi scaturiti da un incubo pazzesco, fantasmi della notte, larve in cui si è spenta perSno l’intelligenza», riporta la didascalia sotto una foto dei prigionieri del Lager pubblicata sulla rivista Crimen nel 5:J>.`[ Dopo la Shoah, Dante Lattes chiese drammaticamente nella rivista ebraica , «dobbiamo ancora avere Sducia negli uomini?»`\ E Sergio Forni, nei suoi Ricordi di Mauthausen, pubblicati sull’Indicatore partigiano nel 5:JC, ha testimoniato come «la [loro] stessa umanità veniva debilitata e avvilita, in un quotidiano, metodico e progressivo inasprimento della prigionia.»`] Questa proliferazione di testimonianze e analisi almeno superScialmente simili all’opera di Levi può aiutare a spiegare, piuttosto che la preferenza che Vittorini diede ad Antelme, il motivo per cui l’originalità di Se questo è un uomo non venne immediatamente riconosciuta nell’Italia postbellica. Più precisamente, la diXusione di queste ribessioni può aiutare a capire perché l’opera di Levi fu riSutata da Einaudi, una decisione che da decenni

5; Aldo Pantozzi, Sotto gli occhi della morte da Bolzano a Mauthausen, Trento, Museo storico in Trento, IGGI, p. >K e PiXeri-Anzaldi, L’esposizione dei delitti nazisti al “Grand Palais” di Parigi, «Crimen», I5 settembre 5:J>, pp. J–> (p. J). 5K Dante Lattes, Dobbiamo ancora avere /ducia negli uomini?, «Israel», 5I aprile 5:J>, p. ;, citato in Manuela Consonni, L’eclisse dell’antifascismo. Resistenza, questione ebraica e cultura politica in Italia dal $%-& al $%'%, Roma-Bari, Laterza, IG5>, p. I>. 5< Sergio Forni, Ricordi di Mauthausen, «L’indicatore partigiano», 5, J (luglio– agosto, 5:JC): 5G.

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numerosi critici e studiosi, nonché vari collaboratori della stessa casa edi- trice, hanno deplorato.`^ È probabile che avessero considerato quella di Levi come l’ennesima prova di un discorso già da qualche tempo largamente aXermato. D’altronde, siccome alcuni degli stessi einaudiani avevano af- fermato quel discorso, ribettendo sul destino umano dopo il fascismo nelle proprie opere postbelliche, è pure possibile che Levi venisse sottovalutato non perché sembrava (erroneamente) privo di originalità ma invece perché, per motivi che esamino in questo capitolo, appariva piuttosto anticonfor- mista nei loro confronti. , per esempio, accusata di aver respinto l’opera di Levi, aveva pubblicato Il /glio dell’uomo nel 5:JK. «Non guariremo più di questa guerra», aveva scritto la Ginzburg in quel saggio, «ma noi siamo legati a questa nostra angoscia e in fondo lieti del nostro destino di uomini.»`_ Un altro einaudiano, , che la Ginzburg stessa incolpò per la decisione di non aver pubblicato l’opera di Levi, aveva sostenuto, nel suo Ritorno all’uomo, stampato nel 5:J>, che per gli scrittori postbellici «il compito è scoprire, celebrare l’uomo di là dalla solitudine, di là da tutte le solitudini dell’orgoglio e del senso. […] Una cosa si salva sull’orrore, ed è l’apertura dell’uomo verso l’uomo.»Va Oltre a Pavese e la Ginzburg, fra gli intellettuali einaudiani che avevano partecipato al discorso sulla “crisi dell’Uomo” prima che la casa editrice oXrisse il proprio giudi- zio sull’opera di Levi, merita particolare attenzione Felice Balbo, grazie ai suoi libri L’Uomo senza miti (5:J>) e Il laboratorio dell’uomo (5:JK). «Tra i brandelli e i ruderi di una catastrofe presente», aveva teorizzato Balbo nel secondo di questi due importanti volumi, «l’uomo cerca aXannosamente la sua perduta immagine.»V` È diWcile immaginare che tali teorizzazioni, sostenute non solo da Balbo ma da molti suoi colleghi einaudiani e dai loro

5C Si veda in particolare Marco Belpoliti, Primo Levi di 0onte e di pro/lo, Milano, Guanda, IG5>, p. 555–5:. Sul ruolo di Vittorini, cfr. Luisa Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta, Torino, Bollati Boringhieri, 5:::, p. J>> n<< e KC: nICK. 5: Natalia Ginzburg, Il /glio dell’uomo, «L’Unità» (5:JK), ora in Opere, Milano, Mondadori, 5:CK, pp. C;>–C. IG Cesare Pavese, Ritorno all’uomo, «L’Unità», IG maggio 5:J>, ora in La letteratura americana e altri saggi, Torino, Einaudi, 5::5, pp. 5:<–: (p. 5:C). I5 Felice Balbo, Il laboratorio dell’uomo, Torino, Einaudi, 5:JK, p. 55.

