Fondo Archivistico Federigo Melis Inventario Analitico * *

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Fondo Archivistico Federigo Melis Inventario Analitico * * FONDAZIONE ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STORIA ECONOMICA “F. DATINI” FONDO ARCHIVISTICO FEDERIGO MELIS INVENTARIO ANALITICO * * a cura di Federica Nigro PRATO, OTTOBRE 2013 FONDAZIONE ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STORIA ECONOMICA “F. DATINI” FONDO ARCHIVISTICO FEDERIGO MELIS INVENTARIO ANALITICO a cura di Federica Nigro * * APPARATI PRATO, OTTOBRE 2013 Fondo Archivistico Federigo Melis. Inventario analitico / a cura di Federica Nigro. – Prato, Fondazione Istituto Internazionale di Storia Economica “F. Datini”, 2013 http://www2.istitutodatini.it/pagina197_inventario.html (online) ISBN: 978‐88‐95755‐40‐3 © 2013 Fondazione Datini Fondazione Istituto Internazionale di Storia Economica “F. Datini” Via ser Lapo Mazzei 37 59100 Prato http://www.istitutodatini.it 3 FEDERIGO MELIS Federigo Melis aveva iniziato la carriera accademica all’Università di Roma, dove Francesco Della Penna, suo maestro, individuando in lui lo storico di razza, istituì e gli assegnò, subito dopo la laurea, un corso di storia della ragioneria; era l’anno accademico 1939 1940 e Federigo aveva 25 anni. Fu proprio dagli studi svolti nel preparare quel corso e da una serie di approfondimenti successivi che ebbe origine la prima e fondamentale opera, una Storia della ragioneria che, come è stato detto da più parti, è anche un libro di storia della cultura e della civiltà italiana nei secoli XIII-XV. La preparazione del volume, interrotta dal dramma della guerra e dalla prigionia in Kenya, riprese subito dopo il rientro in patria, e fu accompagnata dalla pubblicazione di apprezzati saggi e contributi. L’opera uscì nel 1950, quando da poco il Melis aveva assunto l’incarico di storia economica presso la Facoltà di Economia e Commercio di Pisa; il sottotitolo «Contributo alla conoscenza e interpretazione delle fonti più significative della storia economica», preannunciava un nuovo indirizzo e nuovi metodi della ricerca nella storia dell’economia che egli, in modo assolutamente originale e solido, si avviava a introdurre nel contesto della storiografia mondiale. È certamente importante, ma sarebbe anche riduttivo limitarsi a dire che l’innovazione metodologica introdotta fosse quella dell’analisi statistico-quantitativa (che pure incontrava non poche diffidenze tra molti e più anziani storici di quel tempo). Il fatto è che proprio muovendo dall’esperienza degli studi di storia della ragioneria Federigo Melis ebbe la possibilità di compren- dere, prima e meglio degli altri, la portata di una fonte nuovissima per la storia economica, costituita da ogni documentazione di diretta promanazione mercantile; insomma, i registri, le lettere, i conti, simili a quelli che i mercanti hanno lasciato negli archivi toscani. La storia economica, che fino allora si era avvalsa di fonti notarili, letterarie, legislative - che pure Melis aveva accuratamente sottoposto al suo critico vaglio - venne a trovarsi di fronte a nuove miniere della conoscenza fino ad allora malamente utilizzate se non lasciate alla polvere degli archivi. Fu proprio questa appassionata ricerca delle fonti, questo spoglio inesausto di tutti gli archivi che lo portò alla «scoperta» dell’eccezionale corpo documentario datiniano nel cui studio si immerse con appassionato rigore, e alla cui valorizzazione dedicò tanta parte della sua energia. Gli anni 50 furono quelli dell’impegno più affannato e duro. Tra il 1953 e il 1957 Melis risiedé praticamente a Prato, per poter più agevolmente lavorare al fondo Datini. Periodicamente si recava a Pisa e a Cagliari, dove nel frattempo gli era stato affidato un ulteriore incarico di Storia Economica presso la Facoltà di Economia e Commercio. Fu un periodo vissuto con grande intensità, sia per i rapporti umani e di amicizia, sia per la rapida crescita della sua immagine di studioso. 4 La Mostra internazionale dell’Archivio Datini che egli allestì nel 1955 ebbe uno straordinario successo per l’altissimo valore scientifico e didattico, ma costituì anche il momento forse più alto degli scontri e delle polemiche scientifiche, dovute alla diffidenza e alla reazione critica di chi non condivideva del tutto l’impostazione metodologica adottata e i nuovi orientamenti interpretativi che Melis stava introducendo nella storia economica italiana. La prima grossa questione, per certi aspetti ancora oggi timidamente aperta, seppure in forma aggiornata, riguardava l’affermazione secondo cui la rinascenza economica italiana ed europea si sarebbe concretizzata sostanzialmente durante il XIII secolo, mentre in seguito lo sviluppo economico avrebbe progredito soltanto in termini quantitativi, ma non qualitativi, con una vera e propria crisi fra il XIV e il XV secolo. Alle due fasi dello sviluppo economico del