RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

LA MARINA ITALIANA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE NELL’INTERPRETAZIONE DELLA NOSTRA MEMORIALISTICA

Il punto su Matapan dell’ammiraglio Angelo lachino, comandante in capo della squadra navale italiana dal dicembre 1940 alla fine del 1943 l, segna, a nostro parere, come compendio delle già numerose rielaborazioni dell’A. e degli ampi dibattiti sugli scontri di Gaudo e Matapan di storici e di protago­ nisti delle due parti, un punto fermo nella chiarificazione di quegli episodi, tra i più complessi delle vicende della Marina italiana nella guerra ’40-43. Lo studio, approfondito e meticoloso esame della genesi e degli eventi del­ l’operazione di Gaudo (un tentativo d’interferire nei trasporti dei convogli britannici dall’Egitto alla Grecia), ci offre l’occasione di esaminare sintetica­ mente quanto la memorialistica di ammiragli e comandanti ha saputo darci dal 1945 ad oggi sulle vicende della marina nell’ultimo conflitto 2. Si tratta, in genere, di opere di notevole livello. Gli autori hanno saputo esporre, quasi sempre con serena franchezza, le loro impressioni ed esperienze, tentando anche, con successo, autorevoli e ben documentate sintesi d’insieme, :senza gravi travisamenti e al di sopra di accentuate questioni personali in difesa del proprio operato. La parte onorevole sostenuta dalla marina italiana nell’ultima guerra ha certamente giovato a questo fiorire di studi. La flotta si battè sempre con costanza e con abnegazione, alternando a notevoli rovesci, brillanti successi, contro un avversario che era, allora, la prima potenza marittima del mondo. Tuttavia, nell’immediato dopoguerra il primo orientamento della memo­ rialistica, la sua prima reazione alle isolate polemiche su fatti e scontri avvolti ria molti interrogativi e segnati da numerosi punti oscuri era quello di stendere un pietoso velo sul passato, nell’esclusiva esaltazione e nel ricordo del sacrificio di ufficiali e marinai3. A questa tendenza reagiva cercando una prima precisa­ zione tra le luci e le ombre della guerra sul mare, Tammiraglio Iachino con Gaudo e Matapan 4. Per la prima volta veniva rilevata, nell’esame di questo episodio della guerra navale, la scarsa perizia, o se si vuole l’inerzia del comando supremo,

1 Angelo I achino, Il punto su Matapan, Milano, 1969. 2 L’argomento sembra non aver interessato fino ad ora gli storici civili. L’unica •eccezione è rappresentata dal volume del prof. Gabriele, riguardante i vari piani per la conquista di (Mariano G abriele, Operazione C/3 Malta, Roma, 1965). 3 Ci sembra inutile citare libri ed articoli di scarso livello che, apparsi fin dal 1943, procedevano su questa strada. Possono far testo, se pur pubblicati qualche anno piu tardi, e li citiamo perché compilati con maggior serietà, i lavori di Marc’Antonio Bragadin (Vampe sul mare, 1940-43, Roma, 1954, e Che ha fatto la Marina? 1940-43, Milano, 1955). ♦ Angelo I achino, Gaudo e Matapan, Milano, 1946. 108 'Walter Polastro dell’aeronautica, e di supermarina. Si veniva a conoscere che durante tutta l’operazione di Gaudo, e fino al tramonto del 28 marzo, contrariamente alle assi­ curazioni date al comandante in mare e nonostante le sue ripetute richieste, la squadra si era trovata senza alcuna protezione aerea (e ciò rese possibile l’aerosi- luramento della Vittorio Veneto). Inoltre, l’ammiraglio italiano era stato erro­ neamente informato sull’effettiva consistenza delle forze avversarie uscite da Alessandria (una corazzata invece di tre). Ne conseguiva un errato apprezza­ mento della situazione in mare per l’intera giornata del 28 marzo (non ultima causa dello scontro notturno di Capo Matapan). Pur riconoscendo che tale combattimento era avvenuto in seguito ad un eccezionale ed imprevedibile complesso di circostanze, l’A. rilevava, in merito alla segretezza delle opera­ zioni, che certamente il nemico era stato preventivamente informato, con notevoli dettagli, della nostra puntata offensiva in Mediterraneo orientale. Da questa affermazione allargava il discorso muovendo un altro grave addebita a tutta l’organizzazione di supermarina: « a Roma le notizie trapelavano con grande facilità e, durante il mio comando, ebbi più volte l’occasione di segna­ lare l’awenuta diffusione di un’informazione che quasi certamente era trapelata per opera, sia pure involontaria, di elementi del Ministero » 5. Forse sulla base di questa affermazione, e di altre dell’ammiraglio Maugeri, prese isolatamente e male interpretate nel loro significato originario6 7, Antonino Trizzino, costruiva un’interpretazione della guerra sul mare che spiegava la sconfitta con l’intelligenza col nemico di una parte degli ammiragli itahani. Le potenti navi della marina mandate in missione per il Mediterraneo vana­ mente, gli inglesi che potevano muoversi sicuri di non incontrare la flotta italiana, i convogli mandati allo sbaraglio con preziosi materiali e rifornimenti che avrebbero potuto alimentare battaglie di molti mesi sul suolo africano1. tutto rientrava in un’unica e coerente trama. Era una ripresa di quanto a suo tempo aveva sostenuto la RSI: cioè la guerra perduta per il tradimento della marina. Tesi non solo assurda (ben altre furono le cause della sconfitta italiana), ma anche calunniosa proprio nei riguardi dell’arma che in modo particolare aveva saputo combattere e sacrificarsi. L’A. insisteva poi, sempre nella ricerca delle cause e delle responsabilità della sconfitta sul mare, sul contrasto tra il disvalore e l’incapacità di pochi (i massimi responsabili della condotta della