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contemporanei aWliati a numerose altre case editrici, riviste e istituzioni culturali, non abbiano determinato, almeno in parte, la lettura – e più ancora la mancata comprensione – dell’opera di Levi. Alla Sne, quindi, non fu Einaudi, ma la piccola casa editrice De Silva, diretta da Franco Antonicelli, che accettò di pubblicare l’opera di Levi in una tiratura di I.>GG copie nel 5:J<. Fu lo stesso Antonicelli, inoltre, a scegliere come titolo Se questo è un uomo, traendolo da un verso della poesia con cui inizia il libro, e preferendolo sia a Sul fondo, titolo del ma- noscritto citato sulla rivista L’Amico del popolo che ne aveva pubblicato per la prima volta degli estratti, che a I sommersi e i salvati, titolo pre- ferito da Levi stesso.VV Come Antonicelli avrebbe poi spiegato, citando e interpretando quella poesia per chiarire la sua decisione, «il titolo Se questo è un uomo implica una domanda […] e una risposta»: «La risposta è l’orrore».VY Nell’analisi di Antonicelli, la Shoah fu «un delitto contro l’essenza umana» e Levi, nel documentare questo delitto, forniva «la cro- naca del degradamento da uomo a qualcosa di meno Sero di un animale, cioè un sottouomo.»VZ Sembra ragionevole pensare, quindi, che il titolo sia stato scelto intenzionalmente dal curatore per collocare Levi all’interno della polemica italiana sulla “crisi dell’Uomo”, una polemica, bisogna aggiungere, alla quale Antonicelli stesso aveva partecipato attivamente, anche se irregolarmente.V[ Sembra ancora più giustiScato pensare che la partecipazione di Antonicelli a quella polemica, il suo contributo a uno dei dibattiti più ferventi dell’Italia del dopoguerra – «il momento più alto di [Elio] Vittorini», come più tardi lo avrebbe ricordato – sia stato

II Questa storia è stata attestata sia da Levi (Primo Levi: capire non è perdonare, Opere, III: K55), sia da Antonicelli. Corrado Stajano, Ritratto critico, in Franco Antonicelli, La pratica della libertà. Documenti, discorsi, scritti politici $%#%–$%,-, Torino, Einaudi, 5:C, p. ;. IJ Id., Calendario di letture, Torino, ERI, 5:KK, p. ;::; id., Piccolo libro di lettura, Torino, ERI, 5:><, p. CJ. I> Si vedano, ad esempio, id., Il diritto di risorgere, «L’Opinione», I: aprile 5:J>; id., Perché lascio “L’Opinione”, «L’Opinione», > aprile 5:JK (entrambi ora in id., La pratica della libertà, cit., pp. IK–: e ;<–: (p. I< e ;<).

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inbuenzato dalla sua lettura di Uomini e no.V\ Questo romanzo, avrebbe spiegato successivamente Antonicelli, pose una serie di domande impegna- tive e inevitabili a cui tutta la cultura italiana era chiamata a rispondere.

Le domande di Vittorini sono in un campo più vasto, in un ordine più alto, metaSsico e, direi, religioso: non dov’è la ragione, dove il torto, dove il giusto, dove l’ingiusto, ma perché avvengono certe oXese e certe violenze, perché si fanno e perché si subiscono, che senso hanno, e perché nell’uomo vive e il persecutore e la vittima. Interrogativi che non possono avere risposta, che rimangono astratti, che, invece di raggiungere una più profonda consapevolezza, rappresentano un’inquietudine, uno smarrirsi della coscienza. E tuttavia signiScano assai bene lo sgomento (religioso, insistiamo) dell’animo dinanzi al mistero del destino e della partecipazione dell’uomo.V]

Sembra plausibile concludere che questa lettura appassionata e impegnata di Uomini e no riveli quei sentimenti che portarono Antonicelli non solo a pubblicare Primo Levi, ma a intitolare la sua opera Se questo è un uomo.V^ Se l’opera di Vittorini abbia esercitato un’inbuenza su Levi stesso, come sembra aver fatto con il suo editore, è una domanda diversa ma forse in qualche modo correlata. La critica sostiene ad esempio che esista una certa corrispondenza tra gli «astratti furori» che caratterizzano il protagonista all’inizio di Conversazione in Sicilia, il romanzo vittoriniano pubblicato nel 5:J5, e l’«astratto senso di ribellione» che, secondo Levi, motivava la propria partecipazione alla Resistenza, come ha spiegato nell’edizione ei- naudiana di Se questo è un uomo, pubblicato nel 5:>C.V_ Interesse di questo