Rinascimento, Armando Sapori, il principale esponente di questa tesi, che era particolarmente diffusa oltralpe, faceva corrispondere un diverso giudizio morale sui soggetti economici del tempo: ai mercanti duecenteschi, caratterizzati dalla eroica moralità, si contrapponevano figure come quella di Francesco di Marco Datini che, nel medaglione della Origo The merchant of Prato, appare addirittura un uomo mediocre, spesso motivato da intenzioni poco virtuose. Gli studi del Melis hanno fortemente corretto simili visioni. Egli riteneva anzitutto che la questione morale, supposta quanto infondata, impediva di intravvedere la sostanziale modernità dell’imprenditore tardo trecentesco, espressione di una nuova cultura aziendale. Quanto al problema della crisi egli riuscì a dimostrare, attraverso i nuovi documenti archivistici, che i momenti di difficoltà che segnarono il secolo XIV ebbero carattere congiunturale; lo sviluppo, complessivamente inteso, procedeva, e gli italiani continuarono a mantenere il loro predominio commerciale e bancario nel Mediterraneo e in Europa occidentale almeno fino alla metà del ‘500. Appare infatti difficile affermare che la crisi iniziata nei primi anni del XIV secolo sarebbe divenuta inarrestabile a fine secolo, proprio nei decenni in cui l’organizzazione dei traffici e la tecnica degli affari poterono avvalersi di forti innovazioni che procuravano ulteriori salti qualitativi. Su questi temi Melis intervenne in ogni sede scientifica, in ogni convegno, con conferenze ed opere scritte: la nascita della holding, lo sviluppo della banca moderna, la differenziazione dei noli marittimi, lo sviluppo delle assicurazioni, la nascita di un sistema efficiente di servizi postali ed informativi, e così via, contraddicono la supposta esistenza di una depressione mentre appaiono come chiari indicatori di progresso economico qualitativo e quantitativo che, in quello scorcio di secolo, vide un ulteriore salto di qualità della presenza economica italiana nel Mediterraneo. L’individuazione e l’approfondimento di queste chiavi di lettura hanno consentito al Melis, attraverso lo studio accurato dell’intero sistema economico europeo e del bacino mediterraneo, di chiarire lo spazio geografico, l’intensità della presenza ed il predominio degli operatori economici della Toscana dentro e fuori d’Italia, e il loro forte contributo all’innovazione delle tecniche commerciali. Si pensi ad alcuni saggi fondamentali, come Werner Sombart e i problemi della navigazione del Medioevo, uscito nel 1964, in cui l’Autore descrive i meccanismi della rivoluzione dei noli marittimi, che ebbe inizio proprio nell’ultimo scorcio del ’300, attivando l’inserimento nei traffici internazionali di prodotti di minor valore. Si pensi anche ai suoi studi applicati al settore bancario, che diedero luogo a contributi fondamentali tra il 1955 e il 1972, anno della Mostra internazionale di storia della banca realizzata 5 presso il Monte dei Paschi di Siena; tali studi affinarono la conoscenza sul processo di sviluppo della banca, ambito in cui, assieme a quello commerciale, i toscani dominavano. Lo stesso settore assicurativo ebbe origini e sviluppo dalla mentalità innovativa del mercante, come chiarisce il volume pubblicato postumo Origini e sviluppi delle assicurazioni in Italia (secc. XIV- XVI), dove ancora una volta Melis mostra l’implicito contrasto tra la teoria della depressione e gli elementi che andavano connotando un’economia moderna. Fondamentale in questa sorta di passaggio a un mondo economico «moderno» era l’operatore e la sua azienda; il mercante descritto dal Melis aveva assunto i caratteri nuovi del clima culturale rinascimentale, che gli consentirono di essere artefice di forti innovazioni. Per comprendere questo, Melis ci ha insegnato ed ampiamente dimostrato come sia necessario osservare i soggetti economici nella loro specifica attività. Lo studio dell’azienda attraverso le molteplici fonti che da essa promanavano gli consentì di analizzarne le caratteristiche tecniche ed organizzative, di ricostruire l’ambiente economico in cui operava, ma pure di evidenziare gli aspetti della mentalità e della cultura dei suoi dirigenti e degli operatori intermedi. Amava dire che la storia economica doveva rivolgere le sue ricerche al nucleo fondante dei fatti economici: le aziende e gli uomini che vi operavano; «dirigere - è risaputo - significa studiare; studiare i fenomeni interni delle aziende, soprattutto inquadrandoli in quelli esterni e spaziando su ogni e qualsiasi campo, specialmente se ricordiamo che l’atmosfera generale era quella umanistica, che ritrasmetteva pure nell’umile campo economico l’ansia e il gusto di sapere, di conoscere e di far conoscere, di rendersi ragione - concludeva - di tutti i fenomeni». Insomma, ogni atto economico era oggetto e frutto di studio, lo sviluppo culturale e professionale dell’individuo
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