il Portolano A. XII - Luglio / Dicembre 2006 PERIODICO TRIMESTRALE DI LETTERATURA N. 47/48 - € 8,00

Mentre questo numero era “in bozze”, se n’è andato . Da qui la necessità di anteporre all’apertura su Rosai un pensiero sul grande poeta che, del “Portolano” fu tra i primissimi collaboratori, mallevadore e ami- co carissimo. Inutile dire che gli dedicheremo quanto prima un adeguato numero monografico. In queste pagine, col suo ama- ROSAI to Rosai, sono proposti due ultimi Cinquant’anni dopo (Firenze 1895 - Ivrea 1957) frammenti del suo pensiero. Con Parronchi si spenge l’ultimo degli “ermetici” e la poesia europea per- de una delle voci più autorevoli.

EDITORIALE Quel Rosai che Cesare Brandi non capì f.g.

Ancora tra “poetica della solitudine” ed “espressionismo europeo” o auto- noma “testimonianza esistenziale” di un eroe del Novecento?

el 1982, la Galleria Pananti, con Nun saggio introduttivo di Ales- sandro Parronchi, ricordò i venticin- que anni della scomparsa di Ottone Rosai (alla vigilia della grande anto- logica che gli aveva curato Pier Carlo Santini) nel catalogo della mostra, co- struita, pour cause, con sole opere ap- Raul Magni, Rosai partenute agli amici (da Betocchi a Bi- lenchi, da Contri a Giampieri, da Par- che furono a mio vedere, assieme a ronchi a Vallecchi ed altri). Morandi, i più grandi disegnatori ita- Sono passati altri venticinque liani della prima metà del nostro se- ROSAI / CAVALLO, FACCENDA, FAGIOLI, anni, ma Rosai non ha avuto ancora colo, non sia stata conservata e pub- GURRIERI, NICOLETTI, SANTI, SANTINI: quella giustizia dalla critica d’arte che blicata, ma invece sparpagliata e di- Parronchi, opportunamente, invocava: spersa”. Testimonianze di: Barni, Bellini, Di Taranto, “…c’importerà meno – scriveva, ap- Parronchi è stato tra i più fedeli Farsetti, Gherardini, Guasti, Marini, Parenti punto, Parronchi – che il Beaubourg difensori dell’opera rosaiana, testimo- non abbia incluso Rosai nella rappre- ne ininterrotto e trepido come nessun sentanza italiana del periodo del Rea- PARRONCHI / altro, interprete attento della poetica Frammenti inediti lismo novecentesco. Vuol dire che Ro- dell’amico e maestro, difensore del sai avrà in quell’occasione condiviso suo personalissimo profilo umano ed con Scipione la sorte riservata a chi, artistico che non volle contaminato VERONESI / GURRIERI quel periodo, soffrì più duramente e con altri e nemmeno con quel Francis tese a redimere opponendogli la vio- Bacon, suggerito da alcuni quale pos- lenza del segno e quella dell’immagi- sibile compagno di viaggio. OJETTI / MELONI nazione sfrenata. Ed è anche un de- stino che l’opera grafica di questi due, (segue a pag. 2) 2 IL PORTOLANO - N. 47-48

circostanze in cui si determinò la sua adesione, una via, un modo di crearsi un linguaggio, con la con- correnza di tutti quei fattori che abbiamo cercato di chiarire”.

Brandi, non dimentichiamo, era già allora “uomo di potere ministeriale” che, salvo qualche eccezione, ce l’aveva con l’ambiente fiorentino, come ha poi dimostrato per tutta intera la sua vita, prima alle “Belle Arti”, poi all’Università. Non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta che Brandi giudicava con fretta e, soprattutto, senza vedere le opere, basandosi solo su sommarie ripro- duzioni: lo avrebbe fatto più tardi col ricovero delle formelle di Donatello del Pulpito di Prato, e con i “mammozzi” dei falsi Modigliani del Black & Deker. Dunque, nessuna paura, ora che quella ge- nerazione se ne è andata, esauriti i rispetti reveren- ziali per il potere che non mancava di esercitare da quel “Consiglio superiore delle Belle Arti” (“Con- siglio Inferiorissimo”, come lo definiva Piero San- paolesi, i cui membri conosceva benissimo), è ora di dire, il più definitivamente possibile delle palesi contraddizioni critiche brandiane. Ciò lo dobbiamo, anche per onorare la discrezione dell’amico Santini. “L’existentialisme est-il un humanisme”? ci si chiedeva a proposito di Sartre: un interrogativo la cui valenza potrebbe valere benissimo anche per Rosai. Ed anche quel suo sfogo, la cui essenza si ritrova in Ottone Rosai, Al tavolo (1921) inedito (per cortese concessione di Marcello Guasti) tante di quelle lettere diligentemente raccolte da Vit- toria Corti (V.C., Ottone Rosai, lettere 1914-1957, QUEL “BARBANERA” CONTAMINATO DA CÉZANNE, CARRÀ Prato): “Nous sommes des sous-hommes à la re- E DA SOFFICI CHE CESARE BRANDI NON CAPÌ cherche de notre humanité”. E allora non sorprenda se si vuol tornare su uno dei soprassalti rosaiani giudicati esagerati e intolle- (segue da pag. 1) rabili – “L’arte metafisica l’ho inventata io”!: per- “Dalla più alta e più austera tradizione – dirà aggiungere che nel 1947, quand’egli scriveva, la ché se metafisica – in generale – è l’oltrepassamen- ancora Parronchi – ecco nascere allora l’incolto, tor- conoscenza dell’artista era per tutti piuttosto im- to dell’esperienza sensibile; se, più specificamente, bido, violento Rosai, ma capace di lampi d’intelli- perfetta, e lacunosissima, certo anche per coloro in arte si vuol accettare per espressione qualcosa genza profonda, di generosità incondizionate, di cri- che lo avevano in un periodo o nell’altro seguito da che prescinde dalla realtà della natura per crearne stiano slancio di pentimento e d’umiliazione, ecco vicino – Brandi, tra l’altro, non era stato di questi un’altra, fuori dall’ambiente consueto o perché ac- sorgere e giganteggiare il medievale Rosai: uomo se – mancando la possibilità di una qualsiasi pro- costato al di fuori di ogni logica realistica acqui- mai ve ne furono del suo tempo, in attrito col quale spettiva di fronte ad un catalogo interamente da stando nuovo e suggestivo significato, ciò, allora, venne affilandosi il taglio del suo lapis e la carezza rivedere, da sistemare, da completare di opere fon- può valere benissimo per la “Via Toscanella” del del suo pennello”. damentali). Come avrebbe potuto scrivere altri- ’22, fino a “via San Leonardo” del ’35. Del resto, se menti, Brandi che ‘dopo una breve risonanza futu- la pittura metafisica fu anche una reazione al futuri- E bisogna pur far cenno alla “stroncatura” di Ce- rista e cubista, che era un modo di mettersi provvi- smo (che vede brevissimamente presente Rosai, sare Brandi (C.B., Europeismo e autonomia di cul- soriamente à la page, ma non di conquistarsi un’au- cone si può ricordare nel suo “Dinamismo Bar San tura nella pittura moderna italiana, in “L’immagi- tonomia di cultura, Rosai subì l’attrazione della Marco” (1914), anche in ciò Rosai ha le carte in re- ne”, n. 3, luglio-agosto 1947) che, con la consueta cosiddetta arte popolare, ma come simili attrazio- gola. Certo, la metafisica di De Chirico è popolata da frettolosa protervia che talvolta diventava in lui irre- ni subiscono gli intellettuali, sicché ne venne fuori accostamenti inconsueti, di oggetti e persone e ma- frenabile, delle opere di Rosai ebbe a dire del “chia- una specie di Barbanera contaminato da Cézanne, nichini che evocano miti antichi in piazze deserte e roscuro riempitivo e pleonastico, inquinato da falsa da Carrà e in seguito da Soffici”? Come avrebbe rarefatte; ma la metafisica di Carrà fu altra cosa, atmosfera di Soffici, sicché ha aggiunto all’equivoco potuto sostenere che Rosai è come un intellettuale perché già nel momento sorgivo portava i sintomi di di un plasticismo descrittivo e non ritmico, quello di “che guarda il popolo con repulsione e nostal- quelle forme pure e di quella diversa ricerca che lo un presupposto atmosferico del tutto estraneo ai dati gia…”? Non è questione di apprezzare o respinge- avrebbe portato verso il movimento dei “valori pla- dell’immagine”. re i risultati per la loro intrinseca qualità: a pre- stici”. Ecco, a suo modo, forse, anche Rosai ha un Pier Carlo Santini, nella sua monumentale mo- scindere da quella incompatibilità che dimostra nei suo autonomo percorso che lo accompagna alla sua nografia sul maestro (1960), ebbe a sfiorare l’argo- confronti dell’arte di Rosai, Brandi equivoca sui vigorìa espressiva – epica e popolare –, che si è vo- mento con molto garbo, minimizzando l’episodio caratteri basici dell’artista, si ostina a non volerne luto chiamare “realismo rosaiano” o, per l’appunto, ed ipotizzando che Brandi non conoscesse a fondo anzitutto riconoscere la sorgività e il temperamen- “realismo esistenzialistico”, dal destino tragico e Rosai e la sua opera. to anti-intellettuale per eccellenza, a non ricono- non redimibile. “Noi sospettiamo – scriveva Santini – che l’e- scere ad esempio come il futurismo di Rosai non ri- Ma Rosai è un maestro del disegno italiano del minente studioso non conoscesse Rosai; non lo co- sponde al desiderio di essere à la page, ma soltan- Novecento (secondo Luigi Baldacci, il maggiore): ne noscesse a fondo, non amandolo. (Ed è del resto da to alla necessità di trovare, in quelle particolari sono convinti tutti, da Russoli a Cavallo, da Parron- chi a Ragghianti. “E proprio nei disegni – scriverà IL PORTOLANO - N. 47-48 3

Franco Russoli nel ’66 – è dato cogliere e verifica- re in ogni sua fase il procedimento di formulazione dell’immagine, dal suo proporsi cone oggetto reale e spunto necessario ad ogni interpretazione poetica – dato di vita, sempre, e termine ineliminabile di un rapporto che non può essere altro che un rapporto ‘realistico’ –, alla sua trasposizione in termini di lin- guaggio e di cultura – che saranno, sempre, scan- dagli del suo complesso significato di simbolo pri- vato, dei suoi echi psichici e morali, Nel disegno di Rosai avviene subito la definizione essenziale di quei caratteri fondamentali, dalla enucleazione del- l’elemento realistico particolare alla impaginazione d’uno spazio che ha valore di collocazione emotiva e fantastica, che saranno la base di variazioni sotti- li, e sempre rispondenti a stati d’animo, a situazio- ni soggettive, nelle diverse traduzioni pittoriche del- lo stesso tema”. “Nell’arte disadorna e spietata di Rosai – dirà Vittoria Corti – il disegno sta al principio: tutto na- sce da lì. (…) I disegni di Rosai possono essere di soggetti guardati direttamente e rapidamente: figu- re solitarie o aggruppate, strade di città o campa- gne, cose che son sparse degne di attenzione e di cui l’artista ha voluto fermare i connotati per poi ri- pensarci, a distanza. Ma, per quanto veloce sia sta- to l’occhio nell’afferrare gli elementi primari, per quanto abbreviata sia stata la resa sulla carta, nel disegno sono confluiti – attraverso i meandri miste- riosi per cui passa la creazione artistica – momen- ti di vita diversi da quelli che l’artista stava vivendo: su di noi incombe la presenza dell’artista. (…) Il di- segno è l’anima della pittura di Rosai: non solo perché la pittura prende di lì il suo avvio, ma perché resta nella pittura come parte integrante, è il robu- sto scheletro che la regge”. Raffaele Monti ha parlato di una stereometria rosaiana, ed ha sicuramente ragione, a condizione che questa ottica e questo ricondurre la produzione artistica rosaiana la si lasci integra e libera da vin- Raul Magni, Rosai coli. Il suo “realismo esistenziale” non è mai una re- stituzione pittorica o grafica del soggetto (figura, paesaggio od oggetti che siano): è sempre e comun- Magris su “Le Monde” le loro chiome. L’ìle nue ospitò gli oppositori di que ricerca, scavo. Che cosa sia scaturito dal reali- Tito, restando, di fatto, un penitenziario fino al smo rosaiano è, per più aspetti, paradossalmente, 1988. La trattazione di questo tema ne fa – se- ancora da indagare; a meno che non si voglia ri- condo la Rérolle – al di là del personaggio let- prendere in considerazione la riflessione di Baldac- Dans le chaos terario, una insolita e importante figura morale. ci, a misurarsi, forse, con Bacon (e oggi aggiungerei con Freud). Baldacci, parlando di Carluccio ebbe a de l’histoire dire: “…in una mostra di Bacon che si fece a Tori- no alla Galleria civica d’Arte Moderna (…), intuiva laudio Magris all’onore di “Le Monde – un rapporto che mi sembra testimoniare in modo su- CDes Livres” (15 dicembre 2006), con ri- premo la sua acutezza e soprattutto la sua libertà tratto di Pancho e col titolo “Dans le chaos de l’histoire”. Dopo Cristina Campo e Tabucchi è mentale: il rapporto, dico, tra i dannati di Bacon e le toccato a Magris ad onorare la narrativa italiana. figure – i nudi, i ritratti e soprattutto gli autoritrat- “Magris e la caduta degli ideali – vi si dice –. A ti – di Rosai, che per Carluccio era il solo pittore partire dall’evocazione di Goli Otok, piccola che in mezzo secolo d’arte italiana avesse avuto il isola al largo di Trieste, il romanziere italiano coraggio della sgradevolezza…” (1984). Ma la con- traccia un ampio affresco sui malori del XX se- ferma di un asse di interesse – e quindi, di coinci- colo”. Il saggio gli è dedicato da Raphaelle Ré- denza –, è stata data da Giovanni Faccenda, che rolle, in occasione dell’uscita di A l’aveugle (“Alla cieca”), per le edizioni Gallimard. “Au ebbe a rilevare, in una intervista di Bacon alla BBC, grand registre des passions qui peuvent guider l’affermazione secondo cui, degli artisti italiani l’u- una vie – vi si legge – le nom de nico da lui guardato con interesse sarebbe stato Ro- figure à (au moins) deux entrées differents: l’hi- sai. Questo, in sé, non aggiungerebbe nulla all’arti- stoire et la littérature”. Due colonne parallele e sta toscano, ma potrebbe semmai servire a chi, da portanti, come alberi vicini capaci di mescolare sempre, si è dimostrato pregiudizialmente ostile alla 4 IL PORTOLANO - N. 47-48 UN INEDITO LACERBI

Giuseppe Nicoletti

hi conosce anche soltanto superficialmente il corpus degli scrit- Cti di Ottone Rosai e magari ha una certa idea dello stato, della consistenza e dell’ubicazione dei suoi manoscritti sa che è davvero difficile poter affermare con certezza se un suo scritto, anche breve o brevissimo come quello che qui presentiamo, possa considerarsi inedito. Fatti salvi i suoi libri che almeno hanno avuto una loro sep- pur faticosa o anche laboriosa ma pur sempre riconoscibile e rico- struibile storia editoriale, già gli scritti di carattere giornalistico, che non sono poca cosa in termini di quantità, risultano oggi di difficile reperimento, dispersi come sono in una miriade di testate minori e mi- nime e pubblicati fin dagli esordi della carriera artistica rosaiana e dunque già a far data dalla metà del secondo decennio del secolo scorso. Uno studioso meticoloso come Carlo Cordiè, grande biblio- filo e amico di lunga data di Ottone, si occupò lungamente della raccolta e della cura editoriale di tali scritti, senza tuttavia riuscire a darli alle stampe prima della sua morte, occorsa pochi anni or sono. Sarebbe auspicabile, a questo proposito, che gli eredi del professor Cordiè provvedessero ad affidare a persona esperta i materiali ro- saiani che di certo lo studioso avrà lasciato fra le sue carte, al fine di portare a compimento, finalmente, un’impresa a suo modo non age- vole e però di grande importanza per gli studi sull’artista fiorentino, come appunto l’edizione dei suoi articoli giornalistici e dei suoi scritti non raccolti in volume. La situazione dei manoscritti lasciati dall’artista è, se possibile, an- cor più intricata e disperante. Infatti, se da un lato vi è stato chi con grande passione e dedizione, ma sempre con scarsissima attenzione filologica, ha provveduto alla pubblicazione di molti inediti e del- l’intero epistolario rosaiano, altri assai più sparsamente si è indotto a riprodurre pagine manoscritte (come fossero opere grafiche o pezzi unici di carattere artistico) su cataloghi di mostre d’arte e su pubbli- cazioni occasionali e come tali difficilmente rintracciabili, donde la difficoltà di stabilire, come prima accennavamo, se uno scritto pos- sa considerarsi inedito o meno. Il pezzo qui riprodotto, ad esempio, è tratto da un fascicolo ma- noscritto (che noi però leggiamo in fotocopia) circolato da tempo nell’ambiente dei critici d’arte e degli studiosi di Rosai e già esa- minato più in particolare (a quanto ci risulta) da due grandi cono- Ottone Rosai, Strada in salita (1942) scitori dell’opera rosaiana come Alessandro Parronchi e Vasco Pra- tolini. Ma al di là della storia di un codice siffatto, vale la pena pre- cisare in questa sede la precocità della sua composizione, specie a sibilità di una sua destinazione a stampa, si trovò a utilizzare il suo considerare la grafia dello scrivente che di certo rimanda, prima quadernetto a mo’ di contenitore, estraendone perciò un certo ma- ancora del contenuto dei brani e appunti che vi si leggono, agli anni teriale prosastico poi deversato in tre diverse e successive operazioni dell’esordio artistico di Ottone e, per essere più precisi, a quelli in- editoriali. Nelle prime pagine troviamo infatti il testo di due prose torno al primo conflitto mondiale. Il manoscritto, che si compone di vernacolari fra le più conosciute e antiche fra quelle pubblicate dal quarantasei facciate e di un indice (anch’esso autografo), contiene un nostro, e cioè I’ salotto di ricevimento (c. 3) e Barcaglio di Ciaraffo certo numero di prose di ampiezza sempre diversa ma tutte munite (cc. 9-10) che rispettivamente comparvero su «Lacerba» il 15 no- di un titolo vergato con lettere maiuscole. Sembra di capire che vembre 1914 (a. II, n, 23) e il 15 luglio dello stesso anno (a. II, n. questa raccoltina autografa, che contiene peraltro non poche corre- 14). Proseguendo quindi in un rapido esame del codice troviamo alle zioni introdotte da mano diversa da quella autoriale, fosse stata pre- cc. 5-6 un brano di carattere diaristico intitolato Quattro giorni li- parata dall’artista con quella cura (anche calligrafica) che di solito cenza premio che poi ritroveremo nel ’19, con varianti non rilevan- si presta ad un lavoro che si intende presentare all’esame di una qual- tissime, nel primo libro di Rosai, Il libro di un teppista e, più in par- che autorità in materia, ovvero fosse stato predisposto per essere av- ticolare, nel secondo paragrafo (dei tre di cui il libro si compone) in- viato ad una possibile pubblicazione. In effetti, a ben studiarne il titolato Verso la guerra. Nelle ultime carte, infine, troviamo alcuni contenuto si evince il fatto che Rosai, una volta realizzata l’impos- altri brani, sempre di argomento bellico, che Rosai pensò di riuti- IL PORTOLANO - N. 47-48 5 ANO DI OTTONE ROSAI

Nicoletti

lizzare nel suo secondo libro di prose, il celebre Via Toscanella, usci- posito, appare l’ultimo periodo). Si potrebbe anzi affermare che Ro- to anche questo da Vallecchi ma dieci anni più tardi, nel 1930. Si sai, in quanto scrittore, è portatore di un suo riconoscibilissimo stile, tratta sia del brano qui intitolato L’affare delle pinze, poi nel libro in- fatto di irregolarità e di improprietà,– ed è un dato assai singolare – titolato più semplicemente Le pinze, che di un altro pezzo qui pre- di inversioni strane e di anacoluti, e non sai mai se del tutto naturali sente con il titolo La moglie di un arricchito poi nel libro mutato in ovvero lasciati talvolta cadere con un certo studio, quasi senza farsene L’arricchito. accorgere. Ed è scrittore, il nostro, come qui si legge, fuori dal coro, Ma qualcosa resta da dire sul merito della scrittura rosaiana di cui ribelle e provocatore, e pertanto interessante, suggestivo, anche quan- il presente specimen può considerarsi abbastanza rappresentativo. In- do, e questo breve scritto lo dimostra, sembra invece interpretare quel tanto è subito chiaro che il brano Si salvi chi può va collocato nel con- cupo ribellismo antioperaio e antidemocratico così caratteristico del testo, infuocato di violenze e scontri, dell’immediato primo dopo- tragico nostro primo dopoguerra, prodromo e segnale di quella scia- guerra, allorchè l’ardito Ottone Rosai, appena rientrato dal fronte, si gurata soluzione totalitaria, che all’Italia toccò in sorte all’indomani spende, come è nel suo carattere, in un attivismo militante quanti al- della marcia su Roma. tri mai energico e aggressivo. Da quale parte l’ex combattente si ponesse è facile intendere, vuoi soltanto per l’esplicito quanto ostile richiamo, già nel periodo incipitale di questa pagina, di due noti esponenti del socialismo fiorentino come Giuseppe Pescetti e Artu- ro Caroti, uno dei quali, il Pescetti, ricordato dagli storici moderni so- prattutto come il primo deputato toscano al Parlamento nazionale pro- veniente da quello schieramento. Ma è una storia questa – quella che riguarda il Rosai reduce da una guerra combattuta con l’entusiasmo incondito di un eroe popolare – che è già stata ricostruita nei suoi pas- saggi fondamentali: dapprima il congedo al deposito di Roma nel ’18, l’iscrizione al Fascio futurista fiorentino, la collaborazione ai giornali Ottone Rosai del ‘reducismo’ come «L’Assalto», «La Nuova Italia» e «Il Giorna- le dei Combattenti», l’adesione ai Fasci di combattimento e quindi la Si salvi chi può partecipazione alle repressioni squadriste nel triennio 1919-22 (sal- vo poi, al tempo della Quartarella, appunto, dopo il delitto Matteot- ti, aiutare con altrettanto dispendio di energie e di coraggio fisico i po- etesto Firenze pidocchiosa cenciosa, eleganza a cinque chi e coraggiosi collaboratori antifascisti del «Non mollare!»). Come “Dbraccia una lira. Addormentata, ruffiana città, dei Pe- si è detto altrove, questa trista sequenza di eventi e di scelte nonchè scietti Caroti e compagni. la violenza sovversiva di cui l’artista dà prova, ma poi anche il suo Mi guardate e sò perché! ammirate perché credete ch’io ri- forte ma sincero populismo, comportano ‘miracolosamente’ qualche sponda alle vostre sudicie idee, perché qualcuno vi à detto che la ricaduta anche nella sua arte. La quale, proprio in questo torno di tem- nostra bella divisa copre dei corpi e degli animi compagni dei vo- po o poco più avanti, nei primi anni venti, si precisa nei termini di un stri. intenso primitivismo masaccesco e specie in alcune opere di picco- Mi guardate pensando che una striscia nastrini medaglie, sa- le dimensioni che restano di certo fra i capolavori ineguagliati della ranno tante lire all’anno, e che le medaglie peseranno dai più ai sua pittura. meno grammi. Ma guardatemi bene e vedrete che spesso uno Qui, davanti a questo scritto giovanile, importa tuttavia notare sguardo rimprovero compassione, parte dai miei occhi lustri di altro, ad esempio lo spontaneismo e il primitivismo (non si sa fino gioia per il dovere compiuto. a che punto provocatoriamente esibito) della sua scrittura. E poi la Popolo di gonzi, gente che avete da fare un lungo passo in- testarda volontà dell’artista di mostrarsi (e magari di affermarsi), dietro e migliaia in avanti per sgranchirvi riprendervi ed entrare alla stregua di altri pittori della sua generazione, cioè i cosiddetti nella realtà, non vi accorgete quanto vi odio, quanto non vi pos- ‘pittori che scrivono’, non soltanto sulla scena artistica ma anche su sa vedere? quella, se non proprio della letteratura, quanto meno di una pub- La guerra, la febbre, non bastano, una buona stirata di co- blicistica d’intervento politico e di cultura. E in ciò, apparente- scienza ci vuole! mente sfornito di ogni più elementare norma scolastica ma semmai Coglioni svegliatevi, un pezzetto di carta che voli per aria; im- protetto dall’egida di autorevolezza culturale dell’amato-odiato mobili restate a guardarlo, senza sentire l’urtoni e l’ingiurie che maestro Ardengo Soffici, in questo momento, alla fine degli anni vi lancio. dieci, impegnato a traghettare il suo recentissimo trascorso di avan- È passato davanti a voi gli anni più belli, e voi gli avete ma- guardista lacerbiano-futurista sulle sponde di un malinconico ‘ri- ledetti dormendo, si presenta il momento [:] deciditi – e lo guar- torno all’ordine’. date cisposi, stanati pensano alla pace, dagli altri conquistata, ed Ebbene, Rosai scrittore (perché come si è accennato, esiste dav- alle vostre soffici molle e comode poltrone, alla tavola delle pa- vero un Rosai scrittore) è tale nonostante (o forse, grazie a) questa stasciutte”. sintassi così poco ortodossa (particolarmente traballante, a questo pro- 6 IL PORTOLANO - N. 47-48 I libri di Rosai

Mattia Di Taranto

o sono un teppista, è arcivero. Mi è sempre piaciuto rompere le fine- “Istre e i coglioni altrui e vi sono in Italia dei crani illustri che mostra- no ancora le bozze livide delle mie sassate”. Queste le parole di un più che mai stroncatore e dissacratorio Giovanni Papini, in un passaggio giusta- mente celebre tratto dal suo Discorso di Roma, stampato dalle Edizioni di Lacerba nel 1913, che sceglie così di mettersi in prima linea in quella furiosa battaglia che le avanguardie internazionali – dall’iperintellettualismo futu- rista russo di Majakovskij e Chlèbnikov al Notturno teppista di Dino Cam- pana fino alle prose filolacerbiane di Ugo Tommei – portano avanti contro il passatismo della buona borghesia pacifista e benpensante che l’autore del mordace Crepuscolo dei filosofi identifica polemicamente nell’italianissi- mo “paese dei burocratici, degli accademici, dei posapiano, dei piacciconi”. Una battaglia nella quale Ottone Rosai, classe 1895, falegname figlio di fa- legname, autentico rappresentate di quella “teppa” delle cui potenzialità sov- versive la più giovane e promettente intellighenzia europea tentava dispe- ratamente e forse vanamente di farsi veicolo e interprete, si getta come può e sa. “Rosai dipinge, architetta mobili e, senza lettere, scrive” commenta, caustico, Ardengo Soffici, con esplicito riferimento alla disordinata for- mazione da autodidatta dell’amico ben lontana dall’erudito enciclopedismo di un Papini; e il granatiere Rosai scrive sorprendentemente bene, verreb- be da chiosare, in uno stile vivace e a tratti brillante, che ad espressioni dia- lettali e stonanti anacoluti affianca gustosi funambolismi verbali giocando sapientemente con le infinite suggestioni sonore della lingua. Lo dimostra la sua prosa d’esordio, Il libro di un teppista, pubblicato a Firenze da Val- lecchi nel 1919, all’indomani della catastrofe bellica di cui egli fu consa- pevole e lucido osservatore. Una battaglia che dal testo si trasferisce anche al segno grafico coinvolgendo il lettore prima ancora che questi apra il li- bro. Il titolo dell’opera appare frettolosamente vergato, privo di proporzio- ni e le sue ultime tre lettere precipitano verticalmente per mancanza di spazio quasi fosse un graffito su un muro. Lo stesso nome dell’autore è pri- vo del patronimico. Nella metà inferiore della copertina, campeggia il di- segno volutamente infantile e sproporzionato, quasi fosse stato distratta- Ottone Rosai, Strada, case e cipresso (1948) mente abbozzato, di un uomo nell’atto di aggredire con un vistoso coltel- laccio una signora mentre un cane e un gatto osservano indifferenti la sce- na. Sullo sfondo si nota una bandiera con uno stemma al centro, evidente ri- Fascista di , accompagnato da numerosi disegni bellicisti nel ten- ferimento al patriottismo e alla causa nazionale che sarà l’argomento del- tativo fallito di cattivarsi la simpatia delle autorità. Con questo intento Ro- lo scritto. L’interpretazione più plausibile è che Rosai vagheggiasse, in sai ne fa stampare l’edizione in volume a Roma nel 1934 dai “Quaderni di misura del tutto “eretica” e anticonformista anche rispetto allo studiato se- Novissima”, avvolto in copertina rosa e tirato in soli 148 esemplari nume- gno marinettiano adottato dai suoi compagni di barricata, un ritorno al for- rati, con l’aggiunta di un capitolo conclusivo in cui l’autore rivendica la sua se un po’ bullesco ma sano e vitale mondo dell’infanzia come reazione al- adesione e partecipazione fin dalla prima ora al nascente movimento fa- l’incubo vissuto in prima persona della trincea. Il libro di un teppista vie- scista. Si tratta di uno dei testi più rari e ricercati dai collezionisti di edizioni ne riproposto all’attenzione del pubblico nel 1930, sempre da Vallecchi, con del Novecento italiano al pari della raccolta di racconti tozziani L’immagi- una nuova copertina disegnata da Rosai: sotto il nome completo dell’auto- ne, pubblicata da Vallecchi nel 1946 e illustrata da disegni originali di Ro- re e un più ortodosso titolo in rosso, figura questa volta una semplice seg- sai, ormai introvabile. Rosai non rinnegò mai il suo passato anarchico e giola eloquentemente vuota su cui giacciono appoggiati un elmo e un mo- avanguardista, neppure a pochi anni dalla morte, avvenuta ad Ivrea nel schetto. Curiosa e piena di fascino anche la copertina del volumetto, pub- 1957, quando l’Italia iniziava faticosamente a dimenticare gli anni di regi- blicato nello stesso anno con prefazione di Soffici, dal titolo Via Toscanella, me e di guerra. Lo dimostra la sovraccoperta di Vecchio Autoritratto, rac- pregevole e un po’ nostalgico tributo alla propria città attraverso la quale colta in un unico volume dei suoi scritti, edito da Vallecchi nel 1951 in 1050 Rosai passeggia insieme al lettore condividendo con lui le sue più intime ri- esemplari, dei quali 50 fuori commercio numerati da I a L, abbellito da 32 flessioni: sul disegno dell’imbocco della via del titolo, scorcio deserto di po- tavole fuori testo, in cui sono presenti anche due coloriti articoli scritti in tente suggestione, viene apposta in blu, utilizzando la tecnica del “collage”, dialetto in omaggio al suo passato di “lacerbiano”: un autoritratto dell’au- l’insegna e sulla facciata del palazzo, come si trattasse dello sfregio di uno tore che stringe un coltello tra i denti, riproduzione dell’omonimo acquerello dei suoi prediletti teppisti, si impone alla vista la scritta verniciata in rosso del 1912. “W OTTONE ROSAI”. In antiporta, un ritratto dell’autore mentre scrive In conclusione, bisogna inevitabilmente porsi la scomoda domanda: precede, ad illustrazione del testo, 23 disegni a piena pagina e 13 vignette. chi fu davvero Ottone Rosai? Indubbiamente, un grande e oggi finalmente Sempre nell’ annus mirabilis 1930 Rosai, insoddisfatto del suo libro d’e- riconosciuto protagonista della pittura novecentesca italiana che, tuttavia, sordio, ne inizia a rimaneggiare il testo. Ne viene fuori un nuovo e più ma- nei due lunghi decenni del regime fascista, dovette nascondersi a volte turo romanzo, Dentro la guerra – che Carlo Bo definirà “uno dei libri più dietro un manierismo di facciata sfogando la sua inesauribile vitalità e belli che abbia ispirato la prima guerra mondiale” – che appare a puntate fra vena creativa nella sua opera di scrittore e illustratore, ancora colpevolmente il febbraio e il luglio del 1932 su “Vita Nova”, rivista edita dalla Università misconosciuta. IL PORTOLANO - N. 47-48 7 “Io parlo agli uomini di domani essi parlano ai cimiteri” Inediti dal carteggio Rosai-Cordié

Per gentile concessione dell’Archivio Contemporaneo “A. Bon- E del tuo affare non sai ancora niente? santi” del Gabinetto Vieusseux e della Famiglia Cordié. Si rin- Se vedi Carluccio salutalo tanto e digli che aspetto un suo graziano, in particolare, Alba Rosa Albertini e Gloria Man- scritto. ghetti. In questo tempo lavoro molto e mi par di fare cose assai im- portanti. Tinti ne è entusiasta. Io per mio conto credo di ave- Le lettere che si pubblicano hanno una particolare rile- re in corpo ancora tanto mondo da tirar fuori. vanza per ricostruire la natura reale dei rapporti di Rosai con Ti abbraccio con tutto il mio affetto Soffici e Carena; nonché per la profonda confidenza del pittore Tuo Otto Rosai (via Villamagna 118). con Carlo Cordié.

3. Firenze 20 Febbr. 1936 (su carta intestata: Ottone Rosai / 1. Firenze, 21 sett. 1930 VIII (Ottone Rosai, Via Toscanella 16, Firenze /via S. Leonardo 25/a). Firenze) Caro Cordiè, Caro Cordié, sono in un imbarazzo per felicitarmi con te e con tua moglie in mai l’ho mai visto, ma da quanto ho letto e da quanto ho sen- un frangente simile al modo di ogni borghese qualsiasi ma un tito parlare di lei me lo sono già messo davanti; l’ho visto be- Ottone Rosai, Ponte a Santa Trinita (1928) bacio ad Anna Laura glielo mando senza vergogna e con tut- none e l’ho abbracciato come si abbracciano i buoni amici. to il cuore. E se in un primo momento mi aveva spaventato il mio grado culturalez ora che Mi dispiace per te di quanto concerne la faccenda “Circoli”. Di Falqui me l’a- le ho scoperto un anima (sic) è scomparso ogni spavento e gli voglio bene quanto a spettavo e me ne frego. In ogni modo se potrai dare l’articolo alla Rivista francese un fratello. come mi dici sarà tanto di guadagnato anche se dovremo aspettare del tempo. Ho let- I libri qualche volta sono anche belli, il passato può essere utile conoscrlo, ma to l’articolo su Binazzi e mi è piaciuto molto. nel cielo c’è scritto parole più belle che in qualsiasi libro, nella faccia degli uomini Van benissimo quelle tiratine d’orecchie a Soffici. vi sono tutte le storie del mondo passate e presenti e nella vita in genere impera Dio. Sabato 22 inauguro una mia mostra al Lyceum e terrò un discorso dove oltre a Un’arte tutta fatta di buon mestiere sarà arida e gretta di fronte all’infinita bel- spiegare la ragione spirituale e morale per cui dipingo controbatterò tutto il pette- lezza divina per cui è salendo il più possibile a Dio che salveremo l’anima nostra. Un golezzo mediocre e interessato che si è fatto in trent’anni intorno alla mia pittura. eroe non verrà mai un artista come un artista non verrà mai un santo. E infatti il va- Dirò a Bruno appena lo vedo del tuo avvenimentro. Lavora molto e quel che più lore di un eroe si localizza alla sua terra. Il valore di un artista può giungere all’U- mi piace in lui è che lavora dentro. niversalità ma limitandosi agl’eletti. Il valore di un santo è universale nel senso più Ricci si dev’esser trovato in quest’ultima grande battaglia per cui sono ansioso ampio della parola tanto che senza una fede nessun uomo può vivere. E la cultura del di ricevere sue notizie. santo non è fatto di certo di libri bensì di amore, amore grande alla vita. I Dotti ri- Carluccio mi mandò un suo saluto dall’A.O. e io gli risposi. Ho molti amici lag- masero annullati dalla fede di Cristo. giù e con tutti sono in corrispondenza. La abbraccio Cordié ripetendogli tutto il mio bene Grazie della tua stima, e del tuo pensiero ch’io sempre ricambierò. Saluta tua Otto Rosai. moglie. Tuo Ottone.

2. Firenze, 8.7.’34 XII 4. Firenze 29 dic. XVI (data del t.p. “29.XII.’37). Caro Cordié, lessi a suo tempo l’articolo a mio riguardo sul “Lavoro fascista” e l’ho posto tra i de- Caro Cordiè, gnissimi. ti ho mandato oggi, per raccomandata, il catalogo di Genova, un articolo di Prato- Ricci mi parlò di quella Rivista e del desiderio del direttore di avere un mio scrit- lini sul “Bargello” e una mia ultima fotografia che ritengo molto bella a che tu ter- to sulla mia arte e due fotografie. Ti posso mandare quest’ultime se ancora le vuoi rai per mio ricordo. ma per lo scritto non mi sento ancora tanto puttana da autoincesurarmi o autodi- Della mostra del Lyceum e del Ferroni non ci sono cataloghi. fendermi. Io trovo che la mia pittura è classica nel modo più vivo e più moderno e che Lavoro molto e spero in tanto (sic) operare di concludere almeno dieci centimetri il classicismo di Soffici non è altro che lo scheletro secco dei nostri classici. Il suo è di bella e vera pittura. Ad altro non aspiro. E tu che fai? Penso che lavorerai molto dipendente al cerebralismo il mio è nel mio sangue. È chiaro anche che chi come Ca- anche te e ti auguro di concludere molto più di quanto io abbia concluso. rena parte dal rinascimento e più precisamente dal Caravaggio trovi davanti a sé pre- Saluto tanto tua moglie la tua prole e da me abbiti i più cordiali affettuosi saluti. clusa ogni strada per aggiungere qualcosa al già perfetto. Tuo Ottone Rosai Io parlo agli uomini di domani essi parlano ai cimiteri. Bruno contraccambia. Ma insomma, queste cose posso dirle a te ma stenderle su carta per raccontar- Contri è un pezzo che non lo vedo e a Ricci farò i tuoi saluti non appena lo vedrò. le a tutti non me la sento. Se avrai la bontà d’aspettare ti manderò due fotografie di Il direttore del Bargello è un bischero e non so se ti vorrà assegnare tra gli due ultime cose che devo ancora far fotografare. omaggi. 8 IL PORTOLANO - N. 47-48 L’eredità difficile di Rosai Caponi, Grazzini, Tirinnanzi, Bècchi, Faraoni, Farulli e altri