IK Id., Primo memoria di Vittorini, narratore e uomo di cultura, «Radiocorriere», J;, 55 (5;–5: marzo 5:KK): 5J–5>. I< Id., Uomini e no ($%-)–$%()), «Radiocorriere», JI, J< (I5–I< novembre 5:K>): II. IC Sono d’accordo con Alberto Cavaglion quando sostiene: «che Antonicelli sce- gliendo quel titolo volesse stabilire un nesso con il libro di Vittorini Uomini e no, non mi sembra un’idea troppo azzardata, ma siamo nel campo dell’opinabile, e se questo è ciò che Cases non mi perdona, sono felice di dirgli che le sue osservazioni sebbene non mi convincano del tutto, m’inducono a ripensarci su.» La questione dello “scrivere dopo Auschwitz” e il decennale della morte di Primo Levi, in Primo Levi testimone e scrittore di storia, a cura di Paolo Momigliano Levi e Rosanna Gorris, Firenze, Giuntina, 5:::, pp. :<–55G (p. 5GC). I: Giuseppe Mazzotta, Letteratura e verità, la lezione di Primo Levi, «Vita e Pensiero», :5, ; (IGGC): 55K–II (p. 55K).

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capitolo è, però, principalmente la prima edizione dell’opera, quella pub- blicata da De Silva nel 5:J<, poiché si colloca cronologicamente all’apice del dibattito sulla “crisi dell’Uomo” e dovrebbe quindi ribettere più da vicino i termini di quel dibattito, sia nella sua preparazione che nella sua ricezione critica. Entrando più profondamente nel rapporto fra Levi e Vittorini, è importante sottolineare come Levi stesso abbia aXermato che, durante la stesura dei capitoli che sarebbero diventati Se questo è un uomo, non gli fossero ancora presenti la maggior parte delle opere di Vittorini, ma avesse già letto quella più recente, Uomini e no, un romanzo in cui lo scrittore siracusano sembra allontanarsi dalla posizione che aveva preso in Conversazione in Sicilia e avvicinarsi, in qualche modo, agli stessi temi, se non esattamente alle stesse conclusioni, che Levi avrebbe esplorato in Se questo è un uomo.Ya Vittorini, in Conversazione in Sicilia, aveva considerato la possibilità che alcuni atteggiamenti e comportamenti potessero essere così crudeli da trasgredire i conSni dell’umano. «Ma forse non ogni uomo è uomo; e non tutto il genere umano è genere umano», aveva scritto in un momento centrale di quel romanzo:

Un uomo ride e un altro uomo piange. Tutti e due sono uomini; anche quello che ride è stato malato, è malato; eppure egli ride perché l’altro piange. Egli può massacrare, perseguitare, e uno che, nella non speranza, lo vede che ride sui giornali e manifesti di giornali, non va con lui che ride ma semmai piange, nella quiete, con l’altro che piange. Non ogni uomo è uomo, allora. Uno perseguita e uno è perseguitato; e genere umano non è tutto il genere umano, ma quello soltanto del perseguitato. Uccidete un uomo; egli sarà più uomo. E così è più uomo un malato, un aXamato; è più genere umano il genere umano dei morti di fame.Y`

;G Si veda Primo Levi, Più realtà che letteratura (Opere, II: 5;CJ). Tra gli studiosi che propongono un legame tra Uomini e no e Se questo è un uomo, si vedano in partico- lare Alberto Cavaglion, Primo Levi era un centauro?, in Al di qua del bene e del male. La visione del mondo di Primo Levi. Atti del convegno internazionale Torino $)–$( dicembre $%%%, a cura di Enrico Mattioda, Milano, Franco Angeli, IGGG, pp. I;–;I (p. I<–C); Judith Kelly, Primo Levi. Recording and Reconstruction in the Testimonial Literature, Leicester, Troubadour, IGGG, p. 55–5I; Jonathan Usher, Primo Levi, the Canon, and , in *e Cambridge Companion to Primo Levi, a cura di Robert Gordon, Cambridge, Cambridge University Press, IGG<, pp. 5<5–CC (p. 5CI). ;5 Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia, in id., Le opere narrative, Milano, Mondadori, 5:K:–<5G (p. KJ>–K). Gian Paolo Biasin ha proposto