5 A. I achino, Gaudo e Matapan, p. 66. 6 Ne riportiamo due (dal libro del Maugeri pubblicato da un editore americano, From the Ashes of Disgrace): la prima (« io sospetto che gli inglesi erano in grado di ottenere informazioni autentiche dalla fonte ») è una frase poco felice che viene a segnare il filo conduttore del libro del Trizzino. La seconda (« l’inverno del 194243 trovò molti di noi, che speravano in un’Italia libera, di fronte a questa dura, amara, dolorosa verità: non ci saremmo potuti liberare delle nostre catene se l’asse fosse stato vittorioso ») serve pure all’A. per sostenere la tesi del tradimento in quanto, a suo parere, il passo è breve tra desiderare la sconfitta del proprio paese ed ague in maniera da affrettarla (dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano, in Antonino T rizzino, Navi e poltrone, Milano, 1966, pp. 242-43). 7 Per un’approfondita interpretazione della battaglia dei convogli cfr. Aldo Cocchia, Convogli, Napoli, 1956. Le gravi perdite e la disfatta finale vengono fatte risalire, a parte la preponderanza anglo-americana dell’ultimo periodo, alla stessa impostazione del problema dei rifornimenti oltremare data dal comando supremo e dal potere po­ litico. La marina italiana nella seconda guerra mondiale 109

.guerra) e il valore dei comandanti in mare e degli equipaggi duramente impegnati e votati ad un vano sacrificio. Poiché non serviva, questa era la ■conclusione, avere equipaggi coraggiosi, un gran numero di navi ed una pode­ rosa aeronautica, quando chi guidava le sorti del paese capiva poco o nulla di strategia e gli alti comandi, dominati dall’egoismo e privi di iniziativa face­ vano soltanto sfoggio di prudenza e di cautela, evitando di assumere ogni grave responsabilità. Ad essi andavano ascritte, non solo le sconfitte in guerra, ma l’impreparazione generale dell’Italia Un unico punto, a nostro avviso, me­ rita di essere preso in considerazione: le prime pagine in cui il frizzino, pioniere della specialità degli aerosiluranti evidenzia il mancato approntamento •e perfezionamento di siluri per aerei con relative squadriglie (si pensi che l’Inghilterra, proprio con queste armi ci inflisse i duri colpi di e Matapan) 8. Qualche anno dopo, quando ancora perdurava il dubbio che il Trizzino aveva gettato in forma aspra e sconcertante sull’intera attività della marina, sulla sua organizzazione e sulla sua preparazione nei precedenti anni di pace, lo Iachino9 e l’ammiraglio Bernotti10 riprendevano l’argomento con rigore scientifico e con più studiata cautela offrendo una complessa e meditata sintesi dell’attività della marina. Si tratta di due ottimi lavori, integrantisi a vicenda, che presentano in una prosa lucida e precisa i difetti e i limiti della preparazione della flotta italiana al 10 giugno 1940 e gli errori compiuti nell’elaborazione dei piani di guerra e durante tre anni di battaglie. L’impianto delle due opere è però differente: nella prima, gli episodi della guerra sul mare vengono visti di scorcio e fin