Marco Fagioli

ppare decisivo nella pittura fiorentina del se- Acondo dopoguerra l’influsso svolto da Ottone Rosai. La prima difficoltà, per chi si accinga a una ri- lettura dell’arte a Firenze nel decennio seguente il 1945, è discernere l’influsso profondo dell’arte di Rosai da certo apparente rosaismo. Diversamente da Ardengo Soffici, che nei due decenni precedenti la guerra aveva significato, con la sua presenza, un punto di riferimento preciso, un magistero per molti pittori e scultori nati poco dopo il 1900 – si ricordino Quinto Martini, Pietro Bugia- ni, Arrigo Del Rigo, Oscar Gallo, Alfiero Cappelli- ni, Umberto Mariotti, e tutta la covata di pittori pra- tesi e pistoiesi tra le due guerre – Rosai influenzò in modo più ampio gli artisti e gli scrittori delle gene- razioni successive. Mentre la pittura di Soffici aveva dettato l’idea del paesaggio toscano del Novecento, con esempi che resteranno canonici per decenni fino alla sua morte, la pittura di Rosai, più epifanica e terribile nel- la sua assolutezza primitiva avrebbe percorso sentieri chiari e nascosti insieme, certamente più legati alla condizione dell’esistenza e della vita vissuta. Nel suo articolo apparso sul Nuovo Giornale il 16 dicembre 1920, Soffici, parlando della mostra di Rosai svoltasi a Palazzo Capponi in via de’ Bardi, aveva riconosciuto con “penetrazione e intelligenza critica eccezionale” il carattere dell’artista (Parron- chi, 1996, p. 7); da allora aveva incoraggiato e aiu- tato il giovane pittore con il “conforto nell’amicizia e nella stima” (Oretta Nicolini in Cavallo 1995, p. 346), e Rosai lo considerava “fratello e maestro”. Non si indagano in questa sede le ragioni della rottura che avvenne nel 1931, ma vanno riassunti i fatti. Rosai era deluso dall’insuccesso della mostra al Milione e la sua situazione economica era pesante: vicino a lui si era raccolto un gruppo di giovani let- terati, tra cui Berto Ricci e , che in- torno alla rivista L’Universale coagulavano le idee di una certa critica “da sinistra” al fascismo. Strada della periferia (1941) La rottura venne sancita dalla pubblicazione del polemico opuscolo Alla ditta Soffici-Papini & com- pagni; poco dopo Rosai firma con gli altri il foglio digiosi di Caponi, per cogliere l’importanza che Ro- Giuliotti, Firenze, 1981; figure 17, 29, 31, 32). Svaticanamento, contro la politica della Chiesa, ri- sai da allora verrà ad assumere agli occhi delle nuo- Certo il percorso successivo di Caponi, dopo gli schiando serie conseguenze e il deferimento al Tri- ve generazioni. esordi giovanili rosaiani, in cui comincia un collo- bunale speciale. Due disegni, Pietro, 1933, di Rosai, e Accattone, quio col maestro che si mantenne sempre vivo e Nel 1932 Rosai affitta lo studio di via Villama- 1934, del quattordicenne Caponi, dimostrano quasi strettissimo fino alla morte di Rosai nel 1957 a Ivrea gna 118, il famoso casotto del dazio a lato dell’Ar- una “consustanzialità”: il ragazzo non “copia” il – e Caponi era con lui – sarà un percorso animato da no, ed è in questo luogo che due ragazzi, Dino Ca- maestro ma ne assume, con un talento precocissimo, altre presenze. Caponi, pittore apparentemente sem- poni (nato nel 1920) e Sergio Donnini diventano attraverso i suoi modelli, la grande forza plastica e il plice ma in effetti raffinato e colto, troverà il modo suoi allievi. sentimento possente del racconto, fino a rendere in di registrare via via, nell’evoluzione della sua pittu- Caponi è il primo dei pittori fiorentini che afferra alcuni fogli, quali il Ritratto di povero e il Ritratto di ra, eventi capitali dell’arte moderna: nell’immedia- il grande significato della lezione di Rosai: basta mia madre, 1934, una lingua che rimarrà la più vi- to dopoguerra con un’attenzione profonda a quanto affiancare i disegni di grande formato eseguiti per cina – tra gli artisti – allo spirito della lezione ro- di meglio era venuto dalla pittura francese, in parti- quelle figure di contadini e popolani da Rosai nel saiana (per i disegni di Caponi si rimanda a Dino Ca- colare dai Fauves e Braque; poi, in simmetria con la 1932-34, come Il rabdomante, Uomo con giacca in poni. Disegni, testi di V. Pratolini, R. Bilenchi, D. grande mostra sull’Espressionismo e arte tedesca mano, Pietro e Uomo con secchio, agli esordi pro- IL PORTOLANO - N. 47-48 9 del XX secolo, svoltasi a Torino nel 1954, che egli era l’ultima vela del teppista senza dubbio visitò, con un interesse precipuo verso in te contro te radicata l’Espressionismo, i cui temi aveva già fertilmente sulle spalle d’atleta ingobbito. previsto nella lezione rosaiana. E la tua storia già tutta vissuta Infine, e siamo già agli anni Sessanta, quando le i suoi fatti la sua resurrezione sue nature morte di fiori e le sue Paludi divengono e il segno azzurro del valore uno degli esempi italiani più alti di figurativo Infor- e la nera divisa della morte male, un’attenzione decisiva verso le campiture ma- e l’oltremare i gialli i verdi teriche e tonali di De Stael, uno dei maestri del- restituiti per eterno veri l’Informale europeo. al Giramontino romito Ed anche la grande mostra di Bacon del 1961 al dirupo della Casaccia deve aver sortito su di lui un qualche stupore, seb- dove il fiume è rissoso, quieto bene non così profondo come in altri, Grazzini e soltanto nell’umbratile fermezza dei color. Farulli ad esempio. Per afferrare meglio il significato della presenza di Rosai sulla cultura artistica fiorentina intorno alla 2. seconda guerra mondiale, che segna lo spartiacque tra primo e secondo Novecento, sarà utile rivedere i Era l’età che la tua arte, diversi ritratti letterari di Rosai resi dai suoi con- Mago, la tua persona temporanei: Elio Vittorini, Romano Bilenchi, Vasco vedeva fatte stendardo, ariete Pratolini e Piero Santi. d’angelici sodàli cui gioventù Vittorini per primo, sulle pagine della rivista Il per sua stessa follia traditrice Ottone Rosai, Autoritratto (anni ’30) Bargello (n. 17), coglie nel 1934 il carattere “primi- tradita, da ribelle tivo” di Rosai: “Un’autentica durezza del mezzo si eleggeva pretoriana. tratta, ribellione e non rivolta e rivoluzione, affonda espressivo (e non cerebrale intenzione) dà quel mo- E un grido calcareo la sue vere radici nell’origine sottoproletaria della vimento bernesco di popolana e schernevole goffag- trovò la tua solidarietà sua condizione umana, così come ha ben colto San- gine, di sonante pernacchia sociale che fa dire a qual- il tuo caldo stupore tini: “Gli ambienti di Rosai sono, divengono, am- cuno “caricatura”. Ciò anche dove si respira tanto e la sera ventosa di Bellosguardo. bienti popolari in cui possono trovar dimora non solo antico cielo, nei paesaggi di campagna e di città […]. … gli uomini che Rosai ama perché ne riconosce i segni, Il messicano Rivera, quello che ha coperto di vendi- le stimmate della sofferenza e i fondamenti della ve- cative figure le pareti dell’Università di Città del E quell’invocazione, a metà della poesia, tutta rità, ma i miti, i tanti miti della sua stessa vita. Messico, è un “dandy” paragonato a Rosai”. intrisa di materia esistenziale, quasi esaltata da un I muri di via Toscanella dove si gioca la toppa, Non si è riflettuto mai abbastanza su questa es- tono civile: o quelli della vicina Piazza della Passera, sono i senziale “rivendicazione” del carattere sottoproletario muri della vecchia Firenze d’Oltrarno, abbandonati – e non si badi bene artigiano – della pittura di Rosai, Nessuno mai dagli uomini che pure ci vivono, fatiscenti, irrecu- la formidabile intuizione critica di Vittorini che vede saprà, io solo, l’alba perabili ad una più civile esistenza. Questa è Firen- in Rivera un “dandy” se “paragonato a Rosai”. nera e celeste sopra le nostre ze come la vede ora Rosai, al colmo del suo pessi- Poi Bilenchi che in Amici, 1976, ha scritto forse case di Toscanella mismo, o meglio mentre impera in lui la coscienza di il ritratto più bello del pittore fiorentino: “Guardava e il tuo viso allupato una condizione che se non distrugge lo spirito, av- con intensa meraviglia gli uomini che disegnava di mistero di sfida velena il sangue e umilia giorno dopo giorno la vita come a confrontarli con immagini che avesse nella dell’uomo. Si tratta di incidenze che d’ora in poi memoria, ma subito quella meraviglia si tramutava figgersi sul tabernacolo dovremo ripetutamente verificare nell’opera di Ro- in ansia, in tensione. E si capiva che quest’ansia, del Canto ai Quattro Leoni sai, si può dire fino alla morte” (Pier Carlo Santini, questa tensione erano fatte di un’immensa certezza, la tua mano dall’unghia Rosai, Firenze, (1960) 1977, pp. 83-85). mentre dai suoi disegni nascevano uomini irresolu- luciferina aprirsi solenne Così la ribellione di Rosai a quella pittura che ti o schiacciati dalla vita, rassegnati, dolorosi, pieni nel segno della croce. egli chiamerà, in una lettera esemplare al giovane di squallore fisico […]. Da un disegno all’altro, da Renzo Grazzini, le “porcellane di Carena e Conti” un quadro all’altro, si svolgeva dinanzi a me un di- E nel finale quei versi che divengono essi stessi – “[…] ma i critici imperanti tipo Ojetti dicono che scorso atroce sugli uomini e sulla loro vita, amati gli immagini di pittura, come in un quadro di Rosai, a la mia arte ha del volgare; la mia forza la chiamano uni e l’altra, ma insieme disprezzati, odiati: incitati suggellare un sodalizio di vita. becerismo, la mia fede il mio spirito non esistono gli uomini a ribellarsi a se stessi, ai loro simili, alla Si forma dunque in questi anni, tra il 1930 e il perché non rientrano nel loro mondo borghese men- città che li opprimeva con le sue straducole misere e 1940, sulle pagine de Il Bargello e dell’Universale, tre esiste e si infiammano davanti alle porcellane di strette, a ribellarsi perfino ai giochi delle carte e del la rivista diretta da quel Berto Ricci che morirà poi Carena e di Conti”, la lettera è del 15 maggio 1935 – biliardo che pure erano unico sollievo al loro grovi- in guerra, ma non senza avvisi precedenti nelle pa- è una ribellione fatta di furori e pessimismo, di ac- glio di disperazione” (R. Bilenchi, Amici. Vittorini, gine del Selvaggio di Mino Maccari e del Fronte- censioni di rabbia ma nello stesso tempo di ripiega- Rosai e altri incontri, 1976, pp. 46-48). spizio sotto la tutela iniziale di Ardengo Soffici, la menti di sofferenza e dolore. , dando alle stampe nel 1978 le leggenda del Rosai primitivo, del pittore senza re- In questa visione del dolore pare presente anche poesie e le prose del 1930-1944 di Il mannello di Na- gole, senza scuola e senza accademia, a fianco del- quella componente cristiana, vagamente dostoev- tascia, nel poema in versi liberi A Rosai, del 1944, ci la polemica antiborghese; questa leggenda che tro- skijana, di cui Santini crede di riconoscere le radici offre un altro ritratto emblematico e potente, quasi verà poi uno statuto critico ufficiale nel dopoguerra nei contatti con Giovanni Papini e Domenico Giu- inciso con le parole nella storia della vita: nel saggio di Pier Carlo Santini del 1960, a introdu- liotti, una visione ben espressa dallo stesso Rosai in zione della monumentale monografia della Vallec- alcuni suoi scritti: “La verità è che il grande artista chi, riprendeva alcuni motivi anticapitalistici e anti- cammina sulla strada tracciata dal Cristo, e allora A ROSAI clericali di certo fascismo che verrà poi definito “di non possiamo avere di certo un’arte soverchiamen- sinistra”, quello appunto di Ricci, Bilenchi e poi di te allegra che aiuti la digestione di un cuor contento 1. Alfonso Gatto e Pratolini, seppure con radici diver- borghese. La maggior differenza tra l’arte moderna se – nei primi due di origine Strapaesana e Selvag- e quella antica consiste anzi per me […] proprio in Fu in quel tempo, o Lunghino, gia – e che culminando nei pamphlet Il Rosai, Lo questo: nell’esperienza che l’anima umana ha fatto portavi il pizzo, nessuno Svaticanamento e Soffici, Papini & compagni, por- del Cristo: la sofferenza e l’infinito nel senso inte- se ne rammenta più, io solo. teranno il pittore ad una rottura con Soffici. riore dell’espressione sono entrate dopo di Lui a far La giacca appesa agli omeri Ma la ribellione di Rosai, perché di questo si parte della poesia, della bellezza. Dal giorno in cui la 10 IL PORTOLANO - N. 47-48

Probabilmente, egli aveva anche necessità di una emozione violenta, ma spesso si creava questa ne- cessità […]. In lui avveniva molto di sovente questo errore. Credeva perdutamente nella vita vivente, come un naufrago che si attacchi ad un pezzo di le- gno trovato nel mare e creda che il legno sia la sal- vezza stessa, mentre non è che un mezzo per salvarsi […]. Così è la vita; ma per Ottone la vita era tutto: ogni atto andava risolto in essa ed era lei la maestra assoluta e irrimediabile”. (Piero Santi, Ritratto di Rosai. Lineamenti di un’esistenza, Bari, 1966, pp. 13-14). Così, pagina dopo pagina, Santi ci ha reso pro- babilmente il ritratto di Rosai psicologicamente più profondo in cui ogni evento, ogni vicenda civile e privata ci viene restituita nelle sue ragioni più com- plesse e a volte nascoste: “La sua giovinezza dové essere affidata ad una incomprensione di se stesso davvero paurosa. Come vedremo in seguito credeva (o voleva credere?) di essere quello che non era: per questo volle essere volontario in guerra, per questo diventò fascista, per questo volle assumere l’aspet- to del teppista. Ma la sua natura di uomo delicato e impaurito, generoso e caparbio, libero e insieme op- presso dal gravame che non sapeva sopportare dei suoi vizi, coraggioso nei momenti di abbandono e, diciamo la parola vera anche se crudele, nei mo- menti in cui si chiudeva in un torbido se stesso: que- sta sua natura a lui apparve mai chiara? […] Io, del Piazza del Carmine (1922) resto, lo amai e lo stimai così come era: ricco di vizi e di virtù: gli fui amico, è chiaro, perché era un Croce balenò sul Golgota, un’umanità nuova appa- paiarsi a quella parallela del primitivismo di Amedeo uomo, e perché sentivo alitare dentro di lui una gran- re nel campo dell’arte” (Santini, op. cit., p. 103). Modigliani, secondo l’equazione Rosai-Giotto-Ma- dezza rara” (Santi, op. cit., p. 19). Anche Alfonso Gatto, che con Pratolini aveva saccio e Modigliani-Simone Martini-Gotico sene- È un ritratto, questo disegnato da Santi, che ci dato vita alla rivista Campo di Marte, alla vigilia del- se, quest’ultima cara a Cesare Brandi. aiuta a comprendere meglio le ragioni del grande fa- la guerra, era stato fortemente attratto dalla figura di Il Rosai che affascinerà i giovani pittori nati tra scino esercitato dal pittore sui giovani delle genera- Rosai. Il ritratto che Gatto tracciava del pittore, nel il 1910 e il 1920 non sarà tuttavia quello futurista, zioni successiva, e insieme a staccarlo dagli altri ar- 1940, coglieva indubbiamente i tratti essenziali del- ma quello popolano e quindi legato a Giotto e a Ma- tisti della sua. la sua natura, ed insisteva sulla unicità del suo lavo- saccio, in questo favorito dalla lettura parallela che Appare infatti indubbio che chi si avvicinava a ro, una pittura ancorata ad una vita che “Nessuna Carlo Carrà aveva, per primo, avviato nella sua ri- Rosai e tra questi molti tra i più dotati pittori, scul- educazione, nessuna tradizione recente e remota ave- lettura di Giotto, con lo scritto decisivo Parlata su tori e scrittori della Firenze intorno alla seconda vano potuto aiutarla” (Alfonso Gatto, Ottone Rosai, Giotto, apparso nel 1916 in La Voce, uno scritto che guerra mondiale, rimaneva attratto in modo quasi Firenze, 1941). segna la riscoperta dei valori e della grandezza mo- passionale dalla pittura e dall’uomo. Certo a riguardare oggi alcuni passi dell’inter- derna di Giotto nella pittura italiana del Novecento, Le lettere del ricco epistolario rosaiano, quelle a pretazione critica di Rosai molti problemi rimango- secondo una visione che Carrà riprenderà poi nel Grazzini in particolare, rivelano come il fascino di no irrisolti, a cominciare appunto dal carattere del 1924, nella monografia dedicata al maestro nella Rosai sui più giovani non si limitasse solo alla for- suo cosiddetto “primitivismo”: dalle congetture di collana di Valori Plastici. za della sua pittura, ma si estendesse alle ragioni di Giuseppe Raimondi circa il viaggio di Rosai ad As- Tra i ritratti di Rosai quello più problematico e vita con una forte carica esistenziale. sisi tra il 1913 e il 1914 e la rivelazione di Giotto, forse quello più scritto “dal di dentro” rimane tutta- In una Firenze in cui, esauritasi la stagione del “autorità unica” nella sua pittura, alla visione di di- via il volume di Piero Santi del 1966. “richiamo all’ordine” sofficiano insieme alla fine pinti originali e fotografie di Henry Rousseau il Do- Santi più degli altri aveva manifestato negli anni dell’illusione stessa di costruire un nuovo paesaggio ganiere, in casa di Soffici, alla mostra di Alberto una fedeltà a Rosai: dopo l’incontro, per lui fatale, dell’Italia sorta dal fascismo, nel torpore neoacca- Magri nel 1914 al Lyceum di Firenze, e l’esemplare segnato con l’introduzione a quel libro epifanico I ri- demico da un lato e nel mondo dipinto delle “por- più precoce di questo “primitivismo” rimarrebbe tratti di Rosai nel 1941, Santi aveva seguito il pitto- cellane di Carena e Conti” dall’altro, il richiamo di così il paesaggio Vallesina, un’immagine sospesa re giorno per giorno in una sorta di viaggio esisten- Rosai ad una pittura di vita, a quella realtà fatta di “tra la favola e il sogno” (Santini, op. cit., p. 36). ziale nel quale la comune condizione umana dettava “omini”, giocatori di toppa, sottoproletari, di un po- Giustamente lo stesso Santini aveva richiamato un patto segreto di amori e rancori. polo che abitava i quartieri fatiscenti della vecchia un’osservazione di Alessandro Parronchi, un testi- Le pagine del Ritratto di Rosai, sottotitolato non città popolana, Santa Croce, il Canto ai Quattro Leo- mone e critico d’eccezione, forse il maggiore della a caso Lineamenti di un’esistenza, sono intrise di ni, San Frediano, di genti disperate e cadute ma pur- Firenze rosaiana, secondo il quale “lo spirito di que- quella passione fisica che solo l’amore può dettare, tuttavia vive, era un richiamo forte e deciso, affa- sto quadro nasce da una realtà diversa. Non c’è bi- una passione che tuttavia si distacca e come per in- scinante verso i giovani ben più che quello dei salotti sogno di cercare attacchi d’altra parte che non sia il canto si cristallizza nella memoria in uno sguardo buoni, della vecchia nobiltà e della nuova borghesia fronte della guerra”. che acquista la distanza necessaria al racconto e fiorentina, che aveva il volto col monocolo alla Ugo L’altro grande problema della formazione di Ro- quindi al giudizio: “[…] forse Rosai voleva soltan- Ojetti, o gli stivali di cuoio da signore di campagna sai rimane, nonostante le decisive puntualizzazioni to dire che divenne artista anche per quella sua in- alla Soffici, così come Ojetti e Soffici verranno de- di Luigi Cavallo, il rapporto con il Futurismo, che fanzia, anche per i suoi vizi e per certe sue passioni scritti proprio da Grazzini e Pratolini in una lettera a già Carlo Ludovico Raggianti aveva definito “qual- nere. Era, infatti, questa una sua idea che tante vol- Rosai. cosa di assolutamente marginale non solo, ma esclu- te gli ho udito esprimere: “Ho fatto un quadro così Renzo Grazzini, Vasco Pratolini e Bruno Bècchi sivamente personale”. bello perché ho avuto un’emozione dei sensi”; op- costituiscono il “terzetto” di giovani – così si intito- Si deve anche segnalare che la lettura in senso pure: “Se stanotte fossi stato buono, stamani non la un piccolo ritratto a tre dipinto da Grazzini e già “primitivistico” della pittura di Rosai sembra ap- avrei saputo mettere una pennellata dietro l’altra”. in collezione Vallecchi – che si avvicina a Rosai IL PORTOLANO - N. 47-48 11 sin dall’inizio degli anni Trenta. Insieme a loro e a Caponi si trovano altri giovani, tra cui il fedele Ser- gio Donnini. Rosai accoglie allo studio questi gio- vani e generosamente, seppure con gli sbalzi im- provvisi del suo umore, li aiuta, li incoraggia ad an- dare avanti nell’appena avviata carriera che questi, con giovanile passione, bramano. Renzo Grazzini, nato nel 1912 in una casa della popolare Borgo Allegri, è anagraficamente il più an- ziano: Rosai, in uno di quei suoi slanci di avventu- roso entusiasmo, spingerà Renzo ad arruolarsi come sottotenente nella guerra coloniale di Libia nel 1936, dicendogli che egli stesso sarebbe partito. L’episodio è documentato nelle lettere, e Grazzini compirà tut- ta l’avventura bellica continuando a scrivere al pittore come a un padre, ma senza dubbio memore del cam- biamento repentino con cui Rosai, dopo averlo invi- tato a partire con lui, aveva poi seguito la vicenda da lontano (si vedano le lettere in Ottone Rosai, Nient’altro che un artista, a cura di Vittoria Corti, Piombino, 1987, nn. 345, 382, pp. 213, 230, 442). Ha scritto una volta Pratolini che, tra quanti han- no ricevuto la lezione di Rosai, Grazzini è stato in- sieme il più rosaiano e antirosaiano di tutti. Ottone Rosai, Il pratino (1933) Condividiamo totalmente questo giudizio di Pra- tolini. Grazzini, che era stato allievo di Giuseppe La pittura di Bècchi, sul quale hanno scritto in so un linguaggio espressionista le iniziali sugge- Lunardi all’Istituto Statale d’Arte di Porta Romana, occasione della mostra retrospettiva del 1974 Ales- stioni rosaiane, depurando ogni lirismo in un senti- nel periodo in cui frequentava più Rosai, tra il 1932 sandro Parronchi, Pratolini e Fernando Farulli, non mento profondo della materia pittorica, raggiungen- e il 1940, durante i rarefatti soggiorni a Firenze per mostra segni di stretta dipendenza da Rosai: è una do nella natura morta e nel ritratto esiti di notevole i congedi dal servizio militare, non mostra mai una pittura visionaria, che Parronchi ha apparentemente intensità drammatica. Di Rosai, sia Grazzini che Fa- pittura succube degli esempi rosaiani: pare più at- collegato ad echi del Surrealismo (Grafica e pittura raoni non hanno ripreso gli slanci di racconto fanta- tratto, nei dipinti di quegli anni resi tra una campa- di Bruno Bècchi, catalogo a cura di Alessandro Par- stico, che riecheggiano le scene finemente miniate gna militare e l’altra, da certi esempi del De Chirico ronchi, Vasco Pratolini, Anna Azzurrini Bècchi, Pa- dei ragazzi su una panchina di un Tirinnanzi, bensì visionario premetafisico, quello alla Böcklin. lazzo Medici Riccardi, 21 Novembre - 31 Dicembre il tono cupo, drammatico e insieme fortemente mo- In seguito, dal 1945 al 1950, a guerra appena fi- 1974, Firenze, pp. 1-20). rale dei suoi paesaggi, e delle sue figure. nita, Grazzini si volge a quella sorta di postcubi- Il dialogo di Grazzini con la pittura di Rosai è Grazzini e Faraoni, con voci individuali diverse, smo geometrico che caratterizza molti pittori figu- durato ininterrottamente fino alla fine, a mio parere sono sortiti dunque da una delle voci di Rosai, quel- rativi del Fronte Nuovo delle Arti, da Renato Gut- in modo meno appariscente che non in quella di la più civile ed espressionista, drammatica e insieme tuso e Pizzinato, e che a Firenze coinvolgerà non Nino Tirinnanzi, il “seguace” più stretto del maestro, laica: Tirinnanzi è invece nato dalla vena più fiabe- solo il giovane Fernando Farulli, ma anche Vinicio ma più profondo a livello strutturale. sca, lirica e in un certo senso intimista. Berti agli esordi. Tirinnanzi, nato nel 1923 a Greve, ebbe confi- Caponi stranamente, il più rosaiano agli esordi, Negli anni, brevi ma intensi, del Fronte Nuovo denza quotidiana con Rosai, talché nei suoi esordi, si sarebbe staccato come si è visto, andando verso delle Arti, con le mostre nazionali del 1947 e del certi paesaggi della città e della campagna egli sem- echi europei. Non si discute qui la qualità della 1949, Grazzini matura un certo distacco dalla pittu- bra volgere in tono lirico e fantastico, se non addi- pittura di questi artisti, tutti variamente apprezza- ra di Rosai, in chiave prima neoespressionista, 1943- rittura fiabesco, la lezione del maestro. bili, ma la loro collocazione rispetto alla lezione di 1946, poi postcubista, 1947-1953. Ma ad abbandonare il livello del soggetto, a Rosai. Paradossalmente con l’esaurirsi del Fronte Nuo- scandagliare gli strati materici dei muri e dei tetti, L’influsso di Rosai e della sua pittura fu vo ed il ritorno a una pittura più realistica, Grazzini delle case e delle piazze fiorentine di Grazzini, in- profondo ancora durante il decennio 1945-1955: riprende il dialogo con la pittura di Rosai. Renzo Fe- dubbiamente ben più espressionista di Caponi e Ti- anche l’ultimo Rosai, quello delle strade fiorentine derici, con una espressione felice, segnalò l’incontro rinnanzi, si ritrova sempre la partenza drammatica con i muri bianco-panna degli ultimi anni, lasciò un stretto tra la pittura di Grazzini e la narrativa di Pra- della pittura di Rosai. Quelle case fatte di grigi e di segno duraturo negli occhi dei pittori fiorentini che tolini: le figure dei dipinti di Grazzini sono le stesse terre, quei cieli a volte striati di turchino del Grazzini ne avevano ereditato la lezione. Per vie diverse da dei romanzi di Pratolini. In un precedente scritto ho dei decenni dal 1960 al 1990, continuano un dialo- quelle di Grazzini e Faraoni, Caponi e Tirinnanzi, sostenuto fondatamente come nei tratti del pittore go muto con la pittura più forte di Rosai. È questo un l’esempio di Rosai – un esempio sempre fondato Vieri, in Allegoria e derisione, 1966, l’ultima parte dato, già segnalato da Pratolini, che la critica suc- sul forte piglio del suo carattere, e su un fascino in- di Una storia italiana di Pratolini, siano da ravvisa- cessiva non ha colto, ma che rende Grazzini forse sieme esistenziale e di pittura – si fece dunque sen- re non solo i tratti di Bruno Bècchi, amico fraterno l’erede più diverso ma anche più vero di Rosai. tire in altri pittori della generazione successiva: nel di Grazzini e Pratolini, così come giustamente ave- Anche Enzo Faraoni, nato nel 1920, che rimane carattere gestuale e violento delle fabbriche di Fa- va già indicato Oreste Macrì, ma anche alcuni tratti oggi il maggior testimone della pittura figurativa rulli, nella visione drammatica della campagna to- di Grazzini stesso. fiorentina del secondo Novecento e senza dubbio scana dei paesaggi di Benito Ceccherini, nato nel Bècchi, nato nel 1914, aveva aiutato Rosai nel- uno dei più originali interpreti della tendenza neoe- 1923 e ritornato dal campo di concentramento di la realizzazione delle due grandi tempere sul tema spressonista della nostra pittura, si colloca nell’alveo Olmüz con ricordi di terre bruciate e campi deser- dei paesaggi toscani nella Sala della Stazione di ampio e difficile della lezione rosaiana. ti, nelle geometrie espressioniste dei Battisteri di Santa Maria Novella di Firenze (si veda ancora una Santi ricorda nel suo Ritratto di Rosai di quan- Silvio Loffredo, nato a Parigi nel 1920 e ritornato volta l’epistolario rosaiano). do il pittore detta rifugio al giovane Faraoni: “Un po- in Italia con la guerra, e ancora – coniugata con la Partito per il servizio militare a Tobruk nel 1940, meriggio, dentro un carro da morto, il pittore Faraoni grammatica essenziale e rigorosa dei Primitivi to- Bècchi era tornato malato e sarebbe poi morto tra- fu portato, ferito, da Carmignano dove aveva fatto scani – nei Renaioli e nei Calafati di Marcello Gua- gicamente come partigiano durante la lotta per la saltare un treno carico di tritolo. Un suo compagno sti, nato nel 1924, e in certe liriche terre di Sergio liberazione di Firenze, colpito alla testa dalla fucilata era morto. Stette per qualche tempo nascosto in casa Scatizzi. di un franco tiratore in via Laura, l’undici agosto di Rosai” (Santi, op. cit., p. 99). L’eredità di Rosai fu dunque, per il carattere 1944 dopo un’agonia di due giorni. Faraoni, così come Grazzini, ha accelerato ver- dell’uomo e la forza della sua pittura, un’eredità dif- 12 IL PORTOLANO - N. 47-48 Per Ottone Rosai, pittore

Bruno Santi

ul primo numero di una geniale, agevole rivi- Ssta uscita dal luglio-agosto 1952 e continuata fino al 1965, scaturita dalla fervida attività di uno dei più validi storici d’arte italiani, Carlo Ludo- vico Ragghianti, dedicata – come da frontespi- zio – all’“Architettura Scultura Pittura Grafica, Arti decorative e industriali Arte della visione” (insomma, con uno sguardo attento e d’assieme anche a quelle espressioni che hanno come fine la creatività figurativa e che a quel tempo erano ignorate dall’establishment elitario vòlto soprat- tutto verso la critica dell’arte tradizionale, a ri- conferma dell’agilità intellettuale di Ragghianti, sostenuta da quell’imprenditore illuminato e in- novatore che era Adriano Olivetti e dalle sue “Edizioni di Comunità”), ossia “SeleArte”, ap- pariva un’antologia delle recensioni all’attività di Ottone Rosai (nato a Firenze nel 1895), accan- to ad altre dedicate a Corot, Pissarro, Soutine, Kokoschka, Dufy, Léger, Guttuso, Casorati e via dicendo – si veda anche l’originale rassegna del- le foto di André Bresson – oltre che ad artisti contemporanei, a uno sguardo a civiltà antiche, a di tratteggiare esaurientemente questo protago- come il migliore e più fedele interprete della pit- mostre (utilissima la ricognizione sulla XXVI nista dell’arte italiana del Novecento appena tra- tura di Rosai, indicando come appropriata l’altra Biennale di Venezia), a correnti figurative (nel- scorso. – pur insospettabile – citazione dello scrittore l’occasione a “Die Brücke”), a iniziative cultura- Si deve comunque a un fine narratore come che aveva visto nelle sue opere un’ineludibile li, e rubriche dedicate a libri d’arte d’ogni sog- la definizione forse più acuta e vicinanza dell’artista alla pittura del Quattrocen- getto e tema, quale attestazione articolata di una originale dell’opera del Rosai, sicuramente in to: “Ci voleva un poeta come Palazzeschi per visione compiuta all’arte quale mai fino allora si contrasto con certa critica, che vedeva le sue ope- capire d’intùito, e profondamente, la sostanza era registrata su pubblicazioni specialistiche. re esclusivamente intrise di malinconia, di sprez- vera delle migliori di queste opere di Rosai: qua- Ho citato questo articolo, perché – oltre al- zature formali, di rozzezza innalzata a sintesi, in le “critico” avrebbe osato parlar del Beato An- l’utilità bibliografica sulla ricostruzione dell’at- pieno e voluto contrasto con l’altra sintesi, fatta di gelico e del Quattrocento fiorentino di fronte a tività di questo nostro pittore, di cui ci auguriamo intellettuale distillazione, tipica dell’espressione questo pittore inteso come popolaresco e persino che si cèlebri in modo adeguato e non con la d’arte fiorentina di ogni secolo: “[…] le figure (cedendo troppo ad altre apparenze facinorose consueta trascuratezza locale il cinquantenario umili e oscure fra le vecchie case di via Tosca- dei suoi scritti e di certi suoi atteggiamenti vio- della scomparsa, avvenuta per l’appunto a Ivrea nella o delle altre viuzze piazzette d’oltrarno, le lenti) come una sorte di sintesi, sia pure quasi sto- nel 1957 – esso presenta motivi di interesse in- mura umide e screpolate di via della Chiesa e di ricamente esponente, del ciompo? Ed è vero: chi sostituibile per comprendere in che modo era piazza del Carmine, sono colme e riboccanti di non sia capace di rivivere nelle opere di Rosai, e considerata la visione artistica di Rosai. luce e di gioia”. Queste espressioni sembrano for- non soltanto nelle più primitive […] ma anche E sintomaticamente, vi era anche una scelta il- se eccessive, rispetto a una reazione istintiva di nelle opere recenti come certe architettonici pae- lustrativa (sia pure in “fotine” – come si direbbe ciascuno vedendo le opere del pittore, non com- saggi di strade e di colli, di alberi e di mura, la oggi – in bianco e nero), dei soggetti in cui egli si prendendo come questi soggetti depressi e colmi trasparenza – talvolta di una nostalgia quasi ac- era maggiormente impegnato, i fin troppo con- di primitivo understatement avessero potuto ispi- corata, di uno slancio quasi selvaticamente pieno sueti e celebrati paesaggi, le figure umane, il ri- rare a qualcuno di vedervi sentimenti diversi da di dedizione – delle musicate tensioni di spazi e tratto, la natura morta, con contributi significanti un pessimismo votato solo a scorgere l’aspetto più delle colorature nella semplicità profonda del no- quali quelli di Aldo Palazzeschi, Mino Maccari, degradato e squallido di una realtà. stro Quattrocento, non poteva intendere bene Ro- Vasco Pratolini, Giuseppe Raimondi, e infine del- Eppure, Palazzeschi aveva scoperto la vena sai, la sua sostanza in fondo severa, appassiona- lo stesso Ragghianti: insomma, un vero florilegio, affettuosa e accostante dell’artista Rosai, il suo tamente ed esclusivamente legata ad affetti, ad che da parte di scrittori, critici d’arte, artisti, ave- accostarsi umile e simpatetico all’ambiente che si immagini, a potenze di un mondo così lontano da va come scopo l’interpretazione formale e conte- vedeva attorno, non senza lasciarsi andare – con parer favoloso.” nutistica della pittura dell’interprete forse più co- una vena lirica insospettabile nell’uomo – a una Dunque, mi è parso opportuno, in questo mio nosciuto dell’umanità, del paesaggio, degli aspet- delicatissima resa pittorica in certe sue “nature modesto e incompleto contributo alla memoria di ti urbani, extraurbani e rurali dell’ambiente fio- morte”, particolarmente avvertibile in uno sfu- un pittore che ha reso Firenze e i suoi “minori” rentino, non senza accenni disincantati e arguti mato e sensibile Vaso di giaggioli riprodotto in ma non trascurabili aspetti della sua civiltà urba- (vedi il brano di Maccari) alla figura fisica del- questo stesso contributo. na, conosciuta quanto i nobili edifici che l’hanno l’artista e al suo carattere (“un diavolaccio, mez- E questo émpito sensibile era stato interpre- celebrata nel mondo, restituire al ricordo anche zo uomo e mezzo fantasma, ragno gigantesco che tato positivamente anche dal medesimo Rag- questi illuminati saggi di alcuni tra i protagonisti passeggia per Firenze, vede tutto e sa tutto, fa- ghianti, che in un saggio del 1935 (non a caso ri- della cultura fiorentina del secolo appena tra- ziosissimo, randellatore e filosofo, attaccabrighe portato in questa stessa antologia di contributi scorso, perché davvero illuminanti rispetto al- e poeta”), che hanno in definitiva avuto il merito sul pittore) aveva indicato proprio Palazzeschi l’arte di un personaggio scomodo, talvolta scon- IL PORTOLANO - N. 47-48 13 fiorentino Oltre le suggestioni della memoria

troso e scostante, “monumentale” (come afferma Pier Carlo Santini nella conclusione la pagina ispirata del Rag- ghianti), ma certo autore – e chiudo davvero, con le espressioni sicuramente meditate del critico lucchese – di un’opera che “si presenta come Alla mostra fatta da Pananti per il venticinquesimo ll’alba dell’11 maggio 1957, in una camera una delle più compatte e certe del nostro tempo, anniversario della morte di Rosai, collaborò anche Aal primo piano dell’albergo Dora a Ivrea, tale che non avrà bisogno di essere spiegata con Pier Carlo Santini. Aveva preparato un articolo per la improvvisamente moriva Ottone Rosai. Due gior- la cronaca artistica o con la cronaca storica, ma terza pagina dell’allora maggior quotidiano della To- ni dopo si sarebbe inaugurata al Centro Cultura- soltanto con se stessa: dai suoi personaggi e dai scana, ma, inspiegabilmente, non gli fu pubblicato (si- le Olivetti una mostra antologica di sessanta ope- suoi paesaggi allo stile profondo, sottile, ricchis- curamente, per un equivoco mai chiarito). Così, Santini re, anticipazione della monumentale retrospettiva simo di flessioni, che questi personaggi e questi lo mandò a Pananti, con una chiosa di suo pugno: poi realizzata nel 1960 in Palazzo Strozzi. Ora, paesaggi impersona e rende perenni, come un’e- “Carissimo Pananti, eccole l’articolo cestinato dalla nel venticinquesimo anniversario della morte, col sperienza svelata e attesa dalla nostra anima”. Nazione. Con i più cari saluti, P.C. Santini”. titolo “Rosai oggi”, la Galleria Pananti di Firenze Ritenendo quel “pezzo” ancora valido ed attuale, e ha raccolto un centinaio di opere, ricordando de- sicuramente condiviso da Ragghianti (di cui l’estensore gnamente la figura del grande maestro. Ma dire era fedele allievo e collaboratore), lo diamo oggi alle degnamente è poco, perché la mostra che pure stam:pe in questa circostanza “rosaiana”, ringraziando “non si propone un fine di studio”, ci restituisce, Piero e Filippo Pananti per averlo suggerito e reso di- di Rosai, un’immagine palpitante e veridica oltre sponibile per il “Portolano”. che ampiamente rappresentativa. Il disinteresse e

Addio Noiret dal TNP di Jean Vilar a Neruda

stato, fra gli attori francesi degli ulti- Èmi decenni (era nato a Lille nel 1930, facendosi conoscere con “Zazie nel me- trò” con Louis Malle), il più vicino alla ci- nematografia italiana. Noiret non appar- teneva solo ad “una razza d’attore in via di estinzione, che purtroppo sta scompa- rendo in tutto il mondo – come ha detto Monicelli –, di grande qualità, che veniva dalla vecchia scuola di teatro…ma era an- che grande amico dell’Italia”. Lavorò con tanti registri, tra i quali Tavernier, Berto- lucci, Rosi, Leroy, de Broca, Ferreri, Zef- firelli, Zurlini, Robbe-Grillet, Claire, Mal- le. Noi lo ricordiamo, soprattutto, per l’in- terpretazione di Neruda nel “Postino” con Troisi e in teatro per “Les contempla- tions” (da Victor Hugo).

Raul Magni, Rosai 14 IL PORTOLANO - N. 47-48 l’impegno di Pananti restano provati anche dalla un catalogo dell’opera rosaiana. Impresa diffici- contributi di questo genere, e stimola verifiche e pubblicazione di un ricco libro-catalogo cui ha at- le, se non impossibile, dopo la scomparsa e la di- ricerche ulteriori. teso Alessandro Parronchi, autore di un testo pe- struzione di gran parte dell’archivio fotografico e Rosai oggi, ancora, per proporlo a chi non lo netrante e appassionato. Una tantum, dunque pos- il verificarsi di altre sfortunate circostanze. E si conosce, a chi l’ha visto sporadicamente in qual- siamo esprimerci senza riserve su una manifesta- tenti pure l’impresa. Ma la mostra fiorentina che “collettiva”, a chi ha creduto di vederlo e ha zione di grande significato culturale, che ha visto comprova che sul piano almeno di una com- visto copie e contraffazioni, ai più giovani che il concorso di collezionisti, amici, allievi di Rosai, prensione ancora più approfondita di quella fi- debbono avere mente e anima per intenderlo ol- tra quelli che più gelosamente ne custodiscono il nora raggiunta, è molto più giovevole e prezioso tre le suggestioni della memoria. In certo senso messaggio e la memoria. Il calore di queste par- il recupero, e la conoscenza, di alcuni capolavo- chi si avvicina per la prima volta a Rosai in que- tecipazioni, tuttavia, non toglie nulla alla oggetti- ri ignoti o dispersi, come quelli che di tanto in sta occasione, gode di un grande privilegio: quel- va validità della rassegna, ed anzi sta a provare, tanto, nell’ultimo ventennio, son tornati alla luce. lo di avere a disposizione un corpus di dipinti e semmai, quanto durevolmente incise la presenza Si tratta qualche volta di integrazioni basilari, disegni capaci non solo di sintetizzare la perso- e la storia sofferta di Rosai nell’animo e nella co- veramente rivelatrici. Una mostra di queste ope- nalità, ma di restituirne diacronicamente la lunga, scienza di chi lo conobbe. re – inedite, poco note o rare – sarebbe un’occa- generosa, aperta, liberante avventura. Nel corso Rosai, oggi, dunque, non solo per riconoscer- sione straordinaria per arricchire e configurare in della quale egli aspirò come pochi a versare nel- ne e riaffermarne la statura emergente, pur fra modo sostanzialmente definitivo l’immagine del- le opere il pieno dei sentimenti, e primo fra tutti contrasti e rifiuti ormai consolidata, ma per rime- l’artista. Da Pananti vediamo ad esempio un Pae- l’amore per il creato, con impeti e slanci che tro- ditarne la vicenda umana e artistica lontano da saggio del 1923 (Cat. Tav. 10), che personal- vano pochi paralleli nell’arte del suo tempo. quelle concomitanze che allora la resero contro- mente non conoscevo. Questo 1923, che Parron- Amore per lui volle dire partecipazione, trepi- versa e scottante. Parronchi ha ragione quando af- chi definisce a ragione “anno mirabile”, è denso dazione, abbandono. Ma anche bisogno di since- ferma che “le grandi mostre riassuntive, i panora- di opere d’eccezione, alcune delle quali già ben rità, anelito di verità secondo una ispirazione che mi impostati su graduatorie internazionali di valori note e ripetutamente pubblicate. Dei tre anni che non possiamo non dire cristiana. (“Di dolore, seguitano ad ignorarlo”. Ed è anche certo che si seguono, invece, 1924-26, si sa ancora poco o l’artista, avrà fatta la vita, continuo, infinito”, mancherebbe al più elementare dei doveri critici, niente, tanto che si è ipotizzato una quasi assoluta scriverà una volta. “La croce addossataci la por- se non denunciassimo apertamente la superficia- inattività, essendo l’artista in grande abbatti- terà non come condanna, ma quale simbolo di lità, i convenzionalismi e le storture con cui certi mento e bisogno. Neppure gli anni successivi fede”). Certo, alla comprensione di questo Rosai bilanci, da Parigi a Milano vengono ideati, prepa- sono fertilissimi quantitativamente, pur se co- che getta il suo scandaglio rivelatore nei recessi rati e realizzati. Ma siamo già nel dominio delle stellati di dipinti magistrali come l’Interno di più profondi del cuore, che s’anima e si esalta, eteronomie correnti, del costume, dell’industria caffè (Cat. Tav. 12) e la Piazza della Passera s’infiamma e si dispera e poi trepidamente si la- culturale che serve una certa politica e ne dipende. (ambedue 1927), la grande Toppa (1928), i Can- scia dietro le frontiere dei canoni e delle con- La mancata generalizzazione del riconoscimento o tastorie (1929), l’Uomo sulla panchina (1930). venzioni; alla comprensione di questo Rosai che la sufficienza con cui viene dato, se e quando vie- Nel 1923, dunque, si conclude la grande stagio- nello stesso momento può immaginare le esa- ne dato, non sfiora neppure la reale autenticità di ne che dura un quinquennio, apertasi con le Na- sperate lacerazioni del Nudo agreste (Cat. Tav. una esperienza che abbiamo sentito e sentiamo ture morte del ’19. Ora, il Paesaggio citato con- 30) e vivere l’incanto sospeso della sera d’estate come fondamentale e fondativa, profonda e ope- sente di articolare con maggiore aderenza e pun- nel Paesaggio grevigiano (Cat. Tav. 32), poco rante nel tempo. Proprio perché non affollata, ma tualità questo preciso momento. Vicino alle cu- possono giovare certe confuse e pletoriche evo- oggetto di attenta e quasi sempre impeccabile scel- pezze e ai bagliori della coeva Burrasca, questo cazioni in cui l’arte è umiliata al livello delle ta, la attuale mostra evidenzia come meglio non si olivo coperto d’olivi trascoloranti in grigio-az- molte precarietà della cronaca, della moda e del potrebbe le tensioni, i drammi, le speranze, le con- zurro leggero richiama alla serenità d’una com- costume. Come un maestro antico, Rosai che è quiste che Rosai vive e consuma dentro di sé gior- mozione pacata, raramente espressa in così tota- stato uomo del suo tempo e ne ha anche passio- no dopo giorno con intensità inaudita. Le cadute, le purezza e con altrettanto pieno dominio. Se poi nalmente avvertito le controversie e i problemi, anche, che son pur esse testimonianza viva e vi- l’altro Paesaggio (Cat. tav. 13) appartiene docu- dal suo tempo esce e già oggi a mio avviso si di- vente della ricerca di nuove verità. E ciò, si badi mentabilmente al 1928, si deve forse un po’ cor- stacca, con tracce minime di quelli che anno bene, al di là dei casi e dei gesti più noti e clamo- reggere, addirittura, il senso della parabola stili- dopo anno ne furono i miti e le idee dominanti. rosi che son parte più del suo comportamento che stica quale risultava dal complesso delle opere La sua vera storia non è ragguagliabile in alcun non della sua vera esistenza. già note. Questi ed altri temi potranno essere ma- modo alla storia civile e politica della sua epoca, Qualche altra considerazione. Da molti anni teria di più pausata e attenta riflessione; ma ho ma si spiega in se stessa, nel suo svolgersi come ormai si va ripetendo da più parti la richiesta di voluto accennarne perché la mostra reca anche vicenda e dramma di uomo.

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Giovanni Faccenda

“Io amo coloro che non sanno vivere Quando il loro maestro decide di guidarli alla chiesa di Santa Maria anche se sono coloro che cadono del Carmine, per vedere gli affreschi nella Cappella Brancacci di Ma- perché essi sono coloro che attraversano.” solino e Masaccio, portati a termine da Filippino Lippi dopo la pre- F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra matura morte di quest’ultimo, accade qualcosa che si fissa nella mente di entrambi. A un certo punto, dopo aver a lungo lodato la mo- numentale solennità delle figure, Rosai, descrivendo la scena La di- ncora qualche mese e saranno cinquanta gli anni trascorsi dalla stribuzione dei beni e la morte di Anania, nota con sorpresa la forte Amorte di Rosai: un anniversario che attendiamo senza rivalse, somiglianza fra il volto barbuto che si insinua fra i due apostoli, consapevoli di un indirizzo critico avanzato nel tempo per merito di Pietro e Giovanni, con quello di Pietro, un vecchio contadino di Vil- degni contributi1. lamagna loro conoscente. “È lui, è lui!”, indica agli adolescenti con Vero è che ogni volta si torna a parlare di questo artista singola- aria stupita. E mentre gli occhi scintillanti accompagnano un vortice re ci sentiamo come internamente sollecitati a chiedere per lui una di parole, un’ombra malinconica guadagna il suo volto improvvisa: sorta di risarcimento, in questo forse condizionati dal pensiero tra- “Sulla strada tracciata dal Cristo cammina il grande artista, con gli uo- scinante di una vicenda umana tortuosa, che conobbe rari momenti di mini che Lui stesso gli ha messo accanto…6”. serenità e appagamento, in particolare nel suo estremo periodo, quan- Ci piace pensare, rievocando questo aneddoto che dobbiamo a do il complesso dell’opera, superati antichi pregiudizi, ebbe a in- un racconto di Caponi, che anche un episodio in verità marginale contrare attenzione meno discontinua e più largo consenso. possa aver giovato in qualche modo all’intensa riflessione di Rosai Da allora, la pittura come il disegno di Rosai hanno continuato a nella breve, ma feconda stagione di Villamagna. Un tempo che se- suscitare uno stupore che insiste oltre l’approccio visivo, cagionato, gna una svolta creativa, nella quale non può dirsi estranea l’illusione diresti, dal riconoscimento di tensioni e sentimenti analoghi a quelli del periodo per la pittura murale. I nuovi simboli rosaiani sono i per- ricorrenti nella nostra contemporaneità. Soprattutto l’eloquenza del sonaggi disegnati prima, e poi dipinti a grandezza naturale fra la segno, la sua capacità di andare al fondo di cose, luoghi e uomini con fine del ’33 e il ’34, quando egli si è già trasferito in via San Leo- esiti sorprendenti, rivela, se non una oscura chiaroveggenza, la vi- nardo; le stesse case coloniche rappresentate durante il suo itinera- sione profetica di un artista percorso da urgenze sottopelle, improv- vise palpitazioni, scoperte inquietudini, che partecipano l’angoscia e il disincanto di chi avverte come un disperato percorso la vita, da af- frontare con la rassegnazione necessaria che occorre a chi è vittima di un tale sconfortante destino. La matita, come fosse un termometro, indica una temperatura interiore2, dà conto di una febbre esistenziale che si innalza ogni volta che Rosai si offre al contagio degli uomini. Quanto preme alle sue tempie finisce per incenerire sulla carta con dolenza manifesta. Il tratto nero, sgorgato come sangue dal cuore e definito con virtuosi- smo dalla mano, scolpisce il volto emblematico di coloro che hanno la ventura di sopravvivere. Ogni uomo diventa mistero da indagare, specchio nel quale scorgere la stessa torrida solitudine che aggrava il peso dei suoi giorni, l’infelicità silenziosa di una condizione vitale comune a molti, troppi: una smorfia di fatica che apparenta ritratti e autori- tratti. Il male di vivere. Un’ansia febbrile resiste simultanea in ogni parto3 grafico: rie- cheggia, inesauribile, nel vibrante rapporto che stimolano questi fo- gli. Oggi come allora. A dispetto del tempo. Segni, come cicatrici, avuti in eredità per un amaro testamento.