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Essere vittima, in quest’analisi, equivale a essere più «uomo», mentre essere aggressore, tormentare le vittime, vuol dire perdere la propria uma- nità, diventare non-uomini. Nonostante il suo titolo potenzialmente ingannevole – un titolo, infatti, che ha ingannato molti critici, tra cui alcuni di indirizzo leviano – Uomini e no rappresenta il riSuto di questa posizione da parte di Vittorini.YV L’autore non avrebbe potuto essere più chiaro nei suoi tentativi di prendere le distanze dall’analisi precedente: «non esistono, insomma, “uomini” e “non-uomini”», ha scritto in un saggio del 5:J<.YY Non dobbiamo, cioè, dividere nettamente tra il bene “umano” e il male “disumano”, secondo Vittorini, perché gli esseri umani hanno in loro la propensione sia al bene che al male. Dobbiamo dunque aXrontare direttamente il problema del male umano, piuttosto che Sngere che gli uomini siano innatamente buoni, e che il male sia in qualche modo estraneo alla natura umana. «Uomini e no è il titolo di un problema che il Vittorini si pone», ha correttamente spiegato Giacomo Noventa in un importante saggio del 5:JK, «non di una aXermazione e di una negazione, non di un problema risolto».YZ Il problema a cui fa riferimento Noventa, e sul quale si concentra Vittorini, riguarda il valore dell’identità umana all’indomani della seconda guerra

questo brano dal romanzo di Vittorini come una possibile fonte per il titolo del libro di Levi: Till My Ghastly Tale is Told: Levi’s Moral Discourse From Se questo è un uomo to I sommersi e i salvati, in Reason and Light. Essays on Primo Levi, a cura di Susan Tarrow, Ithaca, NY, Western Societies Program Occasional Paper No. I>, 5::G, pp. 5I<–J5 (p. 5;G–5). ;I Sia coloro che accettano una relazione tra i progetti di Levi e Vittorini sia coloro che la negano hanno più volte sostenuto che lo scrittore siracusano propose una divisione manichea tra partigiani (“uomini”) e fascisti (“non-uomini”). Un esempio a sostegno della relazione fra i progetti dei due autori si trova in Luigi Martellini, La persecuzione necessaria, in Primo Levi. La dignità dell’uomo, a cura di Rosa Brambilla e Clara Levi Coen, Assisi, Cittadella, 5::>, pp. :I–55> (p. 55I–5;), mentre un esempio che nega tale relazione si trova in Alessandro Galante Garrone, Il grido di Primo Levi, «Nuova antologia», I5K; (5:C<): I5I–I< (p. I5:–IG). ;; Elio Vittorini, [Uomo e sottosuolo], «Il Politecnico», ;> (5:J<), ora in id., Letteratura arte società, cit., vol. I, pp. JIJ–< (p. JIK). ;J Giacomo Noventa, Un titolo ed un libro, «Gazzetta del Nord», I: luglio 5:JK, ora in id., “Il grande amore” e altri scritti, $%&%–$%-', Venezia, Marsilio, 5:CC, pp. IK5–<; (p. IK;).

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mondiale, un evento che aveva causato una serie di tristemente noti crimini contro l’umanità. Questo problema viene così aXrontato in Uomini e no:

L’uomo, si dice. E noi pensiamo a chi cade, a chi è perduto, a chi piange e ha fame, a chi ha freddo, a chi è malato, e a chi è perseguitato, a chi viene ucciso. Pensiamo all’of- fesa che gli è fatta, e la dignità di lui. Anche a tutto quello che in lui è oXeso, e ch’era, in lui, per renderlo felice. Questo è l’uomo. Ma l’oXesa che cos’è? È fatta all’uomo e al mondo. Da chi è fatta? E il sangue che è sparso? La persecuzione? L’oppressione? […] Noi abbiamo Hitler oggi. E che cos’è? Non è uomo? Abbiamo i tedeschi suoi. Abbiamo i fascisti. E che cos’è tutto questo? Possiamo dire che non è questo anche, nell’uomo? Che non appartenga all’uomo?Y[

Con questa dichiarazione provocatoria, come ha notato certa parte della critica, la distinzione tra la vittima umana e l’aggressore disumano che Vittorini aveva sviluppato in Conversazione viene del tutto abbandonata, anzi respinta polemicamente:Y\

Diciamo oggi: è il fascismo. Anzi: il nazifascismo. Ma che cosa signiSca che sia il fascismo? Vorrei vederlo fuori dell’uomo, il fascismo. Che cosa sarebbe? Che cosa farebbe? Potrebbe fare quello che fa se non fosse nell’uomo di poterlo fare? Vorrei vedere Hitler e i tedeschi suoi se quello che fanno non fosse nell’uomo di poterlo fare. Vorrei vederli a cercar di farlo. Togliere loro l’umana possibilità di farlo e poi dire loro: Avanti, fate. Che cosa farebbero?Y]

