La Nascita Dell'eroe
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Programma del CORSO a.a. 2018-19 1) PARTE GENERALE - “Slide del Corso” (sono disponibili sul mio sito) - Gian Piero Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, Einaudi, pp. 127-303 (si trova su Feltrinelli a 8,99 e in ebook) 2) APPROFONDIMENTO (A SCELTA) DI UNO TRAI SEGUENTI LIBRI: - Alberto Crespi, Storia d'Italia in 15 film, Laterza - Franco Montini/Vito Zagarrio, Istantanee sul cinema italiano, Rubbettino - Emiliano Morreale Il cinema d'autore degli anni Sessanta, Il castoro - Stefania Parigi, Neorealismo. Il nuovo cinema del dopoguerra, Marsilio - Giovanni Spagnoletti/Antonio V. Spera, Risate all'italiana. Il cinema di commedia dal secondo dopoguerra ad oggi, UniversItalia 3) CONOSCENZA DI 14 FILM RIGUARDANTI L’ARGOMENTO DEL CORSO Sugli autori o gli argomenti portati, possono (non devono) essere fatte delle tesine di circa 10.000 caratteri (spazi esclusi) che vanno consegnate SU CARTA (e non via email) IMPROROGABILMENTE ALMENO UNA SETTIMANA PRIMA DELL’ ESAME Previo accordo con il docente, si possono portare dei testi alternativi rispetto a quelli indicati INDIRIZZO SUL SITO: http://lettere.uniroma2.it/it/insegnamento/storia-del-cinema- italiano-2018-2019-modulo-laurea-triennale ELENCO DEI FILM PER L’ESAME (1) 1) Novecento (1975) di Bernardo Bertolucci: Atto primo o Atto secondo (meglio fare uno sforzo e vedere tutte e due le parti – sarà apprezzato) 2) La grande guerra (1959) di Mario Monicelli o Uomini contro (1970) di Francesco Rosi 3) Il conformista (1970) di Bernardo Bertolucci o Amarcord (1974) di Federico Fellini 4) Roma città aperta (1945) o Paisà (1946) di Roberto Rossellini 5) Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola o Vincere (2009) di Marco Bellocchio 6) Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini o Mediterraneo (1991), di Gabriele Salvatores 7) La notte di San Lorenzo di Paolo e Vittorio Taviani (1982) o L’uomo che verrà (2009) di Giorgio Diritti ELENCO DEI FILM PER L’ESAME (2) 8) La dolce vita (1960) di Federico Fellini o Il sorpasso (1962) di Dino Risi 9) Uccellacci e Uccellini (1964) di Pier Paolo Pasolini o I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio 10 ) Salvatore Giuliano (1961) di Francesco Rosi o Dillinger è morto (1969) di Marco Ferreri o Nostra Signora dei Turchi (1968) di Carmelo Bene 11) Un vita difficile (1961) di Dino Risi 0 C’eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola o La meglio gioventù (2003) di Marco Tullio Giordana 12) Cadaveri eccellenti (1976) di Francesco Rosi o Buongiorno notte (2003) di Marco Bellocchio 13) Il Divo (2008) di Paolo Sorrentino o Il caimano (2006) di Nanni Moretti 14) Gomorra (2008) di Matteo Garrone o Diaz (2012) di Daniele Vicari. I FONDAMENTI DEL NEOREALISMO E L’OPERA DI ROBERTO ROSSELLINI (1) «Sono un regista di film, non un esteta, e non credo che saprei indicare con assoluta precisione che cosa sia il realismo. Posso dire, però, come io lo sento, qual è l’idea che me ne sono fatta. […] Una maggiore curiosità per gli individui. Un bisogno, che è proprio dell’uomo moderno, di dire le cose come sono, di rendersi conto della realtà direi in modo spietatamente concreto, conforme a quell’interesse, tipicamente contemporaneo, per i risultati statistici e scientifici. Una sincera necessità, anche, di vedere con umiltà gli uomini quali sono, senza ricorrere allo stratagemma di inventare lo straordinario. Una coscienza di ottenere lo straordinario con la ricerca. Un desiderio, infine, di chiarire se stessi e di non ignorare la realtà, qualunque essa sia. Ecco perché, nei miei film, ho cercato di raggiungere l’intelligenza delle cose, dando loro il valore che hanno […] perché dare il vero valore a una qualsiasi cosa significa averne appreso il senso autentico e universale. I FONDAMENTI DEL NEOREALISMO E L’OPERA DI ROBERTO ROSSELLINI (2) Il realismo, per me, non è che la forma artistica della verità. Quando la verità è ricostituita, si raggiunge l’espressione. Oggetto vivo del film realistico è il mondo, non la storia, non il racconto. Esso non ha tesi precostituite perché nascono da sé. Non ama il superfluo e lo spettacolare, che anzi rifiuta; ma va al sodo. Non si ferma alla superficie, ma cerca i più sottili fili dell’anima. Rifiuta i lenocini e le formule, cerca i motivi che sono dentro ognuno di noi. È, in breve, il film che pone e si pone dei problemi». (Roberto Rossellini, in R.R. e Mario Verdone, Colloquio sul Neorealismo, in «Bianco e Nero», XIII, n.2, 1952, p.5). Per definire il cinema di Rossellini Caratteristiche costanti del cinema rosselliniano sono la narrazione corale, la maniera quasi documentaria di osservare e analizzare il reale ma anche il ritorno alla fantasia e alla spinta verso l’immaginazione. Rossellini andava sperimentando un cinema, spesso interpretato da attori non professionisti e senza una sceneggiatura di ferro, contrapposto alla retorica fascista, interessandosi soprattutto dei piccoli fatti quotidiani, degli “anti eroi”, della realtà minuta ma rivelatrice di un