8 Qualche anno prima era uscito, più pacato ed obiettivo, lo scritto dell’ammiraglio Alberto De Zara, Pelle d’ammiraglio, Milano, 1949. Si trattava, sostanzialmente, di un libro di memorie personali, ma, nell’ultima parte l’A., ormai ammiraglio di divi­ sione, divenuto testimone diretto dei molteplici errori dell’alto comando muoveva una serie precisa di appunti alla condotta della guerra e alla preparazione della marina al conflitto. Il principale errore era consistito, a suo parere, nell’aver trascurato com­ pletamente la preparazione al combattimento notturno, forma caratteristica di com­ battimento delle marine più deboli, quale appunto si presentava quella italiana di fronte alle flotte riunite anglo-francesi. 9 Angelo I achino, Tramonto di una grande marina, Milano, 1959. L’ammiraglio italiano proseguì la sua attività di studioso dopo Gaudo e Matapan con la pubblica­ zione de: Le due Sirti, guerra ai convogli in Meriterraneo, Milano 1953 e Operazione mezzo giugno, Milano, 1955. Trattano entrambi episodi in cui lo Iachino fu tra i principali protagonisti: comandante della squadra sia nella prima che nella seconda Sirte, che nella battaglia di mezzo giugno, inseriti in un vasto quadro riguardanti interi periodi della guerra in Mediterraneo. A parte il tema di autodifesa del proprio operato, presente saltuariamente e tenuto comunque in sordina, i due scritti offrono un valido contributo alla ricostruzione delle vicende della guerra in Mediterraneo, •con la nitida e particolareggiata ricostruzione tattica di molti scontri, con la chiarifi­ cazione basata su documenti, su opere italiane ed inglesi e sulle proprie memorie di molti episodi non ancora completamente chiariti. Nel 1957, a Milano, uscì la Sorpresa d i Matapan, complessa rielaborazione della precedente opera del 1946. Ormai, grosso modo, l’ammiraglio aveva coperto con le sue ricerche l’intero periodo 1940-43. Un’interpretazione generale di quegli avvenimenti doveva scaturire quasi naturalmente. 10 Romeo Bernotti, Storia della guerra in Mediterraneo 1940-43, Roma, 1960. Il Bernotti aveva già trattato l’intero problema, seppure in modo molto più rapido ne: La guerra sui mari nel conflitto mondiale 1939-45, , 1950. 110 Walter Polastro dall’inizio il discorso si volge ad un’interpretazione generale di quegli avveni­ menti, inquadrati in una vasta cornice politico-strategica; nella seconda viene tentata, con successo, una sintesi basata su fonti documentarie e memorialisti­ che, dei complessi avvenimenti della guerra in Mediterraneo accompagnati da rapidi e penetranti giudizi. Le lacune che i due autori rilevavano in merito alla preparazione della marina sono presto elencate: mancanza di navi portaerei, che si sarebbero rivelate le capitai ships di ogni flotta, in grado di determinare l’esito della quasi totalità dei combattimenti; insufficienza del coordinamento aeronavale e di un’adeguata aviazione per la marina; eccessivo accentramento delle funzioni di comando da parte di supermarina e, infine, mancanza di piani strategici validi e ben ponderati, di precise direttive su cui uniformare la preparazione e l’attività della flotta. Era venuto meno alla guerra della marina un fattore essenziale di successo: la sorpresa. Si sarebbe potuto studiare ed organizzare un attacco alle basi navali anglo-francesi nella prima notte di ostilità, sia con grandi navi, sia con sommergibili e mezzi d’assalto u; ma mancavano le portaerei e i mezzi d’as­ salto non erano ancora a punto11 12. Malta e la Tunisia costituivano due obiettivi strategici essenziali. La prima si presentava come minaccia potenziale ad ogni comunicazione tra l’Italia e l’Africa settentrionale; l’occupazione della Tunisia avrebbe reso possibile il controllo del Canale di Sicilia da entrambe le sponde. Sarebbe valsa la pena di sacrificarvi, è un’osservazione del Bernotti, anche le due vecchie corazzate allora in servizio, ma nulla era stato studiato in prece­ denza e nulla venne deciso prima dell’armistizio con la Francia e prima che Malta venisse adeguatamente potenziata. A questa mancanza di iniziative corrispondeva, almeno a quanto ci sembra d’aver capito, un errato concetto della guerra, intesa come breve scontro e già in sostanza vinta dai tedeschi; tanto che la flotta più che servire per dar battaglia sul mare veniva considerata come elemento di pressione per il tavolo della pace. Il perdurare di questa concezione faceva sfumare nell’agosto-settembre 1940 una favorevole occasione per affrontare con notevoli probabilità di successo le forze britanniche impegnate nell’operazione « Hats » (la squadra italiana,, nettamente superiore, invertì la rotta per ordine di supermarina, quando stava per avvenire il contatto con la Mediterranean Fleet). Un’altra occasione sva­ niva allo stesso modo alla fine di settembre. Il comando supremo e super­