Il trasferimento dallo studio di via Toscanella al casotto del dazio in via Villamagna (1932), poco dopo aver cessato l’attività di mobi- liere, spalanca a Rosai le porte di una periferia nella quale non tarda a riscoprire sensazioni smarrite nella memoria4. Il ritrovato contatto con la natura alimenta nuove ispirazioni: paesaggio e figura umana consolidano il loro ruolo di pretesti espressivi ideali. La vicinanza del- l’Arno sembra ora rivelargli altre prospettive, perché, come diceva Eraclito più di duemila anni fa, non ci si bagna mai due volte nella stessa acqua di un fiume. E, quel fiume, l’Arno, da troppo tempo è di- ventato per lui insegna di dolore5. Due fanciulli con la passione per il disegno, Dino Caponi e Ser- gio Donnini, regalano a Rosai momenti di inusuale spensieratezza. Divenuti suoi allievi, oltre a sbrigare qualche piccola faccenda do- mestica, lo accompagnano con carta e matita durante le escursioni nei luoghi circostanti, alla ricerca di motivi insoliti da rappresentare. Ottone Rosai, Uomo seduto (1932) 16 IL PORTOLANO - N. 47-48 rio nel cuore della campagna toscana; i grandi bozzetti di paesag- mezz’aria, insieme alla curiosità dell’interlocutore, Bacon si alzò gi preparati prima di realizzare i due pannelli nella stazione ferro- dalla poltrona e, avvicinatosi alla sua libreria, con aria compiaciuta viaria di Firenze; così come gli uomini che lo hanno acceso d’in- estrasse proprio il catalogo di una mostra di Rosai… teresse al tempo del soggiorno a Greve in Chianti nell’estate del 1938, desolati viandanti come usciti da un racconto di Verga. In tale La solitudine, agli occhi dell’artista, muta ancora volto: è un contesto, nell’affermazione di una linea portata avanti anche da Il uomo disteso sul prato; l’imprevisto di un capanno incontrato lungo Frontespizio, che mostra notevoli affinità con il modello “strapae- una spiaggia deserta; inaccessibili architetture di un paesaggio disa- sano”, riecheggia il discorso e la poetica di coloro che nel 1923 pub- bitato. Il bambino, effigie incontaminata, incarna, invece, un desiderio blicavano a Firenze Calendario, Betocchi, Lisi, Pregno, Bargellini, di purezza, sublime paradosso di fronte a un vissuto in cui non difetta tenendo i luoghi rustici e le pratiche contadine come vocazione certo del torbido. Ma l’artista non ha paura, si mette a nudo, trasfi- espressiva. gurando se stesso in alcuni giovani ritratti senza abiti sui fogli e sul- In un ambiente grandioso, Rosai modella l’uomo come monu- le tele del periodo (1946-52). Quelli – come detto – che intrigheran- mento, un gladiatore, forgiato da lavoro manuale e travaglio interio- no Bacon… re, destinato a combattere nell’arena dell’esistenza. L’estrema stagione, umana e creativa, annovera anche qualche Il vocabolario dell’artista si arricchisce di una parola: presagio. pausa che incoraggia la disputa di critici superficiali. A dire il vero Quello che partecipano, sottovoce, I domenicani (1936) all’ombra di sempre più esigui per numero e qualità. Rosai tira dritto, dando cor- un metafisico cipresso, fermi fra più strade vigilate da un albero po a un periodo bianco di raffinata pittura, in cui percepisci tangen- spoglio e da una casa senza finestre: essenze che amplificano il tono za con la poesia ermetica e, nondimeno, la sua risposta alle critiche di un colloquio solitario esteso a dimensione universale. che gli muovono i giovani astrattisti fiorentini. Al piccolo blocco di fogli tenuto nel taschino per fissare pose o Gli acquarelli, rari e preziosi elaborati a cui si dedica saltuaria- volti di assorti avventori o amici incontrati nei lunghi pomeriggi al mente, risaltano per un’intensità lirica prossima al modello mo- caffé, Rosai adesso preferisce grandi carte sulle quali esprimere randiano, mentre il segno, impetuoso e palpitante come sempre, tor- l’entità di uno scavo condotto fra implicazioni di ogni genere, nel- na a concretare sopiti ardori, rapide soluzioni, un’ansiosa sintesi le viscere di un’umanità continuamente soverchiata da vita matri- tesa a catturare qualcosa che sente sfuggire spietatamente. Da gna. Si consolida una poetica che richiama da vicino il pessimismo “Fontana”8 o allo studio, lascia che sulla carta affiori un genere di cosmico di Leopardi: tutte le creature viventi, e non solo gli uomi- uomini senza tempo. In perenne attesa, come lui. E soli, alla deri- ni, sono infelici dalla nascita. Un sentimento idealizzato in case ap- va delle illusioni. partate, cipressi malinconici, strade in salita con la solita curva che piega verso il mistero dell’oltre. Il segno è evocativo, persiste al di là dell’apparenza: nella donna 1 Il riferimento, doveroso, è alle monografie di Pier Carlo Santini (1960) e che ritrae dal vero, qualche anno dopo averla incontrata per i verdi Luigi Cavallo (1973). 2 prati di Villamagna, spicca la dignitosa fierezza di chi non si piega a O. Rosai, Difesa, “Il Frontespizio”, Firenze, marzo 1936: “[…] in me la pas- sione d’esprimere è così forte, che un dato soggetto da rappresentare, prima an- un corso fatale. cora di averlo disegnato, lo avverto già vivere nelle sue forme, realizzate nella mia La matita è la lampada che lo guida nell’oscura inquietudine de- mente e nei nervi, da sentirmelo uscire dalla punta delle dita”. gli uomini, una pena interna spesso senza spiegazione. Fra i cupi la- 3 O. Rosai, Difesa, cit.: “Partorire nella bellezza diceva Platone: ecco quello menti degli emarginati che si radunano la sera alla stazione di Santa che importa. La bellezza è spirito. Bisogna cioè esser sommersi in un’aura, essere Maria Novella, scopre una solidarietà fatta di sguardi e di parole pieni, colmi di qualcosa, di non so che specie di sole: ma bisogna che l’anche l’ar- tista soffra un concepimento e una gravidanza e una liberazione: un figlio strap- non dette: fissità di occhi che incutono rispetto, persino reverenzia- pato alle viscere. Soltanto un’opera di tale significato, che contenga un pensiero, le timore. un respiro suo personale, può fendere la resistenza massiccia dei secoli.” La verità continua ad apparirgli come un segreto sotterrato al 4 O. Rosai, “Via Toscanella”, Sulla soglia dell’irraggiungibile: “L’inte- fondo degli uomini. Un giorno, seduto su una panchina d’Oltrarno in resse e l’amore per l’arte nacquero in me fino dagli anni in cui l’occhio di- compagnia di Caponi, rompe uno dei suoi lunghi silenzi con questo stingue il bianco dal nero. Non nel modo sciocco e direi quasi inutile di chi si incanti a guardare le cose del passato, ma nell’ammirazione gioiosa dei mira- interrogativo: “Ma poi, icché cerco, sarà davvero icché trovo?” Do- coli della natura. mande come sale sulle ferite, dubbi, subito fugati, di chi non riesce Ricordo ancora qual senso di piacere provassi nello sdraiarmi su un prato in più a tirarsi indietro. Primavera, tirando su dal naso gli odori delle erbe e della terra. Come ho anco- La guerra, un’altra guerra, aggrava la sua rabbia con la sorte. ra nella memoria certe stradine ombrate disegnate fra due siepi serpeggianti e con Mentre l’Italia segue attonita il progredire di sviluppi inesorabili, nuo- ogni tanto un muretto protetto dai paracarri al di là del quale l’acqua scorreva odorosa traversando, al di sotto, la strada! E i prati e i campi infiniti dove il sole vo fuoco ravviva dentro di lui con vampa dirompente. Si svuotano arrivava a comprimere la vegetazione col suo calore come assordante, e le voci caffè, osterie, case e strade: gli uomini riparano in rifugi d’occasio- dei contadini lanciate da un’aia all’altra, risonanti nell’aria come pezzi di me- ne, stipati fino all’inverosimile. Uno spettro, quella calca, quella tallo. “carne da macello”7 – così come la vede lui – che inquieta in tanti ri- Le margherite, le mammole, lo spigo, il trifoglio, i rosolacci furono i miei pri- tratti e autoritratti del periodo: diario sofferto originato da un’anali- mi maestri insieme al cielo strafottentemente celeste, dove immergevo la mia pic- si sempre più esasperata. cola come in un bagno di letizia e di gioia.” 5 Il padre di Rosai, Giuseppe, malato e oppresso dai debiti, si era suicidato in Arno il 18 febbraio 1922. Fondamentali, questi dipinti, saranno soprattutto per Francis Ba- 6 O. Rosai, Difesa, cit.: “Non sono stato il primo io a portare nelle mie tele fi- con. Nel 1962, durante un’intervista televisiva presso il maggior ca- gure di miserabili, gente che batte alle porte del cuore e del Cielo per invocare mi- nale d’informazione d’Oltremanica, alla domanda quale fosse stato il sericordia: tutta la nostra grande pittura dal 200 in poi rappresenta la stessa tra- pittore che avesse maggiormente attirato il suo interesse, egli rispo- gedia. […] in un povero “omìno” […], c’è indubbiamente un maggior contenu- to, una più gran somma di mondo, di Dio, di questa vita, della nostra tragedia di se: “Non esito a fare il nome di Ottone Rosai, uno fra i più grandi pit- povere creature.” tori italiani: soprattutto gli autoritratti e i nudi che egli ha dipinto, gli 7 Nel ricordo di Caponi un pensiero di Rosai riferito al tempo di guerra: uni all’inizio, gli altri alla fine degli anni Quaranta, hanno generato “Vedere tanta gente così ammassata nei rifugi mi fece pensare a carne da ma- in me profonde riflessioni e non pochi turbamenti”. cello”. 8 Di questa stima, rimasta ai più sconosciuta, ebbe significativa di- Ai tavolini del Caffè Fontana, un locale situato all’incrocio tra viale dei Col- li e via San Leonardo, all’inizio degli anni Cinquanta Rosai riprende un’abitudi- mostrazione anche Nino Tirinnanzi – allievo di Rosai insieme al ne che aveva caratterizzato le sue lontane frequentazioni di Giubbe Rosse e Pa- prediletto Dino Caponi –, il quale, durante un suo viaggio a Londra, szkowski: schizzare su un blocchetto d’appunti volti e figure di occasionali av- si trovò casualmente a incontrare il celebre maestro dell’espressio- ventori o di amici riuniti in sua compagnia. Dopo aver tenuto colui che spesso era nismo anglosassone. Raccontava lo stimato pittore grevigiano che, ignaro modello a lungo sotto osservazione, Rosai cominciava a disegnare come durante la conversazione, saputo che egli era stato in rapporti con Ro- isolato dal resto del mondo. Quanto andava plasmandosi oltre la sua mano pos- sente, era rivelazione, schietta e travagliata, di un’ansia interna destinata a paci- sai, Bacon lo interruppe bruscamente: “Sapessi quanto l’ho ammira- ficarsi soltanto nel momento in cui, posata finalmente la matita sul tavolo e data to e quanto i suoi quadri degli anni Quaranta siano stati decisivi alla un’ultima occhiata al disegno concluso sul taccuino, egli tornava a cercare una mia formazione! Ora ti faccio vedere…” Mentre la frase restava a “maddalena” da tuffare nell’ormai raffreddato cappuccino. IL PORTOLANO - N. 47-48 17 Rosai, la moglie Francesca e il padre putativo Attilio Vallecchi

Luigi Cavallo

ella prospettiva di mezzo secolo dalla scomparsa di Ottone Rosai appaiono con Nchiarezza sempre maggiore l’entità e il valore del contributo creativo che l’ar- tista donò alla sua città, lo spessore storico che il suo linguaggio si è conquistato nel- l’ambito di quella modernità formata sui caratteri della tradizione, cioè senza svellere la struttura della forma e la narrazione dagli esempi eccellenti che non mancano in ter- ra di Toscana. È pur vero che la crisi dell’estetica è una delle specifiche realtà contemporanee, tanto rilevante da suscitare ormai una sorta di reazione o meglio il desiderio di ripri- stinare qualche punto di forza attorno al quale possa essere nuovamente meditata una linea di preferenze e di valori. Contentiamoci di indicare nell’insieme dell’opera rosaiana qualche snodo non provvisorio che potrebbe corroborare proprio quella ritrovata attenzione per l’arte come manifestazione spirituale cui attiene non solo il rispetto per l’uomo e l’insieme della sfera urbana e naturale che l’accoglie, ma pure per un pensiero responsabile che non getti ogni cosa nella fossa del ripugnante e dell’arbitrario. Così detti questi argomenti sembrano non più che asseverazioni, ma all’esperienza di ciascuno, con l’invasione di immagini, suoni, parole, non manca la possibilità di cir- costanziare quanto qui si accenna per estremo sunto. Ci basti raccogliere ciò che di Ro- sai si è depositato nella nostra memoria per veder legato il suo discorso figurativo con i luoghi fisici e umani rimasti a Firenze come reperti archeologici. Non ci sono più i tipi ritratti da Rosai, giocatori di toppa, venditori di lupini e di pan di ramerino; i suo- natori sui marciapiedi sono americani del sud con strumenti andini, anche i mendicanti hanno colori di altri continenti; i venditori ambulanti sono senegalesi e quanto cam- biata la popolazione dei caffè, delle trattorie, dei Lungarni… Non è cambiato però lo stato di quelle creature che l’artista osservava, la loro emarginazione; c’è forse più desolazione poiché si è poveri lontani dal proprio mon- do, dalle proprie radici; e la solitudine è gran parte della miseria. Rosai contava le sue figure sui cantoni di certe piazze e strade che ancora vediamo in San Frediano, come allora; i ponti, le chiese, certe strade a imbuto, le finestre or- dinate in scacchiera; la struttura apparente, l’architettura, cioè il palcoscenico, è ri- masto, con qualche aggiustatura, qualche rifacimento, ma in sostanza senza vistose modifiche. Sono gli uomini ad aver subìto la più profonda riscrittura: nei vestimen- ti, nelle abitudini, in tutto il loro essere di sentimento e di morale. Ottone Rosai, Santa Maria del Fiore (1954) Rosai quindi è divenuto una sorta di documento di un’epoca, ma pure offre ingres- si perché in questo tempo si riconoscano talune costanti: la città non è un contenitore, ma frendo basi di riferimento filologico per la prosecuzione delle ricerche sulla sua pit- organismo che vive con l’uomo o non vive; l’uomo non può essere ridotto un’entità sta- tura. Vittoria Corti, depositaria delle carte inedite dell’artista, che ha allestito, con am- tistica da omologare e riempire di messaggi, ma un individuo che rifiuta per istinto e per mirevole sensibilità storica, la stampa delle lettere di Rosai e di alcuni importanti grup- indole, per cultura, il minimo comune denominatore per giocare la propria esistenza con pi di corrispondenza a lui diretta; Carlo Cordié, impegnato a raccogliere gli scritti edi- l’idea di offrire qualche cosa di diverso, di unico, magari di eletto al mosaico civile. ti di Rosai compiendo larghe ricognizioni su periodici e pubblicazioni rare. Con tutta la sua originalità di carattere, la voglia di sfidare ordine e consuetudi- Vittoria Corti e Carlo Cordié ebbero dalla moglie di Rosai, Francesca, il materiale ni della società, Rosai riuscì a serrare una stretta difesa della poesia, come dire il cuo- necessario e l’incarico di occuparsi l’una degli inediti, l’altro degli scritti editi per dare re della pittura, cioè l’indizio primo che fa crescere l’immagine nei succhi della completezza a questo protagonista della cultura italiana e farne crescere la conoscenza, creatività; poesia come sua prima ed estrema condizione, definizione abusata e tre- poiché conoscere significa rispettare almeno, se non amare il personaggio. menda insieme di un concetto che ogni grande artista semina e fa crescere con la for- Abbiamo così potuto avvicinare, attraverso i documenti, i motivi profondi, le zone za della contraddizione, per la dignità dell’uomo. sensibili, i momenti duri e i rialzi d’orgoglio di quest’uomo che ebbe unica forte ten- sione nella vita: la pittura, alla quale sacrificò ogni altra passione, a costo di rinunce * * * e lacerazioni, rompendo magari antiche amicizie – con Soffici, con Papini – e acco- gliendo nuovi sodalizi che talvolta si mostrarono del tutto indegni. Tanto era assor- Nel lasso di tempo che ci separa dalla morte di Rosai, sono scomparsi due pittori bito dal suo lavoro da non vedere cattivi allievi e cattivi compagni che falsificavano che da Rosai ebbero vitale avvio all’arte, Dino Caponi e Nino Tirinnanzi, custodi di e spacciavano quadri con la sua firma, mercanti che lucravano in questi torbidi; e se un cospicuo patrimonio di memorie rosaiane. il prestigio di Rosai è sopravvissuto significa che i suoi valori sono ben distinti e alti. Sono venute a mancare tante voci che confortarono la lettura della sua opera; so- Di ciò era particolarmente consapevole Francesca Rosai che dagli anni ’20 fino prattutto alcuni studiosi come Pier Carlo Santini che rifondò la critica rosaiana of- all’ultimo tenne intrecciata la propria esistenza con quella del marito; andrebbe più 18 IL PORTOLANO - N. 47-48 approfondito lo spessore di questa figura per quanto di aiuto concreto e amorevole [Mostra personale del pittore fiorentino Ottone Rosai, Casa d’Arte Bragaglia, Roma, seppe donargli. Le vicende controverse, equivoche, in cui Rosai fu coinvolto, hanno dal 16 novembre 1922] avesse confortato il tuo spirito affranto. Dico la verità che non messo in ombra quel filo continuo di rispettosa unione, pur nella separazione fisica risposi alla tua prima cartolina non sapendo come avrei potuto riuscire a confortar- dal 1930 in poi, tra Ottone e Francesca, le preoccupazioni reciproche per la salute, gli ti. Tu sai – te l’ho detto altre volte, anche a rischio di non farmi capire, – come io non affari pratici, il sostegno economico; e l’affetto tenerissimo che non venne mai a man- conferisco nessuna importanza ai facili momentanei successi. Io non ne ho mai avuti care. ed ho saputo resistere a tutto. Siccome tu sei più forte, più temprato di me devi sape- Le lettere di Rosai alla moglie sono eloquenti di quel forte legame (in Ottone Ro- re fare altrettanto e meglio. Cosa importa riuscire oggi, quando si ha la sicurezza che sai. Nient’altro che un artista. Lettere e scritti inediti, a cura di V. Corti, TraccEdi- un sofferto domani sarà sicuramente nostro? La questione è di avere una fede e sape- zioni, Piombino, 1987); restano inedite le lettere di Francesca Rosai al marito; ne ri- re aspettare in umiltà. W il pittore Rosai. Ti abbraccia forte forte il tuo Attilio.” tagliamo alcuni passaggi. 10 luglio 1928: “Mio caro Rosa, Non da oggi mi accorgo di un tuo stato d’ani- 2 marzo 1935: “Caro Otto, Sono stata alla mostra; ed ho parlato con Maraini, mo depresso. Ti dirò, anzi, che se non fossi preso da ben più gravi cose di quelle che si è meravigliato che non sia arrivato ancora niente [l’invito alla Biennale di Vene- ti rammaricano, avrei cercato modo di starti, o averti, vicino per confortarti. Infine zia], e mi ha assicurato che dovendo domani l’altro andare a Roma, andrà diretta- però ti credo e ti so forte e quindi penso che saprai vincere te stesso. Quello che mi mente al Ministero. Mi è parso sincero, in quanto ha parlato prima che io le dices- pare strano è che tu dia qualche importanza ai giudizi della critica ed a quelli del- si niente. Lui dice che il fatto dipende, che essendo la Biennale passata a Istituzio- la gente! Ormai lo dovresti sapere con che gente si ha da fare. Bisogna lavorare sol- ne fascista, le cose vanno molto più lentamente […]. Ò veduto pure Soffici [del tanto per noi. E tutte le volte che nel campo tuo o mio si riesce a trovare la più pic- 1931 lo strappo fra i due amici] e mi ha salutato molto gentilmente. Mi raccomando cola sodisfazione è tutto di guadagnato. Per conto mio non merito il tuo appunto. Io non mangiare, il dolore di corpo, dà anche dolore all’anima.” non mi sono vergognato mai (non so poi perché questa frase grossa) a difendere e so- 29 aprile 1935: “Carissimo Ottone, Ti mando oggi ciò che ti avrei dato ieri se tu stenere la tua pittura, ad apprezzarla sinceramente, intimamente; a pubblicarti un li- fossi venuto a casa. Non è il valore intrinseco, che forse non vale la pena di far ve- bro all’unico scopo di considerarlo degno ed all’intento di farti cosa grata; a tenerlo nire uno fino costà per questo, ma perché tu sappia, che non sarebbe passato il tuo tutt’ora in catalogo dopo averlo vociato ai quattro venti!” giorno natalizio senza i miei auguri, che sono di tutto cuore, perché Dio ti dia tutte 28 maggio 1932: “Mio caro Ottone. Ogni giorno da due settimane facevo il pro- le felicità che desideri. Come sempre, con lo stesso amore, se non con lo stesso umo- ponimento di venirti a trovare. Poi le ansie terribili per l’equilibrio di questa faticosa re, ti offro questa piccolezza perché tu faccia dei bei disegni.” impresa non mi lasciano un minuto e più che tutto non mi danno un momento di rela- 30 luglio 1937: “Carissimo Ottone […] se tu sapessi quanto bene mi fa il tuo ri- tiva tranquillità. Se ti dicessi una parte della mia sofferenza che nessuno conosce, o cordo! […] Cosa fai? lavori? mi pensi e mi senti? Credi ti sono tanto vicina, e pre- vuol conoscere, tu mi vorresti più bene e non penseresti a dimenticanza. Ti dirò, invece, go Dio che ti dia tutto ciò che desideri, che ti faccia lavorare tranquillo, per poter- che mi stai a cuore come uno dei miei di casa: penso e lavoro per te. Vorrei fare qual- ci dare tanti bei quadri. […] per me non avrebbe più scopo la vita se mi sapessi mes- cosa personalmente, ma tu sapessi! (cose da far vergogna a chi non senta la respon- sa in disparte da te. Vedi Ottone, quando io sono con te, e che si parla in confiden- sabilità dalla quale sono preso). Bisogna vincere, però, a tutti i costi. Per dura espe- za, come l’ultima volta alle Giubbe rosse, quando sento che tu volentieri mi racconti rienza, dopo aver fatto quello che ho fatto io per gli uomini non credo alla loro rico- tante cosine, delle quali, anche se tu non ti accorgi, io parlo con la tua anima, allo- noscenza. Credo però in Dio che mi dà la forza di lottare e di resistere anche a dispetto ra, io non so desiderare altro, e mi sento forte.” dei cattivi che vedrebbero volentieri disfarsi tante fatiche. Abbi fede, dunque, caro Ot- 25 agosto 1937: “Carissimo Ottone […] ho trovato casa, una casetta tutta per me, tone. Si finirà col vincere. Non ti dico nulla di cose alle quali sto pensando per te per- e per te quando vorrai venire a trovarmi, una casettina all’ultimo piano di via del- ché attendo che esse possano essere realizzate. In questa speranza, ti abbraccio. Tuo la Colonna n° 9, sono 4 stanzette.” Attilio. Ti mando tutto quello che ho in tasca; consideralo come un pezzo di cuore.” 7 agosto 1938: “Carissimo Otto […]. Sento che sei contento del tuo lavoro, ed io 31 agosto 1938: “Caro Rosai, le espressioni contenute nella tua lettera mi fece- sono felice […]. Vorrei davvero tornare ad essere la tua fatina, alla vita non chiederei ro piacere, ma non so dirti il piacere e la serena contentezza che provai nell’averti di più. Grazie tante di tutte le tue espressioni, non ho mai dubitato che il tuo lavoro quei pochi giorni quassù. Mi pareva di esser tornato venti anni addietro, ai tempi di fosse in massima parte dedicato a me.” Fiesole, ricordi? Ci mancava la “mamma” che cercava di impinzarti non soltanto per 11 dicembre 1940: “Carissimo Ottone […] il tuo nome ormai è chiaro per tutti. soddisfare il tuo giovanile appetito, ma soprattutto per soddisfare il di lei desiderio Ma forse, vorrei essere vicina a te, per gioire della tua vittoria, con tutta me stessa, premuroso e costantemente offerente. Ma se dovessi dirti una cosa ancor più intima, oltre che col solo spirito come devo fare ora.” ti dovrei dire che questa volta ti ho sentito più vicino a me. Mi parevi davvero un al- 23 agosto 1941: “Carissimo Mimmino […] prego ancora che la vita ti dia ancora tro dei miei figlioli ai quali con semplici cose riuscivo a procurare gran gioia. Ti ri- quelle soddisfazioni che la tua intelligenza, la tua volontà, hanno diritto di avere.” cordi la visione dei portali di San Quirico, la Chiesa di S. Agostino di Montalcino, 3 dicembre 1951: “Carissimo Ottone […]. Io non ho mai avuto nessun dubbio, la Cattedrale di Montepulciano, e poi quei paesi che in ogni punto ci offrivano dei tu sei tu anche se qualche volta tu stesso perdi la fiducia in te e negli uomini, fortu- quadri indimenticabili. Quando si sente nel medesimo modo, fa piacere scoprire, ve- natamente ci sono, sebbene pochi, uomini intelligenti o almeno sensibili al bello ed dere, amare le cose […]. Ieri fui a Firenze. Ho parlato di te con Franchi [Raffaello, alla sofferenza altrui.” scrittore e critico] e ho avuto da lui delle impressioni sui tuoi ultimi quadri, e ciò mi 28 aprile 1957: “Carissimo Ottone, Non sarà una sorpresa il regalo mio ma a me ha dato contentezza grande […]. Ho puntato su te venti anni fa, continuo con fidu- piace fartelo perché poi, godendo della bellezza dei tuoi quadri, possa pensare che cia a puntarci oggi.” il più bello è quello fatto su una delle mie tele, e mi sento con te nell’espressione del- 29 agosto 1940: “Mio caro Rosa, quando ti vidi l’altra sera, ti abbracciai per cor- la tua grande Anima. Ti voglio bene Ottone e l’augurio che ti faccio è di lunghi anni rispondere al mio desiderio. Mi avrebbe fatto piacere passare con te una di quelle se- di felicità e lavoro perché questa è la tua vita. Ti abbraccio tua Cecca”. rate tutta piena di discussione e di propositi. Gli estranei che erano presenti impe- Quest’ultima lettera è una sorta di saluto che fa intendere fiducia e fedeltà, al di dirono tale discussione e la serata si svolse normalmente. Ieri mattina nel lasciarti là delle cose materiali; Francesca non cesserà mai di occuparsi del marito, terrà cor- ti ho detto qualcosa, non ricordo bene, ma certo che ti ho parlato col desiderio gran- rispondenza con i suoi amici, promuoverà occasioni per ricordare l’artista e affer- de, che provo sempre più, di impegnarsi a fondo nella vita. Non ti so dire come da marne le qualità. qualche tempo io soffra veramente in conseguenza dello stato d’animo in cui mi tro- vo. Tale stato d’animo deriva dal fatto grande che domina sulla civiltà mondiale: la Altro rapporto di non minore importanza andrebbe valutato nell’insieme degli af- guerra, di fronte alla quale ci sentiamo spiritualmente oppressi ma anche più che mai fetti familiari: il sostegno che Rosai ebbe dall’editore Attilio Vallecchi. Un approdo pensosi del domani. Bisogna fare sempre più sul serio in tutte le cose, bisogna indispensabile quando la sua opera tardava ad affermarsi e poco erano favorevoli le afrontare le responsabilità con un senso grande di dovere […]. Più che la vita, già fortune economiche. lunga per me, mi ha ammonito questa vicenda guerresca nella quale è in gioco il pre- Vittoria Corti ha pubblicato le lettere di Rosai ad Attilio Vallecchi e qualche let- dominio sul mondo. Ti dirò che non sentivo così l’altra volta; la guerra del ’14 fu una tera di questi a Rosai (V. Corti, Nel mondo di Rosai, Giorgi & Gambi, Firenze, guerra nella quale erano in gioco varie competizioni. Quella di oggi è una guerra di 1995), bastanti per avere la dimensione dell’apprezzamento scambievole, e com- predominio su cui noi avremo la nostra parte, e questa nostra parte, lo sento, ci im- prendere la necessità lacerante dell’artista di riconoscere in Attilio un padre, un ri- pegnerà grandemente.” fugio, colui che poteva aiutarlo solo per affetto. Di amore disinteressato Rosai andava Attilio Vallecchi e Francesca Rosai consentono un intimo approfondimento nel- in cerca. Non una debolezza romantica, ma un bisogno arcaico di avere fede in qual- lo spirito dell’artista, in quel nucleo che dava sostanza alle sue opere e ne alimenta- cuno, magari ammantandolo di qualità ideali. va il significato. Porre idealmente in parallelo disegni e dipinti degli anni in cui le let- Conviene leggere qualche pagina inedita di Attilio Vallecchi al pittore. tere, queste e molte altre, venivano scambiate non può che arricchire il tessuto 18 dicembre 1922: “Mio caro e buon amico. Avrei voluto che l’esposizione romana espressivo che mantiene fecondità alle immagini di Ottone Rosai. IL PORTOLANO - N. 47-48 19 Una mostra a San Miniato Settembre 1939: Rosai, Giampieri e Lotti

Maria Fancelli

DANTE GIAMPIERI vello di una personale amicizia; un legame che è stato perfettamen- te inquadrato da Luigi Baldacci nella sua prefazione alle Poesie (Pa- on ho nessun altro titolo per poter parlare di Ottone Rosai se non nanti, 1977) ristampata nel 1987 in un Quaderno speciale di “Erba Nquello di essermi imbattuta, leggendo la sua antologia di Lette- d’Arno” intitolato Per Dante Giampieri. re e scritti vari curata da Vittoria Corti nel 1987, in due brevi lette- Qui Baldacci aveva scritto che Giampieri ha anche un altro re indirizzate al poeta Dante Giampieri (1919-1985), non dimenticata motivo connotante: la fedeltà a una tradizione figurativa toscana, figura della mia adolescenza a San Miniato: lettere brevi e scarne ma quella del paesaggio di macchia. A un certo punto le figure sono tali da dare la misura di un rapporto vivo e autentico tra il pittore e il completamente ribevute dal paesaggio, insieme al loro dramma. E più giovane poeta. la fedeltà a questa vocazione resiste fin negli ultimi distici, nei Nella prima (n. 553), senza data ma collocata tra il dicembre quali tuttavia la macchia è sostituita da una schematizzazione più 1943 e il gennaio 1944, dopo parole di apprezzamento per le poesie disegnativa, quasi di gusto naif. Chi abbia presente la cifra popo- di Giampieri, Rosai aveva scritto: Credo di venire a San Miniato nel- lare, solo in apparenza, dei più bei disegni di Rosai (i più antichi) la speranza di passarci il tempo necessario per un ritorno da parte si spiegherà meglio questa nuova poetica di Giampieri. Ma tale pa- degli uomini a una maggiore serenità e a una volontà di lavoro e di rola può ingenerare equivoci: poiché infatti Giampieri appartiene pacificazione. a quella schiera non folta di poeti pei quali la poetica viene sem- La seconda (n. 579), datata Pasqua 1947, coglie un momento di pre dopo la poesia (p. 123). tristezza e di crisi di Rosai: Mi sembra che tutto mi tradisca anche Un’amicizia e un sodalizio fondato sulla stessa fedeltà ad un pae- la mia stessa anima. Dipingo, accanitamente dipingo, ma non so che saggio, a una tradizione, a una realtà e a una cifra popolare. Per cui valore abbiano le mie espressioni pittoriche. Forse qui sta il pec- non può sembrarci un caso se Giampieri, nel 1945, aveva scritto un cato, il nostro peccato. Solo un’assoluta cosciente umiltà può sal- pezzo per la mostra di Ottone Rosai alla Galleria Il Fiore in Via Fol- varci. co Portinari, incentrato tutto proprio sul paesaggio di Rosai sentito Chiedendo scusa agli specialisti e seguendo soltanto il filo del come un completamento necessario di sé, come il riempimento di un mio interesse personale, incuriosita da queste brevi righe e dal ri- vuoto dell’anima. In quel breve pezzo c’era anche un cenno inte- cordo vivo di Dante Giampieri ho cercato e incontrato lo scorso ot- ressante a un disagio interiore e al desiderio di parlare di un altro tobre sua moglie Matilde Giampieri nella casa di via Quintino Sel- tema legato a un quadro in mostra: del Cristo con la rossa ferita nel la. Una casa ancora carica di ricordi e piena di quadri molto belli, petto, col corpo di carne splendente e pura, con le braccia lunghe in maggioranza di Mario Marcucci, con il quale Giampieri aveva un e pesanti, il ventre dolente, che più di ogni altra parola o voce ser- legame strettissimo. In via Quintino Sella ho avuto conferma del ve a darmi coraggio nella lotta con la mia vita ottenebrata dal forte e lungo rapporto che legava Giampieri a Rosai: non solo leg- dubbio. gendo altre due brevi lettere (1953 e 1955, fino ad oggi inedite) di La condizione di dubbio, qui adombrata, trova riscontro in una te- Rosai, ma soprattutto potendo vedere una serie di lettere di vari cor- stimonianza di Alessio Alessi che, nel già citato numero speciale di rispondenti provenienti dalle carte in mano alla vedova di Rosai e “Erba d’Arno” (p. 114), accenna alla crisi religiosa che aveva colto dalla stessa donate a Giampieri. Sono per lo più lettere a Domeni- il giovane Giampieri e del desiderio di questi di restare in qualche co Giuliotti, ma vi sono anche alcune lettere di condoglianze in modo dentro un orizzonte cristiano. Anche se conosciamo la rapida morte di Rosai da parte di figure non secondarie (come Morandi, evoluzione laicista di Giampieri, Alessi resta un testimone attendibile Carrà, Mafai) che potranno essere opportunamente studiate in altra di quella fase ed è stato, con Gigi Ferri, il suo grande amico; tutti e sede. tre sono stati una solida triade laica della San Miniato per vari decenni Vorrei tornare ora alla due lettere inedite sopra citate. La lettera e il loro sodalizio meriterebbe un discorso a parte. del 1955 contiene soltanto poche righe di saluto e di augurio all’ini- Non potendo spingermi oltre in questa direzione, mi limito a ri- zio dell’anno, mentre l’altra colpisce per il tono usato da Rosai. Que- cordare che, secondo varie fonti, proprio a metà anni quaranta il rap- sto il testo della lettera inviata il 13 luglio 1953 “Al poeta Dante porto di Giampieri con Rosai si sarebbe intensificato e consolidato; Giampieri; / San Miniato (Pisa)” che qui è pubblicata per gentile con- risulta che nel ’46 Gadda, Santi e Giampieri erano stati a Venezia per cessione di Matilde Giampieri: la mostra di Rosai e che, l’anno successivo, Gadda Santi e Rosai sa- rebbero venuti a San Miniato (secondo l’editoriale di “Erba d’Arno”, Ho avuto il dattiloscritto e il biglietto. Devo dirti bene le poesie, p. 11). Ma i legami con gli artisti fiorentini erano stati riattivati an- ma niente da sperare per il premio. Il Carducci è di Luzzi (sic) Que- che per la presenza di che nel 1941 insegnava all’Istituto sto è un sudicio paese e tu lo sai e non c’è niente da fare. Se mai man- Magistrale di San Miniato. In ogni caso il rapporto tra Giampieri e dalo al premio “Poeti molto noti”. Fai te, ma se non ti sei arruffia- Rosai non si sarebbe più interrotto e sarebbe rimasto solido fino alla nato non sperarci. Queste le cose come stanno. Mi addolora la tua morte di Rosai nel 1957; al quale, come è noto, l’amico poeta avreb- situazione e soprattutto mi addolora la mia impotenza. be dedicato la struggente poesia Parole di Rosai agli amici (da Ul- Ti abbraccio e scusami. time, 1972-75). Ottone”. Come e quando era nata quella forte amicizia l’ho appreso, infi- ne, da un raro catalogo relativo ad una mostra di Rosai alla Galleria Questa lettera non fu pubblicata probabilmente per la compren- d’Arte Moderna Falsetti di Prato del 1973; la presentazione è scritta sibile ragione di non dispiacere a Mario Luzi. Ma, nella sua ruvi- da Dante Giampieri e comincia proprio con le testuali parole: Co- dezza, essa ci dà la misura di un legame che esisteva ben oltre il li- nobbi Rosai nel ’39, alle Giubbe Rosse. 20 IL PORTOLANO - N. 47-48

DILVO LOTTI Lei sa meglio di me cosa succede a vivere isolati e tagliati fuori dal mondo – vi si ricevono umiliazioni e legnate, a catena, senza fine Se, date le mie scarse competenze, non ho ritenuto andare oltre il – e quando per uno spiraglio, uomini e artisti che amiamo, ci fanno breve contesto delle due lettere di Rosai a Giampieri nelle quali mi arrivare consolazione e speranza, la fatica del nostro lavoro, allora, ero casualmente imbattuta, mi interessava ancora molto capire come non ci appare del tutto inutile. GRAZIE! era cominciato quel rapporto di amicizia e quali legami potevano es- Se qualche volta vorrà concedermi l’onore di venire a San Mi- sere nati nel contesto della San Miniato degli anni quaranta. niato, potrebbe essere una gran bella cosa, s’inviterebbe anche Non ho avuto dubbi sulla via da prendere e sulla necessità di Giampieri e si mangerebbe un boccone insieme. ascoltare il più vigile testimone della vita culturale di San Miniato, Infiniti auguri di ogni bene a lei al suo lavoro e a tutti i suoi cari, Dilvo Lotti; certa che, seguendo lui, avrei trovato sicuramente qual- col devoto affetto di Dilvo Lotti che utile traccia. Questi mi ha ricevuto subito nella sua ormai mitica e delle sue donne casa d’artista, accanto alla Signora Giuseppina, e le mie attese non sono andate deluse. Nel colloquio è emerso, naturalmente, un altro quadro di rappor- 2. ti. Dilvo Lotti era un fedelissimo di Ardengo Soffici, anche se la pa- Pregiatissimo Signor Ottone Rosai, rola fedele è sempre inadeguata per un indipendente assoluto come noi siamo dei Giovani del Nucleo Universitario di San Miniato, ed è sempre stato Lotti. Comunque Rosai, probabilmente dopo la rottu- abbiamo organizzato una mostra d’Arte – Vi abbiamo già ufficial- ra con Soffici e Papini, associava fatalmente Lotti alla parte avver- mente invitato a voler aderire alla nostra iniziativa con qualche vo- saria e i ricordi di Lotti portano i segni di questo diverso modo di ve- stro dipinto, perché la nostra iniziativa esca dal rango delle cose mo- dere il mondo e la pittura. deste ed assurga al ruolo che abbiamo idea di darle; quale adunata Lotti ricorda molto bene i rapporti di Giampieri, Alessi e Gigi Fer- di giovani degni dell’Arte, che si stringono d’attorno a quelli che del- ri con Rosai, addirittura ricorda la moglie di Rosai al Bar Ferri nel l’arte di oggi, sono e rimarranno i pionieri ed i nostri maestri – Voi 44/45; ricorda la sua nevrosi per la devianza del marito e come la stes- sapete che il maggior numero di simpatie la vostra Arte le raccoglie sa, nei momenti più difficili, trovasse ristoro nel dormire per terra. fra i giovani, quando si ha la nostra età si sente e si riesce a crede- Racconta come ha conosciuto Rosai all’Istituto d’Arte, in compagnia re completamente nelle cose che sono veramente belle, senza com- di Grazzini e Faraoni; come ha vissuto i rapporti tra Soffici “Il Fron- promessi e senza mezzi termini – La maturità, porta con sé insieme tespizio” e Rosai, la stima di Pietro Parigi per Rosai e per il suo mon- a tante cose belle, anche i dubbi, l’incertezze, il credere le cose a do interiore. Ricorda l’accoglienza burbera e lo scarso interesse di metà – Noi o crediamo, o buttiamo a mare e voi sapete benissimo Rosai per uno come lui, sodale di Soffici. In particolare ricorda che questo – Alla nostra lettera ufficiale non avete risposto, ci avete for- a Rosai non era piaciuto come lui aveva rappresentato una forma di se creduto i soliti seccatori e avete continuato a lavorare senza ri- pane in un suo quadro. Ricorda le circostanze in cui vinse il Premio sponderci – Noi non vogliamo una vostra sola cortese risposta, noi Panerai. Il lavoro di Rosai alla Stazione di Firenze osteggiato da vogliamo che rispondendoci ci diciate quali opere destinate alla no- Michelucci e poi realizzato in gran parte da Grazzini e Dreoni. Che stra “mostra” – La nostra sarà un’adunata, un’accolta di giovani Rosai avrebbe voluto fare un grande affresco alla porta d’ingresso a con cuore e con l’intelligenza a posto per seguitare domani nel tem- Firenze, ovvero a porta al Prato. po la continuità della nuova grande Arte Italiana – Non sarà più bel- Il ricordo di un rapporto di inespressa diffidenza non impedisce a lo se sull’incomposto, ed a volte ricercare disperato della gioventù, Lotti un giudizio pacato e oggettivo: Rosai testimone di un’epoca di possiamo far udire a tutti la parola di quelli che realmente sono riu- grande conflittualità politica, uomo generoso, convinto che il mondo sciti a dire qualcosa di nuovo, di grande e di antico, che sarà desti- andasse cambiato, ha lasciato un segno per alcune sue grandi opere, nato a lasciare il volto del nostro tempo – Se siete coerente anche tra cui ‘L’uomo che prega’ o i ‘Vecchi a Montedomini’, in generale questa volta come lo siete stato sempre al vostro amore per l’Arte ed per aver dato corpo ad un’umanità vera e sofferente. Lotti ricorda in ai giovani che gli portano amore, non potete far altro che risponde- maniera lucida e suggestiva, anche se naturalmente non nella suc- re affermativamente – La vostra non sarà una mostra vana ed inuti- cessione cronologica precisa, quel doloroso groviglio di eventi che fu le come tutte quelle ufficiali – Sarà fatta in una cittadella di campa- il 1944, i fatti di Carmignano, il ruolo di Enzo Faraoni, i rifugiati in gna, che è così vicina alla terra e alle cose semplici, per poter esse- casa di Rosai. re appestata di preconcetti e di miscredenti, come le città dei bor- Il suo racconto appassionato, torrentizio e pieno di forza, ha sti- ghesi e dei miscredenti per fatuità e in intelligenza nella santità del- molato ancora di più la mia curiosità e mi ha spinto a rovistare, infi- l’arte – Alla mostra prenderà parte viva il popolo, sarà la festa viva ne, nelle carte Rosai, oggi depositate nell’Archivio Bonsanti del Ga- del popolo che ritroverà ancora una volta nell’arte la sua eterna ra- binetto Vieusseux. Qui ho trovato, infatti, tre interessantissime lettere gione di vita e di poesia – Le vostre figure saranno viste da chi può di Lotti a Rosai, lettere dalle quali traspare tutta la forza, la determi- capirle e sentirle, perché si riconoscerà in esse – Della nostra mostra nazione e la coscienza di sé del giovane Lotti. Ma anche lettere che non scriveranno gli articolai collezionatori di nomi, di numeri, di ti- aiutano a ricostruire un capitolo non secondario della vita culturale di toli; ne parleranno con amore giovani preparati e degni di questo San Miniato e le circostanze in cui nacque una delle prime e più in- compito – Dopo tutto questo che vi abbiamo scritto, crediamo di teressanti mostre di arte contemporanea. avervi dissipato quei dubbi che potevano esservi venuti dopo la vo- Da queste lettere vediamo profilarsi il ruolo di un piccolo gruppo stra lettera ufficiale Speriamo che vi siate riconciliati con noi e l’u- di giovani sanminiatesi tra cui Dante Giampieri e Giuseppe Gazzini, nico segno per dimostrarcelo è quello di farci pervenire al più pre- firmatari, insieme a Lotti di una delle lettere d’invito a Ottone Rosai. sto una lettera dove ci diciate che cosa avete destinato alla nostra Insieme lavorarono per una mostra che si sarebbe tenuta a Santa rassegna – Chiara nel settembre del 1939, alla quale prese parte, alla fine anche Credeteci sempre – Vostri Ottone Rosai, accanto a Pietro Parigi, Primo Conti, Enzo Faraoni, Dilvo Lotti G. Gazzini Giampieri Quinto Martini, Guido Spadolini ed altri. 1° mostra città di San Miniato, Casa Littoria, San Miniato (Pisa) Ecco il testo delle tre lettere che pubblichiamo con il consenso del San Miniato 29 luglio 1939 XVII Gabinetto Vieusseux. P.S. Dimenticavamo di dirvi che hanno già aderito i Pittori: Pri- mo Conti – Francesco Chiappelli – Pietro Parigi

