I CAMILLIANI a PAVIA Dal 1693 Al Servizio Dei Malati
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I CAMILLIANI A PAVIA dal 1693 al servizio dei malati A cura di Felice de Miranda M.I. i camilliani a pavia Dal 1694 al servizio dei malati a cura di Felice de Miranda I CAMILLIANI A PAVIA DAL 1693 AL SERVIZIO DEI MALATI A cura di Felice de Miranda M.I. Edizioni CdG Pavia, 2019 I CAMILLIANI A PAVIA DAL 1693 AL SERVIZIO DEI MALATI a cura di Felice de Miranda Contributi di Osvaldo Ascari. M.I. Mario Bizzotto M.I. Roberto Corghi M.I. Renata Crotti Felice de Miranda M.I. Maurizio De Filippis Giannino Martignoni M.I. Luca Perletti M.I. Emidio Spogli M.I. Elisabetta Zanarotti Tiranini In appendice documenti storici «È molto poco quello che faccio... Vorrei avere cento braccia per servire tutti i poveri e i malati del mondo!» (S. Camillo) Ai cittadini pavesi, e a tutti i confratelli e amici dei camilliani in occasione del IV centenario della morte di San Camillo PREFAZIONE Mario Bizzotto, M.I.1 Non può non essere edificante gettare uno sguardo nel passato. È un modo di colmare il presente riempendone il vuoto. Cosa sarebbe il presente senza il passato? Non perderebbe il suo senso? A questa domanda risponde l’iniziativa di padre De Mi- randa che ha avuto la felice idea di raccogliere in sintesi l’attività dei padri camilliani nell’ospedale S. Matteo di Pavia. Ci fa ri- passare una storia che parte dal lontano 1693 e si prolunga fino al 1810, quando in seguito alle leggi napoleoniche i religiosi ca- milliani furono costretti ad abbandonare il loro ministero al ser- vizio dei malati nella città di Pavia. L’ideale di S. Camillo trova discepoli che si susseguono come anelli d’una catena. Viene così formandosi una lunga tra- dizione che sarebbe ingrato lasciarla cadere nella dimenticanza, anzi sarebbe un tradimento della propria identità. Il pensatore ebreo Adorno ha definito la dimenticanza diabolica, identifican- dola con satana. C’è anche un dovere di memoria, tradendo il quale ci si rende responsabili d’una colpa. Nella sacra Scrittura 1 Filosofo 6 ricorre ripetutamente il monito che vale come un comanda- mento: ricordati di tuo padre e tua madre, ricordati di santificare le feste… Il curatore di quest’opera p. De Miranda nota che il suo la- voro è destinato ai cittadini di Pavia. Di fatto però interessa pre- cipuamente i camilliani. In fondo si tratta d’una storia che ap- partiene alla nostra famiglia, alla “pianticella” che a dire di S. Camillo si sarebbe dilatata. Ha messo radici anche a Pavia. Non ci sono state imprese particolari, che poi non erano neppure ne- cessarie, dal momento che l’assistenza ai malati passa attraverso piccoli sentieri, gesti inappariscenti, parole di incoraggiamento, strette di mano cordiali, scambi di sentimenti. Rifugge perciò da esternazioni stupefacenti. Si compie in rapporti interpersonali, è perciò di natura sua dimessa, feriale, disadorna, esplicitandosi nel contatto con il singolo e nell’incontro con l’individuo, dove è possibile ascoltare confidenze, storie personali, racconti auto- biografici per lo più segnati da eventi tristi. Il cappellano ospedaliero ha un ruolo che non lo espone all’attenzione. Si svolge nelle corsie sepolto nel nascondimento. La sua è una vocazione alla solidarietà e nel contempo ad una condizione umile. Non c’è altra maniera di accostare il malato se non accettando anche di essere ignorati. Si dice giustamente che di per sé non esiste la malattia, ma i malati. Essenziale è l’incontro, che non può essere generico. Dostoevskij parla d’un medico che amava l’umanità, ma non amava i singoli uomini. Se così, amava un’idea staccata dalla realtà. Il suo amore restava sterile, chiuso nella mente, un amore astratto senza mani, senza volti e senza piedi che camminano per terra e, cosa ancora più grave, senza quel sentimento di pietà che ci si aspetta da un operatore sanitario. L’attività caritativa si nu- tre certo di ideali ma ha bisogno soprattutto di interventi opera- 7 tivi, fatti con un po’ di cuore. Così insegna S. Camillo che sti- mola alla pratica ma nel contempo a metterci l’anima: “fratello più anima in quelle mani!” Al malato o si dona qualcosa del pro- prio cuore o non si dona niente. A lui si arriva aprendo l’anima. S. Camillo osserva che l’infermo va avvicinato con l’intero no- stro essere, non solo con le mani, ma anche con gli occhi per vedere che “non manchi all’infermo cosa alcuna”, con gli orec- chi “aperti per intendere i comandi e i desideri “, con la lingua per spronare alla fiducia, con “la mente e il cuore per pregare Dio”. Camillo è detto “serafico” perché con il suo amore vola in alto, ma i piedi lo tengono legato alla terra. È un serafico che parla del berretto per coprire il capo del malato, dell’acqua calda per pulire il volto nelle stagioni fredde, di sciacquare la bocca, pulire la lingua, tagliare le unghie, procurare calze, zoccoli, zi- marre. Camillo è