Un Contadino Nella Metropoli. Ricordi Di Un Militante Delle Brigate Rosse

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Un Contadino Nella Metropoli. Ricordi Di Un Militante Delle Brigate Rosse Prospero Gallinari Un contadino nella metropoli Ricordi di un militante delle Brigate Rosse "Il sequestro Moro volta una pagina della nostra storia. Lo sapevamo prima di andare in via Fani, e lo capiamo ancor più adesso, davanti allo scontro chiuso senza mediazioni." _*_*_ Creare un ebook da un libro fisico non è un'operazione immediata. Il modo migliore per ringraziarmi del tempo che ci ho speso è farne uno a tua volta, e renderlo pubblico su forum, torrent, e servizi di file hosting. Ecco come fare, in sintesi: 1) Copia del libro, senza sottolineature 2) Programma OCR (Abby Fine Reader, magari portable) 3) Scannerizza tenendo ben premuto, 250-300 dpi 4) Passa le immagini in AFR 5) Correggi gli errori 6) Salva in doc/html e sistema indice, impaginazione, note, immagini, ecc 7) Share with the world :) *** Caro Prospero, ho letto volentieri la tua storia perché tu sei una persona da ascoltare. Un libro è bello per questo, perché c'è un racconto che nessuno interrompe. L'ho seguito di filato nel volo che mi portava a Madrid e l'ho finito poco dopo. Tutti e due per aria, nel Mediterraneo, stavamo nel posto giusto, staccati da terra. Ho riconosciuto la tua voce, la tua consistenza e anche le incertezze di tanti cambiamenti. Malgrado il tuo continuo richiamo a una ragione politica, credo che le tue scelte siano dipese da una tua rettitudine, da una misura che ha per unità di peso il palmo di una mano. Ho apprezzato la tua reticenza verso i dettagli, il tuo modo di nominare le persone, la sofferenza procurata dal comportamento di molti compagni per te fidati. Dal punto di vista storico è un documento, l'ho consultato con interesse, specie il tempo degli anni ottanta, voi nel circuito dei camosci e io a piegare la schiena in fabbrica, in cantieri nella clausura ostinata e ostile verso chiunque. Me la sono ammansita con la scrittura, l'ho messa a contrappeso. Tu l'hai smaltita nella spezzettata comunità delle prigioni, nelle discussioni, nei documenti politici, ultime voci degli ammutoliti. Oggi accetti la solitudine, scrivi la tua storia che, per quanto sia stata saldata a una comunità, resta inconfondibile e tua. Oggi la tua volontà di scriverla chiude un tempo della tua vita. Una filastrocca dell'appennino emiliano racconta che la vita di un uomo è lunga quanto la vita di tre cavalli. Con questo libro hai sepolto il tuo secondo cavallo. Io il mio secondo l'ho lasciato a Belgrado nel '99 sotto il ferro e fuoco della Nato. I nostri cavalli muoiono in fondo a un atto di solitudine. La tua volontà di scrittura è questo distacco. Non è un libro politico, caro Prospero, è un libro di un padre che non ha avuto figli. In questo siamo uguali. E dopo averlo letto, provo per te più affetto di prima. Erri De Luca, gennaio 2005 Prospero Gallinari, nato a Reggio Emilia nel 1951, si accosta giovanissimo alla politica. Dopo una formazione nell'ambito della Fgci, milita nelle Brigate Rosse fino alla conclusione del loro percorso nel 1988. Arrestato una prima volta nel 1974, evaso nel 1977, viene riarrestato nel 1979. Condannato a tre ergastoli, dopo diciassette anni di carcere, perlopiù trascorsi in sezioni speciali, si trova da anni nella condizione di detenzione domiciliare per motivi di salute. Lavora attualmente part-time come operaio in un'azienda tipografica di Reggio Emilia. Prospero Gallinari partecipa alla campagna "Scrittori per le foreste" lanciata da Greenpeace. Questo libro è stampato su carta riciclata amica delle foreste (carta riciclata senza cloro) e non ha comportato il taglio di un solo albero. www.bompiani.rcslibri.it [email protected] © 2006 RCS Libri S.p.A. Via Mecenate 91 - 20138 Milano ISBN 88-452-5621-9 I edizione Bompiani marzo 2006 Un contadino nella metropoli C'era il mio cuore al sommo d'ogni cosa, c'era l'anima mia che è contadina Odysseus, Francesco Guccini Una lettera di Erri De Luca a Prospero Gallinari Premessa Un'origine, un percorso, una storia: quelli della mia vita. Superati i cinquantanni, un viaggio nel proprio passato è anche un attraversamento di ricordi. Ricordi personali che però si intrecciano, si mischiano e spesso si confondono con fatti e avvenimenti che hanno avuto un peso nella vita collettiva. Di qui un problema. Usare il senno di poi? Raccontare attingendo a critiche, autocritiche, scomuniche, valutazioni o giudizi maturati a posteriori? Ho scelto un'altra strada. Quella di far riemergere il filo dei pensieri e degli atti compiuti nel modo in cui, effettivamente questi mi hanno attraversato e poi portato ad agire di conseguenza. C'è una linea che traccia, indirizza e conduce questo percorso? Ci sono strappi o rotture? Quali ne sono i caratteri