1. San Miniato il 19 aprile 1954 3. Caro e gentilissimo Maestro, Pregiatissimo Signor Rosai, ricevo oggi la comunicazione che il mio quadro è stato accettato a pur non attendendo dalla Vostra lettera un così decisamente atteg- concorrere al “Premio Marzotto” e sono a ringraziarla, sentita- giamento rosaiano della più bella acqua, vi siamo grati del vostro mente, per la buona nuova. atto di fiducia alla nostra intelligenza, anche se avete voluto in cer- IL PORTOLANO - N. 47-48 21 to senso sfotterci – Sapevano benissimo che Masaccio, Giotto, non ni (177 pezzi) in una piccola città di provincia in quell’anno non era erano che maestri, che artigianucci, perché a quei tempi fortunata- stata certamente un’impresa di poco conto, come ha ricordato Luca mente non esistevano le cosiddette circolari artistiche, né i com- Macchi nella sua Laudatio per Dilvo Lotti nel 2006. Il fatto che que- mendatori, né le eccellenze – È però un atto di superiorità fregarsi sta manifestazione fosse inserita nel quadro delle iniziative del Grup- di tutte queste sciocchezze, credere a noi, alla nostra arte e avere il po Universitario Fascista di San Miniato ci documenta la realtà del buon senso di ridere quando si può di tutte queste bellissime, frut- tempo, ma anche la forza di tre giovani intellettuali ed artisti consa- tifere, mondanissime cose – Sapevamo che a voi; cioè a Rosai non pevoli del valore sociale dell’arte e determinati a fare ascoltare la loro sarebbe andato il tono forzatamente ufficiale della prima lettera che voce. vi abbiamo inviato, noi siamo giovani con una certa garantita in- Le lettere di Lotti a Rosai, ma anche quella di Gazzini, ci parla- telligenza al di là di tutte le convenzioni. Ma noi ora rappresentia- no infatti di un fervore che andava ben oltre la cornice politica del- mo un Ente, e se certi atteggiamenti ce li possiamo permettere in- l’evento e anche oltre lo stesso ambito dell’arte figurativa; ci dico- dividualmente, perché sentiamo veramente così – È logico quando no che giovani di parti e di fedi diverse stavano insieme nella co- rappresentiamo un’organizzazione dobbiamo assumere il tono do- struzione di un avvenimento che coinvolgeva tutti in un rinnova- vuto, anche se si può pensare che è meglio scrivere un’altra ma- mento delle coscienze; e che in questa prospettiva Rosai era sentito niera. D’altra parte, noi avevamo creduto con l’ultima nostra di come un compagno di strada. Basterebbe rileggere il pezzo su Ro- avervi fatto capire chi siamo, e soprattutto che cosa vogliamo. Di sai (scritto probabilmente da Lotti) per capire l’intimo convinci- che voi vi dovreste ricordare. Sono Lotti l’amico di Grazzini, sono mento dei proponenti e il loro gioco attorno ad una parola chiave del piccolo, ed ò il buon senso di fregarmi di tutto e di tutti – Credo che lessico fascista, il popolo (cfr. Idea fascista, XVII, 43, Pisa, 9 set- vi ricordiate di me – Se ci è piaciuto il tono canzonatorio, anche tembre 1939, pp. 2-3). troppo elegante per essere di Rosai, non c’è piaciuta affatto la con- La lettera di Dilvo Lotti, infatti, parla della partecipazione del po- clusione; cioè il vostro non voler mandare niente alla nostra mostra. polo e di una “festa del popolo”; ma anche quella di Gazzini insiste Non è un atto degno di voi disertare, e nemmeno quello di non vo- sulla stessa idea del coinvolgimento del popolo, anzi del “popolo ler capire che se noi abbiamo dovuto scrivere delle circolari Arti- vero, quello dei campi”. Non possiamo non pensare che di lì a pochi stiche, è stato perché oggi l’arte ha bisogno pure della cipria, e dei anni, attraverso e oltre la guerra, proprio a San Miniato sarebbe nato tacchi alti. Bisogna pure ricorrere a tutto pur di assicurare il suc- il più importante e vitale esperimento di drammaturgia dello spirito cesso pieno, ma noi non vogliamo uno di quei successi che poi in fin e che la parola popolo sarebbe tornata a risuonare con accenti muta- dei conti non dicono un bel niente, noi vogliamo credere, e voglia- ti nell’orizzonte di una città duramente provata dal passaggio dei te- mo avere la certezza di fare qualcosa per l’Arte, per quelli che deschi in ritirata. sono gli Artisti secondo il vostro cuore. Sarebbe davvero un pecca- Quell’esperimento si sarebbe chiamato Festa del teatro e a gui- to che non si fosse proprio capiti da chi si voleva che ci capisse in darla sarebbe stato l’Istituto del Dramma Popolare. Tornava la parola pieno – Anche se per certe ragioni siamo dovuti apparirgli quello popolo, l’ispirazione popolare e la volontà di una ricostruzione mo- che non siamo – In quanto poi alla favola di avere lo studio vuoto rale e materiale. Il lavoro e la mobilitazione dei tre giovani firmata- di quadri, è una favola coniata per contestare chi à voglia di cre- ri aveva in qualche modo preparato il terreno sul quale sarebbe nata derci. Io malgrado che anche non se abbia voglia, so di non poter- quella gloriosa istituzione, alla quale peraltro il laico Giampieri non ci credere – Voi avete certissimamente lo studio pieno di quadri di avrebbe preso parte: ma le carte Rosai ci hanno conservato la preziosa tutte le età e recentissimi, le vostre cartelle sono zeppe di disegni, e memoria di quel settembre 1939 e di quel fervido orizzonte d’attesa la bugia di non aver detto niente da mandarci è una scusa, come il in una città di provincia. nostro può esservi apparso un pretesto di 3 scemi in vena di firma- re delle lettere – Riepilogando perché ve ne è il bisogno – Noi non PS. Ringrazio il Gabinetto Vieusseux e in modo particolare la crediamo alle vostre risposte ufficiali, né alle nostre richieste uffi- Dott. Ilaria Spadolini. Un grazie anche alla Signora Giuliana Mugnai ciali – Noi crediamo finalmente di essere riusciti a capire. Ed allo- Rosai. ra attendiamo da voi un’altra risposta non meno degna di voi, una risposta da Rosai sul serio che si frega (di) certe sciocchezze e tira addiritto da perfetto artigianuccio sicuro del fatto suo – È così dif- ficile oggi avere la coscienza a posto – Malgrado tutto credetemi V. Dilvo Lotti San Miniato 1 Agosto 1939

Lo stesso giorno 1 agosto 1939 un’altra lettera (anch’essa con- servata all’Archivio Bonsanti) era partita da San Miniato indirizza- ta a Ottone Rosai ed era firmata da Giuseppe Gazzini, che pochi anni dopo sarebbe diventato uno dei più autorevoli protagonisti della vita culturale di San Miniato: anche lui protestava con veemenza e ri- chiamava Rosai ad un atteggiamento meno rinunciatario, degno del suo passato di ‘teppista’. Evidentemente Rosai fu convinto dalle in- INDICI / 1995-2004 - nn. 1-40 calzanti lettere sanminiatesi e alla fine si deve essere deciso a man- dare un suo quadro, Il suonatore, che fu in parte riprodotto nel lun- a cura di Giuseppe Giari go pezzo che l’“Idea fascista” dedicò alla mostra. La mostra si tenne a Santa Chiara, fu inaugurata il 10 settembre 1939 ed ebbe una certa eco nella stampa, come si legge anche nel- Indice generale l’interessante fascicolo speciale che l’Accademia degli Euteleti vol- le pubblicare nel 1989, in occasione del cinquantesimo anniversario Indice delle illustrazioni de La prima mostra d’Arte Città di San Miniato: Dilvo Lotti era sta- Indice alfabetico degli autori to l’estensore del fascicolo commemorativo nonché, ancora una vol- ta, l’animatore delle manifestazioni cittadine. In quel fascicolo non si fa menzione del lungo braccio di ferro con Ottone Rosai, né del qua- Richiedere all’Editore dro politico in cui quella mostra era nata; ma i documenti che oggi o consultare sul sito possiamo rileggere ci permettono di ricostruire meglio il senso di quel www.polistampa.com singolare evento di cultura. In particolare essi ci suggeriscono alcune brevi considerazioni. La prima è che avere organizzato una mostra di quelle dimensio- 22 IL PORTOLANO - N. 47-48 Testimonianza per Rosai

Piero Pananti

a mia fantasia adolescenziale nei confronti della pittura era molto l’arte italiana all’estero e centellinata a dosi omeopatiche quando doveva Lspesso stimolata dalle spiegazioni e dalle entusiastiche riflessioni che necessariamente essere presente alle maggiori esposizioni nazionali mi capitava di sentire a casa, dalla viva voce del mio babbo quando in fa- d’arte. miglia essendo lui, fin da ragazzo appassionato di pittura e pittore dilet- Non sembri questa mia testimonianza una semplice e superficialissi- tante in proprio gli capitava di parlare di arte, (conservo ancora insieme ma valutazione sociologica sul comportamento piccolo-borghese e pro- a suoi lavori più recenti, un dipinto a olio su tavoletta di quando non ave- vinciale di certi collezionisti e amministratori locali. Ma un invito a tener va ancora dieci anni). conto degli effetti che questa ingiustificata, offensiva morale, – unica nel Con il babbo, sempre in compagnia dei miei fratelli, la domenica suo genere – messa in atto principalmente da parvenu della storia dell’arte mattina andavamo come era d’uso all’ora in moltissime famiglie fioren- moderna, da colleghi invidiosi che erano e sono ancora in corsa per una tine, dopo la Santa Messa in Parrocchia, per tradizione familiare e d’ini- supremazia culturale cittadina a cui non piaceva e non piace l’ombra, fat- ziazione per i più piccoli alla migliore conoscenza della nostra meravi- ta di luce e libertà espressiva, che questo gigante aveva involontariamen- gliosa storia cittadina, a visitare chiese storiche e musei fiorentini, questi te creato nei confronti del loro lavoro. ultimi a quei tempi sempre aperti gratuitamente la domenica mattina. Per questi motivi, mercanti collezionisti, critici d’arte e funzionari ac- Mentre le mamme, grazie a questa consuetudine finalmente lasciate creditati presso l’Assessorato alla cultura della nostra città, influenzati da sole dalla figliolanza potevano liberamente sfaccendare in casa e prepa- queste “correnti di pensiero”, fautori nel corso degli anni di una non me- rare il tanto atteso pranzo domenicale. glio identificata “politica culturale cittadina”, volta principalmente a sdradicare il provincialismo fiorentino, facendo di ogni erba un fascio; Anche di Ottone Rosai, della sua opera e del suo mondo fatto di let- in difesa ora dell’arte astratta e informale, ora di quella contemporanea, terati e di allievi ne avevo sentito parlare dal babbo a volte polemicamente (su queste ultime sul piano nazionale al solito, in netto ritardo) non han- in difesa e a sostegno della poeticità del nostro, con i suoi amici di allo- no mai onorato la sua memoria. Né a venticinque anni dalla morte né a ra come lui pittori domenicali, appassionati d’arte e frequentatori di mo- cento anni dalla nascita. Come se il ritardo culturale da sempre lamen- stre. Il babbo in difesa soprattutto dei dipinti di Rosai degli anni cinquanta tato della città fosse colpa solo di Ottone Rosai. Che dopo e insieme a che gli piacevano tanto, sosteneva esserci uno stretto rapporto quasi un le- Fattori nell’era moderna sono i più grandi di tutti. game con la semplicità poetica delle venezie di Virgilio Guidi, le cui qua- lità artistiche al contrario di quelle di Rosai non erano messe in discus- sione. Tutto questo mi raccontava era in netto contrasto polemico anche con il mio nonno materno, suo suocero, il quale uomo dell’ottocento prediligeva il classicismo accademico e la pittura di macchia e come lui tanti, tantissimi a Firenze, sostenevano addirittura che Rosai non solo non essere pittore, ma che non sapesse nemmeno disegnare, come a dire in po- che parole che non valeva neppure la pena di parlarne. Si diceva perfino, per denigrare l’uomo e conseguentemente il suo la- voro, che fosse provinciale, violento, fascista e omosessuale.

Nel tempo ho scoperto, con sempre maggiore sorpresa quanto que- ste malevoli ingiurie, avessero fatto breccia in tanta opinione pubblica, inducendo proprietari o ammiratori di opere rosaiane a non parlarne pubblicamente per paura di correre il rischio di essere additati come fa- scisti o scambiati per omosessuali o per tutti e due!

Questa situazione si era venuta a creare in città e altrove, fin dal pri- mo vero risveglio del mercato d’arte negli anni del dopoguerra 1948-49 quando dal collezionismo d’élite si passò gradualmente a quello di mas- sa, con l’incrementarsi delle gallerie private e del numero dei pittori si intensificarono gli attacchi nei confronti dell’opera rosaiana. Per me che l’ho vissuta da mercante d’arte dal 1958-’59 da quando iniziai quella che è stata la mia professione nella vita è l’unica spiega- zione che mi sono data della ragione per cui ancora oggi a cinquant’an- ni dalla sua morte (Firenze 1895-1957!), Rosai sia l’unico pittore fra i grandi maestri del primo Novecento – che ancora sorprende per il feno- meno – tutto suo –, di frequenti ritrovamenti di opere importanti e bel- lissime, del tutto inedite. Escono dalle case a seguito degli inevitabili ricambi generazionali, per bisogno economico, per divisioni ereditarie e, incredibile ma vero, dalle cantine e dalle soffitte dove erano finite dimenticate subito dopo la guerra. L’opera di Rosai credo principalmente per questi futili motivi è stata sistematicamente bandita dalle più importanti manifestazioni del- Ottone Rosai, Autoritratto (1931) IL PORTOLANO - N. 47-48 23 Presenza di Rosai

Frediano Farsetti

o conosciuto Ottone Rosai nei dio in piazza Madonna, e di ricor- Hprimissimi anni Cinquanta. darli tutti. Non fu un incontro casuale né pas- “Bravo!” mi disse. “Continua, seggero: quell’incontro fu determi- vai alle mostre, portaci anche la ra- nante per la mia vita e la mia car- gazza se ce l’hai, sei giovane, hai riera. tanto tempo per capirli.” In quel tempo Firenze, doloran- Intanto eravamo arrivati in re- te per le recenti offese della guerra, dazione, qui frugò fra mucchi di car- era ancora dei fiorentini; letterati e te dietro la sua scrivania e tirò fuori artisti erano i protagonisti della vita un libretto con scritti di Rosai. culturale cittadina e ovunque se ne “Tieni, leggi, se hai sensibilità ti sentiva la presenza: sui giornali, nei accorgerai come Ottone anche quan- circoli ricreativi (quasi tutti di sini- do scrive intinge la penna diretta- stra), e nelle botteghe. mente nel cuore.” Nella Firenze del dopoguerra si “Grazie dottor Bilenchi.” erano formati due schieramenti; da “Che dottore”, ribatté, “chiama- una parte gli astrattisti (Berti, Bru- mi Romano e dammi del tu; sarai un netti, Monnini, Nativi, Nuti e tutti ‘compagno’, spero; e poi mi fa sen- coloro che facevano capo alla Gal- tire più giovane, avrò da campare sì leria Numero di Fiamma Vigo) non- e no sei mesi. Lo sai? ho sette ma- ché pittori figurativi come Farulli, lattie diverse e tutte gravi. Pensa!” Grazzini, Midollini, Papasogli e tan- (Il buon Bilenchi è morto nel ti altri. La loro pittura niente aveva 1989, ottuagenario.) in comune, ma su un fatto erano Fra quegli scritti “Via Toscanel- d’accordo: Rosai rappresentava la” fu quello che più mi piacque, l’antipittura, l’anticultura, il fascista forse perché ero fiorentino d’Oltrar- pentito, il passato da dimenticare! no, assiduo frequentatore di quel L’altro schieramento era forma- triangolo fra piazza Pitti, via Mag- to prevalentemente da poeti (Luzi, gio, borgo San Jacopo. Un triangolo Betocchi, Bigongiari, Montale, Leo- pieno di botteghine, falegnami, do- ni, Ungaretti, Gatto) e scrittori (Pra- ratori, artigiani di vario genere, con tolini, Bilenchi, Parronchi, Tobino) tanti odori nell’aria – soffritto, colla ma anche pittori (come il nipote di e alcool dei restauratori di mobili – Rosai, Bruno, Marcucci, Tirinnanzi, Ottone Rosai, Ritratto di Frediano Farsetti (1955) e in mezzo, come una spina dorsale, Caponi, Capocchini) per i quali Ro- via Toscanella che finisce in piazza sai era un pilastro della cultura del della Passera, teatro memorabili par- Novecento toscano e non solo di privano un Giotto o un Botticelli ad accompagnarlo fino giornale che tite di calcio ‘a una porta’ fra noi quella. con la speranza di risolvere i propri si trovava a pochi passi da noi, in via ragazzi per niente intimoriti dalle Avevo conseguito da poco la li- guai. Questo ambiente finì per af- Ricasoli. Strada facendo mi chiese urla del vinaio di fronte e dello spet- cenza di computista commerciale, fascinarmi, tanto da smettere gli come mai un garzone era interessa- tro del ‘briga’. Tutto questo vedevo, quando entrai a bottega da un corni- studi. to a Rosai. “Semplice!” risposi. e rivedo ogni volta che mi capita di ciaio artigiano di via Ricasoli. Con In bottega capitava a volte un ti- “Tutti i pittori che vengono in bot- rileggere quel piccolo ‘poema’. questo lavoro mi ero prefisso di zio molto pallido, ancora giovane, tega ne parlano, male, ma ne parla- Da quel giorno l’intenzione di mantenermi ai corsi serali della ‘Saf- che il padrone chiamava dottore; no e questo mi incuriosisce.” conoscere quel mito discusso e con- fi’, una scuola alberghiera il cui di- parlava continuamente dei propri “Alcuni di questi” rispose “sono trastato diventò più forte, volevo ploma era sospirato da tanti giovani malanni ed era carico di boccette di anche bravi, è giusto farsi sentire, stringere la mano che dipingeva in previsione dello sviluppo turistico medicine. cercare di rinnovare il vecchiume, come gli antichi e scriveva cose su- di Firenze. Quando seppi che era Romano l’accademia, la pittura di regime, blimi, quand’anche becere. Ben presto capii che non ero Bilenchi, scrittore e mitico direttore fanno bene! Lo so che contestano Mi ero trasferito intanto con la portato a fare il segretario d’alber- del Nuovo Corriere, che vantava la Rosai… ma sono dei bischeri! Rosai mia famiglia nei dintorni di Firenze, go. I personaggi che frequentavano miglior terza pagina tra i quotidiani è un’altra cosa, oltre a essere un mio oltre Poggio Imperiale, considerato la bottega contribuirono non poco a italiani, non resistetti alla tentazione amico, è un grande artista, ma ci vor- ora periferia. farmi cambiare idea. Dal corniciaio di chiedergli cosa ne pensasse di ranno anni prima di capire la sua Tutte le mattine passavo in moto era un via vai di ‘tipi’ (proprio di quel pittore che molto mi inte- grandezza. Conosci i suoi quadri.” da via San Leonardo, per recarmi al tutti i tipi!), provenienti da quella ressava, Ottone Rosai. Mi aspettavo Risposi di averne visti almeno una lavoro; nel tratto in cui sapevo es- città che pullulava di artisti veri e un’alzata di spalle, ma la mia inge- ventina in bottega da incorniciate per serci lo studio di Rosai, rallentavo falliti, critici d’arte o esperti cono- nua sfrontatezza lo sorprese. collezionisti di Prato e anche per Gi- l’andatura con la speranza di incon- scitori, mercanti che ogni tanto sco- Non mi rispose subito, mi invitò raldi, suo mercante, che aveva lo stu- trarlo, fermarmi, chiedergli se aves- 24 IL PORTOLANO - N. 47-48 se bisogno di cornici per trarne ma- vetrine con pubblicazioni e disegni; studio si riempiva; oltre a France- gari qualche vantaggio, poiché in in mezzo una scala molto ripida che sca, la moglie di Ottone, che lui col- parte già lavoravo per mio conto. portava ad altre due stanze; a destra mava di attenzioni, vi erano, tra gli Quel ‘balzello’ non funzionò, lo studio e a sinistra una cameretta altri, Caponi con la moglie Loretta, non lo incrociai mai. Fu un mio semi-buia. Di fronte al letto una l’immancabile Santini, Leoni, Lof- cliente, Rinaldo Burattin, eclettico scaffalatura colma di quadri e sul fredo, Giraldi, il capitano Minucci, pittore pratese di origine triestina, comodino una ciotola traboccante di Peyron e Fracassini, due artisti con- che sapevo amico di Rosai e ispira- cicche. finanti di studio, e naturalmente il tore e consigliere di collezionisti Lo studio era abbastanza lumi- sottoscritto. pratesi che portava spesso in via San noso con quadri affastellati alle pa- Per me furono anni tanto mera- Leonardo ad acquistare opere del reti, un cavalletto, una tavolozza con vigliosi quanto difficili. Ma ecco la Maestro, a darmi un biglietto di pre- un’incredibile gruma di colore, mes- svolta; con mio fratello Franco che sentazione. sa sopra un tavolo, un vecchio diva- si era aggregato da tempo, coadiu- Incontrai Rosai allo Chalet Fon- no dell’Ottocento e poco altro. Da vati da Lamberto Mari, intelligente tana sul viale dei Colli; era seduto questa semplicità emanava un fasci- e tenace collaboratore, tuttora indi- fuori al tavolino con le gambe acca- no magico, si capiva subito che vi si spensabile, decidemmo di aprire la vallate, l’immancabile sigaretta in aggirava un artista. prima vera galleria. Ne parlai a Ro- bocca, tra un capannello di amici, Ci accordammo quasi subito su sai; all’inizio sembrava tutt’altro che poi diventarono anche i miei: certi lavori da incorniciare, si fidò di che entusiasta. Pier Carlo Santini, il suo allievo me, Capii che era il mio giorno for- Borbottò infatti per qualche Dino Caponi, Loffredo, Leoni e altri. tunato. giorno: “Oh che hai perso il cervel- Ottone Rosai, Cestello Confesso: se lo avessi incontra- Iniziò così un rapporto di lavoro lo anche te? Non son tempi per ri- to per strada, non avrei pensato che che cercai sempre di mantenere al schiare. E se a Prato non si vende fosse Rosai. meglio. Dopo un po’ di tempo ero più stoffa? Poi non ti far più vedere, Era l’opposto di come l’imma- fra i pochi ammessi a maneggiare sai, quando io chiudo, chiudo.” ginavo; lo pensavo di media statura, le sue oper delle quali era gelosissi- Dissi che l’avrei fatto con o sen- con i capelli mossi e gli occhi neri e mo. za la sua benedizione. Com’era nel pungenti come certi artigiani di San Fu per suo suggerimento che suo favoloso e imprevedibile carat- Frediano. Aveva invece uno sguardo aprii la mia prima galleria-laborato- tere, mi dette una gran pacca sulla dolce e rassicurante, per niente pre- rio a Prato, in questa città alle porte nuca e aggiunse: “Bisogna che tu suntuoso, i capelli lisci e lunghi, di Firenze, ma così diversa per men- faccia una cosa seria, ma proprio spettinati, che ogni tanto ravviava talità. A Prato si chiacchiera poco e seria.” all’indietro con la mano. Ciò che più si lavora molto, anche una persona Così la spuntai facendomi addi- mi colpì furono proprio le grandi apparentemente modesta conosce i rittura anticipare una cospicua som- mani, quasi sproporzionate rispetto musei, va all’estero, e biascica qual- ma in conto lavoro futuro. al fisico pur alto e massiccio, con che lingua straniera; piena di rumo- Il giorno dopo Rosai telefonò a unghie simili ad artigli. Il volto era rosi telai, fili dappertutto, sulle siepi, Enrico Vallecchi perché mi prestas- bello e fiero come quello di un guer- per strada, sui furgoni, così mi ap- se i quadri più belli della sua colle- riero antico. parve la città di quei giorni; un luo- zione per la mia prima mostra, e me Mi sedetti e timidamente gli por- go in cui si sposavano il lavoro con ne segnalò tanti altri. si il biglietto. la bella casa e la collezione d’arte. Era il 1955 quando nacque quel- “Ah, Rinaldo, parla e disegna Per anni Prato fu meta di artisti la che oggi è la Farsettiarte. Grazie con una velocità incredibile” esordì. internazionali, e in parte lo è ancora, alla nostra giovane incoscienza, te- “Sai, una volta, a questo tavolo, in e si facevano esposizioni nei risto- nacia, e alla forza che ci aveva dato mezz’ora mi ha fatto una ventina di ranti e nei bar, Caffè della Posta, il grande Ottone Rosai, che, quando ritratti e tutti somiglianti; ha proprio Caffè Bacchino, Bar Maddalena, vide la nuova galleria, rivolgendosi le mani d’oro lui! E poi conosce tut- Caffè dell’Alba, all’Associazione al collezionista Marcello Tozzi che ti i ricchi di Prato. Tu sei di Prato. turistica, nei circoli privati, e infine lo accompagnava, disse: “Vedi Toz- Sei ricco.” nelle gallerie. zino che anche le querce a volte “No professore”, risposi, “sono I primi tempi furono per me ab- possono fare i limoni. Basta insi- fiorentino, abito non lontano da qui bastanza difficili; ero giovane e l’ul- stere.” e non sono ricco, anzi! Però ho vo- timo arrivato, riuscivo a cavarmela Questo mio ricordo di un uomo glia di lavorare, faccio le cornici, vendendo qualche quadro avuto in vero e di un artista ineguagliabile come c’è scritto nel biglietto, e amo conto vendita da Rosai. vuole solo essere una testimonianza la sua pittura. Posso esserle utile.” Ogni giorno, per diversi anni, di chi lo ha conosciuto, apprezzato e “Può darsi, visto che riesci ad andando a Prato, passavo, verso le amato. accontentare uno difficile come i’ otto del mattino, dallo studio di via Spesso mi trovo a parlare di lui Burattini.” E continuò: “Di te mi ha San Leonardo per prendere col Mae- anche con i miei figli; fatti, aneddo- parlato anche il Tozzi, possiede una stro un caffè da Fontana, le even- ti, battute che mi sembrano accadu- decina di miei quadri, tutti incorni- tuali ordinazioni e gli indispensabi- te l’altro ieri. Devo fare uno sforzo ciati da te, credo. Vieni con noi, an- li incoraggiamenti. per ricordare che Ottone è morto da diamo allo studio, e vediamo se ho Rosai nel frattempo aveva aper- tanti anni. Sarà che son sempre a qualcosa da farti fare.” to anche un nuovo studio in via de- contatto con Rosai tramite i suoi di- C’incamminammo tutti per via gli Artisti; là si ritirava dopo una pinti che possiedo, ammiro, maneg- San Leonardo che era proprio di giornata di lavoro per continuare a gio e commercio, sarà che la sua fronte. dipingere fino a che non arrivavano personalità e umanità hanno qual- Allo studio si accedeva diretta- gli amici. Allora si discuteva, si gio- cosa di immortale, ma se lui entras- mente dalla strada attraverso un por- cava a carte o si guardava la grande se da quella porta non penserei a un toncino verde. Vi erano due stanzet- novità del momento, la televisione; fantasma, ma a un vecchio amico te laterali ben tenute dal segretario era l’unico, fra quelli che conosce- che è stato a prendere un caffè da Bertolini, con dipinti alle pareti e vo, a possederla. Verso le dieci lo Fontana. Ottone Rosai, Arco delle carrozze (1920) IL PORTOLANO - N. 47-48 25

scambio fra artisti affermati o ancora poco conosciuti, fra Italiani e stranieri, fra letterati, poeti, pittori, scultori, sce- nografi, musicisti e architetti. Non si Ottone Rosai trattava di sottomettersi a delle leggi di mercato, ma di lasciarsi guidare dalla propria sensibilità e dagli spunti di ri- flessione che venivano fuori dagli in- contri quotidiani. E Rosai apprezzava quell’atmosfera. In primavera, lanciai l’idea della all’“Indiano” mostra “Arte e sport” alla quale rispose subito Rosai con splendidi acquerelli sul ciclismo. Poi, ad ottobre, L’Indiano Ottone Rosai, Ritratto di Paolo Marini Paolo Marini fu la sede di un altro evento ecceziona- (1954) le che contribuì a riavvicinare Maccari e Rosai dopo un periodo di attrito. I po’ di soldi a qualche amico in diffi- u Piero Santi da poco conosciuto a cermi, m’interessavo di arte e di lette- maggiori rappresentanti della cultura coltà. A proposito della generosità di Fpresentarmi Ottone Rosai nella pri- ratura, ma non mi sentivo all’altezza. fiorentina erano presenti all’inaugura- Rosai, seppi più tardì che durante la mavera del 1954. Sia Piero che Ottone Alla fine l’ebbe vinta: “Con Mario Novi zione della mostra di Mino Maccari. guerra aveva nascosto e protetto non divennero subito i miei inseparabili imparerai storia e critica dell’arte, mi Rosai pronunciò in quell’occasione un solo Fanciullacci, ma anche Enzo Fa- amici. Più giovane di loro, provavo ri- disse, poi andrai a studiare disegno da commovente discorso (pubblicato sul raoni dopo che quest’ultimo aveva fat- spetto ed ammirazione nei loro con- Marcello Guasti ”. “Nuovo Corriere” del 9 ottobre) in to esplodere, a Carmignano sull’Arno, fronti e non dimenticherò mai la corte- L’Indiano risuscitò dalle sue cene- omaggio al suo amico toscano, uno dei un treno carico di dinamite destinata a sia di Ottone quel giorno. Dopo aver ri il 2 aprile 1955 al mezzanino di uno promotori della rivista e del gruppo “Il far saltare Firenze. Rosai e Maccari fu- parlato con me amichevolmente, passò dei più bei palazzi Liberty di Firenze, in Selvaggio” dove anche Rosai collabo- rono artisti fondamentalmente socialisti come al solito d’un ospite all’altro. Nel Borgognissanti al 26, con la mostra del- rava alla lotta contro il conformismo rivoluzionari che si orientarono un tem- momento in cui stava per uscire, fu sul le opere recenti di Rosai insieme a dei borghese. Ottone concluse la sua pre- po verso il fascismo per poi diventarne punto di dimenticarmi, ma se ne accor- suoi disegni inediti del 1905. Silvano sentazione delle opere di Maccari con nemici. Nel carattere di Rosai c’era an- se e tornò indietro apposta per salutar- Giannelli scrisse sul “Giornale del Mat- delle parole che sembravano anche de- che uno spiraglio di umorismo: Rosai, mi. Rimasi colpito da questa sua atten- tino” che la pittura di Rosai appariva scrivere la sua più profonda natura di Maccari, Santi e Fracassini avevano zione. Era un uomo complesso, pieno di allora come “un soffio levitante, senza uomo e di artista: Maccari, disse, non è realizzato la registrazione di una delle dolore e di felicità. Con Piero sono an- quasi più peso di materia, senza più al- giunto alla vera pittura, “ma sempre vi loro performance comiche in cui ognu- dato spesso nel suo studio di via San cun ingombro di complicate preoccu- è stato per essere uno di quegli uomini no interpretava satiricamente il ruolo Leonardo, una delle vie da lui immor- pazioni intellettuali”. All’inaugurazione genuini e semplici che non presumono di un personaggio losco in giro la not- talate fuori dal luogo e dal tempo, con partecipò una grande folla di artisti, troppo di se stessi e che all’arte si ac- te alle Cascine. Un’altra volta Rosai una sospensione quasi metafisica. Ep- scrittori, critici, amici e collezionisti, costano senza orgoglio. Persino con ti- costrinse persino Piero “Santi” a posa- pure Rosai rappresentava per noi il fra i quali Piero Bargellini, Alessandro more e speranza. L’arte chiede questa re inginocchiato per rappresentarlo maestro del più crudo realismo che ave- Parronchi, Piero Bigongiari, Romano umile disposizione dell’animo ai suoi come una delle “sante” donne ai piedi va stravolto il perbenismo formale di Bilenchi, Enzo Faraoni, Michelangelo fedeli perché è fatta anche di qualche del Crocifisso. L’opera, che Giorgio La tanta pittura italiana. Fra l’altro, lo stes- Masciotta, Ugo Capocchini, Mario incertezza, di dubbi, di un po’ di buona Pira fece installare di notte nel più so Francis Bacon dichiarò che Rosai Novi, Dino Caponi, Alberto Moretti, fortuna”. “Sono venuto ad esporre al- grande segreto, si trova nel tabernaco- era l’unico pittore italiano che lo inte- Bruno Rosai, Sergio Scatizzi, Marcello l’Indiano – rispose Maccari – per un lo in largo Enrico Fermi, vicino al ri- ressasse. Il contesto fiorentino non sor- Guasti, Mario Fallani, Leo Mattioli, Sil- atto di omaggio a Firenze: questo è in- storante Crispino. retto da una forte componente critica vano Bussotti, Silvio Loffredo, Alberto fatti un tributo, il pagamento di un vec- Tante volte raggiunsi anche Rosai ufficiale non riusciva a sostenere i gran- Perugi, Fernando Farulli, Renzo Graz- chio debito, perché è proprio vero che allo Chalet Fontana e dopo, il venerdì, di autori che operavano a Firenze. E si- zini, Raffaello Salimbeni, Manlio Can- io sono venuto qui a farmi le ossa”. da Crispino dove l’artista riuniva degli curamente questo è stato un incentivo cogni, Lucio Venna, Gino Bartali, Car- Ad ascoltare ci fu, fra l’altro, Bi- amici a cena. In quelle occasioni, L’In- per l’arte di Rosai, perché di lui s’inte- lo Mattioli, Alceste Nomellini, ecc. lenchi, Parronchi, Vallecchi, Caponi e diano contribuì anche a favorire la ri- ressavano Santi, Luzi, Parronchi, Be- In quella meravigliosa sede, L’In- Novi di cui Rosai aveva fatto i ritratti conciliazione fra Rosai e gli astrattisti tocchi, Gatto, tutti scrittori che gravite- diano disponeva, oltre alla sala delle che espose all’Indiano alla fine dello fiorentini (Berti, Monnini, Moretti, Na- ranno poi all’Indiano. Piero conosceva mostre, di una saletta, subito battezzata stesso mese di ottobre, insieme a quel- tivi, Nuti, ecc.). Dopo un primo anno di Ottone da quasi trent’anni e aveva già da Scatizzi “il Pensatoio”, dove si ri- li di vari altri amici (Betocchi, Bo, Bi- attività intensa e di grande successo, si pubblicato Gli autoritratti di Rosai trovavano gruppi di artisti, intellettuali gongiari, Fracassini, Leoni, Luzi, Mac- prese l’iniziativa di organizzare una (1943) e Rosai (1953). e amici: non tutti potevano varcare la cari, Santi, ecc.). Piero Santi curò la mostra itinerante attraverso la Tosca- Per Natale e l’ultimo dell’anno, ab- soglia. Rosai, con una vitalità fuori dal presentazione e pubblicò I Ritratti del na, con il patrocinio del “Nuovo Cor- biamo passato le feste con Rosai nell’i- comune, animava ogni giorno i dibatti- 1955 di Ottone Rosai nei Quaderni del- riere”. Furono scelti trentotto autori fio- sola Maggiore sul lago Trasimeno in- ti ed apprezzava l’eterogeneità di que- l’Indiano. Infine, a dicembre, Rosai par- rentini affermati come Rosai (con la sua sieme alla moglie Francesca, a Loretta sto focolaio di creatività che riuniva uo- tecipò alla collettiva che riuniva opere opera Il comizio), poi in ogni città, ag- e Dino Caponi, poi Beppe Bongi, il gal- mini e donne di tutti gli orizzonti e dove di alcuni maestri italiani: Campigli, Ca- giunsi una serie di artisti locali accanto lerista Tanino Chiurazzi ed altri. Lì Ro- ci si scambiavano i propri punti di vista pocchini, De Pisis, Guidi, Guttuso, Mo- a quelli fissi, in modo da far scoprire sai mi fece due bellissimi ritratti. Piero in piena libertà. Spesso Rosai dava an- randi, Sironi, Tomea e Tosi. nuovi talenti. Pier Carlo Santini si oc- Santi raccontò divertito il ritorno me- che il suo parere ai giovani artisti che Ma oltre agli incontri in galleria, cupò della presentazione critica per l’i- morabile da questa vacanza in Da un venivano in galleria a far vedere i loro ritrovavo Rosai in via degli Artisti al 6 naugurazione di Firenze. Quell’an- tetto e nelle strade (1967). All’epoca, lavori e questo ruolo di maestro gli pia- dove c’era la mia abitazione e lo studio no, collaborarono all’Indiano, oltre a mi preparavo a trasferirmi a Bologna ceva. Poi le riunioni proseguivano la di Rolando Fracassini aperto agli ami- Mario Novi e Silvano Giannelli, anche per un nuovo lavoro quando Piero ebbe sera, sempre con Ottone, al ristorante ci (in un secondo momento anche Ro- Masciotta, Baldacci e Valsecchi. Que- voglia di arruolarmi nella pazza impre- “Pinocchio”, via della Scala, diretto da sai prese lì uno studio). Lunghissime st’ultimo presentò, a maggio, un’altra sa di riaprire la sua galleria L’Indiano, Mamma Gina. Fin dall’inizio, conce- discussioni con tanti ospiti mentre Ro- personale di Rosai all’Indiano dedicata morta dopo appena cinque mesi di atti- pimmo l’Indiano come una provoca- sai dipingeva piccoli quadri per met- alla “Primavera”, con opere scelte fra vità nel 1951. Ci mise un po’ a convin- zione non pianificata, uno spazio di terli all’asta subito e procurare così un quelle dipinte tra il 1955 e l’inizio del- 26 IL PORTOLANO - N. 47-48 lo stesso anno (come La strada o Il cancello) e con se- dici illustrazioni che risalivano al 1930-32. “Una mo- stra così intensa Rosai non l’aveva compiuta da anni”, scrisse Valsecchi abbagliato da quell’azzuro rosaiano che aveva ceduto d’improvviso ad un “bianco dilu- viale” sulle case d’Oltrarno, i suoi cipressi, gli ulivi e i tavoli d’osteria. Rosai. Testimonianze Nel gennaio 1957, si propose la mostra “Una col- lezione fiorentina” che raggruppava opere di grandi artisti stranieri (Braque, Léger, Mirò, Picasso) insie- me a grandi Italiani quali Rosai, Sironi, Cassinari, Mario Carlo Reggiani, Viani e Casorati. Il mese successivo, misi Rosai accanto a Carrà, De Pisis, Guidi, Guttuso e Mafai. Si vedeva Rosai praticamente ogni giorno. Lavorava ad un ritmo impressionante e portava rego- Luzi Betocchi larmente quadri ancora freschi in galleria. L’11 mag- gio, si inaugurò la mostra “Pittori fiorentini” con nuo- ve opere sue. Il 13 maggio, Rosai morì alle sei del mattino in albergo ad Ivrea dove si svolgeva una re- I suoi ombriferi “prefazi” Un sasso nel cuore trospettiva delle sue opere presso il Centro Culturale Olivetti. Per una strana sensazione, che ricordo come se fosse ieri, quello stesso giorno, a quella medesima ora, a centinaia di chilometri di distanza, mentre ero a Colle Val d’Elsa, mi svegliai all’improvviso, preso da uno sconforto indicibile. Il filo che mi legava a Ro- sai si era rotto. Mi precipitai a Firenze in Galleria dove, più tardi, arrivò Piero con la terribile notizia. Eravamo sconvolti, non si riusciva a crederci, tanto più che avevamo visto Ottone il giorno prima della partenza in piena forma, con due quadri sotto il brac- cio e tanti progetti per il futuro. L’Indiano rese omaggio al suo più grande amico, questo gigante, che aveva subito creduto alla nostra folle impresa e ci aveva dato tutta la sua fiducia. Ad ottobre, si presentò altre sue opere insieme a sei dise- gni inediti che illustravano i meravigliosi Canti Orfi- ci di . Poi L’Indiano continuò a proporre Rosai e a farlo conoscere ai più giovani anche dopo la sua morte. Andrea Granchi, Luzi Nel 1962, ho aperto la seconda sede dell’Indiano a Mi- lano (via Montenapoleone, 21) con una mostra di Ot- … Eppure quei malintesi poi quasi generalmente tone. Giansiro Ferrata ci tenne una conferenza sull’o- accantonati adombravano una parte di vero, quelle in- pera del maestro fiorentino scomparso. Seguirono di- gannevoli suggestioni erano “di lor vero ombriferi verse altre retrospettive, fra cui la Mostra Mercato del prefazi”. In realtà mediante quella collusione con il 1964 al Palazzo Strozzi. Il 24 aprile 1965, gli dedicai minimo popolare, con la struggente e severa pecu- la 174° mostra della galleria: Rosai e Emil Schuma- liarità idiomatica, con il dialetto apparente, a rischio, cher. Nel 1969 si organizzò un’altra mostra di disegni, come abbiamo veduto, di un offensivo fraintendi- manoscritti autografi ed oli per la quale curai la pub- mento, Rosai operava una conversione di cui forse na grande stagione è finita. E la morte di blicazione di un volume che raccoglieva le testimo- solo adesso (1987, n.d.r.) ci si manifesta tutta la se- URosai è una di quelle a cui si addirebbe il la- nianze di amici (Baldacci, Betocchi, Bigongiari, Bo, rietà. Attraverso quella iconografia diminuita, avvi- mento di Lorca per la morte del torero. Ma è inu- Bonsanti, Bramanti, De Micheli, Guttuso, Lisi, Macri, lita e derisa, l’uomo còlto nella sua mortificazione tile, per ora, che noi, che abbiamo l’età di Ottone, Masciotta, Micacchi e Santi). Piero vi scrisse: “Rosai riacquista una cittadinanza e un’attendibillità nell’u- lo ridiciamo ai più giovani. Se hanno la riverenza è ancora vivo, crudele e pieno di amore; è qui, aspet- niverso dell’arte che ormai rispecchiava solo la sua dell’arte, Dio li benedica. Ma non potranno mai to che varchi la porta…”. Nello stesso anno fu edita imbalsamazione o la sua scomparsa. Soltanto a prez- sapere come, da varie parti confluita, crebbe con dall’Indiano la monografia minima curata da me con zo di quell’amaro pedaggio rientrava senza essere Ottone una ragione dell’arte, e rigerminò da Fi- testo di Marco Valsecchi e ritratti di Bonomi, Farao- né assurdo né intruso in un luogo che era stato suo. renze, nella sua pittura, ancora una volta, una vir- ni, Leoni, Bigongiari, Pistolesi, Luzi, Moretti, Capo- Rosai che è un luminoso cantore delle forme ginea città universale. ni, Marini e Santi. Sulla copertina figura un autoritratto della natura o, se volete, del paesaggio umano quan- Io non so spiegare niente. Ho un sasso nel di Rosai. do l’uomo se ne è ritirato non può e non intende cuore. Ed ho un solo quadro. Ho conservato, di Ancora oggi, a distanza di mezzo secolo, L’In- sfuggire al nodo del problema, al fulcro della sof- lui, la povertà rigorosa con cui nasce la poesia. diano viene spesso collegato a Rosai. Un uomo la ferenza. Al pari degli altri grandi toscani suoi coe- Ho questo ricordo in uno dei suoi quadri più cui personalità ha lasciato per sempre la sua impron- vi, Tozzi, Viani, il sentimento tragico della vita non modesti, e tutta la sua pittura per consolarmi, e ta nella mia memoria: ricorderò qui solo il famoso gli consente di distrarsi dall’uomo, di non incom- l’essere vissuto da giovane negli stessi suoi anni. episodio dello scontro violento fra noi dopo una par- bere sulla sua contraddizione e sul suo scandalo, di Quando nasceva, quando, primamente, farneti- tita a scopa che avevo vinto. Di fronte al sorriso in- non tormentare l’immagine interrogando i segni che cava. Guardo, stasera, nella luna, che comincia a genuamente provocatorio dei miei vent’anni, l’im- porta scritti nel volto (…) La tormentata umanità di eclissarsi, nell’ombra torbida che mi stringe il ponente Maestro si alzò d’un colpo in piedi e mi urlò: Rosai ha salvato questi relitti di un’epoca oppressi- cuore, e che galleggia sulla tua città, curve di “Non mi prendere per il culo, ho sessant’anni…”. va, violenta, numeraria, nullificante dal diventare muri, figure proterve, figure di solitudine, e del Ma la furia durò poco e vedendomi dispiaciuto, mi manichini, robot, numeri: ha potuto non profanare la bianco che resta l’inconsolato smagliare dei pra- batté una mano paterna sulla spalla dicendo: “Dai, su, loro creaturale individualità, ha lasciato ciascuno al ti alle scorze rugose che t’ammalavano di pas- su, scherzavo…”. suo misero o grande dramma. sione. IL PORTOLANO - N. 47-48 27 estimonianze Alessandro Renzo Parronchi Gherardini Gli inizi di Rosai Il primo incontro