11 La tesi sopra accennata era stata considerata nello scritto di Valerio Borghese,. Decima flottiglia MAS (Milano, 1950). Secondo l’A. effettuato con successo un attacco- con i mezzi d’assalto nella prima notte di guerra il rapporto di forze nel Mediterraneo sarebbe variato decisamente in nostro favore e avrebbe potuto scaturirne una vittoria definitiva e il pieno dominio della flotta italiana su questo mare. Mentre lo Iachino- e il Bernotti si limitano ad accennare a questa possibilità, qui l’ipotesi viene gonfiata- fino a diventare assurda. 12 Alla dichiarazione di guerra si riuscì ad ottenere una sorpresa di questo genere: più di 200 mercantili italiani, per un totale di 1.215.000 tsl., in navigazione al di fuori degli stretti (poiché nessuno aveva pensato ad avvertirli in tempo utile) caddero- in mano agli inglesi o, rifugiatisi in porti neutrali, divennero, con l’estendersi della: guerra, preda bellica degli anglo-americani. La marina italiana nella seconda guerra mondiale 111 marina continuavano su questa strada presumendo che la situazione sarebbe rimasta a lungo stazionaria, mentre, ovviamente, dato il diverso potenziale industriale, economico e demografico, il tempo lavorava a favore dell’avver­ sario. Dopo Capo Matapan, la squadra non interveniva nelle operazioni inglesi di sgombero della Grecia e neppure nella battaglia di Creta. Si assisteva così all’assurdo strategico di una Mediterranean Fleet che impegnata fino al limite delle proprie possibilità dall’aviazione germanica, non riceveva il minimo disturbo da parte della flotta italiana tranquillamente rinchiusa nei porti. Sfumava in tal modo l’ultima occasione di rovesciare, con l’appoggio tedesco, la situazione in Mediterraneo, prima che l’attacco alla Russia spostasse altrove e definitivamente gli interessi della Wehrmacht. Possiamo ridurre a una sola osservazione tutti i precedenti rilievi dei due autori: mancò da parte di pobtici e militari, nella preparazione dell’Italia alla guerra, una visione strategica globale mirante alla vittoria finale e totale. È un’affermazione piuttosto grave ma che è stata fatta prima di noi in una recensione del libro del Bernotti, apparsa nel 1960 sulla Rivista marittima 13. Infatti, a quanto riferisce lo stesso Iachino, l’ipotesi che presiedette al riarmo marinaro fu quella di una guerra con la Francia (!) mentre venne esclusa a priori la possibilità di un conflitto con l’Inghilterra e tanto più con Francia e Gran Bretagna riunite. Tanto che, quando nella primavera del 1940, Mus­ solini sintetizzò le direttive per la marina con la frase: offensiva su tutta la linea di Mediterraneo e fuori, l’allora capo di SM, ammiraglio Cavagnari, in un promemoria diretto al capo del governo, rilevò che, considerata la potenza della coalizione avversaria, mancava completamente la possibilità di conseguire obiettivi strategici di qualche rilievo. Da questa mancanza di piani, da questo scollamento tra ipotesi belliche formulate dai militari e ciò che facilmente si poteva prevedere considerando la crisi etiopica, il patto d’acciaio, gli istrionismi mussoliniani sulla libertà dei mari e sull’Italia prigioniera nel Mediterraneo, può discendere una soddisfacente spiegazione dell’impreparazione e della sconfitta. Ma a chi ascrivere le gravi responsabilità del disaccordo e quindi della disfatta? Ai militari o a tutta una classe dirigente? I due autori, pur accen­ nando all’incoerenza e alla mancanza di determinazione di ammiragli e generali, rifacendosi ad un luogo comune incolpano principalmente il « duce ». Quest’ul­ timo, abbagliato dai successi tedeschi, convinto della propria genialità di capo, preoccupato « di essere tacciato di infrazione all’alleanza e di perdere prestigio dinanzi al popolo italiano, dimostrandosi incoerente dopo tante dichiarazioni belliciste » 14 15 lanciava l’Italia nell’avventura contro il parere di tutti. Di qui discendeva il logico corollario che le gravi lacune di preparazione non andavano ascritte agli ammiragli se non in minima parte e dovevano essere considerate il frutto di fatalità di eventi o di « inevitabili influenze esterne » ls.