un serafico dai guanti d’oro della carità, un se- rafico che passa per le corsie tenendo in una mano un boccale e nell’altra una paletta. In tutto questo non si scopre niente di imponente. Si è così immersi nella realtà del quotidiano da passare inosservati. Non si ha paura di ciò che può apparire banale. Si accetta di non es- sere importanti, di vivere in una realtà poco eroica, eppure alta- mente benefica, dedicata al conforto. I nostri padri a Pavia si sono segnalati come fedeli continuatori del loro fondatore. A loro merito non si segnalano imprese particolari e d’altra parte non c’è da aspettarsi niente di diverso della loro vocazione vi- cina ai sofferenti. Importante è che la loro presenza nell’ospe- dale S. Matteo sia trascorsa infondendo conforto e manifestando solidarietà. Protagonista nell’ospedale è il malato. Intorno a lui ruota tutto il mondo assistenziale: infermieri, medici, suore, assistenti religiosi e altro personale addetto a servizi collaterali. Nell’atti- vità religiosa si è sempre distinta la persona del Vescovo, che non solo si prestava alle celebrazioni liturgiche, ma soprattutto 8 ci teneva a visitare i malati. Particolarmente preziosa ai fini della sensibilizzazione religiosa è stata la presenza delle suore della Provvidenza, con le quali i padri hanno sempre avuto rapporti di intesa e affiatamento. Si sono affermati per impegno e dedizione gruppi laicali, organizzati nell’Associazione ACOS. A loro il merito di aver promosso corsi di bioetica e d’aver contribuito alla formazione etica e religiosa degli infermieri/e professionali. Anche le parrocchie della città si sono fatte vive. Nelle strutture ospedaliere non manca il lavoro, tanto più efficace quanto più è promosso e sostenuto in modo corale. L’iniziativa di p. De Miranda merita la nostra lode, la merita soprattutto perché offre un esempio, che invita all’imitazione. Ancora una volta vale il comandamento della Scrittura: ricor- dati! 9 INTRODUZIONE Felice de Miranda M.I. Chi era San Camillo de Lellis? Chi sono i camilliani, i religiosi dell’Ordine da Lui fondato? Che cosa ha lasciato San Camillo in eredità alla Chiesa? Che cosa si intende per carisma di San Ca- millo o carisma camilliano? Quando, come, perché sono arrivati i camilliani a Pavia? Quale testimonianza hanno dato i camilliani alla Chiesa di Pavia dal 1693 ad oggi? Il presente volume intende rispondere a queste domande. Cenni introduttivi Camillo de Lellis, il Santo dei malati, nacque a Bucchianico (CH) il 25 maggio 1550 e morì a Roma il 14 luglio 1614. Dopo una giovinezza spensierata, dedicata al servizio di soldato e al gioco d'azzardo, a 25 anni si convertì a Dio e orientò tutta la sua vita al servizio dei malati sia al loro domicilio che negli ospedali. 10 Fondò a questo scopo l'Ordine religioso dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi (oggi conosciuti popolarmente come Ca- milliani, sigla M.I.) e, a partire da Roma, sua sede abituale, dif- fuse le sue comunità in quasi tutti i principali Ospedali d'Italia. Fu dichiarato Santo nel 1746 da Benedetto XIV con il titolo di “iniziatore di una nuova scuola di carità”. Nel 1886 Leone XIII lo proclamò, insieme a San Giovanni di Dio, “patrono universale degli Ospedali e dei Malati” e nel 1930 Pio XI, sempre insieme a San Giovanni di Dio, lo proclamò “patrono universale degli Infermieri”. Inoltre Paolo VI, nel 1974, lo proclamò “patrono della Sanità militare”. Egli, come spesso soleva dire, desiderava avere “cento braccia” per poter rispondere meglio ai bisogni dei malati. Queste “cento braccia” sono costituite, oggi, dall'Ordine religioso da lui fon- dato che è presente con oltre un migliaio di religiosi in diversi paesi dei cinque continenti. Anche a Pavia l'eredità lasciata da San Camillo, il suo carisma, ha una storia, pressoché inedita, da raccontare e che merita di essere conosciuta. Infatti i primi camilliani arrivarono a Pavia nel 1693 e vi rimasero fino al 1814 per poi ritornarvi nel 1953. Per questa ragione, in occasione del IV Centenario della morte di San Camillo, i camilliani presenti oggi a Pavia come cappel- lani del Policlinico hanno voluto onorare la Sua memoria pro- muovendo questo libro commemorativo composto prevalente- mente da materiale già edito ma di difficile reperibilità oltre ad alcuni contributi inediti. Gli autori di questa antologia di scritti sono in maggior parte re- ligiosi camilliani, profondi conoscitori di san Camillo e del suo carisma, e alcuni laici che hanno offerto il necessario inquadra- mento storico per contestualizzare la storia camilliana. 11 Essendo una raccolta di scritti autonomi non mancherà una certa ripetitività in alcuni argomenti sul carisma camilliano anche se questi argomenti vengono presentati da prospettive diverse e da autori diversi, ma nello stesso tempo i diversi capitoli del libro possono essere letti indipendentemente l’uno dall’altro e non ne- cessariamente in sequenza.