fervori per l’arte si mescolassero anche ser- peggianti fermenti politici, tra i quali prese campo una dura polemica nei confronti di ar- tisti legati, in anni passati, al regime fascista: inevitabile che Rosai ne venisse coinvolto. Quest’opporre ragioni estranee all’arte, e uti- lizzarle fors’anche unendole a una sotterra- nea valutazione critica dell’opera artistica, su- scitò in noi una viva ribellione. In me nacque subito il desiderio di una testimonianza in fa- vore di Rosai e immediatamente, dopo avere assistito a una di queste assemblee, giunto alla casa di campagna dove in quel periodo vive- vamo, scrissi di getto un testo in cui si di- chiarava come le eventuali responsabilità po- litiche di Rosai non significassero nulla ac- a quando, nel mio articolo su “Paragone” del gen- canto al valore per noi esemplare della sua Dnaio del ’52, ho cominciato a ricostruire gli inizi di opera, e mettevo in evidenza la luce che que- Rosai, mi sono accorto che quel che lo distingue da a guerra si era da poco allontanata da Fi- sta gettava nel nostro animo. qualsiasi altro pittore della sua generazione, è che il suo Lrenze. Era l’autunno del 1944. Si era Ricordo che quando, in una successiva se- inizio non è segnato da una esuberanza di temperamen- come aperta una finestra dal buio della stanza: duta, io lessi il mio scritto (e con me eran pre- to ma da una ferma determinazione, è opera volontaria e attraverso di essa uscivano all’aria libera i senti gli amici, tra cui Enzo Faraoni, Beppe e meditata. È quanto da lui ottiene, nei quattro anni in cui sogni della giovinezza; appunto, il fiume del- Bongi, Mario Innocenti, Piero Santi, ma anche frequenta l’Istituto di Belle Arti, l’insegnamento del le aspirazioni più vive, più genuine, che, na- altri che ora non so precisare), suscitai con la maestro d’incisione Celestino Celestini. (…) Soffici scendo dall’intimo, cercavano di unirsi a vol- mia fervida difesa di Rosai un vero scompi- aveva scritto con convinzione, con penetrazione e con ti, a figure che colmassero, nell’animo, il de- glio e proteste nell’assemblea, non dirò nei simpatia. E che fosse convinto risulta anche dalla lette- siderio di miti. Miti di paesi e di uomini, che miei confronti di giovanissimo del tutto sco- ra che aveva indirizzato a Carrà il 4 gennaio 1921: “ Sa- avevano, tuttavia, salde e profonde radici nel- nosciuto, e in fondo estraneo, perché non pit- prai che a Firenze ci fu ultimamente una esposizione di la realtà. Già da qualche anno, fin dal liceo, tore (ma arte e poesia son sempre andate in- Rosai e che ha avuto successo. Era una cosa molto bel- anch’io alimentavo la mente e il cuore col sieme), contro, invece, il mio generoso mes- la che ti avrebbe meravigliato come ha meravigliato tut- sangue di queste splendide passioni, le quali saggio di fiducia nelle superiori ragioni del- ti quelli che l’hanno vista. “Un pittore è nato fra noi” e eran tramite a opere concrete e personaggi fa- l’arte. farà cose bellissime, vive e sincere. Io stesso non crede- scinosi. Una di queste realtà intimamente le- Rosai seppe di quanto era accaduto e volle vo mai che in due o tre anni quel ragazzo potesse tanto gate ai miei sogni era Ottone Rosai, natural- conoscermi. Per cui, un giorno, accompagna- avanzare nell’arte”. Ma il consenso di Soffici, maestro ri- mente attraverso quello che conoscevo della to da Piero Santi, che fu in quel tempo per noi conosciuto del pittore, non fu l’unico. Fu Giorgio De sua opera, alla quale mi avevano avviato ami- giovani una vera guida sul difficile sentiero Chirico a dare un altro autorevole lasciapassare al gio- ci alla pari, come Enzo Faraoni, e amici mag- dell’impegno letterario e artistico, insieme ad vane artista scrivendo di uno dei sedici disegni esposti: giori, come Piero Santi. Questo breve prologo altri amici coetanei partecipi di quell’atto di “… ci ricordiamo con vivo piacere che alla Mostra di è necessaria premessa a quello che sto per ri- fede, un giorno, dunque, salii allo studio di Rosai, in mezzo alla parete occupata dai disegni, scor- cordare. via San Leonardo, che a me parve un pellegri- gemmo una mano, sì una mano, una vera mano con tut- Il legame coi coetanei pittori, che opera- naggio a un luogo sacro. L’affettuosa, ma in- te le ossa e i tendini a posto, era ma mano di Ottone. vano a fianco degli amici della poesia, era sieme anche pudicamente riservata, acco- … Ma da quel 1920 in cui il pictor optimus si era ben stretto e fervido: tutto quello che accade- glienza di Rosai mi fece entrare nel numero così espresso, se non la critica più avvertita certo il co- va nell’àmbito dell’arte volava subito entro i degli amici; tanto che, in occasione della prima mune apprezzamento sull’artista avrebbe fatto negli confini letterari, e lo scambio era reciproco e sua mostra a Firenze a guerra non ancora fini- anni molti passi indietro. (…) È giusto quindi che il intenso. Fu inevitabile dunque che la notizia ta, nell’aprile del 1945, alla Galleria “Il Fiore” discorso si riapra oggi (1995) che l’Accademia delle della creazione, da parte di un numero note- di Corrado Del Conte, mi chiese una mia te- Arti del Disegno ricorda Rosai disegnatore nel cen- vole di pittori fiorentini, di un loro sindacato stimonianza nel catalogo dalle dimesse vesti tenario della sua nascita. E speriamo, con quanto si fosse a tutti noi nota. Si ebbe notizia che nel- che la precarietà dei tempi imponeva: fu quel- potrà dire, di andare un po’ avanti rispetto a quanto le le prime riunioni (in una grande sala al primo lo il mio primo, anche modesto, ma appassio- “voci malevole” avevano insinuato. piano di un palazzo di piazza Frescobaldi) ai natissimo, scritto stampato. 28 IL PORTOLANO - N. 47-48 Rosai. Testimonianze

pittore, secondo le più inveterate tradizioni del- l’arte fiorentina dei secoli passati. Il libro del Romano Piergiovanni teppista, Dentro la guerra, Via Toscanella, han- no contribuito a questo ritratto dell’uomo che, a dire il vero, si è riflesso anche nella sua pittura. Bilenchi Permoli Ma nei suoi quadri la violenza, la impulsività si sono addolcite e le figure, pur non perdendo di quel carattere istintivo, duro, quasi legnoso come certi tronchi di antiche piante che cresco- Lentamente Una disperata no sulle colline, pur non nascondendo i tratti della più antica razza popolana, esse conserva- scoprendo ribellione no qualche cosa di aristocratico, hanno nel loro volto un senso di mestizia, di rassegnazione, di bontà e di solitudine. … Ripensando al suo ultimo gesto di di- sperata ribellione ci viene alla mente una bel- lissima frase di un altro suo confratello, Lo- renzo Viani, anche egli pittore e scrittore e come Rosai innamorato della sua terra e della sua gente, dei pescatori consunti dalla salsedi- ne, dello splendido Mare Tirreno, e delle bar- che ferme nella darsena viareggina in attesa di partire per la pesca: “L’uomo non riesce mai ad infrangere del tutto la forma in cui fu colata la sua giovinezza”.

il Portolano periodico trimestrale di letteratura

Anno XII - n. 47/48 Luglio-Dicembre 2006 “…Guardava con intensa meraviglia gli uomini Direttore responsabile che disegnava come a confrontarli con immagini Francesco Gurrieri che avesse in memoria, ma subito quella meravi- Fondato da glia si tramutava in ansia, in tensione. E si capiva Arnaldo Pini che quest’ansia, questa tensione erano fatte di u “La Voce Repubblicana” del 25 maggio Francesco Gurrieri Piergiovanni Permoli un’immensa certezza, mentre dai suoi disegni na- S’57, all’indomani della scomparsa di Rosai Comitato di direzione scevano uomini irresoluti o schiacciati dalla vita, a Ivrea, Piergiovanni Permoli, fondatore e di- Francesco Gurrieri rassegnati, dolorosi, pieni di squallore fisico; uo- rettore responsabile del ‘Portolano’ fino a quan- Maria Fancelli Caciagli mini visti di schiena, di fianco, di fronte, con le do ci ha lasciati, aveva scritto un bellissimo pez- Ernestina Pellegrini braccia che riposavano sul tavolino o inutilmen- zo in terza pagina che, per la sua freschezza ed Direzione, redazione e amministrazione Pubblicità e Abbonamenti te abbandonate lungo il corpo, con il cappelluccio attualità, riproponiamo in alcuni passaggi es- 50142 Firenze - Via Livorno, 8/31 in testa. senziali. Tel. 055.7326.272 - Fax 055.7377.428 Sede legale: 50125 Firenze - Via S. Maria, 27/r Infine Rosai deponeva il lapis sul tavolino, si Tel. 055.233.77.02 - Fax 055.22.94.30 rovesciava all’indietro dando un’ultima occhiata, … E infine di Ottone Rosai, di questo ita- http: www.polistampa.com e-mail: [email protected] un’occhiata di sfida, a coloro che aveva ritratto, a liano due volte perché fiorentino di nascita e di tutto il caffè. (…) Io, ancora un ragazzo e tutto educazione, si ammirava la sua alta e diritta Editore Polistampa - Via Livorno, 8/31 - 50142 Firenze pieno di appassionato interesse per quanto anda- figura, da noi intravista spesse volte sulla so- vao lentamente scoprendo e sempre in maniera di- glia delle gloriose “Giubbe Rosse”, si discute- Abbonamenti 4 numeri sordinata, tanto da rimanerne a lungo eccitato, va dei suoi anni giovanili, dei suoi libri frutto Italia e paesi della Comunità: nella vita degli artisti, lo guardavo disegnare, dell’avventura di guerra 1915-1918, del fante Ordinario € 16,00 scrutavo i suoi disegni e comprendevo come quel- che in una trincea colma di acqua e di fango Sostenitore € 26,00 € l’uomo, che si indovinava colmo di tormento e sbraitava e bestemmiava fra un colpo di can- Numero doppio 8,00 Numero singolo € 4,00 preda di impulsi drammatici, riuscisse a raggiun- none e l’altro. gere la felicità vivendo tutto per il suo lavoro. Si viene costruendo ora più che mai, ripen- Lettere, articoli, fotografie, disegni Quando il mio sguardo incontrava il suo, Rosai mi sando alla sua vita, l’immagine un po’ leggen- anche se non pubblicati non si restituiscono. Si collabora soltanto per invito. strizzava l’occhio. Gli andavo accanto a osser- daria di un uomo violento, di un rissoso… a cui La Direzione si riserva la decisione vare i disegni più da vicino. Spesso nel blocco di piaceva attaccare briga con gli amici, a cui pia- della pubblicazione degli scritti pervenuti. appunti c’erano altri disegni tracciati nelle osterie ceva il caldo delle osterie, il linguaggio dei fiac- Le collaborazioni sono gratuite. e nelle strade della città, uomini seduti a un tavo- cherai, dei braccianti, del popolino che transita- Registrazione del Trib. di Firenze N. 4406 del 12.08.1994. lo o per terra… va davanti al suo studio, fucina di artigiano e di IL PORTOLANO - N. 47-48 29 TESTIMONIANZA IN CLANDESTINITÀ

Marcello Guasti Rolando Bellini

…in una lunghissima clandestinità” scrive di sé Vito Riviello (L’astuzia del- “la realtà, Nuovedizioni Vallecchi, Firenze 1975) e ciò può fungere da inci- pit per Ottone Rosai. Soprattutto per Ottone, avversato dall’intero scenario ac- cademico. E pensare che i suoi terribili e temibili omìni sono, alla fine, uno dei volti dell’Italia fascista più autentici e veridici; pensare che il suo impegno ci- vile era, allora, totale. La rarissima volta in cui Michelucci si lasciò sfuggire con me un cenno al “Fabbricato Viaggiatori” – oggi acclamato da tutti, manuali di storia dell’architettura inclusi (benché maldestramente attribuito al solo Gio- vanni Michelucci e non al cosiddetto “Gruppo Toscano”, Gamberini in testa, come si dovrebbe) – bofonchiò appena: “ Vincemmo grazie a Rosai, che vi vide un fascio di combattimento… A Mussolini la cosa piacque”. Francesco Gurrieri, testé incrociato da Paolo Marini (all’Indiano di Santo Spirito), mi sollecita il ricordo. Chissà perché quell’occhio di falco del Longhi, che era pur vicino al regime, non si accorse di lui. Come del resto tutti gli al- tri – Brandi incluso, naturalmente – con solo una o due eccezioni. Ragghian- ti, per caso? Lo domandai a Piero Santi, mentre giaceva affranto, in un letto d’ospedale. Ebbe un guizzo e si rianimò tutto, pigliando a dire: “Neppure il ri- belle Carlo Lud Ragghianti, no. Non parliamo degli altri! Per farla breve, l’in- tera falange dei critici ignorava e disconosceva la grandezza autentica di Ot- tone. Ragghianti e Pier Carlo Santini lo scopersero in ritardo. Ottone era solo, circondato soltanto da noi giovani, poeti, scrittori, pittori cani sciolti ma spiri- ti liberi”. Avrà detto il vero? Mi sono letto e riletto l’antologia degli scritti d’oc- casione, le varie presentazioni, le riesumazioni o memorie che hanno redatto sul suo conto gli addetti ai lavori, i critici d’arte professionali e ne ho ricava- to la certezza che Piero, al solito, diceva proprio il vero. E così dev’esser vero F.G., Marcello Guasti anche quello che mi confessò, ridendo, quando gli domandai delle sue pas- seggiate con Rosai. “Più che passeggiate erano rincorse. Mi costringeva a corrergli dietro, letteralmente. Ma senza affanno e piuttosto con una leggera vevo venti anni quando lo scrittore Piero Santi e il pittore Giuseppe emozione e una dolcezza oscura che non ho mai più provato”. Anche questo ABongi mi hanno fatto conoscere Ottone Rosai. Ero con alcuni studen- era Ottone Rosai, questa era l’emozione emanante da ogni suo dipinto. Leggo ti dell’Istituto d’Arte di Porta Romana e ci eravamo dati l’appuntamento al quanto testé scritto da Paolo, al quale ho sottratto la macchina da scrivere, una piazzale Galileo, vicino allo Chalet Fontana. Io ero molto emozionato al mitica “Olivetti/ Lettera DL”, giusto per buttare giù, senza indugi, questa mia pensiero di conoscere il grande pittore. Aspettavamo da un po’ di tempo, breve testimonianza. La macchina da scrivere mi rammenta che Rosai morì a quando lo abbiamo visto arrivare col suo andamento un po’ dondolante e un Ivrea, quando proprio per merito di Adriano Olivetti lo si celebrava – final- po’ curvo. Santi ce lo presentò e parlammo subito di pittura. Ricordo che Ot- mente! – con una ricca antologica. Una vita d’artista amara fino in fondo e tut- tone riportò il giudizio di un critico che avrebbe detto che Morandi era un tavia eroica, come si conviene a un autentico “caimano del Piave”. E Paolo, pittore borghese, al che Santi rispose che era un’affermazione superficiale, pronto, mi rimbecca: anch’io ho ricordato qualcosa del genere, a muovere dal perché Morandi non si doveva considerare né borghese né proletario, ma nostro primo incontro, che cadde nel ’54. Fu Piero a presentarmi a Rosai. grande pittore. Rosai mi apparve contrariato poiché sentiva che la sua pit- Anzi, debbo proprio citarlo il Paolo Marini, puntualmente: “Il contesto fio- tura era fortemente popolare. A quel tempo era molto viva la diatriba fra arte rentino, non sorretto da una forte componente critica ufficiale, non riusciva a borghese e proletaria. Ottone aveva un carattere umoroso, se ti prendeva in sostenere i grandi autori che operavano a Firenze”. Sta declamando, Paolo, ma simpatia era molto generoso, ma se cadevi in disgrazia, era meglio sparire. senza enfasi e piuttosto con una sottile vena di malinconia. “E sicuramente – Ricordo lo studio nella casa di via san Leonardo, in cui erano appesi qua- mi sorprende (piacevolmente) Paolo Marini – questo è stato un incentivo per dri che mi coinvolgevano moltissimo, come il ritratto di Mario Luzi, l’im- l’arte di Rosai, perché di lui s’interessavano Santi, Luzi, Parronchi, Betocchi, magine di un ragazzo in maglietta blu e rossa e grandi disegni di una forza Gatto, tutti scrittori che graviteranno poi all’Indiano”. Ma Alessandro Parron- straordinaria. chi è anche storico dell’arte e dunque critico militante. Un’eccezione. Tuttavia, Mi torna in mente l’incontro che fu fatto nello studio per festeggiare la neppure Parronchi, mi pare, è riuscito a tirar fuori dall’angolo il grande Otto- fine della guerra in Europa, erano presenti, fra gli altri, i pittori Farulli, Ca- ne… Perché? Qual è l’impedimento profondo che nega alla critica d’arte di ri- poni, Tirinnanzi, Luporini, Faraoni, Peyron; gli scrittori Luzi, Santi, Leo- conoscerne fino in fondo i talenti, i limiti e i pregi indicibili? ni, Landolfi e anche allievi dell’Istituto d’Arte con il professor Nencioni; ri- Rosai si muoveva, con la sua pittura, con la sua scrittura, con le sue scel- cordo fra questi i miei compagni Dante Nannoni, Giorgio Cammelli, Cec- te di vita, sostanzialmente contro la città, contro la sua stessa Firenze. Ma, non co Ceccherini. Rosai dopo pranzo si addormentò sul divano ed io e Giorgio è neppure questa la vera e profonda ragione del disconoscimento: piuttosto, mi ci mettemmo a disegnarlo, forse per l’euforia dell’atmosfera e qualche sembra derivare dall’essenza stessa del suo dipingere intriso di lessico popo- bicchiere in più, io ero molto eccitato e nel disegnare gridavo con esalta- lare e tuttavia universale, gonfio di sensualità e tuttavia lirico. Carico, poi, di zione: “Bello come un Dio”. Fu quel giorno che Ottone ci regalò due pic- alimenti che meriterebbe scoprire, verificare fino in fondo, alimenti che spa- coli suoi disegni che io ancora conservo con molta religiosità. In seguito ziano per tutta Europa, che attingono all’oggi più scottante e allo ieri più re- Piero Santi ha scritto un breve racconto su questa serata. In seguito ho man- moto, e che ne fanno un “caso” emblematico – di quelli, acuminati, che sa- tenuto l’amicizia con Rosai, che ammiravo molto; conservo ancora un ca- rebbero piaciuti tanto a Nietzsche di Umano, troppo umano – contro le vuote talogo di suoi disegni con una dedica di stima per il mio lavoro. L’umanità irriducibili “etichette”, contro le false “anticipazioni” e “storicizzazioni”. Un di Rosai mi è rimasta viva nella memoria e ancora oggi dopo tanti anni lo caso che domanda sguardo limpido, diretto e indipendente, un’onestà intellet- ricordo con affetto e stima. tuale che, confessiamolo, può far male. 30 IL PORTOLANO - N. 47-48 Una corona di spine per Ottone Rosai

Roberto Barni

cosa servirebbe una corona d’alloro a un pittore che parlava della pittura come Adi una gelida cenciata in faccia? Una pittura magra fino all’osso, sgradevo- le, per niente seducente praticata senza gusto anche nei quadri che sembrano averne. Dentro brutte cornici covano rancori alle spalle dei loro acquirenti. Non poteva condividere nulla con l’intelligenza di De Chirico, con la materia di Morandi, la gioiosità di Severini e ancor meno con il gesto nobile e anarchico di Viani. Ottone Rosai era un pittore plebeo e spinoso ma alla fine onesto da non in- gannare nessuno, cosicché anche i benpensanti seppure con riserva, se lo posso- no tenere appeso alle pareti. Ottone Rosai non sarà mai il pittore del decoro, è un genio con le dita nel naso. I suoi quadri anche se partivano da soggetti meravigliosi come i dintorni di Firenze finivano in una vertigine di angustia e i grandi nudi che certo conoscevano le abi- tudini e l’indirizzo di quelli di Michelangelo non gli avrebbero mai rivolto la pa- rola. Allora perché sono qui a parlare di questo pittore, anzi di questo antipittore? Perché è stato forse l’unico a non mostrarci vie d’uscita, strade della salvezza, inu- tili illusioni. In un mondo dove cambiare il linguaggio poteva sembrare cambiare tutto per non cambiare nulla, Ottone Rosai non cambia nulla per cambiare tutto. Ottone Rosai si mette a tu per tu col mondo, lo frusta, lo spoglia, gli strappa tutti gli orpelli e una volta preso nel mezzo della rissa con le mani ancora sporche, non mostra ravvedimenti davanti ai gendarmi che lo guardano con compassione. Ottone Rosai imbevuto di eroismo patriottico è il primo antieroe della pittura in Italia. Forse le sue parentele inconsapevoli andrebbero cercate in Francia fra i letterati Celine, Genet, sembra somigliargli Pasolini ma non è così, troppo im- pegnato a farci la predica e iscritto direttamente alla redenzione. I personaggi di Rosai non mostrano indignazione, non aspirano a un riscatto, non sperano in nes- suna rivoluzione e in nessuna redenzione, non supplicano, non si imbarcano per fuggire in un nuovo mondo e tanto meno si iscrivono ad un partito politico. Le opere, non le più belle ma le più sacre di Rosai, sono i nudi e gli autori- tratti da dove ci guarda come una Madonna di Cimabue dolente ma senza sentirsi Ottone Rosai, Castello (1927) sconvolto dentro quell’agitato scompiglio di segni disadorni e dissoluti e sembra dire voi sarete sorpresi io no, io non ho mai creduto alla favola bella, questo è il mondo non moverò un dito per cambiarlo, perché il mondo non si cambia. colti cinque quadri di Ottone Rosai ed erano stati appesi alle pareti di Palazzo Ottone Rosai toglie le banalità che affliggono e seppelliscono il nostro Rina- Strozzi. Nudi sguaiati, autoritratti impudichi e un paesaggio sordido e nero come scimento sotto le folle del turismo di massa, non ci parla di un futuro ampio e lu- una fogna interrotta da una fessura di luce, li aveva scelti per quell’occasione Al- minoso ma di quanto il mondo sia angusto per un’anima grande. Ci mostra la pri- berto Boatto e per questo lo dovremmo ringraziare. gione, con il suo volto senza compassione né per sé né per gli altri, non si è mai Non ho mai sentito l’arte tanto minacciosamente e mai ho sentito un palazzo proposto di darci una visione edificante un buon esempio con la buona pittura, la con dentro una tempesta. bellezza è dura, dice anche Ezra Pound. Non sono passati tanti anni da quando Rosai era in vita o forse ne sono pas- Oggi tutto può diventare di moda basta trovare l’etichetta giusta e appropria- sati moltissimi, fatto sta che la pericolosità di quelle immagini non è ancora di- ta e per quanto la pittura sia in generale alle corde oggi trionfa nel mondo la “Bad minuita, il tumulto della vita, di vicende senza gioia e senza ironia nello squallo- Painting” i giovani hanno capito che la libertà si respira meglio senza le buone ma- re di un teatro che promette di ripetersi all’infinito senza cambiamenti, come ne- niere, non espressionisti, non selvaggi ma cattivi e sgrammaticati pittori. gli atti unici di Beckett, fanno venire alla mente le parole di Rimbaud nella “Sta- Nella metà del secolo scorso in Inghilterra nobilissimi pittori come Bacon, gione all’inferno” ho preso la bellezza sulle ginocchia e l’ho trovata amara e l’ho Freud, Auerbach devono aver avuto pensieri abbastanza vicini a Rosai per poter insultata, da allora streghe, odio, miseria è a voi che ho affidato il mio tesoro. raccontare in quella maniera radicale lo scandalo dell’uomo sulla terra. Quindi per Qualche accenno alla speranza, ma Satana gli risponderà che non cambierà mai e quanti continuano a raccontarsi frottole e a farsi illusioni sul mondo Rosai è sicu- resterà quello che è, con tutti i suoi appetiti ecc. ecc. ramente un pessimo investimento. Questa conclusione è per dire che non c’è e non ci sarà mai vera esperienza Eppure si capisce che quella strada irta, non indicata dalla speranza, dove si in- moderna se uno non avrà schiaffeggiato la bellezza. Gli artisti potranno arrampi- vita a abbandonare ogni compiacimento, la via della moralità dell’arte che si pre- carsi sugli specchi più levigati, ma alla fine saranno scoperti e condannati per il loro senta con le vesti dell’antimoralità aspetta ancora gli artisti e forse qualcuno saprà contrabbando. dire un giorno con l’amore più sconsolato fino a che punto siamo arrivati. Non c’è Ancora voglio dire nel trionfo dell’informazione tutti sono al corrente di tut- progresso nelle arti come non c’è progresso nell’amore, e solo quando uno avrà to e di tutti, in tutto il mondo, ma sempre meno uno sa quello che gli è successo perso la fiducia nell’uomo potrà amarlo al fine per quel che è. o gli succede intorno a casa. E proprio per questo non saremo neppure in grado di In una mostra non troppo lontana negli anni sull’arte in Toscana erano stati rac- mettere questa piccola corona di spine sulla testa di Ottone Rosai. IL PORTOLANO - N. 47-48 31 L’INGOMBRANTE PRESENZA DI ROSAI E Un’ipotesi per la “Scuola Fiorentina”

Francesco Gurrieri

ossiamo contare diversi tentativi di antolo- cora, compresenti, come Capogrossi, Cagli, Pgizzazione critica della cultura artistica to- Sclavi, Pirandello, percorreranno strade diver- scana della prima metà del Novecento. In vario se. Così che, la “scuola romana”, anche se non modo e con estensioni diverse, fra gli altri, ci lo si dice, finisce per assomigliare più a un hanno lavorato Ragghianti, Tempesti, Uzzani, contenitore, a un indicatore topografico che ad Pratesi, Marsan, Monti. Con altri intenti, meno un coagulo di una “poetica” unificante. Di lì a antologizzanti, ma filologicamente puntuali, qualche anno, nel 1940, sarà per l’appunto pro- fra i tanti, dobbiamo almeno ricordare Parron- prio Guttuso, su “Primato”, a individuare “due chi, Santi, Fagioli; altri, come Crispolti, Cresti, versanti della questione”: Cavallo, Barilli, Baldini, Sisi, autorevolmente – uno a carattere “romantico-lirico”, con Mafai, presenti in questo scorcio storiografico, hanno Scipione, Raphael dato fondamentali incursioni critiche, determi- – uno “tonale”, tendente alla restaurazione del- nanti per ogni tentativo di “assetto” come il l’architettura pittorica, con Cagli, Capogrossi, nostro. Cavalli e Melli. Il problema della plausibilità di una “scuo- Né si può dimenticare che il 1933 è l’anno la fiorentina” (o “scuola toscana”), perimetra- della V Triennale di Milano, all’insegna del ta in autonoma riconoscibilità, come fu per per muralismo, aprendo a Carrà, Sironi, De Chi- la “scuola romana” o il “gruppo milanese”, è rico, Campigli ed altri; alcuni dei quali saran- stato posto più volte, ma mai affrontato siste- no più storicizzati come gli “italiani di Parigi” maticamente. Certo è che, sia Corrado Marsan (Campigli, Severini, De Pisis, per esempio). nell’introdurre la sua mostra “Il Novecento in G. Paszkowski, Papini e Soffici al Forte dei Marmi (1954) Ed occorre altresì ricordare il ruolo di un Ci- Toscana, 1924-1934” (Scandicci, 1990), sia priano Efisio Oppo, segretario del Sindacato Marco Fagioli, disegnando la “linea toscana” nazionale pittori, deputato al parlamento Mus- nella mostra alla Basilica Palladiana sul “No- gnati in speculazioni di altre e più “alte” di- solini, primo segretario della prima Qua- vecento nascosto” (Vicenza, 2001), hanno po- mensioni. driennale: egli elaborerà una propria idea del- sto più perentoriamente, più di altri, questo Ma vediamo – comparativamente – il la “tradizione”, così come ci ricordò opportu- problema. Fagioli, con particolare lucidità ha “caso” romano, per renderci conto come nacque namente il Tempesti nel suo importante lavo- già messo in guardia verso il pericoloso spar- e quale sia la radice della mitografia della ro sull’Arte dell’Italia fascista (Feltrinelli, tiacque fra analisi sostanzialmente formaliste (e “scuola romana”. Fu appunto Roberto Longhi 1976): “Tradizione italiana – declamava Oppo decontestualizzate) e analisi strutturalmente in- che, recensendo su L’Italia letteraria (7 aprile – secondo noi vuol dire: chiarezza di raccon- terpretative che, individuando le idee portanti 1929) la “Sindacale laziale”, a proposito di Ma- tare; signorilità; sana sensualità; Idea di Bel- di una cultura artistica, ne colga gli eventi de- fai, Raphael (“sorellina di latte di Chagall”) e lezza rapportata ai suggerimenti della Natura, cisivi e li ponga in relazione alla storia più ge- poi Bonichi, Scipione, Frateili, Ciucci, disse di ossia scelta di esaltazione degli elementi na- nerale del tempo, allontanandosi dal caramel- una “scuola di via Cavour”; già questi si distin- turali; gentilezza e forza insieme; gioiosità loso buonismo critico che tutto, oppositiva- guevano dai “neoclassici”, individuati in Oppo, ma non frivolezza; metodo ma non pedanteria; mente, comprende. Bartoli, Socrate, Guidi, Cecchi-Pieraccini, mai copia fredda, analitica della Natura. Ma In realtà, è nostra opinione – ma non è dif- Trombadori, Donghi. anche: mai snaturamento simbolistico, pessi- ficile convincersene – che il ritardo con cui si è La cosa suscitò l’interesse di Pavolini, così mistico, incorporeo; mai gusto dell’orrido, del cominciato a parlare di “scuola” per Firenze e da avere una nuova carica di incoraggiamento. deforme, del mostruoso, dello strano, dell’a- per la Toscana (se si fa eccezione per l’archi- Ma bisogna aspettare il 1933 perché il critico struso”. tettura, per la quale invece, vi è un vero e pro- francese George parlasse di “École de Rome”: prio atto di consacrazione in occasione del con- “La giovane scuola di Roma rappresenta un ri- * corso per la nuova Stazione di S. Maria No- sveglio e un ritorno della Idea Italiana. I pitto- vella), si debba soprattutto ad un deficit di pro- ri che ne prendono parte ci recano un messag- Alla luce di quanto accadeva fra Roma e positività critica: si vuol dire che se Milano e gio; sono artisti che pur credendo alla realtà Milano, la situazione toscana, e fiorentina in Torino poterono godere delle certificazioni cri- del mondo che li circonda creano della leggen- particolare, non era certo più semplice. Po- tiche della Sarfatti e di Lionello Venturi, se la da ove il mito si unisce felicemente alla poesia tremmo dire, giusto per aprire un “albero ge- “scuola romana” è battezzata dal George e da delle forme e dei colori. Essendo essenzial- nealogico-filologico” che tutto il Novecento Roberto Longhi (nel 1929, sia pure sub specie mente moderni questi artisti rifiutano di opera- parte con la dote lasciata da Giovanni Fattori e di “scuola di via Cavour”), Firenze, pur aven- re nel provvisorio”. dal discepolato della “Scuola libera di nudo” do artisti non inferiori a Mafai, alla Raphael, a Ma anche a Roma si configurano subito (Cannicci, Ferroni, A. Tommasi, Gioli). Soffi- Scipione, vive già una sovrabbondanza cultu- due diverse posizioni, atteso anche che la defi- ci e Rosai saranno i due grandi àlvei nei quali rale che gli Ojetti, i Raffaello Franchi, gli Ani- nizione del George sembra più politico-ideali- tutti (o quasi) si collocheranno inizialmente, ceto Del Massa e i Tinti, non riuscirono a ri- stica che non concretamente critica; ad ogni con l’eccezione di Lorenzo Viani, gigante iso- portare ad unum e a formulare un’ipotesi di buon conto, se i primi della “scuola di Roma” lato già di dimensione europea. Spadini, Co- “scuola”; considerando che i Papini e i Soffici per Longhi saranno neo-espressionisti, altri stetti, Ghiglia, non si sottraggono a questa co- erano forse sottratti al problema perché impe- parleranno in termini di “primordio”; altri an- mune radice ed a questo comune destino. Né, 32 IL PORTOLANO - N. 47-48

della pittura toscana fino alla morte di Rosai (1957) e oltre; – la linea più vicina all’Accademia, che farà ri- ferimento a Carena e Trentacoste; a cui, in qualche modo, è riconducibile il “luminismo” di Colacicchi, il “rievocatore della maniera” Alberto Magri, il “crepuscolare” Gianni Va- gnetti, la personalissima autonomia espressiva di Baccio Maria Bacci, l’enfant terrible Primo Conti; e un Marino Marini degli inizi nell’aula del Trentacoste, prima del suo autonomo per- corso internazionale; – una terza linea, che avrà forse maggior tenu- ta nel tempo, che è quella riconducibile alla “scuola di Porta Romana” (dal 1923 alle Scu- derie Reali), ove le arti applicate coaguleranno docenti ed allievi come Libero Andreotti,Bru- no Innocenti, Antonio Berti (e, più tardi, Mar- cello Guasti) per la scultura; Pietro Parigi, Giu- seppe Lunardi, Renzo Grazzini, per la pittura; affreschisti come Leonetto Tintori, Virgilio Carmignani, Dino Calastrini e Sineo Gemi- G. Costetti, Pietro Parigi (1925) gnani (si veda il ciclo della Casa della G.I.L. a Ottone Rosai, Ritratto di Soffici (1922) Firenze). Resta la couche degli “autodidatti” (dei per l’ambiente fiorentino va trascurata la pre- “maestri senza maestro”) come Quinto Martini Potremmo allora azzardare la riconoscibi- senza di Berenson e dei borsisti di Villa Ro- (se pur iniziato da Soffici) e Mario Marcucci lità di una “scuola fiorentina”, connotata, alla mana, di Böcklin e Hildebrand. Ed anche il (fedelmente seguito per tutta la vita da Parron- base, da un “realismo esistenziale” che ha ra- ruolo delle riviste, in ambiente toscano sicura- chi). dici nella “macchia” di Fattori, che si chiarisce mente più forte che altrove, “Solaria” (dal ’25) Ora, non c’è dubbio che in ogni tentativo di con Soffici, Rosai e Andreotti, che passa dal e il “Frontespizio” (dal ’29) saranno determi- sistematizzazione critica, le coordinate traccia- complesso laboratorio degli anni ’30 e ’40 e nanti per orientamento culturale e per il conso- te da Soffici rimasero a lungo determinanti che, nei decenni del Novecento, ha i suoi esiti lidarsi di alcune aree. (come ebbe a rilevare lo stesso Parronchi in in personalità come Bruno Innocenti, Giuliano Dunque, alla luce di ciò, anche l’impatto Artisti toscani del Primo Novecento (Firenze Vangi e Marcello Guasti per la scultura; come provocato dalla mostra voluta da Soffici sugli 1958), ma è altrettanto vero che gli esiti di quei Fernando Farulli, Milo Melani e Mario Fallani Impressionisti al Lyceum (1912) forse fu meno decenni sono rimasti a lungo materia critica per la pittura all’aprirsi del nuovo secolo, ove, traumatico di quanto tardivamente oggi, con assai fluida: appassionata, penetrante, ma flui- “Porta Romana” ebbe un ruolo davvero deter- aria di scoperta, si vorrebbe affermare. da. Perché se è difficile antologizzare Rosai, minante. Un attraversamento culturale, poi ar- È comunque ragionevole ricondurre al crediamo tuttavia che, come per ogni grande ricchito da grandi compagni di viaggio, di cui 1922, all’aprirsi del Palazzo delle Esposizioni poeta, poche sono le poesie di vera grandezza Chia (Sandro Coticchia) è oggi il più interna- a San Gallo, il delinearsi di tre linee di tenden- che ne riassumono la poetica. Insomma, come zionalmente noto, portatore di una “scuola” ri- za che, ci pare, segnano gli anni successivi: bisogna distinguere fra Leopardi e “leopardi- masta ancora, ad oggi, nel silenziatore della – la linea del “rosaismo” (che qualcuno vor- smo”, altrettanto occorre fare tra Rosai e “ro- critica: meritevole, per i suoi valori diffusi, di rebbe di “vena simbolista”) che, pur confron- saismo”. Ed allora, se si va a riguardare le gran- un riconoscimento ufficiale, come fu, appunto, tandosi con Soffici, diventerà il tracciato forte di opere rosaiane, non si può non dire che que- per l’Ecole de Rome. ste non abbiano un buon quoziente culturale di metafisicità; che, insomma, non vi sia cifra metafisica in “Via Toscanella” del ’24, in “Pae- se” del ’34 o in “Via San Leonardo” del ’35, è davvero duro a sostenersi; qui, semmai, si può dire che il tema metafisico si fonde in una in- quietudine monumentale, immanente, esisten- ziale. Certo, da altra parte si obietterà ciò che spesso di è detto, di un particolare realismo (che non è solo quello degli “omini”), che lo porta ad una sorta di “brutalismo fauve”, ed anche questo è vero, ma ciò non sposta la so- stanza del problema che è quello di riconosce- re, secondo una linea critica che va dalle prime letture parronchiane all’ultimo Monti, un ruo- lo tracciante e aggregativo di Rosai, così da configurarne un vero e proprio “laboratorio”, dal quale, con permanenze diverse, un po’ tut- ti passarono. Del resto, ancorché collegata da tanti motivi (formazione, frequentazione, mo- stre), occorre ricordare anche la cosidetta “scuola di Pistoia” (soprattutto per il 1930- 1940), che ormai storiograficamente gode di una ragionevole autonomia (Bugiani, Cappel- lini, Caligiani e altri); ma anch’essa, in defini- Renato Alessandrini, Francesco Chiappelli tiva, non certo lontana dall’asse Soffici-Rosai. Ottone Rosai, Loggione (1950) IL PORTOLANO - N. 47-48 33 PARRONCHI

COSTANTE SEGRETA Alessandro Parronchi

A poco a poco ho dovuto rendermi conto che la poesia era la costante se- greta d’ogni mia attività. E in quanto segreta in quanto nascosta, confinata nei momenti di ozio, negli intervalli, nelle pause, ma perciò stesso presen- te ovunque. Dal sonno, dall’abitudine, io tento di riscattarmi in una visione nuova del- le cose, in un impegno nuovo nelle parole. Disperso in direzioni diverse io qui mi ritrovo, a numerare come in un ro- sario i minuti del tempo che passa, che fa groppo innumerevole. Finché un colpo di vento improvvisamente lo spazza, lasciandomi nudo e allo scoper- to di fronte ai miei simili. (Inverno 2005) Il titolo è del “Portolano”.