salienti? L'individuo è un essere sociale che vive in relazione ad altri esseri sociali. Per questo penso che l'habitat sociale, politico e culturale d'origine, la classe di appartenenza, siano le basi, il retroterra di un uomo, e che da questo sia necessario partire per riuscire a percorrerne la storia e le scelte via via effettuate, il modo in cui sono maturate. Una maturazione che è prodotto di percorsi effettuati all'interno di una collettività, ma che, nelle sue svolte essenziali, è anche il frutto di scelte personali. Presunte ricerche, o forse più semplicemente dicerie, fanno risalire il cognome che porto a un soprannome dato in origine a certi allevatori di galline. Tutti i ricordi che sono riuscito a raccogliere fra i miei avi indicano che i Gallinari sono sempre stati in effetti dei contadini. Contadini poveri che, di generazione in generazione, hanno lavorato la terra di proprietà altrui. Anche per questo l'elemento saliente della loro vita è stata la lotta contro la fame, condizione del resto comune alla maggioranza delle famiglie del luogo. I padroni erano pochi, i poveracci i più. La terra è bassa, si diceva, e la fatica per coltivarla, soprattutto quando i mezzi di lavoro erano ancora le braccia, tanta. Ma la terra è anche qualcos'altro. Ritengo che le origini contadine siano state un fattore fondamentale del mio modo di affrontare la vita, non solo per via di una generica e primigenia appartenenza alla terra in quanto tale, ma anche perché si tratta di quella terra: la terra emiliana. È la dimensione sociale nella quale sono vissuto, sono i valori portati in grembo, che ritengo abbiano fornito le radici della mia vicenda. Di queste radici vado orgoglioso. La cultura di quel mondo contadino, da una parte, è una cultura resistente, costretta da sempre a fronteggiare la natura, le stagioni e le intemperie, con i raccolti incerti fino all'ultimo momento; dall'altra, proprio per queste condizioni, è una cultura anche temperata e tollerante. Deve convivere con la grandine o la tempesta che distruggono il prodotto di un anno di lavoro e di fatica. Sai che potrà succedere, e non sei autorizzato alla resa, alla disperazione: la vita continua, deve continuare. Dopo un raccolto andato male, il successivo può anche andare bene. Questo è valido per la campagna, per i suoi raccolti, ma lo è anche per la vita. Questo rapporto del contadino con la natura e col lavoro non è un rapporto intellettuale. È piuttosto una condizione imposta dalla realtà materiale nella quale si vive, presupposto della sopravvivenza stessa. Lo è dal principio, anche in tenera età. Nel mondo contadino la donna-madre lavora come e quanto l'uomo. Le differenze di sesso e di età determinano solo il genere di lavoro a cui ciascuno dovrà applicarsi. È in base alla tua forza, al tuo sapere, che avviene la suddivisione dei ruoli. Sempre e comunque la campagna esige il tuo contributo. Esige quello dell'anziano, dell'uomo, della donna e del bambino. Certo, per me l'infanzia è stata anche gioco: quel gioco naturalmente all'origine dello sviluppo di ogni bambino. Ma la materialità particolare in cui mi sono trovato immerso sin dalla più tenera infanzia, ha significato anche (non appena sono stato in grado di affrontarlo) lavoro: lavoro con mansioni e compiti adattati alla forza e alla corporatura di un bambino. Nella mia vita, come in quella di tutti i ragazzi del mio tempo e della mia terra, non c'è stata una presenza femminile interamente assorbita dall'allevamento, dal gioco e dalla cura dei figli. Mia madre non poteva permetterselo. Doveva lavorare dall'alba al tramonto. L'unico modo di stare con me era quello di caricarmi sulle spalle, portandomi nei campi dove andava a lavorare. Mi scaricava a terra e di lì iniziavo a muovermi nella vita. I miei giocattoli erano i grilli o le rane, i nidi degli uccelli, e quando ero un po' più grande sapevo salire sugli alberi per cercarli. È così che sono cresciuti non solo i bambini dell'Amarcord di Fellini, ma anche quelli della realtà degli anni Cinquanta, che ho vissuto io. È stata questa la mia prima scuola. In fondo una bella scuola di vita, nella quale impari a capire la natura, le sue leggi e la sua sofferenza. Anche gli alberi piangono Questa conoscenza, questa presa d'atto delle regole e delle condizioni di esistenza dell'uomo nel suo rapporto conflittuale con la natura, mi hanno arricchito crescendo, anche nel modo di osservare e valutare il resto delle contraddizioni della vita. Fu uno zio, uno dei fratelli di papà, che mi rese partecipe di questa scoperta: tutte le piante, soprattutto nel periodo della fioritura, se lacerate nelle frasche o nei rami, rilasciano un liquido di colore bianco o giallognolo. Sono le loro ferite. È il loro sangue che esce. Forse sono le lacrime versate per il male che sono costrette a subire.
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