;> Elio Vittorini, Uomini e no, Milano, Bompiani, 5:J>, p. I55–5I. Come nel caso di Se questo è un uomo, cito dalla prima edizione del romanzo di Vittorini, piuttosto che dalle successive versioni, sostanzialmente rivedute, perché questa era l’edizione che Levi avrebbe potuto leggere durante “l’età della Crisi dell’Uomo”, che rappresenta il contesto della mia analisi. Sulle modiSche che il romanzo di Vittorini ha subito nelle stesure successive, si veda Virna Brigatti, Diacronia di un romanzo. Uomini e no di Elio Vittorini ($%--–$%((), Milano, Ledizioni, IG5K. ;K Cfr. Vittorio Spinazzola, Itaca, addio, Milano, Il Saggiatore, IGG5, p. K5; Giovanni Falaschi, La Resistenza armata nella narrativa italiana, Torino, Einaudi, 5:–IGI (p. 5CC–:). ;< Vittorini, Uomini e no, cit., p. II5–I.

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Queste righe, tanto schiette quanto pungenti, chiariscono la sostanza della nuova posizione vittoriniana. Riconoscere l’umanità di quelli che soXrono, ma non quella di coloro che fanno soXrire, secondo lo scrit- tore, rappresenta un’autoassoluzione ingiustiScata, l’abbandono della nostra responsabilità morale. Ci consente, erroneamente, di mantenere la nostra fede nell’innata virtù degli uomini, quando dovremmo invece abbandonare quella fede e giudicare gli uomini, considerandoli – anzi, considerandoci – responsabili per ogni propensione al male. Dobbiamo essere in grado di riconoscere la vera natura umana se vogliamo combat- tere eWcacemente il male umano, e dobbiamo essere in grado di ricono- scere, per prima cosa, che quelle dei nazisti furono oXese umane, non di- sumane: oXese fatte dall’uomo contro l’uomo. «Nessuno deve uscire di qui, che potrebbe portare al mondo, insieme col segno impresso nella carne, la mala novella di quanto, ad Auschwitz, è bastato animo all’uomo di fare dell’uomo» (Se questo è un uomo, Opere, I: ;K). Così scrive Primo Levi alla Sne delle sue ribessioni sulla vita nell’in- fermeria di Auschwitz, nel capitolo “Ka-Be”, insistendo, qui come al- trove, sulla mostruosità dell’esperienza che deve descrivere – «condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile» – ma anche sull’umanità di coloro che sono responsabili per «questa oXesa, la demolizione di un uomo» (5:). Con tale aXermazione, che echeggia signiScativamente il vocabolario vittoriniano, pieno, come abbiamo visto, di «oXese» contro l’uomo e addirittura contro il mondo, Levi sembra essere abbastanza vicino alla posizione di Vittorini. Eppure Levi va oltre questa stessa po- sizione, e oltre quella della maggior parte degli altri suoi contemporanei, sostenendo che, nel portare avanti questa oXesa, i nazisti sono riusciti, tragicamente, a disumanizzare, completamente e spesso irrevocabilmente, le loro vittime. Se è vero, cioè, che i torturatori erano sempre uomini, è altrettanto vero, secondo Levi, che i torturati avevano cessato di essere uomini, così terribili erano le loro soXerenze. «Distruggere l’uomo è dif- Scile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi», aXerma Levi mentre racconta l’orribile esecuzione di un uomo, «l’ultimo», che aveva osato ribellarsi (55;). Lo scrittore così costringe i suoi lettori a meditare sul fatto che, a causa della loro incapa- cità di ribellarsi, di rispondere o persino di pensare, quelli condannati

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ad assistere all’esecuzione, Levi incluso, non erano più uomini. Tutto il libro di Levi porta a questa conclusione:

Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto inSne, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a soXerenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di aWnità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice signiScato del termine “Campo di annientamento”, e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo. (5:)