13 Alfacanis, Un libro dell’ammiraglio Pernotti sulla guerra in Mediterraneo, in Rivista marittima, luglio-agosto 1960. 14 R. Bernotti, Storia della guerra in Mediterraneo, cit., p. 25. 15 A. I achino, Tramonto di una grande marina, cit., p. 11. 112 Walter Polastro

Il lavoro del colonnello Walter Ghetti16 militare ma non direttamente coinvolto in quegli avvenimenti e in quelle scelte avrebbe potuto dare, insieme all’approfondito esame della guerra sul mare, una diversa risposta. Egli rical­ cava, invece, i precedenti schemi giustificativi mentre il Bragadin con una nuova versione dei suoi precedenti volumi17 passava addirittura all’apologià di tutto l’operato della marina e di supermarina in particolare. Ma è certo difficile sostenere che Mussolini sia stato il solo responsabile di tutto quello che non funzionò nella marina. Ed è per questo che, sintetiz­ zando, possiamo affermare che i più validi lavori della memorialistica se giungono a mettere a fuoco e a denunciare con coraggio e senza esitazione le cause tecniche della sconfitta, al contrario, lasciano in ombra la genesi storica di quegli errori. Esistono certo, e non lievi, le responsabilità dirette del fascismo. Possono essere ricercate sotto diversi profili: prima di tutto nel non aver saputo ela­ borare una politica militare realistica, poi nell’aver frastornato le forze armate con parate e riviste, subordinando spesso l’efficienza bellica al prestigio del regime; nell’aver impedito un libero dibattito ed aver soffocato le correnti di idee degli ambienti della marina più aperti ai nuovi sviluppi delle dottrine e delle tecniche di guerra e nell’aver elevato, come afferma lo stesso Iachino, elementi di limitate capacità a incarichi di grande importanza e di grande responsabilità: « Chi aveva idee proprie, e non intendeva rinunciarvi, fu indotto al silenzio e tenuto in disparte, mentre altri, mostrandosi entusiasti plauditores del capo, ne conquistavano la fiducia e si impossessavano delle leve di comando della marina, arrogandosi autorità superiori al loro grado e ai loro meriti » 18. Sono da imputarsi, invece, a generali ed ammiragli, gli errori di imposta­ zione della preparazione bellica e della marina in particolare. In questo campo Mussolini non faceva che ripetere, in genere, ciò che i militari avevano deciso. Leggiamo, riguardo alla decisione di non costruire navi portaerei quanto il Bernotti ha riportato in un suo recente libro di memorie personali, di un articolo a firma del contrammiraglio Luigi Sansonetti, allora portavoce di supermarina, apparso nel 1938 sulla pubblicazione inglese Brassey’s Naval Annual: « questa categoria di navi, a cui altre marine attribuiscono grande importanza, non è inclusa fra le navi che costituiscono la flotta. Ciò non si­ gnifica che la marina italiana non creda nelle grandi possibilità offensive della moderna aviazione. Tuttavia le particolari condizioni geografiche del teatro di operazioni permettono la cooperazione con le navi di forze aeree operanti