FRAMMENTI Alessandro Parronchi

O frammenti rimasti a me di vita a cui è tanto difficile afferrarsi quante volte cogliendoli nel buio svegliatomi che già era fuggita l’occasione che subito vapora avrei potuto essere vivo ancora. (Gennaio 2006)

Ottone Rosai, Ritratto di Parronchi (1947)

“O frammenti rimasti a me di vita…”

uesti versi sono stati scritti ancora a mano samente costruito con quelle labbra fattesi più ra” suggerisce un condizionale esistenzial- Qda Parronchi, con enormi difficoltà. La sottili del solito. mente alternativo. Il poeta individua e insegue loro lettura era tutt’altro che facile per l’evi- Afferrare quei “frammenti” doveva esser i suoi “frammenti”, postulandone altre possi- dente rigidezza della mano che ne guidava la ormai per lui sicuramente difficile, in quella bili occasioni di vita che avrebbe potuto avere scrittura. sua condizione così profondamente provata. (“avrei potuto essere vivo ancora”); e nel mo- È da supporre che nella lunga e penaliz- Eppure, col verso “quante volte cogliendoli mento in cui traccia (faticosamente) questi ver- zante immobilità dell’ultimo anno, il Poeta ab- nel buio” l’Autore dimostra una grande luci- si, è già in un altrove che dà valore aforistico bia ripercorso, per “frammenti”, la sua lunga dità e capacità di orientarsi nel campo indi- al componimento; che appare, insieme, lette- stagione di vita. Ricordo, nel giugno scorso stinto dell’immaginazione. Dunque, i “fram- ratura della memoria e metafora ininterrotta che quasi anche gli occhi restavano fissi, mi- menti” sono individuati e còlti, ma sfuggenti al (allegoria). rando ad un punto della parete di quella sua momento del risveglio. Non è dato sapere se il Questi “frammenti” di Parronchi possono stanza di via Settembrini così preziosamente “frammento”, intravisto o sognato, volesse es- essere considerati l’allegoria di un residuo atto satura di sculture, di dipinti, di grafica, di tan- ser predittivo (cioè orientato) o simbolico (ico- di condivisione intellettuale. Il suo ultimo atto. ti libri, del suo universo. Non riuscimmo ad nologicamente orientato). andare oltre ad un accennato sorriso, fatico- Certo è che “l’occasione che subito vapo- f.g. 34 IL PORTOLANO - N. 47-48 COLLOQUI CON PARRONCHI

f.g. Un disgregarsi d’atomi, la morte

vevo telefonato due giorni prima, la mattina della “festa della re- Apubblica”, concordando con Nara che sarei andato a trovarlo la domenica mattina insieme a Marco Fagioli. Così, come sempre nei no- stri appuntamenti, rilevo Marco in piazza Tasso e poi per i viali fino alle Cure, in via Settembrini: in quella casa amata e cantata più volte. Non bella, di quell’eclettismo della buona periferia fiorentina, ora con la scala riattrezzata col “servoscala”, un serpente di acciaio dentato che per- mette alla piattaforma di scendere da quel secondo piano fino al porto- ne, in basso. Ovviamente, ci accoglie Nara, la compagna di tutta la sua vita che, ormai da qualche anno, ha sulle spalle il carico dell’invalidità del poeta e dei più generali problemi di famiglia. Sandro è immobile, ancor più del- l’ultima volta, sulla sedia “tecnologica” che, all’occorrenza (oggi sem- pre più rarefatta), può dargli inclinazioni diverse. Al saluto e a una ca- rezza accenna ad un impercettibile sorriso: quel suo sorriso sempre rat- tenuto delle sue labbra sottili. Fa fatica a seguirci con lo sguardo, nono- stante il nostro alzare della voce e il fissarlo, intensamente, fra commo- zione e disperazione. Nara sottolinea, per guadagnare l’attenzione, come la nostra visita, sia gradita e lo debba render contento; gli si avvicina, torna a sussurrarglielo da vicino, ma poco, pochissimo si ottiene. È allora, dopo una pausa di qualche imbarazzo che Nara ci dà due volumetti, raccontandocene le pe- ripezie editoriali. Con Pananti ha pubblicato “Taccuino, 1936-37“, poe- sie di Mario Marcucci: Sandro ne ha fatto la prefazione inserendovi un bell’Autoritratto (1936), e altri tre disegni realizzati nelle pagine del tac- cuino che conservava (e oggi nella Biblioteca della Facoltà di Lettere di Siena). “Quel che mi pare di individuare di eccezionale in queste poesie che Marcucci ebbe care ma non considerò mai degne non dico di pub- blicazione ma di attenzione da parte di altri – ci dice Parronchi –, è la so- pravvivenza degli stati felici dell’infanzia e della puerizia: provati con tale intensità che essi perduravano – il ricordo ne perdurò – anche nel-

I carmi novecenteschi

L’altro, è una piccola raccolta antologica – “Carmi novecenteschi” – con Soffro di questa non mutabile situazione; apro una pagina dei suoi prefazione di Luca Lenzini, pubblicato in “Passigli poesia”. Nara ci racconta “Carmi” e leggo: ad alta voce, sperando di sommuovere il poeta a qualche reazione, del suo personale impegno nella cura della stampa, funestata – a suo dire – da refu- “Perché, una volta nato, non c’è forza si irragionevoli che non meritava. L’incontro si consuma nella saletta di fon- che impedisca ad un fiore ch’è sul punto do, ove termina il lungo corridoio di casa, carico di marmi, di tele, di grafi- d’aprirsi lo sbocciare dei suoi petali, ca, di bozzetti, di tutto ciò che ha fatto ed accompagnato l’intera sua vita. se non la mano che al gambo lo strappi, È come una barriera, uno spesso cristallo fra noi e Sandro: noi lo guar- o un disgregarsi d’atomi, la morte”. diamo e lui è fisso altrove, immobile, ma col suo sguardo pungente che sapeva indagare il colpo di scalpello della giovinezza di Michelangiolo e l’inconfondibile redazione cromatica del suo amato Marcucci. Domenica, 4 giugno 2006 IL PORTOLANO - N. 47-48 35 nel “caos” Il sessantesimo Premio Strega e i relitti di un comune naufragio

Francesco Gurrieri

’ultimo “Strega” è stato assegnato a San- lità di Caos calmo; il quale, ci ricorda proprio la quale, descrive, avvolge e appassiona per il Ldro Veronesi dopo una competizione vi- Veronesi, può derivare da quiet chaos, che suo minimalistico raccontare una storia sem- vace con Rossana Rossanda, autrice de La gode di ben 2180 siti su internet e che sta per plice, non eroica, ove i personaggi scorrono e ragazza del secolo scorso. “una caccia che non finisce mai, una caccia si intrecciano, ancora una volta – come avreb- Sandro Veronesi piace. Si legge. Più di al- dove da un momento all’altro il cacciatore be raccontato Baldacci – quali relitti di un tri, più di Baricco, di De Carlo, di Van Straten, può trasformarsi in preda”. E così comincia- comune naufragio. si legge con piacere: perché – hanno detto in mo ad avvicinarci alla pagina veronesiana, Pietro Paladini, padre, vedovo, manager più d’uno – scrive come parla e parla come uno di noi. Ma non basta – aggiungo io –, perché pensa secondo il modulo di questo di- sincantato, sfilacciato, svuotato, Occidente; ove un pur apprezzato “minimalismo” ha la- sciato il posto ai nuovi spazi del “nulla”, esplorati, inquisiti, interrogati dalla riflessione neo-esistenziale dell’ultima generazione dei filosofi e, segnatamente, da uno dei nostri maîtres à penser come Sergio Givone (S.G., Storia del nulla, Roma-Bari 1995). Veronesi ha vinto con Bompiani, la Ros- sanda ha perso con Einaudi. E il ninfeo di Villa Giulia è stato, per alcuni giorni, occa- sione di qualche polemica (opportuna) sulla fedeltà alla peculiarità del premio. I due schieramenti contrapposti si sono pronun- ciati fra il “saggio-memoriale” e la “scrittu- ra narrativa” in senso proprio. Altri ancora hanno voluto politicizzare l’evento (Mariuc- cia Ciotta sul Manifesto, per esempio), par- lando di un “caso letterario”, fusione di espe- rienza personale e politica…”. Non si è mai visto un candidato che ha vinto avendo per- so, per quei pochi voti scritti sulla lava- gna…”. Registriamo ancora due autorevoli giu- dizi: quello di Zavoli, secondo cui “la velo- cità del nostro vivere ha fatto della cronaca la nostra storia. Quel documento della Rossan- da, che ci dà conto in modo lucido e stra- ziante dell’ultima grande durata della storia, ha sorpreso e forse impaurito le nuove gene- razioni; e anche Lizzani – che ha pur votato Rossanda – riconosce alfine che “la scrittura narrativa di fantasia è nella vera tradizione dello “Strega” e forse è giusto che abbia vin- to Veronesi…”. Dunque, superate le precondizioni “isti- tuzionali” (parte delle quali rozzamente e pre- giudizialmente politiche: “Viva Veronesi, ma lo Strega l’ha vinto il ‘ministro’ Veltroni, ti- tolava Libero), veniamo al contenuto, alla struttura narrativa, al lessico, alla intratestua- 36 IL PORTOLANO - N. 47-48

(di una managership che, via via, con lo pi e della fragilità verso ogni certezza intro- “piccole cose di pessimo gusto”? La riprova è scorrer le pagine si presenta all’appello), duce ad un’osmòsi colta con Dostoevsky e nella puntuale, esasperata registrazione delle realizzato e traumatizzato, si muove lenta- Nitzsche che non ti aspetti. “cose”, quando Maria Rosa (la donna di casa mente nel caos della sua vita di relazione; Così il romanzo di Veronesi si fortifica che vive nell’entroterra) fa sparire tutto ciò dedica totalmente il suo tempo alla piccola nell’ipotesi di anamnesi collettiva, di storia che costituisce traccia della moglie morta. figlia, restando a presidio della scuola ove la delle varie malattie e preoccupazioni soffer- Ed ancora, attualissima, c’è la sconcer- madre, prima di morire, l’accompagnava; e te che ora stanno, più o meno palesemente tante attualità tutta borghese, della descri- questa sua totale dedizione (forse incon- alla base di comportamenti e, comunque, del- zione notarile dell’accordo di separazione; a sciamente ossessiva) diventerà motivo d’im- le manifestazioni sintomatiche. Così si muo- tacere degl’immancabili messaggini sms. C’è barazzo e di umiliazione quando la stessa vono in questo “caos calmo”, i personaggi, poi il capitolo hard (il 32°): qualcosa in cui figlia Claudia, con la serena spietatezza dei tutti i personaggi che traversano le tante pa- l’Autore non si era mai spinto tanto, ma che, bambini, avrà il coraggio di dirgli che i suoi gine. evidentemente, dopo lo storico evento mas- compagni di classe sorridevano e ironizza- smediatico Clinton-Levinski, dev’esser gra- vano per quella situazione (“sono stato tre dito a lettrici e lettori, così da esser qui ri- mesi davanti alla scuola di mia figlia ed ero SIAMO SOLO INCIDENTI IN ATTESA proposto con la coppia Pietro Paladini – assolutamente convinto di farle del bene – DI CAPITARE Eleonora Simoncini, descritto ininterrotta- dirà a sé stesso – …mentre lei, per quella ra- mente in ventidue pagine (troppe, forse, ri- gione veniva presa in giro”). Ma si sa, le Ho preso a prestito da Veronesi questa fra- spetto al tempo reale di codesta performan- “schede brevi” dei romanzi servono a poco. se, riassuntiva del suo modulo narrativo e del- ce), che ha provocato, comprensibilmente, I romanzi bisogna leggerli. Per scoprire, ad la stessa ontologica distanza che ne pervade il la censura dell’Osservatore Romano (“trop- esempio, la fedele attualità del dialogo ge- rapporto esistenziale. E allora, mi pare, in que- po sesso in quel romanzo”). nerazionale di Lara, Claudia, Giacomo, Pie- sto “caos calmo” che i personaggi, tutti i per- Dunque, Sandro Veronesi, apertosi alla tro: questi e gli altri farfugliano, cazzeggia- sonaggi, si muovano nella prossimità di un narrativa con Per dove parte questo treno no, si incasinano in vicende solo apparente- neocrepuscolarismo ove ciascuno è segnato allegro (1988), transitato attraverso La forza mente inestricabili, bruciando il loro “quoti- dalla malinconia/nostalgia palazzeschiana. Be- del passato (2000), approda a questo Caos diano”. Il dialogo concitato fra Marta e il linda e il cane nero o il contenuto del file nel calmo (2006) da conquistatore. Dopo il “Via- protagonista, ad esempio, è una testimo- computer di Lara, il menu MacDonaldiano reggio” in Versilia, il “Campiello” in Lagu- nianza circostanziale dei nostri giorni: un “hamburger+patatine+bibita” o l’insieme del- na e lo “Strega” nel Ninfeo di Villa Giulia il documento lessicale e antropologico; e l’au- le riflessioni retrospettive sulla vita della mo- palmares è saturo: cosa resta ancora? Si co- tointerrogatorio a seguire, specchio dei tem- glie, cosa sono – mutatis mutandis – se non minci con le traduzioni…

Enzo Siciliano Un intellettuale critico e pungente

urante la presidenza di Luti al Vieusseux, ci trovammo nella Dnecessità di avvicendare il direttore. Ne discutemmo in con- siglio ove lanciai la proposta di Siciliano che fu subito unanime- mente accolta. Lo avevo appena visto a Spoleto, al Festival e mi fu facile rintracciarlo. C’erano almeno due motivi alla base di quella “chiamata”: quella sua capacità di spaziare nella letteratura che gli veniva dalla sua formazione, dalla sua passione, dall’esser titolare di prestigiose “rubriche” settimanali, dalla frequentazione della couche di Moravia e Pasolini (di cui fu, forse, il maggior bio- grafo); veniva insomma, da una delle più avvertibili aree della cul- tura italiana del dopoguerra e certo fra le maggiori per dimensione europea. Altro motivo, più recondito, era la sua direzione di “Nuo- vi Argomenti” ov’era andato a far tirocinio letterario uno dei miei migliori allievi che, subito appena laureato, aveva lasciato ” le squadre e il compasso” per la narrativa: quel Sandro Veronesi che sarebbe diventato uno dei più apprezzati scrittori dell’ultima ge- nerazione. Così, anche Siciliano, come Montale e Bonaventura Tecchi, al Vieusseux, ebbe la sua “stagione fiorentina” di organiz- zatore culturale, di critico, di intellettuale. Ricordiamolo col suo tratto gentile, con la sua disponibilità, con la sua intelligenza pun- gente che, dall’amico Pasolini aveva profondamente assorbito il re- gistro altamente “civile”: qualcosa che stiamo rischiando di perdere irreversibilmente.

f. IL PORTOLANO - N. 47-48 37 Ugo Ojetti e gli artisti di Porta Romana

Sara Meloni

go Ojetti, noto giornalista e critico d’arte nel Upanorama culturale italiano della prima metà del 900, è stata la personalità che ha contribuito maggiormente alla crescita dell’Istituto d’Arte di Firenze fra le due guerre. Ojetti, fin dagli esordi della sua carriera, si è mostrato sensibile ai pro- blemi relativi all’istruzione artistica e alla situa- zione delle scuole d’arte in Italia. Questi partico- lari interessi discendevano sia dagli insegnamen- ti del padre Raffaello, architetto, restauratore, nonché direttore, nel 1885 delle Scuole del Museo artistico industriale di Roma, sia dalla sua for- mazione di tipo positivista condividendo, in par- ticolare, il pensiero dei francesi Hippolyte Taine, Ferdinand Brunetière e Jean-Marie Guyau. Ojet- ti, partendo dallo studio di questi esponenti, pro- muoveva la rinascita dell’idealismo in arte e so- steneva un’espressione artistica che si facesse tra- mite d’idee e pensieri rivolgendosi non solo ai sensi e ai sentimenti ma soprattutto all’intelletto. Il critico sosteneva quindi una pittura che na- scesse dal sentimento spontaneo dell’artista, il quale per soddisfare la funzione sociale e morale dell’arte, avrebbe dovuto usare un linguaggio semplice e comprensibile a tutti1. Per Ojetti l’ar- te era “il massimo elemento della pubblica cultu- ra”: quindi era indispensabile riaccendere nella società italiana l’amore per la creazione artistica partendo dall’insegnamento dell’arte e della sto- ria dell’arte fin dalle scuole elementari. A contri- buire, però, alla scissione del legame tra arte e so- cietà era stata, secondo il critico, la svalutazione che le arti applicate avevano subito nel corso dei secoli, per cui diventava inevitabile una loro ri- valutazione che considerasse anche i progressi industriali. Per il critico le arti minori avevano la stessa importanza di quelle maggiori, tanto che fin dal 1897, nel suo libro sulla Biennale di Venezia, difendeva il concetto di unità nell’arte, eviden- Bernardini, Ugo Ojetti ziando che nella cultura giapponese non c’erano differenze tra arti pure e arti applicate che erano il risultato della medesima abilità tecnica. Ojetti tito è rispetto ad un bosco o a un giardino”. Di- negli anni seguenti, si dedicherà con passione. rimpiangeva l’artista-artigiano che aveva caratte- versa, invece, era la posizione del critico nei con- Da alcuni appunti del critico, infatti, databili in- rizzato le botteghe fiorentine del quattrocento; fi- fronti delle scuole austriache, tedesche, danesi, torno al 1918, e dalla relazione dell’assemblea gura che veniva a mancare soprattutto in Italia. inglesi, francesi ed americane che partendo dallo generale dei soci del febbraio 1919, Ojetti mo- Nel 1900, infatti, nella recensione dell’Esposi- studio della natura “viva, varia e mutevole” do- strava un grande interesse per il conferimento del zione Internazionale d’Arte decorativa di Parigi, vevano costituire un esempio per la didattica ita- grado più alto alla scuola. Alla vigilia della pro- apparsa sul «Corriere della Sera», Ojetti si dimo- liana2. posta di riforma di legge sull’insegnamento arti- strava particolarmente insoddisfatto della situa- L’interesse per la rivalutazione delle arti ap- stico, la “regificazione” dell’Istituto, secondo il zione nella quale si trovavano le scuole d’arte plicate e per il riordino dell’organizzazione delle critico, era “doppiamente urgente” perché, in pri- italiane e ne denunciava la “miserissima” esposi- scuole d’arte fan sì che nel 1911 il ministro Fran- mo luogo, sarebbe stato coinvolto nella riorga- zione, basata ancora sullo studio dell’imitazione cesco Saverio Nitti invitasse il critico ad accetta- nizzazione legislativa ma non solo, un tale rico- di esempi d’arte passata paragonando le opere re la nomina di rappresentante ministeriale nel noscimento avrebbe portato ad avere maggiori presentate ad “album degli stili che sono rispetto Consiglio Dirigente della Scuola per le Arti De- finanziamenti economici dagli enti pubblici. Nel all’arte viva quel che un erbario secco ed appiat- corative e Industriali di Firenze, alla quale Ojetti, 1919, su proposta del critico, Mario Salvini veni- 38 IL PORTOLANO - N. 47-48

il pittore Armando Spadini, quello lucchese, que- sto fiorentino […]. Ma nominateli 1) pel bene della scuola 2) per porre Salvini e il ministero al riparo dalle pronte critiche. […] Ti do la mia pa- rola che né l’uno né l’altro sanno o immaginano questa lettera, ne ho solo parlato col prudente Lu- sini che mi dà ragione cento volte. (BNCF, FO, Man. da Ord. 250, PVP 1 bis, 2; la lettera è data- ta 7 febbraio 1919). Alla scuola, dunque, giungevano personalità come Andreotti, per l’insegnamento di scultura e Guido Balsamo Stella, insegnante di decorazio- ne del libro. Vano era stato il tentativo ojettiano di avere per la sezione di pittura Spadini, impe- gnato attivamente a Roma, per cui in seguito sa- rebbe arrivato a Porta Romana il lucchese Giu- seppe Lunardi. All’interno della scuola, inoltre erano presenti maestri come Enrico Lusini, ami- co di Ojetti e insegnante di architettura e costru- zioni; Giacomo Lolli, maestro di disegno orna- mentale, Carlo Guerrini, docente di materie geo- metriche e disegno professionale, nonché diret- tore della sezione di Ceramica e Vetraria e Lui- Costetti, Giuseppe Bottai gi Cavalieri insegnante di decorazione industria- le. Quello che stupisce maggiormente è il “clima” di collaborazione tra maestri e allievi che si sa- va nominato Regio Commissario per provvedere rebbe instaurato nel corso degli anni. Non è ca- alla trasformazione della scuola in “Regio Istitu- suale, infatti, che Luisella Bernardini nel suo in- to Artistico Industriale”. tervento presente nel volume dedicato alla storia L’anno seguente Salvini, scultore, nonché dell’Istituto d’arte abbia parlato della “Scuola di promotore della Manifattura Salvini, nata negli Andreotti” e del forte legame che egli aveva con vi Innocenti e Prosperi. Nel 1930, in occasione ultimi anni dell’ottocento e specializzata nella i suoi allievi, ma non era il solo. Nel 1923, anno della Triennale d’Arte decorativa e con il con- realizzazione di ceramiche, otteneva il trasferi- in cui la scuola si era trasferita dai locali di San- senso di Italo Balbo, venivano esposte e presen- mento a Firenze con la nomina di direttore del- ta Croce a Porta Romana, Andreotti e Balsamo tate su “Domus” tre esemplari “interessantissi- l’istituto, ma già dal 1919 era iniziata la collabo- Stella erano stati invitati ad esporre alla Bienna- mi”, uno in argento e due in bronzo delle “Cop- razione con Ojetti per la crescita della scuola. I le Internazionale delle Arti Decorative a Monza pe del Mare” realizzate da Antonio Berti, Bruno due si conoscevano molto bene, la loro amicizia e per il desiderio di far conoscere anche i lavori Biondi e Lelio Gelli. Queste coppe facevano par- risaliva almeno al 1909 quando il critico aveva dei propri studenti avevano esposto con loro ot- te di un concorso indetto da Balbo nel 1927; dal pronunciato un discorso in onore dell’attore tenendo la medaglia d’oro della manifestazio- progetto vincente era stata realizzata una coppa in Tommaso Salvini, padre di Mario, nel Salone ne4. Con Andreotti avevano partecipato France- oro ed argento come premio per la “Gara Inter- dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. In seguito sco Prosperi, Bruno Innocenti e Romano Romi- nazionale e Annuale per Idrovolanti” e anche avevano collaborato come rappresentanti mini- ti presentando i primi lavori scolastici “ufficiali”. “Dedalo” aveva pubblicato alcuni esemplari in steriali all’interno della scuola e nel 1920, Salvi- Tra questi vi erano le prove pratiche d’esame per gesso che erano stati notevolmente apprezzati. ni avrebbe fatto parte della commissione presie- il Diploma di Maestro d’Arte di Prosperi ed In- Alla triennale del ’30, “Domus” dedicava alcune duta da Ojetti e nominata dal Ministero della nocenti; nel bassorilievo di Innocenti era rappre- pagine anche ai saggi della sezione di ceramica, Pubblica Istruzione con l’incarico di studiare una sentata una fanciulla che cantava mentre in quel- diretta da Guerrini e alcuni pannelli decorati in riforma dell’insegnamento artistico. Alla base lo di Prosperi era raffigurata una ragazza con le batik della sezione di decorazione industriale di- della loro collaborazione vi era una comunanza mani giunte in segno di preghiera. Andreotti, già retta da Lunardi6. d’interessi nel campo delle arti applicate e del- dal 1920 aveva cominciato a realizzare alcuni ri- Un’altra occasione in cui Ojetti era riuscito a l’istruzione artistica, per entrambi era importan- tratti dei propri allievi che coinvolgerà, in segui- coinvolgere la scuola fiorentina nelle sue attività te che l’artigiano, partendo dallo studio del dise- to anche nella realizzazione dei monumenti ai pubbliche è stata nel 1931 la mostra del giardino gno, del colore e della composizione unisse nel- caduti. Innocenti racconterà, infatti, di aver la- italiano in Palazzo Vecchio a Firenze, organizza- le proprie opere “abilità” e “gusto della creazio- vorato con il maestro nella realizzazione di alcu- ta dallo stesso critico. In quell’occasione il comi- ne”, inoltre era fondamentale che prendesse ne parti del monumento di Roncade, come le ali tato della mostra, del quale faceva parte anche spunto dal modo di lavorare delle vecchie botte- della Vittoria, i panni del soldato caduto e le fra- Lusini, aveva indetto due concorsi per la realiz- ghe artigiane3. sche di alloro. Nella Cappella alla Madre Italia- zazione di un grande giardino pubblico in declivio In base a questi principi Ojetti, che nel 1925 na, Innocenti e Prosperi realizzano due bassori- e per un giardino da villino in città. Al concorso verrà nominato presidente del Consiglio di Am- lievi in pietra; Bruno Biondi posa per la figura partecipava anche la scuola fiorentina; le riviste ministrazione della scuola, sceglierà, insieme a del soldato e Fiorenzo Lisa per quella di uno dei “Domus” e “Architettura e Arte Decorativa” pub- Salvini, alcuni insegnanti che, rispecchiando pie- due Cammilli del paliotto, presenti sui rilievi la- blicavano i lavori degli allievi Mario Chiari, che namente i suoi ideali artistici, avrebbero caratte- terali. Infine, Andreotti avrebbe guardato le mani aveva ottenuto un premio per il progetto del giar- rizzato la scuola in quegli anni. Nel febbraio del del suo assistente Agostino Giovannini per rea- dino privato e Ivo Lambertini, il cui prospetto 1919 Ojetti aveva scritto una lettera a Melchior- lizzare quelle di Cristo5. Portavoce del lavoro veniva considerato meritevole di menzione. Nel re Zagarese, ispettore generale dell’insegnamen- svolto in quegli anni dalla scuola fiorentina era la 1931 l’Istituto partecipava anche alla prima Qua- to industriale, nella quale proponeva la nomina di rivista “Domus”, fondata nel 1928 da Giò Ponti, driennale romana e Ojetti, che faceva parte della Libero Andreotti e Armando Spadini come inse- sotto suggerimento di Ojetti. L’architetto, infat- commissione giudicatrice insieme ad Andreotti, gnanti nella scuola di Santa Croce: ti, chiedeva spesso al direttore di inviare alla re- scriveva a Salvini: La sollecita nomina di due artisti di quelli che dazione del materiale fotografico per essere pub- A Roma, alla quadriennale, avendo avuto la si dicono giovani perché i giovani li amano e per- blicato sulla rivista. Già sulla copertina del se- fortuna di avere avuto in giuria anche Andreotti, ché sono degni d’essere amati e ammirati come condo fascicolo figurava l’opera “Composizione s’è potuto fare un premio di 10.000 lire a Inno- capaci d’avvenire: lo scultore Libero Andreotti e figurativa”, nata dalla collaborazione degli allie- centi; e s’è potuto comprare per 5.000 lire l’auto- IL PORTOLANO - N. 47-48 39

Dimitracopulos, Solazzi, Stoppioni, Rilievo delle “Scuderie di Porta Romana” ritratto del nostro Giovannini, per 1.000 lire la stituto, ma da artisti come Giorgio De Chirico, le di Venezia esponevano gli allievi Gelli, Berti e cartella delle [parola ill.] del nostro Chiappelli, Felice Casorati, Cipriano Efisio Oppo e altri8. Biancini insieme ai professori Innocenti, succe- per 4.000 i Fidanzati del nostro Vagnetti. Dillo, tu L’anello di congiunzione tra la scuola e il teatro duto ad Andreotti, Vagnetti e Chiappelli. Ojetti, Direttore, a costoro, ma in un orecchio e in gran era sicuramente Ojetti, che era stato designato nel suo articolo “Scultori nostri”, apparso sul segreto perché la nota deve essere ancora sotto- presidente della Commissione incaricata per l’or- «Corriere della Sera» il 5 luglio 1936, apprezza- posta al Capo del Governo. (A.I.S.A. 20 febbraio ganizzazione di Convegni e Mostre congiunti va molto i ritratti femminili di Innocenti, Berti e 1931, prot. 95). agli spettacoli del Teatro Comunale e del Maggio Biancini che bastavano ad elevare “la giovane Innocenti veniva premiato con la scultura Musicale fiorentino, nonché membro dell’Ente scultura italiana più su di ogni altra nel mondo” “Lilia nuda” (1930) e in quello stesso anno idea- Autonomo. Bruno Innocenti, scriveva Ojetti, con il suo mar- va per Andreotti sette modellini di atleti per par- L’Istituto, negli anni ’30-’40 aveva parteci- mo “Greta” aveva mantenuto il “suo gusto per le tecipare al concorso per la realizzazione di alcu- pato a molte esposizioni, fra le quali nel 1933 figure femminili esili e guizzanti”, fra le quali, la ne sculture per lo Stadio dei Marmi del Foro alla V Triennale d’arte che da Monza era stata tra- più espressiva, secondo lui era “Erinni”, purtrop- Mussolini a Roma. Dei sette bozzetti sarebbe ri- sferita a Milano; in quell’occasione, mi preme ri- po ancora in gesso. La scultura di Berti “nel si- masta solo una documentazione fotografica con- cordare, che, nell’atrio dell’esposizione, era stata curo succedersi e connettersi dei piani” dava, se- trofirmata dallo stesso Andreotti. Fra il 31 e il 33 presentata “La Fortezza”, ovvero l’ultima scultu- condo Ojetti “il godimento che in poesia dà il Innocenti è coinvolto anche nella realizzazione ra alla quale gli allievi Antonio Berti e Lelio Gel- succedersi e connettersi delle sillabe e delle parole dei rilievi del Boccascena del Teatro Comunale li avevano potuto lavorare insieme al maestro An- sull’appoggio degli accenti”: da quella unità e di Firenze rappresentanti Apollo e Le Muse, nel- dreotti, prima della sua morte, avvenuta il 4 apri- “scrittura serrata” lo stile sorgeva “sicuro”. Il cri- le vesti dei quali Ojetti riscontrava ancora un le 1933. Era proprio Ojetti a darne la triste notizia tico, inoltre, apprezzava l’”Anita” di Gelli, defi- certo tocco “impressionistico”, diversamente dal- sul “Corriere della Sera”, in cui raccontava gli nendola come il frutto di un’arte “sobria e piana”, le forme, caratterizzate da “una sciolta sicurezza ultimi momenti di vita dell’artista: e “Littoria” di Enzo Innocenti. Nel ’36 l’Istituto e un equilibrio che mostravano quanto varia e L’avevo lasciato iersera tra i suoi aiuti e sco- partecipava nuovamente alla Triennale di Milano, possente” era la scultura dei giovani italiani7. In lari all’Istituto d’arte dove dal 1920 insegnava in occasione della quale veniva esposto il basso- questi anni anche l’allievo Carlo Brogiotti aveva scultura con un fervore e una fortuna che forse rilievo di Giulio Porcinai “La Vendemmia”, ac- realizzato, per il teatro, due grandi pannelli de- nessun altro artista e maestro oggi aveva in scuo- quistato nel 1937 dallo Stato per essere destinato corativi rappresentanti un’immagine neo-medie- le italiane. […] Avevano finita per la Triennale di alla Galleria d’Arte Moderna di Littoria9. vale di Firenze e nel 1933 Giuseppe Piombanti Milano la grande statua della Fortezza, alta quat- Il successo che la scuola aveva ottenuto in Ammannati aveva ideato il Manifesto per il Mag- tro metri, ed erano lì felici intorno al maestro a seguito alla Triennale, portava Ojetti a fare una gio Musicale Fiorentino. Il legame tra la scuola e berne le parole, le critiche e le lodi. (Ugo Ojetti, proposta piuttosto interessante al ministro del- il teatro sarà molto fruttuoso anche negli anni Libero Andreotti, in “Corriere della Sera”, 6 apri- l’Educazione Nazionale. Il critico avrebbe voluto successivi, nel 1937, infatti la scuola aveva con- le 1933, p. 3). riunire i lavori degli alunni di ciascuna scuola od cesso il prestito di alcuni calchi per la messin- Nel 1934, ad un anno dalla morte di An- istituto, acquistati in occasione della Triennale, al scena dell’Incoronazione di Poppea al Giardino dreotti, veniva allestita alla Biennale di Venezia fine di creare un Museo Industriale di Arti Ap- di Boboli e sempre nello stesso anno Vagnetti una personale dedicata allo scultore toscano, pre- plicate, con sede in uno degli Istituti d’Arte d’I- aveva dipinto nel teatro un affresco in cui un sentata in catalogo dallo stesso Ojetti; nella sala talia; nella lettera a Bottai scriveva: paesaggio collinare faceva da sfondo ad una na- adiacente, invece esponevano gli allievi Innocen- Non intendo che si crei una larva di museo in tura morta con libri, fiori e strumenti musicali. È ti, Berti, Gelli e Biancini. Nel 1934, l’Istituto par- più, ma una raccolta viva e sempre al corrente di importante ricordare, inoltre, che tra il 1932 il tecipava anche ai Littoriali della Cultura a Firen- quanto i giovani producono di meglio. Anziché 1950, nei locali delle “Pagliere” erano state rea- ze e l’anno seguente Vagnetti, Bruno ed Enzo In- vedere dispersi a destra ed a sinistra questi lavo- lizzate le scenografie delle opere teatrali più im- nocenti erano presenti con le loro opere alla Qua- ri Le propongo di raccoglierli per lo scopo sopra portanti e non solo dalle personalità legate all’I- driennale romana. Nel 1936, invece, alla Bienna- accennato, a meno che cotesto On. le Ministero 40 IL PORTOLANO - N. 47-48 non abbia provveduto a destinarli altrimenti. La giovanili, i figli della lupa, i balilla, gli avan- raccolta potrebbe essere di sprone ai maestri ed guardisti, i G.U.F. della milizia volontaria. Pa- agli allievi di tutte le scuole a lavorare con serietà squi aggiungeva che tra questi due fregi era stata ed essi potrebbero essere indotti ad inviare in de- posta una targa commemorativa in memoria dei posito o in dono i pochissimi migliori lavori, sa- caduti per la causa fascista, con i nomi incisi13. I pendo a quale nobile scopo sarebbero destinati. due affreschi ricordavano la pittura quattrocente- (A.I.S.A. 18 novembre 1936, prot. 1559). sca e si inserivano perfettamente nell’ambiente La proposta veniva accolta favorevolmente che li ospitava; da un punto di vista compositivo da Bottai, tanto che nel 1940 la raccolta si era essi richiamavano anche le processioni religiose, concretizzata attraverso sculture, manufatti, mo- seppur in un contesto laicizzato, presenti in alcu- bili, ceramiche ed altri prodotti artigianali in linea ni bassorilievi di epoca romana. I cartoni del Sa- con la tradizione. I lavori degli allievi erano stati velli, invece, rammentavano la costruzione spiri- riuniti in alcune vetrine sistemate nell’aula magna tuale e materiale del fascismo, la vita sportiva della scuola, ma era in progetto la realizzazione di della gioventù, i giovani che costituiscono la Casa uno spazio da adibire a museo. La proposta, in- del Fascio e la madre che presenta il figlio alla fatti, era stata affidata a Giovanni Michelucci, il maestra14. L’affresco del Savelli era collocato nel- quale a causa del conflitto mondiale non aveva la parete destra del teatro. Nello Bini realizzava potuto portare a termine il piano di lavoro che per il boccascena un fregio composto da più bas- verrà ripreso da Pasqui – direttore della scuola dal sorilievi in gesso che rappresentavano le allegorie 10 1934 – nel dopoguerra . delle arti, dei mestieri e delle scienze. Nel 1975 Libero Andreotti Un evento, piuttosto significativo che ha ca- l’edificio veniva demolito per lasciare il posto ratterizzato l’Istituto in quegli anni, è stata la na- alla nuova sede dell’Archivio di Stato; la Soprin- gnetti, Francesco Chiappelli, Giuseppe Lunardi, scita della Scuola di Fotografia. In linea con gli tendenza fiorentina decideva di staccare gli af- Pietro Parigi ed altri, partiva dallo studio del di- intenti propagandistici del regime, era stato Ales- freschi di Calastrini e Gemignani, conservati oggi segno, dall’elaborazione delle forme della natu- sandro Pavolini – segretario del partito fascista di nel costituendo Museo delle Pagliere. ra e dalla conoscenza del mestiere, che per Ojet- Firenze – per mezzo dell’Azienda Autonoma del Nel 1939, in seguito alla Mostra degli Istituti ti era alla base di tutte le arti. Si potrebbe, quin- Turismo, a deliberare la formazione della scuola d’Istruzione Artistica, Ojetti ribadiva, ancora un di parlare di una “Scuola fiorentina” operante fra con esplicite finalità di tipo turistico-pubblicitario. volta l’importanza degli Istituti d’Arte per l’ap- le due guerre; una scuola da non intendersi nel Il corso veniva inaugurato nell’aprile del 1937 e prendimento del mestiere, criticando i lavori ese- senso più stretto del termine, in quanto gli arti- il primo insegnante era l’ingegnere Vincenzo Ba- guiti dagli allievi delle Accademie di Belle Arti. sti non erano legati da principio ispirato a un locchi, al quale nel 1938 subentrava Renzo Mag- Da qui partiva la polemica che vedeva coinvolti il programma, ma in comune avevano il rispetto gini. Nel 1943 Ado Boninsegni, direttore tecnico critico e Felice Carena, presidente dell’Accade- della tradizione artistica che in scultura partiva del reparto fotochimica e fotomeccanico della mia fiorentina, nonché pittore molto stimato dal- dallo studio delle forme quattrocentesche e in Berger & Wirth donava alla neo-scuola alcune lo stesso Ojetti. Da un punto di vista politico la si- pittura dalla corrente post-macchiaiola di fine pubblicazioni e macchine fotografiche11. In con- tuazione stava peggiorando, l’Italia, nel giugno ottocento. comitanza con la diffusione della fotografia come dell’anno seguente entrava in guerra e nelle scuo- mezzo pubblicitario, Ojetti e Pasqui avevano pen- le erano già state introdotte le leggi razziali; a sato di far eseguire all’interno dell’Istituto alcune causa del conflitto molti allievi venivano chia- pose cinematografiche che illustrassero sia la rac- mati alle armi e la scuola era occupata dalle trup- colta d’arte della scuola sia i modi di lavorazione pe tedesche. Per la protezione degli oltre duemi- A.I.S.A.: Archivio Istituto Statale d’Arte di Firenze. artistica che la caratterizzavano. Proprio per que- la calchi si erano incontrate enormi difficoltà; B.N.C.F; F.O.: Biblioteca Nazionale Comunale di Firen- sto nel 1941 si erano rivolti al presidente dell’i- vano era stato, infatti, il tentativo della Soprin- ze, fondo Ojetti. stituto Luce, il quale accettando la loro proposta tendenza di trasferirli nella villa medicea di Pog- 15 aveva inviato alla scuola uno schema di film da gio a Caiano . 1 Giovanna De Lorenzi, Ugo Ojetti critico d’arte, Le eseguire. Nonostante Pasqui avesse assicurato la Con la fine della guerra si concludeva un ca- Lettere, Firenze 2004, p. 9. collaborazione di tutto il personale dell’Istituto, la pitolo fondamentale della scuola; un periodo in 2 Ugo Ojetti, L’arte decorativa a Parigi. Maioliche e ripresa non verrà mai realizzata; fatto piuttosto cui Ugo Ojetti, che morirà di li a poco, aveva porcellane, 4-5 novembre 1900. 3 prevedibile visto il peggiorare della situazione avuto un ruolo tutt’altro che marginale. Il criti- Mario Salvini, La preparazione artistica dell’artigia- nato, Società anon. Coop. “Il Rotary”, Milano 1927, p. 3. 12 bellica . In quegli anni il governo fascista affi- co, nonostante la sua presidenza durata un ven- 4 V. Cappelli, Da Santa Croce a Porta Romana. Le dava importanti commissioni alla scuola, come la tennio, veniva presto dimenticato a Porta Ro- molte ambizioni di un Istituto modello (1919-1939), in decorazione con pannelli di stoffa per l’Aula Ma- mana e ricordato solo nel 2001, quando Ferruc- “Storia dell’Istituto d’Arte di Firenze”, a cura di Vittorio gna del Foro Mussolini a Roma, un mosaico fi- cio Canali promuoverà una giornata di “Letture Cappelli e Simonetta Soldani, Leo S. Olschki, Firenze gurativo per la Confederazione Professionisti e ojettiane”. Ugo Ojetti, infatti, si era dedicato 1994, p. 86. 5 Luana Cappugi, Sculture di studenti all’Istituto d’Ar- Artisti di Roma e infine la decorazione della sede con molta passione all’Istituto, occupandosi non te di Firenze (1920-45), in “Artista. Critica d’arte della To- della G.I.L. a Firenze, in piazza Beccaria. Per solo della “regificazione” della scuola, del tra- scana”, 1990, pp. 143-144. quest’ultima furono realizzati affreschi, bassori- sferimento della sede scolastica da Santa Croce 6 Le Scuole d’Arte Italiane, Il Regio Istituto d’Arte di lievi ed arazzi dagli allievi Edmondo Savelli, Si- a Porta Romana, della nascita della gipsoteca, o Firenze, in “Domus”, maggio 1930. 7 neo Gemignani, Dino Calastrini, Nello Bini e del desiderio di istituire un museo che racco- [Ugo Ojetti], Bruno Innocenti, in “Dedalo”, 1933, XIII, vol. I, p. 128. Giuseppe Bongi. L’inaugurazione della G.I.L. av- gliesse i lavori dei giovani artigiani, ma aveva 8 Moreno Bucci, Il Teatro Comunale e l’Istituto d’ar- veniva il 10 aprile 1938. I quattro arazzi che l’I- vestito, insieme alla moglie Fernanda, il ruolo di te di Porta Romana, in “Arti applicate a Firenze: 1930- stituto aveva eseguito venivano consegnati alla committente nei confronti degli allievi. I coniu- 1960, il restauro degli affreschi della G.I.L. per il Museo G.I.L. nel gennaio 1941; essi rappresentavano gi Ojetti, inoltre, avevano donato all’Istituto una delle Pagliere”, catalogo della mostra a cura di Mirella scene sportive ed erano stati realizzati con i car- raccolta di libri d’arte appartenuti a Domenico Branca, Annarita Caputo, Carlo Sisi, Polistampa, Firenze 2001, pp. 110-111. toni disegnati dall’alunno Bongi. In una lettera ad Trentacoste, di cui Fernanda era erede testa- 9 A.I.S.A. 3 Febbraio 1937, prot. 200. Ojetti, Pasqui inviava le fotografie del fregio di- mentaria, e il gesso di uno dei Prigioni di Mi- 10 Arti applicate a Firenze: 1930-1960…, cit., p. 34. pinto ad affresco dedicato al Sacrario dei caduti, chelangelo16. Il grande merito di Ojetti, però, è 11 A.I.S.A. 31 marzo 1943, prot. 369. spiegando quali fossero i significati di ogni lavo- quello di aver creato all’interno della scuola un 12 A.I.S.A. 20 dicembre 1941, prot. 1903. 13 ro: il Calastrini rendeva omaggio alla memoria dei preciso indirizzo artistico, in linea con il suo A.I.S.A. 17 settembre 1937, prot. 1268; cfr. Arti ap- plicate a Firenze: 1930-1960…, cit., p. 78. caduti, delle madri, delle vedove di guerra, del pensiero d’arte. Il “circolo” degli artisti di Por- 14 A.I.S.A. 17 settembre 1937, prot. 1268. clero, dei mutilati e dei combattenti, il Gemigna- ta Romana, composto da personalità come Li- 15 A.I.S.A. 20 maggio 1943, prot. 572. ni ricordava i caduti di tutte le organizzazioni bero Andreotti, Bruno Innocenti, Gianni Va- 16 A.I.S.A. 13 marzo 1943, prot. 308. IL PORTOLANO - N. 47-48 41