comportamento morale. Per Rossellini, semplificando, il Neorealismo significava soprattutto una posizione morale. L’importante per lui non sono le immagini ma le idee, evitando i luoghi comuni, ma penetrando all’interno delle cose con sincerità. Di conseguenza, giacché il film neorealista cerca la verità, non è tanto la sceneggiatura il fulcro della realizzazione filmica, quanto l’ispirazione. Rossellini arriva ad affermare che il plot diventa il suo nemico, quando lo costringe ad usare solo i nessi logici. Perciò egli dichiara di trovarsi più a suo agio nella realizzazione di film ad episodi, in quanto la sua attenzione è interamente concentrata, su episodi conchiusi. Tutta l’opera di Rossellini ruota attorno al tema della solitudine, inteso come sostrato dell’esistenza umana, dal quale tutti gli altri problemi scaturiscono. L’isolamento dell’uomo nella società, i vari gradi e aspetti dell’incomunicabilità, l’incomprensione, sono gli argomenti del suo discorso filmico, che si concentra, più è meglio, su pochi e ricorrenti elementi per portare l’analisi fino alle estreme conseguenze del ragionamento. Gli esordi di ROBERTO ROSSELLINI (1906- 1977) - Nato nel 1906 a Roma, da un’agiata famiglia borghese (il padre aveva costruito uno dei primi cinematografi della Capitale), Rossellini inizia a frequentare il mondo del cinema in giovanissima età. Rimasto orfano, lavora prima come rumorista, per poi realizzare, sia come montatore che come regista, per l’Istituto LUCE e la Genepesca sei cortometraggi, alcuni dei quali (i primi due) andati perduti: Daphne (1936), Prélude à l’après-midi d’un faune (1937) , La vispa Teresa (1939), Il tacchino prepotente (1939), Fantasia sottomarina (1940), Il ruscello di Ripasottile (1941). - Nel 1938 collabora alla sceneggiatura di Luciano Serra pilota, diretto da Goffredo Alessandrini e due anni dopo è l’assistente di Francesco De Robertis per Uomini sul fondo (1940), il film da cui molti fanno scaturire il Neorealismo. - La nave bianca (1941), film prodotto per iniziativa della propaganda della Regia Marina, è il lungometraggio di debutto di Rossellini e il primo film della cosiddetta “Trilogia della guerra fascista”, assieme a Un pilota ritorna (1942) e L’uomo dalla croce (1943). Qui la sua visione è insieme documentaria e propagandistica, ma nasce da una Weltanschaung cattolica fortemente orientata alla constatazione delle sofferenze fisiche e morali della guerra. Roma città aperta (1945) Con la fine del regime fascista nel 1943, a soli due mesi dalla liberazione di Roma, Rossellini progetta Roma città aperta (1945), da un soggetto di Sergio Amidei. Realizzato con mezzi di fortuna, il film segna l’inizio della nuova epoca, emblema della volontà di rinascita morale e civile dell’Italia. Esso costituisce un preciso segnale circa la direzione in cui si dovrà muovere il nuovo cinema: trarre ispirazione dalla realtà quotidiana, dare la priorità assoluta alla cronaca e alla forza delle reazioni di fronte alla disumanità di una tragedia che non ha risparmiato nessuno. Trama: Roma città aperta prende spunto da vari fatti di cronaca relativi al periodo in cui, caduto il fascismo, Roma, in attesa dell’arrivo delle truppe americane, fu teatro dello scontro tra le forze della resistenza e l’esercito tedesco. Tra queste storie, uno spicco particolare assumono le traversie di un un capo partigiano comunista, Manfredi (Marcello Pagliero), e di un prete di quartiere, don Pietro (Aldo Fabrizi) che, pur da diverse posizioni ideologiche, affrontano un comune destino di morte. Ad essi si aggiunge il tragico destino di una popolana Pina (Anna Magnani) barbaramente uccisa quando cerca di raggiungere il suo uomo rastrellato dai tedeschi. Il film doveva essere un documentario sul sacrificio del sacerdote romano Don Luigi Morosini, durante l’occupazione ma la storia fu ampliata, girando le riprese di alcuni interni nel vecchio teatro Capitani, in via degli Avignonesi, nel centro di Roma. Paisà (1946) Con Roma città aperta inizia la cosiddetta “Trilogia della guerra antifascista”, il cui secondo titolo è Paisà (1946), girato con attori non-professionisti. Incentrato sulla tragedia dell’Italia del 1944 al passaggio degli eserciti, si vuole raccontare la sofferenza degli abitanti e la violenza spietata degli occupanti. I diversi episodi compongono un affresco a quadri complementari, sembrano quasi affiancati senza un vero nesso logico, con assoluta, apparente noncuranza, il che costituisce la grande novità del linguaggio di R.R. Trama: Il film si compone di sei episodi: una ragazza, durante lo sbarco americano in Sicilia, insegna la strada agli americani, resta con uno di loro e lo vede morire per mano tedesca. A sua volta si ribella ai nazisti e resta uccisa. Ma, poiché nessuno sa quello che è veramente accaduto, i commilitoni che scoprono il morto sono propensi a credere al tradimento della “sporca ragazza italiana”. Il secondo si svolge a Napoli: un bimbo, Alfonsino, cerca di derubare un soldato di colore. Più tardi è ritrovato, condotto per mano dai genitori perché lo puniscano.