La Cgil E Il Pci Fra Violenza Terroristica E Radicalita

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La Cgil E Il Pci Fra Violenza Terroristica E Radicalita Facoltà di Lettere e Filosofia Dottorato di ricerca in Storia, Antropologia, Religioni XXIX Ciclo Tesi in Storia Contemporanea La Cgil e il Pci fra violenza terroristica e radicalità sociale (1969 -1982) Tutor Dottorando Prof. Piero Bevilacqua Fancescopaolo Palaia Anno accademico 2016-2017 1 INDICE INTRODUZIONE 4 CAPITOLO I:FABBRICHE ,OPERAI ,CONFLITTI :C GIL E PCI DAL CENTRO -SINISTRA ALL ’AUTUNNO CALDO 1. Una necessaria premessa: il centro-sinistra al governo 16 2. “Il tintinnio di sciabole”: il generale De Lorenzo e il Piano Solo 21 3. Operai e sindacato prima dell’«Autunno caldo» 26 4. 1968: Sindacato, fabbrica, lotte operaie, violenza 38 5. Gli eccidi di Avola e Battipaglia 54 6. Da Battipaglia all’autunno 1969 62 CAPITOLO II: L’ EVERSIONE NERA E LO STRAGISMO NEOFASCISTA . DA PIAZZA FONTANA A PIAZZA DELLA LOGGIA . CGIL E PCI CONTRO IL TERRORISMO 1. Aprile-Novembre 1969. Dalle bombe alla Fiera Campionaria di Milano alla morte di Antonio Annarumma 75 2. Piazza Fontana e la «strategia della tensione» 93 3. Dalla Rivolta di Reggio Calabria alla strage di Peteano 103 4. Neofascismo e violenza antioperaia a Brescia prima della strage 122 5. La strage di Piazza della Loggia: I lavoratori in difesa della democrazia e l’autogestione dell’ordine pubblico 134 CAPITOLO III: PCI, CGIL, GRUPPI RIVOLUZIONARI E LOTTA ARMATA : SORPRESA , DIALOGO , ROTTURA (1969-1975) 1. La prima fase (1968-1972). Il Pci e la Cgil fra dialogo e chiusura. Radicalizzazione delle lotte, violenza e prime azioni armate 155 2. Il XIII Congresso del Pci, la morte di Feltrinelli e l’assassinio del commissario Calabresi . 182 2 3. La svolta di Berlinguer: «Mobilitare i lavoratori per isolare i gruppi estremisti». La strategia del compresso storico 189 4. Dal rapimento lampo di Bruno Labate al sequestro Amerio. L’attacco brigatista e la risposta di Pci e Cgil 196 5. «L’operazione girasole». Pci e Cgil di fronte al sequestro Sossi 211 6. Il Pci e la Cgil alla prova: dal seminario nazionale sull’estremismo alla legge Reale 221 7. Le elezioni amministrative del giugno 1975: il balzo in avanti del Pci e la violenza delle Br 233 CAPITOLO IV: L’ ATTACCO AL CUORE DELLO STATO . PCI E CGIL IN DIFESA DELLA DEMOCRAZIA (1976-1982) 1.Pci e Cgil di fronte alla violenza e agli omicidi delle Br: dall’omicidio del giudice Coco alla morte di Walter Alasia 243 2.La cacciata di Luciano Lama dalla Sapienza e la morte di Francesco Lorusso 266 3. Pci e Cgil di fronte alla violenza diffusa 279 4. L’omicidio di Carlo Casalegno e il lavoro della Sezione problemi dello Stato 293 5.Combattere la lotta armata da sinistra: «I terroristi nemici degli operai» 312 6. Il dramma di Aldo Moro: Pci e Cgil di fronte al sequestro e all’omicidio del Presidente della Dc 317 7. Il Convegno della Cgil sul terrorismo e il lavoro della Sezione problemi dello Stato 331 8. Il sacrificio di Guido Rossa, la rottura di ogni zona d’ombra e il questionario del Pci di Torino 338 9.L’inchiesta 7 aprile: la risposta di Pci e Cgil 357 10. Il documento della Fim veneta sulla violenza politica e i questionari del Pci 371 Fonti e Bibliografia 394 3 INTRODUZIONE Fino ad oggi la ricerca storica sul terrorismo si è concentrata con estrema puntualità nella ricostruzione delle varie declinazioni, nell’analisi fenomenologica dei diversi gruppi e delle origini culturali dell’eversione, tralasciando l’attività delle forze politiche e dei sindacati. Il presente lavoro si propone di ricostruire il ruolo svolto dalla Cgil e dal Pci nella complessa stagione del terrorismo e dello stragismo in Italia. Molti i temi di approfondimento, fra cui: l’analisi del ruolo svolto dalla Cgil e dal Pci nella difesa e nella tenuta dell’ordine democratico del paese; l’uso strumentale del terrorismo da parte della classe imprenditoriale per rovesciare la centralità acquisita dal sindacato nei luoghi di lavoro; la criminalizzazione del conflitto con la conseguente equiparazione tra questo e il terrorismo; la trasformazione del sindacato da soggetto conflittuale a concertativo; l’evoluzione culturale del rapporto con la violenza e tra questa e il suo utilizzo come pratica del conflitto; la costruzione di una nuova “identità comunista”, se così si può dire, che non rinuncia ad analizzare in un’ottica autocritica anche le proprie contraddizioni interne e che passa attraverso l’identificazione con le istituzioni e il superamento di ogni residua resistenza e diffidenza culturale della classe operaia nei confronti dello Stato; il declinarsi della risposta al terrorismo nel suo intreccio con l’analisi del contesto sociale, politico ed economico del Paese nel tentativo di fornire altre latitudini di indagine per la storia di quegli anni. I due poli strutturali attorno ai quali si è sviluppata