16 W alter G hetti, Storia della marina italiana nella seconda guerra mondiale, Mi­ lano, 1968. 17 Marc’Antonio Bragadin, Il dramma della marina italiana, 1940-45, Milano, 1968. L’impianto generale del libro si presenta non senza interesse. Ci viene offerto infatti un panorama sintetico dell’attività complessiva della marina in cinque anni di guerra, le imprese dei sommergibili in Mar Rosso, l’attività sul Mar Nero e sul Lago Ladoga, le operazioni a fianco degli anglo-americani, argomenti poco noti e poco o nulla trattati al di fuori delle pubblicazioni ufficiali. La difesa in blocco di tutto l’operato della marina, basata su una discutibilissima serie di giudizi, con la conser­ vazione ad oltranza di posizioni non condivise del tutto neppure dall’Ufficio storico, procurava all’A., una prefazione dell’ammiraglio Michelagnoli, nel 1968 capo di SM della marina, che investiva il libro di un certo crisma di ufficiosità. 18 A. I achino, Tramonto di una grande marina, cit., p. 103. La marina italiana nella seconda guerra mondiale 113

dalle basi terrestre della penisola, dalle isole e dalle provincie africane, senza bisogno che la flotta disponga di basi aeree galleggianti. In questo campo la politica navale italiana, in correlazione col rapido progresso dell’aviazione, si è astenuta dall’incorrere in grandi spese per costruire un tipo di nave che per il particolare problema strategico dell’Italia non è indispensabile » 19. Lo scritto faceva coppia con quanto aveva affermato, in un discorso alla camera, sempre nel 1938, l’allora capo di SM Cavagnari: « la marina italiana persiste invece nella decisione di non costruire navi portaerei con ponte di volo. Osservatori stranieri, vicini e lontani, hanno segnalato e criticato questa che è apparsa una deficienza della nostra flotta [...]. Ora io debbo dichiarare che una volta di più Mussolini — cui spettava di decidere il divario tra le opposte opinioni — ha avuto, naturalmente, ragione. Il rapidissimo progresso tecnico degli aerei, l’incremento sbalorditivo delle loro caratteristiche di velocità, di autonomia e di portata, mentre hanno enormemente complicato e più complicheranno il problema del ponte di volo, ne diminuiscono di pari passo l’efficienza » 20. In conclusione, allargando il discorso a tutta la preparazione e alla con­ dotta della guerra sul mare, considerata la notevole libertà d’azione e di scelte di cui godettero i militari nel riarmo e nell’elaborazione dei piani di guerra, pensiamo di poter formulare l’ipotesi che, proprio a questo livello non siano state considerate le grandi difficoltà di un appoggio aereo alla flotta da basi terrestri, l’importanza essenziale della cooperazione aeronavale, dei trasporti oltremare e dei rifornimenti in Libia; la necessità di sbarcare a Malta e di •occupare la Tunisia per il controllo del canale di Sicilia, in due parole, la necessità di preparare e di condurre una guerra secondo altri schemi e per altri obiettivi. E che, anche a questo livello, quando pur si fu consci di determinati problemi e della grandissima importanza di certe operazioni non si sia saputo sostenere il proprio punto di vista con sufficiente determinazione di fronte al dilettantismo del « duce ». Cosicché l’Italia entrò in guerra con una marina, non superata, che riguardo alla tecnica tradizionale le più moderne navi italiane nulla avevano da invidiare a quelle nemiche, ma non precorritrice, non in grado di affrontare il duro confronto sfruttando i recenti sviluppi della ricerca scientifica e le più audaci dottrine di guerra. Ma, purtroppo, su tali argomenti, a parte il già accennato volume del Prof. Gabriele, mancano approfonditi studi e documentate analisi. Attualmente assistiamo alla pubblicazione di opere, nelle quali sembrano eccellere gli allora corrispondenti di guerra, dirette o ad esaltazioni di maniera del valore dei combattenti o a fornire notizie superficiali e inesatte sulla guerra in Mediterraneo. Ci auguriamo che la sensibilità degli storici civili e militari e dei memorialisti, che già li ha portati a fornire importanti contributi alla ricostruzione e alla interpretazione di quelle vicende, li spinga a dettagliati studi critici sulla politica navale del ventennio e ad un approfondito esame degli stretti rapporti che intercorsero tra potere politico, potere economico e riarmo marinaro.

W a l t e r P o l a s t r o

19 R omeo Bernotti, Cinquantanni nella marina militare, Milano, 1971, pp. 247-248. 20 A. I achino, Tramonto di una grande marina, cit., pp. 45-46.