Nel momento in cui si deSniva la cosiddetta “crisi dell’Uomo”, quando molti cercavano di riaXermare la dignità umana come fonte di spe- ranza, di rinascita, e persino di redenzione dopo il fascismo, Levi, come Vittorini, ricordava ai lettori che gli esseri umani erano responsabili di tutti i crimini contro l’umanità che il fascismo aveva potuto commettere.Y^ Andando oltre il pensiero di Vittorini, però, Levi ricordava anche che, in molti casi, questi crimini contro l’umanità cominciavano con la distru- zione dell’umanità stessa, al punto che le stesse vittime avevano cessato di essere riconoscibilmente umane. Si pensi a Null Achtzen, il prigioniero che «non è più un uomo», che «eseguisce tutti gli ordini che riceve» e che, «quando lo manderanno alla morte, ci andrà con questa stessa totale indiXerenza» (I>), oppure alla massa dei prigionieri che «non pensano e non vogliono, camminano», una condizione disumana che, secondo Levi, rappresenta la «vittoria» delle S. S. (;I). Lo stesso titolo del libro evidenzia quest’orrendo traguardo, l’abbassamento totale dei prigionieri, anche se il titolo che Levi aveva preferito lo segnala in maniera forse ancora più diretta: «Sul fondo.» Se la critica non ha sempre colto la sSda morale di Uomini e no a causa di una lettura spesso sbrigativa del suo titolo, anche i primi critici che si occuparono di Levi non furono sempre in grado di riconoscere il vero

;C Non sembra irrilevante notare come «l’idea dei crimini contro l’umanità [sia] nata, formalmente parlando, alla Sne della seconda guerra mondiale.» Norman Geras, Crimes Against Humanity. Birth of a Concept, Manchester, Manchester University Press, IG55, p. vi.

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signiScato della sSda morale posta dal titolo Se questo è un uomo. Quasi tutte le prime recensioni di quel libro descrissero l’opera di Levi come ricon- ferma e non refutazione delle più facili banalità postbelliche riguardanti il potere, la purezza e le prospettive della dignità umana.Y_ In una recensione del 5:JC, ad esempio, Maria Ortiz si soXermò sul senso di speranza che Levi trasse, durante il suo internamento, dall’amicizia con Lorenzo, un operaio civile italiano generoso e “umano”: «fermiamoci a questa Sgura riconfor- tante – ha scritto la Ortiz – invochiamo un ritorno alla pura, incorrotta, cordiale umanità, e nello stesso tempo invochiamo che per nessuno mai, per nessuna società o parte di società si veriSchino mai condizioni di tanta durezza di vita che solo l’eroismo e la santità possano trionfarne.»Za Eurialo De Michelis, nella sua recensione del 5:J<, si è concentrato, con analogo intento, sul capitolo Snale del libro, trovando nella testimonianza di Levi circa la liberazione del Lager «un alacre riSorire della personalità, un de- siderio di vita, dove i pochi gesti generosi contano assai di più dei molti inumani, che ancora le circostanze imponevano, nell’immane catastrofe.»Z` Gabriele Pepe, autore della Crisi dell’uomo, un trattato del 5:J>, termina la sua recensione del 5:JC con l’aXermazione che, in Se questo è un uomo,

per fortuna dell’umanità i reietti, i disumanizzati, gli abbrutiti immediatamente ritornano uomini non appena, distrutto il mostruoso mondo creato dal nazismo, è possibile un primo, semplice gesto di fraternità. Basta il pensiero della prossima libertà perché questi detriti umani ritrovino la capacità di una carità quasi eroica: tanto è vero che solo la libertà rende buoni!ZV

Questa è sicuramente una conclusione confortante, ma rispecchia molto di più la fede di Pepe nel valore civilizzatore della humanitas, nel suo senso

;: Sulla critica iniziale all’opera di Levi, cfr. Ernesto Ferrero, La fortuna critica, in Primo Levi. Un’antologia della critica, a cura di id., Torino, Einaudi, 5::<, pp. ;G;– C>, oltre al capitolo “Vicenda della critica”, in Alberto Cavaglion, Primo Levi e Se questo è un uomo, Torino, Loescher, 5::;, pp. ><–K;. JG Maria Ortiz, Recensione a Se questo è un uomo, di Primo Levi, «Lo spettatore ita- liano», 5, < (luglio 5:JC): 55G–55. J5 Eurialo De Michelis, Recensione a Se questo è un uomo, di Primo Levi, «La voce repubblicana», ;G dicembre 5:J<, p. ;. JI Gabriele Pepe, Uomini distrutti, «Scuola democratica», I, IG (IG febbraio 5:JC): ;.