di cui l’Autrice era ed è la prima e unica vestale, la custode di un fuoco e di un focolare domestico insieme – trova conferma e, allo stesso tempo, sono superate le In transito prime incertezze di una ricerca espressiva che è andata definen- dosi in un personale e inconfon- La poesia di Anna Maria Guidi dibile metro. Ancora una volta la materia è tanta e non solo quanti- tativamente: è la materia di una vita, di una vita vissuta come Gloria Manghetti “magnifico esercizio” (ci diceva Anna Maria nel suo libro di esor- dio), di una vita registrata attimo per attimo dalle battaglie interio- ANNA MARIA GUIDI, In transito, fremono / a distesa tentazioni / di accade, con battute d’arresto, mo- ri di una giovinezza tormentata, Presentazione di Giorgio Luti, Fi- festa. // Mi preparo a riceverla / di mentanei smarrimenti propri di alle asperità di una crescita sem- renze, Polistampa, 2005* cristalli e d’argenti / apparec- chi va e si va cercando. Fino ad pre provvisoria, su su fino ai “rac- chiando la tavola imbandita / dei arrivare al libro che oggi presen- colti d’armonia” mai ottenuti per- uando, lo scorso settembre, pensieri. // È qui con me ora: / la tiamo, In transito, dedicato con correndo strade facili e in discesa, QGiorgio Luti mi contattò per prima sempre / di tutte quelle che formula felice “A chi mi tiene / bensì “vorticando, annaspando, propormi la presentazione della non so / se mi restano”. Giusta- senza trattenermi”. Lo definirei defluendo”. D’altra parte, come raccolta In transito al Gabinetto mente Mezzasalma, nell’introdu- un libro che segna, in termini ine- lo stesso titolo bene indica, “tran- Vieusseux, non conoscevo Anna zione, parlava del tono della voce quivocabili, una svolta nell’iter di sitare” equivale ad alludere a uno Maria Guidi, sul momento non ri- di Anna Maria, “che non è sola- Anna Maria; un libro dove quan- stato di continua incertezza, dove cordavo nemmeno di avere avuto mente lo stile di una scrittura”, to di meglio era sin da Esercizi nulla è mai definitivo e dove, af- occasione di tenere tra le mani bensì “si fa sentire come una nota presente – e il meglio era per me ferma con coraggiosa sincerità uno dei suoi libri di poesia prece- umana e come un timbro l’Autrice, “mi pesa la zavorra / denti, per la precisione il secondo, misterioso allo fardello di paura”. E il li- Incontri del 2000 (Polistampa, stesso tem- bro stesso è costruito Presentazione di Carmelo Mez- po, che come un transito at- zasalma), gli altri sono Esercizi traverso tredici (Polistampa, 1998, Presentazio- movimenti, se- ne di Luti), Tenacia d’ombra (Po- gnalati da al- listampa, 2002, Presentazione di trettante poe- Giuseppe Panella), Certezze (Ibi- sie in corsi- skos, 2002, Presentazione di Cri- vo, il cui stiano Mazzanti). Un bel libro, primo ver- come dimostrano i molti premi so è ripor- ottenuti, che allora mi aveva col- tato nell’in- pito in primo luogo per la tanta dice finale: materia presente, per le tante inumate le spo- cose che si percepiva l’Autrice glie; un amico aveva da dire, avrebbe voluto m’ha detto; costo- dire, che le si ingorgavano addi- si / non prezio- rittura in gola, fino a dover ricor- si; in giroton- rere a uno sperimentalismo grafi- di / farneti- co della parola, oscillando tra ci di misure metriche tradizionali e espedienti di poesia visiva. D’altra parte, come la stessa Guidi dichiarava indicando “personaggi ed interpreti” della raccolta, protagonisti erano allora “Tutti quelli che mente sgombra e sensi pronti, in intima coerenza nella mutevolezza del divenire, consentono di incontrare, fuori e dentro di sé”, e quindi: pensieri, sentimenti, passioni, desideri, fe- accompa- licità, dolore, tenerezza e via via gna le vicissi- dicendo. Da tale materia nasce- tudini del vivere e vano versi come quelli della poe- del pensare a contatto sia che apriva il libro: “Gialla / con la vita”. mi apre gli occhi / stamani un’al- Da allora sono trascorsi cin- Umberto Buscioni, Due sulle nuvole (1982) tra primavera / di ranuncoli che que anni durante i quali sono, ap- punto, uscite altre raccolte che permettono di seguire un percor- quel flusso di vita, che una me- foglie; colgo / acini rosseggianti; * Testo letto in occasione della pre- so creativo senza alcun dubbio in moria ovattata di volta in volta in piedi / tre scalini più in basso; sentazione al Gabinetto G.P. Vieusseux, 12 dicembre 2005. crescita, peraltro, come sempre restituiva al lettore, una memoria occlude il parafuoco; è pane e di- 42 IL PORTOLANO - N. 47-48 sciplina; pudica vestale; non vol- nare”. E non è forse la contem- arrosa e infuma / rampicando cri- dall’Autrice condotta con la rara li conoscere; molto ho visto; di- poraneità in cui Anna Maria è nali / l’assorta mestizia delle vi- padronanza metrica opportuna- spaiono le schiere dell’agire; una così visceralmente immersa un gne. // Assaporarla e assumerla mente sottolineata da Luti in volta / tanti treni fa. Movimenti diseredato universo, che l’Autri- mi piace / e mi dà pace. / […] // chiusura dell’introduzione al li- che, come giustamente osserva ce di volta in volta dipinge con le Ed il mio tempo è un acino: acò- bro. Ma da dove nasce tale pa- Luti nell’introduzione, di volta in variegate tinte della sua persona- lito / che, spremuto, fermenta / dronanza, che “tende costante- volta si dispongono fra “il dovere le tavolozza? Talora si limita a esalando nel mosto / l’azzardo mente a farsi canto e ritmo”? di vivere / e l’invenzione di tene- prenderne atto (se necessario, an- della sua maturazione” (L’acòli- Quali sono le sue fondamenta? re in vita / la necessità della vita”. che con sottile ironia), talaltra to); ed ancora “Profumava il gi- Se impossibile è prescindere dal- Alcuni anni fa, in particolare sembra subirne la forza distrut- nepro / le sue bacche di miele, / l’intensa ispirazione poetica di nella seconda metà degli anni trice, “Anche per oggi smonto / in agguato il ciliegio / – occhidi- cui sin qui ho tentato di rendere Settanta, ci sarebbe stato chi, nel- dal pubblico castigo: / bugnato di neve – / d’oro le vele / tese dalla ragione, è altrettanto indispensa- l’ambito di un vivace dibattito al- sorrisi sovraesposti, / quotidiano forsithia: / l’orizzonte un ricamo bile fare i conti con la profonda lora in voga sulla poesia femmi- artefatto / adeso – comme il faut fiorito / di giunchiglie protese ol- conoscenza che Anna Maria pos- nile, non avrebbe mancato di in- – alla facciata. // Paterna mi rim- tre la siepe, / verso il grano del siede dei classici, da Dante a Pe- terrogarsi, pur rifiutando qualsia- bocca / la notte le lenzuola. // Su- campo: // Era tutto lì / il succo trarca, su su fino ad esperienze si separazione tra maschile e fem- perstite m’accovo / in isole di della vita, / nei semi di un’arancia poetiche a noi più vicine e non minile in letteratura, su dove col- pena: // poi senza mappa trovo, / già spremuta, / ….”. La poesia di solo italiane. Lei per prima, così locare la ricerca poetica di diserto in una crepa dell’intona- Anna Maria è nutrita da una reli- come in prove diverse del passa- un’Autrice come la Guidi, che co, / il tesoro del pianto” (Il teso- giosità che si fonda su una to, ce ne dà scoperto indizio se- nello sciorinare, proprio nel sen- ro). Ma non certo la rassegnazio- profonda fede nella natura, nella gnalando qua e là, in corso d’o- so di esporre all’aria e al sole, i ne è il sentimento che percepisce vita. E la vita è per l’Autrice sa- pera, a piè di testo, suggestioni propri punti di vista, i miti, le fan- chi questi versi si trovi ad attra- cra in quanto comunque dono e che versi di altri autori le hanno tasie, i desideri esprime tutte le versare. Sono, piuttosto, l’attra- proprio per questo guardata, af- procurato: Caproni, Pasolini, Se- tappe di una ricerca di identità, zione e lo stupore per il corag- frontata, interrogata, accettata in reni, Whitman… Una tradizione di una vera e propria catarsi che, gioso “azzardo” di un volo che tutto il suo carico di inevitabile poetica da Anna Maria assimila- nel suo essere individuo donna, uno “sgricciolo in ali” e senza sofferenza. ta al meglio e metabolizzata fino trova a mio avviso l’ingrediente rete – aggiungo io – compie leg- Tornano alla mente le parole a padroneggiarla con felice di- principale. Intendiamoci bene, gero e spregiudicato, con la ver- di un grande poeta del secolo sinvoltura, senza rimanere so- però, nel senso e nella misura in- tigine di una leggerezza “abbaci- scorso, a me particolarmente praffatta da soverchie sovrastrut- dicati da un’altra grande poetessa nante” e nonostante il peso di un caro, Diego Valeri, che Luigi ture intellettuali. Ne deriva quel- fiorentina cui a tratti mi riporta la “deserto di stanchezze”. Le im- Baldacci definiva “il camaleonte la che potremmo definire una lettura dei versi di Anna Maria, magini si rincorrono ancora nu- della natura”. Da sempre convin- classicità priva di paludamenti, Margherita Guidacci. Interroga- merose e senza fiato di questa to che la missione dell’arte è una personalmente interpretata, resa ta sull’esistenza o meno di un esploratrice dai piedi alati, che sola, quella di “creare bellezza”, più ricca e rara da un uso pecu- rapporto, in una donna che scriva non “si ispira” ma “aspira” – Valeri, per quanto refrattario a liare del verbum sul quale, in poesie, tra l’esser donna, appun- sono sue parole – da quello che formule precostituite, in più oc- chiusura, vorrei soffermarmi. to, e lo scrivere poesie, la Gui- chiama “l’incenso sottile della casioni ha, infatti, ribadito che a Sempre consapevole del proprio dacci (1976) rispondeva afferma- vita”: dai meandri più riposti del- suo avviso la poesia è “espres- fare, del proprio creare, Anna tivamente, precisando: “Il sesso la mente, a una orchestrazione sione di sentimenti inspirati dal- Maria non gioca mai, infatti, con di una persona, come il suo luogo delle infinite sfumature dell’ani- la contemplazione della mul- le parole e tanto meno si rappor- di nascita, il tempo in cui è vis- ma, ai più minuti palpiti di una tiforme realtà cosmica e umana, ta loro con incedere casuale, ben- suta, l’ambiente in cui si è for- natura sempre e comunque ma- universale e individuale”; senti- sì le utilizza come – è stato detto mata, gli incontri (esistenziali o dre. Una natura dove il senti- menti che – osserva Valeri – il per altri – “le cose sante” della culturali) che ha avuto, l’aspetto mento poetico della voce di Anna poeta esprime col verso, come sua “comunione”. Non freddure, fisico, le condizioni economiche, Maria trova spesso origine e so- l’artista, pittore o scultore che non calembours, non giochi di la buona o cattiva salute, fanno stegno, andando ben oltre una sia, col segno, compiendo ambe- parole, quindi, ma intelligenti as- parte delle premesse su cui si è paesaggistica registrazione di fat- due la stessa operazione magica sociazioni di termini tratti da re- sviluppata la sua vita individuale ti altrimenti fine a se stessa. Anzi da cui balzano vivi i fantasmi, gistri diversi e parimenti dal- (senza la quale non si sarebbe si potrebbe dire che tutto qui di- cioè la realtà della fantasia. Di l’Autrice padroneggiati con na- mai sviluppata la sua poesia): è venta natura, il paesaggio come il questo interscambio continuo, turale nonchalance. Magica e uno dei dati del problema che le è dolore, perché l’essere (per quan- fino a un fitto e misterioso inter- unica l’impronta così conferita al toccato risolvere”. Non tanto, to personale e soggettivo) è tutto secarsi, credo non sia azzardato modus poëtandi della Guidi, che, quindi, la condizione femminile l’essere e ogni aspetto dell’esi- ritenere maestra Anna Maria, che “inesausta nocchiera / in tempe- come fattore primariamente in- stere si concreta nel creato: “D’e- nello scrivere versi sembra tro- ste di carta” (p. 160), non si sot- fluenzante lo scrivere versi, ben- state, / qui sul pianoro / scabro vare una sorta di zona di franchi- trae mai dal concedere “ancora sì come premessa essenziale per della pescaia, / c’è un sentore di gia dove sfogare i sentimenti più un giro alle parole / – voce della la crescita di una personalità, di mare decomposto / che ha scam- strettamente personali, lunga- mia voce – ”. Un modus che nel una vita individuale appunto da biato la spiaggia con le sponde: / mente chiusi dentro; pare che il tempo e nello spazio affonda le cui la poesia, la vera poesia, potrà e non sa defluire / per ritornare in verso la sciolga da ogni segreto radici e insieme li supera in un germogliare. A precisarne il sen- sé. // Qui ricovero e asciugo il vincolo di silenzio, di pudore, intenso e fluido canto di memo- so, mi piace qui ricordare quanto mio sudore / di ronzino sfranto scegliendo di “rendere in sempli- ria: “La mensa del poeta / è Enrico Falqui osservava alla fine allo stallaggio, / qui baratto gli cità” le sue più segrete sensazio- un’allucinazione di parole. // Ce- degli anni Cinquanta a proposito strappi / del morso che costrin- ni, sempre peraltro consapevole rimoniere dell’ombra / minestro della poesia femminile nel dopo- ge, claudicante, / la gara del vi- che il giuoco non sta in noi ma la tavola // e in un cantuccio di guerra, quando scriveva che le vere col convivere, / col cosmico noi facciamo parte di un giuoco silenzio aspetto / di cogliere ab- poetesse più giovani “si aggira- conflato dell’esistere” (Lo sposli- imperscrutabile. Tale operazio- bagliato / il sale delle briciole”. vano tra i ricordi come tra le ma- zio); “Imbrina il giorno. // Offer- ne, ma il termine per sua natura cerie di un diseredato mondo lu- ta in sacrificio alla vendemmia, / così asettico non è appropriato, è (Firenze, dicembre 2005) IL PORTOLANO - N. 47-48 43 POESIS ANCILLA VITAE Con Terra e cenere vince il primo Premio “Alessandro Contini Bonacossi”

Sauro Albisani

l premio Nazionale di poesia “Alessandro Contini Bonacossi” è giunto alla sua 12° quotidianamente minacciata da un pertinace, mendace rischio d’insensatezza sempre Iedizione (Villa di Capezzagna, 3 settembre 2006). Lo ha vinto, come primo clas- in agguato, se solo esco dalla terra della carità, da quell’esperienza che dovrebbe in- sificato, Sauro Albisani con il libro Terra e cenere, uscito per l’editore Il labirinto nel segnarmi a sentire miei i dolori di altri. 2002. Rileggo eticamente tutto l’itinerario estetico come uno slancio verso il mondo spi- Il premio è stato istituto alla memoria del conte Alessandro Contini Bonacossi rituale, come il bisogno metafisico, da parte dello scrivente, di lanciare una parola ver- (1899-1994), poeta e scrittore del secondo Novecento, collaboratore di “Solaria” e so l’alto (con la consapevolezza che essa potrà ben ricadergli addosso inevasa: ‘gia- di “Letteratura” e quindi vicino o amico di alcuni dei maggiori protagonisti della cul- culatoria’, cui s’intitola una mia poesia, significa preghiera o grido che si vorrebbe sa- tura italiana fra le due guerre (da Montale a Loria, da Gadda a Bonsanti). lisse rapido al cielo come freccia, jàculum). Un bambino lancia un sasso verso il cie- Sauro Albisani, nell’occasione della premiazione, ha tenuto un interessante di- lo, un sasso di carta, un messaggio appallottolato: vuole vedere se un dio è disposto scorso su cosa significhi per lui scrivere poesia, e su nostra richiesta, ne ha permesso a giocare con lui. la pubblicazione in rivista. Qui apre finestre su ciò che un tempo di diceva la sua Ho fatto poesia come atto d’accoglienza, per educarmi a dare spazio, a farmi da “poetica”: apre le porte del suo appartato e luminoso laboratorio letterario, ci mo- parte. Dicevo a me stesso: se non sei disposto a metterti nei panni altrui, fatti almeno stra i ferri del mestiere, ci dà una lezione, a suo modo, di rigore e di umiltà. Ci rac- da parte. Per lungo tempo l’idea dell’ispirazione ha coinciso, per me, con questo conta come il processo di scrittura assomigli per lui a una caccia in cui il poeta si sen- esercizio spirituale: farsi da parte, mettersi in ascolto, stare in sospeso, stare in pensiero. te contemporaneamente la preda e il cacciatore, e mette in evidenza come, in tempi Quando stai in pensiero stai scomodo perché sai che presto dovrai fare una scelta. di esagitato e effimero presenzialismo, l’avvicinamento alla poesia possa finire con Pian piano ho visto popolarsi il mondo attorno a me di creature che attendevano l’identificarsi con “l’etica della cura” e con un delicato “mettersi da parte”. Infine, che io mi prendessi cura di loro, e volevano diritto di parola; eppure il mondo era lo si sofferma sull’amicizia e sul magistero di Carlo Betocchi, sulla natura autobio- stesso di sempre. Piuttosto, era cambiato qualcosa dentro di me. Da quel momento è grafica del proprio “racconto in versi” (con evidenti echi sabiani), sulla necessità e cominciata quella che chiamo la mia vera poesia, da quando ho smesso di occupar- oggettività di una versificazione nutrita di pensiero e musica. mi di me stesso o, altrimenti detto, da quando ho incominciato ad occuparmi di me Il libro, che si è aggiudicato il primo premio, si distingue – come osservava già stesso come di un poveruomo che non può esibire, al mio cospetto, nessun privilegio. Luigi Baldacci nella Nota di lettura finale – per una forza poetica quasi naturale, che L’idea dell’ispirazione è stata un’attesa, talora scettica, di rivelazione, e sotto il fa sì che il contenuto di dolore umano e creaturale venga sempre rischiarato da una peplo classico della mia musa c’erano, mal celate, le fattezze d’un angelo cristiano, vena di innocenza fiorita a ridosso delle tante tragedie, storiche e individuali, del no- le sue ali o almeno il presentimento del loro alitare. Quante volte l’impressione era stro presente. Nel microcosmo di una provincia contadina e artigianale, nelle aule quella che egli non fosse venuto all’appuntamento! scolastiche, nel contromondo animale, Sauro Albisani scopre e rivela le tracce del A questa condizione di perdita d’una vicenda spirituale che la mia coscienza ha sacro. La vita come caccia e tenzone è riscattata in un contesto di universale pietas, spesso rivendicato come possibile, a tu per tu con se stessa, (quasi ne avesse imme- in una “mansuetudine mai dimissionaria” – come ha scritto Mario Luzi sul “Corriere morabile certezza), e che ai moderni non si dà, ho cercato di rispondere con un per- della sera” –, recuperando la betocchiana “letizia ferita” e una “carità messa alla ché, col riconoscimento di una ragione non solo personale. Era forse così anche per prova dalla conoscenza più amara”. Un libro, questo, circoscrivibile con tutta la sua altri? Dopo che il comfort ha preso il posto dei conforti religiosi, dopo che il medi- innegabile originalità nell’area di altissimi di modelli e maestri quali Saba, Capro- co – diceva de Vigny – ha preso il posto del prete (e aggiungeva: “come se questa so- ni e Betocchi; un libro, sempre per dirla con Luzi – di “umiltà intelligente”. Questo cietà, diventando materialista, avesse giudicato che la cura dell’anima dipende ormai generoso maestro di scuola mostra, descrive e fa cantare il suo piccolo mondo ap- da quella del corpo”). partato, i destini minimi, i poveri di spirito, gli animali domestici e dei boschi che po- Rileggendo la mia poesia non so rinunciare alla dubitosa speranza che essa pos- polano un universo ancora intatto, se pur travolto dalla violenza della storia e del- sa testimoniare un tentativo, serio almeno nelle intenzioni, di oggettivare (insisto sul la tecnica moderna. concetto) una esperienza interiore. Se l’arte delle parole non si fonda su uno studio dell’anima, le parole sono come fiori senza radici. Ernestina Pellegrini Terra e cenere è forse un’autobiografia, un racconto in versi, ma anche una rap- presentazione coi suoi tanti personaggi: sacra rappresentazione, non già per gl’im- probabili meriti formali, bensì perché la poesia, se riesce ad assolvere il suo compi- L’aver sperimentato in prima persona ciò di cui pretendi scrivere può darsi che to, dovrebbe risvegliare in chi legge la coscienza della sacralità della vita. In questo non basti a far poesia: si dovrà allora parlare di condizione non sufficiente; comun- mi ritengo fortunato: per me è stato facile raggiungerla. Io da bambino rincorrevo le que necessaria. galline e prendevo dal pozzo l’acqua che non era più potabile dal giorno in cui un al- A me l’esperienza ha insegnato che far poesia è una caccia in cui il cacciatore è tro ragazzaccio era riuscito ad annegarcene una giocando al mio stesso gioco. Ho avu- nello stesso tempo la preda. to il privilegio di vivere in una comunità; e bisogna pur riconoscere che ciò che sem- Questo tipo di cacciatore, l’unico per il quale posso confessare una certa simpa- pre di più manca alla nostra società di massa è il sentimento della comunità. tia, è alla caccia di se stesso, lavora per un approfondimento dell’autocoscienza: La mia poesia attinge alla memoria contadina. Lo dico con fierezza: la mia poe- sia è nata dove era innata, istintiva, la religione della vita, che poi si esprimeva in una Dove mi ti nascondi, ritualità quotidiana così bella agli occhi di un figlio, là dove la povertà si sposava con tu, che son io, a me stesso, la dignità, tanto spesso quanto oggi rischiamo di servirci della ricchezza in modo in- che non basta crederti per trovarmi? degno. In questo libro chiamo la mia poesia “lieta e pensosa” per ragioni che vanno ol- dice il mio maestro, colui che mi fece esordire e che non posso non salutare oggi come tre la rimembranza leopardiana: lieta, perché essa aveva già tutto ricevuto in parten- l’amico al quale va la mia maggiore gratitudine: Carlo Betocchi. za il suo patrimonio, senza che io lo sapessi o me ne rendessi conto; pensosa, perché Oggi dico a me stesso: io volli musicare il pensiero. Quella pronuncia delle pa- non è poi riuscita a restituire che una minima parte di ciò che aveva ricevuto; ed è giu- role era, ora lo vedo, la ricerca dell’impronunciabile su cui si fonda il valore della vita, sto, oggi, che io mi chieda perché. Per rispondermi devo dare tempo alla mia poesia, 44 IL PORTOLANO - N. 47-48 Miransù, di Monica Sarsini

Ernestina Pellegrini

difficile dire se Monica Sar- ler (ricordo qualche titolo: Cre- tura femminile italiana all’estero se, fra le persone del mondo let- Èsini sia una scrittrice artista pacuore, Crepapelle, Crepapan- e venire a sapere che Monica terario e artistico fiorentino che o piuttosto una artista scrittrice, cia), approdando quindi alla Sarsini viene considerata da una io conosco, fra quelle che si dan- decidere quale dei due versanti Giunti, alla collana Astrea, con rivista newyorkese “one of the no meno arie, e anzi tende lei della sua vasta ed eclettica pro- un libro di racconti, I passi della most poignant, alluring, unfor- stessa a sottolineare sempre il duzione (la scrittura da un lato e sirena, che ebbe una certa riso- getteble voices of the Italian Li- lato ludico e direi perfino tera- la pittura/scultura dall’altro) ab- nanza critica e di pubblico terature” e che il Notre Dame peutico della propria efferve- bia il sopravvento e condizioni (1992). Un percorso ininterrotto Dipartiment of Romance Lan- scente attività creativa. Eppure l’altra attività espressiva. Scrive, di venticinque anni di scrittura, guages and Literatures fa stu- se si guarda alle numerose di- dipinge, costruisce oggetti e ani- con dodici libri alle spalle, rac- diare le sue opere agli studenti chiarazioni di poetica, dissemi- mali fantastici, usa la cartapesta conti sparsi in numerose antolo- del PH.D, insieme a quelle di nate in tutti i suoi racconti, si ca- e il fil di ferro. Ha un rapporto gie italiane e straniere, nonché , Fabrizia Ra- pisce che la scrittura non ha materico, quasi fisico con il ge- alcune traduzioni negli Stati Uni- mondino, Grazia Deledda e niente di frivolo, semmai ha sto creativo, anche quello che ti per la Italica Press. Ha avuto . Questo per qualcosa di doloroso e spavento- pertiene al campo della manipo- diversi riconoscimenti critici, e dare sinteticamente un’idea di samente analitico, è una specie lazione delle parole scritte, che è non ultimo, un intero capitolo a chi sia Monica Sarsini a coloro di mezzo di contrasto, che entra il caso che qui ci interessa, visto lei dedicato, nel mio libro recen- che non la hanno conosciuta fino in lei, la attraversa, la invade, che siamo a presentare l’ultimo te Altri inchiostri. Ritratti e ad ora e per ricordarlo a chi, co- mettendo in risalto nuclei nasco- libro, intitolato Miransù, stam- istantanee di scrittrici, a cui ri- noscendola bene, avendo la for- sti della personalità, zone di me- pato nel dicembre del 2005 dalla mando per un più diffuso e ana- tuna di frequentarla per quella morie sepolte, debolezze, tic, os- casa editrice soleombra. Ha co- litico ritratto (Ripostes, 2005). divertente, estrosa, imprevedibi- sessioni, radici affettive, percor- minciato a pubblicare libri im- Chi fosse un navigatore di siti le e generosa donna che è, si è si psicoanalitici, amori e disa- portanti, sin dai primi anni Ot- internet potrebbe divertirsi a dimenticato o tende a sottovalu- mori, ambivalenze e paure, in un tanta, con un editore prestigioso esplorare alcune curiosità ri- tare il suo valore artistico e in- impasto stilistico strano, a cor- e raffinato come Vanni Scheiwil- guardo alla diffusione della scrit- tellettuale. Perché Monica è for- rente alternata, che per metà è confessione e per metà metalet- teratura. Ad ascoltare la musica strap- pata e insieme avvolgente della prosa, fatta di alti e di bassi, di parlato e di picchi lirici al limite del sublime romantico, una pro- sa lenta e ariosa, che si avvita con movimento a spirale su se stessa, fra sottovoce e rilanci sdegnati, descrizioni e confes- sioni intime, sembrerebbe di tro- varsi di fronte a ciò che tecnica- mente viene chiamato un rac- conto magnetofonico, cioè una storia narrata a ruota libera da- vanti a un registratore. Ma l’im- mediatezza che percepiamo, quel continuum senza barriere forti di interpunzione e senza gerarchie sintattiche, è in realtà una simu- lazione di immediatezza ed è in realtà il frutto di un lavoro pun- tuale e accanito di limature, ri- scritture e cancellazioni. L’effet- to finale è di estrema trasparenza e di musicalità. Uno dei temi più potenti di tutta l’opera della scrittrice, e in particolare di Miransù, è la me- Bruno Innocenti, Figura (1975) moria, la memoria familiare so- IL PORTOLANO - N. 47-48 45 prattutto, recuperata e anzi affio- quella mitica e cara figura, sulla cose intorno a noi parevano ot- la vera matrice di tutto, in que- rante come un mondo chiuso e dinamica del “ritorno”, del no- tuse e prive di peso, non ci fu sta riuscita opera narrativa, in ossessivo che attrae il pensiero, stos, del recupero della vecchia clamore nel mio pianto, com- questo romanzo familiare, è la un risucchio tenero e disperato casa abbandonata, del prendersi presa com’ero soltanto dal de- lingua, il suo dilatarsi e con- insieme. Non è un caso che in cura di luoghi e di cose che sono siderio di esserci per te, di ac- trarsi in onde foniche, in cerchi un brano di Crepitudine, un testo state il teatro di tante gioie e di compagnarti ovunque tu ti stes- sonori, una lingua che come un uscito con la mia prefazione per tante tragedie familiari, e anco- si dirigendo. Di stare solo ad brodo primordiale genera la vita l’editore Semmelweis nel 1999, ra si interroga su che cosa signi- ascoltarti”. e la storia e i personaggi e la si legga: “Per me non si trattava fichi essere o non essere madre, Miransù è, dunque, una stra- voce monologante stessa: “La di diventare, quanto piuttosto si zia, figlia, moglie, amante, sui na Autobiografia sdoppiata, per strada dorata di foglie appesan- ritornare ad essere”; così come legami di sangue e su quelli del- metà introspezione e per l’altra tite dall’acqua caduta sulla ter- nel testo di oggi, Miransù, si tro- l’amore e dell’amicizia, sulle metà sociologia, in cui si mesco- ra snodava il suo percorso tra vi scritto pressappoco così: “An- nascite e sulle morti, tutto rivis- lano briosamente (perché è an- l’immobile trama di sterpi, di davo verso la donna che non tro- suto nel microcosmo di un luo- che un libro felice) coordinate ceppi accatastati, da cui sgu- vava dimora nel presente e re- go di origine etrusca e di una storico-culturali e immaginative, sciavano fili attorcigliati di ra- calcitrava ad addentrarsi nel tem- casa dal nome altamente evoca- forme miste di un’autocoscienza dici divelte tra il nero accocco- po, a cui si illuminava lo sguar- tivo: Miransù. Subito a una pri- femminile che si lega alle oscure larsi di uccelli solitari e un bru- do, quando ricordava sé bambi- ma lettura, si resta colpiti da matrici biologiche del genere no screpolarsi di zolle […] che na”; e ancora più esplicitamente, certe descrizioni paesaggistiche, (bellissime le pagine sulla feno- presto superai per addentrarmi qualche pagina dopo: “A questo dalla vaporosità degli orizzonti menologia impossibile dell’“es- senza spensieratezza nello sfar- mi sentivo destinata, a ritornare e dei cieli dipinti, dalla preci- sere madri”); una “autocoscienza fallio delle foglie, poi scesi dal- indietro”. sione di alcuni dettagli (un fiore femminile” – si direbbe con ter- la macchina e in compagnia di La memoria, la nostalgia, la di campo, un insetto sul muro, mine ormai arcaico – con tutte me bambina risalii i balzi in ricerca delle radici, la costru- l’impertinenza di una acconcia- le scorie materiali e culturali, compagnia dei miei morti, guar- zione delle genealogie familiari, tura femminile) da cui promana psicologiche e corporee che esso dai lontano, non sentii una è al centro di questo ultimo libro il senso impalpabile e tenace trascina con sé. voce, un suono, ma solo lo di Monica Sarsini, un libro che dell’Anima mundi. Miransù è un libro di storia smottare dei ricordi”. Ecco può essere letto in tanti modi: Nei racconti intrecciati di familiare, un libro di famiglia esplicitata dall’autrice stessa la come una biografia in forma di queste due voci portanti e a trat- che ha, come tutti i libri di fami- matrice del racconto: “lo smot- autobiografia della nonna Isa- ti sapientemente confuse – di glia, qualcosa di antico e di esa- tare dei ricordi”, una piccola bella (mi piace ricordare che un nonna e nipote – si vedono pas- geratamente individualistico e ir- frana interiore. primo nucleo del libro è apparsa sare le generazioni, i conflitti ripetibile; è un resoconto priva- La lingua è ciò che conta, la in lingua inglese sulla sociali, le guerre, le cene davan- tissimo che orchestra su molte- lingua è il reale che entra in noi, newyorkese “Literary Review”, ti al fuoco, i parti, i fidanza- plici registri stilistici la poesia si trasmette e si propaga. Vale a nell’autunno del 2005 col titolo menti, Firenze bombardata, gli agrodolce e inevitabilmente ricca dire che, scrivendo, la scrittrice Isabella, from Miransù). E cre- sfollati, l’uccisione accidentale di ambivalenze di ogni storia fa- ha cercato di “trovare” la vita do si debba fare osservare come del fratello Lapo, l’officina del miliare, dove si fanno muovere nel linguaggio e non di “tra- questa biografia in forma di au- nonno che ormai vecchio e sme- indimenticabili figurine da pre- sporre” la vita nel linguaggio, tobiografia sia uscita per la casa morato dice soltanto “che cosa sepio di un intero secolo di storia inseguendo un epos familiare e editrice di Erica Gardenti, che è terribile”, le donne che sparec- locale toscana, i fantasmi di una popolare che non inclina mai al una editrice-scrittrice empatica, chiano insieme in una rappre- complessa e ilarotragica saga fa- basso e all’aneddotico. È la voce perché ha scritto a sua volta un sentazione corale di accudimen- miliare, piena di sentimento e della nonna Isabella a risuonare libro molto originale che si inti- to, il bisnonno Giuseppe ciam- mai sentimentale, in bilico fra il per magia medianica fra le pagi- tola Le vite intuite, vale a dire bellano alla corte di Napoleone desiderio di raccogliere e tra- ne di Miransù insieme alle voci biografie ricostruite sulla base III, le domestiche fra le quali smettere una eredità di saperi e la dell’intero coro di personaggi dei racconti delle sue protagoni- spicca la Loredana con la sua volontà di celebrare l’epicedio che popolano questo piccolo af- ste-oggetto (e una di queste è voce di pappagallo stanco, la fu- di un mondo irrimediabilmente fresco della provincia fiorenti- per l’appunto proprio Monica cilazione del babbo da parte dei scomparso. Pagine come phar- na, voci che hanno raccontato Sarsini). Ma Miransù può esse- partigiani, la Guerra d’Abissi- maca, ampolline d’unguento, nel tempo la propria storia e che re letto anche come la storia al- nia, le camicie nere e le leggi fiale odorose… sono stati accolti in una specie di ternata di una relazione fra non- razziali, la bisnonna in crinolina Si potrebbero fare pedante- biografia collettiva, un po’ come na e nipote, in un desiderio for- che fa la pipì in piedi, la Jole scamente e inutilmente delle il brusio del mare viene restitui- te di identificazione e di doloro- con i capelli inamidati col succo ipotesi piuttosto vaghe di fonti: to dalla cavità di una conchiglia so, definitivo congedo (una spe- d’ortica, la gatta Palma, la mam- un po’ di Pascoli, qualcosa di accostata all’orecchio. La lin- cie di Cerimonia degli addii); e ma che torna da Las Vegas e in Bilenchi, un pizzico dell’umiltà gua, le molteplici lingue vissute, ancora può essere letto come un regalo porta alla figlia un cap- quotidiana di Betocchi, una eco vengono recuperate alle radici colloquio con le ombre del pas- pello da cow boy, l’alluvione, il molto lontana di Bertolucci, e dello stupore infantile. C’è sato e coi morti; come un intar- padre Luciano che inventa i ru- poi, per spostarsi sul versante un’aura di solennità che riscatta sio complesso e intrecciato fra i binetti colorati, la battitura del dell’autobiografismo femmini- le piccole storie di vita rievoca- frammenti autobiografici della grano, i pranzi sull’aia, lo zio le, si potrebbe alludere alle te. Nessuna elegia. Il linguaggio nonna (in realtà frammenti di Piero che si arruola nella legio- Care memorie della Yourcenar, agisce semmai in direzione di una vita offerti nella trascrizione ne straniera, la sorella e le ni- a certe sue minute genealogie un favoloso affabulante viaggio di ciò che era stato raccontato potine, i tanti parenti, i più, con familiari, o magari pensare a al- dentro una civiltà primigenia e oralmente dalla nonna alla ni- gli occhi azzurri che fanno sen- cuni passi dell’Autobiografia di incorrotta, fra accensioni liriche pote, e che ora vengono recupe- tire l’autrice come “una donna mia madre di Jamaica Kinkaid e spunti di commedia di costu- rati nella memoria e dalla docu- bruna in confidenza con l’orro- (la scrittrice caraibica stampata me, sul confine impercettibil- mentazione rimasta – foto, car- re”, e infine, nelle ultime pagi- in traduzione italiana da mente crudele e smottante di te, racconti altrui – e quindi resi ne, la morte della nonna in ospe- Adelphi) o di chiunque altro ab- pietas e sarcasmo, di rivisitazio- in diretta nel loro accadere) e i dale assistita dalla nipote assor- bia cercato di scrivere l’auto- ne ideale e disdetta, tra volontà frammenti diaristici della nipote ta nell’ultimo intimissimo col- biografia di un’altra persona. di azzeramento e miracolosa re- che si interroga, a specchio di loquio: “Era buio, era triste, le Ma si deve subito precisare che plica. 46 IL PORTOLANO - N. 47-48 Train du rêve Un’immagine della Mazzuccato

Leandro Piantini

FRANCESCA MAZZUCATO, Train du rêve, Giraldi, Bologna, 2006, pp. 243, euro 12,50

a prolifica scrittrice di Bologna – in un anno ha pubblicato ben tre Llibri – ci offre con “Train du rêve” una nuova, inedita immagine di sé. Questa volta al centro delle vicende narrate non c’è il sesso ma i temi del viaggio e della passione di viaggiare. La Mazzucato viaggia sempre in treno, non guida l’auto, e confessa che da bambina sognava di fare il ferroviere. “Train du rêve” racconta un viaggio lunghissimo, che parte da Bologna e arriva a Ventimiglia, viaggio che essa compie una volta al mese e con uno strano percorso. Di primo mattino prende a Bologna il primo treno per Milano, e di lì sale su un interregionale che, viaggiando un’intera giornata, raggiunge l’estrema punta occidentale della peniso- la, fermandosi a tutte le stazioni più importanti. I lettori dei libri erotici della Mazzucato sanno quanto contano per la scrittrice bolognese la curiosità, la voglia di capire i comportamenti umani, il bisogno di esplorare nel sesso e nell’amore, in ogni genere d’a- more, quella cosa misteriosa ed enigmatica che sono le pulsioni, i rap- porti sado-masochistici, l’affettività e l’istinto di morte, i comporta- menti compulsavi. A questi temi la Mazzucato dedica un’attenzione critica e passionale insieme, comportamentale ma anche filosofica ed esi- stenziale. Invece il nuovo libro, Train du rêve, nasce sotto il segno di Cesare Bruno Innocenti, Figura (1978) Zavattini, il grande scrittore emiliano morto nel 1989, e in particolare di uno dei film più memorabili che lo scrittore di Luzzara scrisse e che Vit- torio De Sica portò sullo schermo: “Miracolo a Milano”. Un sano intui- re”: “Si, ha capito. Atmosfere di tutti i tipi. Le creo per gli altri. …Na- to ha guidato la Mazzucato a recuperare la lezione di Zavattini, a misu- scosto in ognuno di noi c’è un deposito di atmosfere, una specie di so- rarsi con quel suo modo impareggiabile di raccontare le storie prese dal- laio. C’è, glielo assicuro, solo che lo dimentichiamo… Se la gente si ri- la vita, e che si tradusse in alcuni capolavori del cinema neorealista, da cordasse del suo deposito di atmosfere, tutti saprebbero sempre come fare “Sciuscià” a “Ladri di biciclette” a “Miracolo a Milano”, girati da De per stare bene”. C’è perfino lo “Sniffatore di pianerottoli”, che sale di Sica, e a “Bellissima” diretto da LuchinoVisconti. piano in piano nelle case per annusare gli odori dei cibi che la gente cu- Zavattini prediligeva su tutto lo studio dell’uomo, dell’uomo comu- cina. E c’è anche chi cerca sulle facce delle persone le tracce delle loro ne, amava “pedinarlo” con la macchina da presa, sviscerarne il com- emozioni e se le porta con sé. Alcuni cercano di comunicare agli altri del- portamento, i gesti, cercando così di cogliere il senso, l’essenza della sua le esperienze che li aiutino ad uscire dall’apatia e dall’angoscia, e a ri- vita. E tutto ciò avvenne in un’epoca che oggi ci sembra lontanissima, in trovare l’entusiasmo e la gioia di vivere. Tutto il libro della Mazzucato un’Italia molto diversa dall’attuale. Allora, nel dopoguerra, erano pre- è animato da un forte afflato umanitario e da una pirotecnica vena affa- potentemente in primo piano i problemi materiali: il lavoro, la disoccu- bulatoria. pazione, le ingiustizie sociali, gli scioperi, le durissime lotte politiche e Il viaggio è costruito come la cornice del Decameron, per cui basta sindacali che i proletari – che per Zavattini erano semplicemente i “po- un pretesto per introdurre personaggi che raccontano storie mirabolan- veri” – dovevano ingaggiare ogni giorno per lavorare, per avere un tet- ti, come quella del bolognese costruttore di violini, o quella del suona- to, una pensione, per condurre una vita degna di essere vissuta. tore di violino che intesse una romantica storia d’amore con una cantante Il viaggio in treno della Mazzucato trae ispirazione da questo spiri- d’opera. E poi c’è quella, spassosissima, del vecchio zerbinotto sanre- to di indagine, dal bisogno di conoscenza, dalla curiosità e dall’amore per mese che corteggia un’anziana e affascinante signora, la quale sta al gio- i propri simili, e si traduce in mille episodi, leggeri e fantasiosi, dram- co ma più che altro è interessata ad un barattolo di ciliegie sotto spirito. matici e lirici, spesso comici: negli incontri, nei ritratti, nelle conversa- L’esempio di Zavattini è stato per la Mazzucato un energico susci- zioni che la viaggiatrice ha con personaggi d’ogni tipo, insignificanti e tatore di idee. La conclusione del viaggio non può essere altro che la rea- casuali, ma soprattutto strani, singolari, un campionario più surreale lizzazione del sogno che nel film di De Sica facevano gli scalcinati bar- che realistico dell’umanità che si può incontrare su un treno. boni: arrivare finalmente in quel paese “dove buongiorno vuol dire ve- Il racconto nasce da un’empatia genuina, da un acuto interesse per la ramente buongiorno”. vita della gente comune. Le parole che pronuncia un personaggio rias- Si arriva finalmente a Ventimiglia e la nostra viaggiatrice crede di es- sumono perfettamente il pensiero dell’autrice “Se perdi l’interesse per le sere rimasta l’unica passeggera del “treno del sogno”. Ma è grande la sua storie delle persone perdi tutto, non c’è nulla che valga la pena, neanche sorpresa quando, scesa dal treno, si accorge che anche i suoi compagni l’amore, neanche la musica”. di viaggio scendono con lei e l’accolgono festeggianti Lo scopo del Sono tanti i personaggi bizzarri, che salgono e scendono da quel tre- viaggio non era dunque altro che continuare a stare insieme. La solida- no, fanno un’apparizione, si fanno conoscere, e poi lasciano la scena ad rietà e l’amicizia sono più importanti di tutto. Questo è il messaggio di altri. C’è Taddeo, il poeta plebeo, che si è esibito al “Costanzo show”. speranza che ci lascia Francesca Mazzucato, abbandonando per una C’è anche un uomo che si è specializzato nella “Creazione di Atmosfe- volta le ipnotiche atmosfere dell’erotismo. IL PORTOLANO - N. 47-48 47 ATTESA