la ricerca sono dunque, da un lato, la Cgil, intesa come singola organizzazione e, a partire dal 1972, anche come Federazione Unitaria Cgil-Cisl-Uil, dall’altro il Pci, nelle sue forme di organizzazione nazionale. Il presente lavoro approfondisce anche alcune realtà territoriali particolarmente significative, come Milano, Torino e Brescia attraverso l’analisi comparata delle fonti sindacali relative alle Camere del lavoro e delle fonti relative alle Federazioni comuniste delle suddette città. Milano e Torino, in particolare, costituiscono una sorta di laboratorio, di palestra, per la nascita e l’articolazione del partito armato all’interno delle grandi fabbriche, ma al tempo stesso anche per il lavoro politico e culturale di lotta al terrorismo da parte della Federazione Unitaria Cgil-Cisl-Uil e del Pci. 4 Le reazioni della società, dei partiti, del movimento sindacale e dello Stato di fronte all’attacco terrorista sono state a lungo assenti o decisamente inadeguate. Tali posizioni sono determinate, per quanto riguarda il terrorismo di sinistra, dai consensi, dalle “simpatie”, dai ritardi culturali presenti negli stessi ambienti del mondo comunista e del movimento operaio e sindacale, dalla sottovalutazione, quindi, della pericolosità di molti gruppi politici e della loro narrazione, e, per quanto riguarda invece la sua declinazione neofascista, dall’inerzia, dall’inefficienza, quando non dalla collusione, di alcuni settori degli apparati di sicurezza. Le domande da cui prende le mosse la presente ricerca sono dunque: la Cgil e il Pci comprendono i pericoli del terrorismo? Quando? Come reagiscono? L’analisi delle risposte consente di approfondire aspetti decisamente poco conosciuti, e forse volutamente dimenticati- perché caratterizzati anche da complicità e da zone di ambiguità- sulla storia di quegli anni, definiti di “piombo” con un’efficace, ma al contempo parziale, espressione giornalistica che li schiaccia curvandoli solo sul versante della violenza politica. Partendo dall’assunto che è molto difficile tracciare una schema rigido nel rapporto causa- effetto, la ricerca non può prescindere dal considerare entrambi i fronti del terrorismo. I due fenomeni infatti hanno in comune, oltre al tragico bilancio di vite umane spezzate, il pesante condizionamento esercitato sulla vita politica del Paese. Per quanto concerne l’eversione nera il problema inizia a essere considerato con attenzione nel dibattito interno al Pci fin dalla fine del 1968. Nel maggio del 1969, ad esempio, Enrico Berlinguer, allora vice segretario del partito, osserva:«Vi è un accrescersi di elementi che indicano qualcosa di torbido e pericoloso in questa situazione. Da questa attivazione di gruppi di destra non si può escludere una componente internazionale. Non escludo che la risposta ai fascisti debba essere decisa». Nel corso dell’estate l’attenzione si sposta su ciò che avviene nelle forze armate, e nella Direzione del 2 luglio Luigi Longo drammatizza il quadro riferendo di un possibile intervento dell’esercito e segnalando movimenti lungo la Via Appia, alle porte della capitale. Quando inizia dicembre sono in molti a pensare che l’Autunno non durerà a lungo. Le forze dell’ordine dimostrano una iniziale fase di passività che si può ritenere di studio, in attesa di ordini dall’alto e di regole di ingaggio. A restare stupiti di questa iniziale passività di fronte 5 al dilagare delle manifestazioni di piazza e al dispiegarsi delle contestazioni in fabbrica sono i sindacalisti con qualche anno di esperienza in quanto le lotte passate hanno insegnato loro qualcosa. Così non credono, a differenza dei militanti più giovani che ci si trovi davanti a una strategia illuminata di contenimento. Le lotte si accendono anche in luoghi dove le gerarchie di potere sembrano intoccabili e per questo innescano reazioni pesanti. Queste reazioni si intrecciano agli umori di un apparato dello Stato che innesta le sue radici direttamente nella continuità con il passato regime fascista. In quegli anni guidano le questure e gli uffici politici, occupano i più rilevanti incarichi nella giustizia, sono funzionari, magistrati, ufficiali che hanno compiuto il loro apprendistato professionale all’interno di uno stato autoritario 1. Forgiati da una cultura autoritaria che non ha conosciuto il diritto di sciopero e nega il diritto all’espressione. Sono questi gli uomini che determinano il primo rinserrarsi del baluardo opposto alle lotte dell’autunno caldo. Utilizzando tutti gli strumenti messi a disposizione da un codice penale modellato sul passato regime, disattendendo norme, prevaricando ruoli e funzioni, delineano una complessa geografia della repressione. Tutte le categorie in pochi mesi vengono investite da denunce; saranno complessivamente 13903. A subire la maggiore repressione sono i lavoratori agricoli (con 3992
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