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latino, che un’accurata lettura del libro di Levi.ZY In sostanza, il discorso della “crisi dell’Uomo” sembra, in questo caso come in molti altri, aver incoraggiato abitudini mentali che impedivano l’apprezzamento dell’ori- ginalità e della diWcoltà di Se questo è un uomo. Con questo, non si intende sostenere che i critici avessero torto nell’in- dividuare nel libro di Levi alcune tracce di solidarietà umana nei Lager nazisti e il risveglio di un senso di umanità nei sopravvissuti al campo. Tanto è vero che, nell’ultimo capitolo del suo libro, Levi racconta come, nel momento in cui lui e i suoi compagni di prigionia si ritrovarono liberi dall’ordine brutale del campo, essi fossero «lentamente ridiven- tati uomini» (Opere, I: 5II). Eppure, la riaXermazione dell’umanità nel racconto di Levi è, appunto, lenta, e cioè più faticosamente conquistata, più incerta, più contingente di quanto sembri essere negli scritti di molti suoi contemporanei. «Oggi rinasce l’uomo», fu annunciato in occasione di una commemorazione del 5:J> per i martiri della liberazione d’Italia, quelli che avevano combattuto contro le forze che volevano «stermi- nare gli ebrei».ZZ E ancora, in una testimonianza del 5:JK pubblicata sul Quotidiano, si dichiara che «oltre la tragedia dell’uomo, oltre la transuma- nazione della soXerenza, oltre gli slanci meravigliosi del sentimento, v’era un’altra Mauthausen, quella del superamento della pena Ssica, del trionfo dello spirito.»Z[ Se questo è un uomo non adduce un simile senso di trionfo, non promette alcun simile senso di rinascita. Evita anzi completamente le astrazioni intellettualistiche, i compromessi rassicuranti, e l’inbusso bene- Sco immeritato che troppo spesso hanno caratterizzato il discorso sulla “crisi dell’Uomo”. Non è un caso forse che, tra i partecipanti più attivi di quel discorso, solo Aldo Bizzarri, anche lui sopravvissuto a un campo di sterminio, seppe riconoscere, almeno in parte, il signiScato intimo dell’o- pera di Levi. Bizzarri criticava spesso le invocazioni troppo ottimistiche, illusorie, o faziose di un cosiddetto «Uomo d’oggi» e, nelle sue opere, tra cui il libro testimonianza Mauthausen città ermetica, il romanzo Proibito

J; Id., La crisi dell’uomo, Roma, Capriotti Editore, 5:J>, p. <5–I. JJ Angelo Antonio Fumarola, Prefazione [Roma, primavera del $%-)], in id., Essi non sono morti. Le medaglie d’oro della guerra di liberazione, Roma, PoligraSco, 5:J>, pp. 55–;; (p. II e ;5). J> Alfredo Stendardo, Vigilia nell’ombra, «Il Quotidiano», ;G ottobre 5:JK, p. ;.

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vivere, e il saggio Il problema è la persona, analizzò, in modo alquanto rigoroso, il funzionamento dei campi, «quel mondo disumano», nel tentativo di spiegare come essi avessero provocato «l’avvilimento, la sper- sonalizzazione, la degradazione, l’imbestiamento dell’uomo.»Z\ Nella sua recensione a Se questo è un uomo, Bizzarri riconobbe «l’immagine orrida dell’ambiente dove quelle vite d’uomini furono torturate e si spensero, e dove, soprattutto, la “persona” venne deliberatamente schiacciata.»Z] Questa analisi ribette certamente scelte lessicali proprie di Bizzarri, più che di Levi, ma tuttavia identiSca anche, con una certa precisione e con molta penetrazione, la sSda morale dell’opera di Levi.Z^ Ancora più inci- siva risulta essere la recensione di Italo Calvino, che mostrò ancora meno condiscendenza per ciò che liquidò, in un saggio del 5:JK, come la retorica del «Uomo con l’U maiuscola.»Z_ In Se questo è un uomo, come Calvino ha giustamente notato, Levi mette in dubbio ogni fede nella dignità umana trascendente e inviolabile, e invece «studia con una pacatezza accorata cosa resta di umano in chi è sottoposto a una prova che di umano non ha nulla.»[a Più radicalmente ancora, fa sì che i suoi lettori aXrontino, di- rettamente e senza riserve, l’inadeguatezza di tutto il discorso dell’uomo,

JK Per la sua critica alla polemica sulla «Crisi dell’Uomo», si veda, per esempio, Aldo Bizzarri, Uomo d’oggi e uomo di sempre, «Domenica», 5G febbraio 5:JK, ora in Il problema è la persona $%-)–$%)#, Milano, Il Saggiatore, 5:KK, pp. 5GI–>. Sugli eXetti disumanizzanti dei campi nazisti, si veda id., Mauthausen, città ermetica, Roma, OET, 5:JK, p. 5J e J5. J< Id., Recensione a Se questo è un uomo, di Primo Levi, «L’Italia che scrive», ;5, J (aprile 5:JC): <<–C (p. <<). JC Il Lager «schiaccia […] quella che era la persona», dice uno dei prigionieri raW- gurati nel romanzo Proibito vivere, e simili esempi dell’uso delle stesse parole, ado- perate anche nella recensione a Se questo è un uomo, sono facilmente identiScabili attraverso tutta l’opera di Bizzarri. Id., Proibito vivere, Milano, Mondadori, 5:J<, p. 5C5. J: Italo Calvino, Le capre ci guardano, Soggezione di un cane, Il marxismo spiegato ai gatti, Da Esopo a Disney, «L’Unità», 5< novembre 5:JK, ora in id., Saggi $%-)–$%'), Milano, Mondadori, IGG5, vol. I, pp. I5;5–K (p. I5;;). >G Id., Un libro sui campi della morte, «L’Unità», K maggio 5:JC, ora in Giornalismo italiano, a cura di Franco Contorbia, Milano, Mondadori, IGG<, vol. ;, pp. J>G–I (p. J>5).