Iole Zanetti

veva imparato, tanti anni prima, a stare seduta sui talloni, da quaranta Agiorni lo metteva in pratica mimetizzandosi sulla parete di fianco, metodo efficace per resistere a lungo, senza stancarsi. Quando si apriva la porta non si accorgevano della sua presenza e lei seguiva con lo sguardo i pantaloni bianchi e i piedi nascosti nei zatteroni che a passi felpati, su- perata la tenda rigida di gomma nera, procedevano ritmici e misurati per non turbare l’immota solennità del luogo; non alzava lo sguardo per ac- certare se fossero femmine o maschi, non le interessava. Se i sandali era- no quattro, cercava di afferrare l’eventuale colloquio, talvolta sentiva delle parole ma sembravano un codice indecifrabile, prestava attenzione ai numeri ma il sei non lo pronunciavano mai. Altri come lei, sbucavano dal fondo e nonostante la preoccupazione impressa nel volto, la osservavano meravigliati, era insolita quella posi- zione in Europa ma in quel luogo, nessuno concedeva più di qualche at- timo di attenzione agli altri, la ignoravano subito. Passeggiavano da una Marcello Tommasi, Studio per una ninfa parte all’altra del corridoio poi, sfiniti, si appoggiavano al muro per non crollare; la schiena dei loro abiti era sempre biancastra. Non c’erano finestre che indicassero l’evolversi del giorno, un gran- In quella sala non c’erano distinzioni di sesso, come in quelle dei de orologio rotondo sopra la porta mostrava le ore, mattino o pomeriggio neonati, tutti si assomigliavano, camicie bianche, tubi che penetravano nel- si chiedeva confusa, tutto uguale quando il tempo si era già fermato. I se- la bocca, nella gola tagliata, braccia immobili, gonfie e violacee per le con- gnali che rivelavano lo scorrere della giornata erano cambi di turni, visi- tinue flebo; non si udivano né pianti né respiri ma solo brusio di macchi- te alle ore stabilite e incursioni velocissime di estranei che si sorreggeva- ne e di tanto in tanto qualche discreto allarme che lampeggiando faceva no a vicenda. correre il personale di turno a regolare valvole o a trasportare il letto si- Rimaneva accucciata, quasi indifferente, fino all’ora del permesso di lenziosamente dietro un paravento, in fondo, in fondo… entrata; nella solitudine si concentrava con puntiglio sulle domande tese Ufficialmente non era morto ma non era nemmeno vivo, il bisogno a ottenere una risposta, ma poi, indossando veste, scarpe, maschera di pla- della sua presenza fisica non era tanto impellente quanto la necessità del- stica, l’angoscia la sconvolgeva e entrata nell’ambiente buio e asettico la sua parola, del suo sguardo, da sempre suo unico ostinato riferimen- scordava tutto. to, senza quello non esisteva. Soffriva a lasciarlo tutte le sere e a pensare La memoria affiorava più tardi, di notte a letto e le risposte non avu- il suo corpo in balia di mani estranee: la gelosia che non l’aveva mai te, non la lasciavano dormire, allora si alzava, preparava il caffè e fumando sfiorata in passato, ora la lacerava, forse era proprio questa che la co- tante sigarette si arrabattava in possibili soluzioni senza riscontro. I que- stringeva al mattino a ritornare e rimanere cocciuta sempre lì. La stra- siti, le aveva insegnato il padre, hanno molte vie per la soluzione, tutte va- nezza era che con il prolungarsi della situazione dopo i primi giorni di lide nei sentieri tortuosi o nei percorsi lineari, importante era arrivare al tra- stordimento, si era messa a pensare e concentrata riandava, per trovare guardo, ma lei non ci arrivava mai. conforto, nei ricordi. Interdetta vedeva che lentamente nascevano sen- Il tempo stringeva e dilatava la sensazione di vuoti, incolmabili; avreb- timenti contradditori e le venivano in mente solo umiliazioni e cattive- be voluto almeno sbirciarli, intravedere nel buio assoluto qualche spiraglio rie che aveva perdonato e cancellato. A casa cercava riscontri nelle fo- per avere calmanti certezze che le avrebbero consentito di vivere in pace, tografie, i momenti importanti e gioiosi che l’obiettivo aveva fissato non assolta dai dubbi che le affioravano di continuo dal profondo. le sembravano più tali. Veniva assalita da un fetido involontario rigur- Non sapeva neppure perché si ostinasse nell’assedio passivo, senza gito di rabbia e rancore verso se stessa e verso di lui. Non era possibile speranza. La stanza dietro la spessa tenda di gomma era l’ultimo passag- annullare una vita di dedizione in una ribellione finale, assurda; una spie- gio dove gli occupanti sostavano minuti, ore, giorni, mesi infiniti e rara- gazione tranquilla poteva ancora salvarla. Avrebbe preparato per il gior- mente anche anni; uscirne era un arcano enigma. La rianimazione al pia- no dopo un foglio, scritto in stampatello, diceva sempre che aveva una no superiore era il primo passaggio della malattia degenerata in una peri- calligrafia illeggibile, con due domande fondamentali, doveva rispon- colosa direzione di non ritorno, lì ci si fermava al massimo due settima- derle in qualsiasi modo. Era molto stanca e un sudore gelido le imper- ne, primo bivio di cernita: si usciva o con gli occhi aperti verso i reparti lava la fronte quando ebbe finito e andò a letto. di degenza, o con gli occhi chiusi verso la rianimazione del piano supe- Non voleva pensare a nulla, accucciata teneva il foglio in mano, im- riore, la lunga degenza, dove le cure non erano più d’urto ma di manteni- paziente per il tempo che non passava mai, sperava e pregava in un mi- mento; alcuni sparivano nel nulla, evidente che c’era una porta masche- racolo. Forse si era assopita, non aveva visto avvicinarsi i due zatteroni rata e diretta per l’obitorio. Nella sala della lunga degenza era un rimanere bianchi, si alzò sentendosi in colpa, l’infermiere la prese per mano e la in bilico fra la realtà dei macchinari e dei monitor e la solennità dell’i- condusse attraverso un tragitto che non aveva mai fatto prima, in una spe- gnoto: la sopravivenza segnata solo da un tracciato sullo schermo e seb- cie di nicchia, dietro un paravento c’era il letto numero sei. Il cuore le bat- bene non ne capisse molto sapeva che se la riga non era piatta, lui era vivo teva fino a scoppiare, forse il miracolo: aveva gli occhi aperti, l’infermiere o meglio alcune funzioni andavano avanti. Una volta ebbe l’impulso di le sussurrò: – L’abbiamo svegliato, tenga la mano sulla gola ora che tol- dargli un bacio vero, non il solito che non sfiorava neppure i capelli e che go il tubo e parli, presto. ripeteva tutti i giorni. Da scema si illudeva forse di risuscitarlo come nel- I suoi occhi avevano una luce sconosciuta, triste, enigmatica, ango- le favole, ma non poteva togliere i tubi e la maschera di ossigeno, aveva sciata, la mano le tremava premendo il taglio della trachea, sentiva il suo cercato allora di parlargli d’amore e non vista lo aveva pizzicato sotto il respiro, voleva dirle qualcosa. Finalmente un rantolo gli uscì con un fiot- lenzuolo: nessun riscontro, il tracciato continuava inesorabile la sua incerta to di sangue, senza forza, dolcemente, l’abbracciò fino a che lo sentì scrittura, senza punte alte. freddo come il marmo. 48 IL PORTOLANO - N. 47-48 ROMANZO-VERITÀ Libro di D’UN MEDICO Saggezza

s.l. Stefano Lanuzza

’è malasanità – avverte Renzo Tomatis in Il fuoriuscito (Milano, Sironi, 2005) – allorché la medicina Cvenga ridotta a un libero mercato della salute che, per le industrie del farmaco e i medici senza voca- zione, è, riferendosi alle prime, un affare oltremodo lucroso e, per i secondi, un’occasione carrieristica non disgiunta da illegali interessi economici. Un esempio di ciò sono le imputazioni (febbraio 2006) per corru- zione e appropriazione indebita contestati dalla magistratura al medico ed ex ministro della Sanità Sirchia. Secondo l’oncologo Tomatis, fedele al suo giovanile ideale d’“una pratica medica migliorata dall’ap- profondimento della conoscenza ottenuto per mezzo di una ricerca ispirata alla solidarietà e all’altruismo”, malasanità è un sistema sanitario che non si pone al servizio dei pazienti ma li usa al fine di perpetuare il do- minio di lobbies (‘logge’) sempre più autoreferenziali e reificate. Niente di buono ci si può aspettare da sif- fatti organismi dediti a somministrare medicinali che – scrive l’autore – “non guariranno la malattia, ma ter- ranno in vita il paziente e garantiranno guadagni sicuri alle industrie farmaceutiche”. È malasanità una ricerca scientifica che, in conflitto d’interesse con l’industria, s’occupa di lucrose terapie ignorando la prevenzione primaria (questa “non è fonte di guadagni”) e, indisponibile a rispondere a legittime norme (liquidate come “fisime etiche”), ha scopi soltanto commerciali e consumistici; dove a contare sono le speculazioni delle compagnie farmaceutiche invece della vita dei pazienti: ai quali, se privi di risorse economiche per sostenere cure costose, può toccare la sorte d’essere dichiarati incurabili e abbandonati al loro destino… l ‘corpo segreto’, qualcosa che include la men- Ci sarebbe poi da chiedersi se non debba ascriversi agli effetti della diffusa malasanità il vergognoso mal- Ite ma di cui la ‘mente occidentale’ sa ben poco, costume per il quale tanti medici alle dipendenze delle istituzioni ospedaliere pubbliche vanno esercitando e difficilmente ne riconosce le profonde potenzia- anche privatamente e in modi del tutto discrezionali: riscuotendo fuori controllo parcelle quanto meno eso- lità, è l’argomento d’un nuovo libro (Scienza, Tao se da indifesi clienti in stato di necessità e che, spesso, solo passando attraverso le dispendiose forche cau- e arte del combattere. Il gesto del potere e il pen- dine del rapporto privato possono sperare d’ottenere un tempestivo ricovero nella struttura ospedaliera siero del cuore, Milano, Luni Editrice, 2005) di pubblica o non profit. Flavio Daniele, maestro di Taiji Quan esperto di Non sarà, poi, l’esito della corruttela d’una globalizzata malasanità ciò che – come riportano le crona- scienze medico-energetiche e specializzato in dot- che attuali – fa credere a un luminare nel campo delle malattie cerebrali, l’americano Tracy McIntosh del- trine orientali. Dottrine che, applicate al movi- la Penn University di Philadelphia (anche titolare d’un contratto di lavoro con l’Ospedale Policlinico di Mi- mento vitale e all’olografica multidimensionalità lano), d’essere così onnipotente da potersi permettere di stuprare una delle proprie allieve e molestarne al- dell’intero essere umano, si fondano sul Tao, la tre (fatti per i quali viene condannato agli arresti domiciliari e al pagamento di quarantamila dollari)? “via” secondo la quale ogni cosa modula il proprio E non combatteva forse l’ignorante mania d’onnipotenza dei suoi colleghi quel dottor Semmelweis, nato divenire nell’alternanza del principio passivo yin e a Budapest nel 1818 e morto a Vienna nel 1865, che denunciava l’invalsa abitudine dei chirurghi di sezio- di quello attivo yang. Quando la suggestione orien- nare cadaveri e, insieme, d’esaminare le puerpere senza provvedere a lavarsi prima le mani? talistica incontra l’Occidente greco, segnatamente Quali e quanti boicottaggi, derisioni e oscurantistiche persecuzioni dovette subire il povero Ignazio Fi- il tema eracliteo dell’essenza recondita, ingenera- lippo Semmelweis solo per avere voluto promuovere delle semplici norme d’igiene, sufficienti a debellare ta e alfine armonicamente unitaria dei contrari. l’infezione puerperale causa di migliaia di decessi, lo racconta uno dei massimi scrittori novecenteschi, Louis- Articolato tra temi filosofici, tecniche intuizio- Ferdinand Céline, nella sua tesi di laurea in medicina (1924): dedicata, appunto, al misconosciuto pioniere niste e un’arte del combattere non conflittuale ma clinico dell’antisepsi, precursore della diagnosi microbica che, sostenuta da Pasteur, rischiara “in modo to- squisitamente ‘estetica’ (intesa, soprattutto e per tale e irrefutabile la verità”. lo più, come disciplina capace di sintonizzare flus- Aggiunge Céline nella breve nota che precede la pubblicazione (1952) della stessa tesi: “Supponiamo so del pensiero e movimento fisico per uno svilup- che oggi, allo stesso modo, venga un altro innocente che si metta a guarire il cancro. Nemmeno s’immagi- po dell’energia interiore), il discorso dell’autore na che genere di musica gli farebbero subito ballare!”. s’incentra su ciò che lui stesso definisce “l’asse Scienziato di fama, già direttore dell’Agenzia internazionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità cuore-cervello”: dove – con la meditazione avente per la ricerca sul cancro, autore di saggi e volumi autobiografici (tra cui Il laboratorio, Einaudi 1965; La ri- lo scopo di attraversare i diversi livelli della men- cerca illimitata, Feltrinelli 1974; Visto dall’interno, Garzanti 1976; La rielezione, Sellerio 1996), Tomatis te riducendo lo stress e le tensioni, con la presa di resta con quei perseveranti ricercatori che, avversi al cinismo dei gruppi lobbistici, stanno dalla parte dei Sem- coscienza di sé, delle personali alchimie metamor- melweis e contro le colpevoli inadempienze d’un potere scientifico complice di quello economico. fiche e del potere non soltanto simbolico della pa- Un potere rapace che, per esempio – denuncia l’autore –, con l’aiuto di “una corte di scienziati in parte rola – convergono Yi (pensiero cosciente) e Xin prezzolati, ma in parte solo ottusamente consenzienti”, non si preoccupa di “modificare un sistema di pro- (sentimento interiore) equilibrati in Shen, attività duzione” in grado di fatturare, soltanto in Italia, ben venti miliardi di euro pagate dalle “cavie umane”: le vit- volta al progresso psicofisico del soggetto. time sacrificali dei “cancri da lavoro” indotti da apparati che, per garantirsi i massimi profitti, non fanno nien- “Arte efficace ma non violenta”, ovvero “gesto te per la profilassi e continuano a esporre i lavoratori alle sostanze cancerogene (cromo, nichel, amianto, dios- di potere” non impositivo ma teso a condensare il sina, benzene…: “una lunga lista”). pensiero nel corpo attivando un campo energetico Frattanto una pessima politica, consociata con le prepotenze della peggiore economia, va spacciando la di forze intelligenti (immaginabili come “energie certezza che, malgrado l’inquinamento sui posti di lavoro come di ciò che mangiamo, beviamo e respiria- sottili” traslate in puntuali azioni), il combatti- mo, tutto sia sotto controllo “e non c’è nulla da temere”. mento taoista vuol essere, allora, la ricerca d’una Che fare, come ribellarsi e cambiare simile tale stato di cose? Nel romanzo-verità di Tomatis, smaschera- superiore Consapevolezza da porre alla base di tore rigoroso e mai neutrale dei vizi della classe medica e d’una società del malaffare che elegge il denaro qua- quel sano controllo delle emozioni, sensazioni, le misura perfino della nostra salute, un personaggio “fuori/uscito” dal sistema, il nobile dottor Thibault che pure percezioni capace, al di là d’ogni metafisica, di rivendica la giusta “lotta contro la prepotenza del potere capitalista”, non riesce a vincere la propria dimissio- concertare la soggettività individuale con lo Spiri- naria disillusione. Il nostro – egli dice – “non è tempo di rivoluzione, è il tempo della sua sconfitta”. to del Mondo. IL PORTOLANO - N. 47-48 49

insieme logico, rappresentativo e pragmatico. Da una parte implica un asso- luto rigore formale, dall’altra è un sistema di descrizione degli oggetti (testi, LETTERATURE immagini, audiovisivi ecc.) e di testualizzazione degli stessi. Così la testualità, completamente rinnovata, ridiventa un mezzo di connessione piuttosto che di esclusione, mette in contatto tutte le scienze piuttosto che separarle, diviene BIBLIOTECHE uno strumento di indagine, più che una forma documentale atta a fissare ca- noni o attribuire statuti di legittimità” (p. 9). I saggi raccolti in Letterature, bi- blioteche, ipertesti sono stati elaborati per partecipare ad alcuni importanti con- vegni che, tra il 1996 e il 1998, si sono tenuti tra Bologna, Milano e Parigi, in IPERTESTI una fase di sviluppo assai fervido della ricerca scientifica, mirata a creare nuo- ve e più ampie prospettive sia teoriche, sia di applicazione concreta degli stru- menti informatici al trattamento dei testi e dei documenti, con particolare ri- Elena Gurrieri ferimento alla rete ovverosia ad Internet, in rapporto agli studi di Italianisti- ca e di Comparatistica. Si tratta, in ordine cronologico, dei seguenti convegni: “Internet: ricerca e/o didattica. Le risorse informatiche nella ricerca e nella di- dattica della letteratura”, 15 e 27 novembre 1996, Dipartimento di Italianisti- Se “le reti telematiche stanno creando il sistema più complesso e poten- ca, Bologna. Gli Atti della prima giornata (che non compaiono nel volume qui te di gestione della conoscenza e della memoria mai realizzato nella storia”, recensito) sono stai pubblicati a stampa in: La scuola interattiva. Reti e mul- l’idea che emerge con chiarezza dalla lettura del volume collettaneo “Lette- timedialità al servizio della didattica, a cura di F. Pellizzi e G. M. Anselmi, rature, biblioteche, ipertesti” (Roma, Carocci editore, 2005) è, in ogni caso, Bologna, CLUEB, 1998; gli Atti della seconda giornata, in parte riproposti nel la certezza che l’intelligenza umana non sia mai, né in alcun modo assog- nostro volume, “aggiornati nei link e in alcuni riferimenti”, sono comparsi in gettabile alla tecnologia pura. E siccome “l’avvento della scrittura digitale rete, a cura di F. Pellizzi, 1999, . Gli altri convegni sono: “Memoria passata e futura: l’opera i metodi della propria ricerca”, si tratta di osservare con attenzione la pa- d’arte nell’epoca digitale e telematica”, Aula Prodi, Bologna, 14-15 marzo rabola evolutiva che interessa ormai da alcuni decenni “tre grandi aree di in- 1997. “Littérature et réseaux informatiques”, Istituto Italiano di Cultura, Pa- teresse umanistico direttamente coinvolte in questo processo di ripensamen- ris, 21 novembre 1997, . “Ipertesti creativi: modifiche della scrittura e nuove tecnolo- nuove forme e linguaggi, sia nella trascrizione delle opere canoniche della gie”, Dipartimento di Italianistica, Bologna, 27 marzo e 15 maggio 1998, Tradizione; i nuovi modi di selezionare, conservare e trasmettere il sapere, . La struttura del libro è quando le fonti divengono immateriali; e infine le nuove forme di testualità in- quadripartita, si avvale di un’Introduzione di Ezio Raimondi, L’esperienza del trodotte dalle reti, che rimettono in discussione i confini tra discipline, arti e nuovo (pp. 15-23) e raccoglie, in sequenza, i seguenti contributi di analisi cri- persone” (citazioni dal retro-copertina). tica: Parte I (Scrittura, formazione e nuovi media): Joshua Meyrowitz, Declino del luogo e futuro telematico (pp. 27-33); Alberto Abruzzese, Educazione di massa e “new media” (pp. 35-40); Massimo Riva, Per una comunità della for- Letterature, biblioteche, ipertesti, a cura di Federico Pellizzi, introduzione di mazione letteraria: il “world wide web” e la nuova italianistica, (pp. 41-64); Ezio Raimondi, Roma, Carocci editore, 2005 («Lingue e Letterature Caroc- Corrado Donati, Informatica e studi umanistici (pp. 65-70). Parte II (Testo, ci», n. 51), euro 23,80. ipertesto e letteratura): Jacques Anis, L’ipertesto come ipermetafora (pp. 73-88); Federico Pellizzi, Per una critica del link (pp. 89-120); Michel Ber- Letterature, biblioteche, ipertesti è un libro-ponte fra passato e futuro nard, Letture ipertestuali di testi letterari tradizionali: transizioni (pp. 121- della tradizione letteraria e bibliotecaria internazionale. A Federico Pellizzi, 136); Jean Clément, Elementi di poetica ipertestuale (pp. 137-149). Parte III infatti, che ne è il curatore, si deve prima di tutto riconoscere la maestria di (Scritture creative ed editoria digitale): Alberto Castelvecchi, Morte o re- aver realizzato un’operazione complessa, anche proprio nell’iter pre- surrezione del diritto d’autore nella società dei media digitali diffusi? paratorio, di necessario trait-d’union tra due mondi, quello (pp. 153-159); Gius Gargiulo, Tessere racconti poesie. Al- cartaceo e quello telematico dell’esperienza di ricerca cune considerazioni sulla creatività dei siti letterari, artistica, storica e documentaria in ambito testua- (pp. 161-167); Lorenzo Miglioli, Ancora alla ri- le, avviata a partire dalla creazione del sito In- cerca del nuovo lettore modello (pp. 169-174); ternet su cui dall’ormai lontano 1995 è pos- Carlo Infante, Nuove sensibilità in rete: ver- sibile leggere “Bollettino ’900”, la più so la creatività connettiva (pp. 175-179); versatile, ricca e scientificamente at- Maurizio Oliva e Jeffrey Johnson, In- tendibile rivista di Italianistica e Com- ternet testualità configurazione. Alla paratistica on-line prodotta in terri- ricerca di una narrativa interattiva torio italiano. Un ponte dunque, si non lineare, (pp. 181-190). Parte IV diceva, fra Tradizione del passato e (Biblioteche digitali e testi elettro- Mondo Nuovo aperto al futuro: ve- nici): Gabriele Gatti, Un mondo in diamo come questo passaggio si forma di biblioteca. Leggere/con- articola, peraltro perspicuamente, sultare nel paesaggio elettronico nella struttura e nei contenuti del (pp. 193-210); Antonio Scolari, I libro stesso. In apertura si legge testi elettronici e la biblioteca: dal un’essenziale Prefazione, in cui Fe- possesso all’accesso (pp. 211-218); derico Pellizzi indica in modo espli- Fabio Ciotti, Tecnologie e trasmis- cito, come priorità, la pratica della me- sione del sapere: verso la biblioteca diazione culturale fra antico e nuovo. “La digitale (pp. 219-238). Concludono la rivoluzione digitale – afferma Pellizzi – monografia un’accurata Bibliografia (pp. spinge a pensare nuovamente alla cultura nel 239-257) e l’Indice dei nomi (pp. 259-263). suo insieme, comporta la necessità di uscire dai Sul retro dell’occhiello al libro si legge utilmen- confini ristretti delle proprie discipline e di riconsi- te l’avvertenza che “il testo è disponibile sul sito In- derare gli statuti e le relazioni dei loro oggetti fondamentali. ternet di Carocci editore”. Inoltre, i docenti Gian Mario Per le scienze umane si tratta di un’occasione straordinaria, forse la Anselmi, Ezio Raimondi, Tito Orlandi e Remo Ceserani hanno pre- prima, dopo la grande stagione dello strutturalismo, a offrire la possibilità di sentato in pubblico Letterature, biblioteche, ipertesti, alla presenza del cura- ripensare i saperi nei loro rapporti reciproci”. Ed ancora: “Il digitale non è un tore Federico Pellizzi, il 7 aprile 2006 presso la Biblioteca del Dipartimento modello astratto ma un mezzo concreto, non è un ‘supporto’ ma un dispositivo di Italianistica dell’Università degli Studi di Bologna. 50 IL PORTOLANO - N. 47-48 La neve di maggio

Anna Maria Guidi

FRANCO MANESCALCHI, La neve di abbandonata, dove ancora stormiva la maggio - Polistampa. frescura dell’infanzia. Così, pronto a partire ri-partendo per dire grazie, un grazie minu- “dalle sponde degli anni accatastati”, Èscolo di mezzi per i meriti di que- senza definizioni iterati e reiterati sta maiuscola poesia di Franco Mane- come quei libri, scaglia a scaglia uno scalchi, che nella meditazione del- sull’altro (“tutto preciso secco / arsa l’immediata-mente le dedico così, a sul fuoco l’ultima speranza”), senza mio modo, questo “origami” “senza avere “messo insieme neppure un pu- livree” di parole, fiorito nelle mani gno di male”, “creatura da corsa e pa- della mente che beve sorso a sorso, norami”, creatura-uomo “con le dita centellinata nella quieta tensione del bruciate in punta / dal fuoco dei tasti e con-senso, l’ardita mitezza dei suoi del tabacco”, quell’uomo/poeta se n’è versi. Maturata di asciutte lacrime, dunque andato “per questo mondo” come frutto di malinconia in un cesto non più da solo “ma insieme a chi” – di primizie, alle domande di un “ra- come lui – lavorava “a ciglia basse” gazzo dai capelli lunghi / troppo alto “l’inquietudine del sogno / il gesto il per stare con i piedi per terra / ma nel tratto il segno il muro l’osso / la pietra fondo triste / per perdere la testa fra le il corso (della storia) il filo rosso / che nuvole”, ardita-mente quella mitezza è moltiplica gesti collettivi”: e mai più entrata “nel mondo a pugni chiusi”, da solo ha continuato poi ad andare croce/ombra “sulla soglia” di tutte le finché, “ad un certo punto”, “il nodo sue domande/croci: lunga-mente por- alla gola il nodo degli anni” (libro su tate, sopportate e serbate in fondo al libro come pietra su croce) quella ca- cuore come indurito e pur ardente frut- tasta di parole/libri/anni di progetti, to. Schizofrenicamente sdoppiatosi dis-utilmente edificata a mezza voce e “scaglia a scaglia come galestro” l’in- avvolta intorno alla propria solitudine Henri De Toulouse Lautrec, Figura finità di un futuro deprivato di confini, (annodata come un cappio di “cravat- da cui egli allora sperava “chi sa te scarpe fibbie lacci”) si è di-sciolta, cosa”, quella dolorosa, confinata infi- dis-solvendosi, come la sua “neve di cercando ed aggregando senza dimen- De-fluendo d’intenzioni e inter-azioni, nità si è poi definita, ri-componendo- maggio”, nel mutuo incontro con ogni ticare, con-muove nell’impegno a-vo- per ritornare a con-fluire nella fonte si in “dura malta”, “quasi fosse nien- insieme a lui impegnata a ri- cato dall’“assenzio” ossimorico del della resistenza, è l’amicizia che, nel- te”, “sull’asfalto del mondo”: ove “il solvere a “ciglia basse” lo stesso eser- suo “interno paese straniero”, questa la poesia di Manescalchi, scrive al plu- potere convulso della vita / uscita da cizio. poesia può (e sa) permettersi dunque rale “con mille mani” di “popolo” ri- se stessa” vive per avere già vissuto Per “tra-dire” e “non tradire” le anche l’alleanza con la prosa delle pa- belle, per esistere e dettare alla storia quel futuro nel presente passato d’un diverse, inter-attive nella role contaminate-animate dalla/nella la storia dell’avvento della sua buona “conato / di ruote celerissime”. responsoriale responsabilità con-par- libera circolazione quotidiana, per co- novella “con una rosa a sinistra del “Veramente solo”, apolide di tecipe della comune congettura, il poe- struirne poietica-mente responsabile e costato”, per “vivere / come davvero si “un’alba illividita” (al suolo “il guscio ta Manescalchi ha così saputo e volu- matura la responsorialità, “di schiena deve”, dividendo “l’amore dalla mor- di cicala dell’estate”) croce su pietra to de-isolare la poesia dalle sue dis- dritta”, critica e inter-indipendente te” nella scelta del primo che riscatta quel ragazzo ha impastato con quella utili crepuscolarità, assorte e incardi- “contro la civile ipocrisia del potere”, la seconda dal ricatto della cioraniana malta ri-com-posta con “ira ed ironia”, nate a celebrare la de-costruita solitu- e(s)ternandosi in “laica comunicazio- gettatezza nella ‘odissea di rancore’ febbrili, definite domande per edifi- dine dell’uomo (veste-compenso-prez- ne di speranze”. Con un ludo “colpe- del mondo: impari, improvvisa, di- care tese, pro-tese, con-tese, in-defi- zo delle sue narcintimistiche ferite) vole” di lingua, di quelli magistral- smorfica “scacchiera”, ove per gua- nitive risposte: risposte curve di “libri per investirne eretica-mente (fra mente azzardati e pro-posti dall’uni- dagnare la partita, spesso anche i cari sopra a libri per progetti / di libri” ac- Gramsci,Popper e Feyrabend) né pa- sono del suo senziente impegno-inge- compagni ringhiano… cari / cani. catastati di parole dette “a mezza tetiche, né paritetiche, né ottative, ma gno, Manescalchi dis-pone così il “ca- Fragilmente caparbio nella con- voce” e poi dis-dette “per stare con pragmatiche e progressive le sue sor- rapace” della sua poetica, (“tra-dire fessata consapevolezza della “pròtesi” tutti e dunque con nessuno”, fabbril- tite risorse: per viverla, quella poesia, per non tradire”) insolita come una di coraggio che ardentemente si ader- mente intra-dicendo l’ansia della fuga, e infine “sentirla vivere” organica- “tartaruga capovolta” e protettiva ge protesa alla possibilità di un con- dell’“aria nuova, pulita”, nel segno- mente, come “fatto vero che vuole ac- come una “hoperta su ‘i tetto” distesa possibile futuro, la poesia di Mane- sogno d’un “vano gesto prometeico”. cadere”. Così, con-dividendo la sua “a ‘i’ limitare delle stelle”: poetica scalchi maiuscola s’intrattiene, sostan- In inverni carichi di “neve nera” a cor- mensa sensibil-mente imbandita di pa- che, con-vertendo inter-convertite le do con le minuscole, per cambiare rodergli le “vene”, senza guscio in fo- role (quelle parole che la storia artata- contra(d)dizioni dell’“assenzio” co- “verso e recto” i connotati alla dentata colari sempre più freddi di parole “con mente consuma nella dicotomia fatto- scienziale (“disagio / di cambiali sca- chiostra della prepotente la lancia nel costato”, egli ha cercato valore) Manescalchi ne compone il dute di rancori”), ne de-duce e tra- umana nel chiostro di una dimessa, in- allora “un punto fisso, un segno del- corrispondente jato politico-culturale, duce l’interno “sentiero-pensiero” positiva solidarietà, abitata e praticata l’amore” nel n o s t o s verso il “nido attuando la storia stessa nell’attualità con-ducendolo facondo “fuori dagli nel “viceversa” dell’appartenenza. Sul dell’assenza dell’essenza / ai confini dell’azione creativa. Organica al suo specchi” d’ogni sterile intimismo ver- “rame antico” di quell’appartenenza, del bene”: là, nel silenzio dell’ombra tempo, quel tempo che la memoria, so la feconda intimità dell’amicizia. in bilico fra passato e presente, Mane- IL PORTOLANO - N. 47-48 51 scalchi tiene ‘qui e ora’ in pugno il ge- la incomprensibilità/incomprensione la ‘perfetta similitudine’ di cui scri- “neve di maggio”, scavata di sole a sto per in-scrivere nel segno del senso che si appella soltanto alla ragione del- veva il buon Dante a Cangrande della scontare il dolore dell’errore e del- il sogno di un tempo che, empio, ritor- le ragioni senza ascoltarne il sentire: Scala, la ‘fonte cristallina’ di Giovan- l’orrore “a ciglia basse” e di “schiena na pio nel tempio senza porte di una quel sentire che funzionando opera, ni della Croce, la ‘carità che crede tut- dritta”, da caro compagno sempre memoria collettiva-mente fiduciosa del agendo unisce, e con-sentendo può an- to’, che Agostino richiama dalla lette- “alle soglie degli altri”, poietica-men- suo futuro. E’ dunque per appartenere che dissentire proprio in virtù della fi- ra ai Corinzi di Paolo. te Manescalchi ha fatto la sua parte, “a proteso, senza pròtesi, a quel tempio- ducia richiesta, già implicitamente Confrontandosi con quel conforto ciglia basse” e “di schiena dritta” per tempo che “non ha ed è”, “impaginato contenuta e concessa nella volontà di di oggettivata interiorità la poesia di ri-condurre il prepotente potere della in fogli intensi d’oro”, che nel nido do- esporsi con chiarezza ed onesta’ alla Manescalchi approda pudica, schiva e vita, uscita dai suoi cardini, “ai confi- loroso, ma anche argutamente ironico critica . Ecco allora tensiva alla con-vincente sua certezza ni del bene”, intra-dicendo nel suo te- dei suoi versi (cito in proposito la soli- che le “troppe nervature” dell’albero etica /estetica, irrompendo e dirompen- stimoniale passaggio/messaggio di taria, deliziosa cena con “’i’ gatto” ramificato /ante del confessato sentire do nell’“eppure” che ‘ditta’ fuori a-vo- poetica scrittura, i pensieri di Abele: ove, ambedue “sdigiunati” con una del poeta, concentrato “nel respiro del- cato dalla manifestata interiorità verso il quei pensieri che, traditi sui sentieri scatoletta “senza cipolla e senz’olio”, lo sguardo nel gesto del segno” (pro- colloquiale progetto di un “interiore fu- di un mondo caina-mente manipolato si “miagolano sazi: a domattina!”) il prio così, sempre senza punteggiatura, turo” con-versato fuori dal suo cer- e deprivato del suo paziente stupore poeta si snida annudandosi in bergso- per creare la possibilità di stimoli, ove chio/centro: quello che responsabil- senza carità, ri-suonano nelle sue “ca- niano fluire d’anima. ognuno è diretta-mente co-involto nel- mente responsoriale, “con tu lucidi di taste di parole” solida(l)mente edifi- Attraverso le contra (d)dizioni del la personale de-codifica dell’elicoida- vento”, “abbatterà le parole dello cate in modulata, relazionale sinfonia, con-porre per o(p)porre e de-costruire le dna dei versi) si con-centrano con- speaker” nella rivoluzionaria pro-posta per partecipare, partecipate, alle aspi- per ri-costruire la primigenia innocen- fermando la volontà centrifuga per ar- dell’ ”oppure”. razioni/intenzioni del destino comune za di quelle dizioni-contro, egli s-com- rivare “alle soglie degli altri”. E’ lì Devotamente laica, fraternamen- ad ogni singolo “interno paese”, non pone luminosa come una cometa in che, insoddisfatta nell’incertezza del te plebea, politicamente mistica, eti- più “straniero” se manifestato e con- transito, in eleganza di lingua scelta e senso, il segno della onesta azione camente estetica, intimamente pubbli- diviso nel tempo/tempio bene-dicente sperimentata nel continuum del pro- creativa si conforta nel confronto con ca, liricamente pedagogica nella sua dell’amicizia, che se-ducendo senza gress (ergo, dialettica-mente), la sua la presenza del suo oggetto di deside- vocativa sineciosi per l’accoglienza e seduzioni, tra-duce e con-duce il mon- trasparente volontà di mostrarsi di- rio, già disegnata nella interiorità dal- l’inter-azione attraverso la confessio- do per amore del mondo. rompendo dall’ermetismo fumoso del- lo sguardo dai suoi stessi occhi: come ne/comunicazione, con questa sua Come questa poesia, appunto.

L’avventurosa sepoltura di Gino Capponi

Francesco Adorno

on desidero qui parlare di Gino Capponi e di un suo discendente Ro- della Cassa di Risparmio di Firenze,alla quale concorse anche Gino Capponi. Nberto Ridolfi. Ricorrendo l’anno della scomparsa di Gino Capponi, In “Colombaria”, alla presenza di numerosissimo pubblico parlarono: ch’era stato presidente della “Colombaria” per quasi sessanta anni e presi- Giovanni Nencioni (Capponi linguista e Arciconsolo della Crusca), Ernesto dente della “Crusca”, Roberto Ridolfi m’invitò a tenere in “Colombaria” un Sestan (Gino Capponi storico e cittadino), Eugenio Garin (Il pensiero di ricordo di Gino Capponi nei suoi momenti più significativi. Gino Capponi). Infine ci giunse per gentile concessione dell’Accademia Na- Allora ero segretario accademico della “Colombaria” e avevo stretti zionale dei Lincei, il testo letto ai Lincei da Roberto Ridolfi, a un tempo so- rapporti con Giovanni Nencioni, “colombo”, e, poi Presidente della “Cru- cio della “Colombaria”, il dieci gennaio 1976 (vedi Celebrazioni lincee, n. sca”. L’augurio di Roberto Ridolfi era che le spoglie di Gino Capponi, dopo 99; ora negli “Studi della ‘Colombaria’, n. L, Gino Capponi linguista, sto- cento anni potessero esser sepolte in Santa Croce, ove è innalzato un ceno- rico, pensatore, Firenze, Olschki 1977, dal titolo Candido Gino). tafio per i Capponi. A conclusione del nostro incontro in “Colombaria”, prospettai la possi- Scrive Roberto Ridolfi: “a lui fu decretata la sepoltura in Santa Croce, il bilità di trasferire le spoglie del ‘Candido Gino’, che non fu di “setta” alcu- tempio che accoglie l’itale glorie, dove gli fu edificato un sepolcro più na, che accolse rifugiati politici, che comprendeva e amava il popolo, e fu grandioso che bello. Ma il sepolcro è vuoto: all’ombra di un cipresso mil- uno dei grandi del Risorgimento, a trasferire, come chiedeva Roberto Ridolfi, lenario, i suoi resti si disfanno nella Cappella di Marignolle, che si disfà pur- le spoglie di Gino in Santa Croce. Generale fu l’applauso e il consenso. Ro- troppo con loro”. Marignolle sulle colline fiorentine di fronte alla Baronta berto Ridolfi, che allora non era in buona salute, mi chiese che andassi io a (dei Ridolfi). Marignolle per disseppellire e portare in Santa Croce la salma del Capponi. Accolsi l’invito di Roberto Ridolfi, oggi scomparso: grande bibliofilo Chiesi il permesso alla polizia giudiziaria che subito acconsentì, ai Frati di (direttore della rivista Bibliofilia), studioso di Machiavelli, Guicciardini, e Santa Croce, anch’essi pienamente d’accordo. Passai poi all’Ufficio d’Igie- così via; molto a lui veniva dai suoi antenati: incunaboli rari, manoscritti e ne. Mi dissero che purtroppo, dato il personaggio, dato ch’era sepolto in una via di seguito. Roberto Ridolfi di Montescudaio fu per qualche anno inse- cappella di proprietà privata, bisognava chiedere il permesso al Ministero gnante di araldica e di bibliofilia all’università fiorentina. Scrisse inoltre pa- della Sanità a Roma: pregai l’Ufficio d’Igiene fiorentino di inviare la do- gine extravaganti – per dirla con Giorgio Pasquali – in vari giornali. Roberto manda a Roma. Si aspettò giorni e giorni, ma da Roma non veniva alcun per- Ridolfi discendeva da Cosimo Ridolfi (1794-1865), scienziato e fondatore messo. Roberto Ridolfi era esasperato: mi diceva che non poteva sistemare 52 IL PORTOLANO - N. 47-48 la villa di Marignolle, come riteneva opportuno. Passò quasi un anno. Alla no arrampicati sul brutto monumento, ricordato da Roberto Ridolfi. La signora fine, non ricordo chi, qualcuno andò a Roma, al Ministero della Sanità. inglese aveva parlato dei Capponi, i grandi Capponi, e si arriva noi coi resti Nessuno ritrovava la pratica. Lo credo bene: la pratica era finita al Diparti- di un Gino Capponi e della moglie. Il giorno dopo apparve su di un giornale mento di “Veterinaria”. Sembra uno scherzo. Da Firenze pare avessero il sottoscritto che seppelliva il Capponi. Dopo poche ore mi telefonò a casa scritto “trasloco Capponi da Marignolle a Santa Croce”. Chiare le ragioni per Giovanni Spadolini. Perché non mi avete invitato? Il Capponi aveva sistemato cui un usciere romano aveva inviato la pratica a “Veterinaria”. l’“Antologia”di Giovanni Spadolini, ora la “Nuova Antologia”. Risposi ch’e- Arrivò il permesso. Si lesse il testamento di Gino Capponi: non voleva ra stata una questione privata. Si sarebbe veduto poi come commemorare il esser sepolto in Santa Croce; voleva rimanere accanto alla moglie, morta gio- grande Gino, preso davvero per un cappone. vanissima. Avemmo subito il permesso. Non è questo il luogo per parlare degli scritti e del significato del saper Con Roberto Ridolfi, che non poteva muoversi, si decise che si salisse a scrivere di Gino Capponi, del suo aver sempre ritenuto che l’uomo per es- Marignolle in tre persone: Giovanni Nencioni, Giovanni Fossi della Cassa di sere tale è uguale all’altro nella sua disuguaglianza, in una tensione all’unità Risparmio ed il sottoscritto, in qualche modo anche parente. Andammo a Ma- civile, che si palesa nel saper parlare che è, poi, un saper pensare bene. Ba- rignolle con l’auto della Cassa. Non ricordo il giorno. Con noi portammo due sti riportare quanto dice Roberto Ridolfi: “Proprio sulla lingua egli ci lasciò piccole bare in cipresso. Con noi, per proprio conto, vennero a Marignolle al- pagine indimenticabili, ma da tanti forse dimenticate: non dico le molte cuni membri della polizia giudiziaria. Nella chiesetta di Marignolle, su di una sue lezioni accademiche, ma le poche che chiudono il quinto libro della Sto- parete vi era una lapide con su scritto: Gino Capponi, data di nascita e data di ria col suggello di queste parole riuscite davvero profetiche: ‘S’io dovessi morte. Non altro. Le bare stavano nel sottosuolo e fu sfondato il pavimento. quanto alle future condizioni della lingua fare un pronostico direi senz’altro: Uno di noi scese e fece emergere le due bare. Il legno si era totalmente di- la lingua in Italia sarà quella che sapranno essere gli Italiani’. Oggi, difatto, strutto e le salme si trovavano rinchiuse nel piombo. Non fu certo una bella vi- la lingua italiana è ridotta come purtroppo noi siamo ridotti. Dante, dopo più sta. Tratte su le bare (Gino Capponi dai ritratti del tempo appariva piuttosto di cinque secoli, avrebbe inteso bene la lingua parlata e scritta da Gino; dopo alto, e perciò chiesi di tirare su l’involucro di piombo più lungo (Dio volen- un secolo solo, Gino non intenderebbe più quella che oggi si parla e si scri- do c’era incisa una sigla G.C.). Fu traforato il piombo e toccò a me tirar su il ve sui giornali o addirittura nei libri: ormai quasi non la intendo più neppu- teschio di Gino Capponi: altro non era rimasto se non una polvere scura e il re io che, bene o male, ancora son vivo. Torna candido Gino” (Gino Cap- teschio in pezzi, terribile: mi sembrò, con un brivido, di essere Amleto. Me- poni. Linguista, storico, pensatore, “Studi della ‘Colombaria”, Olschki glio la moglie, morta giovane. Sistemammo i resti delle salme nelle due pic- 1977, Firenze). cole bare. Con l’auto della Cassa di Risparmio scendemmo a Firenze. Giun- Mi fermo. Solo un’aggiunta. La lingua non può che cambiare: ma non ti a Santa Croce, Giovanni Nencioni, Giovanni Fossi ed io entrammo in chie- ignorantemente ma in una coltivazione che sia storica. Diceva Goethe: quel- sa con i resti dei due Capponi. Davanti al Cenotafio (i frati avevano solleva- lo che fa paura non è l’ignoranza, ma l’ignoranza attiva. Per oggi io dico: to uno scalino) v’era una signora inglese che parlava dei Capponi ad una se- l’ignoranza super attiva che ci riporta al passato, senza saper fare civilmente rie di giapponesi, tutti con macchina fotografica alla mano. Ho seppellito Gino il futuro. Tale ignoranza, termini usati male e così via: questo fa davvero, per Capponi una decina di volte. I giapponesi si erano messi a fotografare, perfi- essere in tema, “accapponar la pelle”.

luci e ombre luci e ombre luci e ombre luci e ombre luci e ombre luci e ombre luci e ombre luci e ombre UMBERTO BALDINI una vita per il patrimonio artistico

e n’è andato anche Umberto SBaldini, intellettuale, critico d’arte, ma soprattutto “restaura- tore” nel senso pieno del termi- ne. All’idea di restauro, Baldini contribuì con la scientifizzazione ADDIO dell’esercizio pratico e con con- tributi teorici importanti. Si era JOE ROSENTHAL laureato con Salmi, entrando Umberto Baldini, (qui in un disegno di quasi subito nell’amministrazio- Tommaso Paloscia) premio Pulitzer ne delle “Belle Arti”, tenendosi 1945 tutta la vita lontano dalle assur- de, laceranti querelle di “scuo- in quiescenza dall’amministra- la” (i salmiani, i longhiani, i rag- zione dei beni culturali, diresse e ne è andato il fotografo che ghiantiani, ecc.), preferendo la l’U.I.A. (Università Internazio- Sscattò quell’immagine-simbolo critica dell’esercizio operativo. nale dell’Arte), succedendo a che ci ha accompagnato tutta la vita. Coordinò il Laboratorio di Re- Carlo Ludovico Ragghianti. Per Jvo Jima costò seimilaottocento stauro di Firenze dopo l’alluvio- molti anni fu presente come cri- soldati americani e ventimila giap- ne del ’66, passò poi alla dire- tico d’arte contemporanea. Al- ponesi. Rosenthal (1911) lavorava zione dell’I.C.R. (Istituto Cen- cuni di noi lo hanno avuto amico Massimo Mori (qui nel salottino per la Associated Press ed era con i trale del Restauro, a Roma, suc- ed entusiasta compagno di viag- anarchico di Liberto Perugi) ha esposto a Mantova marines quel 23 febbraio ’45 quan- cedendo a Brandi, a Pasquale gio nella tutela e nella promo- la sua ultima opera “Codex”, do scattò quella foto. Rotondi e a Giovanni Urbani); zione della cultura artistica. presentato da Renato Barilli.