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di tutto il nuovo umanesimo, dopo Auschwitz.[` Questo è in fondo il signiScato della poesia dalla quale è stato tratto il titolo del libro di Levi, che intima ai lettori: «considerate se questo è un uomo» (Opere, I: <). Con quest’ingiunzione, Levi oXrì a coloro che proponevano la solida- rietà umana come risposta alla crisi della civiltà scaturita dall’esperienza dei Lager nazisti, il doloroso ricordo di come l’ambiguità esista non solo relativamente alla dignità umana, ma anche e soprattutto a qualunque idea della natura umana. L’uomo non era quindi la risposta al problema storico e sociale; era di per sé il problema. Seppur non sempre nello stesso modo, o nella stessa misura, l’idea di uomo fu il problema al quale anche Elio Vittorini dedicò le sue ribessioni nell’immediato dopoguerra. Per spiegare le conseguenze di un massacro nazista di civili italiani, Vittorini scrisse in Uomini e no:

Chi aveva colpito non poteva colpire di più nel segno. In una bambina e in un vec- chio, in due ragazzi di quindici anni, in una donna, in un’altra donna: questo era il modo migliore di colpir l’uomo. Colpirlo dove l’uomo era più debole, dove aveva l’infanzia, dove aveva la vecchiaia, dove aveva la sua costola staccata e il cuore sco- perto: dov’era più uomo.[V

Bisogna riconoscere come, in molti sensi, questa visione sia piuttosto lon- tana dalla posizione di Levi. Nel suo libro, Vittorini attribuiva non solo un’identità umana, ma anche un’umanità superiore alle vittime delle atro- cità nazista. Eppure riconosceva, come anche Levi, la fragilità dell’uomo, la facilità con cui coloro che vogliono oltrepassare i conSni della civiltà possono distruggere la vita umana. Ecco perché, per tornare al punto da cui siamo partiti, Vittorini si chiedeva, «potremo mai avere una cultura che sappia proteggere l’uomo dalle soXerenze invece di limitarsi a conso- larlo?» Dopo la guerra, lo scrittore auspicò l’avvento di una nuova cultura proprio perché era convinto che questa fosse l’unica risposta commisu- rata alla minaccia che il fascismo e il nazismo avevano posto, e ponevano,

>5 Sul cosiddetto post-umanesimo di Levi, si vedano Jonathan Druker, Primo Levi and Humanism a1er Auschwitz. Posthumanist Re2ections, New York, Palgrave Macmillan, IGG:; Damiano Benvegnù, Animals and Animality in Primo Levi’s Work, London, Palgrave Macmillan, IG5C. >I Vittorini, Uomini e no, cit., p. 5IJ–>.

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all’esistenza umana una minaccia – speciScava nel saggio, andando oltre il romanzo – che comprendeva non solo la guerra, l’occupazione e le stragi di civili ma anche gli stessi campi di concentramento e di morte; una minaccia, quindi, per tutti gli esseri umani. «Vi era bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l’esistenza dei bambini», argomenta in Una nuova cultura. «E se ora milioni di bam- bini sono stati uccisi, se tanto […] la sconStta è anzitutto di questa “cosa” che c’insegnava la inviolabilità loro. […] Questa “cosa”, voglio subito dirlo, non è altro che la cultura.»[Y Ampollose difese della moralità umana, sin- cere richieste di solidarietà umana – la stessa sostanza del discorso sulla “crisi dell’Uomo” – non avevano potuto impedire né la seconda guerra mondiale né i crimini contro l’umanità che la stessa guerra aveva gene- rato e facilitato, sosteneva Vittorini, con riferimento ai Lager nazisti. Bisognava agire diversamente, e deliberatamente, per difendere l’uomo dalle minacce contro cui i più sacri valori della civiltà occidentale si erano mostrati non solo completamente ineWcaci, ma in qualche modo anche complici. Non è questa, forse, la lezione che Primo Levi vuole che appren- diamo dall’esistenza del Lager? «Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: Snché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo» (Opere, I: >).

>; Id., Una nuova cultura, cit., p. I;J.

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